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Interno04/12 · Un percorso con troppi ostacoli ... e la necessità di un salto culturale ... Mobilità interuniversitaria e programmi europei: dati, Paesi,

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In questo numero interventi di: Tullio De Mauro

Trenta e lodePrimo Piano /

Antonello Folco BiaginiMaria Carolina BrandiMarco CilentoMario MorcelliniGiovanna Motta

Gabriele NataliziaNunzia PenelopeFranco PittauAntonio RicciGiuseppe Scopell i t i

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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libertàciviliRivista bimestrale del dipartimentoper le Libertà civili e l’Immigrazionedel ministero dell’Interno

Piazza del Viminale 1- 00184 Romatel. 06 46525869fax 06 [email protected]

Comitato scientifico

Presidente Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

ComponentiVincenzo CesareoProfessore emerito di Sociologiagenerale - Università cattolica del Sacro Cuore - Milano

Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio

Antonio GoliniProfessore emerito, già ordinario di Demografia - “Sapienza” università di Roma

Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabiledel “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013

Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienzedella comunicazione - “Sapienza”università di Roma

Riccardo Compagnucci Prefetto - vice capo dipartimentovicario per le Libertà civilie l’Immigrazione

Serenella RavioliResponsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Giuseppe RomaDirettore generale CENSIS

Direttore editorialeAngela PriaPrefetto - capo dipartimentoper le Libertà civilie l’Immigrazione

Direttore responsabileGiuseppe Sangiorgi

RedazioneAlessandro GrilliClaudia Svampa

Responsabile organizzativoStefania Nasso

Progetto graficoStudio Francesca CantarelliMilano

FotografieCopertina © Ansa-Epa | GiorgiLicovski;pag.11 -118 -147 © Ansa;pag. 16-68 © Ansa | MassimoPercossi; pag. 22 © Ansa |Danilo Schiavello;pag.32 © Ansa | Alessandro Di Meo; pag.54 © Ansa | GuidoMontani; pag. 83 © Ansa | Gid;pag. 88 © Ansa | Epa;pag.95 © Ansa | IsabellaBonotto; pag.114 © Ansa |Claudio Peri;pag.123 © Ansa Archivio;pag.133 © Ansa-Epa | DiegoAzubel

CopertinaStudio Francesca Cantarelli

Autorizzazione Tribunale di Milanon. 579 del 18.12.2009Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003(conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano

Copyright © 2011 by Ministero dell’Interno

StampaTipografia Iprint Srl Via Tiburtina Valeria km 18,30000012 Guidonia-Montecelio Roma

Anno IIIQuarto bimestre 2012finito di stampare ottobre 2012

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In questo numero interventi di: Tullio De Mauro

Trenta e lodePrimo Piano /

Valeria Benvenuti

Antonello Folco Biagini

Maria Carolina Brandi

Marco Cilento

Mario Morcellini

Giovanna Motta

Gabriele Natalizia

Nunzia Penelope

Franco Pittau

Giuseppe ScopellitiBIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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EditorialeIl dna interetnico dell’università italianadi Angela Pria 5

L’intervento“Semplice: dobbiamo tornare a studiare”Intervista a Tullio De Mauro 7

Nuovi italiani per l’universitàdi Mario Morcellini 14

Un percorso con troppi ostacolidi Franco Pittau e Antonio Ricci 18

Studiare in Italia? Per uno straniero costa 15.400 euro l’annodi Valeria Benvenuti 2 6

È figlio della Generazione 2 l’aumento degli iscritti stranieri negli atenei italianidi Maria Carolina Brandi 31

Lo “spreco di cervelli”, tra occasioni mancate e la necessità di un salto culturaledi Marco Rotelli e Nino Sergi 36

Rapporto Ocse 2012: in Italia pochi laureati e spesa insufficiente per l’università 41

Dai “borghi della sapienza”la forza rivoluzionaria dell’integrazione e della tolleranzaIntervista a Giuseppe Scopelliti 47

Per un nuovo modello di cooperazione italiana di Gabriele Natalizia 50

Una giornata dedicata a prospettive e proposte per la cooperazione internazionale di Stefano Pelaggi 56

La Sapienza di Roma, un ateneo a vocazione internazionaledi Marco Cilento 59

La dimensione internazionale del sapere accademico come contributo a un’Europa dell’istruzioneIntervista a Antonello Folco Biagini 65

Mobilità interuniversitaria e programmi europei:dati, Paesi, prospettive dell’Erasmus Mundusdi Antonella Cammisa, Andrea Carteny, Mattea Capelli 69

Quando la mediazione e il dialogo fra culture si imparano all’universitàdi Giovanna Motta 74

Dalle aule dell’ateneo all’azione sul campo:il caso dell’istruzione dei minori romdi Alessandro Pistecchia e Lino Posteraro 79

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La Turchia, un Paese in for te sviluppo che offre opportunità di lavoro ai nuovi cooperanti

68ippulignoP ocsecnarF id

Una domanda a…29uigraV eleirbaG id aruc A

EuropaUna procedura semplificata e regole comuni per il lavoro stagionale nell’Unione Europea

99ireitnoP airottiV airaM id

Anche in Italia la “Carta blu” per i lavoratori qualificati dei Paesi terzi 102

LaborCriminalità economica: quando l’immigrato è vittima

501 Nunzia Penelope id

Lavoro irregolare: la nuova procedura di emersione 111idroB otreblA id

CittadinanzaSenza cittadinanza: le scelte scolastiche dei figli degli immigrati

611eyafseT caasI id

Dialogo interculturaleMinoranze nazionali, tutele e limiti della legge 482/99

121attoM eppesuiG id

IntegrazioneI migranti “diasporici” protagonisti del mondo globalizzato

721illeniuqsaP alraC id

Integrare condividendo931noneM onafetS id

Minimum mediaStorie, numeri e curiosità nel settimo Rapporto “Italiani nel Mondo”di Delfina Licata 144

Studenti internazionali e permessi di soggiorno per motivi di studio: le statistiche in UE e Italia 150

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hiesa, Impero e Comune sono i tre grandi protagonisti di quel lungo e complesso periodo che gli storici chiamano“Medioevo”. Un periodo fatto di luci e di ombre, durante

il quale l’Europa ha ripensato se stessa, messo in discussione la propria identità e costruito le premesse per quei movimentidi idee che oggi conosciamo con i nomi di “Umanesimo” e “Rinascimento”.Fra le luci possono essere certamente annoverati i monasterie le università, luoghi nei quali la cultura classica è stata preservatadall’oblio e dove il sapere filosofico, giuridico e medico è stato coltivato e trasmesso alle future generazioni.Proprio in Italia, nel Comune di Bologna, nasce nel 1088 1

una delle più antiche università del mondo occidentale ed è curiosonotare come questo “Studium” divenga ben presto una folta comunitàinteretnica di studenti che, nella seconda metà del 1100, si organizzeràin una corporazione denominata “Universitas scholarium”.Era divisa in due sezioni: quella degli studenti “citramontani” e quella degli “ultramontani”, in cui rispettivamente si riunivanogli italiani e i non italiani, fra i quali francesi, inglesi, spagnoli,tedeschi, polacchi, ungheresi …Furono questi studenti, nel 1155, a scrivere all’imperatore FedericoBarbarossa circa la loro condizione: “Noi amiamo sopra le altrequesta città, ricca di prodotti e adatta all’insegnamento: qui giungeda ogni parte d’Europa una moltitudine di scolari che voglionoapprendere. Qui portiamo cose, vestiti e denaro. Troviamo caseadatte nel centro della città. Compriamo a giusto prezzo le coseche ciascuno di noi vuole, salvo l’acqua il cui uso è comune a tutti. I cittadini, a dir il vero, ci onorano. In una cosa si rendonoqualche volta molesti: nel pretendere il pagamento di un debito

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Il dna interetnicodell’università italiana

di Angela Pria

1 La data fu convenzionalmente fissata da una commissione presieduta da GiosuéCarducci in occasione dell’ottavo centenario dell’Università

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lasciato da un compagno nostro vicino e corregionale” .E l’imperatore intervenne emanando, nel 1158, la Costitutio Habitache riconosceva agli studenti una serie di privilegi, sancendo che “… non ci sia alcuno tanto audace da recare danno agli Scolari …”.Essi beneficiavano della protezione dell’Impero, che forniva loro i documenti per viaggiare e soggiornare liberamente lontano dal proprio Paese per motivi di studio e li sottraeva alla giurisdizioneordinaria, potendo essere giudicati, a loro scelta, o dal vescovo o dai loro maestri; ma soprattutto gli studenti non dovevano esserechiamati a rispondere per la condotta e i debiti dei loro compagnidi studio.In questa vicenda, seppur riassunta nel breve spazio di un editoriale,sorprende quanto avvertita fosse l’esigenza di garantire la libertàdello studio e l’autonomia del luogo in cui esso veniva praticato,ovvero l’università. Idee e principi antichi ma ancora oggi attuali e che riecheggiano, ad esempio, nell’ultimo comma dell’art. 33 della nostra Costituzione secondo cui: “Le istituzioni di alta cultura,università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato” .Oggi come allora i nostri atenei accolgono studenti di varie nazionalità, tanto che per alcune università è oramai da anni in corso un processo di internazionalizzazione non solamente con riferimento alla popolazione studentesca, ma altresì per quantoconcerne l’attività didattica e i programmi di studio, sempre piùattenti ai problemi e agli scenari del mondo contemporaneo. Ne sonoesempio la “Sapienza” di Roma o l’università per gli stranieri di Perugia, la cui attività formativa è rivolta oltreché agli studentianche agli insegnanti.Un’offerta formativa fondamentale per comprendere le complesseproblematiche della globalizzazione e dei Paesi in via di sviluppo;problematiche che un domani proprio gli studenti di oggi potrebberoessere chiamati a gestire in ruoli di responsabilità.Ecco, credo che nei confronti delle ragazze e dei ragazzi, italiani e non, delle nostre università ci sia bisogno, oggi più che mai, di una Costitutio Habita al contrario, non scritta, e condivisa da tutti.Essa dovrebbe chiamare ogni studente a farsi carico di un debito,questa volta morale, ben preciso: quello di studiare con l’impegnoun domani, di trasferire il sapere acquisito a beneficio della comunitàdi origine o in cui egli vive o di quella alla quale si senta di appartenere.

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ento“Semplice: dobbiamo

tornare a studiare”

Intervista di Giuseppe Sangiorgi e Stefania Nasso

L’analisi di Tullio De Mauro, il grande linguista:occorre realizzare anche in Italia una rete di centri di istruzione e aggiornamento per adultie affrontare il problema dell’apprendimentodell’italiano da parte degli immigrati stranieri

Una lezione di scienza linguistica, ma anche una lezionedi stile e di senso civico. Questo è stato intervistare il professorTullio De Mauro, decano dei linguisti italiani, studioso di famainternazionale, ex ministro dell’Istruzione, impegnato tanto nellaricerca universitaria quanto nella vita civile. Gli interrogativiposti dalla presenza degli immigrati stranieri diventano così,nelle sue risposte, aspetti dei più generali problemi aperti delnostro Paese: il livello di cultura, l’insufficiente attenzionedelle istituzioni ai temi dell’apprendimento, la capacità stessadi competere sul piano economico e dell’innovazione...

Professor De Mauro, sta avendo un’influenza sulla linguaitaliana la presenza di oltre cinque milioni di immigrati prove-nienti dai Paesi più diversi del mondo?

Al momento, per quello che siamo riusciti a registrare, quasinessuna. Con una premessa però. L’università – intendo laricerca universitaria – si è mossa abbastanza per tempo perstudiare soprattutto un aspetto di questo problema: i modi e ifenomeni di apprendimento dell’italiano da parte degli immigratistranieri. A Pavia, a Siena, a Bergamo, a Napoli sono nati gruppidi ricerca che hanno lavorato molto su questo tema. L’interesseera vedere che cosa avveniva dal punto di vista dell’appren-dimento dell’italiano ai diversi livelli sociali e a seconda dellediversità etnico-linguistiche.

Come ricaduta di queste indagini abbiamo oggi una seriedi informazioni sui processi di apprendimento, dalla prima fasedel semilinguismo alla conoscenza dell’italiano e del dialetto

Per il momento l’influenza sulla nostra lingua data dalla presenza di milioni di immigrati provenienti da tanti Paesi è quasi nulla.Con una premessa però...

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Intervista a Tullio De Mauro

locale. Nonostante il luogo comune sullascomparsa dei dialetti, questi vengonoancora parlati dal sessanta per cento dellapopolazione. Spesso dunque, arrivando,l’immigrato trova molto più dialetto chenon italiano parlato.

Per alcuni l’apprendimento è più facileche per altri?

Certamente è più facile per i rumeni,perché la radice delle due lingue è simile.È più facile anche per gli albanesi. Nel lorocaso ha fatto la differenza l’ascolto dellatelevisione italiana. Per questo quandopoi arrivano si inseriscono rapidamente.Nel parlare ci sono deformazioni inizialiche gli immigrati tendono a superare: illoro desiderio è di esprimersi in modocorretto, anche nel dialetto se serve. Ilfenomeno del pidgin, inteso come linguamista tra quella di importazione e quellalocale, non appare significativo: la lingualocale è troppo forte edominante. Ne derivache l’influenza dellealtre è praticamenteirrilevante. Non vale soloper noi. In Germania cisono milioni di turchi,eppure non si è svilup-pata nel tempo unaforma di lingua tedesco-turca. Altro discorsoriguarda quelli che noilinguisti chiamiamo i“prestiti di necessità” e i “prestiti di lusso”per indicare l’arrivo di parole inizial-mente straniere nella nostra lingua. Iprestiti di necessità riguardano oggettio fatti i cui nomi non si trovano nellanostra lingua: tablet, mouse. Quelli dilusso sono parole prese in prestito, nonsempre motivatamente, per impreziosireun dato, o un concetto: “Rai educational”

invece di “Rai educazione”, ministero delWelfare invece di ministero dell’Assistenzasociale.

Che differenza c’è tra le paroledizionario, lessico e vocabolario? Lochiediamo perché a proposito del suoultimo dizionario edito da Paravia èscritto che esso contiene al suo internoun vocabolario di base di settemilaparole che può essere un valido stru-mento di apprendimento da parte deglistranieri. Ecco quindi che il tema sicollega all’immigrazione.

Nell’uso corrente adoperiamo spessoi termini dizionario, lessico e vocabolariocome sinonimi. Nell’uso tecnico, per dizio-nario intendiamo il libro che descrive illessico di una lingua; per lessico inten-diamo l’insieme complessivo di tutte leparole che si registrano nei testi e neidiscorsi di una lingua; per vocabolario,

infine, quella parte dilessico che viene usatada un autore, o da ungruppo sociale. Il voca-bolario dei giovani, diManzoni, dei siciliani,dei lombardi e così via.

A sua volta il voca-bolario di base è fattodi due parti. Le paroleche statisticamente cirisultano di più alta fre-quenza in una lingua, e

le parole che non sono di alta frequenza,ma hanno comunque una frequenzapercepita molto alta. Non diciamo quasimai “laccio”, o “allacciarsi una scarpa”.Però sono parole strategiche perchéarriva il momento in cui dobbiamo ado-perarle per indicare una certa cosa ouna certa azione specifica, e dobbiamoconoscerle, quindi dobbiamo averle in

Accanto alla lingua c’è l’importanza dei dialetti.Non appare invece nessun fenomeno significativo di pidgin, inteso come lingua mista tra quella di origine e quella locale.Il duplice ruolo delle paroleimportate

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testa. Sono parole di “alta disponibilità”e al tempo stesso di bassa frequenza.Infine ci sono le parole che adoperiamosempre: poche migliaia di parole fonda-mentali che coprono il novanta per centodi qualsiasi cosa diciamo. Per entrarein una lingua la via maestra è impararequesto vocabolario di base fondamen-tale.

Per essere davvero inclusivi, edessere al tempo stesso rispettosi dellaloro dignità di essere umani, come econ quali metodi di base va insegnatol’italiano agli immigrati, se la lingua èil primo ponte di collegamento, di comu-nione, di condivisione tra loro e noi?

Quello che abbiamo di fronte è in realtàun problema più generale. Diversamentedagli altri Paesi europei noi non abbiamoun sistema nazionale permanente di istru-zione per gli adulti. Nel rapporto annualeche l’Ocse fa sullo statodell’istruzione in Europa(vedi articolo più avanti,ndr), il capitolo dedicatoall’Italia rileva ogni voltaquesta mancanza.

Gli altri Paesi, dedi-cando spazio e strut-ture a questa forma diistruzione, fronteggianoin tal modo l’inevitabiledeclino in età adultadelle competenze acqui-site a scuola e l’inevitabile necessità diimparare le cose nuove. Il luogo ideale incui offrire anche agli stranieri la possibilitàdi impadronirsi della lingua italiana sarebbeuna rete di centri di formazione degli adultimonitorata centralmente, come prevedevala legge di riordino del sistema dell’i-struzione pubblica del ministro Berlinguerdel 2001. Un articolo recitava finalmente

che l’istruzione degli adulti era un pezzodel sistema complessivo. Questa legge èstata poi abrogata dal ministro Moratti.Avevamo creato anche un ufficio, affidatoa una bravissima funzionaria, per coordi-nare quello che localmente andava svilup-pato in questa direzione. E invece siamorimasti praticamente a zero.

Dunque ricapitoliamo ciò che sarebbenecessario. Si può definire un proto-collo di intervento?

È necessaria una rete permanente dicentri di istruzione e di aggiornamentoper adulti aperta a tutti, italiani e stranieri,nei quali insegnare una serie di materie,inglese, matematica, storia, territorio,nuove tecnologie professionali, altrematerie ancora legate magari alle spe-cificità dei diversi territori, e in questocontesto predisporre corsi di linguaitaliana per gli stranieri, ma non solo

per loro. Non è difficilerealizzare una similerete, basta semplice-mente copiare quantogià hanno fatto inFrancia, in Germania,in Inghilterra. I centri diistruzione permanenteche siamo riusciti afare qua e là in Italiasono sorti a opera deicomuni, con l’apportoe la sinergia di impren-

ditori, sindacati, insegnanti, altri soggettisociali o istituzionali che hanno comunquea cuore simili problemi, in una sorta disussidiarietà circolare.

Ci sono tante altre questioni, per esem-pio di riconversione di manodopera, chepotrebbero essere affrontate in questacornice di interventi. L’altro livello al qualeho cercato di muovermi con l’attuale

La necessità di una rete permanente di centri di istruzione per adulti,come avviene negli altri Paesi europei. La denuncia dell’Ocse sulla grave insufficienza dell’entità della spesa italiana in materia di istruzione

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ministro per la Coesione territoriale FabrizioBarca, che allora era al ministero delLavoro, è quello di mettere insieme pro-prio i ministeri del Lavoro e dell’Istruzione,obiettivo che finora si è rivelato quasiimpossibile. Al di là delle eventualivolontà dei ministri interessati le maggioridifficoltà vengono dalle burocrazie. Pervincere queste resistenze anni fa si erapensato anche alla creazione di un’Agen-zia permanente dell’istruzione.

Un nuovo maestro Manzi televisivopotrebbe aiutare ad affrontare almenoil problema della lingua?

La televisione può essere importante,ma il maestro Manzi aveva a che fare conpoche centinaia di migliaia di persone.Noi abbiamo a che fare con milioni dipersone. La sua è stata un’opera meri-toria, ma resta una figura mitica perchédopo non abbiamo fatto nient’altro.Certo la televisione, se facesse il suolavoro di servizio pubblico potrebbeavere un’efficacia enorme...

Al contrario abbiamo il paradosso chesu Sky, operatore privato, c’è un canaleinteramente dedicato agli immigrati esulla Rai, nonostante l’aumento deicanali reso possibile dalla diffusionedigitale, questo non avviene.

Che le debbo rispondere? Posso faresolo un gesto di sconforto, e ripetere ciòche ho detto all’inizio: l’università si èposta questi problemi e ha cercato didare loro una risposta. Al centro di glot-tologia di Pavia, all’università per stranieridi Siena si lavora da anni a studiare icomportamenti linguistici degli stranieri.Ma l’università da sola non può bastare.

L’italiano svolge anche una funzionedi lingua universale rispetto alle diverse

lingue degli immigrati, permette loro dicomprendersi superando barriere eincomprensioni altrimenti insormon-tabili?

Il riscontro di questo aspetto è impres-sionante specialmente tra i bambini. Losappiamo attraverso le scuole straniereche operano in modo meritorio in Italia.Al lo “Chateaubriand” di Roma, peresempio, arrivano bambini di tutte lenazionalità e di tutte le l ingue oltre aquella francese. E non studiano l’italianoa scuola, ma quando giocano parlanofra loro in italiano a partire dalle primeclassi. È come se lo apprendesserodall’aria. La lingua del luogo ha certamenteuna forza di attrazione e di integrazionemolto forte.

Esiste una ricaduta all’estero dellamaggiore diffusione della lingua italianaprovocata dalle migrazioni?

Questo è un altro aspetto per un versointeressante, e per un altro poco edifi-cante riguardo alle nostre istituzioni. Permotivi diversi, anche se non è facile daapprendere, l’italiano è una lingua moltostudiata nel mondo. Contende al francesee al tedesco il terzo posto dopo l’inglesee lo spagnolo. Tutte le altre lingueseguono a grande distanza. In Ungheriaaddirittura l’italiano viene insegnato nellescuole elementari. A questo corrispondequalcosa peggio dello zero dal punto divista della politica culturale istituzionaleitaliana.

Lei dice che c’è qualcosa di peggiodello zero?

Sì, l’abbiamo visto quando, qualcheanno fa, abbiamo promosso una riunionedi tutti i pezzi delle istituzioni pubblicheitaliane, Esteri, Lavoro, Interno che perle loro competenze dovrebbero occuparsi

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di insegnamento dell’italiano agli stranieri,o di diffusione della nostra lingua. Quandonel 1991 ero ministro della PubblicaIstruzione ho provato a mettere tuttiintorno a un tavolo. È stato difficilissimo.Avviene così che le poche risorse esi-stenti ognuno le spende in una direzioneignorando gli altri e senza coordinamento.Questo è peggio dello zero.

Nonostante ciò, per motivi in partemisteriosi ma in parte no, attraverso ilnostro cinema, la nostra arte, la moda,il design, il turismo, l’Italia resta un grandee affascinante mercato culturale chedovremmo considerare un fattore priori-tario di sviluppo.

Dobbiamo concludere che il bilanciodell’organizzazione predisposta perl’apprendimento dell’italiano da parte

degli immigrati è ancora negativo? È ancora così, se pensiamo che

quello che spesso ci aiuta è il “fai date”. Poi c’è la Chiesa, che ha tradizio-nalmente una grande attenzione per lapluralità delle lingue e per l’accoglienzadell’altro. In un angolo morto dal puntodi vista delle istituzioni che è complessi-vamente tutta la materia degli immigrati,c’è un ulteriore angolo morto che sonole condizioni, nei porti marittimi, degliequipaggi delle navi che una volta arrivati,essendo privi di passaporto, devonorestare confinati negli scali. Solo la Chiesa,la Caritas sa arrivare fin lì e svolgereun’opera di accoglienza, di assistenza.Caritas è la stessa che fa il rapportoannuale – il migliore – sulla condizionedegli immigrati.

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Lei ha parlato di come i dati dell’Ocsedocumentino un deficit italiano inmateria di istruzione. Non potrebberoesserci vincoli e parametri europei aiquali doverci uniformare come avvienenel rapporto tra deficit e Pil di un Paese?

Posso dire questo: che i dati diffusiquest’anno mostrano per l’Italia il peggio-ramento della situazione. Ogni anno cibattevamo per il quartultimo, il terzultimoposto, ora la novità è che come spesapubblica per l’istruzione siamo diventatipenultimi. Grecia, Portogallo e Spagnasono andati avanti e ci hanno superato,sia pure di poco. Se non siamo ultimidobbiamo ringraziare la Slovacchia, chespende meno di noi.

La cosa che piùsorprende rispetto auna tale situazione èla mancanza di unareazione. I giornali neparlano magari peruno o due giorni, poifinisce lì. Ciò comportacome conseguenza cheil livello di istruzione edi cultura del nostroPaese non sale, mentrequesto sarebbe necessario sotto diversipunti di vista: della convivenza civile, maanche della produttività. Ho cercato difare propaganda ai tanti studi sullepossibi l i tà di lavoro e di occasioniimprenditoriali prodotti dal gruppo dieconomisti de “la voce.info”. Penso a TitoBoeri, a Luigi Spaventa, ad altri ancora iquali hanno realizzato studi importanti inproposito. Loro spiegano che noi abbiamoun ristagno di produttività dal 1991-1992che ci trasciniamo e dal quale non riu-sciamo a uscire, legato a un deficit diistruzione e di formazione a tutti i livelli,da quello della mano d’opera a quello

degli imprenditori. Tito Boeri ha mostratocome tutto questo porta a un ristagnoanche della redditività del capitale.

Il valore economico dell’istruzione,non solo il valore culturale...

Il valore economico e il valore civiledell’istruzione. Con Nicola Rossi racco-gliemmo una serie di dati per Il Mulinonel 1994. Collegammo l’incipiente ristagnodella produttività, che allora era ancoraall’inizio, non solo alla mancanza di forma-zione ma anche a un altro dato, ancorapiù inquietante, che conoscono bene igiudici dei tribunali: la criminalità giovanilee la microcriminalità. La crescita dei

livelli di istruzione ècorrelata non alla dimi-nuzione della grandecriminalità – ci vuolealtro per fermare diret-tamente il mafioso –ma è collegata alladiminuzione della micro-criminalità diffusa. Ciòche viene a mancareè quella educazionecivica di base che è iltessuto dei rapporti

sociali di un Paese. L’imprenditore stra-niero non porta i capitali in Italia perchéha di fronte a sé questo quadro di unacomplessiva situazione di deficit legataanche a un cattivo capitale umano, nonsolo alle difficoltà della burocrazia o allamancanza di infrastrutture.

Come uscirne? Ci salveremo se tor-neremo a studiare, ad apprendere, aimpegnarci. Se daremo tutti una mano.Diceva un papa adottando il romanesco:“damose da fà, volemose bene”. Vedete?La forza del dialetto.

L’istruzione è un valore culturale ma anche economico e, più in generale,civile. Basta guardare al rapporto diretto esistente tra il livello dell’istruzione e la diffusione della microcriminalità specie giovanile

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Vengono per prendere trenta e lode.La motivazione degli studenti universitari stranieri è molto forte. Scelgono una sedeuniversitaria ma anche un Paese, una cultura,una speranza di vita. Come li accogliamo? Gli atenei italiani hanno molti aspetti di crisi,che riflettono problemi più generali del Paese.La condizione degli studenti stranieri ne è uno spaccato. Fra crisi, ma anche opportunità

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Nuovi italiani per l’università

di Mario Morcellini

L’apertura multiculturale verso i figli della immigrazione, attraverso iniziative di richiamo,agevolazioni, programmi dedicati, può diventareuna risorsa anticrisi e restituire gli atenei allamissione “civilizzatrice” che è la loro vocazione

L’università italiana vive oggi una crisi che appare gravesoprattutto in riferimento a due dimensioni. Da un lato, laquestione economico-finanziaria e il problema delle risorse,la cui soluzione passa anche per un allargamento della basestudentesca dopo anni di stagnazione o addirittura di ridimen-sionamento. Dall’altro, i problemi relativi alla sua reputazione

e al posizionamento nel dibattito pubblico.È difficile negare che la dimensione etica eideale, che dovrebbe caratterizzare e guidarela sua collocazione all’interno della società,appare confusa e in qualche misura appan-nata. Anche e soprattutto nei confronti dellefasce più giovani.

Una proposta strategica capace di correg-gere entrambe le crisi (quella ideale e quelladi risorse) è quella di interpretare conchiarezza e forza comunicativa il bisogno di

un’apertura e di un chiaro segno di attenzione nei confrontidel bacino di utenza rappresentato dai “nuovi italiani”, valea dire i figli dell’ immigrazione. È chiaro che una torsionedell’immagine dell’università di questa portata dovrebbeanche coinvolgere una più qualificata attenzione verso glistudenti stranieri, magari tramite la pianificazione di specificheiniziative di richiamo, agevolazioni, programmi dedicati, etc.I nuovi italiani, le seconde e talvolta terze generazioni del-l’immigrazione, sono per molti versi accomunabili anche aglistudenti stranieri che scelgono di studiare in Italia: si tratta non

Le due dimensioni della crisi dell’università: il problema delle risorse scarse, che rende necessario allargare la basestudentesca, e quello dellareputazione, del posizionamentonel dibattito pubblico

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solo di target potenziali, dato che molti di loro già si rivolgonocon profitto all’istruzione universitaria al termine del propriopercorso scolastico, ma di uno spazio verso cui l’universitàpuò e deve aumentare i propri sforzi in termini di attrazione.

Da questo punto di vista, la naturale tendenza ad allargareil bacino di utenza dell’università si accompagnerebbe a unaspinta di valore indubbio anche sul piano etico, poiché si trattadi coinvolgere, nella promessa e nella sfida della scienza,categorie che talvolta soffrono forme di marginalità culturale.Si tratta quindi di esplorare la possibilità di un’autenticaapertura multiculturale e interculturale degli atenei che, partendoproprio dalle molteplici provenienze che già da tempo abitanola nostra società, può affiancarsi alle esperienze interculturaligià diffusamente presenti nelle università e che talvolta sonoperò limitate al campo della ricerca (o agli scambi tra docenti),oppure al programma Erasmus e alle sue varianti, una formadi apertura che resta purtroppo ancora non maggioritaria.

La crisi economica generalizzata ha innescato una dinamicaper la quale, dopo la fiammata di immatricolazioni negli annidell’introduzione del doppio livello di studi (il cosiddetto 3+2),assistiamo a un calo delle immatricolazioni che non può cheessere letto come un preoccupante allontanamento – purtroppospesso per motivi economici – dei ceti meno abbienti dall’istru-

zione superiore. Se tali dinamiche delineanoun problema di risorse in una stagione didefinanziamento delle istituzioni universitarie,esse rappresentano soprattutto un venir menodel ruolo della conoscenza e del sapererispetto al problema dell’apertura e dellamobilità sociale.

La promozione di un maggiore accessoagli studi universitari di segmenti “nuovi” e“multiculturali” della società italiana, quindi,non potrebbe che avere effetti profondamente

innovativi dello spirito e del linguaggio dell’università. Da unlato fornirebbe alle istituzioni universitarie nuova “linfa” anchein termini di risorse economiche. Dall’altro ricollegherebbel’università alla sua vocazione originaria, a quella missione“civilizzatrice” che la conoscenza può svolgere per il pienosviluppo umano, anche in una chiave di allargamento inter-culturale. Un allargamento, quindi, che recupererebbe lo spiritouniversalistico, quella tensione etica per la quale la cono-scenza è una, forse la più pregiata, chiave di emancipazionesociale.

La promozione di un maggioreaccesso agli studi universitari di segmenti multiculturali della società italiana, non puòche avere effetti profondamenteinnovativi sullo spirito e il linguaggio dell’università

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Va detto che ancor oggi – al netto dei molteplici problemiche la investono, ma anche di alcune retoriche fintamente“meritocratiche” – l’università è una delle poche istituzioninella società italiana in cui è possibile rintracciare esempinon trascurabili di mobilità sociale. Nella scienza, forse piùche in altri campi, contano i talenti, la capacità di definire eperseguire obiettivi, l’abnegazione e la fatica del lavoro, e spessotutti questi elementi riescono agevolmente a sopravanzare lerendite di posizione e le ingessature, tipiche di molti altri settori.Non è possibile generalizzare, tuttavia è probabile – e conti-nuiamo a raccoglierne prove – che i giovani di origine stranierache scelgono la strada della conoscenza e dello studio uni-versitario portino con sé, mediamente, una maggiore volontàe disponibilità a quell’abnegazione così necessaria allo studio,forse frutto di uno specifico e particolare bisogno di affermazionee riconoscimento della propria presenza attiva e vitale nellasocietà italiana. Sanno che la via della conoscenza e delsapere scientifico è certamente una via di fatica e di sacrifici,

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e le loro famiglie vedono giustamente il potenziale di emanci-pazione personale e sociale che l’istruzione e la conoscenzasono ancora oggi in grado di offrire, al di là degli attacchiretorici di certa stampa e certa politica e dell’esaltazionedella public ignorance.

Infine, l’università potrebbe con orgoglio recuperare attraversoquesto genere di aperture quella spinta che l’aveva portataad essere, secoli orsono, luogo di sviluppo e coltivazionedella conoscenza, e che ha poi preparato e accompagnato lasfida della modernità. Si tratta in fondo della stessa spintauniversalistica che non troppo tempo fa ci spingeva a reclamareuna università democratica e di massa, che non fosse piùquella dei soli figli della borghesia (o, come li definiva FrancoFerrarotti, dei “gentiluomini di campagna”) ma che rappre-sentasse una vera apertura della società e fornisse a tuttistrumenti e opportunità di crescita e di piena realizzazionenon solo di sé, ma dei propri talenti a favore dell’interasocietà.

Impossibile non accorgersi di quanto oggi possono esseresoprattutto i giovani figli dell’immigrazione i protagonisti di unnuovo rilancio dello spirito più autentico di istituzioni (e, inprimo luogo, l’Universitas) che si fondano sulla conoscenzae su questa scommettono per un’idea di società aperta e plurale.Un ennesimo campo di esercizio per le libertà civili.

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Il panorama internazionale ed europeoGli studenti internazionali sono una delle espressioni più

significative del fenomeno della mobilità umana. Nell’UE a 27nel 2010 i permessi di soggiorno per motivi di studio sonostati 510mila, pari a un quinto di tutti i permessi rilasciati nelcorso dell’anno (21,8%): all’Italia spetta una quota del 5% diquesti permessi, per un totale di 25.676 (per la consultazionedelle tabelle complete relative ai dati riportati in questo articolosi rimanda alla sezione “Documentazione e statistiche”, ndr).

Essi esercitano un forte impatto sulla costruzione di societàinterculturali e si propongono come un fattore di propulsioneanche a livello economico. Nell’area Ocse gli studenti inter-nazionali sono stati stimati pari a 3,7 milioni e nell’UE-27 aoltre un milione e 200mila, con un’assoluta prevalenza comePaesi di accoglienza degli Stati Uniti e di diversi Paesi europei:la Gran Bretagna, con mezzo milione di studenti esteri, èseguita da un gruppo di nazioni tra le 250-300mila presenze(Australia, Germania e Francia) e, quindi, da Canada e Giapponecon più di 100mila studenti. L’Italia si inserisce nel quartogruppo di Paesi, quelli con oltre 50mila presenze, insieme aSpagna, Nuova Zelanda, Austria, Corea del Sud e Svizzera. InItalia sono circa 64mila (il 3,8% sul totale degli iscritti), una quotadecisamente bassa se rapportata sia alla media dei Paesi UE(8,6%), sia al 10,7% che si registra in Germania e al 21,6%del Regno Unito.

Per una esatta lettura dei dati statistici sul caso italiano èimportante tenere conto che, tra gli studenti stranieri, sono

Un percorso con troppi ostacoli

di Franco Pittau e Antonio RicciEuropean Migration Network Italia

I numeri sulla presenza degli studenti stranierinell’università italiana e sui permessi di soggiorno per motivi di studio confermanola scarsa attrattività del nostro Paesenel panorama europeo e internazionale

Nell’UE a 27 gli studenti internazionali sono oltre 1 milione 200mila;in Italia appena 64mila, pari al 3,8% degli iscritti,e tra questisono inclusimolti giovanigià residentinel Paese

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inclusi anche i giovani che risiedono in Italia e, dopo averottenuto il diploma, si iscrivono all’università. Dagli archivi delMiur (ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) si rilevache tra gli studenti stranieri iscritti all’università il 58% haconseguito il diploma all’estero, il 31% in Italia e il rimanente10,9% in un luogo non specificato; di conseguenza, si puòipotizzare che gli studenti internazionali in senso propriosiano solo 36.886, per cui l’incidenza prima calcolata diminuiscenotevolmente.

I dati statistici sul panorama italianoSecondo i dati disaggregati disponibili per l’anno accademico

2010-2011, sui 63.579 studenti stranieri iscritti le donneincidono per il 59,2% (contro il 56,9% tra gli studenti italiani).Gli iscritti sono soprattutto europei e, a seguire, asiatici e africani,con prevalenza di queste collettività: Albania 11.668, Cina 5.102,Romania 4.642, Grecia 3.068, Camerun 2.410 e Marocco 1.656,rispetto alle quali, con la sola eccezione della Cina, l’Italiarappresenta una meta privilegiata per i flussi migratori.

Nell’a.a. 2011-2012, secondo i dati provvisori dell’Anagrafestudenti universitari del Miur (luglio 2012), nelle universitàitaliane si sono iscritti 12.877 studenti internazionali – livellopressoché costante nell’ultimo quinquennio – portando così ilnumero complessivo di immatricolati a 64.802. Queste sono leproporzioni: un cittadino straniero ogni 22 immatricolati, unoogni 26 iscritti complessivi, uno ogni 37 laureati (oltre 7mila).Nell’anno accademico 2000-2001 i laureati stranieri eranosolo uno ogni 100 e gli immatricolati e gli iscritti all’incirca unoogni 60.

Torna anche utile fare riferimento all’archivio dei permessidi soggiorno, avendo l’accortezza di non equiparare i permessidi soggiorno per studio in vigore allo stock degli universitaristranieri registrati in Italia, così come i nuovi permessi di sog-giorno non vanno equiparati alle immatricolazioni universitarie,perché – come accennato – si iscrivono alle università anchei figli degli immigrati residenti in Italia (senza considerare chemolti stranieri che arrivano dall’estero per studiare e sonoquindi già muniti di visto e permesso di soggiorno, frequentanouniversità private che non vengono monitorate dal Miur). Allafine del 2011, secondo l’archivio del ministero dell’Interno, ilmaggior numero di permessi di soggiorno per motivi di studio(complessivamente 49.027) spetta ai cinesi (7.589), seguitidagli albanesi (5.889), dagli statunitensi (2.842), dagli iraniani(2.520) e dai camerunensi (2.088). Segue un folto gruppo di

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Paesi con più di mille permessi per motivo di studio: Turchia,Russia, Israele, Corea del Sud, Giappone. A differenza di quantoavvenuto nel triennio precedente, non troviamo più nella gra-duatoria dei primi dieci paesi l’India, il Brasile, il Marocco, laSerbia e la Croazia.

Quanto ai rilasci di un permesso di soggiorno per studio apersone direttamente provenienti dall’estero (complessiva-mente 36.676), nel corso del 2011 i primi sono gli statunitensi(5.684), seguiti dai cinesi (3.243) e dagli albanesi (1.029). Pernumero di nuovi permessi si segnala anche il Messico. Nel2011 risultano, invece, ridotti i permessi di soggiorno permotivi di studio rilasciati a persone provenienti dai Paesi diorigine degli immigrati già presenti sul territorio. Si è trattatodi poco più di 200 permessi per la Tunisia, il Marocco, laSerbia, l’Egitto, il Pakistan, e la Croazia, e di poco più di 10 0per l’Argentina, la Moldova, il Venezuela e la Nigeria. Questoandamento significa che le migrazioni per lavoro non hannofinora esercitato adeguatamente una funzione di ponte per gliscambi universitari.

Evoluzione della presenza degli studenti internazionaliNella metà degli anni Sessanta gli studenti internazionali

erano circa 10mila, diventati il doppio nei primi anni Settanta.All’inizio degli anni Ottanta si fece un significativo passo inavanti e si arrivò a 30mila studenti, scesi nuovamente a20mila all’inizio degli anni Novanta, periodo in cui furononotevoli le oscillazioni e netto l’aumento di quelli europei condiminuzione delle altre aree continentali.

Nella prima fase il protagonismo spettò a tedeschi, svizzerie specialmente greci, che trovavano in Italia un rimedio alnumero chiuso praticato in alcune facoltà delle loro università.Poi è stata la volta degli albanesi, non solo per l’afflusso dipersone dal “Paese delle aquile” ma anche per l’iscrizioneall’università dei figli degli immigrati. Negli ultimi anni il dina-mismo più significativo spetta alla Romania e alla Cina, interessataa inviare i suoi studenti nelle diverse parti del mondo, e adalcuni altri Paesi. In particolare, l’Albania, seppure sia unapiccola nazione, continua a rimanere al vertice.

Anche il Camerun è un Paese che ritiene l’Italia uno sboccointeressante e, tra quelli africani, è quello che conta il maggiornumero di studenti in Italia. Attualmente gli iscritti del Camerunsono più di 2mila, pressoché triplicati nel corso di un decennio.Notevole è anche il fatto che un migliaio di cittadini di questoPaese abbia conseguito la laurea in Italia. Lo sbocco più

La presenza di studenti stranieri in Italia è cresciuta negli anni Settanta e Ottanta– specie per l’apporto di greci,tedeschi e svizzeri – per poi calare nel decennio successivo

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ricorrente è il Politecnico di Torino, mentre l’università di Modenae Reggio Emilia è quella dove hanno raggiunto l’incidenza piùelevata (18%). “Come gli altri immigrati, i camerunensi sonouna risorsa non solo per l’apporto economico, ma soprattuttoperché costituiscono una ricchezza plurima che favorisce ilplurilinguismo e l’internazionalizzazione nella società italiana,con il suo assetto sociale che ne deriva” (cfr. Raymond Siebetcheu,L’immigrazione camerunense in Italia, in Caritas/Migrantes,Dossier statistico immigrazione 2011, Edizioni Idos, Roma,2011, p.55).

In Italia, nel periodo 2003-2012, anche a seguito dell’intro-duzione della laurea triennale (a.a. 2001-2002), gli studentiinternazionali sono aumentati di una volta e mezza (da 25.246a 64.802, più 160%), ma più sorprendente è stata l’evoluzionedella Corea del Sud, i cui studenti sono più che triplicati solonel periodo 2005-2009 (da 15.497 a 50.030). Notevole difficoltà,invece, trovano gli studenti internazionali in Italia per intra-prendere gli studi post-lauream, come per esempio le scuoledi specializzazione medica, essendo richiesta la cittadinanzaitaliana, ostacolo che vale anche per i giovani immigrati diseconda generazione residenti in Italia.

Quanto all’inserimento territoriale, la mobilità studentescanon ripropone esattamente la mobilità per lavoro, perché unterzo degli studenti internazionali è concentrato nel CentroItalia, dove fungono da fattore di attrazione le università diRoma, Firenze, Pisa, come anche quelle per stranieri di Perugiae Siena. Sedi universitarie importanti, nelle altre aree delPaese, sono Milano, Torino, Bologna, Padova, Trieste e, nel Sud,Bari e Napoli. Approfondimenti condotti negli anni passatihanno posto in evidenza che i greci frequentano maggior-mente gli atenei di Camerino, Urbino e Bari, i romeni Torino, itedeschi Palermo e Bolzano, i camerunensi Modena, ReggioEmilia, Padova e Parma, i cinesi il Politecnico di Milano.

Un’attenta riflessione va dedicata alla scarsa propensioneallo studio in Italia che caratterizza diversi Paesi che hannoin Italia consistenti collettività, ma una ridottissima quota distudenti: Pakistan, India, Turchia e Ucraina, Marocco, Moldova,Venezuela, Brasile, Russia, Tunisia. Se il fenomeno migratorioè chiamato a fungere da ponte, questo – come si vede – nonsempre avviene per quanto riguarda lo scambio a livello uni-versitario. Altre nazioni, invece, con una sorta di gemellaggio,si mostrano più interessate allo studio in Italia: Stati Uniti,Giappone, Argentina, Serbia, Libano, Iran, Egitto, Camerun,Croazia, Israele (molti dei quali sono in realtà studenti di origine

Le difficoltà degli studi post-lauream;un problema che riguarda anche le seconde generazioni di immigrati

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palestinese ma con cittadinanza israeliana) e, infine, Albania.

Attrazione limitata dell’ItaliaAbbiamo visto così che l’internazionalizzazione dello studio

sta diventando più concretamente visibile però, nonostante ipassi in avanti, l’Italia rimane notevolmente attardata rispettoagli altri Paesi. Tra i fattori ostativi si possono annoverare, da unaparte, la programmazione e il rilascio dei permessi di soggiornoper motivi di studio, l’incertezza del loro rinnovo annuale (suquesti aspetti si veda, ad esempio, l’articolo di Alessia Damontee Berna Yilmaz sul numero 4/2011 di libertàcivili), il complessomeccanismo di riconoscimento dei titoli di studio conseguitiall’estero, il basso numero di borse di studio erogate, lacarenza di residenze universitarie (i posti letto disponibilisono pari al 2,8% della popolazione universitaria) e, infine, loscarso livello di corsi in inglese, fortunatamente da ultimo inforte aumento: già ora in oltre 100 atenei sono attivi corsi oinsegnamenti in lingua inglese. Inoltre, dall’anno accademico2014-2015 l’intera offerta formativa magistrale, cioè bienni

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specialistici e dottorati, del Politecnico di Milano sarà datain lingua inglese e forse non sarà l’unico caso. D’altra parte,il Testo unico sull’immigrazione sancisce la parità di dirittonell’accesso alle borse di studio, alle residenze per studenti,a eventuali riduzioni delle tasse universitarie e ad altri interventidi sostegno.

Economia, Medicina e Chirurgia e Ingegneria sono le facoltàche gli stranieri trovano da noi maggiormente interessanti eche, perciò, totalizzano quasi la metà degli iscritti. Al quartoposto si colloca, con un valore attorno al 10% (e nel passatoa livello ancora più alto) la facoltà di Lettere e Filosofia. Piùrichiesta sta diventando anche la laurea in Infermieristica, perla quale peraltro sono scarsi i posti anche per gli italiani.

L’archivio dei permessi di soggiorno del ministerodell’Interno consente di evidenziare che un decimo di quantinel 2011 sono entrati in Italia per motivi di studio (3.309 su30.260) si sono fermati per periodi tra i tre e i sei mesi, presu-mibilmente per seguire corsi di lingua italiana o aggiornamentidi breve periodo. Non mancano quelli che seguono la formazionepost-lauream: dottorati, scuole di specializzazione e master.

Riflessioni sulla presenza in Italia per motivi di studioDall’andamento degli studenti riscontrato in Italia si possono

desumere alcune linee di lettura.Non è molto accentuata la collaborazione interuniversitaria

con i Paesi dai quali provengono gli immigrati e l’Albaniadeve essere considerata un’eccezione, seppure per questacollettività una consistente quota di studenti sia costituita dafigli di immigrati soggiornanti in Italia per motivi familiari.

Non sembra fondato ritenere che lo studio sia un pretestoper aggirare la normativa sugli stranieri, con l’intento di venirein Italia per poi restarvi come lavoratori, anche perché laconversione del motivo del permesso può avvenire solo neilimiti consentiti dai decreti sulla programmazione delle quote.Nel 2011 i casi di conversione (da studio in lavoro) sono stati825, mentre negli anni precedenti si è trattato di appena 27 casinel 2008, 44 nel 2009 e 46 nel 2010.

Lo studio presso le università in Italia può essere collegatocon alcune aree dalle quali si sono originati flussi di richiedentiasilo, come è il caso dell’Iran (dove, tra l’altro, all’inizio dellarivoluzione negli anni Ottanta vennero chiuse le università) edi diversi Paesi del Medio Oriente.

Un certo impatto è stato esercitato dai flussi dell’emigrazioneitaliana e nei Paesi dove sono insediate le maggiori collettività

È ancora carente la collaborazione con le università dei Paesi di provenienza degli immigrati,con la sola eccezione dell’Albania

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di connazionali si riscontra un interesse degli oriundi a studiarein Italia.

Gli americani sono un caso a sé perché i soggiornanti perstudio (2.842 nel 2011) sono poco più di un terzo di quelli cheentrano in Italia per motivo di studio (6.273 i nuovi rilasci). Ciòavviene perché in Italia operano molti college di universitàamericane (oltre cento sedi tra Roma e Firenze), che consentonoai propri studenti di condurre in Italia un semestre di studio,

È ampiamente condivisa l’opinione chele migrazioni internazionali per motivi distudio costituiscano una delle espres-sioni più significative del fenomenodella mobilità e che possano fungereda fattore di propulsione di sviluppoeconomico nei Paesi di accoglienza ein quelli di origine. Non va poi trascuratol’apporto assicurato da questa partico-lare categoria di migranti per lacostruzione di società autenticamenteinterculturali.

La Commissione Europea, consciadelle potenzialità connesse alla migra-zione studentesca, ha avviato un progettodi ricerca sull’argomento nei 27 Statimembri nell’ambito della rete Europeanmigration network (Emn). Questo pro-gramma comunitario, che in Italia facapo al ministero dell’Interno, direzionecentrale delle Politiche per l’immigra-zione e per l’asilo, e che si avvale delsupporto del Centro studi e ricercheIdos, si propone di rispondere alleesigenze di informazione in materia diimmigrazione e asilo delle istituzioni UEe delle autorità nazionali, rivolgendosianche all’opinione pubblica nella dif-

L’indagine dello European Migration Network sugli studenti internazionali

di Marta GiulianiEuropean Migration Network Italia

fusione dei risultati delle ricerchecondotte.

Lo studio attualmente curato dalpunto di contatto italiano della rete èsupportato da un’indagine qualitativatesa a favorire la conoscenza sull’argo-mento, denominata ISS InternationalStudent Survey e predisposta in collabo-razione con l’Istituto di ricerche sullapopolazione e le politiche sociali (Irpps)del Cnr. L’indagine, che terminerà nelmese di dicembre, prevede la sommini-strazione di un questionario agli studentiuniversitari non comunitari presenti inItalia, centrato sulla loro situazione esulle prospettive future, disponibile sulsito dell’Irpps (www.irpps.cnr.it) e acces-sibile attraverso la pagina istituzionaledell’Emn Italia (www.emnitaly.it).

Le risultanze dell’indagine, alla qualestanno apportando un prezioso con-tributo numerosi atenei presenti nelterritorio nazionale, saranno utilizzateall’inizio del 2013 per una pubblica-zione sotto i loghi della CommissioneEuropea e del ministero dell’Interno.

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per cui il loro permesso di soggiorno, in quanto scaduto, nonviene rilevato a fine anno. Inoltre, la loro frequenza non avvienepresso le università italiane bensì presso i citati college, il chenon consente la registrazione nelle statistiche sulle frequenzeuniversitarie, riservate al sistema nazionale pubblico e privato.

Qualcosa di simile avviene anche per gli studenti inviati inItalia dalle diocesi e dagli istituti religiosi di Paesi esteri. Sono, inprevalenza, sacerdoti e suore che ricevono un permesso permotivi religiosi (valido anche per la frequenza universitaria),concentrati quasi esclusivamente a Roma presso le facoltà ele università pontificie. L’Yearbook curato dall’Unesco censiva,per l’anno accademico 1998-99, 9.389 studenti presso questeuniversità, dei quali circa 4mila esteri. Successivamente, unaricerca condotta dall’Ufficio centrale studenti esteri in Italia(Ucsei), e presentata presso l’Università gregoriana il 15 aprile2005 rilevava che su circa 20mila studenti universitari iscrittialle strutture pontificie, circa la metà era costituita da stranieri,per la maggior parte religiosi (i laici erano solo 1.279).

Tenuto conto del potenziale beneficio arrecato al sistemanazionale dagli studenti internazionali, si dovrebbe essere menodiffidenti nei loro confronti e far leva su politiche pro-attive,sia con le borse di studio nella fase previa, sia con incentiviper chi intende successivamente promuovere un’attività.Inoltre bisognerebbe anche rivedere gli ostacoli finora nonsuperati: l’inadeguatezza dei servizi di sostegno agli studenti,l’onerosità dei requisiti per la concessione e il rinnovo delpermesso di soggiorno per studio (come, per esempio, l’obbligodi dare gli esami per tempo, mentre gli italiani arrivano allalaurea con uno o due anni fuori corso), la necessità di politichedi accoglienza più incisive, l’incentivazione all’apprendimentodell’italiano già all’estero e il sostegno al perfezionamento inItalia. Essere diffidenti nei confronti degli studenti internazionalisignificherebbe essere chiusi al futuro in un contesto di globa-lizzazione più accentuata.

La lista degli ostacolida rimuovereperpromuoverela presenzadi studentiinternazionaliè lunga:dall’eccessodi burocraziaalla carenzadi servizie di borse di studio

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Studiare in Italia?Per uno straniero costa 15.400 euro l’anno

di Valeria BenvenutiFondazione Leone Moressa

La fondazione Leone Moressa ha elaboratouno studio per quantificare le speseche in media sostengono gli iscritti stranieriall’università, dalle tasse universitarie all’alloggio, dai trasporti ai libri di testo

Quanto costa a uno studente straniero studiare in Italia? Diquesto tema si è occupata la fondazione Leone Moressa in unostudio sugli aspetti economici degli studenti stranieri, condottonell’ambito del più ampio progetto di ricerca dello Europeanmigration network Italy (vedi articolo precedente in questoPrimo Piano, ndr).

Distinguere tra “studenti stranieri internazionali” e “studentistranieri non internazionali” (cioè residenti in Italia in quantofigli di persone immigrate in Italia) risulta fondamentale nelmomento in cui si stimano i costi e le spese sostenute per lafrequenza universitaria e per il mantenimento quotidiano deglistudenti fuori sede. Bisogna poi considerare come questi ultimisoggetti, quelli che chiamiamo “studenti stranieri non interna-zionali”, in alcuni casi decidano di allontanarsi dalla propriafamiglia per studiare, scegliendo una facoltà lontana dallapropria residenza.

Considerando che il 26,3% degli studenti in Italia studia fuorisede, come attesta la sesta Indagine Eurostudent sulle condizionidi studio degli studenti universitari (2011), si ipotizza che unapercentuale leggermente più bassa possa interessare anchegli “studenti stranieri non internazionali”; in questo modo sistima la loro presenza in 4.804 soggetti (ipotizzando che il 26,3%riferito agli italiani possa essere ridotto del 30% se si considerala popolazione studentesca straniera, si dovrà quindi applicare il18% al numero di studenti stranieri che hanno preso il diplomain Italia). Il comportamento economico di questi soggetti potrebbeessere paragonato a quello degli studenti internazionali; quindi,

Nella stima dei costi vanno distinti gli studenti stranieri provenienti dall’estero da quelli già residenti in Italia poiché figli di immigrati,che hanno spese diverse

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Il costo sostenuto dagli studenti internazionali in Italia

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nello stimarne la numerosità, occorre prendere in considerazioneanche questo dato. Si tratta così di 41.690 soggetti.

Gli studenti internazionali affrontano delle spese per il loropercorso di studi e per il loro mantenimento: si tratta delle tassee dei contributi universitari, dei libri di testo e del materialedidattico, dell’affitto dell’alloggio (sia esso alloggio universitarioo appartamento o stanza privata), delle spese per la casa(come le bollette di luce, acqua, gas…), delle spese per glialimenti, trasporto, abbigliamento, comunicazione, tempo libero,i viaggi che sostengono amici e parenti che vengono a trovarelo studente in Italia e i viaggi che gli studenti stessi fanno pertornare a casa. Inoltre sono previste spese per l’assicurazionesanitaria e per il permesso di soggiorno.

Se queste sono le spese sostenute dagli studenti interna-zionali, per riuscire a comprendere l’effettivo impatto economicodegli universitari stranieri, non si può non considerare cheanche gli studenti “non internazionali” sostengono delle spese,contribuendo così a rafforzare il loro peso sull’economianazionale. Per questi studenti le spese considerate includonole tasse universitarie, il costo dei libri di testo, le spese di trasporto,il permesso di soggiorno e l’assicurazione sanitaria.

Per quantificare queste voci, e in mancanza di fonti specifiche,sono stati applicati alcuni accorgimenti metodologici, checercheremo di descrivere per ciascuna voce di spesa.

Tasse e contributi universitari. Le tasse universitarie sonodiverse se si tratta di facoltà pubbliche o private. Nell’a.a.2010 -2011 in media la retta per iscriversi a un’universitàpubblica è stata di 993 euro pro capite, contro i 3.323 eurodell’università privata (stima su dati del ministero dell’Istruzione,Università e Ricerca, Miur). Considerando che il 94,3% deglistudenti stranieri è iscritto all’università pubblica e il rimanente5,7% all’università privata si calcola un ammontare di contributi

Chi Valore assoluto

Studenti iscritti stranieri 63.573

Studenti iscritti stranieri con diploma preso in Italia 26.687

Studenti iscritti stranieri con diploma preso all’estero 36.886

Studenti iscritti stranieri con diploma preso in Italia e fuori sede (stima) 4.804

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Miur e stime su dati Eurostudent

Italia. Gli studenti stranieri iscritti all’università, a.a. 2010/2011

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e tasse universitarie pagate dagli iscritti stranieri di quasi 71milioni di euro.

Alloggio. Le spese per l’alloggio sono sicuramente quelleche incidono di più sul bilancio complessivo di uno studentestraniero internazionale o fuori sede. Il costo per l’affitto di unalloggio varia sulla base dell’area geografica e sulla distribuzionedegli studenti nel territorio nazionale. Se si considera che inmedia affittare al Nord un alloggio costa 3.426 euro, al Centro4.119 euro e al Sud 2.487 euro e che gli studenti stranieri sidistribuiscono per il 60,4% al Nord, per il 31% al Centro e perl’8,6% al Sud, si calcola una spesa complessiva di 147,8milioni di euro all’anno (il dato utilizzato per questa stima èpari alla media del costo dell’affitto di una stanza singola e diuna stanza doppia; fonte Federconsumatori, “2° Rapportonazionale sui costi degli atenei italiani”, ottobre 2011).

Altre spese per la casa. Le spese accessorie per la casa (di cuientrano a far parte i costi delle bollette della luce, dell’acqua,del gas, del condominio, del riscaldamento…) sono state stimatepartendo dall’elaborazione dei microdati Istat sui consumi dellefamiglie, considerando come famiglia tipo quella costituita daun unico componente, studente e con un’età inferiore ai 35anni. In questo caso si calcola una spesa media annua di1.683 euro che, moltiplicato per il numero di studenti stranieriinternazionali e gli studenti stranieri fuori sede, porta a unaspesa complessiva di 70,2 milioni di euro.

Libri di testo e materiale didattico. Ipotizzando un costomedio annuo di 350 euro per il materiale didattico (fontePolitecnico di Torino), si calcola un ammontare complessivo perquesta voce di 22,3 milioni di euro considerando nel computocomplessivo anche gli studenti stranieri “non internazionali”.

Trasporto. Tra biglietti, abbonamenti e spese di benzina ungiovane spende all’anno 1.800 euro (fonte: elaborazioni su datiIstat, Rilevazione sui consumi delle famiglie, anno 2008, consi-derando una famiglia con un componente studente under 35).Questo significa che tutti gli studenti stranieri sborsano all’anno114,8 milioni di euro per questa voce.

Alimentari, abbigliamento, comunicazioni, tempo libero (fontecome sopra). Considerando che tra spese di mensa, ristoranti,pizzerie e alimentari al supermercato uno studente under 35

I costi per l’alloggio sono quelli che incidono di più, con una spesa media che varia dai 2.487 eurodel Sud Italia ai 4.119 del Centro

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spende mediamente all’anno 2.300 euro, si calcola un ammontarecomplessivo di 96,2 milioni di euro. Per l’abbigliamento si trattadi 53,2 milioni di euro, per le comunicazioni (internet, abbona-mento del telefono…) di 15,6 milioni di euro e per il tempo liberodi 30,1 milioni di euro.

Permesso di soggiorno e assicurazione sanitaria. Gli studentistranieri non comunitari spendono 72,12 euro all’anno in permessodi soggiorno (fonte università degli studi di Milano, “Welcome,Piccola guida per gli studenti internazionali, 2011/2012”) e perl’assicurazione sanitaria 155,97 euro (fonte Informagiovanionline, “Assistenza sanitari per gli studenti stranieri fuori sede”).Si perviene a un costo annuo stimato di quasi 11 milioni dieuro, considerando che gli studenti stranieri non comunitarisono 47mila.

Visite di parenti e amici. Può capitare che gli studenti stranieriinternazionali ricevano visite da parenti o amici. L’indaginedella Banca d’Italia sul turismo internazionale calcola chemediamente un viaggiatore che viene in Italia spende 410 eurose viene a trovare un parente e 252 euro se viene a trovare unamico. Ipotizzando che lo studente riceva la visita dei proprigenitori una volta all’anno e quattro amici, si tratta di un importocomplessivo che si aggira attorno ai 67,4 milioni di euro.

Viaggi per tornare a casa. L’ammontare dei costi sostenutidagli studenti per tornare nel proprio Paese dipende dalladestinazione, dalla disponibilità e dall’economicità dei trasporti.Ipotizzando un unico viaggio all’anno nel periodo estivo econsiderando la provenienza dei soli studenti internazionali,si è pervenuti a un costo medio annuo di 500 euro che, molti-plicato per il numero di studenti, raggiunge la cifra di 18,4milioni di euro. Il dato è stato calcolato considerando un viaggioaereo da Roma alla capitale del Paese di origine dello studente.È stata considerata la tariffa più bassa ricavata dal sito internetwww.edream.it per un viaggio che ha come data di partenzail 30 luglio. La stessa tariffa è stata applicata anche al viaggiodi ritorno. I dati sono stati estrapolati in data 31 maggio.

In questo modo si perviene a calcolare una spesa complessivasostenuta dagli studenti stranieri di 711,5 milioni di euro – unaparte minimale (0,5 per mille) del Pil italiano che ha superatonel 2011 1.580 miliardi di euro – ma comunque consistente. Sesi considerano i veri e propri studenti internazionali si può

Altre spese rilevanti riguardano i trasporti,nel complesso114,8 milioni di euro l’anno,i libri di testo,oltre 22 milioni,i viaggi per tornare a casa,18,4 milioni

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pervenire a una stima del costo da loro sostenuto annualmenteper studiare in Italia: tra tasse, costi di vitto, alloggio, tempo liberoe viaggi si ipotizza una spesa media di 15.400 euro a testa.

Dato questo che fa riflettere, non solo sulla capacità di spesadi uno studente che decide di frequentare l’università in Italia,ma anche sul potenziale che potrebbe esprimere il nostro Paesese fosse in grado di essere più attrattivo nei confronti deglistudenti internazionali. Il volano economico che comporta lascelta di venire in Italia farebbe aumentare i consumi nellearee che accolgono gli studenti, sia che si tratti di spese perl’affitto, che di tempo libero o di tasse e contributi universitari:un microsistema che, se ben gesti to, potrebbe apportaresolo positività al nostro sistema economico.

Voci di spesa Ammontare annuo Chi è stato coinvolto(in milioni di euro) nel calcolo *

Tasse e contributi 71,7 a + b

Alloggio 147,8 b + c

Altre spese per la casa 70,2 b + c

Libri di testo e materiale didattico 22,3 a + b

Alimentari 96,2 b + c

Trasporto 114,8 a + b

Abbigliamento 53,2 b + c

Comunicazioni 15,6 b + c

Tempo libero 30,1 b + c

Permesso di soggiorno 3,4 a + b

Assicurazione sanitaria 7,4 a + b

Viaggi di parenti 30,2 b

Viaggi di amici 37,2 b

Viaggio per tornare a casa 18,4 b

Totale 718,5

Impatto economico degli studenti internazionali sul Pil 0,5‰

Spesa procapite annua degli studenti internazionali 15.421 euro

Fonte: elaborazioni fondazione Leone Moressa su dati Miur e stime su dati Eurostudent, Istat, Federconsumatori,Politecnico di Torino, Università di Milano, Informagiovani, Banca d’Italia, www.edream.it

Italia. Le voci di spesa degli stranieri iscritti all’università, a.a. 2010/2011

* a) studenti iscritti stranieri con diploma preso in Italia; d) studenti iscritti stranieri con diploma presoall’estero; c) studenti iscritti stranieri con diploma preso in Italia e fuori sede (stima)

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l’aumento degli iscritti stranieri negli atenei italiani

di Maria Carolina Brandi Cnr - Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps)

Rispetto a trent’anni fa il peso degli studentiinternazionali nelle università è aumentato di poco, ma il loro numero è cresciuto in modoconsiderevole grazie soprattutto ai figlidegli immigrati che risiedono nel nostro Paese

Rispetto ad altri Paesi dell’Ocse, gli atenei italiani ospitanouna percentuale decisamente bassa di studenti stranieri: il 3,8%del totale degli iscritti nell’anno accademico 2011-2012. Questasituazione è dovuta al fatto che l’italiano è una lingua pocodiffusa al di fuori dei confini nazionali e che il tradizionale

sistema universitario del nostro Paese – cheprevedeva fino a 10 -15 anni fa sostanzialmenteun solo titolo di studio, spesso di difficileequiparazione rispetto a quelli di altrenazioni – non facilita l’iscrizione degli studentistranieri nei nostri atenei. Alla scarsa presenzadi universitari stranieri in Italia ha contribuitoanche il fatto che il mercato del lavoro italianooffre poco spazio per i laureati, dato che ilsuo sistema produttivo è costituito prevalen-temente da piccole e medie imprese che

operano in settori non innovativi, e quindi un cittadino stranieronon è incentivato a conseguire una laurea in Italia.

Allo stesso tempo, però, sia le condizioni politiche nazionalie internazionali, sia le specifiche politiche universitarie italianee quelle di alcune nazioni dalle quali proviene una quotasignificativa degli studenti stranieri nelle università del nostroPaese, hanno influenzato il fenomeno. Infatti, dopo un periodonell’immediato dopoguerra durante il quale la quasi totalitàdegli iscritti era di cittadinanza italiana, dagli inizi degli anniSessanta fino all’anno accademico 1973 -74 vi è stata unacostante crescita delle iscrizioni degli studenti stranieri nelle

Gli atenei italiani ospitano appena il 3,8% di studenti stranieri: colpa dell’italiano,lingua poco diffusa,del sistema dei titoli di studio,di difficile equiparazione,e dei pochi sbocchi lavorativi

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Alcuni dati storici sulle iscrizioni degli stranieri negli atenei italiani

università del nostro Paese, dovuta a una politica di incenti-vazione della loro presenza. Si è poi verificata una leggeraflessione per circa due anni, ma l’aumento del numero delleiscrizioni di studenti stranieri è ripreso dal 1976-77 fino al1981- 82, quando ha toccato una punta massima: in questoanno accademico, gli studenti di cittadinanza non italianaerano oltre 30mila e rappresentavano il 3% del totale degliuniversitari.

In seguito si è verificato un lento declino dovuto a diversiprovvedimenti restrittivi, connessi con l’introduzione di normesempre più stringenti relative all’immigrazione extracomunitariain Italia. In particolare una circolare ministeriale introdussecontingenti prestabiliti di studenti stranieri nelle università italianea partire dall’anno accademico 1981- 82, provocando così uncalo degli iscritti a partire da quell’anno, fino ad arrivare a unminimo di presenze nell’anno accademico 1991- 92, quandoil numero di stranieri ritornò al livello di venti anni prima(20.478). Infine, durante gli anni Novanta, sia il numero deglistudenti stranieri (oscillanti tra i 21mila e i 22mila), sia la loro inci-denza percentuale sulla popolazione universitaria (1,3% -1,4%)si sono mantenuti quasi costanti, pur se con una lieve tendenzaalla crescita.

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Nell’ultima metà del XX secolo, la componente greca è semprestata la più consistente nelle università nostro Paese: tra il 1954e il 1987, oltre 15mila ellenici hanno conseguito la laurea inItalia. I flussi di studenti stranieri in Italia sono stati quindi alungo fortemente caratterizzati e condizionati dalla presenzadi greci; tra il 1954 e il 1987, tale componente è arrivata infattia raggiungere fino al 70% del totale e comunque non è maiscesa al di sotto del 43%. Un insieme di motivi, da quelli relativialle vicende politiche della Grecia, a quelli relativi alla difficoltà

per gli studenti greci di accedere ai corsi uni-versitari in alcune materie (specificamenteMedicina e Chirurgia) nel proprio Paese,uniti alla contiguità geografica, hanno deter-minato questa forte presenza.

Anche se in anni più recenti si è riscontrataa volte la presenza significativa di alcunenazionalità che in precedenza non venivanosegnalate (come i cittadini del Camerun),fino all’ultima decade del XX secolo lacomponente greca è rimasta quella deter-

minante, oscillando tra 1/3 ed 1/4 circa del totale degli studentistranieri e determinando quindi gli andamenti medi dellepresenze straniere nelle università italiane.

Altre componenti significative della presenza straniera negliatenei italiani, fino agli inizi degli anni Novanta, sono quelleprovenienti dal Medio Oriente, e in particolare da Israele,Giordania, Libano e Iran. Anche le presenze di queste nazionalitàhanno fortemente risentito della situazione politica sia inter-nazionale che in patria.

Proprio per questa ragione, nell’ultimo decennio del XX secolola componente medio-orientale (giordana, libanese, iraniana)è calata sensibilmente ed è stata sostituita da altre nazionalità,in particolare da quella albanese e da quella provenientedalle nazioni derivanti dalla disgregazione della RepubblicaFederale della Jugoslavia: evidentemente anche gli studentidi queste nazionalità sono stati attratti dalle università italianepiù per ragioni connesse alle vicende politiche nei Balcaniche per effettive ragioni formative.

Negli stessi anni si assiste anche a un calo costante deglistudenti provenienti dai Paesi dell’Unione Europea e in partico-lare di quelli tedeschi, che nell’anno accademico 1999-2000erano poco più di un terzo di quelli presenti nel 1987-88,probabilmente perché i programmi di mobilità a breve terminedell’Unione Europea avevano reso possibile seguire gli insegna-

Fino agli anni Novanta la componente greca è statasempre la più consistente nelle nostre università,con percentuali oscillanti fra il 43 e il 70% del totale degli iscritti stranieri

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menti di maggior interesse in università di altre nazioni dell’UEsenza rinunciare ai vantaggi offerti da un titolo universitarioottenuto negli atenei del proprio Paese d’origine.

A partire dal 1989 è iniziato un processo di riforma che,attraverso una lunga fase di sperimentazione conclusasi conl’anno accademico 2002-2003, ha portato il tradizionale sistemauniversitario italiano a trasformarsi in un sistema più simileallo standard internazionale, con tre livelli di titoli universitari,

ottenuti sulla base di “crediti formativi” stabilitiautonomamente dalle diverse università,pur se nel rispetto di una normativa convalore nazionale. Nello stesso periodo, si sonopoi moltiplicate le sedi universitarie, ancheper permettere il decongestionamento deiprincipali atenei italiani, ormai decisamentesovraffollati. Allo stesso tempo, le leggirelative all’immigrazione in Italia si sono fattesempre più restrittive, ma a causa dellatendenza sempre più diffusa all’internazio-

nalizzazione dell’insegnamento universitario, il contingentamentodel numero di studenti stranieri nelle università è stato abolito.Probabilmente a causa di questi cambiamenti nella legislazioneuniversitaria, dal 2000 in poi il numero di stranieri iscritti nelleuniversità italiane è cresciuto rapidamente, fino a sfiorare le60mila unità nell’anno accademico 2009 -2010.

Rispetto alla fase precedente, si nota inoltre una chiaratendenza a un cambiamento nelle preferenze degli stranieririspetto alla scelta della facoltà.

Nell’anno accademico 1987- 88, come in quelli precedenti,le iscrizioni degli studenti stranieri si concentravano, infatti, perpiù del 34% nella facoltà di Medicina e Chirurgia, per l’11,6%in Architettura, per il 10% in Ingegneria e per l’8,6% in Lettere.A partire dall’anno accademico 1990-91 comincia invece uncalo costante delle presenze nella facoltà di Medicina e inquella di Architettura, probabilmente dovuto all’effetto delleprocedure di selezione in ingresso introdotte in questi settori,mentre si verifica un costante aumento nella facoltà diGiurisprudenza (che passa dal 3,1% nell’a.a. 1987-88 all’11,3%in quello 1997-98) e in quella di Lettere e Filosofia. Negli annisuccessivi, la situazione è ulteriormente cambiata e, nell’annoaccademico 2009 -2010, il massimo delle presenze si riscontranell’area Economico-statistica, in Medicina, in Ingegneria, e nellearee Politico-sociale e Linguistica.

Dal 2000 il numero di studentistranieri è molto cresciuto,anche per l’abolizione del contingentamento e grazie a una riforma dei titoli di studio più al passo con gli standard internazionali

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Questi cambiamenti nel numero degli studenti degli studentistranieri sia nel totale, sia nelle diverse aree disciplinari, derivanoanche dal fatto che, essendo negli ultimi decenni sostanzialmentecresciuto il numero di famiglie straniere residenti in Italia, nelnostro Paese comincia a manifestarsi una tendenza all’iscrizionenelle università italiane di immigrati di seconda generazioneche si prefiggono un percorso formativo finalizzato a una carrierasuccessiva in Italia. L’analisi del diploma di scuola superioreposseduto dagli studenti stranieri all’ingresso nelle universitàitaliane nell’anno accademico 2009-2010 mostra infatti che laloro presenza è legata nel 51% dei casi a una migrazione perstudio, mentre per il 49% gli stranieri immatricolati negli ateneidel nostro Paese possiedono un diploma rilasciato da un istitutosuperiore italiano.

Bibliografia

Avveduto S., Brandi M.C., 2004, Lemigrazioni qualificate in Italia, in “StudiEmigrazione”, anno XXXI, n.156, dicembre,pp. 797-830

Brandi M.C., 2009, “Migrazione emobilità degli studenti universitari: il casoitaliano nel quadro internazionale”, infondazione Migrantes, Rapporto italianinel mondo 2009

Brandi M.C., Todisco E., Turchetti P.,2010, “Gli studenti stranieri nelle univer-sità romane”, in “Annali del Dipartimentodi studi geoeconomici, linguistici e storiciper l’analisi regionale”, Patron EditoreBologna

Cammelli A., Gli studenti esteri nelleUniversità italiane, in “Polis” V,1, aprile,1991, pp. 87-117

Miur, 2008, Gli studenti, www.miur.it,Oecd-Sopemi, International Migration

Outlook , Oecd, Paris 2006Oecd-Sopemi, International Migration

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Lo “spreco di cervelli”,tra occasioni mancate e la necessità di un salto culturale

di Marco Rotelli e Nino SergiIntersos onlus

L’Italia mostra ancora un ritardo nel valorizzare le opportunità offerte dalla presenza nel Paesedi studenti e anche di lavoratori migranti dotati di competenze di alto livello. Il ruolo virtuoso che può giocare la cooperazione internazionale

Il nostro Paese ha vissuto, particolarmente negli ultimivent’anni, una progressiva introversione. Mentre il mondostava cambiando con un’accelerazione mai vista, mentre tuttosi globalizzava e stavano mutando alcuni riferimenti politici eeconomici mondiali, la nostra tendenza è stata – e continuaad essere – quella di guardare a noi stessi, discutere e litigaresu noi stessi, ignorando o sottovalutando i cambiamentiirreversibili che si stanno producendo anche al nostro interno.È come se dominasse la paura del cambiamento, in particolarela paura dell’alterità, delle diversità di cui il mondo è fatto,mentre occorrerebbe un salto culturale capace di spingerciverso la conoscenza dell’altro. Anche per farci a nostra voltaconoscere e per costruire, al meglio, il nostro futuro.

Un milione e duecentomila studenti internazionali, l’8,6%del totale degli studenti nei 27 Paesi dell’UE, di cui quasi65mila in Italia, possono rappresentare un’importante partedel nostro futuro, se riusciamo a coglierne l’importanza. Sitratta del 3,8% degli studenti del nostro Paese, uno ogni 26universitari iscritti, con circa un terzo già presente in Italiacome i figli degli immigrati, mentre la maggior parte, circa37mila, provengono dall’estero, a seguito di una loro sceltache non va sottovalutata. Si tratta di nazioni quali Albania, Cina,Romania, Grecia, Iran, Camerun, Marocco, Turchia, Russia,Corea del Sud, Stati Uniti, Israele, Giappone, Serbia, Croazia,Libano, Brasile, Argentina, per citare le maggiori presenze,con studenti principalmente nelle facoltà di Economia, Medicinae Chirurgia, Ingegneria, Lettere e filosofia, Infermieristica

La presenza di oltre 65milastranieri che studiano nelle nostre università è un’occasione da cogliere per costruire un futuro migliore per il sistema Paese

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Un cambiamento culturale contro lo “spreco di cervelli”

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(per dati più approfonditi si rimanda all’articolo di Pittau e Ricciin apertura del Primo Piano e alla sezione “Documentazionee statistiche”).

Non dovrebbe essere necessario dilungarsi sulle opportunitàche potrebbero derivare da queste presenze, se gestite conuna visione lungimirante. Per citare un Paese vicino, laGermania si è data una precisa strategia finanziando neglianni borse di studio a studenti che hanno poi contribuitoall’arricchimento dei rapporti stabiliti con la Cina o molti Paesiemergenti. Quegli studenti, infatti, anche dopo il rimpatrio,mantengono i legami instaurati negli anni di studio e specia-lizzazione, che la politica degli investimenti tedeschi all’esteroha saputo valorizzare e indirizzare.

L’Italia mostra in merito ancora un forte ritardo, quando nonun vero e proprio disinteresse, anche di fronte a ‘innamora-menti’ di questi studenti verso il nostro Paese, le sue bellezze,la sua vitalità. Eppure alcuni di essi, tornando in patria, sonodiventati leader nella politica, nell’economia, nella tecnologia,nella cultura: su di essi si sarebbe potuto e si potrebbe contareper stabilire rapporti di collaborazione tra Paesi. Parlando distudenti, simile discorso vale in primo luogo a livello di colla-borazione universitaria, a cui non viene dato il rilievo chemeriterebbe, lasciando l’iniziativa a singoli istituti universitarie alla passione di alcuni docenti.

Il discorso può utilmente essere abbinato alla riflessionesui circoli virtuosi di sviluppo che possono essere attivati graziealle migrazioni e che abbiamo cercato di sviluppare con GiulioDi Blasi e M. Carolina Brandi nel Dossier statistico immigra-zione 2011 di Caritas/Migrantes. Si tratta di capire come ilfenomeno negativo del brain drain, della perdita dei miglioricervelli che emigrano, con conseguente danno per i propriPaesi, spesso molto poveri, possa essere trasformato, almenoin alcuni casi, in brain gain, in opportunità.

Ogni anno decine di migliaia di immigrati qualificati entranoin Italia per poi dedicarsi a mansioni ben lontane dal loroprofilo educativo e professionale. Infatti, laureati in fisica o ineconomia e specialisti in materie tecniche sono impiegaticome portieri, badanti, semplici manovali. Si tratta di unamoltitudine di competenze che vanno ad alimentare quelfenomeno noto come brain waste, “spreco di cervelli”, di cuiil nostro Paese è uno dei massimi fautori. Eppure sarebbepossibile, oltre che utile, invertire questa tendenza, specie in

Molti Paesihanno investito su questa presenza,utile a stabilire rapporti e legami con i Paesi diprovenienza,anche dopo la fine del periodo di studi

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Un cambiamento culturale contro lo “spreco di cervelli”

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periodi come l’attuale, in cui diventa indispensabile concepirenuove forme di cooperazione con i Paesi terzi, a vantaggioreciproco.

Occorrerebbe, anche qui, un cambiamento culturale, basatosulla conoscenza della realtà dell’immigrazione, delle suepotenzialità e delle opportunità che può offrire in molti casi labrain circulation, la possibilità cioè di poter valorizzare lecompetenze dei migranti sia in Italia che nei Paesi di origine.È stato dimostrato che tra le persone che emigrano coloro chehanno ricevuto un’educazione secondaria o universitaria sonoin proporzione elevata rispetto alla media della popolazione:31.4% degli emigrati africani, contro una media nei Paesi diorigine del 3.6%; 47,2% degli emigrati asiatici, contro il 6%;21% dei latino-americani, contro l’11.8% (F. Docquier e A.Marfouk, 2006). Secondo i dati riportati dall’Emn Italia (2010)il 54,1% degli stranieri è in possesso di diploma o laurea, macirca i tre quarti (73,4%) svolgono una professione operaia onon qualificata. La conoscenza di questa straordinaria presenza,da cui l’Italia potrebbe trarre grande beneficio, è tra gli italianiquasi nulla.

La valorizzazione di queste competenze, sia in Italia chenei Paesi di provenienza, sarebbe oggi la via da seguire,attraverso forme sempre più diffuse di brain circulation, dipossibilità cioè di lavorare, con regolare riconoscimento, siaqui da noi che nella propria patria. A iniziare dai progetti dicooperazione allo sviluppo e dalle molteplici opportunitàimprenditoriali e di scambi commerciali che possono rafforzarele relazioni bilaterali a reciproco interesse. Alcuni tra Ong,associazioni, organizzazioni imprenditor ial i , camere dicommercio, enti di ricerca, regioni ed enti locali lo stannocapendo. Occorre ora che anche il Governo comprenda chela brain circulation (che riguarda sia gli immigrati che gli studentiinternazionali alla fine dei loro studi) può essere, anche se inmisura limitata, una straordinaria opportunità per il nostroPaese, le sue realtà territoriali e le sue relazioni internazionali.

La tematica ci riporta quindi al tema della cooperazioneinternazionale, che a nostro avviso rappresenta il caratterefondamentale della politica estera dell’Italia. Per quantoriguarda le nazioni povere ed emergenti, è la cooperazione aifini dello sviluppo che va radicalmente ripensata: la visione,le finalità, le modalità di attuazione, i partenariati. La nominadi un ministro per la Cooperazione internazionale el’Integrazione ha provocato, anche grazie a questo felice

Oggi il 54% degli immigrati presenti in Italia è diplomato o laureato;valorizzare le loro competenze,nel nostro Paese o in quelli di origine,è la via maestra per cogliere i benefici reciproci della brain circulation

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Un cambiamento culturale contro lo “spreco di cervelli”

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abbinamento di competenze, varie occasioni di approfondimentoper tutto il 2012, che hanno visto un maggiore coinvolgimentoistituzionale, specifici gruppi di lavoro tematici, un forumnazionale di discussione e stimolo politico, decise iniziativeparlamentari per la riforma legislativa in materia. Il futuro delnostro Paese, lo ribadiamo, dipenderà anche da come riusciremoa valorizzare queste relazioni e dalla qualità della cooperazioneche metteremo in atto. La presenza migratoria, compresa quelladegli studenti internazionali, può e deve essere valorizzata.

Contrariamente a quanto si pensa (anche quando si afferma:“aiutiamoli a casa loro”), la gran parte degli immigrati(compresi gli studenti, se si escludono quelli provenienti daiPaesi UE o industrializzati) non proviene dalle nazioni piùpovere, ma da quelle a medio reddito. Le nazionalità con piùdi 50mila presenze regolari in Italia (dati del ministerodell’Interno al 31 dicembre 2011) provengono da: Albania,Macedonia, Moldavia, Serbia, Ucraina, Egitto, Marocco, Tunisia,Ghana, Nigeria, Senegal, Bangladesh, India, Pakistan, Sri Lanka,Cina, Filippine, Ecuador, Perù, a cui possiamo aggiungere ilBrasile che, con 48.764 presenze, per poco non supera laselezione quantitativa adottata. Si tratta di Paesi con cui l’Italiapotrebbe stabilire e sviluppare utili rapporti di cooperazione,economico-commerciali, di partenariato per lo sviluppo, abeneficio reciproco. La valorizzazione intelligente di parte dellarisorsa immigratoria e studentesca proveniente da questi Paesipotrebbe dare, se inserita in una precisa visione e strategiapolitica, un prezioso contributo al successo di questi partenariati.

La fondazione Leone Moressa, nel Rapporto 2012 sul valoreeconomico dell’immigrazione, mette in evidenza, con la preci-sione dei dati, il ruolo degli imprenditori stranieri come attoridi sviluppo in Italia. Nel 2011, su sei milioni di imprese operantiin Italia, 454mila sono condotte da stranieri, pari al 7,4% deltotale. Queste ultime sono in crescita, nonostante la crisieconomica, con un aumento del 5,9% (+25.567 unità), a frontedi un tasso negativo dello 0,5% delle imprese italiane (-28milaunità). Sono dati che confermano quelli degli anni precedenti,che hanno registrato un incremento delle imprese gestite dastranieri del 28,5% tra il 2005 e il 2009, contro una riduzionedel numero degli imprenditori italiani pari al 2,1%. Anche nel2010, già con il peso della crisi, il numero di imprese straniereè cresciuto del 4,9%, mentre quelle italiane sono diminuitedello 0,4%. Si tratta per lo più di imprese in settori quali: edilizia,commercio al dettaglio, servizi di money transfer, tessile, legnoe mobili, metallo e meccanica, plastica, vetro e carta, agri-

Molti degli immigrati nell’UE non vengono dalle nazioni più povere ma da quelle a redditomedio,con cui è possibile stabilire utili rapporti di cooperazione e partnership per lo sviluppo

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coltura, attività alberghiere, ristorazione, servizi alle imprese,noleggio, servizi alla persona e assistenza sociale.

Non pochi tra questi imprenditori potrebbero, con il lorospirito di iniziativa e la volontà di affermarsi, rappresentareoccasioni per iniziative imprenditoriali italiane e joint-venture,anche in altri settori, tra l’Italia e i loro Paesi di origine, grazieanche alla loro conoscenza e facilità di inserimento. Una formadi cooperazione che richiede, ancora una volta, di facilitarequella brain circulation di cui abbiamo parlato sopra, al fine difavorire e incentivare simili relazioni internazionali.

Abbiamo voluto collegare tematiche che normalmente sonoaffrontate in modo separato, quella degli studenti internazionalie quella della più ampia presenza migratoria, perché per noiitaliani, in particolare, il punto chiave è quello della mancanzadi una visione complessiva, di un approccio culturale adeguatoe lungimirante: che riguarda gli uni e gli altri.

Fino a quando consideriamo marginale, o comunque nonvalorizziamo adeguatamente, la presenza degli studentiprovenienti dagli altri Paesi, nei quali ritornano per assumerespesso posizioni professionali di rilievo o con cui, comunque,continuano a mantenere legami e interessi; fino a quandovedremo negli immigrati solo gli aspetti negativi – che inrealtà li accomunano a noi e a quanto di negativo esiste giànelle nostre società – senza riuscire a vedere in essi anchel’opportunità che rappresentano per il nostro Paese, di cuifanno ormai parte, e per gli auspicabili rapporti con le nazionidi provenienza; fino a quando non riusciremo ad avere unanuova visione culturale, socialmente condivisa, che diventipatrimonio di tutti e che ci apra al mondo, facendoci definitiva-mente uscire dal provincialismo e dalla pretesa di autosufficienzain cui l’Italia si è chiusa negli ultimi venti anni; fino a quelmomento, la visione del futuro del nostro Paese non potrà cheessere limitata e quindi perdente. Segnali in senso inversoincominciano ad esserci. Occorre sostenerli, facendo ognuno,dalla società civile alla pubblica amministrazione e alla politica,la propria parte.

Chi ha studiato in Italia spesso,tornando in patria,assume importanti posizioni professionali e i legami che mantiene col nostro Paese possono rappresentare un valore aggiunto

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Rapporto Ocse 2012: in Italia pochi laureati e spesa insufficiente per l’università

È stata presentata lo scorso 11 settembre l’edizione 2012del Rapporto Ocse sull’educazione (Education at a glance),che contiene – attraverso la comparazione con gli altri Paesidell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppoeconomico – un’ampia quantità di informazioni sul sistemascolastico e universitario italiano, anche con riferimento allapresenza della componente straniera nelle nostre istituzionieducative.

Dal Rapporto – che può essere consultato integralmentesul sito dell’Ocse (www.oecd.org) – emerge un ritratto del nostroPaese con più ombre che luci. Vediamo alcuni degli aspettipiù rilevanti

Italia agli ultimi posti per livello di istruzione universitariaI tassi d’ingresso ai livelli di istruzione universitaria della

popolazione italiana sono certamente aumentati dopo lariforma dei primi anni Duemila (dal 39% del 2000 al 49%del 2010), ma il numero di persone con studi di livello univer-sitario (cosiddetta “istruzione terziaria”) resta fra i più bassifra i 37 Paesi considerati: con il 20,2% di giovani fra i 25 ei 34 anni che raggiungono questo livello (rispetto al 37,1%della media Ocse), l’Italia si piazza al 34esimo posto nellaclassifica assoluta.

Non basta a compensare questo dato il fatto che, nelfrattempo, il numero di giovani che possiede un diplomad’istruzione “secondaria” non è mai stato così elevato (sonocirca il 70,3% dei giovani tra i 25 e i 34 anni, dato comunqueinferiore alla media Ocse dell’81,5% per la stessa fasciad’età). Certamente la popolazione giovane è più colta oggirispetto a trent’anni fa e il nostro Paese è fra i pochi in cuila percentuale di giovani con diploma secondario superioreè di oltre 30 punti superiore a quella degli individui dellaclasse di età tra i 55 e i 64 anni che possono vantare unanalogo titolo, a dimostrazione di una crescita generale dellivello di istruzione.

Tuttavia, come si evince dallo stesso Rapporto, questonon è sufficiente per garantire una carriera lavorativa proficua,perché gli uomini (intesi come genere) che raggiungono untitolo d’istruzione terziaria guadagnano sostanzialmente di più,

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in particolare se hanno anche un’esperienza professionale. Nelcorso della loro vita, gli uomini italiani con titolo d’istruzioneterziaria possono guadagnare oltre 300mila dollari americaniin più rispetto a quelli con livello d’istruzione inferiore (controi 175mila della media Ocse) e chi possiede tale livello di studiha un tasso di occupazione di 28 punti percentuali superiorerispetto a chi non lo possiede. Resta comunque il fatto che inItalia è bassa, rispetto alla media Ocse, anche la percentualedegli adulti con istruzione terziaria che ha un impiego, il 79%contro l’84%.

La sottolineatura del genere non è casuale in quantopermane una discriminante verso le donne: in Italia le donnecon titolo d’istruzione terziaria guadagnano il 65% o ancorameno di quanto guadagnano gli uomini con pari grado d’istru-zione (la media Ocse è del 72%). Il dato positivo è che le donnehanno decisamente fatto progressi nel campo dell’educazionedi alto livello: tra la popolazione compresa nella fascia 25-34anni, le donne con istruzione di livello universitario sono unasu quattro, contro il 16% degli uomini, mentre il tasso diingresso all’università è del 57% contro il 42% degli uomini,e ogni dieci laureati di primo livello sei sono donne. Peraltro,l’Italia vanta una delle più alte percentuali dei Paesi Ocseper quel che riguarda le donne che hanno conseguito un titolonella ricerca avanzata (dottorato).

Giovani laureati e lavoro: una relazione difficileIl mercato del lavoro per i giovani laureati italiani è diventato

sempre più complesso. Il tasso di occupazione degli italianicon i più alti livelli di formazione (nella fascia d’età 25-64 anni)è calato dall’82,2 al 78,3% nel giro di pochi anni, dal 2002al 2010, mentre si è mantenuto stabile quello degli adulticon educazione secondaria. Si “avvicinano” anche i valori deltasso di disoccupazione che per il primo gruppo è cresciutoal 5,6%, mentre per il secondo è calato al 6,1%. Una testimo-nianza di come il mercato del lavoro abbia decisamenteabbassato la domanda di lavoratori qualificati, peraltro conun andamento in controtendenza rispetto a quanto avvienenegli altri Paesi Ocse. Anche il tasso di inattività (ovverocoloro che non svolgono né un percorso di istruzione/forma-zione né un lavoro) della fascia 15-29 anni nel 2010 ha fattoregistrare un pesante 23% (contro la media Ocse del 16%).

L’andamento negativo è confermato anche dal dato relativo

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agli stipendi: la differenza fra lo stipendio di un laureato edi una persona con istruzione secondaria superiore è deci-samente molto più contenuta per le giovani generazioni (illaureato guadagna appena il 9% in più in media) rispettoa quelle più anziane (dove la differenza arriva al 96%).

La spesa per l’istruzione: Italia agli ultimi postiIn Italia, la percentuale della spesa pubblica e privata per

l’istruzione è una delle più basse di tutti i Paesi Ocse. Nel 2010,l’Italia ha speso il 4,9% del Pil, contro una media Ocse del6,2%, all’ultimo posto dopo il Giappone. Tra il 2000 e il 2009,la spesa dello Stato rispetto alla spesa pubblica totale èscesa dal 9,8% al 9%, crescendo solo del 4% in termini reali(contro una crescita media Ocse del 33%).

Se in generale la spesa annua per studente in Italia èsostanzialmente in linea con la media Ocse (9.055 dollaria fronte di 9.249), passando dall’asilo all’università i livelli dispesa nel nostro Paese cambiano parecchio. La spesa perstudente, infatti, è addirittura sopra la media Ocse dall’asiloalle elementari (anzi è una tra le più alte se riferita ai bambinidi tre/quattro anni), ma salendo nei livelli di studio non aumentacosì come negli altri Paesi: il risultato è che all’università scendedi parecchio sotto la media Ocse attestandosi a 9.562 euroa fronte di 13.728.

Gli studenti immigratiIl Rapporto contiene anche un riferimento alla questione

degli studenti stranieri, relativamente al loro peso negli istitutiscolastici, sottolineando come una delle sfide per le scuoleitaliane sia l’inserimento e l’integrazione degli studentiimmigrati, cresciuti enormemente nell’ultimo decennio: laproporzione di studenti stranieri 15enni è passata dallo 0,9%del 2000 al 5,5% del 2009. Il 71,9% di studenti di originestraniera è concentrato in un quarto delle scuole italiane,mentre la diffusione nelle scuole degli altri Paesi Ocse èdistribuita in modo più uniforme.

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Indicatore Italia Media Ocse Posizionedell’Italia

Accesso al sistema d’istruzione e esiti

Tassi d’iscrizione

Bambini di 3 anni (scuola dell’infanzia) 93% 66% 6° su 36 Paesi

Bambini di 4 anni (scuola dell’infanzia e primaria) 97% 81% 10° su 38 Paesi

5 -14 anni (tutti i livelli) 99% 96% 15° su 39 Paesi

Percentuale della popolazione che ha compiuto solo i livelli d’istruzione preprimaria o primaria

25-64 anni 12% 12% 14° su 37 Paesi

Percentuale della popolazione che ha compiuto studi ad almeno il livello d’istruzione secondariosuperiore

25-64 anni 55% 75% 30° su 40 Paesi

25-34 anni 70,3% 81,5% 30° su 36 Paesi

55-64 anni 38% 65% 30° su 36 Paesi

Percentuale della popolazione con un livello d’istruzione terziaria

25-64 anni 15% 31% 35° su 41 Paesi

25-34 anni 20,2% 37,1% 34° su 37 Paesi

55-64 anni 11% 23% 33° su 37 Paesi

Tassi d’ingresso nel sistema d’istruzione terziaria

Programmi di istruzione/formazione professionale (Terziario-tipo B) 0% 17% 33° su 33 Paesi

Programmi universitari (Terziario-tipo A) 49% 62% 25° su 36 Paesi

Tassi di diplomati e laureati

Percentuale dell’attuale generazione di giovani che dovrebbe completareil ciclo di studi secondario superiore nel corso della propria vita 83% 84% 18° su 27 Paesi

Percentuale dell’attuale generazione di giovani che dovrebbe concludere il ciclo d’istruzione universitaria (terziario -tipo A) nel corso della propria vita 32% 39% 19° su 28 Paesi

Italia. Indicatori chiave del Rapporto Ocse 2012

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Indicatore Italia Media Ocse Posizionedell’Italia

Risultati economici e del mercato del lavoro

Tasso di disoccupazione dei 25-64enni

Livello inferiore di istruzione al diploma di secondario superiore 9,1% 12,5% 21° su 33 Paesi

Secondario superiore e post-secondario non terziario 6,1% 7,6% 23° su 34 Paesi

Terziario 5,6% 4,7% 8° su 34 Paesi

Vantaggio medio in termini salariali per i 25-64enni con livelli d’istruzione terziaria (rispetto alle persone con un’istruzione secondaria superiore; secondario superiore = 100)

Uomini e donne 150 155 19° su 32 Paesi

Uomini 162 160 13° su 32 Paesi

Donne 142 157 27° su 32 Paesi

Svantaggio medio in termini salariali per i 25-64enni senza diplomi d’istruzione secondariasuperiore (rispetto alle persone con un diploma d’istruzione secondaria superiore;secondario superiore = 100)

Uomini e donne 7 9 77 15° su 32 Paesi

Uomini 7 8 78 16 °su 32 Paesi

Donne 70 74 24° su 32 Paesi

Percentuale delle persone senza lavoro e che non sono inserite nel sistema d’istruzione e di formazione

15-29 anni (dati del 2005) 21,1% 15% 4° su 32

15-29 anni (dati del 2010) 23% 15,8% 5° su 32

Investimenti finanziari nell’istruzione

Spesa annua per studente (calcolo in dollari statunitensi equivalenti e a parità di potere di acquisto)

Istruzione pre-primaria 7.948 6.670 9° su 34 Paesi

Istruzione primaria 8.669 7.719 10° su 35 Paesi

Istruzione secondaria 9.112 9.312 18° su 37 Paesi

Istruzione terziaria 9.562 13.728 24° su 37 Paesi

Totale spesa pubblica e privata per l’istruzione

In percentuale del PIL 4,9% 6,2% 31° su 37 Paesi

Totale spesa pubblica per l’istruzione

In percentuale del totale della spesa pubblica 9% 13.% 31° su 32 Paesi

Quota della spesa privata per le istituzioni educative

Istruzione primaria, secondaria, post-secondaria e non terziaria 3% 8,8% 24° su 32 Paesi

Istruzione terziaria 31,4% 30% 11° su 31 Paesi

Tutti i livelli d’istruzione 9,3% 16% 21° su 30 Paesi

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Indicatore Italia Media Ocse Posizionedell’Italia

Scuole e insegnanti

Numero studenti/personale insegnante

Istruzione pre-primaria 11,8 14,4 23° su 32 Paesi

Istruzione primaria 11,3 15,8 30° su 36 Paesi

Istruzione secondaria 12,0 13,8 24° su 38 Paesi

Numero di ore annuo d’istruzione obbligatoria

7-8 anni 891 ore 774 ore 9° su 33 Paesi

9-11 anni 924 ore 821 ore 5° su 34 Paesi

12-14 anni 1.023 ore 899 ore 4° su 34 Paesi

Numero di ore annuo d’insegnamento (per insegnante nelle istituzioni pubbliche)

Istruzione primaria 770 ore 782 ore 19° su 35 Paesi

Istruzione secondaria inferiore 630 ore 704 ore 22° su 34 Paesi

Istruzione secondaria superiore 630 ore 658 ore 19° su 35 Paesi

Rapporto salari degli insegnanti/remunerazioni lavoratori adulti laureati, impiegati a tempo pieno,e tutto l’anno

Insegnanti scuola primaria 0,57 0,82 24° su 27 Paesi

Insegnanti scuola secondaria inferiore 0,60 0,85 22 ° su 27 Paesi

Insegnanti scuola secondaria superiore 0,64 0,90 23° su 27 Paesi

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anoDai “borghi della sapienza”

la forza rivoluzionariadell’integrazionee della tolleranza

a cura di Stefania Nasso

Con il progetto Pitagora Mundus 400 studenti egiziani verranno ospitati per un percorso formativo in sette scuole di piccoli centri dellaCalabria. Ne abbiamo parlato con il presidentedella Regione, Giuseppe Scopelliti

I comuni calabresi diventano “borghi della sapienza” con ilprogramma “Pitagora mundus”. Il progetto prevede l’individua-zione di scuole, istituti superiori e università regionali disponibilia ospitare cittadini stranieri. Ospitalità che si traduce in percorsiformativi al termine dei quali è possibile conseguire un titolo distudio spendibile sul mercato europeo e internazionale.

L’idea è partita dall’Iscapi (Istituto calabrese di politicheinternazionali), che ne gestisce il coordinamento. La regioneCalabria ha adottato il programma coinvolgendo l’ufficio scola-

stico regionale e il Centro culturale egizianodi Roma. Un percorso virtuoso che nell’annoscolastico in corso porterà in regione 400studenti vincitori di borsa di studio, provenientiproprio dall’Egitto per seguire un percorsodi studio professionale di cinque anni. Sonosette gli istituti scolastici che fanno parte delprogetto: le scuole superiori “L. Costanzo”di Decollatura (Cz); Iss di Cutro (Kr) e IsolaCapo Rizzuto; Ic di Campana e Bocchigliero(Cs); Iss “G. Ferraris” di Palmi (Rc); Iss “L.

Einaudi” di Serra San Bruno (Vv). L’offerta sarà proposta per iprossimi tre anni ad altrettante ambasciate straniere di Paesimediterranei.

In occasione della presentazione del progetto abbiamo parlatocon il presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti.“La Calabria ha un capitale umano e opportunità straordinarie”dice Scopelliti “e credo che il programma Pitagora Mundus

L’offerta formativa prevista sarà proposta per i prossimi tre anni ad altrettante ambasciate straniere di Paesimediterranei.Coinvolti istituti scolastici di tutte le province calabresi

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L’iniziativa Pitagora Mundus in Calabria

sia il modo giusto per creare sviluppoattraverso il dialogo e la conoscenza”.

Presidente, il progetto quest’annoporta in Calabria circa 400 studentiegiziani. Questa regione può diventareil vero ponte con i Paesi a Sud delMediterraneo?

Di fatto già lo è. Questa idea delPitagora Mundus contraddice alla radicemolti pregiudizi sulla nostra regione.Noi ribadiamo semplicemente la nostrasecolare vocazione: punto di apprododi uomini e idee. Abbiamo un capitaleumano e beni culturali sui quali costruireil nostro futuro.

La presenza dei giovani egizianitestimonia anche la volontà dei gover-nanti del Cairo di favorire il dialogo. LaPrimavera araba adesso ha bisogno di“alleati” a Nord?

La transizione democratica necessitaanche di dialogo con le altre rive delMediterraneo. La Calabria è al centro diquesto mare e da secoli siamo portatoridella cultura dell'accoglienza e dell’in-tegrazione. La civiltà della Magna Grecia,cosi sontuosa nelle nostre terre, congiun-dendosi con quella latina, ha dato vitaai valori dell'Occidente, ancora vitali.

Il fatto che molti di questi ragazzi sifermino in posti di “frontiera” oppurein luoghi dove la ’ndrangheta è fortecostituisce un buon modo per usciredall’isolamento?

Il dialogo ha sempre prodotto miglio-ramenti. E poi in tutti i nostri paesi e lenostre città la maggior parte dellapopolazione è, per fortuna, fuori dal giogomafioso. Tutti questi studenti rappresen-teranno una forza rivoluzionaria: quelladell'integrazione e della tolleranza.

La formazione e la cultura possonorompere l’isolamento anche economicodi questa regione?

Cer tamente. Solo così possiamoesprimere le nostre straordinarie eccel-lenze. Investire in Calabria si può econviene. Non ultimo per i l patrimonioumano e storico che possiede. Il ruolodella cultura e della formazione sonoindispensabili per dimostrare l’immagineautentica della nostra regione. Il nostroimpegno sarà quello di creare infrastrut-ture sempre più moderne, unitamentealla volontà di investire sul capitaleumano: la nostra vera ricchezza.

Il programma potrebbe vedere uncoinvolgimento dei calabresi sparsi intutto il mondo, gente capace di imporsiin tutti i campi del sapere e del lavoro.

Non di rado mi capita di andare all’e-stero e scoprire che chi occupa unaposizione di rilievo in quella società èun calabrese. E chi ha le nostre origininon dimentica la propria terra. È unesempio da seguire, che ci sprona amigliorare il contesto sociale per con-sentire ai nostri tanti talenti di poterrestare in Calabria per contribuire alnostro sviluppo, creando le necessariecondizioni per la realizzazione personale,storicamente sempre deboli.

A sottolineare come questo sia il tempodi vincere scommesse per dare un futuroalla Calabria è stato l’assessore allaCultura della regione Calabria, MarioCaligiuri. “Il nostro è un futuro che passasempre di più per la cultura, l’integra-zione e il dialogo” ha detto l’assessorepresentando l’iniziativa “e il progettoPitagora Mundus rientra in questa logica.È un’idea vincente in grado di portareflussi economici importanti in Calabria

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L’iniziativa Pitagora Mundus in Calabria

a partire dalle sue stesse tradizionimil lenarie. C’è bisogno che cambicompletamente il modo di investire sulterritorio. La società in cui viviamo cichiede cultura, tradizioni, storia. Ed èquello che noi come assessorato allaCultura stiamo cercando di fornire ai nostriinterlocutori stranieri,anche grazie alle rela-zioni costruite in questianni che hanno coin-volto istituzioni pubbli-che e private in Italiae all’estero: dalle cinqueprovince calabresi ainove comuni coinvolti,dall’ufficio scolasticoregionale ai sette sin-goli istituti superiori,dalle ambasciate inItalia e al Cairo alle fondazioni che inCalabria e in Egitto sostengono il pro-gramma”.

“Non dobbiamo dimenticare” ha pro-seguito Caligiuri “il valore che avrannoenti locali e commercianti del posto.Centri come quelli della provincia diCrotone (la terra di Pitagora), spessocon forte presenza della criminalità orga-nizzata, verranno invasi da questi nostricugini del Mediterraneo. I centri montanicome Bocchigliero potranno trasmetterequanta storia c’è nella logica del loroquotidiano. Saranno loro a rendere questosistema di relazioni duraturo e proficuo.

Si è modificata completamente lapercezione del concetto di sviluppo.Non ci sono più strategie eterodirette.Sono gli stessi territori a dover decide-re il proprio destino. È finita l’era deifinanziamenti a pioggia e della macchinaburocratica. C’è bisogno di una visionedello sviluppo e del territorio che partadal basso. Penso al sociologo Bauman

e al teorico McLuhan. Siamo in questovillaggio globale e dobbiamo compor-tarci di conseguenza. Basta mediazioni,siamo noi stessi a interloquire con chiha voglia e tempo da investire in questaregione. Dipende tutto da lì; non abbiamoalternative se non le nostre tradizioni e

la nostra cultura”. “Ma è inutile puntare

sullo sviluppo senzaun’idea for te che losostenga” ha conclusol’assessore “siamo eredidella Magna Grecia edobbiamo meritare diesserlo, altrimenti fac-ciamo riferimento a unpassato glorioso mapolveroso e inattuale.E non possiamo per-

dere il treno della ‘primavera araba’.Noi siamo la testa di ponte del continentee l’anello di congiunzione con i Paesi a Suddel Mediterraneo”.

L’assessore alla cultura della regione Calabria,Mario Caligiuri: “il nostro è un futuro che passa sempre di più per cultura,integrazione e dialogo.E non possiamo perdere il treno della ‘primavera araba’”

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L’Italia si trova calata in un contesto internazionale profon-damente mutato rispetto a quello che ha contribuito a dettarele sue scelte strategiche nella prima fase di vita repubblicana.Le particolari condizioni del sistema internazionale dellaGuerra fredda, da un lato avevano determinato alcuni vincolialla nostra autonomia, dall’altro ci hanno permesso di disporredegli strumenti necessari per sfruttare il discreto margine diazione che si apriva dinanzi al nostro Paese nei campi nondirettamente collegati allo scontro tra Est e Ovest. Nello stessoperiodo l’Italia ha registrato un’ascesa come potenza economicamondiale, da cui è derivata una non trascurabile disponibilitàdi risorse nelle sue casse pubbliche.

Grazie alla felice combinazione di queste condizioni e inseguito alla progressiva stabilizzazione dei territori che avevanoguadagnato l’indipendenza al termine del processo di decolo-nizzazione, Roma ha trovato nella cooperazione internazionaleuna dimensione nella quale è riuscita a figurare tra gli attoripolitici maggiormente attivi. Una parte delle sue energie incampo estero, infatti, è stata rivolta in favore dello “sviluppo”– inteso come intervento di carattere prevalentemente assisten-ziale o umanitario – di un gruppo eterogeneo di Paesidell’Africa, dell’Asia e dell’America latina, generalmente consi-derati lontani dagli standard politici, economici e sociali delmondo occidentale. Se le irripetibili logiche del sistema bipolareavevano costituito la cornice diplomatica imprescindibile peril dilatarsi dell’impegno italiano nel campo della cooperazioneallo sviluppo, le sue radici culturali andavano ricercate in tre

Per un nuovo modello di cooperazione italiana

di Gabriele Natalizia“Sapienza” università di Roma

Il mondo dell’università ha formato fino ad oggiprofessionalità e competenze e sta contribuendoalla definizione di nuove forme per declinare l’impegno italiano in questo settore strategico.L’importanza della formazione del personale

Grazie alla suaparticolarecollocazionenel sistemabipolare dellaGuerra Fredda,l’Italia è statastoricamentetra i Paesipiù attivinel campodellacooperazioneinternazionale

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coté filosofico-culturali diversi: la certezza del pensiero liberalesull’universalità dei modelli occidentali, lo spirito solidaristicodella cultura cattolica e la fede verso le capacità emancipatoriedel progresso del pensiero marxista.

Nonostante il profondo mutamento degli assetti mondialiseguito alla caduta del Muro di Berlino, gli anni Novanta nonhanno registrato un altrettanto radicale ripensamento nellapolitica estera italiana. Buona parte delle responsabilità tradi-zionalmente a carico degli Stati, d’altronde, hanno continuatoad essere assolte sul continente europeo dalle strutture militaridel Patto atlantico a partire dal 1949. Il settore italiano dellacooperazione allo sviluppo ha così beneficiato di una contin-genza storica favorevole, cui si è sovrapposto un flusso dinuovi fondi stanziati dall’Unione Europea, che ha permesso ainostri Governi di procrastinare la riformulazione della politicadi difesa nazionale e, di conseguenza, di contenerne il budgetin favore di altri capitoli di spesa. Il grande interesse attiratodal settore della cooperazione, inoltre, si è tradotto nel suodefinitivo affrancarsi dal legame quasi-esclusivo del passatocon le “missioni” religiose, permettendogli di assumere via viaun fascino trasversale all’interno dell’universo giovanile.

Il mondo dell’università ha progressivamente recepito questatendenza, considerata nuova sia per le suggestioni prodottesul piano culturale che per le inesplorate potenzialità lavorative,predisponendo corsi di laurea appositamente destinati a formarequelle competenze – relazionali, gestionali e tecniche – impre-scindibili per l’efficacia dei progetti di cooperazione con cui il“sistema-Italia” si stava proiettando nel mondo. Ma due fattoridi incertezza sono intervenuti nell’ultimo decennio, tanto darendere insostenibile il vecchio modello italiano di cooperazione.

Il primo fattore è il passaggio in secondo piano dell’Europanelle priorità strategiche degli Stati Uniti, affermato dall’ammini-strazione Bush e confermato, con toni più pacati, dall’ammi-nistrazione Obama. I quadranti geopolitici dove Washingtonconsidera attualmente razionale allocare fondi pubblici peroperazioni volte alla stabilità internazionale, senza imbattersinella delegittimazione dell’elettorato americano, sono il Medio el’Estremo Oriente, mentre i Paesi dell’Europa orientale vengonoconsiderati strategicamente più rilevanti – e più bisognosi diaiuto esterno – di quelli dell’Europa occidentale. Quest’area,d’altronde, viene ormai percepita come “securizzata” in quantopopolata da Stati in grado di badare autonomamente – e,dunque, a proprie spese – al loro ordine regionale.

Le radici culturali dell’impegno italiano:la convinzione liberale sulla universalità del modello occidentale,il solidarismo cattolico,la fiducia marxista nel progresso

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Il secondo fattore è l’onda lunga della crisi economica del2008, che ha contribuito a inasprire i rapporti tra i ventisetteStati membri dell’UE e a far emergere ovunque movimenti diprotesta ostili ai partiti politici tradizionali. Per motivi relativialla spinosa questione del pareggio di bilancio, che ha impostotagli significativi alla spesa pubblica in Italia, le ristrettezze chegià da tempo gravano sul sistema di welfare si approssimanoa estendersi anche agli Esteri e alla Difesa con ricaduteinevitabili sui programmi di cooperazione internazionale. Ilfuturo – e più esiguo – budget che verrà destinato a questosettore non può essere disperso in una gamma di progettieccessivamente eterogenea (per durata degli interventi,destinatari e obiettivi), ma deve essere ottimizzato rivolgendoloa un nucleo più ristretto, omogeneo e coeso di azioni.

La ripartizione IX di “Sapienza” università di Roma, sottol’impulso del Prorettore Antonello Folco Biagini (vedi piùavanti l’intervista di Gabriele Vargiu, ndr), ha avviato già daalcuni anni una profonda riflessione sul nuovo modello dicooperazione che l’Italia potrebbe adottare nel prossimo futuro.A tal proposito sono stati coinvolti – attraverso l’organizzazionedi conferenze e tavole rotonde sul tema – dapprima il dottoratoin Storia d’Europa coordinato da Giovanna Motta e il corso dilaurea in Scienze dello sviluppo e della cooperazione interna-zionale, e poi le altre ripartizioni dell’Ateneo, il corpo docentee quanti tra gli studenti hanno manifestato il proprio interesse(vedi più approfonditamente gli articoli che seguono). Il princi-pale risultato di un dibattito che negli anni si è fatto semprepiù serrato e stimolante è stata la stesura del documento Unnuovo modello di cooperazione per l’Italia, che “Sapienza”università di Roma sta diffondendo nelle sede istituzionalicompetenti.

Il minimo comun denominatore delle diverse posizioniemerse è stata l’urgenza che il modello italiano di cooperazionesia declinato in forme nuove, confrontando le aspirazioni chehanno storicamente orientato le attività in questo settore conla posizione internazionale del Paese e il mutato contestopolitico mondiale. Se l’obiettivo di questa riformulazione nelbreve termine va ricercato nel preservare il patrimonio culturalee professionale della cooperazione italiana, nel medio terminecoincide con la volontà di evitare il declassamento interna-zionale dell’Italia, che alcuni preoccupanti segnali stannofacendo temere. I principali spunti di riflessione che sonostati elaborati dal gruppo di lavoro coordinato da Antonello

La crisi del vecchio modello di cooperazione e la riflessione avviata nell’ambito di “Sapienza”università di Roma sulle nuove strategie che il nostro Paesepotrebbe adottare in futuro

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Folco Biagini servono l’esigenza di rispondere puntualmentea tre domande ineludibili: 1) Chi saranno i destinatari degli inter-venti? 2) Dove verranno effettuati? 3) Quale sarà la loro natura?

Anzitutto la nuova cooperazione italiana pur conservandoviva l’ispirazione delle tre correnti filosofiche che nel passatohanno dato linfa alle sue attività, dovrebbe essere ripensata,come avviene in tutti gli Stati più influenti a livello mondiale,anche in funzione del paradigma dell’interesse nazionale. Taleconcetto non deve essere confuso con alcun tipo di anelitonazionalista, né con un mezzo per incrinare il tradizionale euro-peismo dell’Italia. Al contrario, dovrebbe essere consideratouno strumento interpretativo preferenziale per la comprensionedegli obiettivi internazionali che Roma può legittimamenteperseguire, emarginando gli interessi particolari e privilegiandoil bene comune. Gli aiuti pubblici destinati all’estero dovrebbero,quindi, privilegiare gli Stati con cui l’Italia intrattiene rapportistabili e consolidati dal tempo, le aree connotate dalla prossimitàgeografica alla Penisola, i Paesi candidati e quelli potenzialicandidati all’ingresso nell’Unione Europea, i territori dove sarannoindividuati interessi emergenti concreti e razionalmente perse-guibili, e, ancora, i luoghi di provenienza delle nostre piùimportanti comunità di immigrati. Parallelamente dovrebberoessere sostenuti i progetti volti a consolidare i rapporti con lecomunità italiane all’estero, verso le quali, almeno sinora, nonè mai stata realizzata una politica coerente e continuativa.

In secondo luogo occorre ripensare le conclusioni che sonostate tratte negli ultimi venti anni sul processo di “globalizza-zione”. A dispetto di quanto generalmente sostenuto, dopo il1989 all’aumento dell’interdipendenza economica non è corri-sposto un aumento dell’interdipendenza politica tra le nazionitanto che il sistema internazionale contemporaneo sembraassumere un aspetto sempre più “regionalizzato”. Lo spaziodiplomatico in cui l’Italia risulta incontrovertibilmente inseritae dove si svilupperanno le dinamiche da cui dipenderà ilmantenimento – o la perdita – del suo rango internazionale èquello che potremmo definire del “Mediterraneo allargato”.Questa regione ricomprende i Paesi dell’Unione Europea, iBalcani, il Maghreb, il Caucaso, il Medio oriente e il Cornod’Africa.

L’inderogabilità dell’impegno a ottimizzare le risorse destinatealla cooperazione, unita alla presa d’atto sull’ampiezza delraggio di azione della politica estera italiana, dovrebbe indurrei ministeri attivi nel settore della cooperazione, così come per

È necessario ripensare la cooperazione anche in funzione del paradigma dell’interessenazionale,privilegiando i Paesi con cui l’Italia intrattiene rapporti stabili e consolidati

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le loro competenze le università italiane, a privilegiare i progettiche concentrano le loro forze sulle necessità politiche, eco-nomiche e sociali della regione del “Mediterraneo allargato”.L’Italia, d’altronde, ne costituisce esattamente il centro, tantoche la sicurezza dell’una appare intimamente collegata allastabilità dell’altra. Le università italiane, in tale prospettiva,dovrebbero cercare di incentivare la mobilità internazionaleverso queste aree, alimentando l’interesse nei loro confrontiattraverso l’incremento del dibattito tra studenti e docenti, lacreazione di esami ad hoc e l’attivazione di progetti di ricerca,master e dottorati internazionali. Il principale risultato potrebbeessere l’emergere di nuove relazioni privilegiate e l’incrementodel soft power dell’Italia.

Infine se il perseguimento di uno “sviluppo”, inteso princi-palmente come palliativo alla carenza di bisogni essenziali inalcune regioni, ha totalizzato la cooperazione italiana in passato,pur conservando la sua importanza esso dovrebbe esserericompreso all’interno di una gamma più ampia di interventi.

Nell’ambito di un concetto meglio declinato di cooperazione,soprattutto nella dimensione in cui opera un attore come“Sapienza” università di Roma, diventa centrale l’assistenzae la formazione di personale da impiegare in settori che

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rappresentano le punte di eccellenza del sistema-Italia, mache nell’ambito della cooperazione sono stati raramente presiin considerazione. L'esportazione della cultura e del sapereitaliano possono rappresentare, d’altronde, il volano per unarinnovata modalità di cooperazione internazionale. Un talemutamento di prospettiva, inoltre, permetterebbe di allargarei progetti di cooperazione a quei Paesi che risultano già inseriticon relativo successo all’interno dell’economia di mercato,ma che per un periodo – più o meno lungo – continueranno adavere bisogno di competenze professionali esterne nei campiche non risultano annoverati tra quelli prioritari per il supera-mento delle condizioni più gravi di arretratezza politica,economica e sociale. In questa prospettiva l’unità di intentitra le istituzioni competenti sulla cooperazione e il sistemauniversitario potrebbe diventare un fatto sistematico e non occa-sionale. La fase formativa, infatti, risulta centrale in questarinnovata visione della cooperazione internazionale ed è perfet-tamente congeniale sia alla grande tradizione umanistica italiana,che alla struttura del più grande ateneo d’Europa.

Queste riflessioni, tuttavia, vanno integrate con un’ulteriorevalutazione: gli enti attivi nel campo della cooperazione devonocessare di considerare quale referente quasi esclusivo laPubblica Amministrazione italiana. Al contrario, la contingenzastorica impone loro la capacità di attirare contributi per leproprie attività non solo all’interno del sistema Italia, ma ancheal suo esterno. I tanto temuti effetti dei tagli di bilanciopotrebbero così essere circoscritti e potrebbe innescarsi uncircolo virtuoso in grado di contribuire al rilancio nazionale.Tra i principali donors internazionali, cui soprattutto le nostreuniversità potrebbero rivolgersi contando sulla propria famascientifica internazionale, occorre citare l’Unione Europea – alcui Fondo sociale di sovente è stato fatto ricorso al di sottodelle aspettative e delle possibilità – nonché all’Organizzazioneper la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) eall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – lequali per ispirazione, destinatari e obiettivi risultano affini almodello di cooperazione proposto in questo articolo. Lanecessità di trovare fonti di sostegno alternative per questonuovo modello di cooperazione impone anche di stringerelegami forti tra soggetti pubblici – università in primis – e attoriprivati. Le Partnership pubblico-privato (Ppp) permetterebberodi ottimizzare le principali specificità dei due settori, come lacentralità della responsabilità sociale del settore pubblico el’ottimizzazione delle risorse del settore privato.

Abbandonare il paradigma esclusivamenteeconomico della cooperazione allo sviluppo,a favore di progettisulla diffusionedella cultura e del sapere italiano,raramente presi in considerazione in passato

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Una giornata dedicata a prospettive e proposte per la cooperazione internazionale

di Stefano PelaggiCaporedattore de “L’italiano”

Lo scorso 21 giugno “Sapienza” università di Roma haorganizzato una giornata dedicata alla cooperazione interna-zionale. Nel corso della conferenza i docenti e i ricercatoridell'Ateneo hanno presentato i numerosi progetti realizzatidall’università romana. Alla presenza del Magnifico RettoreLuigi Frati e del Prorettore per la Cooperazione e Rapportiinternazionali Antonello Folco Biagini più di trenta relatori sisono alternati nel dibattito. Dall’aiuto agli studenti disabili inMozambico alla microfinanza in Uganda, passando per iprocessi di capacity building in Palestina e per l’impegnoeducativo nell’università di Bamenda in Camerun sino allalotta allo sfruttamento sessuale in Nigeria, la cooperazionetargata Sapienza copre diversi settori d’intervento e coinvolgele diverse professionalità formate nei corsi di laurea e neidottorati.

I progetti di cooperazione allo sviluppo dell’Ateneo romanoincludono anche molti interventi di promozione delle speci-ficità culturali e di preservazione dei beni artistici: come ilsupporto al Museo di Fort Apollonia in Ghana e la salva-guardia del patrimonio culturale nel Kurdistan iracheno. Lasostenibilità ambientale dei Paesi in via di sviluppo è oggettodi interventi significativi: durante la giornata sono stati illu-strati il progetto di pianificazione per il cambiamento climaticoa Dar El Salaam in Tanzania e gli studi sulla conservazionedella biodiversità delle risorse idriche in Albania. Agli inter-venti in campo medico è stata dedicata una apposita sessione:sono stati presentati i tanti progetti dell’Ateneo romano inambito sanitario, dalla formazione di personale paramedicoin Benin, al supporto chirurgico offerto in Burkina Faso,passando per la formazione a distanza in Iraq e la convenzionecon le strutture ospedaliere in Ciad sino alla sinergia conl’università di Sana’a in Yemen.

Le iniziative si sono dimostrate tutte innovative e di altissimolivello qualitativo. Ogni singolo progetto ha presentato interes-santi spunti, sia per la scelta dei partner di riferimento nellespecifiche aree geografiche (Benin, Angola, Ciad, Etiopia,

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Ghana, Senegal, Tanzania, Kenya, Uganda, Iraq, Giordania,Albania, Mozambico, Palestina, Yemen) sia per le tematicheseguite nei singoli interventi (sostenibilità ambientale, antro-pologia, medicina, sicurezza alimentare e lotta alla povertàrurale e urbana, beni culturali, progettazione e pianificazioneurbanistica, sviluppo delle partnership locali, supporto aisistemi formativi locali).

In occasione della giornata sono stati comunicati i risultati diun censimento di tutti i progetti di cooperazione internazionalerealizzati dall'ateneo romano, da cui risulta che nel triennio2009-2011 i progetti presentati da docenti della Sapienzahanno ricevuto dal ministero per gli Affari esteri (Mae) finan-ziamenti per complessivi 5.660.410 euro (inclusa la quota dicofinanziamento); i finanziamenti acquisiti in ambito europeodai progetti censiti nel 2012 ammontano a 2.612.638,30 euro(Europeaid, Eurmed Heritage). Sono infine presenti progettiinteramente finanziati da organismi internazionali quali l’Oim(Organizzazione internazionale per le migrazioni), dalla regioneLazio e dal Fondo sociale europeo. I docenti e ricercatoridella Sapienza partecipano attivamente ai programmiinternazionali di sviluppo, presentando numerosi progettinell’ambito dei principali strumenti finanziari comunitari(Edulink, Europeaid), nazionali (Mae, Miur) locali (RegioneLazio, Ong, agenzie di sviluppo) e internazionali.

Durante la prima sessione sono stati illustrati i risultati delprogetto Dabacu, il database dei progetti di cooperazioneallo sviluppo delle università italiane. Negli interventi i relatorihanno spesso fatto riferimento ai Millennium DevelopmentGoals, una ulteriore conferma della volontà di integrazione conle altre istituzioni attive nel settore. “Sapienza” università diRoma, a livello istituzionale, partecipa anche a molte iniziativee partenariati internazionali, come il memorandum d’intesacon il Segretariato della Convenzione sulla biodiversità consede a Montreal, approvato dagli organi collegiali nel 2011,che prevede importanti occasioni per l'università di offrirecontributi scientifici sulla biodiversità e sulle strategie diconservazione e tutela. Tra gli altri, la recente adesione allaHigher Education Sustainable Initiative delle Nazioni Uniteche è stata presentata alla Conferenza di Rio de Janeiro(18-22 giugno 2012) e i molti accordi con agenzie dellaNazioni Unite quali la Fao, UN-Habitat e l’Oim. Tutte questeiniziative sono state presentate in una apposita sezione,

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illustrando le molte azioni di internazionalizzazione delladidattica: dalle convenzioni di doppia laurea sino ai corsi dialta formazione.

Il professor Pasca di Magliano, presidente dell’area didatticaCooperazione internazionale e Sviluppo ha poi presentatotutte le attività dell’Ateneo nel settore. Sapienza offre unpercorso di studi completo in Cooperazione allo sviluppoche include una laurea triennale, magistrale e una specializ-zazione post laurea (vedi più approfonditamente gli articoliche seguono). Una offerta formativa unica nel panoramaitaliano che si è recentemente arricchita con la possibilità diseguire gran parte degli insegnamenti in lingua inglese.

In occasione dell’incontro un apposito comitato scientifico,presieduto dal Prorettore Biagini, ha stilato un documento pertracciare la linea programmatica dell’Ateneo romano nel campodella cooperazione internazionale. Il contributo parte dallanecessità di ripensare la cooperazione alla luce dei recenticambiamenti politici e finanziari. Il documento elaborato daSapienza cerca una sintesi tra i condizionamenti ideologiciche hanno accompagnato la cooperazione internazionalenegli scorsi decenni e le esigenze odierne dei tanti Paesi chesi sono inseriti nell’economia di mercato, ma ancora hannodelle carenze nella formazione delle competenze professionalinecessarie per superare l’arretratezza sociale. Il documentoprogrammatico si è rivelato sorprendentemente in linea coni tanti progetti che i professori e ricercatori di Sapienza,coadiuvati da dottorandi e studenti, già portano avanti nei variPaesi del mondo. L’Ateneo romano ha scoperto le sue poten-zialità in questa nuova tendenza della cooperazione interna-zionale, proponendosi come interprete di una sinergia traistituzioni nazionali, donors internazionali e attori privati.

L’integrazione tra una rinnovata visione della cooperazioneinternazionale e il ruolo dell’università italiana nelle strategiedi internazionalizzazione della conoscenza e del sapere rap-presenta la sintesi della giornata del 21 giugno, ma soprattuttoun importante punto di partenza per la proiezione dell’imma-gine di Sapienza al di fuori dei confini nazionali; un obiettivoche coincide con la necessità di usare tutto il potenzialeculturale, scientifico e umanistico per accrescere il soft powerdell’Italia, evocata da molti analisti internazionali. Un patrimoniodi saperi che poche istituzioni possono rappresentare inmaniera più adeguata di “Sapienza” università di Roma.

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anoLa Sapienza di Roma,

un ateneoa vocazione internazionale

di Marco Cilento“Sapienza” università di Roma

Uno degli obiettivi dell’Ateneo capitolino è quello di internazionalizzare i processi formatividi livello universitario, favorendo il progressivoaumento degli studenti stranieri in entrata e di quelli italiani che vanno a studiare all’estero

L’internazionalizzazione è certamente un mezzo ma è ancheun fine dell’azione universitaria e, pertanto,andrebbe intesa come un principio costituti-vo dell ’università. Di conseguenza sidovrebbe fare esplicito riferimento all’inter-nazionalizzazione negli articoli iniziali deglistatuti, quelli in cui di solito viene enuncia-ta la “mission” dell’università, con un chiarorichiamo al “processo di Bologna” e alloSpazio europeo dell’istruzione superiore,oltre che alla Magna Charta (vedi boxpagina successiva).

Il riferimento al termine “internazionalizzazione” è, spesso,troppo generico. Tale termine può essere declinato in più modi:l’aggiunta di una dimensione internazionale alla formazionedei laureati, a tutti i livelli, per arricchirne la preparazione epotenziarne l’occupabilità non solo entro i confini nazionali;l’attrazione dall’estero di docenti e studenti di qualità; l’inseri-mento dell’ateneo in reti internazionali di didattica e di ricerca.All’interno dei nuovi statuti universitari, si dovrebbe prevederesia un articolo generale, sia norme all’interno di articoli relativia competenze di organismi, strutture, etc. Nell’articolo generaleoccorre sottolineare che la tensione verso l’internazionalizzazioneserve a meglio definire, in piena autonomia, il profilo didattico-scientifico dell’ateneo e ad acquisire maggiore visibilità nelcontesto globale dell’istruzione superiore.

Nelle enunciazioni generali sull’offerta formativa è opportuno

Tutti gli statuti accademicidovrebbero contenere espliciti riferimenti alla dimensione internazionale degli studi come “mission”dell’ateneo, come fine della azione universitaria

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che vi sia un riferimento agli impegni assunti dal Paese nel-l ’ambito del “processo di Bologna”, che prevedono per i corsi distudio un grado di flessibilità tale da consentire a ogni studentedi contribuire alla progettazione della propria formazione e dimuoversi agevolmente tra i diversi livelli o all’interno di essi.

Al fine di favorire la mobilità dei docenti italiani, deve ancheessere data la possibilità ai professori e ai docenti di svolgereun’attività didattica e di ricerca presso università o enti diricerca esteri, previa autorizzazione del Rettore che valuta lacompatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali.

Gli atenei devono far propria l’esigenza degli studenti diarricchire la formazione universitaria con periodi di studio otirocinio all’estero. Si impegnano ad accrescere le opportunitàofferte agli studenti per una mobilità di qualità in tutte le areedisciplinari, destinandovi strutture e risorse adeguate. Essi,inoltre, aderiscono ai principi espressi nella Convenzione sulriconoscimento dei titoli dell’istruzione superiore firmata aLisbona l’11 aprile 1997, ratificata dall’Italia, e si impegnanoa valutare le richieste di riconoscimento dei titoli esteriesclusivamente sulla base delle conoscenze e delle compe-

Che cos’è il “processo di Bologna”

I l “processo di Bologna” nascedall’esigenza di rendere il processo diformazione europeo il più competitivopossibile con gli altri sistemi mondiali.È un processo di riforma del sistemadi istruzione superiore che coinvolgediverse istituzioni europee, in primisquelle dell’UE. Vede la sua costituzionenel 1999 presso l’università di Bolognadove i ministri dell’Istruzione dell’UEhanno sottoscritto la “dichiarazione diBologna” che si prefiggeva di realizzareuno Spazio europeo dell’istruzionesuperiore (Seis), poi formalmente creatonel marzo del 2010 con la Dichiarazionedi Budapest/Vienna. Quest’ultimo èdunque i l r isultato della serie diaccordi a livello ministeriale e dellecorrelate attività politiche e istituzio-

nali che, dal 1998 al 2010, hannocaratterizzato la dimensione europeadella politica dell’istruzione superiorenel contesto del “processo di Bologna”.

La Magna Charta universitatum èinvece un documento del 1988, redattoin occasione del 900esimo anniversariodella fondazione dell’università diBologna, con il quale vengono enun-ciati i valori di fondo della tradizioneuniversitaria. Intende incoraggiare ilegami fra le università europee e l’a-pertura anche all’adesione di quelleextraeuropee. Le università firmatarie,ad oggi, sono 660, provenienti da 78Paesi. La Magna Charta ha costituitouno dei passi preliminari alla nascitadel “processo di Bologna”.

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tenze acquisite dai candidati, rifiutando ogni discriminazione.

L’internazionalizzazione dei processi formativi di livellouniversitario, orientata al progressivo aumento degli studentistranieri in entrata e degli studenti italiani in uscita, è ormaida qualche anno (Piano strategico 2007-2012) uno degliobiettivi centrali di Sapienza. L’impegno dell’ateneo è orientatoparticolarmente su tre linee-guida: l’attivazione di corsiinternazionali in lingua inglese; l’attivazione di corsi di studio contitolo doppio o multiplo congiunto; l’internazionalizzazionedei corsi di dottorato.

È forse superfluo sottolineare quanto centrali e imprescindibilisiano tali obiettivi nella mission dei corsi di laurea afferentiall’area didattica di Scienze per la cooperazione allo sviluppo.La sua costituzione ha anticipato di qualche anno le dinamichedi riassetto e di ristrutturazione che l’ateneo si è dato in basealla legge 240/2010, concretizzatesi nel nuovo statuto di ateneoemanato nel 2010 1.

Sin dall’anno accademico 2008-2009, i corsi di studio e dilaurea magistrale in Cooperazione e sviluppo originariamentepresenti nelle diverse facoltà dell’ateneo (Scienze politiche,Economia, Scienze della comunicazione, Scienze umanistiche,Studi orientali, Lettere) decisero di unire le proprie forze per darevita a un’unica area didattica interfacoltà e interdipartimentale.Attraverso un’intensa fase di confronto tra competenze e

consuetudini diverse e un lungo lavorotecnico di preparazione, venne costituitala suddetta area didattica imperniata su duecorsi di laurea di I e II livello: Cooperazioneinternazionale e sviluppo (I livello) e Scienzedello sviluppo e della cooperazione interna-zionale (II livello). L’operazione di aggre-gazione e di sintesi ha dato buoni esiti, il cuiindicatore più efficace è il costante gradimentoda parte degli studenti: nell’a.a. 2011-2012,le matricole della laurea di I livello sono state

155, quelle della laurea magistrale sono state 108, in lineacon i dati dell’anno precedente.

Sebbene di recente costituzione, l’area didattica Scienzeper la cooperazione allo sviluppo si è dimostrata molto

L’impegno della Sapienza segue tre linee guida:attivazione di insegnamentiin lingua inglese, di corsi con titolo doppio o congiuntoe internazionalizzazione dei corsi di dottorato

1 Con Decreto del Rettore n.545 del 4 agosto 2010, pubblicato sulla GazzettaUfficiale serie generale, n.188 del 13 agosto 2010

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attiva sul fronte dell’internazionalizzazione della didattica,soprattutto in riferimento alla mobilità studentesca in entratae in uscita. A tal proposito vanno segnalati gli accordiaggiuntivi per mobilità studentesca con l’università di SanPaolo (Brasile), con l’università di Nanchino (Cina), con l’univer-sità di Santiago de Cali (Colombia), con il Collegio dellaFrontera Norte di El Colef (Messico), con l’università “E.Mondane” di Maputo (Mozambico), con l’università di Ziguinchor(Senegal) e, di prossima attivazione, con l’UniversidadPùblica di El Alto in La Paz (Bolivia). Sulla base dei suddettiaccordi interuniversitari, gli studenti della laurea magistralein Scienze dello sviluppo e della cooperazione internazionalehanno potuto svolgere un periodo di studio e ricerca all’estero,

in importanti realtà di Paesi di cooperazione,con l’obiettivo di finalizzare il proprio lavorodi tesi di laurea. Accanto agli accordi interu-niversitari extra-UE, vanno annoverati inumerosi accordi Erasmus con istituzioniuniversitarie dell’area UE che hanno datol’opportunità anche agli studenti di Coopera-zione di trascorrere soggiorni di studioall’estero e, per la clausola della reciprocità,agli studenti universitari di molti Paesi europeidi venire a studiare, per un periodo limitato

di tempo, presso la Sapienza. Senza dubbio, il salto di qualità nel campo della internazio-

nalizzazione della didattica l’area di Scienze per la cooperazioneallo sviluppo l’ha effettuato in virtù dell’attivazione di unaccordo di doppio titolo: i corsi di laurea integrati con rilasciodi doppio titolo prevedono la possibilità, per gli studenti, difrequentare un periodo di studi presso un ateneo estero(minimo un semestre) e di ottenere il diploma di laurea dientrambe le università. L’iniziativa, che sarà operativa a partiredal prossimo anno accademico, ha come partner la Universidaddel Norte (Colombia). La Universidad del Norte è stata fondatanel 1966, vanta una propria città universitaria dal 1973 ed èattualmente la principale università della costa atlanticadella Colombia e viene classificata di solito tra le cinque o seicon la migliore qualità didattica a livello nazionale.

È quindi particolarmente significativo che nel mese di apriledel 2012 la Sapienza e la Universidad del Norte (UniNorte)abbiano firmato una convenzione di doppia laurea, checoinvolge l’area didattica Scienze per la cooperazione allosviluppo per la parte italiana, e il Departamento de Historia

La costituzione dell’area didattica Scienze per la cooperazione allo sviluppo e il suo impegno per accrescere la mobilità studentesca sia in entrata sia in uscita

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L’internazionalizzazione dell’università: l’esempio della Sapienza

y Ciencias sociales, per la parte colombiana. Tale convenzione,la prima che afferisce alla menzionata area didattica, riguar-da i corsi di laurea triennale e magistrale in Cooperazione esviluppo di Sapienza e i corsi omologhi (Pregrado e Maestría)in Relazioni internazionali di UniNorte. Il processo di dialogointeristituzionale è iniziato nel marzo del 2010 e ha portato

alla firma di un accordo quadro di collabo-razione accademica tra le due universitànel marzo del 2011. La convenzione didoppia laurea oggetto del presente articolosi fonda su un lungo lavoro preliminare direvisione e omologazione dei corsi primamenzionati e apre la possibilità di ottenerela laurea in entrambe le università agli stu-denti che realizzeranno almeno un semestre,nel caso della laurea magistrale, o un annodi studi, nel caso della laurea triennale,

presso l ’altra università e sosterranno la prova finale inentrambi gli atenei.

La selezione degli studenti della Sapienza interessati a par-tecipare, nel numero massimo di dieci per ogni anno accademico,avverrà in base a criteri di eccellenza accademica e conoscenzalinguistica. Più in generale, il programma di doppia laureasarà seguito da un comitato di gestione composto da quattroprofessori, due per ognuna delle università coinvolte.

Oltre ai corsi di studio che portano al rilascio di titoli doppi,multipli o congiunti con università estere, come previsto dalregolamento didattico di Sapienza, vi è la possibilità di attivarecorsi di studio internazionali, ovvero corsi di studio in cui tuttele attività formative, le prove di verifica e la prova finale sisvolgono in lingua straniera, con ciò rientrando a pieno titolonelle strategie istituzionali di internazionalizzazione delladidattica. Sempre a norma di regolamento, al fine di promuo-verne la diffusione e l’attivazione, potranno essere previstispecifici finanziamenti sul bilancio universitario nell’ambitodelle strategie di internazionalizzazione definite e approvatedagli organi collegiali. Detti finanziamenti potranno essereerogati, compatibilmente con le disponibilità di bilancio, aseguito di procedure di valutazione curate annualmente dallaripartizione IX Relazioni internazionali.

Nel rispetto delle suddette modalità, da tre anni, nell’ambitodella laurea magistrale in Scienze dello sviluppo e dellacooperazione internazionale è stato attivato un percorso di

L’accordo per i corsi di laureaintegrati con l’Universidad del Norte in Colombia,che consente di ottenere il titolo da entrambi gli atenei,frequentando un periodo nell’università straniera

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insegnamenti in lingua inglese, tenuti da esperti e professionistidi alta qualificazione, denominato “Finance & Development”.I suddetti moduli didattici sono stati individuati come opzionalirispetto ai corrispondenti moduli insegnati in lingua italiana;essi sono rivolti sia agli studenti stranieri presenti all’internodell’ateneo in base ai vari programmi internazionali, sia aglistudenti italiani intenzionati a cimentarsi nell’apprendimentoin lingua inglese. L’esperimento, sin dalla sua prima edizione,ha avuto un gran successo e ha incontrato il favore, in particolarmodo, degli studenti stranieri. Nel corso dell’anno accademico2011-2012, circa 15 studenti stranieri hanno seguito il percorso“Finance & Development” sostenendo i relativi esami di profitto;tali studenti provenivano da svariate parti del mondo, dallaCina alla Georgia, dal Camerun al Mozambico, dal Senegalal Madagascar, dall’Armenia all’Azerbaijan, dal Pakistan aTrinidad e Tobago.

Altre iniziative legate alla prospettiva dell’internazionalizzazionesono in fase di definizione allo scopo di porre l’area didatticadi Scienze per la cooperazione allo sviluppo in primo piano,su tale fronte, nell’ambito dell’ateneo.

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anoLa dimensione internazionale

del sapere accademicocome contributo a un’Europa dell’istruzione

Intervista a cura di Gabriele Vargiu

Il Prorettore alla Cooperazione e Rapportiinternazionali della Sapienza, AntonelloFolco Biagini, descrive i progetti e le iniziativedella prima università italiana per accrescerela connotazione soprannazionale degli studi

La promozione di una dimensione internazionale deglistudi, della ricerca e dell'insegnamento accademicocostituiscono una priorità irrinunciabile per lo sviluppodel sistema universitario nazionale. Da una prospettivagenerale, come è cambiata e come sta cambiando l'identitàinternazionale di “Sapienza” università di Roma?

Sotto un profilo storico ritengo necessario sottolineare inprimo luogo quanto l’edificazione di un sapere dai connotatisoprannazionali abbia costituito fin dalla sua fondazione unadelle priorità dell’ateneo. Tuttavia è indubbio che le necessitàimposte dal mutamento dei tempi e dal progresso tecnologico,così come l’intensificazione dei rapporti tra gli Stati del conti-nente, abbiano recentemente offerto un nuovo slancio allacreazione di sinergie tra istituti universitari, aprendo opportunitàdi scambio, confronto accademico e progresso scientifico.

Sapienza, prima università d’Italia ed Europa per numero diiscritti, contribuisce oggi all’internazionalizzazione del sistemauniversitario nazionale incentivando le iniziative di mobilitazionedei suoi studenti, ricercatori e docenti, aderendo a reti interu-niversitarie e adeguando la sua governance alle linee guidadel “processo di Bologna”, in vista della creazione di un solidoSpazio europeo dell’istruzione superiore. Il dato più significativoconcerne probabilmente la mobilità studentesca che vede datempo un incremento costante delle borse Erasmus erogate:1.236 solo nell’anno accademico 2010/2011. Allo stesso modo,tuttavia, vorrei ricordare anche gli ottimi risultati ottenutiattraverso la promozione dei progetti del Programma-quadro

La sinergia fra istituti universitari di Paesi diversi apre importanti opportunità di scambio,confronto accademico e progresso scientifico,fondamentalinel mondoglobalizzatoin cui viviamo

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Intervista ad Antonello Folco Biagini

quinquennale per la Ricerca e lo Sviluppotecnologico dell’Unione Europa (VIIProgramma-quadro).

A questo proposito quali sono iprincipali progetti in merito intrapresidall’ateneo nell’ambito del VII Program-ma-quadro?

Nel quadro dell’iniziativa in questione,vale a dire il principale strumento disostegno al progresso scientifico-tecno-logico finanziato dall’Unione Europea,Sapienza è attualmente impegnata inoltre centocinquanta progetti promossie gestita dalla ripartizione IX Relazioniinternazionali. Novantaquattro tra questipossono essere ricondotti all’ambitodella cooperazione su tematiche quali lasalute, l’ambiente, i trasporti o le scienzesociali e umane, ma un numero signifi-cativo di programmi sonoal pari riservati alla mobilitàdelle carriere dei ricerca-tori, così come all’imple-mentazione della compe-titività e della qualità delleinfrastrutture dell’ateneo.

Un numero crescente diiscritti di Sapienza ha oggil'opportunità di svolgereun periodo della propriaformazione in contestiaccademici diversi da quello italiano,mentre lo speculare incremento dellamobilità in entrata ha permesso a moltigiovani stranieri di conoscere la realtàdella Sapienza e del sistema universitarioitaliano. Quali sono i vantaggi connessia questa progressiva internazionalizza-zione dei percorsi di studio e in che modoquesto processo si lega all'armonizza-zione della didattica e dei programmiuniversitari a livello europeo?

I vantaggi sono molteplici, sia di naturapiù evidente che di natura indiretta, manon per questo meno importanti. Forseil più scontato da citare, che è allostesso tempo uno tra i più significativi,è quello legato all ’ incremento dellecompetenze linguistiche degli studentiche usufruiscono delle borse per lamobilità. Non solo l’inglese, ma anchealtre lingue europee altrettanto impor-tanti per la futura professionalità deglistudenti come lo spagnolo, il francesee il tedesco, per non parlare delle linguedell’Europa orientale, possono essereapprese o perfezionate nel periodo disoggiorno all’estero. L’acquisizione diuna competenza specifica in questocampo può giovare negli anni ai ragazzi,che si troveranno nella condizione dipresentare profili adeguati alle nuove

possibi l i tà offer te dalmercato del lavoro.

Al lo stesso modo l ’ac-quisizione dei rudimentidella lingua italiana daparte degli studenti stra-nieri è fondamentale, perchécrea quella confidenzanecessaria a sviluppare –una volta occupati – unapredisposizione positivanei confronti del nostroPaese, con il risultato di

incrementare l’interazione tra il sistema-Italia e i settori di eccellenza degli Statiesteri, nonché con le realtà più dinamichedell’economia globale.

Meno evidente, ma altrettanto fruttuosodal punto di vista sia individuale checollettivo, è il bagaglio di conoscenzee di esperienze che gli studenti all’e-stero accumulano e che ritornerannoloro utili nel resto della vita, facendonepersone più incl in i ad assumersi

I molteplici vantaggi della dimensioneinternazionale dei percorsi di studio,sia per gli studenti stranierisia per quelli italiani

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responsabilità, disposte ad affrontarenuovi ostacoli e situazioni mutevoli e ingrado di saper badare a se stesse.

Infine non bisogna dimenticare il ruolosvolto dai progetti di mobilità studentescanell’opera di integrazione tra i giovanieuropei. Il progetto Erasmus, ad esempio,si è trasformato in una vera e propria“agenzia di socializzazione”, che hasemplificato la comunicazione tra popoliche si sentono via via meno diversi e hacontribuito a marginalizzare stereotipie luoghi comuni sedimentati nei secoli.

Per quanto riguarda la finalità del-l’integrazione credo che la circolazionedi studenti incentivi la compenetrazionetra modelli di insegnamento diversi: daun lato impone l’individuazione di unabase minima comune di conoscenze emetodologie su cui fondare l’insegna-mento di una disciplinasia nelle scienze teoreti-che che pratiche, dall’al-tro permette non solo airagazzi, ma anche al corpodocente, di approfondirei temi centrali del dibattitoaccademico e compren-dere prima – e meglio –le evoluzioni interne aisingoli settori scientifico-disciplinari.

Nel 2012, Sapienza conta all’attivocirca novecento accordi di cooperazionecon atenei stranieri, prendendo parteal contempo a diverse reti interuniver-sitarie quali l’Unione delle universitàdel Mediterraneo e la Rete Unica. Qualisono le finalità di queste intese bilate-rali e multilaterali?

L'Unione delle università del Mediter-raneo è il consorzio che attualmentericomprende gli atenei di ventuno Paesi

e tre continenti con finalità didattiche edi promozione della ricerca scientifica.Al contrario la Rete unica costituisceun importante assise per il confronto elo scambio di pratiche e conoscenzetra le università delle diverse capitalieuropee. Simil i partenariati, al paridelle altre reti istituite, favoriscono lacondivisione di opportunità di mobilitàverso l'estero per docenti e ricercatori,rafforzando al tempo stesso il profilointernazionale della Sapienza in Europae nel mondo.

A dispetto della negativa congiunturaeconomica nazionale “Sapienza” uni-versità di Roma non rinuncia a destinarerisorse e capitale umano al rafforza-mento della mobilità transfrontaliera distudenti , r icercatori e docenti .

L’internazionalizzazionedel sapere universitariopuò in tal prospettivasvolgere un ruolo impor-tante nel rilancio dellacompetitività e dell’occu-pazione in Italia?

Come già accennato,credo esista un rapportodirettamente proporzio-nale tra gl i investimentidestinati al rafforzamentodella mobilità transfronta-

liera e lo sviluppo del sistema-Italia. Iprogrammi di circolazione internazionale,d’altronde, determinano l’aumento del“capitale sociale” di ogni singolo Paeseche vi partecipa, in quanto i vantaggiprodotti non sono solo di ordine indivi-duale, ma hanno anche un’indiscutibilepotenzialità collettiva. Con il tempo,infatti, permettono l’accumulazione diuna serie di beni intangibili, ma fonda-mentali per il corretto funzionamento di

I programmi universitari di circolazione internazionale determinano benefici individuali e aumento del capitale sociale di un Paese

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Intervista ad Antonello Folco Biagini

un sistema-Paese, come la f iduciareciproca, l’appartenenza a reti socialie l ’esistenza di una forma mentiscomune: si tratta di tre vere e proprieprecondizioni per l’ottimizzazione dellerisorse e l ’azione coordinata di unoStato. Se l’approccio “europeista” haconnotato l’attività di Sapienza negliultimi venti anni, durante il mio mandatodi Prorettore alla Cooperazione e Rapportiinternazionali ho voluto sostenere il suoampliamento – ad esempio attraverso ilf inanziamento del progetto ErasmusMundus – a una serie di regioni che sitrovano al di fuori dell’Unione Europea,ma che consideriamo altrettanto impor-tanti nell’ottica del nostro interessenazionale.

Voglio chiudere, infine, con una pro-vocazione. Proprio in questa prospettiva

non reputo un problema sostanziale lacosiddetta “fuga dei cervelli”, in quantola collocazione di nostri connazionali –per un periodo più o meno lungo – sumercati esteri maggiormente ricettividel nostro per i loro profi l i produce i ltriplice vantaggio di aprire spazi profes-sionali a giovani italiani dotati di istru-zione altamente qualificata, diffondereun’immagine positiva dell’Italia e incre-mentare le possibilità di integrazioneeconomica con partner internazionalivecchi e nuovi.

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anoMobilità interuniversitaria

e programmi europei:dati, Paesi, prospettive dell’Erasmus Mundus

di Antonella Cammisa, Andrea Carteny, Mattea Capelli 1

“Sapienza” università di Roma negli ultimi anniha dato priorità ai programmi di scambioe cooperazione per studenti, docenti, ricercatori,enti di ricerca e funzionari con i Paesi extra UEche non sono coinvolti nel programma Erasmus

La mobilità universitaria, per studenti ma anche ricercatori,docenti e staff, è il principale strumento di internazionalizzazioneper gli atenei italiani. Una grande università come la Sapienza,in questo ambito, negli ultimi anni ha dato particolare prioritàai programmi di scambio che interessano la mobilità con iPaesi extra Erasmus. Il programma di maggiore interesse, perampiezza geografica, scientifica e capacità di finanziamento,è l’Erasmus Mundus (EM), un programma che l’UE finanziaattraverso consorzi universitari tra Paesi UE ed extra UE ditutto il mondo 2. Come “programma di mobilità e cooperazione”,l’Erasmus Mundus unisce allo strumento della “mobilità” laprospettiva della “cooperazione” in ambito didattico e scientifico.L’istituzione europea responsabile di questi programma èl’Education, Audiovisual and Culture Executive Agency (Eacea),

1 Antonella Cammisa è dirigente della Ripartizione IX - Relazioni internazionalidi “Sapienza” università di Roma; Andrea Carteny è ricercatore universitario di“Sapienza” università di Roma, assistente del Prorettore alla Cooperazione e aiRapporti internazionali Antonello Folco Biagini; Mattea Capell i è responsabileper i l programma Erasmus Mundus della Ripartizione IX di “Sapienza” università diRoma2 Cfr. il sito web http://www.erasmusmundus.it/ del punto nazionale di contattoper l ’ I tal ia per i programmi EM. Eramus Mundus è un programma di mobil i tà ecooperazione nel settore dell ’ istruzione superiore volto a migliorare la qualitàdell’istruzione superiore europea, promuovere l’Unione Europea a livello mondialecome centro di eccel lenza nel campo del l ’apprendimento, promuovere lacomprensione culturale attraverso la cooperazione con Paesi terzi e favorire losviluppo di Paesi terzi nel settore dell’istruzione superiore. http://www.uniroma1.it/internazionale/studiare-e-lavorare-al lestero/erasmus-mundus

Erasmus Mundus è finanziato attraverso consorzi universitari fra Paesi UE ed extra UE

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l’Agenzia esecutiva per l'istruzione, gli audiovisivi e la cultura 3.Questo programma si rivolge a diversi destinatari con differenti

azioni: agli studenti 4; alle università; a docenti, ricercatori 5 efunzionari (pubblici e privati) e professionisti; ad enti di ricercae imprese (pubbliche o private); ad enti di istruzione superiore.Le azioni comprese dal programma EM sono le seguenti:

Azione 1, per l’attivazione di corsi universitari di secondociclo e di dottorati congiunti, con assegnazione di borse di studioe di ricerca

Azione 2, per partenariati accademici tra più università disostegno della pura mobilità

Azione 3, per la promozione dell’istruzione europea.

I dati e le prospettive più interessanti sono proprio quellirelativi alla cooperazione e alla mobilità di studenti, docenti,ricercatori e staff, dunque le Azioni 1 e 2.

“Sapienza” università di Roma fa parte di circa 20 consorziuniversitari EM (di cui uno coordinato) e, attraverso l’attività digestione della Ripartizione IX - Relazioni internazionali 6, offrela possibilità a studenti, ricercatori e docenti dell’Ateneo diintraprendere periodi di studio e di ricerca all’estero, così comedi accogliere studenti e colleghi provenienti dai Paesi terzi.

I principali progetti attualmente finanziati per gli anni 2009-2013 offrono borse e sostegni alla mobilità più ricchi di altriprogrammi (come ad esempio l’Erasmus), facilitando la mobilità

3 Cfr. http://eacea.ec.europa.eu/erasmus_mundus/index_en.php4 Sono considerati studenti europei i cittadini e i residenti dei 27 Paesi dell’Unioneeuropea, e gli studenti dei paesi Efta-See (Islanda, Liechtenstein, Norvegia). Leborse di studio hanno importi differenti per due categorie di studenti. La CategoriaA riguarda gli studenti di Paesi terzi, cioè di Paesi non membri dell ’Unioneeuropea che non abbiano soggiornato per oltre 12 mesi nei paesi del l ’UE nei 5anni precedenti. La Categoria B riguarda gli studenti che non soddisfano irequisit i descritti per la categoria A (ad. es. con cittadinanza dei Paesi membridell’UE o di Paesi terzi con titolo di studio rilasciato da una università europea)ht tp: / /www.uni roma1. i t / in ternazionale/s tudiare-e- lavorare-a l lestero/erasmus-mundus/studenti 5 Possono partecipare alle attività realizzate nel Programma Erasmus Mundus idocenti europei e di Paesi terzi, alle condizioni stabilite per ciascuna attività. Sonodocenti europei i cittadini e i residenti dei 27 Paesi dell’Unione europea più i docentidei Paesi Efta-See (Islanda, Liechtenstein, Norvegia) e inoltre i docenti dei Paesicandidati (Croazia e Turchia) che possono partecipare al Programma ErasmusMundus http://www.uniroma1.it/internazionale/studiare-e-lavorare-allestero/erasmus-mundus/docenti-e-ricercatori 6 Cfr. http://www.uniroma1.it/ateneo/amministrazione/uffici-amministrativi/ripartizione-ix-relazioni-internazionali. Nello staff della Ripartizione IX di ”Sapienza” università diRoma Graziella Gaglione (referente dei programmi di scambio UE-Russia, come iMultic) e Alessandra Criscuolo hanno collaborato all ’elaborazione dei dati quipresentati

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per e da Paesi con i quali maggiori sarebbero anche le difficoltàtecnico-burocratiche (soprattutto relative al regime di visti) 7.

L’avvio della mobilità per l'anno accademico 2012-2013 èstato preceduto, come per gli anni precedenti, da una fase diapplicazione e di selezione di tutte le candidature pervenutenell’arco del periodo di apertura dei bandi. In particolare, sonostate bandite borse di studio nel quadro dei seguenti progetti:

Multic (Multidisciplinary capacity-building for an improvedeconomic, political and university co-operation between theEuropean Union and the Russian Federation), finanziato perpromuovere la mobilità tra UE e Federazione Russa. Un secondoe un terzo bando sono stati riaperti tra aprile e agosto 2012 8,rivolti a dottorandi e ricercatori di università russe verso leuniversità partner europee (tra cui la Sapienza) e delle universitàpartner europee e della Sapienza verso le università russepartner in tutti i settori scientifico-disciplinari, per un periododi mobilità di sei mesi

Tee (Transatlantic Partnership for Excellence in Engineering)è il principale progetto di partnership tra UE, Canada e USArivolto a dottorandi, post-doc e ricercatori nell’ambito dellediscipline ingegneristiche 9

Mundus ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) è rivolto a tutte lecategorie in entrata verso l'Europa e a docenti e personaleamministrativo europei e della Sapienza in uscita in tutti isettori scientifico-disciplinari, per un mese di scambio ericerca presso le università partner 10

Element (Egypt-Lebanon-EU Mobility Exchange NeTwork)è il progetto di borse di studio e ricerca rivolto a studenti,dottorandi, post-doc e staff tra università UE consorziate(come la Sapienza) da e verso Egitto e Libano 11

Avempace - Jordan and Syria è il progetto attivo in tutti isettori scientifico-disciplinari per trascorrere periodi di mobilitàvariabili, a seconda della categoria di appartenenza (è rivoltostudenti, dottorandi, post-doc e staff) presso le università

7 Le borse di mobilità sono destinate a coprire le spese di mobilità, viaggio e assi-curazione dei beneficiari per periodi che vanno dai 6 ai 10 mesi per studenti,dottorandi e post-doc e di un mese per lo staff accademico e amministrativo, maanche di interi corsi di studio http://www.uniroma1.it/internazionale/studiare-e-lavorare-allestero/erasmus-mundus/bandi-aperti 8 Cfr. http://mundus-multic.org/project/news-source/2nd-call-for-applications-open 9 Cfr. http://tee-net.webs.upv.es/10 Cfr. http://mundusacp2.up.pt/ 11 Cfr. http://www.em-element.eu/

I progetti di mobilità per i quali sono state bandite borse di studio:Multic, Tee,Mundus ACP,Element,Avempace - Jordan and Syria

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partner dei Paesi terzi cui il lotto geografico fa riferimento,Giordania e Siria 12.

Negli anni precedenti altri progetti sono stati finanziati, tracui: Basileus (tra UE e Balcani occidentali)13; con il Caucaso(tra UE e Georgia, Armenia, Azerbaigian)14; Lisum (tra UE eCina)15 nonché un progetto di scambio tra UE e universitàpalestinesi, coordinato da un ateneo belga.

Proprio sulla base dei dati qualitativi e quantitativi dei flussi,emergono alcune osservazioni sulle tendenze e sulle prospettivedi questi programmi di mobilità.

Per l’anno 2011-12, come flussi incoming, notiamo alcunespecificità. Con i Balcani occidentali (programma Basileus)la mobilità ha rivelato un buon trend (compresa la mobilitàfemminile e soprattutto nelle facoltà dell’area politico-sociale-economica, nell’ambito delle lauree triennali e master) perun totale di 23 persone. Anche per l’Africa-Caraibi-Pacifico(Mundus ACP) vi sono state 22 persone, di cui 18 per le laureemagistrali (nell’ambito degli studi politici, sociali, economici,della cooperazione) e quattro per i dottorati, con una maggio-ranza maschile. Dal Caucaso meridionale (Erasmus Mundus 5)ci sono stati otto incoming (di cui quattro per master e dueper dottorati), mentre dalla Russia (Multic) 28 persone (in nettamaggioranza donne) si sono distribuite su differenti facoltà(per lo più Economia, Lettere e Ingegneria dell’informazione),in maggioranza per master e dottorati.

Considerati anche gli altri programmi di mobilità – comeEU-Nice con Paesi asiatici (15 più 28, in stragrande maggio-ranza maschi, per master in ingegneria civile), EuroTango conl’Argentina (quattro dottorandi), EU-Palestina (tre persone),Ffeebb con l’Egitto (20 persone, in maggioranza maschi, perseguire corsi di laurea triennale in lettere) – sui 141 incomingErasmus Mundus si può osservare che:1. i Paesi che hanno risposto meglio alle possibilità di scambiocon la Sapienza sono Russia ed Egitto (rispettivamente con 20)e – con grandi differenze di provenienza geografica – i candidati

12 Cfr. http://www.avempace.eu/ 13 Cfr. http://www.basileus.ugent.be/index.asp 14 Cfr. http://www.erasmusmundus5.gr/15 Cfr. http://www.lisum.ugent.be/index.asp

Nell’anno accademico 2011-12 sono stati 141gli studenti incomingdell’Erasmus Mundus.Tra i Paesi prevalgono Russia ed Egitto,tra le facoltà Economia e Ingegneria

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donne (69) sono in numero quasi pari a quello degli uomini (72)2. i candidati che maggiormente sono arrivati alla Sapienza inmobilità sono gli studenti di triennale (33) seguiti da studenti dilaurea magistrale o specialistica e dottorandi (entrambi in 15),mentre tra i candidati all’intero ciclo di studi prevalgono glistudenti di laurea magistrale (59)3. le facoltà maggiormente attrattive sono Ingegneria civile(35), Economia (32), Lettere (26).

Gli analoghi dati per gli incoming nell’anno 2012-13 ad oggidisponibili (73 persone) presentano i medesimi trend: 1. i Paesi di maggiore provenienza sono Russia (23) ed Egitto(16), con un aumento delle donne (43) rispetto agli uomini (30)2. maggioritari in mobilità sono gli studenti di triennale (16),rispetto agli studenti iscritti all’intero ciclo di laurea magistraleo specialistica (25)3. le facoltà più frequentate sono Economia (26), Ingegneriacivile (12), Lettere (11).

Naturalmente ai flussi incoming corrispondono nuovi flussidi mobilità outgoing: sono percorsi di interscambio e di integra-zione reciproca decisamente interessanti, in quanto realistrumenti di internazionalizzazione del mondo accademico eculturale italiano ed europeo16.

16 Grazie all’attività di informazione della Ripartizione IX - Relazioni internazionalidiretta da Antonella Cammisa e all’attività di promozione internazionale delProrettore alla Cooperazione e ai Rapporti internazionali Antonello Folco Biagini,si profilano anche interessanti e crescenti numeri di mobilità outgoing: infatti adoggi si segnala un totale di 20 persone (sette solo con il programma Element), inmaggioranza donne (13), soprattutto studenti triennali (nove), in mobilità dallaSapienza verso università straniere consorziate in programmi Erasmus Mundusattivi

Gli stessitrend si confermanoanche nei dati preliminari del 2012 -13

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Quando la mediazionee il dialogo fra culturesi imparano all’università

di Giovanna Motta“Sapienza” università di Roma - Coordinatrice del dottorato in Storia d’Europa

Il dottorato in Storia d’Europa della Sapienza:lo studio di specificità e legami fra le culturedel Vecchio Continente serve a formare nuoveprofessionalità che possono agire con efficaciain settori specifici nel campo dell’immigrazione

Negli studi storici si è andata sempre più affermando unanuova sensibilità che induce a percorsi di ricerca e rinnovatelinee di indagine, tese a riprendere l’idea di Europa in merito aiprocessi di unificazione, al relativo percorso dell’integrazione ealle recenti evoluzioni politiche economiche e sociali dell'areacontinentale e mediterranea. L’idea di Europa, in rapporto allacultura italiana, riprende impostazioni della storiografia tradizio-nale – a partire da Chabod e Saitta – per collocarla secondonuovi indirizzi acquisiti dagli studi storici in virtù dei processi diunificazione. La più recente attualità, con l’avanzamento delprocesso di integrazione all’Europa orientale, ha rinnovatol’interesse verso un approccio unitario alla storia europea checomprenda le culture nazionali presenti in ciascuna di talirealtà, mettendone in risalto la specificità e i legami con le altreculture.

Proprio a partire da questi legami, i diversi percorsi di ricercadel dottorato in Storia d’Europa presso la “Sapienza” universitàdi Roma tendono a far emergere, accanto alla “Grande Storiacostruita su personaggi di rilievo e intorno ad avvenimentiepocali (...) un’altra storia dal basso che porge inedite lettureoffrendo un'infinità di dettagli del passato collettivo” (Motta,2011:11). Dal lavoro di ricerca storiografica e documentale deicandidati affiorano i caratteri fondanti dell’identità storica eantropologica dei popoli, rinegoziati nei rapporti tra cultureegemoni e subalterne, tra gruppi maggioritari e minoritari,i l lustrando profili interessanti di intere aree culturali delVecchio Continente.

Il processo d’integrazione dei Paesi dell’Europa orientale ha rinnovato l’interesse verso un approccio unitario alla storia europea

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Il dottorato in Storia d’Europa della “Sapienza” università di Roma

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Il percorso di formazione e ricerca dei dottorandi – monitoratocostantemente dal Collegio dei docenti e dai tutor incaricati diseguirli nelle specifiche attività formative e di ricerca, nel corsodi seminari, conferenze, workshop – si è sviluppato e arricchitonel corso degli anni, acquisendo nuove risorse e instaurandouna fitta rete di collaborazioni con istituzioni accademichee culturali e organismi pubblici e privati, in Italia e all’estero. Ildottorato in Storia d'Europa ha inoltre intrapreso un processodi internazionalizzazione, insieme a università e istituzioni diricerca consorziate europee ed extra-europee, finalizzato allacostituzione di un dottorato europeo/internazionale per il rilasciodi titoli dottorali congiunti. I l dottorato intende promuoveree perseguire l’acquisizione di una formazione storiografica eculturale di livello europeo tesa a individuare, in un’otticainterdisciplinare, le caratteristiche di lungo periodo fondativedella civiltà europea.

Articolato in specifici curricula che privilegiano diversi settoridi interesse (profilo storico-politico dell’Europa in età modernae contemporanea; idea di nazione, Alleanza Atlantica, UnioneEuropea; processo e sviluppo delle società europee e fenomenidi modernizzazione; etno-linguismo e multicultura, una sfidaculturale di lungo periodo), promuove la ricerca sul terreno eun'intensa attività scientifica tesa allo scambio con altri Paesieuropei. Il dottorato da anni mira a implementare e incentivareprogetti di scambio di dottorandi, ricercatori, professori versoaltri territori, alimentando anche l’interesse di candidati estudenti attraverso l’organizzazione di conferenze, progettidi ricerca e istituzione di esami ad hoc.

Questi percorsi hanno stimolato nei dottorandi il consolida-mento di esperienze professionali e di nuove competenze lin-guistiche, nonché una capacità di adattamento a modellisocio-culturali distanti. In questi anni hanno concluso il ciclodi studi giovani dottori di ricerca reduci da esperienze di stu-dio, ad esempio, nello spazio ex sovietico e nei Paesi dell'a-rea balcanica e carpatico-danubiana. Uno dei vantaggi imme-diati derivanti dall'esperienza di immersione dei giovani stu-diosi nei diversi contesti è legata alle opportunità professio-nali e al valore aggiunto della nuova ricchezza linguistica-cul-turale acquisita all'estero.

Mediazione interculturale. Il paradigma del valore di questeesperienze risiede proprio nella formazione di nuove profes-sionalità in grado di agire efficacemente in settori specifici:nel campo dell'immigrazione e della mediazione socio-culturale,

Il dottorato in Storia d’Europa promuove l’acquisizione di una formazione inter-disciplinaretesa a individuare lecaratteristichedi lungo periodo fondative della civiltàeuropea

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ad esempio, in settori chiave quali la sanità e l’istituzionescolastica. Ad esempio l’articolo che segue in questo Primopiano, in cui si approfondiscono le problematiche e le pro-spettive dei progetti di scolarizzazione dei minori di origine rom,mostra come gli attori di questa azione volta all’intercultura eall’interazione tra diversi modelli culturali mettano in pratica leattitudini acquisite durante gli studi dottorali attraverso i principidella mediazione interculturale. Alla stessa stregua, l’articolosuccessivo di Francesco Pongiluppi sulla cooperazione in Turchiaevidenzia i possibili sbocchi professionali che la preparazionemultidisciplinare acquisita da un laureato in cooperazioneinternazionale consente di avere in questo settore.

Nel caso della scuola, la conoscenza delle vicende storichee politiche del contesto di provenienza, non ché la familiaritàcon i diversi modelli di organizzazione parentale e meccanismieducativi di determinati gruppi, acquisiti nei soggiorni deidottorandi, facilitano l'opera del mediatore come figura-pontetra l'istituzione e l'utenza. Favorendo l’apertura e il dialogotra le parti, egli definisce come punto di riferimento l’obiettivofondamentale dello sviluppo e del consolidamento dellapartecipazione genitoriale alla vita scolastica dei minori, lacreazione di un clima positivo all ’ interno delle scuole e unsostegno alle situazioni di fragilità o di ritardo didattico.

Un altro settore strategicamente centrale nel lavoro dimediazione è l'ambito sanitario, spesso carente di figureprofessionali fondamentali all'interno del dinamico quadroetnico-religioso della società occidentale contemporanea. Lacomplessità e la diversificazione interna delle comunità dimigranti e le problematicità di approccio ai servizi sanitaridi minoranze transnazionali o religiose suggeriscono – anchein ambito sanitario – l’avvio di un’azione polivalente e integratache miri al superamento del sistema emergenziale e al raffor-zamento dell’idea di una virtuosa gestione ordinaria. Questeprofessionalità, competenti e versatili, costituiscono il giustostrumento per sperimentare nuove prassi, attraverso strategietese all’autonomia, allo sviluppo delle attitudini individuali e alrispetto dell’identità culturale, con un modus operandi armonicoche tenga in considerazione la dinamicità e la polisemia dellediverse culture. Tale processo, sostenuto da concrete speri-mentazioni di nuovi sistemi di mediazione interculturale e volto alpunto di vista distintivo delle culture interessate, va attuatomediante il coinvolgimento attivo del sistema di attori istituzio-nali coinvolti e la promozione di un’efficace partecipazionedella comunità.

La scuola e la sanità,due settori in cui le professionalitàformate dal dottorato possono agire efficacemente,grazie alle competenze acquisite nel campo della mediazione

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I dottorandi consolidano le attitudini all’analisi e alla scrittura di progetti internazionali e alla pianificazionedi attivitàdi ricercaindividuali e d’equipe

Progettazione e formazione. L’esperienza maturata neglianni del dottorato, scanditi da una costante partecipazione aseminari, convegni, conferenze in ambito nazionale e interna-zionale, ha consentito ai dottori di ricerca di consolidare leattitudini all’analisi e alla scrittura di progetti di matrice inter-nazionale e alla pianificazione di attività di ricerca individualio d’equipe.

Tali attitudini trovano conferma in incarichi di livello apicaleottenuti da allievi che hanno completato il triennio del dottorato,dalla gestione del Servizio centrale protezioni rifugiati, a consu-lenze presso i dipartimenti ministeriali per l’Immigrazione e nelProgramma nazionale asilo. Un riferimento va poi alla proget-tazione e alla realizzazione di indagini conoscitive (nel caso deirom, per citare un esempio, le indagini qualitative/quantitativesulle principali problematiche nel settore della salute e del-l’accesso al mondo dell’occupazione) o alla capacità diimplementazione di campagne di sensibilizzazione, che agiscanoprincipalmente nel settore della comunicazione di massa(monitorando la comunicazione dei media e i fenomeni didiscriminazione razziale, etnica o religiosa) e che sianodistanti da orientalismi o folklorizzazioni dei fenomeni. Dinotevole impatto, senza dubbio, è la produzione di rapporti,con approcci di natura socio-statistica, su tematiche centraliquali l’immigrazione e l’integrazione delle comunità migranti;questo impegno ha portato alla pubblicazione di validi annuaristatistici che rappresentano strumenti preziosi per operatoridel settore, studiosi, dirigenti e funzionari delle pubblicheamministrazioni.

La collaborazione attiva alla programmazione e alla didatticadella cattedra ha condotto, come seguito degli studi dottorali,a interventi strutturati nel settore della formazione (program-mazione e realizzazione di seminari e workshop rivolti a studentiuniversitari, specializzandi e dottorandi), ma anche nel settoredell’ istruzione primaria e secondaria con esperienze didocenza in materie storiche e umanistiche.

Cooperazione allo sviluppo. Nel quadro delle professionalitàemerse dal dottorato in Storia d’Europa un settore di rilievoè quello della cooperazione allo sviluppo, la cui immagine siè affrancata in via definitiva dal legame con gli interventirealizzati nell’ambito delle missioni religiose. L’incremento deifinanziamenti alla cooperazione ha alimentato un circuitovir tuoso, garantendole un fascino trasversale per i l mondogiovanile e trasformandola contemporaneamente in uno dei

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terreni preferenziali del volontariato e in un settore occupa-zionale per lavoratori qualificati e disposti alla mobilità all’estero.I programmi di aiuto pubblico allo sviluppo, attuati diretta-mente dallo Stato o attraverso il finanziamento di organizzazioninon governative, hanno visto proliferare al loro fianco uncrescente numero di progetti sponsorizzati dal mondo dell’im-prenditoria privata attraverso il circuito delle fondazioni.

Le precedenti esperienze internazionali dei dottorandi,unite a una profonda conoscenza della politica internazionalee delle dinamiche geopolitiche, hanno così messo a disposizionerisorse umane meritevoli e qualificate in questo circuito. Losforzo di queste nuove risorse, che “Sapienza” e la formazionedottorale vanno a proporre, si muove verso la creazione di unmodello di cooperazione italiano orientato a forme nuove,confrontando le aspirazioni che ne sono state storicamentealla base con la posizione internazionale del Paese e il mutatocontesto politico mondiale. La macro-area e lo spazio diploma-tico in cui l’Italia risulta incontrovertibilmente inserita (unaregione che ricomprende i Paesi dell’Unione Europea, i Balcani,i l Maghreb, il Caucaso, i l Medio oriente, i l cosiddetto“Mediterraneo allargato”) sono evidentemente contesti storico-culturali indagati nell'ambito degli studi del dottorato in Storiad’Europa.

Altre professionalità. Le professionalità sopracitate costitui-scono solo un esempio dei numerosi percorsi professionali finqui svolti dagli allievi del dottorato. L'efficacia di una crescitacosì realizzata trova riscontro nelle molteplici occasioni lavorative,malgrado le difficoltà del momento. I dottori di ricerca in Storiad’Europa, nel tempo, sono diventati giornalisti professionisti,collaboratori parlamentari, archivisti, ricercatori, consulentialtamente specializzati che collaborano con atenei e accademiedi altri Paesi, docenti e collaboratori di istituiti linguistici e filo-logici, diplomatici, scrittori, assistenti parlamentari impegnatipresso istituzioni europee.

La cooperazioneallo sviluppo,un altro possibile sbocco professionale per gli studenti del dottorato della Sapienza

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anoDalle aule dell’ateneo

all’azione sul campo:il caso dell’istruzione dei minori rom

di Alessandro Pistecchia e Lino Posteraro Croce Rossa Italiana

Un esempio concreto di come venganomesse in pratica le attitudini acquisitenegli studi del dottorato in Storia d’Europa,volte all’interazione tra diversi modelli culturali

Le problematiche e le prospettive dei progetti di scolariz-zazione dei minori di origine rom costituiscono un esempiovalido di come i dottorandi in Storia d’Europa della “Sapienza”

università di Roma mettano in pratica leattitudini acquisite durante gli studi dottorali.Non va dimenticato infatti che molti di lorohanno sviluppato professionalità e abilitàlinguistiche attraverso esperienze di studionei Paesi dello spazio balcanico e carpatico-danubiano, dove sono venuti a contattoanche con le comunità rom. L’efficacia del-l ’esperienza di immersione dei giovani

ricercatori in altri contesti linguistici-culturali è comprovatadai molti progetti sviluppati poi sul campo.

La storia delle politiche educative e scolastiche verso lecomunità rom è stata posta storicamente sotto i l segnodell’obbligo e della coercizione poiché era opinione diffusache gli zingari fossero “tanto negativi da destare meraviglia”(Piasere, 1991: 159). La costruzione collettiva dell’immaginedei rom è stata da sempre caratterizzata da tre giudizi, trattatispesso in modo unitario: lo zingaro è un senza dio, è unincestuoso e non sa educare i propri figli. Alcuni intellettualieuropei, fra il XIX e il XX sec., hanno espresso giudizi in meritoall’educazione che gli adulti rom impartivano ai propri figli:Grellmann la definiva “specie di educazione”, mentre Predariparlava di vera e propria “assenza di educazione” poichésecondo lui: “gli zingari, come tutti i popoli rozzi, hanno uno

La comprovata efficacia dell’esperienza di immersione dei giovaniricercatori in altri contestilinguistici e culturali

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sviscerato amore per la propria prole; ed è appunto a questoamore, mal guidato, che vuolsi attribuire la funesta trascura-taggine loro nel procacciare ad essi qualche educazione.Giacché non è mai che il fanciullo di uno zingaro riceva uncastigo, e anche allora che si lasciano trasportare dalle più vio-lente passioni, dai più caparbi capricci, si veggono essi sempreaccarezzati e blanditi dai loro genitori” (Piasere 1991: 159).

È in un clima culturale oscillante tra pregiudizi etnocentricie stereotipi romantici che si sviluppano le prime azioni destinatea influenzare il percorso scolastico rom. Le prime cronache ciriportano alle politiche del dispotismo illuminato di MariaTeresa d’Austria e Giuseppe II, nella seconda metà del XVIIIsecolo, finalizzate a utilizzare la scolarizzazione come mezzo

di disciplina, formazione ed educazionedei bambini rom lontani dalle loro famiglie.Sarà poi dall’inizio dell’Ottocento che simoltiplicheranno le iniziative di alfabetizza-zione verso i bambini zingari, nella maggiorparte degli Stati europei, soprattutto attraversol’azione di missioni religiose. Il lavoro deimissionari non è stato finalizzato solo all’al-fabetizzazione dei gruppi rom, ma essi hanno

dato per primi ai dialetti zingari una versione scritta: le primetraduzioni di parti della Bibbia risalgono infatti proprio ai primidecenni del XIX sec.

Le prime iniziative messe in campo nel contesto europeovedono l’emanazione di una serie di raccomandazioni e risolu-zioni del Consiglio d’Europa (1969-1984), che portano all'avviodi seminari e attività di informazione sulla scolarizzazione deibambini rom. L’esito di decenni di sensibilizzazione e attenzionealla problematica conduce nel 1989 a una risoluzione delConsiglio dei ministri dell’Istruzione, testo politicamente fon-damentale, che integra il patrimonio culturale e linguisticoromanì come parte del patrimonio della Comunità, implementandole iniziative per migliorare la scolarizzazione, con il coinvolgi-mento di rappresentanti e intellettuali della popolazione.

In Italia la scolarizzazione dei minori rom prese il via nel 1959:su richiesta del vescovo di Trento, il sacerdote don BrunoNicolini, allora presidente nazionale dell’Opera Nomadi,assunse l’incarico di occuparsi della pastorale di rom e sinti,cioè della loro evangelizzazione. Attraverso l’opera di sacerdotie volontari, i rom venivano accolti nelle parrocchie e si insegnavaloro a leggere e a scrivere, illustrando il Vangelo e i principidel cristianesimo. Per l'inserimento a scuola dei rom nel 1965

I pregiudizi storici sulla educazione dei minori rome le iniziative per la loro scolarizzazione, intrapresea partire dal XVIII secolo

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i l ministero della Pubblica Istruzione stipulò una convenzio-ne con l’Opera Nomadi e l’istituto di Pedagogia dell’univer-sità di Padova, con la creazione di classi speciali per alunnizingari denominate LacioDrom (Buon Viaggio). L’accordoriconosceva le undici classi “speciali” come classi di Statoche dovevano funzionare all’interno delle scuole comuni; dele-gava inoltre una parte della responsabilità all’associazione divolontari che si sarebbe occupata del trasporto scolastico edella sensibilizzazione delle famiglie e infine affidava all’uni-

versità di Padova l’organizzazione di corsibiennali per la specializzazione degli inse-gnanti e lo studio dei problemi concernenti lascolarizzazione dei minori rom. Nel 1971 leLacioDrom erano già diventate sessanta,con uno scenario molto più ampio rispetto aquello di partenza. Si decise, pertanto, dimodificare la vecchia convenzione e stabilireche le classi differenziali per soli alunni rom

sarebbero state utilizzate esclusivamente come luoghi di pre-parazione in vista dell’inserimento nelle classi comuni; leLacioDrom sarebbero inoltre servite per il recupero di queglialunni che presentavano un notevole ritardo didattico e unafrequenza irregolare. Nel 1982 viene stipulata un’ulterioreconvenzione nella quale si stabiliva che i bambini rom in etàdi obbligo scolastico dovevano essere inseriti nelle scuolepubbliche e che per coloro che evidenziavano particolari diffi-coltà di apprendimento sarebbe stata disposta l’assegnazionedi un insegnante di sostegno, uno per almeno sei alunni zingariinseriti nelle diverse classi. Tale convenzione, riferita alla solascuola elementare, sarà annullata dalla circolare ministerialen. 207/1986: l’assegnazione degli insegnanti di sostegno venivacosì determinata in base alla presentazione di specifici progettieducativi. Il salto compiuto in meno di trent’anni era stato enorme:gli alunni rom erano passati dalla segregazione in classi diffe-renziate della prima fase emergenziale alla scolarizzazione dimassa.

A tutt’oggi, nonostante le varie disposizioni ministeriali, laConvenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e la normativanazionale ed europea, appaiono carenti i risultati raggiunti inmateria di formazione scolastica a favore delle comunità rome sinte, con rari progetti virtuosi tesi all’autonomia e allo stimolodella genitorialità.

Il problema della dispersione scolastica può essere affrontato

La via italiana alla scolarizzazione dei rom;dalla pastorale di don Bruno Nicolini alla esperienza delle LacioDrom

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invece proprio con progetti mirati che impegnino espertiinterculturali che, attraverso un'opera di mediazione con lafamiglia e con la scuola, favoriscano una didattica interculturalee un reale inserimento socio-culturale dei bambini. È proprioin tal senso che si sviluppano le attività di alcuni dei dottorandiin Storia d’Europa, nell’ambito di specifici progetti condotti intutto il territorio nazionale che consentono di sviluppare alcuneconsiderazioni sugli aspetti fondamentali per il successo dideterminate iniziative.

Una condizione necessaria al successo formativo dell’alunnorom è quello di evitare “situazioni ghettizzanti”, scongiurandola formazione di classi a forte concentrazione di studenti rom.È quindi fondamentale il ruolo dei mediatori scolastici che, in

concerto con le scuole, favoriscano unadistribuzione omogenea degli alunni romnelle classi, anche se spesso si trovano adaffrontare diversi ordini di problemi: da unaparte le richieste di quei genitori rom chevogliono che il proprio figlio sia inserito inscuole frequentate da altri bambini apparte-nenti alla sua stessa famiglia (ad esempiofratelli o cugini), dall’altra il rifiuto di nuove

iscrizioni da parte di scuole a forte concentrazione di alunnistranieri. Far incontrare la domanda e l’offerta diventa quindidifficile, per questo importante è il ruolo del mediatore culturaleche cercherà di conciliare le richieste della famiglia con leesigenze della scuola.

In ambiente scolastico la preoccupazione del genitore èancor maggiore: il pericolo è che al bambino possa succederequalcosa, o che al bambino possano mancare le cure neces-sarie data l’assenza di un adulto significativamente responsabile.È proprio per questa ragione che a scuola, così come spessoavviene al campo, la responsabilità dei bambini più piccoli èaffidata ai fratelli maggiori, ai cugini o agli zii. Agli occhi deigenitori questi diventano la garanzia dell’incolumità dei piùpiccoli, che si trovano in un ambiente considerato scarsa-mente protettivo. Bisogna tuttavia precisare che la frequenzadei fratelli maggiori non è garanzia sufficiente del fatto chevengano mandati a scuola anche i bambini più piccoli. Èfrequente imbattersi in genitori che, contravvenendo al dovereistituzionale che li obbliga a iscrivere a sei anni il propriobambino nella scuola primaria, decidono di lasciare a casa ilfiglio e rimandare agli anni successivi l’inizio della frequenza.Alcuni genitori sono infatti convinti che il proprio figlio non sia

La dispersione scolastica si affronta con progetti mirati condotti da esperti che facilitano la mediazionefra famiglia e scuola

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sufficientemente autonomo per “entrare” nel nuovo ambiente.L’analisi del fenomeno della scolarizzazione va affrontata

anche considerando il grave ritardo scolastico che caratterizzala maggioranza degli alunni di origine rom. Nonostanteimportanti progressi e progettualità innovative, allo statoattuale la scuola non è sempre in grado di fornire strumentiadeguati che possano colmare il gap esistente tra i bambinirom e gli altri alunni: i minori rom sono spesso gli “ultimi”della classe, coloro che non riescono a seguire il regolareprogramma didattico e che hanno continuamente bisogno diun aiuto esterno che possa garantire loro il raggiungimentodi risultati minimi. Gli insegnanti lamentano una profonda fru-strazione derivante dall’incapacità di ricorrere ad adeguatimezzi d’insegnamento.

Nella maggior parte dei casi l’insuccesso scolastico deglialunni rom è imputato a una serie di moti-vazioni quali la scarsa frequenza, la differenzalinguistica, l ’oralità della cultura romanì,l ’elevato tasso di analfabetismo degli adulti.La stessa condizione abitativa (circa unametà di rom e sinti presenti in Italia vive neicampi, dislocati spesso nelle aree periferichedei centri urbani) resta un fattore all’originedi marginalità e difficoltà di integrazione.

In questo contesto di generalizzata difficoltà, fondamentalipossono divenire le attività di rinforzo didattico, quella di tutoringe la creazione di laboratori interculturali. Se le attività disostegno alla didattica sono mirate al singolo alunno, il labo-ratorio interculturale costituisce invece un momento in cuioccorre lavorare non solo sul singolo minore, ma sull’interocontesto ospitante, sul gruppo-classe nel suo complesso, conil fine di sostenere le scuole nell'arduo compito di educare lenuove generazioni all'interculturalità. La forma del laboratoriointerculturale si basa sulla valorizzazione delle differenzecome una ricchezza. Valorizzare le caratteristiche delle diverseculture di provenienza può voler dire prevenire e neutralizzaredifficoltà relazionali e tendenze discriminatorie nei confrontidegli alunni rom. Valorizzare la diversità culturale può inoltreaiutare il minore a prevenire il possibile effetto di “rigetto”dalla cultura d’origine dettato dal bisogno di sentirsi accettatodal contesto di approdo. È frequente, infatti, imbattersi in casidi ragazzi che, vergognandosi della propria condizione di alunnirom, tendono a celare sia la loro identità individuale sia la loroprovenienza familiare, finendo per inventare storie parallele.

Tutoraggio ed educazioneall’interculturalità di tuttoil gruppo-classe, le vie per superare le difficoltàdidattiche degli alunni rom

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I laboratori d’intercultura sono anche concepiti per facilitarel’apprendimento della lingua italiana. Le difficoltà scolastichedegli alunni rom sono determinate anche da una complessitàlinguistica estremamente sbilanciata verso il romanés, linguache prevale rispetto all’uso dell’italiano, utilizzato solo a scuolae nella comunicazione con i gagé (non rom). I ragazzi rompresentano quindi difficoltà di espressione, comprensione escrittura dell’italiano e si ritiene quindi utile coinvolgerli in attivitàche prevedono l'esposizione, il contatto e la comunicazionecon persone madrelingua. I laboratori si propongono di accom-pagnare i ragazzi in un percorso di scoperta e conoscenza diuna realtà multietnica, quale è quella italiana, attraverso laconoscenza di abitudini culturali differenti dalle proprie.

Le diverse esperienze di scolarizzazione che hanno interes-sato le comunità rom presenti nelle città italiane dimostrano cheuno dei fattori di maggior rilevanza a proposito dell’insuccesso

scolastico degli alunni rom sia determinatodai bassi livelli di scolarità degli adulti, chespesso non possiedono adeguati strumentiper seguire e sostenere fattivamente il percorsodidattico dei propri figli. Resta diffusa unapercezione della scuola come istituzioneinvasiva e assimilatoria, intesa come agenziaformativa, come una realtà estranea, scarsa-mente protettiva e potenzialmente competitiva

rispetto al modello educativo tradizionale. I progetti di scolarizzazione esistenti puntano quindi a far

avvicinare i due mondi e a smontare i vicendevoli pregiudiziesistenti nella convinzione che sia possibile attuare una sintesitra il modello educativo tradizionale e quello scolastico-istituzio-nale. In conclusione, l'opera di inclusione sociale delle comunitàromanì, nel settore dell'istruzione così come in ambito occupa-zionale e di tutela della salute, può realizzarsi solo attraversouna duplice azione: favorendo il coinvolgimento e la partecipa-zione della popolazione e continuando l'opera di sensibilizzazionepresso i gagé. Attraverso una strategia tesa all’autonomia, allosviluppo delle attitudini individuali e al rispetto dell’identitàculturale, si deve agire armonicamente tenendo in considerazionela dinamicità e la polisemia delle culture rom e sinte.

I progetti di scolarizzazionepuntano a far avvicinareil mondo dei rom e quellodella scuola smontandoi vicendevoli pregiudizi

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La Turchia, un Paesein forte sviluppo che offreopportunità di lavoroai nuovi cooperanti

di Francesco PongiluppiRicercatore e consulente linguistico

Le Ong che operano nel Paese della Mezzaluna hanno bisogno di personale preparato e dotato di una formazione multidisciplinare, per stareal passo con i cambiamenti della società e con le sfide della cooperazione turco-africana

La Turchia, un Paese in continuo sviluppo, è divenuto unmercato importante su cui investire le proprie professionalità.Forti legami culturali ed economici legano l’Italia e la Turchiae oggi Ankara può offrire diverse opportunità lavorative nelsettore della cooperazione. Tra Ong turche e un mercato cheguarda a Sud, il Paese della Mezzaluna è un’opzione valida pertutti coloro che intendono proseguire la propria formazioneall’estero.

Con una crescita economica che ha registrato nel terzotrimestre del 2011 un indice pari all’8,95, la Turchia risultaessere una delle economie più virtuose su scala mondiale.Posizionata geograficamente su due continenti, e prossimaall’Africa, si candida come leader della macro regione. Il Prodottointerno lordo (Pil) è in continua crescita dal 2002 grazie allanuova politica estera inaugurata dal governo Akp del premierRecep Tayyip Erdogan, che ha perseguito da subito una strategiaeconomica volta a una maggiore integrazione nel commerciomondiale.

La Turchia è un Paese del Mediterraneo che ha forti legamiculturali e storici con l’Italia. Il nostro Paese risulta tuttora uno deiprincipali partner commerciali della Turchia, il quarto su scalamondiale, grazie alla continua crescita del volume di scambiiniziata a partire dall’anno 2000: oggi l’interscambio è pari a21,30 miliardi di dollari (dato 2011). Quindi, sotto il profilo dellacooperazione economica, il Paese della Mezzaluna continua aoffrire importanti opportunità alle aziende italiane che da anniproducono e operano in territorio turco. Nonostante la crisi

I legami culturali ed economici con l’Italia e la presenza di molti enti del terzo settore fannodella Turchia una valida opzione per chi vuole proseguire la sua formazione all’estero

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Le opportunità di lavoro per i nuovi cooperanti

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economica che affligge l’Europa, il mercato turco continua adattrarre investimenti per la costante crescita dei consumi interni.

Un settore che potrebbe offrire grandi opportunità è quellodelle tecnologie avanzate, poiché il sistema industriale turconecessita di aumento della produzione e miglioramento dellaqualità. Altri settori che avranno un notevole sviluppo sarannola protezione ambientale, le energie rinnovabili e la riorganiz-zazione del sistema urbano.

Ecco perché il Paese necessita di personale qualificato e spe-cializzato in determinate aree per competere nelle nuove sfide.Risulta quindi molto appetibile la figura di un laureato incooperazione internazionale, in quanto avente una preparazionemultidisciplinare che permette di essere in sintonia con ilrepentino cambiamento della società. Una possibile area, quelladella cooperazione economica, che non dovrebbe esseresottovalutata dai neolaureati italiani in cooperazione interna-zionale, in relazione alle reali opportunità che questo Paese delMediterraneo può offrire. In tal senso, la stessa possibilità ditirocinio post universitario presso la sede dell’Istituto nazionaleper il commercio estero (Ice) può diventare un’utile esperienza inquanto l’istituzione è in stretto contatto con le aziende italianeche operano nel territorio turco.

La cooperazione turco-africana. Se l’Europa risulta ancoraessere il primo partner economico, nuovi mercati e nuovealleanze hanno diversificato la politica estera turca: tra i mercatiemergenti sicuramente quello africano e quello mediorientalehanno dato una nuova spinta agli investimenti esteri.

In particolar modo la cooperazione turco-africana nell’ultimodecennio ha visto nascere importanti progetti in diversi settori.Le relazioni turco-africane hanno potuto svilupparsi anche permezzo dell’Organizzazione della conferenza islamica, a cuiaderiscono ventisette Paesi africani, in cui dal 2005 ilPresidente è Ekmeleddin Ihsanoglu, accademico e diplomaticoturco.

Il 2005 è stato l’anno in cui le relazioni tra Ankara e il conti-nente africano hanno iniziato a sviluppare importanti successi,tra questi sicuramente la decisione dell’Unione Africana diconferire alla Turchia lo status di osservatore in seno all’orga-nizzazione con sede ad Addis Abeba, in Etiopia. Dal 2008, annodel primo Summit di cooperazione turco-africana, si sonosusseguiti diversi incontri in Turchia tra le diverse organizzazionie istituzioni mondiali che si occupano di cooperazione inAfrica, con il fine di impegnarsi nel rispetto del diritto interna-

Un Paese che guarda all’Africa e alMedio-Oriente,candidandosicome leaderdella regionedelMediterraneoorientale

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zionale e della democrazia così come nel perseguimento dellagiustizia sociale e dello sradicamento della fame e della povertà.

Istanbul, la città posta su due continenti, negli ultimi anni èdiventata un centro internazionale, così come la vecchiaCostantinopoli lo è stata per secoli. Un numero sempre maggioredi studenti provenienti dal “Sud del mondo” decide di trasferirsinella città sul Bosforo per iniziare o completare i propri studianche, e soprattutto, grazie alle borse di studio offerte ai cittadiniprovenienti da regioni in via di sviluppo.

La Turchia e i Pma. Sempre ad Istanbul il governo turco nel 2007ha ospitato la Conferenza dei “Paesi meno avanzati - Pma”(Last Developed Countries - LDCS) evidenziando la volontàdi far divenire la Turchia il “portavoce” del segmento più poveroe più debole della comunità internazionale. I Pma comprendonooltre 880 milioni di persone (circa il 12% della popolazionemondiale) ma rappresentano meno del 2% del Pil mondiale ecirca l’1% del commercio globale di merci.

Tra il 9 e l’11 luglio del 2007 l’Undp (United Nations

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Development Programme), l’Un-Ohrlls (l’ufficio delle NazioniUnite dell’Alto rappresentante per i Paesi meno sviluppati, iPaesi in via di sviluppo senza sbocco sul mare e gli Stati insulariin via di sviluppo) e la Repubblica di Turchia hanno organizzatola conferenza sul tema “Making Globalization Work for theLeast Developed Countries”. È emersa la volontà turca diassistere i Pma con progetti di sviluppo e donazioni pari a 65milioni di dollari.

In qualità di Paese donatore emergente, la Turchia ha dimo-strato di essere uno tra gli attori principali della comunitàinternazionale nell’aumentare l’impegno all’assistenza deiPaesi meno sviluppati. In linea con il crescente interesse e ladeterminazione verso i problemi globali, il governo di Ankaraha continuato a estendere il proprio sostegno ai progetti diassistenza tecnica della Conferenza delle Nazioni Unite sulcommercio e lo sviluppo (Unctad) attraverso l’Agenzia turcadi cooperazione e sviluppo internazionale (Tika), oltre agliaiuti ufficiali allo sviluppo (Oda) e agli investimenti nel settoreprivato. Tra il 9 ed il 13 maggio del 2011 la quarta conferenzadell’Un-Ohrlls è stata svolta nuovamente a Istanbul, con lapartecipazione di circa 10mila persone tra cui capi di Stato,parlamentari, Ong e rappresentanti del settore privato e degliStati membri delle Nazioni Unite.

La Turchia ha contribuito nel prendere gli accordi necessariaffinché la conferenza ospitata a Istanbul raggiungesse gliobiettivi preposti. Come membro del G20, è stata attivamenteimpegnata nella sensibilizzazione sulle questioni relative aiPaesi meno sviluppati.

Forte sostenitrice della cooperazione Sud-Sud, ha fornitol’esperienza come potenza emergente nell’assistenza allosviluppo. Nel corso degli anni Ankara ha posto la conoscenzae lo scambio di esperienza al centro delle sue politiche disviluppo concentrandosi sia sui progetti a breve termine, conun impatto immediato sulle comunità locali, così come neiprogetti infrastrutturali a lungo termine, tra cui strade, canalidi irrigazione, dighe, scuole, ospedali e abitazioni.

Sono stati realizzati con successo progetti di sviluppo in 23Paesi partner attraverso i 26 uffici della Tika e, come Paeseospite della Conferenza, la Turchia ha preso l’impegno a fornireai Pma 200 milioni di dollari per progetti di cooperazione tecnicae borse di studio.

Ad oggi gli investimenti della Turchia nei Pma hanno superatoi due miliardi di dollari. L’obiettivo dell’attuale governo chesiede ad Ankara è di aumentare il livello degli investimenti

Forte è l’impegno turcoverso i Pma,ovvero i Paesi meno avanzati,che si concretizza,in una serie di investimenti,progetti di sviluppo e donazioni per un valoresuperiore ai due miliardi di dollari

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diretti ai Pma, stimolando il settore privato turco, per poterarrivare a un totale di cinque miliardi di dollari entro il 2015.

Una politica win-win prevale nella partnership strategicadella Turchia con i Pma. Il governo turco attribuisce estremaimportanza al suo impegno nell’includere vari settori per sostenereil rafforzamento dell’integrazione regionale tra questi Paesi, perfornire assistenza allo sviluppo in termini di cooperazionetecnica e aiuti finanziari, per assicurare che la sua cooperazionenei progetti avviati abbia un impatto positivo sullo sviluppo. Sitratta di una multi-stakeholder partnership che comprende nonsolo le istituzioni governative, ma anche le organizzazioni dellasocietà civile e il settore privato.

Un’opportunità di lavoro? Per quanto riguarda la cooperazioneallo sviluppo e le opportunità di lavoro nelle Ong, in Turchianon si registrano attività o progetti di una certa portata daparte di organizzazioni italiane. Il motivo sta nel fatto che laTurchia è diventata una potenza emergente, e nelle sue regionisottosviluppate, come l’Anatolia Sudorientale, operano princi-palmente Ong locali. Tra queste vanno menzionate sicuramentedue grosse Ong: la “Kimse Yok Mu?” e la “Ihh”.

La “Kimse Yok Mu?”, frase che in turco significa “c’è qualcunolà?”, è una delle principali organizzazioni non governative turche,che ha sviluppato negli ultimi anni importanti progetti in tuttoil mondo e principalmente in Somalia, dove l’organizzazioneha raggiunto un accordo con il governo di Mogadiscio inmateria di cooperazione sanitaria. Nella città del Cornod’Africa, l’ospedale più grande della capitale sarà ristrutturatoe mantenuto in parte dall’associazione turca.

L’altra Ong, la “Insani Yardım Vakıf (Ihh)”, attiva dal 1995, èuna delle più popolari in Turchia e in Medio Oriente. L’Ihhpone come obiettivo primario l’assistenza alle comunità colpiteda guerre, instaurando una cooperazione con le organizzazionilocali affinché si implementino progetti permanenti che vadanoa stabilire il concetto di giustizia sociale attraverso la riduzionedella povertà. Il carattere musulmano dell’organizzazione hapermesso alla stessa di operare in aree prescluse alla maggiorparte delle organizzazioni occidentali.

Il Sud del Niger e la Somalia sono le regioni in cui la Ihh haoperato e opera in uno stato di quasi esclusività. In Somalia haattivato diversi progetti fornendo aiuti umanitari a più di800mila somali residenti sia nell’area di Mogadiscio sia nellaregione Shabelle, con un investimento di oltre sette milioni di lireturche, e distribuendo aiuti anche presso le zone controllate

In Turchia le Ong italiane non sono molto attive,ma in compenso ci sono molti soggetti locali impegnati nel settore

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dalle milizie Al-Shabaab. Con la crisi in Siria, e l’afflusso dimigliaia di rifugiati in Turchia nei diversi campi profughi allestitioltre il confine, le attività di Ong e associazioni si sono moltiplicate.In seguito ai diversi cambi di regime che hanno interessatoi Paesi protagonisti della “primavera araba”, i progetti allosviluppo finanziati dalle organizzazioni turche si sono molti-plicati nella regione araba. Oggi la piattaforma delle Ong turchepuò garantire l’assistenza allo sviluppo in diversi progetti e laTurchia è divenuta un importante centro nella cooperazioneinternazionale.

Ecco perché diventa un’opzione concreta poter lavorare nelsettore umanitario in Turchia. Le diverse Ong locali hannonecessità di personale qualificato e le professionalità acquisitenelle università italiane presso i corsi dedicati alla cooperazionee allo sviluppo internazionale – tra i quali quello istituito alla“Sapienza” università di Roma – offrono un’importante prepa-razione ai candidati a un impiego nel settore.

Si può osservare come attualmente la Turchia sia diventatoun Paese su cui investire la propria formazione, una regioneche riveste una notevole importanza per la sua privilegiataposizione geopolitica e che deve essere vista come una basedi partenza per intraprendere un percorso lavorativo, special-mente nel campo della cooperazione. Un’esperienza chepermette di poter conoscere un’altra realtà della cooperazioneinternazionale, quella delle Ong a carattere islamico cheoperano in tutto il mondo e che sono in continua espansione,grazie ai fondi provenienti dalle diverse comunità di fedeli inoccasioni di festività religiose e grazie al supporto di diversiPaesi musulmani della regione mediorientale.

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A cura di Gabriele VargiuInsegnante di cucina italiana

Quattro quesiti rivolti ad altrettanti dirigentie docenti della Sapienza per conoscere le loroopinioni sullo stato del “processo di Bologna”e su progetti, risorse e risultati del programmadi internazionalizzazione dell’Ateneo

Luciano Saso“Sapienza” università di Roma - Delegato del Rettore per la mobilità internazionale

Tredici anni fa ventinove ministri europei dell’istruzionesottoscrivevano la dichiarazione di Bologna, passo fonda-mentale per la creazione di un comune Spazio europeodell’istruzione superiore finalizzato all’armonizzazionedelle politiche continentali in materia. Qual è ad oggi lo statod’avanzamento del progetto?

Il “processo di Bologna” ha svolto e continua a svolgere unruolo fondamentale per l’armonizzazione dei sistemi di istruzioneeuropei. Gli obiettivi principali enunciati nel 1999 a Bologna eribaditi successivamente sono legati alla costruzione di unoSpazio europeo dell’istruzione superiore che si fondi sullalibertà accademica, l’autonomia istituzionale e la partecipazionedi docenti e studenti al governo dell’istruzione superiore,generi qualità accademica, sviluppo economico e coesionesociale, incoraggi studenti e docenti a muoversi liberamente esviluppi la dimensione sociale dell’istruzione superiore, favorendoal contempo l’occupabilità e l’apprendimento permanente deilaureati e l’apertura a collaborazioni con i sistemi d’istruzionedi altri parti del mondo.

Per raggiungere tali obiettivi sono state impostate numeroseriforme strutturali tra cui l’introduzione di un sistema di titolicomprensibili e comparabili (il sistema a tre cicli di primo,secondo e terzo livello), la trasparenza dei corsi di studio

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attraverso un comune sistema di crediti basato sul carico dilavoro e i risultati di apprendimento, e attraverso il DiplomaSupplement, il riconoscimento dei titoli e dei periodi di studioall’estero, un approccio condiviso all’assicurazione della qualità,l’attuazione di un quadro dei titoli per lo Spazio europeo del-l’istruzione superiore.

Il “processo di Bologna” ha sempre avuto un rapporto moltostretto con Erasmus, il principale programma europeo per lamobilità studentesca che ha consentito dal 1987 ad oggi acirca tre milioni di studenti di studiare all’estero. Le difficoltàincontrate dagli studenti in mobilità nell’individuare corsi distudio simili e nell’ottenere il successivo riconoscimento delleattività formative svolte all’estero indusse infatti i ministridell’Istruzione di Italia, Francia, Germania e Regno Unito aincontrarsi a Parigi nel 1998 e a redigere la dichiarazione dellaSorbona che prelude a quella di Bologna dell’anno successivo.

Nel 2009 a Lovanio 46 ministri dei Paesi partecipanti al“processo di Bologna” fissarono un altro ambizioso obiettivo:“Nel 2020 almeno il 20% dei laureati dello Spazio europeo

dell’istruzione superiore dovranno averavuto un’esperienza di mobilità all’esteroper studio o formazione”. Stiamo cercandodi conseguirlo anche grazie al nuovo pro-gramma “Erasmus for All” 2014-2020 chegodrà di un finanziamento di circa 19 miliardidi euro e offrirà a circa cinque milioni distudenti, docenti e personale amministrativoopportunità di mobilità internazionale favo-

rendo nuovi accordi di partenariato non solo tra istituzionidegli attuali Paesi partecipanti al programma Erasmus (27dell’Unione Europea più Norvegia, Islanda, Svizzera, Turchia,Croazia, Macedonia e Montenegro) ma anche con quelle dialtri Paesi non europei.

Nonostante le attuali difficoltà economiche, l’Unione Europeasta quindi procedendo con una delle più grandi riforme deisistemi di istruzione mai realizzate nella storia che avràsenz’altro un’influenza molto positiva anche sulla sua coesioneinterna politica e sociale in linea con quanto affermò JeanMonnet, uno dei suoi padri: “Se l’Europa fosse da rifare iocomincerei dalla cultura” .

Luciano Saso: “Cerchiamo di raggiungere l’obiettivo UE per il 2020: avere almeno il 20%di laureati con una esperienza di studio all’estero”

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Raimondo Cagiano de Azevedo“Sapienza” università di Roma - Delegato del Rettore per le relazioni istituzionali e internazionali

In un panorama continentale e globale sempre più inter-connesso e interdipendente lo sviluppo di sinergie tra gliistituti universitari, nonché la creazione di un’efficienterete internazionale del sapere appaiono esigenze irrinun-ciabili per tutti gli atenei italiani. Quali sono, a suo avviso,i risultati raggiunti e gli obiettivi futuri di “Sapienza” univer-sità di Roma nel campo dell’internazionalizzazione delladidattica e della ricerca accademica?

Le sinergie tra istituti universitari a livello internazionalenon sono di oggi, né della globalizzazione; per definizione, la

ricerca scientifica e anche la formazione dieccellenza non hanno confini nazionali el’attuale processo di globalizzazione non hafatto che istituzionalizzare sempre di piùquesto carattere dell’accademia. Nel casodella Sapienza questo appare esplicito findalla Bolla di fondazione dell’università daparte del Papa Bonifacio VIII; ed è semprepiù esplicito anche nei programmi enunciati

dal nostro Rettore e con lui dagli organi accademici.La posizione internazionale della Sapienza è di assoluto

rilievo tra le università italiane e in taluni settori è di eccellenzain Europa e nel mondo: questo vale nel campo della ricercascientifica, in taluni ambiti formativi, nelle grandi campagnearcheologiche, nei nuovi programmi comunitari come ErasmusMundus, in alcuni progetti innovativi di cooperazione interna-zionale (come nel caso di dottorandi palestinesi).

In prospettiva anche la Sapienza riorganizza le sue strutturein funzione degli obiettivi da perseguire. Così nella formazionesi incentiva la realizzazione di corsi di laurea in lingua, la parte-cipazione alla didattica di autorevoli docenti visitatori, lamobilità di studenti e in particolare di laureandi e dottorandi.Per la ricerca scientifica l’impegno è nei settori di punta ein quelli a forte componente tecnologica avanzata. Per lacooperazione si punta sul sostegno a iniziative in settori parti-colarmente sensibili tra cui quello medico-chirurgico.

Ogni anno, inoltre, gli organi accademici della Sapienzaorientano su aree strategiche prioritarie le realizzazioni legatead accordi accademici internazionali che raggiungono oggila cifra di oltre duecento partenariati.

Raimondo Cagiano de Azevedo:“La ricerca scientifica e la formazione di eccellenza,per definizione, non hanno confini nazionali”

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Antonella Cammisa“Sapienza” università di Roma - Dirigente settore Programmiinternazionali della Ripartizione IX Relazioni internazionali

Dall’affermato programma Erasmus, alla promozione didottorati internazionali, fino all’attivazione di un crescentenumero di corsi di laurea in lingua inglese: quali sono leiniziative avviate e i progetti in cantiere per incentivareancor più il profilo internazionale della Sapienza?

Molte sono le iniziative promosse negli ultimi anni dall’ateneosul piano dell’internazionalizzazione della didattica e dellaricerca accademica. Per ciò che concerne il primo settored’intervento il più importante e noto strumento è chiaramenteil programma Erasmus, ma è bene ricordare che accanto aquesto convivono una serie di altri programmi europei rivolti aentrambi gli aspetti citati e promossi dall’università. Ulterioriiniziative vengono inoltre portate avanti in attuazione degliindirizzi espressi dal ministero dell’Istruzione, dell’Universitàe della Ricerca e per il rafforzamento dell’Area europea del-l’istruzione superiore. Mi riferisco innanzitutto al programma

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“Erasmus Mundus”, nato in risposta all’esigenza di renderel’Europa un polo di attrazione per studenti, laureati e ricercatoriproveniente da altri continenti. Con tale Programma sono statiavviati, tra un numero crescente di istituzioni universitarie, corsiin lingua inglese, master e dottorati congiunti cui giovani datutto il mondo hanno potuto prendere parte grazie alle gene-rose borse di studio messe a disposizione dall’UnioneEuropea attraverso il programma.

La Sapienza ha assunto un ruolo di primaria importanzaall’interno del panorama nazionale ed europeo, all’interno dipartenariati vincenti con alcuni Paesi dell’America Latina,dell’Asia, del mondo arabo, dell’area dell’Est Europa e dellaRussia, e di quella Acp - Africa, Caraibi, Pacifico.

Per quanto riguarda i dottorati di ricerca già da tempo sonostate agevolate le procedure di selezione dei candidati stranieri,

per le quali si ricorre sempre più spessoall’ausilio di mezzi informatici quali Skype.Inoltre da qualche anno sono state riservatespecifiche borse per la frequenza delle scuoledi dottorato, destinate a laureati stranieri, esono stati erogati specifici contributi persupportare l’avvio di corsi di studio e didottorato in lingua inglese, anche attraversolo strumento dei visiting professors per attività

didattiche. Queste misure, assieme agli ulteriori interventimessi in luce anche dagli altri intervistati della Sapienza, hannofavorito un marcato rafforzamento del profilo internazionale dellanostra università.

Rosalba Natale“Sapienza” università di Roma - Dir igente settoreProgrammi internazionali della Ripartizione IV Studenti

Nel corso del 2010-2011 poco meno di 20mila studentieuropei hanno scelto le università italiane come meta delproprio programma Erasmus, confermando l’Italia qualequarta destinazione più ambita dai partecipanti al progetto.Al pari, i dati riguardanti la mobilità in uscita mostrano unincremento del numero di giovani interessati a svolgereuna parte della propria formazione universitaria all’estero.Quanto è importante e quale è stato il contributo della Sapienzaalla crescita della mobilità studentesca in questo ambito?

Il contributo della Sapienza è dimostrato dal numero in

Antonella Cammisa: “Con il progetto Erasmus Mundus sonostati avviati corsi in inglese,master e dottorati congiunti con varie università straniere”

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costante crescita degli studenti in mobilità, raggiunto grazieall’impegno e alla collaborazione degli attori coinvolti sia alivello centrale sia di facoltà. Infatti la Sapienza, in considera-zione della sua dimensione, ha creato una rete organizzativache garantisce una capillare informazione e promozione delprogramma Erasmus sia a livello centrale che periferico pergli studenti “in uscita”. Tale rete coinvolge il personale docentee quello tecnico-amministrativo; infatti all’interno delle facoltàsono presenti, quali referenti stabili, i responsabili scientifici difacoltà, promotori degli scambi Erasmus, affiancati dai respon-sabili amministrativi Erasmus. Entrambe queste figure hannoil contatto diretto con gli studenti, vagliano le candidaturedi partecipazione al programma e svolgono un importanteruolo di riferimento per gli studenti “in entrata”.

A livello centrale il settore Programmi internazionali, affiancatodalla nuova struttura di accoglienza Hello, cura tutte le attivitànecessarie a consentire agli studenti selezionati di partecipare

al programma, fruendo della borse messe adisposizione sul fondo europeo Erasmus e dalbilancio della Sapienza, e a tutte le attivitàdi accoglienza e riferimento per gli studentiin entrata. Inoltre provvede a ideare e realiz-zare tutto il materiale necessario alla promo-zione e attuazione del programma (brochure,video, vademecum ecc.) e sviluppa il sitoweb dedicato. Per gli studenti che arrivano

alla Sapienza dagli altri Paesi sono organizzate due giornatedi accoglienza, di solito all’inizio dei semestri, alle quali parte-cipa tutta la governance dell’ateneo e dove viene distribuitomateriale informativo specifico per aiutare gli studenti a utilizzareagevolmente di tutti i servizi disponibili – che vanno dal wi-fiai concerti, alle biblioteche ecc. – e a muoversi agevolmentenella città, fruendo di tutte le occasioni culturali e ludichedisponibili.

Tutta questa attività sinergica e il sensibile miglioramentodei servizi erogati agli studenti ha portato la Sapienza a collo-carsi, ormai da anni, al secondo posto fra gli atenei italianidopo Bologna per numerosità di studenti in uscita, mentre perquanto riguarda la mobilità in entrata essa si attesta su unnumero di circa 1.100 studenti ogni anno.

Rosalba Natale: “Grazieall’Erasmus e alle iniziative di accoglienza aumentiamo la mobilità degli studenti sia in entrata che in uscita”

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Una procedura semplificatae regole comuni per il lavoro stagionalenell’Unione Europea

di Maria Vittoria Pontieri Viceprefetto - Ministero dell’Interno

Sono in corso i negoziati per giungereall’adozione di una direttiva UEsulle condizioni di ingresso e soggiornodi cittadini di Paesi terzi impiegati in occupazioni stagionali

Risale al luglio del 2010 la proposta avanzata dallaCommissione europea di una direttiva sulle condizioni diingresso e di soggiorno di cittadini di Paesi terzi per motivi dilavoro stagionale 1. Si tratta di un testo che presenta un grandeinteresse per il sistema italiano considerato che il numero dicittadini di Paesi terzi che fanno ingresso in Italia per motividi lavoro stagionale è molto elevato.

Il testo proposto persegue l’obiettivo della armonizzazionedelle regole riguardanti l’ingresso e il soggiorno nella Unionedei lavoratori stagionali cittadini di Paesi terzi, attraverso laprevisione di una procedura particolare e semplificata e dicriteri comuni. Esso si inserisce nel complesso contesto giuridicodella migrazione legale e rappresenta una delle iniziativedella UE volte a sviluppare una politica globale in materia diimmigrazione.

L’importanza del ruolo svolto dalla migrazione legale per ilrafforzamento dello sviluppo economico dell’Unione Europeaè stato riconosciuto in diverse occasioni, in particolare nelProgramma dell’Aja 2 e nel Piano politico sulla migrazione

La proposta della Commissione europea è di grande interesse per l’Italia visto l’elevato numero di lavoratori stagionali che fanno ingresso nel Paese

1 COM (2010) 379 definitivo del 13 luglio 20102 COM (2005) “Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamentoeuropeo del 10 maggio 2005 - Programma dell’Aja: 10 priorità per i prossimi cinqueanni”. Il Programma dell’Aja, adottato dal Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004,indica 10 priorità per l’Unione, definendo un approccio bilanciato alla migrazionecon l’intento di rafforzare la area di libertà, sicurezza e giustizia

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La proposta di direttiva europea sul lavoro stagionale

legale 3, documento quest’ultimo che ha previsto l’adozionedi cinque proposte legislative sull’immigrazione per motivi dilavoro tra il 2007 e il 2009, tra le quali appunto una propostadi direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei lavoratoristagionali 4 (su questi aspetti si veda più approfonditamentel’articolo pubblicato sul numero 6/2011 di libertàcivili dal titolo“L’ingresso nell’UE per motivi di lavoro: alla ricerca di unanormativa comune”, ndr).

L’impegno della UE a realizzare una politica giusta ed efficacea fronte delle sfide e delle opportunità offerte dalle migrazioniè stato successivamente riconosciuto anche dal Patto europeosull’immigrazione e l’asilo e dal Programma di Stoccolma 5.L’intervento comunitario nel settore in esame si giustifica inapplicazione del principio di sussidiarietà 6.

La proposta stabilisce dati criteri cui il lavoratore stagionalecittadino di un Paese terzo e il suo datore di lavoro devonoconformarsi. Più in particolare è necessario presentare uncontratto di lavoro o un’offerta vincolante di lavoro che specifi-chino il livello di retribuzione. La proposta non dà luogo a un

3 COM (2005) 669 del 21 dicembre 2005 Comunicazione della Commissione“Piano polit ico sulla migrazione legale”. Tale documento contiene una program-mazione per l ’adozione e implementazione delle azioni indicate per mettere inpratica le priorità e gli obiett ivi del Programma dell ’Aja4 Nell’ottobre del 2007 sono state presentate le prime due proposte di direttivarelative ai lavoratori altamente qualificati e a una procedura unica per il rilascio diun permesso unico di soggiorno e lavoro. La prima delle due suddette proposte èstata adottata dal Consiglio il 25 maggio 2009 “Direttiva del Consiglio 2009/50/CEsulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi per motivi di lavoroaltamente qualificato”. La seconda è stata adottata il 13 dicembre 2011 “Direttivadel Parlamento europeo e del Consiglio 2011/98/UE relativa a una procedura unicadi domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesiterzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insiemecomune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in unoStato membro”. Le rimanenti proposte di direttiva riguardano le condizioni di ingressoe di soggiorno di cittadini di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intrasocietariCOM (2010) 378 definitivo del 13 luglio 2010, il cui testo è attualmente in fase dinegoziazione in seno ai competenti “gruppi di lavoro” del Consiglio e le condizionidi ingresso e di soggiorno dei tirocinanti retribuiti, il cui testo non è stato ancorapresentato dalla Commissione5 Patto europeo sull’ immigrazione e l’asilo adottato dal Consiglio europeo del 15e 16 ottobre 2008. Programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo del10 e 11 dicembre 20096 In virtù del principio di sussidiarietà “nei settori che non sono di sua competenzaesclusiva, l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione previstanon possono essere conseguiti in maniera sufficiente dagli Stati membri, né a livellocentrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o deglieffetti della azione in questione, essere conseguiti meglio a livello della Unione”(art.5, paragrafo 3 del Trattato sull’Unione Europea). La base giuridica appropriatadella proposta è l’art.79 par. 2 lett. a) e b) del Trattato sul funzionamento dellaUnione Europea dal momento che le disposizioni della proposta concernono lecondizioni e le procedure di ammissione nonché il permesso e i diritti dei lavoratoristagionali

L’intervento dell’UE in questo settore si giustifica in base allaapplicazione del principio di sussidiarietà

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La proposta di direttiva europea sul lavoro stagionale

diritto di ammissione e pertanto vengono elencati i motivi chegiustificano il rifiuto ovvero il mancato rinnovo del permesso,e tra questi il mancato rispetto dei criteri di ammissione el’esistenza di quote nello Stato membro interessato.

Spetta agli Stati membri stabilire se le domande debbanoessere presentate dal cittadino del Paese terzo interessato o dalsuo potenziale datore di lavoro. La domanda di autorizzazionea soggiornare e lavorare in qualità di lavoratore stagionale vapresentata nell’ambito di una procedura unica. Il permesso dilavoro stagionale rilasciato ai sensi della proposta consenteal titolare l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Statomembro che ha rilasciato il permesso nonché l’esercizio dellaspecifica attività di lavoro stagionale autorizzata, senza chesiano necessari permessi aggiuntivi.

La proposta stabilisce in maniera rigida una durata massimadel lavoro stagionale uguale per tutta l’Unione Europea.Entro la durata massima di tale periodo è peraltro possibileprolungare il contratto e anche svolgere il lavoro stagionalepresso un altro datore di lavoro. Inoltre, nell’ottica della promo-zione della migrazione circolare, il testo prevede che gli Statimembri possano scegliere tra applicare una procedura agevolatadi riammissione per le stagioni successive ovvero rilasciarepermessi multi-stagionali che possono coprire fino a tre stagioni.

I cittadini di Paesi terzi che non abbiano rispettato gli obblighirelativi a un precedente soggiorno per motivi di lavoro stagionalenon possono essere ammessi come lavoratori stagionali peruno o più anni successivi, mentre ai datori di lavoro che nonabbiano rispettato gli obblighi sanciti dal contratto di lavoro sonoirrogate sanzioni.

In materia di condizioni di lavoro il testo conferisce determinatidiritti ai lavoratori stagionali cittadini di Paesi terzi e definiscei settori in cui deve essere garantita la parità di trattamentocon i cittadini nazionali. Tale parità di trattamento riguarda, tral’altro, la libertà di associazione e di adesione a organizzazioni,la sicurezza e l’assistenza sociale, l’accesso a beni e servizi.

Il testo della proposta in esame è attualmente in fase di nego-ziazione in seno ai competenti “gruppi di lavoro” del Consigliodell’Unione Europea. In considerazione della rilevanza che illavoro stagionale riveste nelle attività economiche della UEappare evidente l’importanza di poter disporre di un quadronormativo comune della materia e per tali motivi si auspicache il negoziato possa giungere presto a conclusione e che iltesto della direttiva possa essere adottato a breve.

La direttiva stabilisce criteri, limiti,durata e procedure relativi al rilascio dei permessi stagionali ai cittadini di Paesi terzi

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Anche in Italia la “Carta blu”per i lavoratorialtamente qualificati dei Paesi terzi

Arriva nel nostro Paese uno strumento, previsto da una direttiva UE del 2009, molto simile alla “green card” in uso da tempo negli Stati Uniti.Dall’8 agosto è stata attivata la proceduratelematica per il rilascio di questo documento

Grazie all’approvazione del decreto legislativo 28 giugno2012, n.108, anche lo Stato italiano ha recepito la direttivaeuropea 2009/50/CE del 25 maggio 2009, sulle “condizioni diingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendanosvolgere lavori altamente qualificati”. Si tratta del rilasciodella cosiddetta “Carta blu UE”, non dissimile nella sostanza

dalla “green card” in uso da tempo negliStati Uniti. L’adeguamento in effetti eraprevisto entro il 19 giugno 2011, ma in ognicaso oggi può dirsi scongiurato il rischio diincappare in una nuova procedura d’infra-zione da parte dell’Unione Europea permancato recepimento di una direttiva comuni-taria, una inerzia che ci vede tristementeprimeggiare in Europa.

La direttiva comunitaria in questione ha ilmerito di contribuire al conseguimento degli

obiettivi di Lisbona con particolare riferimento alla crescitasostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro, attirando etrattenendo “lavoratori altamente qualificati provenienti da Paesiextracomunitari”, pur sempre nel rispetto del principio dellapreferenza comunitaria. In particolare viene introdotto nel Testounico dell’immigrazione (D.Lgs 286/1998) l’articolo 27quater,che disciplina l’ingresso e soggiorno per lavoratori altamentequalificati e l’articolo 9ter, che regola invece lo status disoggiornante di lungo periodo CE per i titolari di Carta blu UE.

Dall’8 agosto scorso ha preso il via, attraverso il sito internet

La direttiva contribuisce alraggiungimento degli obiettiviUE in materia di crescita sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro.Scongiurata la procedura d’infrazione contro l’Italia

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www.interno.gov.it la correlata procedura telematica checonsente agli interessati di ottenere questo documento, la cuititolarità dà il diritto di beneficiare di un trattamento uguale aquello riservato ai cittadini italiani, ad eccezione dell’accessoal mercato del lavoro nei primi due anni.

Ma chi sono i lavoratori stranieri altamente qualificati? Ildecreto legislativo di recepimento indica irequisiti tassativi per essere annoveraticome tali, ossia il possesso di un titolo diistruzione superiore rilasciato da autoritàcompetente nel Paese dove è stato conseguito,che attesti il completamento di un percorsodi istruzione superiore di durata almenotriennale e della relativa qualifica professionalesuperiore, come rientrante in specifici livellidella classificazione Istat delle professioniCP 2011 (e successive modificazioni). Tale

attestazione deve essere rilasciata dal Paese di provenienzae riconosciuta in Italia. I titoli di istruzione e gli altri atti formatiall’estero devono essere presentati debitamente tradotti elegalizzati dalle rappresentanze diplomatiche italiane nei Paesidi provenienza dei lavoratori stranieri.

Gli ulteriori requisiti sono quelli indicati dal decreto legislativo206/2007, limitatamente all’esercizio di professioni regolamen-tate. Le nuove disposizioni si applicano agli stranieri residentiin uno Stato terzo, agli stranieri regolarmente soggiornanti inItalia, agli stranieri soggiornanti in altro Stato membro, comepure agli stranieri titolari della Carta blu rilasciata in un altroStato membro. Nel novero degli esclusi dall’applicazione dellanorma, si segnalano invece i lavoratori stagionali, gli stranieriche soggiornano a titolo di protezione temporanea, o permotivi umanitari ovvero hanno richiesto il relativo permesso disoggiorno e sono in attesa di una decisione su tale richiesta,come pure gli stranieri che chiedono di soggiornare in qualitàdi ricercatori e i familiari di cittadini dell’Unione che hannoesercitato o esercitano il diritto alla libera circolazione aisensi della direttiva europea 2004/38/CE e relativo decretodi recepimento (D. Lgs. 30/2007).

Le domande si presentano per via telematica allo Sportellounico per l’immigrazione della prefettura competente, avvalen-dosi di un sistema informatizzato appositamente predispostoe sostanzialmente analogo a quello utilizzato per altre proceduredi competenza degli sportelli unici. Nella domanda si dovrannoindicare, oltre al nominativo del cittadino che intende svolgere

La Carta blu dà diritto a ricevere lo stesso trattamentodei cittadini italiani,con l’eccezione dell’accessoal mercato del lavoro nei primi due anni. L’identikitdel “lavoratore qualificato”

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i lavori altamente qualificati, ai documenti circa la sistemazionealloggiativa e alla proposta di contratto di soggiorno, anche laproposta di contratto di lavoro o l’offerta di lavoro vincolantedella durata di almeno un anno, con indicazione dell’importodello stipendio annuale lordo, che non deve essere inferioreal triplo del livello minimo previsto, su base annua, per l’e-

senzione dalla partecipazione alla spesasanitaria; tale importo, per il 2012, è pari a24.789 euro.

La nuova disciplina ha previsto anchenuove ipotesi di rifiuto del nulla osta al lavoro,ovvero di revoca, nel caso che questo siastato rilasciato. Tra queste merita attenzioneil caso in cui i documenti presentati sianostati ottenuti mediante frode, siano stati falsi-ficati o contraffatti, o qualora lo stranieronon abbia firmato il contratto di soggiorno

presso lo Sportello unico entro il termine previsto, salvo che ilritardo sia dipeso da cause di forza maggiore.

(a.b.)

Le domande vanno presentateallo Sportello unicoper l’immigrazione delle prefetture. Necessariopresentare un contrattodi lavoro con uno stipendionon inferiore a 24.789 euro

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Criminalità economica:quando l’immigrato è vittima

di Nunzia PenelopeGiornalista

Dall’autrice del best seller “Soldi rubati”,una testimonianza sulle drammatiche condizioni di lavoro e sullo sfruttamento degli stranieri nel settore agricolo.Il caso Coca Cola di Rosarno, in Calabria

Nel marzo del 2012 a Rosarno, in Calabria, è scoppiato il“caso Coca Cola’’. La multinazionale ha improvvisamente disdettoil contratto di fornitura con le aziende agricole locali, produttrici diarance per la Fanta, una delle bibite di punta dell’azienda diAtlanta. La decisione è arrivata in contemporanea con l’uscitadi un reportage sulle drammatiche condizioni di lavoro degliimmigrati negli aranceti calabri pubblicato dal settimanale britan-nico The Ecologist 1. Questo l’incipit dell’articolo: “Probabilmentequesto è il posto peggiore di tutta l’Europa occidentale. Unaccampamento di fortuna con una strada rumorosa da un lato,la ferrovia dall’altro e un fiume stagnante che scorre non lontano.Il campo è un ammasso di tende tirate su alla bell’e megliocon una serie di teloni, a cui si aggiungono un paio di caseabbandonate e qualche baracca. Oltre la recinzione di fil diferro si vedono fuochi ardere tra i mucchi di immondizia. Ilfumo brucia gli occhi. Al tramonto decine di immigrati si dannoda fare: chi cucina, chi taglia la legna, chi urla, chi cerca discaldarsi. Figure che si stagliano contro la luce delle fiamme’’.

Il lungo e dettagliato resoconto non getta buona luce sulnostro Paese, sul nostro Meridione, e sulle condizioni in cuivivono e lavorano migliaia di braccianti di vario colore, quasi

Nel nostro Meridione vivono e lavorano migliaia di braccianti immigrati,molti dei quali clandestini,che diventano vittime di sfruttamento da parte dei proprietari terrieri locali

1 “Coca Cola challenged over orange harvest linked to 'exploitation and squalor'”,The Ecologist, 24 febbraio 2012, http://www.theecologist.org/News/news_analy-sis/1257263/coca_cola_challenged_over_orange_harvest_linked_to_exploitation_and_squalor.html. La vicenda è stata riportato anche dal quotidiano The Independent inun articolo dal titolo “The hard labour behind soft drinks”, sempre del 24 febbraio 2012

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tutti clandestini. Proprio la loro condizione di clandestinità lirende appetibili per i padroncini terrieri locali, che li utilizzanocome schiavi moderni. Questa massa di disperati lavora dodiciore al giorno per circa 25 euro, da cui vanno detratti cinqueeuro per vitto e alloggio. La Coca Cola, a sua volta, paga circa3 centesimi di arance per ogni bottiglia di bibita prodotta; “sepagasse almeno 6 centesimi – spiega la Coldiretti calabrese – sipotrebbero migliorare le condizioni dei braccianti’’ 2. La Coldiretti,da tempo, chiede all’azienda americana di aumentare le paghe:e forse da questo, più che dallo scandalo mediatico, dipendeil forfait di Atlanta.

Perché lo sfruttamento avviene nei campi, certo, ma la filieraè lunga e arriva fino in capo alle grandi aziende che di questecondizioni economicamente super vantaggiose godono a lorovolta. La Coca Cola ha comunque negato che la disdetta perla fornitura di arance di Rosarno fosse legata al reportagedell’Ecologist: la decisione, hanno affermato i portavoce dellasocietà, ‘’era già stata presa prima dell’articolo e non ha a chefare con le condizioni di lavoro degli immigrati italiani’’ 3.Affermazione che la dice lunga.

Era davvero necessario attendere l’uscita del serviziosull’Ecologist per sapere come vivono e lavorano i neri nellecampagne calabresi? No. Sarebbe bastato, per esempio, leggerele carte della procura di Palmi relative ai fatti di Rosarno del2009, anno in cui è scoppiata nella piana la rivolta degli schiavi(inchiesta “Migrantes”). Gli scontri sono andati avanti per set-timane, con morti, feriti, incendi e fucilate sparate nei campi enelle strade della cittadina calabrese, rivelando agli italiani lafaccia peggiore del lavoro nero. Per settimane i Tg hannoseguito la vicenda, portando alla luce un fenomeno che tutticonoscono ma che tutti fingono di ignorare. E poi, come sempre,la questione è tramontata dalle prime pagine, scivolando neldimenticatoio.

Ma chi volesse ripercorrere quelle vicende può andarsi aleggere il rapporto della magistratura di Palmi 4. I magistrati

Il rapporto della magistratura di Palmi relativo all’inchiesta sui fatti di Rosarno del 2009 descrive nel dettaglio le condizioni di vita e di lavoro dei migranti impegnati nella raccolta della frutta e della verdura

2 Nota del presidente della Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro, 8 febbraio 2012,http://www.calabria.coldiretti.it/la-coldiretti-calabria-ha-scritto-una-lettera-alle-multi-nazionali-delle-bibite-di-aranciata.aspx?KeyPub=10023308|10023878&Cod_Oggetto=25889256&subskintype=Detail3 “Coca Cola responds to orange harvest 'exploitation' controversy”, The Ecologist,28 febbraio 20124 Le informazioni sono state diffuse durante la conferenza stampa di presentazionedei risultati dell ’ inchiesta Migrantes dal procuratore capo di Palmi, Giuseppe

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rilevano che gli extracomunitari utilizzati nella piana per laraccolta delle arance “erano stati esplicitamente richiesti daiproprietari di quei terreni, in consorzio fra loro, che ne avevanofissato non solo il numero ma anche la provenienza, sulla basedella convinzione che talune etnie fossero più produttive e piùgestibili rispetto ad altre’’. Privilegiata era l’etnia di origineafricana rispetto a quella asiatica o balcanica. Alla fine dellaraccolta era previsto per molti di loro uno spostamento versola provincia di Caserta, dove sarebbero stati utilizzati per altrilavori bracciantili e in edilizia. Per la prestazione erano statefissate le modalità remunerative e per vitto e alloggio. Il consorzioaveva stimato in anticipo il rendimento che avrebbe fruttato,per ettaro, la raccolta delle arance e ne aveva già fissato il suosuccessivo impiego economico.

Un meccanismo di meticolosità scientifica, che dimostra inmodo inequivocabile come gli extracomunitari arrivino sudomanda (il che presuppone anche l’esistenza di un intrecciosolido con i trafficanti della tratta umana nei Paesi di origine),al fine di selezionare e orientare quantità e caratteristiche dellepersone necessarie, ma anche un successivo collegamentocon i territori dove smistare la forza lavoro. Un vero e propriomercato del lavoro criminale, in cui domanda e offerta s’incontranoin relazione alla dinamica del flusso produttivo, probabilmentecon maggiore efficienza di come accade nel mercato legale. Atenere in piedi questo meccanismo infernale non erano schiavistiaffiliati a qualche cosca, ma onesti agricoltori locali: tutti i ventunoarrestati erano italiani e incensurati, convinti, evidentemente,che con la carne nera da macello si potesse fare questo e altrosenza incorrere in alcun guaio.

L’inchiesta di Palmi svela anche i motivi per cui per questeprestazioni non bastano semplici immigrati ma sono necessariproprio i clandestini: cioè persone ricattabili e disposte a tutto.Per capire quanto, basta dare un’occhiata alle condizioni contrat-tuali applicate agli extracomunitari, a partire dall’orario di lavoro:come nell’Ottocento, la prestazione doveva avvenire dall’albaal tramonto, anche in condizioni metereologiche avverse, econ un’unica interruzione di mezz’ora per il pasto. Quanto allapaga al lavoratore venivano offerte due possibilità: una cifra fissapari a 25 euro al giorno, oppure un cottimo pari a 40 centesimi a

Il mercato del lavoro illegale funziona attraverso unmeccanismoperfettamenteefficiente in cui domanda e offerta si incontrano in relazione alla dinamica del flusso produttivo

Creazzo. Se ne può leggere un’ampia sintesi in N.Penelope, Soldi Rubati, Ponte alleGrazie, Milano, 2011 nonché su vari articoli di stampa, tra cui segnaliamo il seguente:http://www.nuovacosenza.com/cs/10/aprile/26/arrestirivolta.html

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cassetta di arance raccolta. In entrambi i casi c’era però dasottrarre dalla cifra pattuita una quota da devolvere al reclutatore(o caporale che dir si voglia), pari a otto euro in caso di pagafissa e di venti centesimi a cassetta nella modalità del cottimo.In sintesi, il guadagno mensile era pari a 400-500 euro al massimo,da cui venivano però sottratti 150 euro al mese per le spese dialloggio.

Di quale alloggio si trattasse lo hanno rivelato le telecameredei Tg che nel 2009 hanno ripreso, durante la rivolta, i tugurimiserabili e fatiscenti dove alloggiavano gli schiavi della pianacalabrese: gli stessi ‘’riscoperti’’ tre anni dopo dagli inviatidell’Ecologist. Con la somma restante – 300 euro o poco più –i lavoratori dovevano trovare anche il modo di mangiare erisparmiare qualcosa per la famiglia rimasta a casa. Per contro,nella casse degli sfruttatori entrava un fiume di denaro: l’indaginedei magistrati di Palmi ha accertato che, grazie al lavoro deiclandestini, il guadagno netto mensile del consorzio agricolocalabrese ammontava a circa dieci milioni di euro al mese.Una somma che veniva poi reinvestita, o meglio riciclata, intraffici immobiliari sulla costa jonica della Calabria e su quelladel Cilento, aumentando ulteriormente le risorse della malavitaorganizzata.

Secondo la Cgil almeno cinquantmila extracomunitari vivonoe lavorano in condizioni analoghe ai braccianti calabresi 5. Maforse sono molti di più, e ancora una volta basta guardare aifatti di cronaca. Tutte le estati le nostre coste sono bersagliatedagli sbarchi di clandestini, e il fenomeno non è dovuto solo allebuone condizioni del tempo: in realtà è scandito dalla stagionedei raccolti. S’inizia a giugno con i pomodori e le angurie, poiseguono i carciofi, poi ancora le arance. Il che spiega anche imotivi per cui vengono scelti, di volta in volta, diversi tratti dicosta per l’approdo dei barconi: a giugno e luglio gli sbarchiavvengono lungo le coste della Puglia e della Sicilia, settembreè il mese della Calabria. Dunque, anche l’individuazione dellelocation non è casuale, ma organizzata con assoluta precisione.Come hanno scoperto con stupore le forze dell’ordine intercet-tando un gruppo di clandestini afgani sbarcati fortunosamentedal solito barcone sulle coste a sud di Otranto, nell’estatedel 2010: tutti erano già forniti di un biglietto ferroviario con

5 Nota congiunta della Flai-Cgil e della Cgil nazionale, http://www.cgil.it/detta-gliodocumento.aspx?ID=12909

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Nel settore agricolo le mafie fatturano circa 50 miliardi l’anno e si compiono 150 reati al giorno;secondo la Cia,un agricoltore su tre ha subito o subisce le azioni della criminalità organizzata

destinazione Cerignola, ovvero il luogo in cui, nel mese diluglio, si raggiunge il picco per la raccolta dei pomodori.

Del resto, l’agricoltura è anche un settore dove le mafiefatturano circa cinquanta miliardi l’anno, e dove si compionocentocinquanta reati al giorno, sei ogni ora, di ogni genere:furti di attrezzature e mezzi agricoli, usura, racket, abigeato,estorsioni, discariche abusive, macellazioni clandestine, danneg-giamento alle colture, aggressioni, truffe nei confronti dell’UnioneEuropea, caporalato, abusivismo edilizio, saccheggio del patri-monio boschivo. I taglieggiamenti e il pizzo sono la regola, unagricoltore su tre ha subito o subisce le azioni della criminalitàorganizzata, secondo il Rapporto 2011 presentato dallaConfederazione italiana agricoltori 6. E chi si oppone al racketsubisce intimidazioni e danni alle colture.

L’attenzione rivolta dalla criminalità all’agricoltura è parti-colarmente rilevante perché il settore è un terreno nel quale sisviluppa un business di grosse dimensioni. Di qui l’interessea investire, riciclare e mantenere una schiera di sudditi per illavoro di manovalanza. Attraverso le campagne è possibileesercitare il controllo del territorio per utilizzarlo come base pernascondigli, oppure come punto di partenza per altri sviluppiimprenditoriali. Furti di attrezzature e di mezzi agricoli sono alprimo posto per numero di reati. Il racket è al secondo, seguel’abigeato, il furto di bestiame, un reato antico ma in continuacrescita; ogni anno circa centomila animali spariscono, e lagran parte è destinata alla macellazione clandestina, doveritroviamo gli schiavi clandestini citati in precedenza.

In totale, il mercato del lavoro nero assorbe nel nostroPaese oltre tre milioni di persone, e produce valore per 154miliardi annui, secondo i dati Istat 7. Una ricchezza che alimentasoprattutto l’economia illegale, che a sua volta ricorre allamano d’opera illegale per alimentarsi. E così il cerchio si chiude:lavoro nero, criminalità, altro lavoro nero. Per contro, regola-rizzare gli almeno 500mila stranieri che vivono e lavorano in

6 Confederazione italiana agricoltura (Cia), IV Rapporto sulla “Criminalità in agricoltura”.Disponibile su www.cia.it. Cfr. anche la Indagine conoscitiva sulla situazione delsistema agroalimentare, con particolare riferimento ai fenomeni di illegalità cheincidono sul suo funzionamento e sul suo sviluppo della XIII CommissioneAgricoltura della Camera dei deputati e l’Indagine conoscitiva su taluni fenomenidistorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento dellamanodopera straniera) delll’XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati,entrambe disponibili su www.camera.it 7 Istat, Rapporto annuale 2011, disponibile su www.istat.it

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condizioni di irregolarità renderebbe allo Stato italiano circa5 miliardi di entrate 8.

E la questione Coca Cola come è andata a finire? Dopol’intervento del ministro delle Politiche agricole, Mario Catania,e l’incontro con i rappresentanti della multinazionale delloscorso 7 marzo, quest’ultima ha confermato l’acquisto dellearance di Rosarno 9. Ma precisando che, in ogni caso, non saràin grado di effettuare un controllo sull’intera filiera produttiva.“Il nostro fornitore – si legge in una nota della Coca Cola – èun impianto di produzione di succo che si procura quasi tuttala materia prima da consorzi o cooperative che a loro volta siriforniscono da coltivatori diversi. Anche se è impossibile pernoi controllare tutti i consorzi e tutte le aziende agricole, ilnostro fornitore dispone delle dichiarazioni di un gran numerodi consorzi che attestano la sua conformità alle leggi italianesul lavoro. Pur incoraggiando senz’altro il rispetto dei diritti umanie pratiche lavorative corrette in tutta la catena di distribuzione,non possiamo che limitarci a controllare solo i nostri fornitoridiretti” 10.

8 Lo riferisce Vera La Monica, segretario confederale della Cgil, vedi http://www.cgil.it/tematiche/Documento.aspx?ARG=IMMIGRAZIONE&TAB=0&ID=180849 “Catania: la Coca Cola non lascia Rosarno” nota del ministro delle Politiche agricole,Mario Cataniahttp://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/472910 Vedi nota 3

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Lavoro irregolare:la nuova procedura di emersione

di Alberto Bordi Viceprefetto - ministero dell’Interno

I profili tecnici, organizzativi e giuridici di uno strumento destinato ai lavoratori subordinati stranieri, inclusi i collaboratorinell’ambito domestico, presenti sul territorio italiano al 31 dicembre 2011

Alle ore 8 in punto di sabato 15 settembre 2012 ha presoavvio una nuova procedura di emersione del lavoro irregolareche riguarda i lavoratori subordinati stranieri, inclusi i collabora-tori nell’ambito domestico, i quali devono dimostrare, “conattestazione rilasciata da organismi pubblici”, la presenzaininterrotta sul territorio nazionale, almeno dal 31 dicembre 2011o precedentemente.

La nuova procedura, disciplinata dalla norma transitoriacontenuta nell’articolo 5 del D.Lgs 109 del 16 luglio 2012 e dal

correlato decreto interministeriale di attuazionedel 29 agosto 2012, non prevede graduatorieo quote per cui i datori di lavoro questa voltanon devono fare una corsa contro il tempoper la registrazione e l’inoltro telematicodella domanda, ma possono presentare,fino alle ore 24 del 15 ottobre 2012, l’istanzadi regolarizzazione accedendo al sistemainformatizzato messo disposizione degli utentisul sito internet del ministero dell’Interno(www.interno.gov.it).

Dalla procedura sono esclusi i rapporti di lavoro a tempoparziale, fatto salvo quanto previsto in materia di lavorodomestico e di sostegno al bisogno familiare. Ai lavoratoristranieri da regolarizzare non si applica l’Accordo di integra-zione; le domande saranno esaminate in base all’ordine diarrivo.

Rispetto alla analoga procedura del 2009, riservata ai soli

Non sono previste quote o graduatorie e sono esclusi i rapporti di lavoro a tempo parziale. L’istanza di regolarizzazione viene presentata on line sul sito del ministero dell’Interno

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collaboratori in ambito domestico, si registrano alcune novità,la prima delle quali è il preliminare versamento del contributoforfetario di mille euro (nel 2009 erano 500) che il datore dilavoro deve effettuare esclusivamente con il modulo F24predisposto dall’Agenzia delle entrate con i relativi codici-tributoe scaricabile, unitamente alle avvertenze per la compilazione,dai siti dei ministeri cointeressati alla procedura.

Per i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membrodell’Unione Europea, ma anche per i datori di lavoro stranierititolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti dilungo periodo che, alla data del 9 agosto 2012 – data dientrata in vigore del citato decreto legislativo – occupavanoirregolarmente lavoratori stranieri alle proprie dipendenzeda almeno tre mesi, e continuano a occuparli alla data dipresentazione della dichiarazione di emersione, c’è quindi lapossibilità di dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoroirregolare allo Sportello unico per l’immigrazione della prefettura,che costituisce il terminale operativo dell’intera procedura.

Significativa l’esclusione dal novero dei datori di lavoroammessi alla procedura di coloro che in passato, a seguito

dell’espletamento di procedure di ingressodi cittadini stranieri per motivi di lavorosubordinato ovvero di procedure di emersionedal lavoro irregolare, non abbiano provvedutoalla sottoscrizione del contratto di soggiornopresso lo sportello unico ovvero alla succes-siva assunzione del lavoratore straniero, fattisalvi i casi accertati o documentati di legittimoimpedimento. Chiaro l’intento di sanzionareed escludere quanti in passato si siano avvici-nati alle cosiddette sanatorie o alle procedure

di “flusso” con intenti artatamente illegali. Ad avviso di associazioni e patronati di categoria la dispo-

sizione più controversa della nuova procedura riguarderebbeproprio la norma che impone che la presenza ininterrotta deilavoratori stranieri sul territorio italiano debba essere attestatada organismi pubblici. Evidentemente il legislatore ha voluto,da una parte, evitare l’effetto-richiamo, impedendo quindil’applicabilità della procedura a stranieri giunti in Italia in tempirecenti nella mirata speranza di rientrare in questa emersionee, dall’altra, ha voluto sgombrare il campo da attestazioni dicomodo o addirittura false, disponendo l’esibizione di una sortadi attestazione asseverata.

La puntuale applicazione della disposizione è ovviamente

La procedura è dedicata ai datori di lavoro che attualmente occupano irregolarmente lavoratori stranieri da almeno tre mesie intendono far emergere queste situazioni

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ancorata a una chiara indicazione di quali debbano essereconsiderati nel nostro ordinamento “gli organismi pubblici”,un tema in ordine al quale dottrina e giurisprudenza si sonoespressi e confrontati da decenni con esiti non univoci, anche

se una direttiva europea del 2004, riferita inparticolar modo agli appalti, ha fissato alcunirequisiti indefettibili per la connotazione diorganismo pubblico, quali l’interesse generaleperseguito, il riconoscimento della personalitàgiuridica e il finanziamento, la vigilanza oppureil controllo da parte dello Stato, delle regionio degli enti locali. È prevedibile, comunque,attendersi sul punto attestazioni non ortodosseo provenienti da enti particolari che metterannoa dura prova le capacità di interpretazione

giuridica a carico degli enti preposti a dirimere i dubbi inmateria.

Sul piano del miglioramento della procedura, che coinvolgeamministrazioni diverse, in primis ministero dell’Interno eministero del Lavoro e delle Politiche sociali, va segnalatal’ introduzione del trasferimento notturno delle domandepervenute on line al sistema informatico del dipartimento perle Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale; queste domandevengono così messe a disposizione degli sportelli unici perl’immigrazione delle prefetture fin dal giorno successivo al loroinoltro.

Sotto il profilo della tutela del lavoratore straniero, anellodebole delle “regolarizzazioni” e non solo, merita di essereevidenziato come nell’ambito della procedura informaticaallestita negli uffici della direzione centrale per le Politichedell’immigrazione e dell’asilo sia stato previsto il rilasciodella ricevuta di presentazione della domanda anche per illavoratore. La novità ha particolare valenza perché la ricevutacostituisce titolo e tutela per il lavoratore per non incappare inun provvedimento di espulsione in caso di controlli sulla suaposizione in Italia. Un portale informatico, predisposto perquesta specifica funzione, è stato realizzato per consentirealle forze dell’ordine di verificare rapidamente la posizionedegli stranieri regolarizzandi in base al rilascio di tali ricevute.

Anche la conoscenza degli esiti della domanda di emersionenon sarà più una prerogativa esclusiva del datore di lavoroma l’accoglimento, come pure il rigetto dell’istanza, sarannocomunicati anche al lavoratore, che sarà quindi nelle condizionidi esperire rimedi e tutele al proprio status.

È ancora controversa la definizione di quali debbano essere considerati gli “organismi pubblici”che devono attestarela presenza dei lavoratoriin Italia al 31 dicembre 2011

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La procedura di emersione del lavoro irregolare 2012

Altri profili di particolare rilievo riguardano le nuove misuredei redditi previsti per i datori di lavoro, siano essi personafisica, ente o società, soprattutto quando il rapporto di lavoroha per oggetto le collaborazioni in ambito domestico. In taleambito il reddito imponibile non potrà essere inferiore a 27milaeuro annui in caso di nucleo familiare, inteso come famigliaanagrafica composta da più soggetti conviventi. Altra novitàriguarda il caso in cui un medesimo datore di lavoro presentiistanze per più lavoratori; ai fini della sussistenza del requisitoreddituale, la congruità della capacità economica del datoredi lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate saràvalutata dalla direzione territoriale del lavoro.

Il decreto emanato dal ministero dell’Interno in data 29 agosto2012, di concerto con i ministeri del Lavoro e delle Politichesociali, per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione edell’Economia e Finanze, ha puntualmente disciplinato, secondolo specifico mandato del legislatore primario, l’intera proceduratelematica di presentazione delle domande, le modalità dipagamento del contributo forfetario, i limiti reddituali minimi

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per i datori di lavoro e le modalità di regolarizzazione del rapportodi lavoro dal punto di vista retributivo, contributivo e fiscale.Tale incombenza rappresenta un’appendice di cui i protagonistidella emersione, operatori pubblici compresi, avrebbero volen-

tieri fatto a meno, sia per la tecnicità di taluniadempimenti e sia per il lasso temporale piùdilatato cui questi si riferiscono, tenuto contoanche delle variabili rapportate al tipo diattività lavorativa considerata e dei contratticollettivi applicabili.

Infatti nella emersione 2012, oltre al paga-mento della somma forfetaria, il datore dilavoro è tenuto alla regolarizzazione dellesomme dovute a titolo retributivo, contributivoe fiscale a decorrere dalla data di assunzione

del lavoratore fino alla data di stipula del contratto di soggiornoe, comunque, per un periodo non inferiore a sei mesi. Questoadempimento deve essere dimostrato all’atto della stipula delcontratto di soggiorno presso lo Sportello unico, alla presenzadel lavoratore, a vantaggio della chiarezza procedurale. Ildecreto interministeriale di attuazione ha puntualizzato pureche, con la sottoscrizione del contratto di soggiorno, il datoredi lavoro assolve agli obblighi previsti in materia di comuni-cazione obbligatoria di assunzione agli organi competenti.Con la sottoscrizione del contratto di soggiorno decorre ilrapporto di lavoro regolarizzato.

Questa rapida panoramica dei punti salienti della procedurae delle possibili criticità configurabili non deve far dimenticarela valenza generale del concetto di regolarizzazione, qualedinamica che presenta in re ipsa una connotazione positiva diriconduzione alle regole, che si presuppongono valide e indero-gabili per tutti. Se poi questo concetto si abbina al mondo dellavoro straniero, pagina moderna di una storia antica vissutaanche dai nostri progenitori, e assurge a emersione dal sotto-bosco e dall’illegalità, non si può non plaudire a un’opportunitàche permette di portare tangibili segni di civiltà, di equità e diequilibrio sociale in ambiti troppo spessi dominati da ciechiinteressi privati, che talvolta degradano in mortificanti e brutalicomportamenti di vero e proprio sfruttamento, inaccettabili per unordinamento e una società che ogni giorno consideriamo essere“civili”.

Nell’emersione 2012, oltre al pagamento di mille euro forfetari, il datore di lavoro deve regolarizzare le sommedovute a titolo retributivo,contributivo e fiscale,fin dalla data di assunzione

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Senza cittadinanza:le scelte scolastichedei figli degli immigrati

di Isaac Tesfaye Giornalista

La condizione di “italiani con il permesso di soggiorno” determina una preferenza per gli istituti tecnici, nella convinzione che questo acceleri la possibilità di trovare un lavoro al termine degli studi

Nel sistema scolastico italiano un momento fondamentale èrappresentato senza dubbio dal passaggio dalla scuolasecondaria di primo grado a quella di secondo grado, cioèdalla scuola media a quella superiore. È una scelta che iragazzi compiono sostanzialmente all’età di quattordici anni eche incide in modo decisivo sulla propria formazione e dunqueanche sul futuro approdo occupazionale. La scelta di un liceoè ormai nella quasi totalità dei casi seguita da un percorsouniversitario, mentre un istituto professionale rappresenta lavia più rapida e pratica per l’accesso al mercato del lavoro.Entrambe le opzioni, anche se nel sentire comune accadetutt’altro, meritano pari dignità, ma il problema nasce quando,terminata la scuola media, la scelta diventa obbligata.

È questa, spesso, la condizione dei figli degli immigrati.Non essere in possesso della cittadinanza italiana influenzainfatti in modo determinante le loro scelte scolastiche: i ragazzidecidono nella grande maggioranza dei casi di iscriversi negliistituti professionali e di non accedere all’istruzione universitaria.Questo emerge dalla ricerca Le seconde generazioni tra mondodella formazione e mondo del lavoro promossa da Rete G2Seconde Generazioni in collaborazione con l’Associazione pergli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e Save the children,con il contributo dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali(Unar), nell’ambito del progetto R.E.T.E. (Rows Emergenciesand Teen Empowerment) che ha come obiettivo quello didiffondere una cultura di pacifica convivenza nella societàitaliana attraverso una maggiore conoscenza del fenomeno

Spesso per le seconde generazioni la scelta di un istituto professionale invece di un liceo non è una libera opzione,ma è dettata dalla necessità

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della discriminazione nei confronti dei figli di immigrati da partedella società e delle istituzioni.

Gli alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole superiorisono passati dai 130.012 dell’anno scolastico 2008-2009 ai143.224 del 2009-2010, salendo complessivamente dal 4,8al 5,3%. Di questi, oltre 100mila studiano nelle scuole profes-sionali e tecniche, dove la percentuale è doppia, intorno al10%. La ricerca è stata condotta negli istituti tecnici e profes-sionali di sei città del Centro-Nord caratterizzate da una fortepresenza di figli di immigrati: Roma, Firenze, Milano, Torino,Padova e Vicenza. Il campione intervistato è di cento ragazzie cinquantacinque ragazze con entrambi i genitori stranierio appartenenti a famiglie miste.

Solo un terzo del campione si è iscritto in tempo alle scuolesecondarie, mentre il 69% si è iscritto dopo i quattordici annicon punte che arrivano anche toccare i ventuno anni. Lamaggior parte degli intervistati dichiara di avere una cittadi-nanza straniera (120 su 155) e una parte di quelli chedichiarano di essere cittadini stranieri è nata in Italia. “L’altonumero di figli di immigrati iscritti agli istituti tecnici – si leggenelle conclusioni – è dovuto in parte alla loro condizione diitaliani con il permesso di soggiorno. Tale condizione, infatti,determina la scelta di percorsi di formazione che accelerinola ricerca del lavoro al termine degli studi superiori (nono-stante non ci sia una correlazione diretta tra lo studiare in unIstituto tecnico o in un Istituto professionale e il trovare facilmentelavoro)”. Ancora una volta si torna a leggere quella definizione,“italiani con il permesso di soggiorno”, tanto dolorosa quantopurtroppo indovinata nel descrivere l’assurda situazionevissuta dai figli degli immigrati e in particolar modo da queiragazzi nati in Italia da genitori stranieri costretti dalle attualinorme ad attendere i diciotto anni e non superare i diciannoveper poter richiedere la cittadinanza, per vedere cioè certificatociò che è già nella realtà dei fatti: il loro essere italiani.

Dalla ricerca emerge un dato che merita un’attenta rifles-sione: nella scelta scolastica dei figli degli immigrati è fonda-mentale il ruolo svolto dagli insegnanti delle scuole medie nelcondizionare le decisioni dei genitori. Nella maggior parte deicasi, gli alunni di seconda generazione sono stati indirizzativerso la scelta d’iscriversi a istituti tecnici e a corsi profes-sionali proprio dai loro insegnanti.

A questo punto sarebbe interessante comprendere qualisiano le ragioni che portano i docenti a dispensare tali consigli:in un momento come quello vissuto oggi dal mondo della

Nelle scuole superiori italiane la percentuale di alunni stranieri è del 5,3%,ma nelle sole scuole professionali e tecniche è doppia,intorno al 10%

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scuola in cui l’attuale ministro dell’Istruzione, FrancescoProfumo, sta provando a portare al centro della discussione,non senza polemiche, il concetto di “merito”, ci si attenderebbeche la scelta tra il liceo e un istituto di istruzione superiorefosse la diretta conseguenza del percorso scolastico compiutodal ragazzo fino a quel momento. Purtroppo non è sempre cosìe non tutto si può spiegare attraverso l’aritmetica dei voti: almerito scolastico bisogna in certi casi “sottrarre” le difficoltàdelle famiglie dei figli degli immigrati. Pur avendo ottenutoottimi voti alla fine delle scuole medie, a parità di risultati coni ragazzi italiani, mentre questi ultimi si iscrivono ai licei conla prospettiva di andare all’università, i giovani delle secondegenerazioni fanno scelte di segno diverso.

In questo senso è significativo un altro risultato della ricerca:tra i ragazzi che non sono mai stati bocciati alle superiori cisono in buona parte quelli che non hanno lavorato durante ilperiodo di studio. È evidente, ma questo vale per tutti i ragazzi,italiani o stranieri che siano, che avere la possibilità di dedicareil pomeriggio allo studio è semplicemente fondamentale per

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un’ottima riuscita scolastica. Per molti dei figli degli immigratiquesta possibilità talvolta è un lusso che una famiglia non sipuò permettere. La concentrazione dei ragazzi stranieri neipercorsi professionali si lega dunque anche all’investimentosul futuro messo in campo dalle proprie famiglie. Spesso iragazzi figli di immigrati si iscrivono a un istituto tecnico oprofessionale anche quando ottengono brillanti risultati all’esamedi terza media. Al contrario, tra i ragazzi italiani, spesso anchecoloro che hanno esiti mediocri si indirizzano verso percorsiscolastici più lunghi.

Per quanto riguarda la natura delle famiglie dei ragazzi, laricerca mette in luce come siano poche quelle “miste”: nellamaggior parte dei casi si tratta di famiglie composte daentrambi i genitori stranieri e dello stesso Paese. In media igenitori degli intervistati sono arrivati da almeno vent’anni inItalia, si tratta dunque a tutti gli effetti di un’immigrazionestabile. Prevale tra gli intervistati la provenienza dei genitoridall’Europa dell’Est; seguono Sud America, Asia e Nord Africa.Le professioni prevalenti sono quelle legate al manifatturieroo ai servizi. Tra le madri c’è un 11% che dichiara di svolgereun lavoro impiegatizio; sono interpreti e traduttrici che lavoranoa chiamata per tribunali o altri servizi. I titoli di studio deigenitori nella maggioranza dei casi sono alti rispetto al lavoroche viene svolto effettivamente.

Riguardo alla situazione abitativa dei ragazzi, la maggiorparte degli intervistati vive con la famiglia in case in affitto,ma appena si ha la possibilità emerge la tendenza, che è propriaanche delle famiglie italiane, a investire nel “mattone”. Lefamiglie sono in media più numerose di quelle italiane: l’87%degli intervistati ha almeno un fratello o una sorella. Accadespesso che i ragazzi dedichino una parte del tempo libero adaiutare i genitori nelle faccende domestiche, tutti dichiaranodi dedicare almeno un’ora alla famiglia.

La ricerca, infine, presenta due dati che meritano una parti-colare attenzione perché emblematici nel rappresentare il livellodi integrazione di questi ragazzi nella realtà che frequentanoe in particolare nell’ambiente scolastico: il 74% degli intervistatidichiara di non essersi mai sentito discriminato e la maggiorparte afferma di non avere problemi con la lingua: “Questa –sottolinea il rapporto – è l’ennesima dimostrazione che non è laconoscenza della lingua italiana a creare problemi di successoscolastico”.

Questi ultimi dati non fanno che confermare, ma su questonon vi erano dubbi, che le difficoltà non nascono dalle capacità

Laconcentrazionedei ragazzi stranieri nei percorsi professionali si lega anche all’inve-stimento sul futuro da parte delleloro famiglie

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dei ragazzi e che il problema è nelle possibilità che si decidedi fornire loro: in definitiva tutto ruota attorno a un fattoredeterminante, quello economico. La scuola italiana di oggisembra così vivere una storia già vista e che pensava di essersimessa alle spalle, quella in cui i ragazzi di buona famiglia siiscrivevano al ginnasio per poi proseguire gli studi, mentre i figlidei poveri sceglievano la scuola di avviamento professionaleper poi andare a lavorare. Era la scuola nata nel ventenniofascista con la riforma Gentile: un’idea aristocratica della cultura,con una scuola superiore per pochi, per i migliori, per la futuraclasse dirigente del Paese.

Viene in mente il commosso intervento dell’onorevole Limoni,citato dai ragazzi di Don Milani in Lettera a una professoressa:“Perché mai, dovrebbero essere umiliati i più dotati di intellettoe di volontà costringendoli in una scuola dove è necessarioche essi si tarpino le ali, per tenersi al volo di chi è per naturanecessitato a procedere lentamente?”. Parole pronunciate inun discorso alla Camera nel 1962. Allora si parlava dei figlidella povera gente, oggi siamo chiamati a non ripetere gli stessierrori con i figli degli immigrati, perché al pari dei ragazzi italianirappresentano il futuro del nostro Paese.

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Minoranze nazionali,tutele e limiti della legge 482/99

di Giuseppe Motta Ricercatore in Storia dell’Europa orientale - “Sapienza” università di Roma

La disciplina dettata dal legislatore garantisceil riconoscimento delle diversità linguistiche,ma alcune criticità, in primis gli scarsi fondidisponibili, rendono difficile realizzareuna piena garanzia nell’applicazione pratica

L’Italia, nella sua originaria estensione ottocentesca, nascecome uno Stato nazionale etnicamente e linguisticamente omo-geneo in quanto, al di là di una impressionante presenza didialetti e parlate regionali e locali, non ospita al suo internocospicue minoranze. La sola eccezione è rappresentata da alcune

comunità francofone, che tuttavia sono benintegrate nella struttura sabauda, nelle cuiistituzioni il francese è comunemente usato 1.

Il problema delle minoranze acquisisceinvece un peso ben maggiore in seguitoalla prima guerra mondiale, quando lo Statoitaliano estende i propri confini fino a inglo-bare non solo le terre irredente di Trento eTrieste ma anche vaste regioni come Alto

Adige e Istria, all’interno delle quali si trovano delle consistentiminoranze tedesche, slovene e croate.

La presenza di minoranze all’interno degli Stati postbelliciè un fatto del tutto normale, e tale questione, infatti, interessanon solo l’Italia ma numerosi altri Stati. La diplomazia interna-zionale, di conseguenza, dedica alla tutela delle minoranzealcune clausole dei trattati di pace, oltre alla predisposizionedi appositi trattati sulle minoranze, che vengono firmati nel

Storicamente l’Italianon ha visto la prersenzadi cospicue minoranze,ma dopo la prima guerramondiame il loro pesoè diventatopiù rilevante

1 Su questi temi vedi anche l’articolo di Stefania Nasso pubblicato sul numero3/2012 di libertàcivili dal titolo “Minoranze etniche, religiose, linguistiche e storiche:prove di Etno Italia?”

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1919-20 dagli Stati che più di altri hanno accresciuto il proprioterritorio inglobando anche numerosi gruppi etnici minoritari(Polonia, Cecoslovacchia, Regno di Serbi, Croati e Sloveni,Romania e Grecia).

L’Italia, invece, non deve prendere alcun impegno formaleattraverso uno speciale trattato, ma essendo uno degli Stativincitori e godendo di una consolidata tradizione liberale, riescea evitare la firma di un apposito accordo. Effettivamente,l’esordio dell’amministrazione italiana nelle nuove regionisettentrionali e orientali è piuttosto tranquillo, e i primi governa-torati militari in tali zone assumono un atteggiamento mite e fintroppo rispettoso delle minoranze locali, almeno secondo i piùaccesi nazionalisti che rimproverano allo Stato di essere troppodebole nei confronti di tali popolazioni allogene.

È proprio nelle zone mistilingue dell’Istria e dell’Alto Adigeche il fascismo guadagna crescenti consensi, grazie ad alcuneazioni dal forte impatto che verranno più tardi descritte comefenomeni dovuti a un particolare “fascismo di confine”. Lamarcia su Bolzano, per esempio, anticipa di pochi giorni quellasu Roma, che nel 1922 segna l’ascesa del fascismo e del suo“duce” Benito Mussolini. Gli slogan e la pratica fascisti sono

molto distanti dall’iniziale liberalismo e portanoa un rapido inasprimento delle relazioni conle minoranze tedesche e slave. In AltoAdige, per esempio, il governo inizia unalunga serie di provvedimenti restrittivi chein alcuni anni porta all’esclusione della linguatedesca dalle scuole: il decreto Corbino ela riforma Gentile segnano l’avvio dellascomparsa del tedesco dal settore educativo,

che viene decretata nel 1925, portando alla nascita di alcune“scuola catacomba” con le quali i tedeschi cercano di aggirarei divieti fascisti. La situazione lungo il confine orientale non èmolto diversa, e anche in questa zona le minoranze croatee slovene diventano ben presto le vittime di una politicadiscriminatoria e oppressiva di de-nazionalizzazione checolpisce le fondamentali strutture sociali di tali comunità, cioè lascuola e i tradizionali punti di riferimento religiosi ed educativi.

La questione dell’Alto Adige acquista un peso particolarenell’era dell’alleanza nazi-fascista, quando si pensa di ricorrereallo strumento delle opzioni per rendere più omogeneo il quadroetnico del Sud-Tirolo. Viene cioè chiesto ai cittadini di scegliere:optare per rimanere in Italia o emigrare nella Grande Germaniacostituita dopo l’Anschluss austro-tedesco.

I casi delle zone mistilinguedell’Istria e dell’Alto Adige.Col fascismo si inaspriscono le relazioni con la minoranza tedesca, e con quelle slovenee croate

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Mentre in Alto Adige si vive un periodo di “ubriacaturanazista”, la seconda guerra mondiale segna in Istria l’inizio di unanuova tragica fase, in cui le minoranze (quelle croate e slovene)sono prima vittima delle rappresaglie nazi-fasciste e, succes-sivamente, della violenza delle foibe e di un esodo pluriennaleche coinvolge la comunità italiana di Istria e Dalmazia.

Nel secondo dopoguerra l’Italia perde i territori orientali,ma mantiene il possesso dell’Alto Adige, che diventa l’oggettodi una controversia internazionale risolta in un primo tempoattraverso uno speciale accordo siglato dai ministri austriaco eitaliano, De Gasperi e Gruber, nel 1946. Tale accordo prevedeche la regione del Trentino-Alto Adige goda di uno specialeregime di autonomia e, di conseguenza, disponga di uno statutospeciale.

L’applicazione di tale trattato, tuttavia, comporta ulterioripolemiche e incomprensioni, in quanto gli atesini interpretano ilriferimento all’autonomia come una prerogativa della sola zonasud tirolese, mentre il governo di Roma lo estende anche all’areadel Trentino. Le negoziazioni proseguono e la questione arrivaanche di fronte alle Nazioni Unite, mentre in Alto Adige compareun pericoloso movimento terrorista che si batte contro i simbolidell’occupazione italiana: polizia e carabinieri, i tralicci dell’altatensione, le infrastrutture. Soltanto la ridefinizione dell’autono-mia regionale e la creazione di due diverse province autonomeriesce a risolvere la questione e a riappacificare Austria eItalia, che chiudono la loro vertenza internazionale. Il ritardo

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con cui viene raggiunta tale soluzione, tuttavia, non comportauna definitiva riappacificazione con i tedeschi dell’Alto Adige,che in alcune occasioni continuano a manifestare una certaavversione verso le autorità italiane e i simboli dell’occupazioneitaliana, come il Monumento alla Vittoria costruito a Bolzanodopo la Grande Guerra.

Nel contesto internazionale ed europeo, comunque, lasoluzione autonomista applicata in Sud-Tirolo è diventatal’esempio e il modello da seguire per la soluzione di casi simili.Il problema delle minoranze, dopo il 1989, è tornato ad essereun argomento di grande attualità, soprattutto alla luce dellerivendicazioni (autonomiste e separatiste) di alcuni nazionalismiin Spagna (Catalogna, Paesi Baschi), Belgio (conflitti fra fiam-minghi e valloni), Regno Unito (Ulster, Scozia e Galles) e dellasituazione di numerosi Paesi centro-europei, dove la presenza diminoranze rappresenta la regola, piuttosto che l’eccezione.

In tale contesto, anche l’Italia ha deciso di estendere alcuneparticolari garanzie a tutte le minoranze presenti sul suo territorioe ha emanato la legge n.482 del 15 dicembre 1999, denominata“Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.Secondo tale legge, la Repubblica tutela il patrimonio linguisticoe culturale della lingua italiana, che è la lingua ufficiale della

Repubblica, ma promuove inoltre la valorizza-zione delle lingue e delle culture “minoritarie”.Richiamando i principi generali stabiliti dagliorganismi europei e internazionali, la leggetutela dunque le popolazioni albanesi, cata-lane, germaniche, greche, slovene e croatee quelle che parlano il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano eil sardo.

Spetta al consiglio provinciale, “sentiti i comuni interessati,su richiesta di almeno il quindici per cento dei cittadini iscrittinelle liste elettorali e residenti nei comuni stessi, ovvero di unterzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni”, delimitarel’ambito territoriale in cui applicare tale tutela delle minoranzelinguistiche, le quali possono anche costituire organismi dicoordinamento e di proposta quando si trovano distribuite suterritori di più province o regioni.

Nelle scuole materne, nelle scuole elementari e secondariedi primo grado l’uso e l’insegnamento della lingua minoritariaviene esercitato nel rispetto dell’autonomia organizzativa edidattica. Le medesime istituzioni scolastiche, sia singolarmentesia in forma associata, possono inoltre realizzare ampliamenti

Con la legge 482/99 il nostro Paese ha deciso di estendere alcune particolari garanzie a tutte le minoranze linguistiche storiche presentisul territorio

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dell’offerta formativa in favore degli adulti, adottando iniziativenel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturalidegli appartenenti a una minoranza linguistica riconosciuta.Anche le università delle regioni interessate, nell’ambito della loroautonomia e degli ordinari stanziamenti di bilancio, possonoassumere speciali iniziative per agevolare la ricerca scientifica ele attività culturali e formative. Spetta ai genitori comunicare all’i-stituzione scolastica, al momento della preiscrizione, la lorodecisione di avvalersi dell’insegnamento della lingua dellaminoranza.

È compito del ministro della Pubblica istruzione, invece,indicare i criteri generali per l’attuazione ditali misure, attraverso propri decreti, perpromuovere e realizzare progetti nazionalie locali nel campo dello studio delle linguee delle tradizioni culturali degli appartenentia una minoranza linguistica riconosciuta.La legge 482 dispone per la realizzazionedei progetti la spesa di due miliardi di lireall’anno a decorrere dal 1999.

L’uso di una lingua minoritaria è ammesso nei consiglicomunali e negli altri organi a struttura collegiale dell’ammini-strazione, nei consigli delle comunità montane, delle provincee delle regioni, i cui territori ricomprendano comuni nei qualiè riconosciuta la lingua ammessa a tutela, che complessiva-mente costituiscano almeno il 15 per cento della popolazioneinteressata.

Le legge prevede inoltre altre possibilità, come l’adozionedi toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali, l’assun-zione di appositi interpreti, la traduzione degli atti ufficiali,l’uso orale e scritto della lingua negli uffici delle amministrazionipubbliche, il ripristino di nomi e cognomi che siano stati modifi-cati, la predisposizione di speciali trasmissioni radiotelevisive,speciali provvidenze regionali e provinciali per l’editoria, pergli organi di stampa e per le emittenti radiotelevisive a carattereprivato, la creazione di appositi istituti per la tutela delle tradi-zioni linguistiche e culturali delle popolazioni.

La legge 482 prevede, dunque, un’ampia tutela a favoredelle minoranze linguistiche storiche riconosciute, le qualigodono di speciali fondi che sono stanziati per progetti in lorofavore. Allo stesso tempo, però, pur lodando l’impegno dellalegislazione italiana, sono state messe in evidenza alcune criticità,che creano numerosi dubbi sull’effettivo impatto di tale norma.Prima di tutto la disponibilità di fondi limitati rende difficile una

La lingua delle minoranze può essere insegnata nelle scuole che, nel rispettodella loro autonomia,possono estendere l’offertaformativa anche agli adulti

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M.Toscano, Storia diplomatica dellaquestione dell’Alto Adige, Bari, 1967

reale garanzia che le lingue minoritarie diventino effettivamenteparte integrante dell’educazione pubblica. In secondo luogo,la competenza di tali politiche spetta agli enti locali, e la leggenon prevede alcun potere sostitutivo in caso di loro inadem-pienza, così come non prevede che la stessa minoranza, seresidente in più province, abbia diritto ad alcuni standard miniminell’applicazione della tutela. C’è inoltre chi ha fatto notare chedal lungo elenco delle minoranze riconosciute mancano i sinti,a causa di naturali pregiudizi politici che finiscono per discriminareun gruppo storicamente presente in molte regioni italiane.

Il giudizio che si può sommariamente dare di tale legge ècomunque positivo, anche se, come accade spesso, esistel’evidente rischio che la tutela delle minoranze rimanga moltoavanzata sul piano teorico, ma ben più limitata nell’ambitopratico.

Si può, inoltre, sottolineare come la legge riconosca solo leminoranze storiche presenti in territorio italiano, e da questopunto di vista va a coprire un vuoto legislativo che duravaormai da molto tempo. Allo stesso tempo, però, essa non prendein considerazione le c.d. “nuove minoranze” che impongonoproblemi di natura diversa, ma non troppo dissimile. Rimanedunque il dubbio che ancora una volta una lodevole iniziativacome quella della legge 482 possa essere interpretata comeun’occasione sprecata per affrontare con decisione le sfideche l’attuale multiculturalismo propone a livello sociale ededucativo. Tale dubbio, considerando la caotica incertezzariformatrice degli ultimi anni, tende sempre più a diventareuna vera e propria certezza.

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ioneI migranti “diasporici”

protagonisti del mondo globalizzato

di Carla PasquinelliAntropologa - Università degli studi di Napoli “L’Orientale”

Oggi chi emigra mantiene comunque un fortelegame con la comunità di origine e per questopuò essere meno disposto a lasciasi integrarenella società di accoglienza, ma anche capacedi coniugare vecchie e nuove appartenenze

Le parole per dirloCome più volte sottolineato su questa rivista, fino a pochi

decenni fa l’Italia non si occupava di migrazioni per il semplicemotivo che all’epoca eravamo un Paese di emigranti, dove ilpathos della partenza e dell’esilio, prima ancora di costituiremateria di studio e di riflessione, era un’epopea popolare cheebbe nella canzone napoletana la sua maggiore interpretesull’onda delle grandi migrazioni tra Ottocento e Novecento:da una parte a carattere prevalentemente temporaneo versole tradizionali mete europee (Svizzera, Francia, Germania,Belgio etc.) e dall’altra a carattere permanente nelle americhe(Stati Uniti, Brasile, Argentina, etc). È solo in anni relativamenterecenti che l’attenzione si è spostata sull’immigrazione conl’arrivo, all’inizio degli anni Settanta, dei primi immigrati che cihanno messo di fronte a una nuova e inedita questione sociale.E da Paese di emigrazione siamo diventati un Paese di immi-grazione, che ha totalmente mutato il nostro vertice ottico,rimuovendo il nostro passato straccione di emigranti e finendoper fare agli altri quello che avevano subito i nostri immigratinei loro difficili percorsi migratori.

Ci sono modi diversi di leggere i rapporti tra noi e gli altri,molto dipende dalle parole che usiamo. Ma le parole, com’ènoto, non sono mai innocenti, e soprattutto non lo sono in quelcampo minato che è l’immigrazione, dove ogni parola si portadietro intere genealogie di stereotipi che sono rivelatori delnostro atteggiamento nei confronti dell’Altro, di quel diverso chenello scorcio degli ultimi quarant’anni ha preso le sembianze

Il rapporto fra noi e gli altri può essere letto in diversi modi e le parole che utilizziamo hanno un’influenza decisiva

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dell’immigrato. Sono tanti, troppi, gli stereotipi che circolanosugli immigrati e che finiscono per essere il sintomo degliumori e delle opinioni che ci siamo fatti su di loro, piuttostoche il risultato di una disponibilità all’ascolto di quei diversiche ci sono arrivati in casa. Anche i rapporti con i nuovi arrivatidipendono in larga misura dalle parole che usiamo, nel sensoche le parole ci sopravanzano, si mettono in mezzo tra loro e noi,dal momento che quando parliamo di “multiculturalismo” nondiciamo le stesse cose di quando parliamo di “interculturalità”o di “diaspore”, pur riferendoci alle stesse persone, culture egruppi etnici. Ma se i nostri rapporti reciproci sono determinatidalle parole che usiamo, come proteggere loro ma anche noidalla nostra violenza epistemica?

Non tutte le parole hanno comunque lo stesso impatto o lastessa efficacia. I più fragili sono i concetti che scompaionoin fretta, assieme a teorie prêt à porter, che si succedono ascadenze piuttosto ravvicinate, accanto a mostri sacri come ilmulticulturalismo che si trascinano invece da anni a ritmicadenzati. Rispetto ai concetti le metafore sono invece piùresistenti, ma anche più efficaci, perché grazie alla loro capacitàevocativa esprimono un di più che non potrebbe esser dettoaltrimenti. Penso all’ariosa metafora di “culture in viaggio” diJames Clifford, o al cupo “black Atlantic” di Paul Gilroy, checi aprono all’Altro, a mondi sconosciuti e prossimi, e ai rapportitra noi e loro attraversati da profonde disuguaglianze, che teoriee concetti spesso occultano pur parlandone nelle loro frigidescritture. Ma anche al “melting pot” che è l’altra faccia del “sognoamericano”. Ovvero il grande calderone che avrebbe prodotto lafusione egualitaria di tutti i gruppi etnici e le popolazione immi-grate negli Usa, dando vita a un processo di assimilazione cheha finito per fare gli americani.

Una nozione a bassa densitàLa prima ad arrivare verso l’inizio degli anni Ottanta in Italia

è stata la “salad bowl”, con minime ricadute sul piano deglistudi dedicati all’immigrazione straniera, come si diceva allora,mentre ci avviavamo a diventare anche noi, con scarsaconvinzione, una società di immigrati. In realtà di “salad bowl”non abbiamo mai parlato preferendo il termine più sobrio eaustero di multiculturalismo. Una nozione che aveva fatto davolano al mutamento delle politiche migratorie negli Stati Uniti,in seguito alla crisi del “melting pot”, su cui erano basate leprecedenti politiche assimilazioniste. E che da noi è stata accoltacon un certo sollievo da quanti si occupano di immigrazione e

Le metafore come “melting pot”o “salad bowl”spesso esprimono meglio dei concetti sociologici eantropologicila natura dei rapporti con gli immigrati

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dintorni, in particolare da quegli specialisti degli Altri, qualisono gli antropologi, che vi hanno visto la possibilità di unafuoriuscita dal razzismo e più in generale la rottura del paradigmaeurocentrico. Sia perché neutralizza la nozione di razza, siaperché il concetto di cultura comporta la condivisione di unaumanità e di una storia comuni da cui discendono i due paradigmiforti del multiculturalismo: il riconoscimento della differenzaculturale e il reciproco rispetto tra culture diverse.

Questo vale non solo per termini di uso corrente ma ancheper la letteratura specialistica, a cominciare da espressionidi tutto rispetto – non solo “multiculturalismo” ma anche“interculturalità” – che hanno costituito e costituiscono tuttorale principali chiavi di lettura della presenza nei Paesi occi-dentali di culture e gruppi etnici che provengono dai piùdiversi e lontani angoli di mondo. Ma nonostante la prossimitàche si è venuta a creare tra noi e loro, abbiamo finito perriprodurre e moltiplicare una stessa distanza, le cui variazionidipendono non tanto dalle regole e dalle leggi dei vari Paesidi accoglienza quanto da consuetudini radicate e paure atavichedell’Altro, in quanto “diverso”, che condizionano le nostredisponibilità e capacità di ascolto.

Con gli anni il multiculturalismo si è però rivelato una nozionea bassa densità teorica che invece di fornire una interpretazionedella interazione tra culture è apparso piuttosto una nozionedescrittiva, che non va oltre una cartografia delle diverseappartenenze culturali, senza essere in grado di registrare latrama di rapporti che ne animano la convivenza. Culture cherestano irrelate tra di loro, giustapposte l’una all’altra, ghetticulturali, che ne fanno dei mondi a parte, alla cui origine vi è unaconcezione olistica della cultura, così come è stata configuratadal padre fondatore dell’antropologia culturale, Edward B.Tylor.La sua definizione della cultura come “un insieme complesso”1

dotato di coerenza e stabilità ne ha favorito infatti una letturaessenzialista, basata su una presunta autenticità, che haaccreditato l’immagine di un sistema chiuso, scarsamentepermeabile al contatto e al cambiamento. Nonostante questainterpretazione sia stata decostruita dalla svolta ermeneuticae discorsiva dell’antropologia nella seconda metà del XX secolo,che ha posto l’accento sul carattere ibrido e meticciato delleculture, è stata proprio questa lettura sostantivista della cultura

1 Tylor, p. 7

Termini quali multi-culturalismo e inter-culturalità costituiscono ancora le principali chiavi di lettura della presenza nei Paesi occidentali di gruppi etnici e culture provenienti da diverse parti del mondo

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a fare da madrina alla prospettiva multiculturalista, ma anchea segnarne il declino, per la sua inadeguatezza a reggere ilconfronto con i tempi.

Un nuovo non-luogoSe dalla teoria passiamo all’uso corrente e all’idea che ci

siamo fatti del multiculturalismo, tale categoria risulta ancorapiù problematica. Mi riferisco alla maniera ambigua in cui noi,come società ospitante, viviamo la nostra condizione di partnermulticulturale, che sembra essere completamente rimossa.Per la maggior parte degli italiani il multiculturalismo è qualcosache riguarda gli altri, quelli che vengono da fuori, non certa-mente noi, che siamo qua da sempre, dimenticando che sedavvero la nostra è una società multiculturale, allora non puòessere fatta solo di immigrati bensì anche da indigeni, ovveroda noi stanziali. Come membri della società ospitante riteniamoinvece di godere di uno status privilegiato, che ci autorizzerebbea metterci fuori dal mucchio: da una parte ci siamo noi, comesocietà di accoglienza, dall’altra ci sono tutti gli altri appartenentialle culture immigrate, da cui ricaviamo la confortante convinzionedi “noi uniculturali” e di tutti “gli altri multiculturali”. Al punto danon ritenerci parte della stessa società multiculturale, in cuiperaltro ci troviamo ogni giorno a contatto di gomito con innu-merevoli altri, bensì di vivere in un non-luogo chiamato Italia.

A confermarci in tale certezza tassonomica – noi uniculturalie loro multiculturali – è il modo stesso in cui ci rapportiamoalle altre culture nel variegato panorama del multiculturalismonostrano. Si tratta di un rapporto bipolare tra società di acco-glienza da una parte e singola comunità immigrata dall’altra,all’interno di una relazione asimmetrica di dominio dove aprevalere sono in genere i modelli occidentali, cui gli antro-pologi americani hanno dato il nome di “acculturazione”. Lasua peculiarità, che ne costituisce anche il limite, consiste inuna visione bipolare del contatto tra culture concepito comeuna partita a due, che la società ospitante intrattiene conciascun gruppo etnico preso singolarmente in maniera daescludere la compresenza simultanea di tutti gli altri; unapproccio ormai datato – il famoso Memorandum for the Studyof Acculturation risale al 1936 2 – che non ci mette in grado didecifrare le complesse dinamiche e gli intrecci trasversali che

2 Redfield R., Linton R., Herskovitz M.J.

Per la maggior partedegli italiani il multi-culturalismoriguarda solochi viene da fuori: la convinzione è “noi uniculturali,gli altri multi-culturali”

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si sono venuti a creare tra la pluralità fluttuante degli attori delnuovo ordine mondiale. Non solo, ma nel perseguire le lineedi una rigida divisione etnica (del lavoro), tale approccio razzia-lizza gli immigrati facendo di ciascun gruppo il sinonimo delmestiere che esercita, autorizzando implicitamente le personepiù insospettabili a usare ormai abitualmente come sinonimiil termine filippina per domestica, rumena per badante, senega-lese per ambulante.

Culture in viaggioSe dunque il multiculturalimo è una nozione che non ci fornisce

una visione panoramica della complesse dinamiche che attra-versano il composito mondo della convivenza culturale, traetnie, società e storie diverse, più adeguata appare invece lanozione di “interculturalità”, che a differenza del multiculturalismonon presuppone l’idea che le culture siano delle unità omogeneee chiuse in confini stabili. A fare da volano è stata la nozionedi “transculturalità”, che era stata proposta nei lontani anniCinquanta da un etnologo cubano, Ortiz, con l’intento di sosti-tuirla al concetto di acculturazione per richiamare l’attenzionesul carattere bilaterale del cambiamento tra culture che nelvenire a contatto si modificano a vicenda. In realtà le duenozioni di interculturalità e transculturalità sono molto vicine,ad accomunarle è l’idea del carattere poroso delle culture cheinteragiscono tra di loro in un processo osmotico di traduzionee di contaminazione.

Culture in viaggio, dislocate, mobili – come avrebbe poispiegato meglio 40 anni più tardi James Clifford – dove le lineedi divisione non sono tra una cultura e un’altra, sono fendituretransculturali, campi di tensione. Culture in traduzione che ciportano ad andare e venire tra un mondo e un altro, poichétradurre significa “portare di là” o “trasportare”. Il suo significatoletterale è identico a quello del termine greco ‘metafora’. Latraduzione non è altro che “un tipo di dislocazione metaforicadi un testo da una lingua a un’altra” 3.

Dislocazione linguistica, ma anche culturale, poiché la tra-duzione è una questione di comunicazione interculturale. Setradurre un testo da una lingua a un’altra trasforma la suaidentità materiale, questo è ancora più evidente con la tradu-zione culturale. Secondo Robert Young, noto esponente dei

3 Young, R. J.C. p.166

La nozione di inter-culturalità appare più idonea per descriverela società di oggi,in quanto non presuppone l’idea che le culture siano delle unità omogenee e chiuse

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postcolonial studies, che ha scritto pagine illuminanti sullatraduzione di culture, il colonialismo è stato il laboratorio incui le culture indigene hanno subito “un processo di traduzionesmaterializzante” 4 che le ha trasformate in culture subalterne,poiché nessuna traduzione avviene in uno spazio neutrale einteramente egualitario, dal momento che si produce sempreall’interno di relazioni di potere e forme di dominazione. Nonmolto diverso è quanto accade oggi nell’immigrazione, dove“c’è sempre qualcuno che traduce qualcun altro. Qualcuno[che] subisce la traduzione” 5, per ritrovarsi trasformato “dasoggetto in oggetto”.

Una doppia presenzaOggi sono molto cambiati i modi di vivere l’esperienza della

migrazione tanto che ormai si preferisce parlare di “transemi-grazione” 6. Il migrante non è più una persona che sta persempre e in maniera continuativa nel luogo di approdo in cuisi è venuto a stabilire, ma mantiene un rapporto ininterrottoe regolare con la società di partenza.

Questo attaccamento alla famiglia, al gruppo e al Paesenatale è sempre meno un ricordo sepolto nel cuore che untempo trovava sfogo nella nostalgia e nel rimpianto, ed èsempre di più un rapporto regolare ed effettivo con la propriagente rimasta in Africa, in Asia o altrove con cui viene mantenutoun contatto quotidiano attraverso una complessa rete dicomunicazione e di interscambi: un biglietto aereo low cost diandata e ritorno a casa, la telefonia a buon mercato, la tvsatellitare, internet e Skype, nonché traffici di varia naturafatti di doni, di scambi, di merci, e altro ancora.

Invece di indebolire, come accadeva una volta, il rapportocon la propria comunità di origine, fino a perdere con il passaredegli anni ogni contatto con essa, le nuove migrazioni diaspo-riche non solo lo hanno rafforzato ma l’hanno reso stabile.

I nuovi migranti hanno così trasformato le relazioni affettivee pratiche con la propria comunità di origine, continuando acondividerne a tutti gli effetti la vita quotidiana tramite la parte-cipazione in tempo reale alla presa delle decisioni. E non soloin occasioni particolari come festività religiose, celebrazione

4 Ibid.5 Ivi, p.1676 Grillo, Riccio, Koser 2000

I voli low-cost,le telefonate a buon mercato,la tv satellitare e internet consentono agli immigrati di mantenere un rapporto stabile e regolare con la madrepatria

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di matrimoni, compleanni, e altri riti di istituzione, come unapromozione, un concorso o un qualsiasi traguardo sociale, maanche e soprattutto a livello del quotidiano. Tutto ciò è statoreso possibile dai costi sempre più bassi dei call center,sostituiti poi dall’abbattimento dei prezzi dei cellulari (“callmy country”, “calling Philippine”, “Tim card India”, da 3 a 5centesimi al minuto) con regolare chiamata due volte allasettimana, fino a tre volte al giorno in caso di problemi o didecisioni particolarmente urgenti come sapere se sono arrivatii soldi, se bastano a pagare la rata del mutuo o i debiti con lebanche, l’elettricità, e poi come va la scuola dei figli, i rapporticon il vicinato, la salute degli anziani, gli screzi e i litigi infamiglia e resoconti dettagliati di faccende private più o menoimportanti e altro ancora.

In una situazione come quella della migrazione, dove ricono-scimento e senso di appartenenza sono a rischio e devonoessere continuamente confermati e reinventati, il rapportopraticamente quotidiano con la comunità di partenza rendegli immigrati meno vulnerabili e soprattutto meno disposti alasciasi integrare nella società di accoglienza. Si tratta disoggetti ibridi, meticciati, multilocali, ovvero soggetti ubiqui

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che hanno la “capacità di essere ‘qui’ e ‘lì’ contemporanea-mente” 7, in maniera tale da convivere simultaneamente siacon la gente del Paese di arrivo che con quella del Paese dipartenza. Protagonisti transnazionali di un mondo globalizzatodi cui attraversano i confini nazionali, geografici e politici,creando campi sociali e nuove opportunità di fare comunità,i migranti diasporici del nuovo millennio riconfermano antichefedeltà e appartenenze recenti ma altrettanto stabili che sirafforzano a vicenda. La loro può essere definita una “doppiapresenza” che li vede impegnati quotidianamente tanto nelPaese in cui li ha portati l’emigrazione, quanto nel Paese diorigine con cui non staccano mai la spina, ma anche neirapporti con gli altri avamposti della loro comunità dislocatinei più diversi angoli di mondo, “con cui mantengono legamieconomici, politici, familiari, religiosi e linguistici che possonoessere concepiti come “casa” 8. A garantirlo è questa fitta retedi relazioni multiple che viene tessuta e mantenuta in manierastabile dai contatti continuativi e regolari che rafforzano lacomunità diasporica, permettendo in molti casi agli immigratidi “prendere parte – come ha segnalato Ralph Grillo – al processodi costruzione nazionale di due o più Stati-nazione” 9.

Da immigrati a migrantiL’immigrato si è trasformato in migrante poiché non è più

una persona che fa parte esclusivamente della società in cuisi è venuto a stabilire, ma continua a mantenere una rete direlazioni stabili che assicurano un collegamento regolare trala società di accoglienza e la comunità di partenza, ma anchee soprattutto con gli altri nuclei comunitari sparsi per ilmondo. Questa “complessa triangolazione” 10, propria dellenuove migrazioni diasporiche, che seguono i tracciati dellaextraterritorialità del mondo globalizzato, significa due coseimportanti: la prima è che le comunità migranti mantengonointensi legami reali e sentimentali ma anche immaginari nonsolo con la loro terra di origine ma soprattutto con una comunitàdispersa o collocata altrove; e la seconda, che è una conse-guenza della prima, “non verranno facilmente integrate o

7 Riccio, p.178 Grillo, p.109 Ibid.10 Sheffer, 1986, p. 3

I nuovi migranti sono soggetti ibridi,meticciati e ubiqui,capaci di essere allo stessotempo “qui”e “lì”

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addomesticate come in passato” 11 all’interno degli Stati diresidenza, essendo ormai dei soggetti diasporici, personeche “non possono essere ‘curate’ con la fusione in una nuovacomunità nazionale” 12.

Del resto sono proprio loro i primi a non volere essere integratiall’interno della società dove si trovano a risiedere, poichéintendono mantenere legami reali e affettivi con il proprio Paesee dimostrare la propria lealtà alla loro nazione cui continuanoa guardare non solo come a una patria immaginata. Ma primaancora non vogliono più essere considerati “minoranze”, trat-tandosi di “un termine che si iscrive ancora all’interno delparadigma dello Stato-nazione moderno che non sembra piùessere in grado di rendere conto della condizione dei soggettimigranti” 13. È stata la loro incompatibilità con lo status diminoranze che in qualche misura ha favorito la loro trasformazionein comunità etniche “deterritorializzate e transnazionali”14. Culturein viaggio che hanno trovato il proprio riscatto nel contestomobile e permeabile della globalizzazione che ha limitato lasovranità territoriale degli Stati-nazione, ridimensionata daiflussi transnazionali di capitali e persone.

In realtà le culture non viaggiano, sono le persone a viaggiare,a transitare da una cultura all’altra. Sono i loro corpi ad attra-versare i confini, portandosi dietro il transito, il passaggio, latraduzione. Nel senso che i corpi non passano indenni attraversoi confini, si devono contaminare con i nuovi habitus culturali,poiché il transito è traduzione della diversità. Chi transita da unacultura all’altra mira a conquistarsi un posto al sole, che significariuscire ad accedere a una straccio di cittadinanza.

Chiusure colonialiAncora una volta stanno cambiando le regole e i codici

delle migrazioni, che appaiono sempre più in grado di orientarei destini di milioni di persone nel contesto problematico di unaglobalizzazione tuttora governata da una logica coloniale,che si costituisce producendo “spazi eterogenei” politici,economici e giuridici, destinati a produrre “forme specifichee diversificate di incorporazione” di territori, culture e soggetti.

11 Mellino, 2008, p. 8112 Clifford, 1999, p. 30713 Mellino, 2005, p.7614 ivi, p.78

Le culture in viaggio hanno trovatoriscatto nel contesto mobile e permeabile della globaliz-zazione,che ha visto la sovranità degli Stati limitata dai flussi transnazionali di capitali e persone

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Ma che prefigurano anche pratiche inedite di resistenza cre-scente nei confronti delle molteplici forme di spossessamento,gerarchizzazione e di “esclusione inclusiva” che segnano i nostritempi, in cui l’alternativa a un presente sicuro e a un futuroprogettato è il dominio del caos. Una minaccia sempre piùrealistica che proviene dalla progressiva erosione di quellegaranzie di stabilità e sicurezza da parte dello Stato che ormaiappare del tutto inadeguato a fornire protezione e fiducia aicittadini sul proprio territorio in seguito ai processi di globa-lizzazione, che stanno sottraendo pezzi alla sua sovranità.

Per quanto riguarda i migranti del terzo millennio la violenzanei loro confronti si è materializzata nello sbarramento di ogniaccesso alla cittadinanza che è ormai diventata per loro unsogno off-limits. Il massimo cui possono ragionevolmenteaspirare è un permesso di soggiorno, peraltro sempre revocabileo a scadenza, che permette di realizzare una inclusione diffe-renziale, all’interno di gerarchie strette che riproducono logichecoloniali fondate sulla separazione tra cittadini e sudditi che“affonda le radici – come precisa Bauman – in una sorta di‘pressione coloniale’ alla rovescia” 15.

Rispetto a “un’immagine inclusiva ed espansiva della citta-dinanza”, che per alcuni anni aveva alimentato le speranze ele aspettative degli immigrati, si è ormai affermata la sua facciaesclusiva, facendo di essa la “linea che separa un dentro daun fuori” 16. Tanto che la cittadinanza sta diventando sinonimodi esclusione. Con il risultato che ai poveri del mondo – i migranti,i clandestini, i rifugiati, gli homeless – che non fanno partedella nostra stessa umanità, non resta che la “nuda vita”, dopoche li abbiamo spossessati di identità, appartenenza e diritti.Displaced persons che vengono a ingrossare le fila di una“eccedenza umana continuamente prodotta su scala globale”17.Di fronte a questo fenomeno planetario di dimensioni gigante-sche che ormai coinvolge almeno 40 milioni di persone cisentiamo inermi o forse siamo solo ipocriti, prigionieri di unalogica coloniale che ci divide in due, in sommersi e salvati.Ancora una volta due pesi e due misure: per noi la prevenzione,per gli altri la nuda vita secondo le logiche implacabili delbiopotere che fa vivere i primi e lascia morire i secondi.

15 Bauman, 200416 Mezzadra, 2006, p. 6017 Rahola, 2003, p. 8

La cittadinanza è diventata sinonimo di esclusione e non di inclusione,col risultato che i poveri del mondo sembrano quasi non far più parte della nostra umanità

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ioneIntegrare condividendo

di Stefano MenonFondazione Politecnico di Milano - Responsabile area E-collaboration & E-learning

Realizzato dal Metid del Politecnico di Milano il progetto InteSE si basa su un portale inter-universitario per lo scambio di informazioni e contatti, che offre agli studenti stranieri strumenti per un’integrazione più efficace

Il progetto InteSE-INTEgrazione Studenti Esteri (www.intese.eu)nasce nel 2010 con l’obiettivo di offrire gli strumenti per una piùefficace integrazione degli studenti stranieri, in particolarequelli extra-UE, nel contesto italiano. Il progetto, finanziato grazie

al Fondo europeo per l ’ integrazione (Fei),è stato realizzato dal Metid del Politecnicodi Milano, dalla fondazione Politecnico diMilano e con il contributo del MIP, la businessschool d’ateneo.

InteSE oggi è un portale inter-universitario,aperto a tutte le università italiane che voglianoaderirvi e a tutti gli studenti di qualsiasinazionalità, iscritti (o che vogliano iscriversi)

in un ateneo italiano. Inoltre, InteSE è aperto a qualsiasistudente, a prescindere dal suo livello di preparazione: laureabreve e magistrale, master, dottorato. È uno spazio di socia-lizzazione, di informazione e di formazione in cui attivare esperimentare nuovi canali e modalità di comunicazione escambio tra tutti i soggetti coinvolti nel percorso di integrazionedi uno studente straniero.

Ma è prima di tutto uno spazio che mancava e di cui gliatenei che hanno già aderito hanno confermato l’esigenza. Èun ambiente informale, in cui università e studente possonoiniziare a conoscersi, in cui gli studenti che hanno già superatoalcune fasi di inserimento nel contesto formativo (e non solo)italiano possono essere di aiuto per chi è all’inizio del percorso,uno spazio in cui si possono condividere risorse, informazioni

Uno strumento aperto a tutti gli atenei italiani che voglianoaderirvi e agli studenti di qualsiasi nazionalità e livellodi preparazione

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e consigli utilizzando i canali che fanno parte della vita quotidianadegli studenti come ambienti di scambio e socializzazione.

È un ambiente che intende aggregare e non creare nicchie,per questo è “agganciato” ai più importanti social network.Non solo Facebook o Twitter, ma anche quelli meno noti inItalia e che tuttavia hanno un forte seguito in altre zone delpianeta (Orkut, Sonico, ecc.).

È però anche uno spazio che non intende duplicare servizigià esistenti, per questo è “in dialogo con tutti ma nonrisponde a nome di nessuno”. InteSE infatti è stato progettatoper fungere da hub, cioè da punto di incontro, incrocio esmistamento di contatti e informazioni provenienti da diversefonti, senza mai cercare di sostituirsi ad essi. Le informazionicircolano quindi molto liberamente, basando il servizio sull’utilitàpercepita e sulla responsabilizzazione di ogni singolo utente.

Infine, InteSE è anche luogo di formazione. La sperimen-tazione condotta ha permesso di testare diverse tipologie dicontenuti e formati didattici: corsi on line in auto-apprendimentoe in gruppi-classe ristretti all’interno di aule virtuali, associatiai classici corsi in presenza. InteSE, anche grazie al fatto cheil progetto si basa su un’attenta analisi dei bisogni inserita in

un progetto articolato, ha fornito quindil’opportunità di integrarsi nel sistema Italiaanche attraverso la creazione di contenutiformativi progettati ad hoc, concepiti comestrumenti e chiavi di lettura per conosceree interpretare il sistema culturale, la storia,il sistema universitario e quello produttivodel Paese che gli studenti hanno scelto comemeta di studio.

Un portale come luogo di aggregazione permette di superarele barriere logistiche. Le università sono molto attente al temadell’integrazione: hanno aperto uffici e definito percorsi adhoc per l’inserimento degli studenti stranieri. L’ambizione diInteSE è quella di sintetizzare e rendere facilmente fruibiliqueste informazioni, non sempre lineari, e creare una comunitàdi studenti che si confronti sui problemi e sull’esperienza delvivere e studiare in Italia.

Lo scambio di idee, risorse, informazioniL’analisi del contesto e i risultati emersi dalla ricerca prelimi-

nare hanno confermato ed evidenziato la necessità di proporrealla variegata popolazione di studenti internazionali uno spazioche non fosse esclusivamente un (altro) luogo di studio, ma

InteSE è anche un luogo di formazione in cui si sperimentano diverse tipologie di contenuti e formati didattici innovativi

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anche di condivisione, aggregazione e informazione puntuale.Anzi, proporre occasioni di formazione non obbligatoria e

quindi aggiuntiva al già ricco piano di studi dell’universitàitaliana è risultato fondamentale per “agganciare” una popo-lazione di studenti che altrimenti si dimostra generalmenterestia all’integrazione.

Sono state quindi fissate poche ma chiare regole non invasive,sapendo che su questo elemento si gioca il successo di unacomunità, dove le regole non sono calate dall’alto. I contenuti,

la strutturazione e la morfologia che la reteautonomamente si dà sono quelli che permet-tono alla comunità di crescere.

Ovviamente questo non poteva realizzarsisenza una strutturazione di regole e tutorial,di modo che i contenuti generati avesserouna loro standardizzazione e uniformità. Sonostati predisposti quindi diversi video-tutorialche permettono all’utente di orientarsi facil-

mente e di partecipare attivamente all’interno della piattaforma.

Bottom-up e peer-to-peerLa filosofia che ha guidato il progetto si è basata sull’integra-

zione di modelli partecipativi diversi, in cui al classico stiletop-down si sono uniti approcci di tipo bottom-up, dove sonostati chiesti consigli agli studenti su come sviluppare il portale,e di tipo peer-to-peer, dove gli studenti hanno avuto l’opportu-nità di essere di supporto l’uno all’altro.

L’esempio più emblematico è nell’area definita communitytags, spazio dedicato alla condivisione di risorse web. Si èoptato per un canale e per uno stile molto liberi, con cui si ècercato di valorizzare la responsabilizzazione degli studenti.Quest’area infatti si basa sull’utilizzo di uno strumento esternoalla piattaforma, creato per condividere in rete i “preferiti”,cioè i siti ritenuti più interessanti, attraverso un sistema di tag.I tag, etichette sintetiche che descrivono il contenuto e lorendono ricercabile in maniera più articolata che non “insca-tolandolo” all’interno di singole cartelle, sono il motore fonda-mentale di questa tipologia di strumenti. Il social bookmarkerscelto è Delicious, probabilmente il più condiviso e utilizzatonella sfera del web 2.0. L’unico vincolo per poter inserire lapropria risorsa web preferita nell’elenco di InteSE è quello diaggiungere il tag “inteseproject” (oltre a quelli che più puntual-mente descrivono il contenuto).

In casi come questo l’approccio nella gestione e nel monito-

Il successo della comunità si gioca anche sul fatto che le regole non sono calate dall’alto e la rete si dà unastrutturazione autonoma

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raggio di quanto accadeva si è limitato a garantire uniformità,attraverso una serie di tutorial video, così che anche all’utentemeno esperto non fosse preclusa la possibilità di inserirecon facilità un contenuto. La scelta del video inoltre è andataincontro all’esigenza di aiutare, con l’ausilio di immagini,tutti coloro che non dominano perfettamente la lingua.

La linguaLa scelta della lingua principale, primo passo per garantire

la fruibilità della piattaforma, è stata il frutto di un lavoro diricerca e analisi delle caratteristiche della popolazione deglistudenti internazionali. In quella sede è emersa l’importanzadell’utilizzo della lingua veicolare per eccellenza, l’inglese,che è risultata essere la più diffusa. Tuttavia, trattandosi diun progetto che ha l’obiettivo di integrare e far conoscerel’Italia, si è optato per un portale bilingue, dove tutti i contenutisono quindi riportati sia in inglese che in italiano. Anche lenewsletter sono redatte in doppia lingua.

Questa scelta ha facilitato inoltre la comunicazione con i futuristudenti che ancora risiedono all’estero e stanno scegliendol’Italia come luogo di studio. Hanno così accesso alle informa-zioni e l’opportunità di parlare con chi, già presente sul territorio,sta vivendo la stessa esperienza che anche loro si apprestanoa vivere.

Per quanto riguarda gli strumenti di comunicazione internialla piattaforma sono stati predisposti, con diverse funzioni:

forum di discussioneblog per la redazione di rubriche con uscita periodica (una

settimanale, una quotidiana)blog personali per gli studentinewsletterwebinar di presentazione di strutture e servizi dedicati agli

studenti internazionalivideo presentazioni degli studentisocial network

ConclusioniOggi il portale è uno spazio a disposizione degli studenti

e delle università che hanno aderito o vorranno aderirvi.Tante cose possono essere ancora fatte o migliorate attraversoil dialogo e l’incontro con le esigenze degli utenti, consapevoliche l’integrazione non possa passare esclusivamente attraversoil canale on line, ma anche che questo può essere un validostrumento di amplificazione delle buone pratiche esistenti e

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delle iniziative messe in atto quotidianamente sia dalle istituzioniche dagli studenti.

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Storie, numeri e curiositànel settimo Rapporto“Italiani nel Mondo”

di Delfina LicataDossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes

Un appuntamento annuale atteso da istituzioni,mondo accademico e associazioni che fotografala complessa realtà degli oltre quattro milioni di nostri connazionali residenti fuori dall’Italia

È stato recentemente presentato il Rapporto Italiani nelMondo 2012 (Ed. Idos, giugno 2012, pp. 512) giunto, quest’anno,alla settima edizione. Era il 2006 quando la fondazione Migrantesaffidò, per la prima volta, al Centro studi e ricerche Idos larealizzazione di quello che possiamo definire il completamentonaturale del “Dossier statistico immigrazione” Caritas/Migrantesovvero un volume che avesse tra le sue prerogative l’analisidell’altro “lato della medaglia”, quello della mobilità italiana.Sin da subito fu chiaro che di un tale rapporto si avvertiva lanecessità da tempo, non essendoci in Italia un sussidio dellastessa natura.

Per sette anni il Rapporto Migrantes è stato un appuntamentofisso, atteso e sollecitato da diverse istituzioni, pubbliche eprivate, dal mondo accademico, dagli enti locali, dall’asso-ciazionismo, dai patronati, ecc. E in questo arco di tempo ècresciuto raggiungendo la sua fase di maturità.

Obiettivo primario del volume è parlare dell’emigrazioneitaliana di oggi non dimenticando il passato, ma facendo sìche l’ottica storica sia la giusta cornice dalla quale partire perarrivare ad analizzare e descrivere i flussi contemporaneidegli italiani. L’edizione del 2012 ha visto la collaborazione di65 autori che dall’Italia e dall’estero studiano, approfondisconoe scrivono di emigrazione italiana. Filo rosso che unisce i con-tributi è sicuramente l’attenzione per i dati, ritenuti una correttabase di partenza in quanto obiettivi, e vista la loro problematicitàa livello nazionale il Rapporto si arricchisce, ogni anno, di fontiprimarie e secondarie, nazionali e internazionali.

L’edizione 2012 ha visto la collaborazione di 65 autori che dall’Italia e dall’estero studiano l’emigrazione italiana

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Particolare attenzione è data al linguaggio, per il quale sichiede la massima semplicità e scorrevolezza nella lettura inmodo da agevolare il vasto pubblico dei lettori. Quest’ultimo ècomposto non solo dai cultori della materia, ma anche daglistudenti di ogni ordine e grado, da chi è all’estero, discendentedi italiani – che conosce bene, poco o che intende impararel’italiano – e dagli immigrati in Italia che sia accostano al volumeper imparare la storia e le peculiarità del Paese da loro sceltocome luogo in cui realizzare il progetto migratorio.

Il volume si compone di 51 capitoli articolati in cinquesezioni: flussi e presenze tra storia e attualità; aspetti socio-culturali; aspetti religiosi e pastorali; aspetti socio-economici;approfondimenti tematici. Chiude il volume una ricca appendicestatistica con schede regionali, provinciali, comunali e tabelleriassuntive che sintetizzano le principali disaggregazionidisponibili.

I dati al 2012: sempre più giovani e nati all’esteroAll’inizio del 2012 i cittadini italiani iscritti all’Aire (Anagrafe

italiana residenti all’estero) – dato che non è totalmenteesaustivo della presenza di nostri connazionali all’estero,visto che molti non si iscrivono – sono 4.208.977, di cui2.017.163 donne (47,9%). Su 60.626.442 italiani residenti inItalia all’inizio del 2011 i connazionali residenti all’estero incidonoper il 6,9%.

Ben il 54% del totale degli iscritti ha dato come motivo diiscrizione l’espatrio, ma continua l’ascesa dei “nati all’estero”,arrivati al 38,3% (erano il 37,7% nel 2011). A rilevante distanzainvece, si collocano gli iscritti per aver acquisito la cittadinanzaitaliana (3,2%).

A confermare che la comunità degli italiani residenti fuori

Continenti Area territoriale Primi 5 Paesi di residenza all’estero

Italia. Cittadini iscritti all’Aire per continente, area territoriale e primi 5 Paesidi residenza all’estero (gennaio 2012)

Fonte: Rapporto Migrantes “Italiani nel Mondo”. Elaborazioni su dati Aire

Europa 2.306.769 Nord-Ovest 657.196 Argentina 664.387Africa 54.533 Nord-Est 668.501 Germania 639.283

Asia 41.253 Centro 640.094 Svizzera 546.614America 1.672.414 Sud 1.465.493 Francia 366.170Oceania 134.008 Isole 777.693 Brasile 298.370Totale 4.208.977 Totale 4.208.977 Totale 4.208.977

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dai confini nazionali continua a “svecchiarsi” sempre di piùvi sono una serie di elementi quali, ad esempio, l’anzianitàdi iscrizione e l’età anagrafica degli iscritti a questa anagrafe.Il 37,1% (1,6 milioni) è, infatti, all’estero da più di 15 anni e il14,9% (quasi 630mila) lo è da 10 -15 anni. Continuano adaumentare (1 milione 131 mila) coloro che sono iscritti da 5 -10anni che sono il 26,9% del totale. L’11,5% (quasi 500mila italiani)è, invece, iscritto da tre anni. Quasi 800mila hanno più di 65anni (19%), quasi 665mila sono, invece, minorenni (15,8%). Il21,2% ha un’età compresa tra i 19 e i 34 anni (890mila), mail 25% (poco più di un milione) ha tra i 35 e i 49 anni. Il 19,1%,infine, ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni (poco più di800mila). La stragrande maggioranza è celibe/nubile (53,7%)mentre i coniugati sono il 38,2%.

La ripartizione continentale è così strutturata: Europa(2.306.769, 54,8%), America (1.672.414, 39,7%), Oceania(134.008, 3,2%), Africa (54.533, 1,3%) e Asia (41.253, 1%).La comunità più numerosa risiede in Argentina (664.387).Seguono la Germania (639.283), la Svizzera (546.614), la Francia(366.170) e il Brasile (298.370).

Il 53,3% degli attuali cittadini italiani all’estero è partito dalMeridione (oltre 1 milione e 400mila dal Sud e quasi 800miladalle Isole). Il 31,5% proviene invece dal Nord Italia (poco piùdi 657mila dal Nord-Ovest e quasi 670mila dal Nord-Est). Il15,2%, infine, ovvero 640mila, è partito dalle regioni delCentro Italia. Nella graduatoria regionale, la Sicilia (674.572)è al primo posto seguita, nell’ordine, da Campania (431.830),Lazio (375.310), Calabria (360.312), Lombardia (332.403),Puglia (319.111) e Veneto (306.050).

Italiani all’estero: difficoltà, sacrifici, insuccessi e lieto fineTra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, gli emigranti italiani

furono fatti oggetto di violente campagne diffamatorie all’internodei Paesi nei quali erano emigrati. Gli organi di stampa defi-nivano i nostri connazionali come antropologicamente portatia delinquere, rappresentando una seria minaccia per l’ordinee la sicurezza pubblici. Considerati da molti addirittura il“missing link”, l’anello mancante tra uomini e scimmie, gli italianierano trattati alla stregua dei neri (gli americani, proprio perquesto, li chiamavano anche “Guinea”) e derisi perfino per leloro abitudini alimentari. Sfruttati e maltrattati, alcuni tra gliemigranti italiani entrarono nei circuiti della malavita, gettandoun indelebile marchio d’infamia sull’intera comunità italiana.Altri invece, al caro prezzo di enormi sacrifici e fatiche, riabili-

Tra gli iscritti all’Aire, più di un italiano su tre risiede all’estero da oltre 15 anni e uno su cinque ha più di 65 anni di età

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tarono l’Italia dimostrando di essere brave persone e grandilavoratori. Tante sono, infatti, le storie di lavoratori umili, maanche di veri e propri talenti che, tanto nel passato quantooggi, continuano a recarsi all’estero dove trovano una rispostaai loro bisogni di realizzazione personale e professionale.

Proprio a tale proposito, nel Rapporto 2012 viene trattato il casodella presenza dei lavoratori italiani in Colombia nell’ambito diuna indagine che ha visto la fondazione Migrantes collaborarecon il sindacato Sei-Ugl. I cittadini iscritti all’Aire e residenti inColombia all’inizio del 2012 sono 13.324. Tale presenza non rag-giunge, ovviamente, i numeri elevati di altri Paesi dell’Americalatina come l'Argentina e il Venezuela, ma rappresenta una

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realtà importante da studiare per l’attivismo degli italiani iquali, nel corso dei secoli, hanno contribuito allo sviluppoeconomico e sociale della Colombia. Una presenza storica dilotte, rivendicazioni e partecipazione politica, ma anche unapresenza, da quanto posto in evidenza dall’indagine, sottostimatarispetto ai dati ufficiali. La ricerca mette, infatti, in luce comei nostri connazionali abbiano, nella maggior parte dei casi,lasciato la loro residenza in Italia, ma siano comunque beninseriti nel mercato occupazionale colombiano.

Se dal questionario emerge una realtà di integrazione benriuscita sul piano lavorativo, lo stesso si può dire per quantoriguarda la sfera sociale: dopo un periodo iniziale di difficoltà,dovute principalmente alla ricerca di un lavoro, di un alloggioe all’apprendimento di una lingua straniera, la maggior partedegli intervistati ritiene di averle superate con il fondamentaleaiuto dei cari rimasti in patria. La presenza ridotta di immigratiitaliani in Colombia non ha favorito il diffondersi della linguaitaliana nel quotidiano, né la proliferazione di intellettuali,poeti e scrittori italiani. Sono gli italiani che si sono adattati alcontesto linguistico imparando le lingue locali, ma le cose stannocambiando: se l’italiano non è entrato nella vita quotidiana èsicuramente conosciuto in ambito musicale, cinematograficoe gastronomico, soprattutto nelle grandi città dove terminicome espaghetti (it. spaghetti), arriverchi (it. arrivederci),farniente (it. dolce far niente) o chao (it. ciao) stanno semprepiù entrando a far parte del linguaggio comune.

Anche in Colombia, quindi, come in tante parti del mondo,in prospettiva si arriverà, probabilmente, a individuare inmodo ineccepibile elementi di italianità. L’auspicio del Rapporto“Italiani nel Mondo” è che, attraverso la conoscenza e l’analisi,l’Italia possa farsi cogliere pronta a cavalcare la sua fama ea considerare come opportunità da afferrare la rete di oltrequattro milioni di cittadini che vivono stabilmente fuori daiconfini nazionali.

Il focus sulla presenza italiana in Colombia,un esempio riuscito di integrazione nella realtà locale

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a cura di Stefania NassoDoc

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Studenti internazionalie permessi di soggiornoper motivi di studio:le statistiche in UE e Italiadi Vincenzo Cesareo Segretario generale della fondazione Ismu

Nelle pagine che seguono presentiamo le tabelle che fungonoda supporto dati per gli articoli del Primo piano, frutto delleelaborazioni dell’Emn Italy su una serie di fonti internazionalie interne: Eurostat per i permessi di soggiorno per motivi distudio nell’Unione Europea; il ministero dell’Interno italianoper quelli relativi all’Italia; Unesco e ancora Eurostat per i datisugli studenti internazionali nell’UE e l’Anagrafe degli studentiuniversitari del ministero dell’Istruzione, Università e Ricercaitaliano per quelli sugli studenti internazionali in Italia (per unpanorama completo, che include non solo le università, maanche le scuole, si rimanda ai numeri 1/2010 e 1/2011 dilibertàcivili, disponibili anche sul sito web www.libertacivili.it e,nella versione i-Pad della rivista sull’App store).Nell’ordine sono riportati i seguenti dati:

UE - Andamento dei permessi di soggiorno per motivi di studio(primo rilascio e stock 2010)

UE - Primi dieci Paesi per numero di permessi di soggiorno(primo rilascio e stock 2010)

Italia - Andamento dei permessi di soggiorno per motividi studio (primo rilascio e stock 2010)

Italia - Primi dieci Paesi per numero di permessi di soggiorno(primo rilascio e stock 2010)

UE - Numero di studenti internazionali e tasso di inbound(2005-2010)

UE - Numero di studenti internazionali e continente diprovenienza (2005-2009)

Italia - Studenti stranieri immatricolati, iscritti e laureati(2003 -2012)

Italia - Primi 10 Paesi per studenti internazionali iscritti nell’a.a.2010/2011

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I dati sugli studenti internazionali e i permessi per motivi di studio

1. Permessi di soggiorno per motivi di studio nell’UnioneEuropea

Studio Di cui studio Di cui altri Totale Studio Totaletout court motivi

di studio**

Primo rilascio Stock

Belgio 5.695 5.002 693 67.653 14.111 360.959

Bulgaria 1.492 - - 4.051 4.692 14.241

Ceca Rep. 5.153 1.399 3.754 34.653 8.330 266.796

Danimarca 6.068 4.991 1.077 28.576 - -

Germania 30.035 23.497 6.538 117.202 118.356 3.743.931

Estonia 399 - - 2.647 528 209.059

Irlanda 13.653 7.514 6.139 22.235 36.798 133.232

Grecia 1.323 1.288 35 33.623 6.422 524.215

Spagna 24.864 22.882 1.982 258.104 44.582 2.966.019

Francia 65.538 65.538 0 204.321 110.075 2.294.046

Italia 25.676 17.559 8.117 589.988 39.803 3.525.586

Cipro 2.698 2.311 387 19.139 16.907 111.948

Lettonia 296 280 16 2.329 483 372.208

Lituania 422 - - 1.861 1.089 27.814

Lussemburgo - - - - - -

Ungheria 3.995 3.951 44 14.601 8.346 91.089

Malta 157 157 - 2.763 367 4.967

Paesi Bassi 10.510 10.510 - 54.473 17.841 370.522

Austria 3.735 3.058 677 30.596 13.810 463.107

Polonia 9.098 7.324 1.774 101.574 12.901 130.886

Portogallo 5.414 5.288 126 37.010 5.687 342.383

Romania 3.265 2.478 787 10.218 11.808 60.402

Slovenia 628 0 0 7.537 1.290 85.787

Slovacchia 353 299 54 4.373 735 23.590

Finlandia 4.433 4.433 - 19.210 7.730 122.108

Svezia 14.165 13.308 857 74.931 26.549 311.995

Regno Unito 271.273 - - 732.208 - -

Totale 510.338 203.067* 33.057* 2.475.876 509.240* 16.556.890*

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Eurostat

Tabella 1.1. Unione Europea. Andamento dei permessi di soggiorno per motivo di studio e totale(2010)

* Il dato non include diversi Paesi membri, tra cui il Regno Unito, nazione che accoglie più della metà deinuovi flussi per motivi di studio** Tirocinio non retribuito e volontariato

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I dati sugli studenti internazionali e i permessi per motivi di studio

Tabella 1.2. Unione Europea. Permessi per motivo di studio: primi 10 Paesi di primo rilascio e stock(2010)

Cina 78.539Stati Uniti 58.396India 51.442Pakistan 25.680Brasile 16.196Turchia 14.311Corea del Sud 12.612Nigeria 12.215Bangladesh 12.022Russia 11.997Totale (senza Regno Unito) 239.065Totale 510.338

Primo rilascio

Cina 82.649

Marocco 23.404

Stati Uniti 19.531

Russia 18.785

Turchia 17.626

Brasile 17.064

India 16.099

Ucraina 14.859

Cameron 12.163

Corea del Sud 11.989

Totale (senza Regno Unito) 509.240

Totale nd

Stock

2. Permessi di soggiorno per motivi di studio in Italia

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Eurostat

Studio 25.098 24.219 17.559 24.066

Altri motividi studio * 3.511 8.415 8.117 6.194

Totale Studio 28.609 32.634 25.676 30.260

Da 3 a 5 mesi 962 4.866 5.075 3.309

Da 6 a 11 mesi 27.395 27.399 20.433 26.777

Oltre 12 mesi 252 369 168 174

Tot. Permessi di Soggiorno 550.226 506.833 589.988 331.083

Da 3 a 5 mesi 23.260 22.358 21.063 17.701

Da 6 a 11 mesi 120.341 212.800 254.815 150.395

Oltre 12 mesi 406.625 271.675 314.110 162.987

nd nd nd nd

nd nd nd nd

87.260 81.386 39.803 49.027

6.710 1.459 412 571

78.796 63.123 38.092 47.289

1.754 16.804 1.299 1.167

3.035.573 3.587.653 3.525.586 3 718.568

107.659 12.774 20.061 3.624

150.130 358.791 348.935 358.165

2.777.784 3.216.088 3.156.590 3.356.779

Tabella 2.1. Italia. Andamento dei permessi di soggiorno per motivo di studio: primo rilascio e stock(2008-2011)

Primo rilascio Stock

* Tirocinio non retribuito e volontariato

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Eurostat/ministero dell’Interno

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I dati sugli studenti internazionali e i permessi per motivi di studio

2008 2009 2010 2011

Cina 5.145 Stati Uniti 6.302 Stati Uniti 5.684 Stati Uniti 6.279

Stati Uniti 2.267 Cina 3.684 Cina 3.243 Cina 4.214

Albania 1.729 Albania 1.692 Albania 1.029 Turchia 1.632

India 1.192 Turchia 1.669 Giappone 953 Iran 1.260

Giappone 1.065 Giappone 1.395 Brasile 952 Brasile 1.183

Camerun 1.057 Brasile 1.343 Iran 939 Russia 1.109

Brasile 999 India 1.093 Russia 764 Giappone 1.054

Turchia 961 Iran 1.012 India 740 Corea del Sud 961

Corea del Sud 808 Corea del Sud 980 Corea del Sud 736 Messico 767

Iran 774 Russia 896 Camerun 615 Albania 702

Totale 28.609 Totale 32.634 Totale 25.676 Totale 30.260

Tabella 2.2. Italia. Primo rilascio per motivo di studio: primi 10 Paesi (2008-2011)

2008 2009 2010 2011

Albania 15.005 Albania 12.044 Albania 5.293 Cina 7.589

Stati Uniti 11.150 Cina 9.544 Cina 4.802 Albania 5.883

Cina 9.027 Stati Uniti 9.004 Stati Uniti 4.498 Stati Uniti 2.842

Marocco 2.777 Camerun 2.646 Iran 1.584 Iran 2.520

India 2.451 Turchia 2.415 Camerun 1.407 Camerun 2.088

Serbia 2.234 Iran 2.386 Turchia 1.094 Turchia 1.501

Camerun 2.139 Giappone 2.368 Giappone 1.085 Russia 1.487

Giappone 2.108 Brasile 2.177 India 1.054 Israele 1.310

Brasile 2.007 India 2.175 Brasile 1.004 Corea del Sud 1.292

Croazia 1.925 Marocco 2.090 Russia 994 Giappone 1.247

Totale 87.260 Totale 81.386 Totale 39.803 Totale 49.027

Tabella 2.3. Italia. Stock per motivo di studio: primi 10 Paesi (2008-2011)

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Eurostat/ministero dell’Interno

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I dati sugli studenti internazionali e i permessi per motivi di studio

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Unesco (Internationally mobile students or International students:2005-2009); Eurostat (foreign students: 2010)

Tabella 3.1. Unione Europea. Studenti internazionali e tasso di inbound* (2005-2010)

* l tasso di inbound è l’incidenza del numero di studenti dall’estero che studiano in un determinato Paese sultotale degli iscritti nel settore terziario in quel Paese

3. Le statistiche sugli studenti internazionali nell’UE

Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2010*

v.a. v.a. v.a. v.a. v.a. v.a. Tassodi inbound

Belgio 21.054 24.854 25.202 29.844 33.951 55.064 12,4%

Bulgaria 8.550 9.361 9.100 9.268 9.423 10.259 3,6%

Rep. Ceca 18.522 21.395 24.483 27.907 30.624 34.992 8,0%

Estonia 884 1.061 966 1.032 1.087 2.556 3,7%

Ungheria 13.601 14.491 15.110 15.459 14.518 18.154 4,7%

Lettonia 1.677 - 1.433 1.475 1.587 1.760 1,6%

Lituania 857 1.223 1.901 2.955 2.824 3.103 1,5%

Polonia 10.185 11.365 13.021 14.965 16.976 18.356 0,9%

Romania 10.812 8.587 9.383 13.857 10.372 17.387 1,7%

Slovacchia 1.607 1.613 1.901 5.197 6.311 8.448 3,6%

Slovenia 1.088 1.089 1.195 1.361 2.031 2.185 1,9%

Austria - 39.329 43.572 53.396 59.705 68.538 19,6%

Cipro 4.895 5.309 5.590 7.176 9.846 11.138 34,6%

Danimarca 10.251 12.182 12.695 6.389 12.582 26.181 10,9%

Finlandia 8.442 11.514 10.066 11.303 12.596 14.097 4,6%

Francia 236.518 247.510 246.612 243.436 249.143 259.935 11,6%

Germania 259.797 207.994 206.875 189.347 197.895 274.491 10,7%

Grecia 15.690 16.558 21.160 - - 26.835 4,2%

Irlanda 12.887 12.740 16.758 12.794 12.937 29.297 15,1%

Italia 44.921 49.090 57.271 68.306 65.873 69.905 3,5%

Lussemburgo - 1.137 - 1.319 - - -

Malta 605 - - 437 449 32 0,3%

Paesi Bassi 26.387 27.037 27.449 30.052 23.674 49.137 7,5%

Portogallo 17.010 17.077 17.950 8.102 9.135 19.223 5,0%

Spagna 17.675 18.206 32.281 37.726 48.517 98.722 5,3%

Svezia 19.966 21.315 22.135 22.653 27.040 44.849 9,9%

Regno Unito 318.399 330.078 351.470 341.791 368.968 534.555 21,6%

Totale 1.082.280 1.112.115 1.175.579 1.157.547 1.228.064 1.164.644 8,6%

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I dati sugli studenti internazionali e i permessi per motivi di studio

Africa 17,2% 16,6% 15,9% 15,5% 15,4%

Nord e Centro America 4,4% 5,0% 4,6% 4,4% 4,5%

Sud America 2,6% 2,7% 2,8% 3,5% 4,0%

Asia 30,5% 27,8% 28,6% 28,6% 30,3%

Europa 38,8% 39,6% 40,0% 38,9% 39,8%

Oceania 0,4% 0,4% 0,4% 0,3% 0,3%

non spec. 6,2% 8,0% 6,7% 8,8% 5,6%

Totale v.a. 1.082.280 1.112.115 1.175.579 1.157.547 1.228.064

Tabella 3.2. Unione Europea. Studenti internazionali: continenti di provenienza (2005-2009)

2005 2006 2007 2008 2009

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Unesco

Tabella 4.1. Italia. Studenti stranieri in Italia: immatricolati, iscritti e laureati (2003-2012)

4. Le statistiche sugli studenti internazionali in Italia

a.a. v.a. % v.a. % v.a. %

Immatricolati Iscritti Laureati e diplomati

2003/04 8.997 2,7 25.246 2,3 1.602 1,6

2004/05 9.809 2,9 32.470 2,4 2.690 1,7

2005/06 9.758 3,0 38.474 2,5 3.665 1,8

2006/07 10.730 3,5 44.294 2,7 4.718 2,0

2007/08 12.290 4,0 50.249 3,0 5.448 2,2

2008/09 12.428 4,2 55.424 3,2 6.378 2,5

2009/10 12.966 4,4 60.122 3,4 7.358 2,7

2010/11 12.908 4,5 63.579 3,6 nd nd

2011/12 12.860 4,6 64.704 3,8 - -

Nota: dati 2011/2012 provvisori (aggiornamento del 4 giugno 2012)

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Anagrafe studenti universitari Miur (Ministero dell’Istruzione, Universitàe Ricerca)

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I dati sugli studenti internazionali e i permessi per motivi di studio

Tabella 4.2. Italia. Caratter istiche dei pr imi 10 Paesi di studenti internazionali iscr itt i nell ’a.a.2010/2011

Totale Iscritti Totale iscritti Di cui primi 5 Paesi Totale iscritti in Italia all’estero 2009 dall’estero 2009

2010/2011 (outbound) (inbound)

Fonte: Emn Italy. Elaborazioni su dati Anagrafe studenti universitari Miur e Unesco

Albania 11.668 20.512 Italia (11.787), Grecia (4.253), U.S.A. (745), Germania (633), Turchia (590) nd

Cina 5.102 510.314 U.S.A. (124.225), Giappone (79,394), Australia (70.357), U.K. (47.033), Corea del Sud (39.309) 61.211

Romania 4.642 23.548 Francia (3.950), Germania (3.249), Italia (3,151), U.S.A. (2.569), Ungheria (2.307) 10.372

Grecia 3.068 29.072 U.K. (12.034), Italia (4.537), Germania (2.699), Francia (1.868), U.S.A. (1.865) 21.160

Camerun 2.410 18.776 Francia (5.826), Germania (5.039), Italia (1.915), U.S.A. (1.796), Belgio (503) 1.417

Iran 1.850 31.542 U.S.A. (3.475), Malaysia (3.475), U.K. (2.849),Germania (2.561), Canada (2.086) 1.451

Perù 1.673 16.329 U.S.A. (3.539), Spagna (3.489), Cile (1.490), Italia (1.430), Cuba (1.422) nd

Marocco 1.656 42.009 Francia (27.051), Germania (3.748), Spagna (3.165), Canada (1.587), Italia (1.207) 7.921

Israele 1.576 13.388 Giordania (3.086), U.S.A. (3.010), Germania (1.348), Italia (1.209) Ungheria (795) nd

Moldavia 1.531 12.702 Russia Fed. (3.771), Romania (3.389), Ucraina (1.297), Francia (884), Italia (685) 1.461

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1572 012 lugl io - agosto

Hanno collaborato a libertàcivili

libertàcivili 1/10Gian Carlo BlangiardoEnzo Cheli Luigi De AndreisGuerino Di ToraRenato FranceschelliDaniela GhioMario GiroAntonio GoliniNunzia MarcianoMario MorconeVinicio OnginiNadan PetrovicStefano RolandoGiulio M. SalernoVolker TürkAntonio Maria Vegliò

Le intervisteGianni AmelioZygmunt BaumanMaria Stella Gelmini Roberto Maroni

libertàcivili 2/10Carlo BorgomeoVincenzo Cesareo Federico CinganoGiuseppe De RitaRenato Franceschelli Antonio Golini Cristiano MariniAlessio Menonna

Mario MorconeMaria Assunta RosaAlfonso RosoliaPeter Schatzer

Le intervisteIsabella BertoliniAlberto BombasseiGianclaudio BressaMichel CamdessusDomenico LucanoMorena PiccininiConsuelo RumiMaurizio SacconiFouad Twal

libertàcivili 3/10Rita BichiArianna CaporaliEnrico CesariniAntonella DinacciAndrea FamaPaolo GarimbertiDaniela GhioChiara GiaccardiGiovanna GianturcoGuia GilardoniGiampiero GramagliaRoberto NataleViorica NechiforMario MorceliniMario MorconeAngela OritiNando PagnocelliAntonello PetrilloLorenzo PrencipeMaria Vittoria PontieriSerenella RavioliAlessandra M.Straniero

Le intervisteFedele ConfalonieriSergio Zavoli

libertàcivili 4 /10Foad AodiCarlo CardiaAnna Di BartolomeoEster DiniAntonio GoliniPina LalliAgostino MarchettoBruno MazzaraEnrico MelisMario MorconeCarlo NicolaisMaruan Oussaifi Anna Prouse Francesca RinaldoMaria Virginia RizzoMaria Assunta Rosa

Le intervisteElisabetta BelloniCarolina LussanaCecilia Malmström

libertàcivili 5 /10Alfredo AliettiAlfredo AgustoniAlberto BordiVasco ErraniAndrea FamaGiovanna GianturcoAntonio GoliniMaurizio Guaitoli Anna ItaliaValeria Lai

libertàcivili 6/10Alberto BordiPiero Alberto CapotostiKlodiana ¸ukaAndrea De MartinoAntonio GoliniMarco LombardiManuela Lo PrejatoAntonio MarzanoMassimiliano MonnanniMario Morcone Gabriele NataliziaPiero RaimondiGiovanni Giulio ValtolinaMarco Villani

Le intervisteMarou AmadouHoward DuncanFranco FrattiniDemetriosPapademetriou

2010

C

Francesca LocatelliCristiano MariniEnrico MelisMario MorconeMarco OmizzoloLuca PaciniGiuseppe RomaStefano SampaoloAugusto Venanzetti

Le intervisteSergio ChiamparinoFlavio Tosi

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158 2 012 lugl io - agosto

Hanno collaborato a libertàcivili

2011

libertàcivili 1/11Maurizio AmbrosiniElena BesozziGian Carlo BlangiardoGuia GilardoniGraziella GiovanniniAntonio GoliniGaia PeruzziAngela Pria Stefania RimoldiMaria Virginia RizzoMaria Assunta RosaMariagrazia SantagatiMilena SanteriniMohamed A.TailmounGiovanni Giulio Valtolina

Le intervisteErri De Luca

libertàcivili 2/11Paula Baudet VivancoMarinella BelluatiAlberto BordiEmanuela CastiAndrea FamaGuia GilardoniAnna ItaliaMarcello ManeriAnna MeliMario MorcelliniAngela PriaEnrico PuglieseSerenella Ravioli

Laura Zanfrini

Le intervisteLuca ArtesiAntonello Folco BiaginiCarmelo M. BonniciNatale ForlaniAndrea Segre

libertàcivili 3/11Vincenzo CesareoEnrico CesariniEnzo CheliEnnio CodiniAndrea FamaMonia GangarossaAntonio GoliniNelly Ippolito MacrinaAngelo MalandrinoMassimo MontanariLara OlivettiMarco OmizzoloNadan PetrovicMariavittoria PisaniAngela PriaGianfranco RavasiGiuseppe Roma

Le intervisteSonia Viale

libertàcivili 4 /11Attilio BalestrieriCorrado BeguinotAlberto BordiRaffaele BracalentiAlessia DamonteAndrea FamaMassimiliano FiorucciChiara GiaccardiMario GiroAlfonso MolinaRoberto MongardiniBan Ki MoonMaria Paola NanniMarco OmizzoloFranco PittauAngela PriaEnzo RossiVincenzo ScottiFrancesco VecchioLuca VitaliBerna Yilmaz

Le intervisteGraziano Delrio

libertàcivili 5 /11Miguel Angel AyusoGuixotValeria BenvenutiMaria BombardieriAlberto BordiMarco BrunoPaolo Cavana

Andrea FamaAlessandro FerrariSilvio FerrariStefania FragapaneAntonio GoliniAlessandro IovinoGiovanni la MannaRoberto MazzolaEnrico MelisCesare MirabelliMario MorcelliniVincenzo PagliaAngela PriaVeronica RinioloAnnavittoria SarliSandra SartiClaudio Siniscalchi

Le intervisteRiccardo Di SegniAdnane Mokrani

libertàcivili 6/11Valeria BenvenutiVincenzo CesareoEnnio CodiniGiuseppe Del NinnoAndrea FamaAntonio GoliniRoberto LeoneMaria Paola NanniStefano PelaggiFranco PittauMaria Vittoria PontieriAngela PriaEnrico QuintavalleGiuseppe RomaFrancesca ServaLaura Zanfrini

Le intervisteGregorio ArenaOtto BitjokaStefano Zamagni

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1592 012 lugl io - agosto

Hanno collaborato a libertàcivili

2012

libertàcivili 1/12Gianluca BascheriniAlberto BordiAntonello CiervoAndrea FamaNatascia MarcheiRaffaele MielePaolo Morozzo della RoccaStefano PelaggiDaniele PellegrinoPaolo PomponioAngela Pria Luisa ProdiAndrea Romano

Le intervisteFranco Ferrarotti

libertàcivili 2 /12Alfredo AliettiStefania AristeiLaura CicinelliStefania Dall’OglioCarlo DevillanovaFlavio FeliceNatale ForlaniOscar GaspariRodolfo GiorgettiCarlo MelegariMarco OmizzoloMariavittoria PisaniLorenzo PrencipeAngela Pria

Veronica RinioloGiuseppe RomaAndrea StuppiniMaurizio Trabuio

Le intervisteAndrea Riccardi

libertàcivili 3/12Costanza BargelliniJonis BascirSimona BodoChiara BonassoRita CalvoSivana CantùGianni CapuzziEnnio CodiniAndrea FamaAntonio LauritanoEugenio MarchinaSilvia MascheroniMaria Paola NanniAngela Pria Giovanni RomeoIsaac TesfayeFrancesco Vecchio

Le intervisteGiuseppe MazzaErmanno OlmiMoni Ovadia

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vili“Se un popolo si aspetta di poter essere libero

restando ignorante, spera in qualcosa che non è mai stato e che mai sarà”

Thomas Jefferson

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Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi

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