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PARTE I CELEBRARE CRISTO SIGNORE RISORTO NELLA SUA DIVINA PAROLA

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PARTE I

CELEBRARE CRISTO SIGNORE RISORTO

NELLA SUA DIVINA PAROLA

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INTRODUZIONE

LA "LITURGIA"

Non sarà opera inutile anzitutto riflettere ancora sul concetto di "li-turgia". Il recupero integrale del suo complesso significato, e delle realtà decisive che offre da adempiere, dovrebbe superare la concezio-ne vecchia e prevalente, data per scontata, che vede la "liturgia" esclu-sivamente, o quasi, sotto la visuale culturale e rituale.

All'origine, come indicano i buoni dizionari greci, leitourgia era un termine composto dall'aggettivo léiton (lèi'ton), derivato da laós, popo-lo, e da érgon, opera. Esso indicava un'"opera popolare", nel senso però che interessava il popolo di unapòlis, una città. Costruire e mette-re a disposizione della città una flotta a proprie spese, equipaggiandola in tempo di guerra; approntare spettacoli teatrali e giochi che erano molto costosi anche allora; dotare la città di acquedotti, giardini e portici, fabbricare edifici pubblici, donare elargizioni alla plebe, e così via: tutto questo era "liturgia", ossia "opera per //popolo", infavore del popolo. Opera assai pesante per l'esecutore, ed essenzialmente gratuita per i beneficati.

L'antica e venerabile traduzione greca della Santa Scrittura dall'e-braico, che va sotto il nome "dei Settanta" (LXX), a partire dal sec. 3° a.C, in ambiente alessandrino, usò leitourgia, leitourgós, liturgia, litur-go, per esprimere il modo del farsi di quell'"opera per il popolo d'I-sraele", che il Disegno divino aveva disposto lungo la storia, e che aveva affidato da compiere ai suoi servi, i "liturghi" in favore del popolo santo. Tra questi, Mosè, Giosuè, i sacerdoti dell'antica alleanza. Ma an-che gli Angeli di Dio sono i suoi "liturghi" (cf. Sai 102,21). E perfino lo sono i fenomeni naturali come il vento (cf. Sai 103,4).

Il N.T. completa tale prospettiva. Adesso l'opera per il popolo riassu-me e adempie anche l'A.T. Essa è una realtà triadica, poiché è la Liturgia per il popolo della nuova alleanza svolta per intero dal Padre mediante il Figlio Liturgo consacrato dalla santità dello Spirito onnipotente.

Infatti alla Teofania triadica del Battesimo al Giordano il Padre con lo Spirito Santo in quanto Sapienza divina increata eterna, consacra il Figlio nella sua Umanità per l'Evangelo.

Con lo Spirito Santo in quanto Potenza irresistibile di Carità pree-terna, consacra questo suo Figlio alle opere del Regno, o della divina Carità.

Con lo Spirito Santo in quanto Santità trascendente immacolata, Lo

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

consacra al culto terreno che deve diventare eterno, riportando ad esso tutti gli uomini.

Tale è il "programma battesimale" del Signore, di cui sarà poi tratta-to di continuo nel commento ai testi. Infatti l'annuncio dell'Evangelo con la sua dottrina è "liturgia". Così lo sono i prodigi in favore dei po-veri, malati, affamati, morti, peccatori, e qui lo è l'opera suprema, la Croce redentrice. E lo è ovviamente il culto totale sacrificale oblativo al Padre nello Spirito Santo, e tutto lo sforzo per portarvi ed inserirvi gli uomini redenti e santificati.

Con la gloriosa Resurrezione, l'indicibile Ascensione e glorificazio-ne, con la divinizzante intronizzazione alla destra del Padre, Cristo Si-gnore quale unico e sommo Liturgo Sacerdote del Padre, prosegue que-ta Liturgia, diventata adesso eterna, cosmica, a cui ammette le schiere degli Angeli, dei giusti dell'A.T., della Chiesa dei redenti.

Ma insieme, prosegue la sua Liturgia sulla terra per la mediazione necessaria degli uomini fedeli, il cui nucleo sono "i Santi", gli Aposto-li. Con la Pentecoste dello Spirito Santo Egli li consacra ed abilita alla liturgia, che ha inizio con l'invio a tutte le nazioni della terra. Così l'O-pera trinitaria "liturgica" per gli uomini prosegue nei secoli, e il N.T. ne offre anche un chiaro schema:

a) l'annuncio dell'Evangelo, seguito dalla sua dottrina esplicitante, è liturgia. Il testo esemplare qui è di Paolo, in Rom 15,16:

... per la grazia donata a me da Dio, al fine di essere io liturgo del Cristo Gesù tra le nazioni, operando sacerdotalmente (hierourgoùnta) l'Evangelo di Dio, affinchè avvenga l'offerta (prosphorà) delle nazioni accetta, santificata dallo Spirito Santo,

che ha anche immensa portata triadica;

b) le "opere del Regno" o della carità, sono liturgia. Basterà qui richiamare il contesto delle "collette" per i "Santi" della Chiesa di Gerusalemme e della Palestina, organizzate da Paolo tra le sue Comunità, echiamate leitourgia. Cf. qui 2 Cor 9,12: "la diaconia (servizio) di questa liturgia", chiamata anche "opera di carità" (2 Cor 8,4.6.7.19); andrebbe qui tenuto presente l'intera trattazione di 2 Cor 8,1 - 9,15, con isuoi sviluppi: la comunicazione con i fratelli, e il rendimento di grazieche le "collette" suscitano verso Dio; cf. At 24,17; 1 Cor 16,1-3; Rom15,25-28; etc.;

e) il culto di adorazione al Padre mediante Cristo Signore nello Spirito Santo è liturgia.

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INTRODUZIONE - LA "LITURGIA"

In questo recupero, si evidenzia anzitutto la forte spinta missionaria che il significato di "liturgia opera per il popolo" di popoli suppone ed esige. Inoltre, è fondata qui ed è motivata la spinta della carità verso tutti, come preciso inderogabile dovere svolto "al posto di Dio" per i fratelli, figli di Lui, poiché il Signore Gesù vuole proseguire la "sua" Liturgia mediante le nostre persone. E qui la Santa Scrittura ci insegna come va compreso il nostro dovere di carità come liturgia, da testi co-me Mt 25,31-46 (vedi la Domenica di Carnevale).

H culto liturgico si pone qui come inesauribile fonte di grazia per at-tuare questa Liturgia plenaria nel mondo, e come punto di confluenza per la verifica ed il "sigillo" di quanto "liturgicamente" abbiamo operato.

Il commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina che adesso segue è stato concepito nella prospettiva qui presentata an-che se ovviamente si considera prevalentemente l'aspetto celebrativo.

E qui risalta in modo mirabile la celebrazione che parte dall'Evan-gelo solennemente proclamato, il quale porta il contenuto reale ogni volta, in quanto il culto è fatto storico reale che si fonda sul Fatto stori-co reale della Parola divina preziosamente custodita, venerata, annun-ciata, spiegata dottrinalmente, predicata dalla Chiesa.

Sarà sufficiente partire da un momento decisivo della celebrazione della Divina Liturgia, che in genere passa quasi inosservato dal popolo che sta cantando la gioia dell'Alleluia che accoglie l'Evangelo. Al mo-mento della proclamazione del "santo Evangelo", il celebrante "stando davanti la santa Mensa", recita questa preghiera in "mistico" raccogli-mento, detta "Preghiera prima dell'Evangelo":

Sfolgora nei cuori nostri, Sovrano che ami gli uomini,la Luce immacolata della tua divina conoscenza,ed apri gli occhi della mente nostraper la comprensione dei tuoi Kérygmata evangelici.Fa penetrare in noi il timore dei tuoi beati Precetti,affinchè, conculcando le concupiscenze carnali,noi ci trasferiamo nella Cittadinanza dello Spiritosia pensando, sia operando tutto secondo il tuo Gradimento,poiché Tu sei l'Illuminazione, Cristo Dio,delle anime nostre e dei corpi nostri,perciò noi innalziamo la gloria a Teinsieme al Padre tuo l'Imprincipiatoed al Tuttosanto e Buono e Vivificante Spirito tuo,ora e sempre e per i secoli dei secoli. Amen.

Allora si accosta a lui il diacono. Questo si inchina all'Evangeliario, lo prende dal celebrante che lo ha sollevato dalla santa Mensa dove ri-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

posa permanentemente, lo porta processionalmente esibendolo in alto, accompagnato dalle lampade, va all'ambone e lo proclama al popolo. Dopo lo riconsegna al celebrante, che lo bacia e con esso benedice il popolo tracciando con esso il segno della Croce santa, e lo ripone sulla santa Mensa. Quindi per regola immemorabile procede all'omelia mi-stagogica celebrativa tracciata a partire dall'Evangelo ascoltato da tutti. La Preghiera prima dell'Evangelo è la premessa. L'Evangelo sono "i Kèrygmata" di Cristo, il primo annuncio sempre medesimo, attraverso il quale il Signore comunica la Conoscenza divina interpersonale che in eterno possiede del Padre, di se stesso e dello Spirito Santo. Solo tale conoscenza del Mistero al di là d'ogni comprensione umana diventa per i fedeli il Phótismós ricevuto ed accettato, l'Illuminazione senza più alcuna ombra (del male, delle passioni). Essa è donata nell'inizia-zione ai Misteri divini. Essa ci trasferisce nella Politela, la Cittadinanza dello Spirito Santo (cf. FU 3,20, però con polùeuma), dove si operano solo le opere del Regno, quelle "volute ed eseguite da Dio secondo la sua Compiacenza in noi" (cf. FU 2,13). Nel parlare attraverso l'Evan-gelo dunque avviene ancora una volta Y éllampsls, lo sfolgorio iniziale della creazione nuova che il Padre produce nel nostro cuore, la "cono-scenza della Gloria" sua che rifulge solo dal Volto del Figlio ad opera dello Spirito Santo (cf. 2 Cor 3,18 - 4,6).

Tutte le Liturgie orientali circondano la proclamazione dell'Evangelo con formule così ricche, ed in alcuni Riti perfino più fastose (Rito etiopico).

Sembrerà a qualcuno, abituato ad un linguaggio povero, che quanto seguirà sia un parlare eccentrico. Il Libro liturgico centrale dei divini Misteri, l'Evangeliario, che porta tutti i contenuti del giorno (il resto della Santa Scrittura ne sono l'esuberante illustrazione, e i testi liturgici composti dalla Chiesa nei secoli ne sono la gioiosa accoglienza e con-templazione), è F "icona spaziale e temporale della Resurrezione" del Signore nostro nello Spirito Santo per la gloria del Padre e la nostra salvezza e divinizzazione.

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CAP. 1 LA TEOLOGIA

SIMBOLICA

La divina Liturgia comprende come suo contenuto prezioso la Santa Scrittura, e al suo centro l'Evangelo della Resurrezione, Evangelo della Grazia, Evangelo del Regno. Tutta la celebrazione è un immenso "se-gno" misterico, che nelle sue parti compone l'immenso "universo sim-bolico" della Rivelazione biblica che si attua "qui per noi oggi", attra-verso una serie di "segni" o simboli così numerosi, densi e pressati, che riesce perfino difficile da enumerare. Così che in genere queste realtà si percepiscono piuttosto come un'atmosfera sacra in cui si è immersi, ma su cui non si esercita immediatamente una riflessione discorsiva.

Così avviene al frequentatore abituale di una chiesa bizantina, e quasi così all'occasionale visitatore di essa, nei casi in cui non si abbia una lucida informazione, ed una continua formazione.

Quell'atmosfera, quella percezione derivano da un preciso modo di riflettere e di esprimere le Realtà sante, che si può chiamare con un'e-spressione comprensiva: la teologia simbolica.

La chiesa bizantina è frutto di questa teologia simbolica. La quale ha molte componenti, naturali e induttive, di riflessione e di "gusto" spiri-tuale, di sensibilità del reale e del desiderio di possedere i contenuti della fede anche in "segni" o simboli che la riflettono sul fruitore di essi.

Se si va a fondo del discorso, si trova che la teologia simbolica è la forma principale di espressione della Rivelazione biblica; è la forma caratteristica del pensiero dei Padri che approfondiscono le Sante Scrit-ture e le predicano e le spiegano al popolo, e scrivono opere preziose; è la forma addirittura costitutiva della santa Liturgia della Chiesa; è l'e-spressione privilegiata e spesso irradiante dei grandi Santi mistici e au-tori spirituali della Chiesa.

Premettere dunque alcune note sulla teologia simbolica aiuterà in qualche modo la comprensione del fatto centrale della vita della Chie-sa: celebrare Cristo Signore Risorto — a partire della sua divina Parola, come è qui l'assunto di tutto quello che segue.

1. Il "pensiero simbolico"

Ed anzitutto va rilevato, che quello che si può chiamare generica-mente "simbolismo" non è un fenomeno di generazioni passate, né di alcune determinate culture, come non è un fatto evolutivo del pensiero umano né del desiderio o gusto di "criptare" un pensiero, un'azione, un gesto, un oggetto.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

II "pensiero simbolico" è il fatto universale, di ogni tempo e cultura, di ogni uomo o popolo, dove eventualmente varieranno solo i modi di rendere il simbolo.

Infatti proprio oggi gli specialisti della scienza più avanzata in que-sto campo, dall'etnologia alla storia delle religioni alla storia delle cul-ture all'antropologia culturale, riscoprono e danno le prove senza ap-pello, che da quando si può dire che T"uomo" come uomo esista, egli esiste anzitutto come homo religiosus, in modo indelebile, anche nel-l'ateismo e nell'antiteismo più irrazionale e sfrenato (e per sé questi due tristi atteggiamenti umani sono proprio così). Ora l'uomo che per sua natura è "religioso", per la medesima sua natura è anche homo sym-bolicus, si esprime invariabilmente sempre e solo per simboli. Senza mai dimenticare che anche il pensiero razionale procede per simboli, che la parola è simbolo e che la scrittura è simbolo.

Per così dire, gli uomini, "religiosi e dunque simbolici", si trovano come condizione creaturale ad essere come immersi e consegnati ad un vero e proprio "universo simbolico", dove altri amano parlare di "fore-sta di simboli". In tale universo, gli uomini sono già a loro volta "sim-boli di se stessi", e "simboli a se stessi". L'attitudine reale degli uomini, come spiegano incontestabilmente gli specialisti sopra richiamati, è di pensare per simboli, di comunicare per simboli, di attendersi, anche in via non riflessa, simboli e poi simboli.

E qui l'eccezionale frequenza e pullulio di segni-simboli comporta la precisa singolarità: che nessun segno-simbolo si trova mai isolato, sia nel pensiero, sia nell'uso della comunicazione come espressione del pensiero, né lo potrebbe. Viceversa, ciascun segno-simbolo è sempre reperibile, e di fatto puntualmente è reperto, accanto ad altri segni-sim-boli, in reciproca correlazione funzionale interagente e coerente. Sì che se si vuole interpretare nel suo multisignifìcato, ciascuno e tutti i segni-simboli debbono restare nell'inseparabilità di ciascuno di essi dagli al-tri, nell'infinita interreciprocità.

Certo pensiero scientifico moderno crede di poter opporsi al pensiero simbolico in nome del progresso della ragione. Ora, a parte che le scienze moderne fanno un uso pieno del simbolismo, senza cui neppure potrebbero obicttivarsi (la geometria euclidea e non-euclidea è tutto un simbolo, la matematica è di simboli, l'algebra è un sistema di simbo-li...), esse non riconoscono la legittimità dell'essenza dell'uomo, che è "simbolico" anche se non lo volesse. Dunque è salutare ed urgente che le scienze esatte si aggiornino finalmente aprendo il chiuso del loro grande ma limitato mondo, ed è urgente riconoscere d'altra parte la pie-nezza e meravigliosa ricchezza del pensiero simbolico.

Negli ultimi decenni il mondo delle scienze umane a sua volta ha studiato a fondo il senso del simbolo, e ne ha fissato, benché non feli-

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TAVOLA 3 - Esaltazione della S. Croce - Cattedrale di S. Demetrio, Piana degli Albanesi; di Papàs G. Manousaki, sec. 20°.

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TAVOLA 4 - La Nascita del Signore - Parrocchia di S. Nicolo di Mira, Mezzojuso; di LeoMoschos, sec. 17°, particolare dell'icona "Episóìchàirei".

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CAP. 1 - LA TEOLOGIA SIMBOLICA

cernente, la terminologia. Insieme ad altre precisazioni (semiologiche, linguistiche, strutturaliste) che qui non interessano direttamente, si è convenuto di distinguere il "simbolico" in diversi gradi di significanza e profondità, e dunque di approccio. E così si hanno:

a) il segno "indice", o indice, o indizio: che indica solo la presenza dell'assente, con il quale è connesso da un legame naturale. L'esempioclassico qui è il fumo, che "indica" il fuoco;

b) il "segno", che è un elemento "terzo", che nell'assenza di un elemento "secondo", rende presente, sostituisce, rappresenta l'elemento"primo". Se a "primo" si da il nome d'una realtà da "rendere presente",ed a "secondo" si da il nome di un'idea, ecco la spiegazione: il "segno", sempre di carattere fisico, o almeno sensorio, in assenza dell'ideacerca di rappresentare la realtà. Il "segno" così è almeno un tentativo dipresenza, e come tale è un "linguaggio", ossia un'azione totale di rappresentazione, d'espressione e di comunicazione;

e) il "simbolo" è un fatto arbitrario, e si ha se quanto detto qui sopra al punto b), avviene nella sua totalità. L'arbitrarietà sta in questo, che nel simbolo il "terzo" è indipendente dal "primo", i due enti non formano un'unità in sé, né hanno un termine specifico che li comprenda, e nono-stante questo il simbolo è la forma più alta e completa di rappresenta-zione, espressione e comunicazione.

Va ribadito anche qui che raramente indici, segni e simboli si trova-no, o pongono se stessi, per così dire puri, a. sé stanti, isolati. In genere, essi si trovano in "complessi" talvolta molto complicati, per i quali al-lora si ha una tipologia simbolica che va debitamente interpretata.

Si deve dire qui che le opzioni terminologiche presentate sopra, an-che accettando le spiegazioni mai facili che se ne danno, sono del tutto convenzionali ed arbitrarie, essendo prodotto di un dato genere di cul-tura di tipo neoplatonico che permea la società occidentale, con la sua datazione cronica e la sua regionalità topica.

E si deve aggiungere che solo per evitare altre confusioni si può te-nere tale terminologia, benché essa per alcuni campi, come quelli per noi decisivi della Santa Scrittura, della teologia, della Liturgia, ma non meno per la filosofìa, vada spiegata di volta in volta. E quindi, basta te-nere presente in pratica che:- quando si dice "simbolo", esso nel nostro campo corrisponde sensi

bilmente al "segno" (anche se non del tutto);- e viceversa.

Così, si dice "segno del Mistero", e anche "simbolo del Mistero".

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Ciò posto, si può seguire qualche approfondimento moderno del "simbolo" come sopra presentato.

È stato affermato che il simbolo è chiamato forma "opaca" d'espres-sione, e tuttavia è "pieno di linguaggio", ossia di modo di significare, di esprimere ed esprimersi:

"II simbolo è un segno, in quanto come ogni segno guarda al di là di qualche realtà, e vale al posto di essa; ma non ogni segno è simbolo; il simbolo nella sua visuale contiene una duplice intenzionalità: an-zitutto l'intenzionalità prima, o letterale, che come ogni intenziona-lità significante suppone il trionfo del segno convenzionale sul se-gno naturale..., ma su questa intenzionalità prima si edifica una in-tenzionalità seconda, che attraverso il compito materiale, la devia-zione nello spazio, la esperienza del contenuto, guarda ad una certa situazione dell'uomo nel sacro.A differenza di un paragone che noi consideriamo dall'esterno, il simbolo è il movimento stesso del senso primario che ci fa parteci-pare al senso latente, e così ci assimila al simboleggiato, senza che noi possiamo dominare intellettualmente la similitudine" (P. RI-COEUR, II problema della demitizzazione, Roma 1961, p. 53).

Come sta dunque riscoprendo la scienza più avanzata, il simbolo in-teso (convenzionalmente) come sopra indica la più profonda ricchezza espressiva dell'uomo e per l'uomo. Mentre una "scienza" ed una "filo-sofia" sono intesi, e di fatto si danno, come sistemi costitutivamente chiusi, non di rado anche totalizzanti e talvolta intolleranti sotto la leg-ge inderogabile della razionalità e della fattività moderne. Invece sotto i principi dell'identità, della non contraddizione il simbolo nell'interio-rità profonda dell'uomo, ma con ogni specialità del bambino, del santo, dell'artista forma un "universo simbolico", che per sua stessa natura è aperto all'infinito e ricco all'infinito. Anzi, è propriamente l'unico modo di pensare aperto all'infinito, e nella gioia della crescita verso l'infinito.

Qui ci si trova di fronte a situazioni ineludibili:

a) ed anzitutto, mai davanti alla "natura" per così dire, come postulacerta filosofia, "allo stato puro", come se, riguardando sia gli uomini,sia il mondo dove essi vivono, tale "natura" fosse avulsa da loro, dallaloro storia e dalla loro cultura, una "natura come ens a se", che esistesolo mentalmente;

b) inoltre, il simbolo così inteso è un' "informazione", il che nel sensoplenario che oggi si attribuisce a tale termine, implica coestensivamente:

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CAP. 1 -LA TEOLOGIA SIMBOLICA

- una preesistenza di esso rispetto alla persona umana, un'esistenzaobiettiva rispetto alla persona umana, e questa può solo apprenderlo,accettarlo, farlo proprio, usarlo come mezzo privilegiato. Si è accennato sopra che allora si parla di simbolo e segno naturale;

- una convenzione stabilita dagli uomini nelle culture storiche generazionali, dove con i simboli tutti si ritrovano in un'intelligenza comune. Si è detto poco fa che allora si parla di segno o simbolo "convenzionale", che di per sé prevale sul primo;

e) davanti al simbolo — ammesso che sia accettato oggi in quanto tale, dato il fatto che oggi l'"uomo moderno" della tecnologia mostra di ri-fiutarlo, proprio quando ne sta creando di continuo e sempre più artifi-ciosi e rozzi; si pensi qui ai segnali stradali o di un aereoporto —, gli uomini svolgono una vera e propria attività simbolizzante, che consiste in operazioni complesse:- interpretare i simboli naturali, "decodificandoli", per usufruirne;- creare nuovi simboli convenzionali, e decodificare i medesimi rice

vuti; si pensi qui alla logica simbolica, all'informatica, e così via;- riconoscere la validità di tutto ciò, prenderne atto, farne uso;

d) esiste dunque una vera "ermeneutica del simbolo (segno)". La qualedi per sé lavora sia per induzione, ossia a partire anzitutto dai datiobiettivi, sia per "deduzione" (parola aborrita non si sa perché, forseperché dietro si vede una malintesa "preconcezione", o ideologia), laquale non è reminiscenza platonica, ma è serbatoio aristotelico di datielaborati ai diversi livelli mentali, dunque è anche una precomprensione necessaria, culturale, fìlosofica, religiosa, psicologica, e così via. Sipensi anche all'attitudine che è la "deformazione professionale", percui tutto si vede dal proprio "punto di vista", del resto legittimo se nonè esclusivo ed intollerante. Anche di questo va preso atto;

e) ed esiste una vera organizzazione di simboli, in specie quelli naturalima anche convenzionali, che si può appunto chiamare "universo simbolico", ad esempio di una cultura data (preistorica, babilonese, egiziana, cananea, hindù, cinese...), di una religione, di un gruppo umano(una setta, e così via), di una persona umana (un filosofo, un politico,uno scienziato, un artista e così via). Si deve precisare: si tratta sempredi culture come termine globale, non inficiate dal nominalismo, dagliidealismi neoplatonici, dallo scientismo, dal materialismo. Ancora unavolta si può rimandare ali'"universo simbolico" della purezza vissuta:del bambino, dell'artista, del Santo, dell'Angelo;

f) finalmente, si può entrare nell'"universo simbolico della Rivelazionedivina".

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

2. L'"universo simbolico della Rivelazione divina"

Certa cultura moderna, e perfino cristiani oggi, affermano che il lin-guaggio che porta le realtà della Rivelazione divina consegnata nelle Sante Scritture, "la Bibbia", fa parte di un mondo superato, primitivo e quasi prelogico, ricolmo quindi di credenze, ingenuità e grossolanità, di cui la razionalizzazione evolutiva del pensiero hanno fatto giustizia, "demitizzando" tutto.

Si deve rispondere con fredda calma: la Rivelazione porta realtà sto-riche inoppugnabili, come l'esodo d'Israele, la Morte del Signore "sot-to Ponzio Pilato", l'esistenza d'Israele, l'esistenza della Chiesa degli Apostoli, David, Pietro e Paolo. Non solo, essa è un "universo simboli-co", che visto da vicino offre sempre le sue "ultradimensioni", il plus, il "di più" del Gratuito divino.

Incontestabilmente, nella Rivelazione divina "tutto è simbolo, tutto avviene per simboli", come hanno compreso così bene i Padri, e fin dall'inizio, in opere illuminanti.

In una pagina singolare (ma in lui, tutto è singolare), S. Ireneo parla del contesto biblico, costituito dapprima dalle prefigurazioni — simbo-lismo! — che il Signore, il Dio Vivente, operava mediante i suoi Pa-triarchi lungo V Oikonomia dell'umana salvezza che fluisce dalla Pro-messa e Benedizione dell'A.T. fino al Plèròma del Verbo Dio incarna-to:

"... che allora mediante i suoi Patriarchi e Profeti prefigurando e preannunciando le realtà future, preesercitando la sua parte eredita-ria con le Disposizioni (deìY Oikonomia) di Dio, e abituando la sua Eredità ad obbedire a Dio, ed a pellegrinare nel mondo, ed a seguire il Verbo di Lui, ed a presignificare le realtà future: nulla infatti vuo-to, né senza segno, presso Lui" {Adversus haereses 4,21,3).

Approfondendo, S. Ireneo spiega:

"Già con l'erezione del tabernacolo, con la costruzione del tempio, con la scelta dei leviti, con i sacrifici e le offerte, con le purificazioni e tutto il resto del culto... il Verbo educava il popolo, incline a ritor-nare agli idoli. Li (gli Israeliti) disponeva, attraverso molte presta-zioni, a perseverare al servizio di Dio, li chiamava dalle realtà se-condarie a quelle principali, ossia con lefigurazioni alle Realtà vere, dalle temporali alle eterne, dalle carnali alle spirituali, dalle terrene alle celesti" {Adv. haer. 4,14,3).

Questo trasportare verso il plus del Gratuito divino, è mostrato ed

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CAP. 1 -LA TEOLOGIA SIMBOLICA

offerto dalla Rivelazione biblica ad esempio attraverso tre dati fonda-mentali:

a) la Parola sapienziale divina che lo Spirito di Dio opera mediante iProfeti nella storia — Parola storica profetica sapienziale —, come èvisibile dalla creazione dello spazio-tempo fino alla consumazione ditale realtà;

b) la manifestazione continua, teofania, della Triade personale divina,che è il Dio Unico personale;

e) l'Incarnazione storica del Figlio di Dio per il concorso dello Spirito Santo secondo il Disegno preeterno del Padre, fino alla Croce, alla Re-surrezione e glorificazione, alla Pentecoste, alla Chiesa dei redenti, alla Parousia gloriosa, alla divinizzazione degli uomini.

Questo "universo simbolico" della divina Rivelazione, patrimonio perenne ed inalienabile d'Israele e della Chiesa, risponde alle 3 catego-rie sopra richiamate:

a) è preesistente agli uomini, è "obiettivo" rispetto ad essi, che cosìdebbono accettarlo, farlo proprio, per organizzare da esso ed in esso lapropria esistenza;

b) perciò esso è ordinato e coordinato dagli uomini attraverso la lorocomprensione, la quale farà quel che potrà, al meglio possibile, non essendo mai in grado di abbracciare insieme tutta la sua esuberante ricchezza. Tuttavia tale universo è sempre anche oggetto di visione globale, anche a costo di perderne alcuni particolari, poiché tale visione econtemplazione è promessa per l'eternità; vi si tornerà dopo;

e) dunque la comprensione del "Tutto" di tale globalità che è l'uni -verso simbolico della divina Rivelazione, postula anche la regolata ordinata paziente comprensione delle "Parti", mentre ciascuna "Par-te" esige che si tenga sempre presente il "Tutto"; anche su questo si dovrà tornare.

Si può qui parlare, e dovutamente, del Dono di infinita ricchezza che gli uomini ricevono. Il N.T. parla di Tesori. Tutti donati. Insieme, tutti da conseguire sempre e per intero. In questo sta il destino singola-re degli uomini, e la loro capacità infinita di ricevere tali Tesori, se essi però si rendono "recipienti" aperti senza condizioni.

Adesso si può entrare in qualche specificazione.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Se si parte ad esempio dal termine greco eikón dei LXX, ebraico selem, si entra dall'inizio della Santa Scrittura (Gen 1,26-27) nella rappresentazione sensibile, visibile, figurata, immediatamente acces-sibile e partecipabile. Si ha qui nella creatura "uomo icona" il "se-gno" primario della manifestazione, della visione, della rivelazione, dell'impressione, tuttavia questo esige rigorosamente una "lettura" profonda, intelligente, una riflessione mentale anche solo rapida, di-scorsiva. Ossia quello che si chiama interpretazione del "segno" vi-sto-ascoltato.

Sul simbolico, d'altra parte, è sempre necessario stabilire previa-mente il significato per quanto possibile inequivoco della sua termino-logia, che se è ricca e varia e talvolta sfuggente, sfumata, già per la sua complessità, è resa equivoca dal possibile uso non retto, di cui oggi si avvertono i sintomi.

La Santa Scrittura parla quasi esclusivamente di "segno" e "segni", ebraico 'ót, 'òtót (ma con altri numerosi vocaboli affini), in greco sèméion, sèméia (caratteristica in Giovanni; Paolo ha qui altro ricco vocabolario).

Invece la cultura greca ellenistica, dietro una lunga e precisa rifles-sione filosofica, era orientata piuttosto verso la semantica del symbo-lon, symbola, con proprio vocabolario ermeneutico e descrittivo.

La riflessione cristiana dei primi secoli, in specie di ambiente greco, ha oscillato alquanto, conferendo al "segno" piuttosto il senso di effica-cia, di sensibilità, di concretezza storica, seguendo così la Santa Scrit-tura; conferendo invece al "simbolo" piuttosto il significato più ampio di indicatore di realtà nascoste e così rese presenti. E perciò questo dai Padri è entrato anche nella Liturgia, quindi nella riflessione teologica e e dottrinale, anche se quest'ultima almeno in Occidente dopo la scola-stica decadente (sec. 14°) ha rinunciato alla teologia simbolica per quella raziocinante, ed oggi si rifiuta di recuperare l'immane valore della simbolica, oppure stenta.

Si richiama adesso qui la nozione di "segno" biblico, tenendo conto che in pratica segno e simbolo possono essere intercambiabili senza creare difficoltà:

a) il segno è una realtà sensibile, creaturale, naturale, storica, istituzionale. Dunque, realtà visibile-ascoltabile, della creazione oggettiva, unelemento che si trova in natura, un evento della storia, una persona,un'istituzione in seno al popolo di Dio, come sono il vento ed il fuoco,la vittoria del Signore al passaggio del Mar Rosso, Melkisedeq, il sacrifìcio;

b) il quale segno nell'"assenza" (non percepibilità: non vedere, nonascoltare), di una realtà data,

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CAP. 1 -LA TEOLOGIA SIMBOLICA

c) però in se stesso, in quanto "segno", opera la manifestazione attualedi quella realtà, e

d) in se stesso, e non fuori da se stesso, la rende "presenza",

e) così che allora, e solo allora, la presenza attuale del "segno" diventala presenza attuale già nel "segno" di quella realtà "assente", così e solo così resa "presente".

Si ricollochi però di nuovo "un segno" nell'"universo di segni", o "universo simbolico", e se ne riconsideri funzione ed efficacia.

E si pensi qui alle sante Offerte: al Pane ed alla Coppa, precisamente "i santi Segni", alla loro funzione ed efficacia, al loro comportare l'in-tero "universo simbolico" divino.

Si può adesso riflettere sul tema dell'"icona", determinante nella Santa Scrittura, che ha così intensamente impressionato ed interessato la riflessione dei Padri greci, ed è così decisiva nella santa Liturgia in ogni suo aspetto: a) battesimale-crismale: l'iniziato è l'icona di Dio re-cuperata nella sua integrità; b) sacerdotale: il Vescovo e presbitero e diacono sono "icone" di Cristo Episkopos, Hieréus, Diàkonos; e) nu-ziale: la Chiesa icona dello Sposo, gli sposi battezzati crismati "piccola Chiesa domestica di istituzione divina", icone della Sposa del Signore; d) penitenziale: il "confessante" icona di Cristo divino Penitente per noi, di nuovo capace come icona battesimale di operare le opere del Regno; e) unzione dei malati: l'unto dall'Olio della preghiera, icona di Cristo unto per il sepolcro (cf. Mt 26,12).

La partenza qui sarà da Cristo Icona perfetta del Padre nello Spirito Santo (Col 1,15). Egli è l'Icona del Dio Invisibile per definizione, e nel-la cooperazione onnipotente dello Spirito Santo svolge incessantemente per gli uomini la manifestazione sensibile, la visione concreta, la "lettu-ra" profonda e l'interpretazione veridica del Padre — e però sempre a partire dalla sua Persona divina di Dio Verbo incarnato, dunque nella sua Umanità concreta, storica, visibile, ascoltabile, palpabile (cf. qui 1 Gv 1,1-4). E questo più specificamente nel supremo Simbolo, il Volto umano della sua Persona divina, così che questo Volto sia "l'unico Vol-to dell'unica divina Bontà del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Rivelazione immediata, "simbolica" nel suo genere, che avviene dun-que ed opera efficacemente e immediatamente nello Spirito da cui è sta-to creato nella storia degli uomini il Volto umano (simbolo dell'intera Umanità) del Figlio di Dio dalla Semprevergine Maria. Cf. qui Rom 1,3-4, da leggere con Le 1,25, in quest'ordine, ed in modo chiastico.

E qui la Santa Scrittura ci insegna che esiste l'inderogabile legge su-prema del processo rivelatorio, nel N.T., sulla Persona di Cristo Signo-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

re, il quale è progressiva introduzione, per la Grazia dello Spirito, den-tro 1'"universo simbolico" divino, e che si può schematizzare, sia pure ad ampi tratti, circa così:

a) S. Paolo, probabilmente secondo la cronologia il primo degli scrittori del N.T., esplicita la visuale teologica di Cristo quale Sapienza e Potenza di Dio (cf. 1 Cor 1,30), e Icona del Dio Invisibile {Col 1,15; 2Cor 3,18 - 4,6; Rom 8,28-30; FU 2,6-11, sia pure con altri termini);

b) l'Autore dell'epistola agli Ebrei si spinge su questa base iconologicafino a contemplare Cristo Signore quale "Icona della Bontà" divina, edunque Splendore della Gloria e Impronta della Sussistenza del Padre(Ebr 1,1-4, che rilegge a fondo Sap 7,26), e si spinge fino a sfiorare la"teologia del Verbo" in 1,3: "il quale regge tutto con la Parola della Potenza di Lui", che è lo Spirito Santo;

e) Giovanni finalmente, ma su questa base che conosce bene, travalica ogni prospettiva, e giunge a contemplare che il Dio Monogenito (Gv 1,18), il Figlio Unico di Dio, è anche e specificamente il Verbo Dio sussistente presso Dio, e Luce (manifestazione iconica), Vita, Creatore — ma la cui esistenza sulla terra è tutta finalizzata a "fare esegesi" del Padre (1,18) a partire dalla sua Umanità assunta (1,14), vera Icona per-fetta del Padre, così che chi vede Lui, l'Uomo qui presente e parlante e visibile, vede il Padre suo (14,9). Ultima teofania;

d) il resto del N.T. porta a questo utili e necessari complementi. Occorre qui ad esempio esaminare tutti i verbi della "visione", riferiti sia ai discepoli, sia a Cristo Signore stesso.

Va qui riconsiderata la santità biblica che abbraccia realtà altrimenti opposte (così dagli antichi Greci): "L'orecchio ascolta, l'occhio vede -del Signore opere sono ambedue" (Prov 20,12). Siamo rinviati sinteti-camente all'oceano interiore provocato dallo sguardo profondo, ed al-l'universo del Tesoro che si percepisce dall'ascolto. Ascoltare-vedere sono i due verbi principali della fede biblica.

Esiste dunque nell'intero N.T. la consapevolezza acquisita per Gra-zia divina coadiuvata dalla riflessione, che il Figlio di Dio, il Verbo Dio, la Sapienza eterna incarnata, Gesù Cristo, è "Unica Realtà (hén)" con il Padre suo (Gv 10,30), che sussiste nel Padre come il Padre in Lui (Gv 10,38), che è l'Unico Nome con il Padre e con lo Spirito Santo (Mt 28,19), Egli è "l'Icona" unica, rivelatoria e comunicante del Padre nello Spirito Santo (cf. qui anche 2 Cor 13,13). E lo è in tre modi diversi e però coestensivi:

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CAP. 1 - LA TEOLOGIA SIMBOLICA

a) quale Figlio di Dio Monogenito del Padre (Gv 1,18), il Verbo Diocoeterno con il Padre (Gv 1,1-3) e con lo Spirito Santo (Mt 28,19);

b) quale Verbo Monogenito del Padre, incarnato nell' Oikonomia storicaad opera dello Spirito Santo, Y Oikonomia che ha per culmine la Croce,la Resurrezione e il Dono inconsumabile dello Spirito Santo, la Pentecoste del Fuoco divino che si estende nella Pentecoste permanente sugli uomini;

e) quale Umanità del Verbo Dio innalzata a sussistere in eterno nell'indi-cibile "unione secondo l'Ipostasi" divina, ossia l'Uomo Gesù Cristo, nato dallo Spirito Santo e dalla Semprevergine Maria, nel quale e dal quale si manifesta che il Figlio preesistente e coeterno con il Padre si fece umile e docile e fedele "Angelo del Grande Consiglio" (cf. Is 9,6, LXX), il Dise-gno divino triadico presecolare (S. Massimo il Confessore), che venne a rendere ascoltabile e visibile tra gli uomini; vedi qui la teologia giovan-nea. Divenendo così il Messia divino d'Israele, e poi delle nazioni pagane.

Si annota qui che la "teologia dell'Icona" quale simbolo supremo porta insieme sulla vita triadica del Dio Unico, e su\V Oikonomia divina conseguente in vista della nostra salvezza.

Si pone dunque la primaria necessità di esplicitare il senso secondo cui il Figlio di Dio, l'Icona perfetta del Padre nello Spirito Santo, è og-getto privilegiato della "Teologia simbolica", con tutti i riflessi per la vita fedele, e in special modo per la santa Liturgia.

Sopra si era posta la domanda: perché il simbolismo. Domanda le-gittima, a cui è dovere dare una legittima risposta. Essa verte sul moti-vo dell'"Economia dei segni" o simboli.

La risposta è facile: la comunicazione simbolica è la più facile, la percezione simbolica è la più ricca. Infatti:

a) 1'"Economia dei segni" come si accennò, rievoca anche in un unico segno l'intero "universo simbolico". Si veda ancora, qui, la connessione necessaria di un "segno" decisivo nella narrazione biblica, la Luce: che significa vita conoscenza illuminazione intcriore sapienza esperienza vitale rinascita trasformazione purezza dileguamento delle tenebre-morte — e per contrasto orribile: Tenebre, che significano morte igno-ranza ottenebramento intcriore stoltezza esperienza rovinosa precipita-zione nella rovina trasformazione nel nulla impurità accrescimento della cecità totale. E Pane: Parola cibo fame sazietà Convito Nozze Sigillo divino dello Spirito Santo Cielo discesa dal Cielo Vita Corpo di Cristo Carne Convito della Sapienza, Convito nuziale Convito eterno festa gioia Comunità, vita indivisa;

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

b) 1'"Economia dei segni" non esclude mai, anzi suppone sempre: essa si muove ed opera ed è efficace nell'ambito non dell'ouch-ouch, "no-no", non dQÌVè-è, "o-o", bensì del kài-kài, "sia-sia", "sia questo-sia quello". E così Cristo Gesù è Dio e Uomo nella "verità" di ambe le condizioni di natura; la Parola divina è del tutto da Dio e del tutto dagli uomini; la Chiesa è celeste e terrena; l'icona di Dio, l'uomo creato, è corpo e anima e spirito; è corpo animato ed anima incorporata; i divini Misteri sono Pane celeste e vengono dal pane di grano buono; e si può proseguire.

L'unico "o... oppure" sta nella categoria: "o con Dio, oppure contro Lui", senza terza soluzione; "o per il Bene sommo, oppure per il Male abissale", il Nemico di Dio e dell'uomo;

e) 1'"Economia dei segni" non cerca "idee chiare e distinte". Poiché non si dirige primariamente verso idee platonico-cartesiane-idealiste, per quanto buone, e utili, e simpatiche, e belle, bensì verso la realtà sto-rica, buona o cattiva che sia, accettabile e no che sia;

d) ma essa neppure respinge le "idee" come tali se portano la dovuta ed utile e rispettosa illustrazione dei "segni", se vogliono essere intelligen-za dei "segni". Ma allora qui, come per tutto il resto, vale solo la filoso-fia realista, dell'essere in quanto essere, con il suo metodo realista, e dunque prezioso per la ricerca. Poiché in ogni campo, e non meno in quello della Rivelazione biblica, come i Padri insegnano, la ricerca de-ve sempre passare per il laminatoio crocifiggente della filosofia reali-sta, per avere evidenza di visuali e non meno di linguaggio. Queste esattezze furono la prerogativa del genio immenso della Chiesa greca, meno di Chiese di altre tradizioni.

Al contrario, e ad evidenza, la percezione discorsiva, per raziocinio deduttivo, è più povera per sua natura rispetto al pensiero simbolico:

a) essa vuole infatti, ed anzitutto e per definizione, precisare e definire, termini assai indicativi in quanto indicano il "tagliare via", il "ritagliare", il porre un confine netto, respingendo dunque tutto quello chenon si adatta al "filo" sottile del ragionamento. E perciò così negandoogni aspetto ricco, esuberante, qual'è il pensiero simbolico, che portaed usa sentimenti, poesia, arte, immaginazione, figure, parabole, quindi la più gran parte delle facoltà umane e quotidiane nel loro naturaleesprimersi;

b) se conserva ed accetta solo il raziocinio "logico", l'uomo si costringe dentro leggi ferree, dove domina incontrastato l'"o - oppure" logico,dove è esasperato il principio di non contraddizione e del terzo escluso.

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CAP. 1 - LA TEOLOGIA SIMBOLICA

Insomma, si consegna al nominalismo, allo spietato e abbnitente "ra-soio di Ockham". Come avvenne al pensiero moderno, dove "l'uomo è caduto dentro l'uomo", ossia nel vuoto, poiché ridotto di volta in volta alla sola "res cogitans" (gli idealismi), alla sola coscienza (gli psicolo-gismi, gli esistenzialisti), o si è schiantata, fragile barchetta, sulla sco-gliera delle indagini sterili solo sul linguaggio, alla cui fine sta la scrit-tura e la parola "grado zero", la "morte di Dio", "l'uomo grado zero", la morte dell'uomo.

Invece si deve insistere. Le due forme della conoscenza, quella pri-maria e spontanea, il pensiero simbolico, vero pensiero, e quella deri-vata ed ausiliare, il pensiero razionale — non che il primo non sia esso stesso di altissima razionalità! —, non debbono essere surrettiziamente posti in opposizione frontale di reciproca esclusione. Al contrario van-no pacatamente, pacificamente assommati con giudizio, per la recipro-ca utilità. La prima è universale, realmente umana perché fondata in modo irremovibile sul divino, anzi sul Divino personale e personaliz-zante. Essa postula per sé una continua validazione e spiegazione, e queste le derivano solo dall'uso delle analisi e dalla precisione del lin-guaggio proprie della filosofia realista.

La seconda è anche di tutti, pur se sviluppata in forme sistematiche da pochi specialisti, i filosofi. E però oggi, nell'attuale civiltà tecnolo-gica scientista, si è delineato da parte degli scienziati e tecnologi, con poche eccezioni tra i primi, il rifiuto anche della filosofia; si assiste con tristezza alla negazione delle cause (dei "perché?") per timore delle te-mute cause finali e dunque della Causa finale, con il previo rifiuto dell'"ipotesi metafìsica", terminologia ed atteggiamento quasi comici, che mascherano l'abbandono della religione, e la paura del soprannatu-rale. La filosofia è sempre necessaria, e senza di essa le scienze sono solo ideologia di dominio intellettuale e tecnologico. La tecnocrazia sembra avere vinto ben prima di Hiroshima e Nagasaki.

La riconciliazione tra pensiero simbolico e pensiero filosofico e scientifico può avvenire solo con l'appello agli specialisti per il lavoro interdisciplinare, con il metodo della "tavola rotonda", dove ciascuno specialista, ascoltando il collega, opera secondo la "correzione" dei propri dati e visuali, e secondo 1'"acquisizione" di quanto ancora sco-pre che gli manca. Ma questo è un lavoro ingrato, ancora tutto da impo-stare, organizzare e svolgere. Se oggi sembra che ogni specialista si creda competente in tutto, si scopre invece che il suo campo si fa sem-pre più ristretto e la sua competenza sempre meno valida. L'intercomu-nicabilità tra colleghi è difficile anche nella stessa materia. Ma si deve tentare per il bene di tutti.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

3. La teologia simbolica

La teologia simbolica è perciò l'applicazione del pensiero simboli-co, ma, come si disse qui sopra, sostenuto anche da quello filosofico, alla considerazione ed alla contemplazione dell'"universo simbolico della divina Rivelazione".

Essa si muove tra le coordinate che si scoprono nel farsi doiVOiko-nomia divina nella storia. Dove tutto avviene:

a) nel tempo-spazio creati per la salvezza: il cosmo e la storia, il mondointero e l'epoca nuova che corre dall'A.T. alla Resurrezione alla Pentecoste alla Chiesa alla Parousia, fino ai "deli nuovi e terra nuova" dell'eternità;

b) nello "stile dell'uomo", poiché il Dio Trascendente Eterno con indicibile ed eccessiva sygkatdbasis, la Condiscendenza misericordiosaverso gli uomini, "si adatta", per così dire, alle necessità creaturali econtingenti dell'uomo, "si fa linguaggio" per gli uomini, così che ilVerbo Dio, la Parola eterna del Padre, si fa Uomo vero, e così Dio"parla a noi in un Figlio" (cf. Ebr 1,2). Parla dunque con parola ancheautenticamente umana, di una cultura storica (ebraico, aramaico) e poidi un'altra cultura storica (greco), veicoli del Parlare divino del Padreche si fa sentire ad opera dello Spirito Santo. E Parlare divino tuttosvolto, tutto comunicato ed esplicitato, che è il Figlio di Dio, il Verboincarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine. Ora l'uomo è lògoscreato, ossia parola creata, capace di parola e di diàlogos con se stesso,con il prossimo, con il mondo, con il Dio suo Creatore; ma come talel'uomo, creaturalità per sua natura limitata, percepisce tutto solo attraverso simboli, essendo costituito come uomo religioso, e quindi uomosimbolico (vedi sopra). Dio parla a lui nell'"universo simbolico";

e) nel "regime di segni" o simboli, dove tutto è significante, dunque tutto parla e vuole comunicare, come ben compresero i Padri (cf. sopra, i testi di S. Ireneo); dove l'"universo simbolico" della Rivelazione è dono, e dono sono ciascuno dei segni che lo costituiscono.

Già gli autori biblici parlano per teologia simbolica. Se si assumono dal solo N.T., in specie dagli Evangeli, alcuni verbi di rivelazione, si ha una serie di connotazioni "simboliche", come:

- Cristo "manifesta",phaneróò, la sua Dóxa, Gloria, a Cana (Gv 2,12), nel sèméion del Vino messianico, il 1° del complesso dei 7 "segni" giovannei della Resurrezione (se ne parlerà commentando l'Evange-lo di Cana, vedi l'Appendice I);

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CAP. 1 - LA TEOLOGIA SIMBOLICA

- Egli anche "mostra", déiknymi, realtà grandi e significanti;- ed "opera segni" (sèméiapoiéin);- e "testimonia" con la parola e le opere (martyréó);- ed "insegna" (didàskò) fatti reali attraverso le narrazioni simboliche

che sono le parabole (cf. Mt 13,1-23, e par.).

In tutto questo Egli rende manifeste e presenti già nella sua Persona (segno-simbolo), poi nella sua Parola (segno-simbolo), le Realtà del Padre e dello Spirito Santo, le medesime che rende presenti anche nei "segni" efficaci, le opere che compie. Se ne può portare un altro esem-pio:

- il Signore dopo l'Ascensione, quanto alla sua Presenza personale —ossia la Divinità sua che rende visibile ed ascoltabile nel suo corpo enella sua anima, adesso divinizzati dallo Spirito Santo in eterno — sitrova rispetto ai discepoli ed agli uomini in condizione di apousia, diassenza;

- Egli tuttavia dona lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e suo, che lorende presente in tre realtà e fatti e concretezze che sono la tripliceforma che dalla Pentecoste alla Parousia assume il suo Corpo: I) ilCorpo della sua Parola, che si mangia ascoltando (cf. Mt 4, 4; Le 4,4,che citano Di 8,3); II) i divini Misteri della santa Mensa; III) il Corponuziale che è la Chiesa sua Sposa. Egli esige che per aderire a Lui eformare con Lui "unico Spirito" (cf. 1 Cor 6,17), si debba comunicare coestensivamente ai "tre Corpi", senza ometterne qualcuno;

- per restare al solo "segno" della Parola, che in seguito interesserà dipiù il discorso qui da svolgere, essa opera per la Potenza dello Spirito(cf. Gv 6,63), ed anzitutto attraverso questo "segno" simbolo il Risorto si manifesta e si rende presente ai suoi fedeli;

- però il Risorto "si fa presente" già nella Parola-segno; dunque non èpresente agli uomini solo "la parola", che allora sarebbe "vuota".

La teologia simbolica così si occupa dell'immenso, impressionante complesso di fatti salvifici, mostrando come siano segni-simboli nel senso più pieno ed efficace di quanto portano. E qui deve essere bandito un certo "nominalismo" che anche senza volere ci portiamo sempre dentro.

Qui sarà da riconsiderare la teologia simbolica dei Padri.Per essi, il segno-simbolo è realtà unificante. Infatti per il suo etimo:

syn-bàllò, da cui syn-bolon, in greco significa "gettare insieme", "com-porre insieme", dunque comporre "qui", in questo "segno", qualche co-sa di invisibile e di inascoltato rendendolo visibile e ascoltabile nel suo senso profondo. Dal pensiero patristico qui si può assumere la defini-

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CAP. 1 - LA TEOLOGIA SIMBOLICA

- Egli anche "mostra", déiknymi, realtà grandi e significanti;- ed "opera segni" (sèméia poiéin);- e "testimonia" con la parola e le opere (martyréó);- ed "insegna" (didàskó) fatti reali attraverso le narrazioni simboliche

che sono le parabole (cf. Mt 13,1-23, e par.).

In tutto questo Egli rende manifeste e presenti già nella sua Persona (segno-simbolo), poi nella sua Parola (segno-simbolo), le Realtà del Padre e dello Spirito Santo, le medesime che rende presenti anche nei "segni" efficaci, le opere che compie. Se ne può portare un altro esem-pio:

- il Signore dopo l'Ascensione, quanto alla sua Presenza personale —ossia la Divinità sua che rende visibile ed ascoltabile nel suo corpo enella sua anima, adesso divinizzati dallo Spirito Santo in eterno — sitrova rispetto ai discepoli ed agli uomini in condizione di apousia, diassenza;

- Egli tuttavia dona lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e suo, che lorende presente in tre realtà e fatti e concretezze che sono la tripliceforma che dalla Pentecoste alla Parnasia assume il suo Corpo: I) ilCorpo della sua Parola, che si mangia ascoltando (cf. Mt 4, 4; Le 4,4,che citano Dt 8,3); II) i divini Misteri della santa Mensa; III) il Corponuziale che è la Chiesa sua Sposa. Egli esige che per aderire a Lui eformare con Lui "unico Spirito" (cf. 1 Cor 6,17), si debba comunicare coestensivamente ai "tre Corpi", senza ometterne qualcuno;

- per restare al solo "segno" della Parola, che in seguito interesserà dipiù il discorso qui da svolgere, essa opera per la Potenza dello Spirito(cf. Gv 6,63), ed anzitutto attraverso questo "segno" simbolo il Risorto si manifesta e si rende presente ai suoi fedeli;

- però il Risorto "si fa presente" già nella Parola-segno; dunque non èpresente agli uomini solo "la parola", che allora sarebbe "vuota".

La teologia simbolica così si occupa dell'immenso, impressionante complesso di fatti salvifici, mostrando come siano segni-simboli nel senso più pieno ed efficace di quanto portano. E qui deve essere bandi-to un certo "nominalismo" che anche senza volere ci portiamo sempre dentro.

Qui sarà da riconsiderare la teologia simbolica dei Padri.Per essi, il segno-simbolo è realtà unificante. Infatti per il suo etimo:

syn-bàllò, da cui syn-bolon, in greco significa "gettare insieme", "com-porre insieme", dunque comporre "qui", in questo "segno", qualche co-sa di invisibile e di inascoltato rendendolo visibile e ascoltabile nel suo senso profondo. Dal pensiero patristico qui si può assumere la defìni-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

zione classica di ORIGENE, In Romanos commentarius 4,2, in PG 14,968 A, il quale afferma che Cristo Signore già nella sua Vita storica era il "Segno a cui si contraddice", poiché

alius in eo videbatur, et aliud intelligebatur, caro cernebatur, etDeus credebatur,

ossia in Lui si vedeva solo Lui, ma si comprendeva un' "altra realtà", poiché di Lui si vedeva la carne, l'esistenza umana, e tuttavia Egli era oggetto di fede come il Dio adesso compreso, "visto".

Quindi il segno simbolo si ha quando una realtà è vista ed ascoltata, quindi constatata, e coestensivamente, perciò in modo non escludente, un' "altra realtà" nella prima e dalla prima è finalmente compresa dalla mente umana. Perciò S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In 1 Con 1-2, Horn. 7,1, in PG 61,55 (cf. 53 D - 57 D) afferma con sicurezza che il Mistero divino è presente ed efficace qui adesso,

non quando crediamo quello che vediamo, bensì quando vediamo una realtà e ne crediamo un'altra.

Il che va compreso anche a partire da un'ennesima precisazione. Nella Rivelazione biblica costitutivamente la "parola" e 1'"icona" for-mano un'unità di comprensione e di funzione molto stretta e densa. Non è affatto per caso che il Figlio di Dio sia Eikón e sia Logos, Icona in quanto Verbo, e Verbo in quanto Icona, per noi a partire dall'Incar-nazione.

Ora, la Parola divina esige l'ascolto qualificato, quello di conversio-ne e di fede trasformante. L'Icona postula la visione qualificata, di con-versione e di fede trasformante. Poiché già nella Rivelazione, come poi sulla base dei Padri ribadì il Concilio di Nicea II (a. 787), quanto la Pa-rola divina operante nello Spirito Santo annuncia e rivela, l'Icona divi-na riconosciuta nello Spirito Santo manifesta e mostra.

La Parola-Icona, Lógos-Eikòn, è dunque la rappresentazione supre-ma dell'"universo simbolico divino", nella sua fedele espressione, e ne è la comunicazione gratuita plenaria agli uomini. Essa costituisce il su-premo e gratificante "Linguaggio di Dio", ossia il modo di esprimersi di Dio agli uomini. E così si può completare l'intuizione di Origene cir-ca in questo modo:

In Lui si vedeva e si ascoltava Lui,e ad "altra" Realtà si rimandava restando in Luie questa si comprendeva restando in Lui,

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CAP. 1 -LA TEOLOGIA SIMBOLICA

Ossia, si vede e si ascolta l'Uomo Gesù, ma — solo restando fissi in Lui — si vede e si comprende che il Verbo Dio incarnato rivela il Padre poiché è rivelato a sua volta dallo Spirito Santo.

Anche diversi autori moderni giungono a conclusioni analoghe, co-me quando ad esempio trattano deH"'immagine", e ne scoprono la fun-zione molteplice di segno simbolo:- è iconica: dunque pone alla vista,- è rivelante: dunque testimonia una certa assenza;- è archeologica: dunque fa fare anamnesi storica;- è teologica: dunque apre l'accesso all'Assoluto.

La teologia simbolica perciò è insegnamento che il segno simbolo è sintesi immediata e percepibile nel segno simbolo stesso, non fuori di esso, e ciò anche sul piano più propriamente epistemologico. E però teologicamente si deve procedere ad accurate distinzioni di piani, come acutamente mostra P. PIRET, Le Christ et la Trinità selon Maxime le Confesseur, Paris 1983, pp. 51-52. Secondo questo autore, il simbolo ha questi significati:

1) è integrazione di significati diversi sotto un'unica denominazione.Così hypóstasis è "sussistenza" personale, realtà oggettiva ed insiemeprincipio soggettivo di un esistente personale, come quando si dice: laHypóstasis divina del Dio Verbo; mentre hypokéimenon è "il soggiacente", l'iniziativa soggettiva di un esistente; qui il simbolismo è menocarico;

2) è quello che significa l'identità alla realtà stessa che vuole manifestare quale conferma dell'identità di tale realtà con essa stessa. Così ou-sia è "essenza", se si dice doiVOusia divina, è la Synousia del Padrecon il Figlio e con lo Spirito Santo e reciprocamente; allora indica senza mediazione che Dio è Dio, non è dunque un termine medio tra le TrePersone divine. Se è ousia umana, può indicare Cristo in quanto "Uomo" vero, ma anche tutti gli uomini veri; allora indica senza mediazione che l'uomo è uomo, non è un termine medio tra Cristo Uomo da unaparte, e dall'altra tutti gli altri uomini;

e) Symbolon è anche la "confessione di fede" della Chiesa, che intro-duce all'uso ecclesiale e liturgico dei termini "simbolici" — come ousia, e homooùsios — nel loro significato visto qui sopra, che così sono assunti nel linguaggio ultimo della Chiesa sulla Triade divina e sulla Chiesa stessa. "Ultimo" qui significa che l'intera Chiesa ed ogni fedele nel loro "Simbolo della fede" riaffermano le realtà che quei termini "simbolici" portano ed affermano. Di qui discende un altro si-gnificato;

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

d) Origene usa dire spesso che "Cristo è symbolon di se stesso". Questo viene dalla Santa Scrittura per via diretta, e qui basterà portare degli esempi. Così è esplicito che il Verbo Dio incarnato (Gv 1,1-3.14) è per ciò stesso sia l'unico Esegeta (Gv 1,18), sia l'unica Esegesi {Le 24,25-27.32.44-45, con altri verbi) del Padre e di tutto quello che, parlato nel-l'A.T., adesso parla Lui. E però quanto Egli parla ha come unico conte-nuto il Padre suo, ed è "le Scritture". E queste parlavano di Lui: Rom 1,1-4. Spiegandole, spiega anche se stesso. E perciò è anche l'Alfa e l'Omega unico di quanto opera, e queste sono le "opere del Padre" (teologia giovannea).

Tenuto presente tutto questo, nonostante le difficoltà numerose che si sono rivelate qua e là, si deve spingere il discorso della teologia sim-bolica verso qualche complemento, e rimuovendo anche qualche sor-presa che possa insorgere.

Non deve meravigliare se la Rivelazione biblica, che parla il lin-guaggio del segno-simbolo, mostri che sono "simboli" nel senso più pieno e nell'efficacia più valida che tale termine ha presso i Padri:

- la Triade santa consustanziale indivisibile. E di fatto si usa il simbolonumerico 1 e quello 3 per significare rispettivamente la realtà dell'unità monousiaca indivisibile, e la Triade triipostatica inconfusa inseparabile. Si usa il simbolo à&ÌY arìthmós, il "numero", e la simbolizzazione deW arithmèsis, la "numerazione", o synarithmèsis, connumerazione delle Tre Ipostasi nelP"eguaglianza coessenziale". Maproprio i numeri sono una delle forme più perfette di simbolismo;

- il Verbo Dio è simbolo, come in parte si è visto. Infatti il Lògos nellasua Ipostasi, la seconda della Triade divina consustanziale, per ciò stesso rivela e manifesta la Parola vivente del Padre suo, ossia il Par-lare del Padre a partire dal suo Pensiero, e Parlare che è anche rap-presentarsi, esprimere e comunicare, e questo è "generare dall'eter-nità per l'eternità", e questo Parlare generato è la Persona divina del Figlio. Se si ordina questo, con il Lògos si raggiunge il simbolismo complesso della Rappresentazione divina che è il Pensiero, il Padre, dell'Espressione divina che è la Parola sussistente, il Figlio, e della Comunicazione divina che è la Sapienza, lo Spirito Santo, "nel qua-le" sussistono in eterno Rappresentazione ed Espressione. Siamo ad-dirittura al centro del linguaggio simbolico divino, nell'Oceano senza rive dell'"universo simbolico divino", dove la lingua, non più sorret-ta dal pensiero, deve tacere, e solo dare al cuore espressione di amore e di adorazione fedele;

- il Verbo Dio incarnato è simbolo. Ed è il centro dell'"universo simbo-lico" e del linguaggio simbolico, e della teologia simbolica. Essendo

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CAP. 1 -LA TEOLOGIA SIMBOLICA

Colui in cui e mediante cui "la Theologia si fa anche Oikonomia" (theologéitai e oikonoméitai, S. Massimo il Confessore), l'Umanità santa da Lui assunta dalla Semprevergine Maria per l'indicibile "unione secondo l'Ipostasi" divina, è il "segno" più vero concreto reale immediato della sua stessa Divinità beata: nell'Umanità sua, che è il "segno-simbolo", la sua Divinità invisibile diventa Presenza adorabile;10 Spirito Santo è simbolo. E qui si riapre tutto il discorso appassionante. Poiché precisamente l'Ipostasi divina dello Spirito del Padre edel Figlio si fa conoscere come Sapienza divina e Dio da Dio e "Fuoco procedente da Fuoco" solo ed attraverso tutta una serie di simbolicome il vento, l'acqua, il fuoco, l'amore, la banedizione, la comunione... Significando così la Vita la Potenza la Gloria la Maestà la Magnificenza anzitutto del Figlio, il quale rivela il Padre ed a Lui riportatutti gli uomini;la Parola della divina Rivelazione è simbolo. Infatti già la "parola" umana come tale è segno simbolo di rappresentazione espressione comunicazione, e il parlare concreto è per sé declinazione e coniuga-zione di simboli, è vocabolario grammatica e sintassi di simboli. Ma la Parola divina nel "più" di Dio porta sotto quelle forme umane di cui si è detto, e si dovrà ancora dire, i simboli del Mistero, 1'"univer-so simbolico del Mistero", l'efficacia onnipotente del Mistero; l'A.T. è simbolo. Composto di infiniti simboli, esso è anche però globalmente il grande ed insostituibile "simbolo del N.T.", più propriamente dell' Oikonomia di Cristo;11 N.T. è simbolo. Anche esso contessuto di segni-simboli, e riassumente ed attuante il simbolo-A.T. nella sua totale rilettura tipologica,il N.T. è simbolo anche della vita futura ed eterna;il cosmo creato è simbolo. È il "libro creaturale", le "impronte di Dio", segno della Potenza divina del Signore Dio Sovrano Creatore, che va letto con il suo simbolo analogo, il "Libro della Scrittura". Il primo libro è donato a tutti per salire al Dio Vivente (cf. qui Rom 1 ; Sap 13), il secondo è dato per grazia imperscrutabile ad alcuni affin-chè alla sua luce sappiano leggere anche il primo, per essi e per gli altri;l'uomo è simbolo. È infatti il principale simbolo vivente di Dio, creato come è da Lui "ad immagine e somiglianzà" di Lui, simbolo che si riferisce al suo Prototipo divino; si veda qui quanto detto sopra sul-l'Umanità del Verbo, Icona del Dio invisibile; la Chiesa è simbolo. È la Sposa del Dio Verbo incarnato, Icona nuziale di Lui, corpo dello Sposo-Testa sua, e con lo Sposo divino riforma secondo il Disegno divino originario l'"Uomo icona perfetta di Dio", cf. qui Efes 5,18-33, e la rilettura qui di Gen 2,18-24;

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

- la santa Liturgia della Chiesa è simbolo. È l'immane "segno" misteri-co delle Realtà divine celebrate nell'abilitazione donata dalla consa-crazione dello Spirito Santo, e nell'ammissione per grazia al Sacer-dozio eterno di Cristo Risorto;

- i Misteri celebrati sono simbolo. Ciascuno dei 6 altri Misteri (sacramenti) infatti da parte sua è "segno" efficace e reale delle Realtà chesignifica e dona la Grazia che significa, lo Spirito Santo;

- i divini trasformanti divinizzanti Misteri della santa Mensa sono simbolo. È il linguaggio abituale dei Padri (oggi poco sopportabile per ilnominalismo del linguaggio, essendo in genere "simbolo", "simbolico" espressioni molto attenuate, come quando si dice "valore simbolico"). I divini e tremendi Misteri sono l'infinito simbolo della Realtàinfinita che si celebra, che si riceve dalla santa Mensa, che si offresull'Altare spirituale celeste... Anche qui "taccia tutta la carne".

E si potrebbe ancora proseguire con gli altri simboli: gli eventi bibli-ci della salvezza come typoì delle Realtà venture, le istituzioni bibliche come significazioni attuali delle Realtà che vengono; gli elementi crea-turali con cui Dio significa i fatti mirabili della salvezza: acqua, olio, incenso, aromi, carne, pane, vino...; gli oggetti della narrazione biblica: l'altare, l'arca, i Serafini, il candelabro a 7 bracci, il pane della preposi-zione, le vesti sacerdotali, il fuoco, i frutti offerti...

Tutto questo discorso è in atto, essendo inesauribile. La continua contemplazione delle Sante Scritture nella Chiesa ne offre l'occasione e il sublime materiale per le generazioni.

4.1 Padri e la teologia simbolica

Dopo quanto detto, si può aggiungere solo che occorre soprattutto guardare alle opere in cui i Padri istruiscono i catecumeni in vista della loro iniziazione ai Misteri divini (catechesi) e poi fanno mistagogia agli iniziati, ossia alle opere omiletiche. Si pensi solo alla ricchezza dell'o-miletica di due tra i più grandi predicatori della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo e S. Agostino. Il popolo battezzato di continuo è posto da-vanti ai simboli della salvezza, che debbono fare propri e viverne.

Nelle opere "esterne", di difesa della fede, in genere i Padri proce-dono piuttosto con esegesi letterale e argomenti razionali.

Inoltre, occorre qui guardare le opere "spirituali" dei Padri, come quelle di S. Gregorio Nisseno, e via via lungo la Tradizione ininterrot-ta, fino alla fine del medio evo, fino all'irradiamento di S. Gregorio Pa-lamas. Il simbolismo qui rifulge splendidamente.

Infine, una categoria oggi rivalutata, le "catechesi mistagogiche" do-po il sec. 6°, opere scritte per il clero ed i monaci, in genere, non predi-cate al popolo, fanno uso esuberante della teologia simbolica.

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CAP. 1 - LA TEOLOGIA SIMBOLICA

5.1 Santi mistici e spirituali

Anche se molti di questi fanno ancora parte dell'epoca dei Padri (che si usa chiudere convenzionalmente in Oriente con S. Giovanni Da-masceno, + e. 749), gli altri si spingono lungo le generazioni fino a noi, in parte conosciuti ed amati, in parte ancora da scoprire.

Si può dire qui in breve che questi autori, importanti interpreti au-tentici della fede vissuta dalla Chiesa nel nascosto della santità, non hanno trovato migliore espressione della piena della Grazia divina nel loro cuore se non nella teologia simbolica, vero tramite tra le Realtà contemplate e la loro comprensione, e tra questa e la loro espressione, quando hanno potuto o voluto che discepoli e altri privilegiati parteci-passero ai tesori della loro esperienza.

Oggi le edizioni dei Padri e degli spirituali si moltiplicano e si diffondono senza sosta. Nell'aridità che consuma, si ha necessità delle fonti antiche e sempre attive della Dottrina immacolata.

6. La santa Liturgia della Chiesa

Se come accennato, e come si dovrà a lungo ancora parlare, la santa Liturgia è "simbolo" e insieme "universo di simboli", il suo parlare le lodi e le azioni di grazie e le suppliche e le epiclesi si può esprimere so-lo con la teologia simbolica.

Se poi si entra in una chiesa e — il Signore ci perdoni — mentre si celebrano le azioni sacre si fa attenzione agli svolgimenti, si annotano ambiente, oggetti, gesti, canti, parole, e se ne fa un elenco ordinato e ragionato, si ha come un' "enciclopedia simbolica".

La sola Veglia del Sabato santo e grande è cumulo di segni-simboli, dal Vespro all'Omelia di S. Giovanni Crisostomo che chiude "simboli-camente" la Veglia: e però qui le annotazioni diventano così numerose che si fanno difficili.

"Tutto è simbolo". La santa Liturgia è tutto un simbolo. L'attenzione nostra si concentrerà poi nel commento all'immenso Simbolo-Segno della Parola divina, in specie dell'Evangelo, dove di volta in volta si ri-chiamerà, forse senza ottenere un "ordine" coerente, quel segno e quel-l'altro.

Ma tutto unificato mirabilmente in Cristo Risorto, l'unico divino Ri-capitolatore che dona coerenza a tutto.

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CAP.2 LA PAROLA

DIVINA DIVINIZZANTE

Ed invece dobbiamo usare senza reticenze, con fierezza, tutto quel linguaggio, tutte quelle immagini simboliche, tutti quei Testi divini, per il semplice motivo duplice: che sono tutte realtà "significanti" quello che esprimono ed indicano e simbolizzano; e che principalmente la Pa-rola divina è divinizzante.

Le parole umane per sé sole sono comunicazione e trasmissione di idee e fatti, positivi e negativi e neutri. Esse certo fanno vivere gli uomini in società, anzi rendono possibile che esista una società di uomini. Sono anche determinanti per ben individuate realtà, le quali però non trascen-dono mai lo statuto dell'uomo, non lo portano al di là di se stesso. Anche la forma più alta della parola umana, la poesia, quando è detta suscita im-magini, sentimenti, reazioni, entusiasmi, malinconie, pessimismi, e così via. Quando ne termina il flusso, tutto torna nel silenzio. Non solo.

Ormai molti, preoccupati, annotano che il linguaggio corrente, in specie quello della comunicazione sociale quotidiana, si è fatto sempre più, e forse senza prevedibile ritorno, banale e banalizzante, cosificante ed alienante. La morte della lingua (si pensi alle decine di migliaia di termini che riporta un buon vocabolario, a quanti di essi non si usano più e sono la sterminata maggioranza, ai neologismi che vengono solo dalle tecniche) è morte anche della mente, dell'anima, incapace di esprimere se stessa e la realtà. D'altra parte, certi ambienti che si collo-cano nel "pensatoio" aristofanesco, usano linguaggi oscuri, involuti al fine di mascherare il nulla dei contenuti vivibili ormai perduti; e questo perfino nel campo delle scienze teologiche, invase da scienze "altre" che sono insidiosamente totalizzanti.

Ebbene, proprio qui e adesso noi cristiani dobbiamo recuperare da vivere tutto il Tesoro della Parola divina e della Tradizione divina apo-stolica che nei secoli seguita ed esplicitarla. Dobbiamo dunque mag-giormente far nostri il vocabolario, la grammatica e la sintassi della Ri-velazione biblica nella Tradizione fino a noi, i quali ci appartengono per donazione divina irreversibile, e quindi per diritto divino.

Questa operazione deve impegnare le generazioni che verranno. Oc-correrà anche un coraggio temerario, senza curarsi se da sopra non ven-gono stimoli specifici, e da sotto, almento a primo approccio, si è tenuti per sorpassati dagli eventi, per gente fuori del mondo. E via via che il Tesoro è sempre meglio posseduto e vissuto, si deve trasmetterlo più utilizzabile nell'esperienza della fede, ossia più vivo e vivibile. Vera catena di trasmissione della Tradizione che non muore. E vita che nella Chiesa e come Chiesa vuole sussistere e crescere.

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CAP. 2 - LA PAROLA DIVINA DIVINIZZANTE

Si dovrà qui pensare con fermezza e con profondità e con serietà che la divina Dottrina per Grazia gratuita ed una volta per sempre ha rivelato che il Verbo di Dio, il Dio Verbo Vita Luce Creatore, la Sapienza personale del Padre ma incarnata, la Parola del Padre per intero espres-sa e comunicata, nello Spirito Santo filialmente ci divinizza. Così che l'immagine e somiglianzà di Dio creata sia recuperata nella sua santità prevista dal Disegno divino, sia riammessa al dialogo plenario con Dio, sia luogo del mirabile scambio d'amore con Lui.

Al di là della banalizzazione che è andata dilagando, della "promo-zione umana" (solo umana?), della "realizzazione di se stessi", di emancipazione nel solo campo intramondano del sociale e dell'econo-mico, sta qui in gioco drammatico, se non tragico, il destino eterno di ciascun uomo e di tutti gli uomini. Poiché l'uomo per suo statuto costi-tutivo è 1'"immagine e somiglianzà di Dio", ciascuno in modo prezio-samente irripetibile, e solo dalla Parola divina conosce il suo destino e statuto proprio: essere innalzato vertiginosamente ed "essere dio per grazia" dalla Grazia divina del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, il Dio Unico. E dalla medesima Parola, che è Grazia divina, l'immagine e somiglianzà è avviata a conseguire la sua divinizzazione per l'eternità beata.

È un "gioco divino drammatico", dove va però anzitutto considerato a fondo un lógion, un detto del Signore, che si presenta compatto e du-ro nelle sue non poche difficoltà di interpretazione, ma soprattutto di comprensione e di accettazione. Esso è riportato con varianti dai 3 Si-nottici. La redazione matteana suona così: il Signore indica i discepoli, e poi parla:

"Ecco la Madre mia ed i fratelli miei:chi infatti farà la Volontà del Padre mio nei cieli,questi è mio fratello e mia sorella e mia Madre" (Mt 12,49b-50).

Luca esplicita il termine thélèma, volontà come lògos:

"Madre mia e fratelli miei questi sono, quelli che la Parola (lògos) di Dio ascoltano e la fanno" (Le 8,21).

Perciò, contro ogni incertezza, la Volontà-Parola di Dio va anzitutto ascoltata. Il che implica l'accettazione che si ha nella conversione del cuore e nella fede di adesione, e nella conseguente obbedienza docile. E va "fatta" svolgendone tutte le virtualità attuanti.

Di più. Si tratta di Volontà-Parola di Dio trasformante. Infatti per la Grazia dello Spirito chi "ascolta e fa" diventa per ciò stesso "madre e

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

fratello" del Figlio di Dio. È così reso anzitutto capace di generare il Verbo-Parola. Poiché Questo, dopo la Madre sua santa ed immacolata, la Semprevergine Maria, vuole ancora essere generato — "farsi carne" ancora, diventare della medesima carne, cf. Gv 1,14 — dai suoi fedeli. E poi chi "ascolta e fa" è reso anche capace, coestensivamente, di essere generato dal Padre quale "figlio nel Figlio Unico", affinchè il Figlio sia "il Primogenito di molti fratelli" (Rom 8,28-30).

Con un termine sintetico meraviglioso, per questo, l'Apostolo parla di fedeli ormai diventati syssòmoi, "con-corporali" con Cristo (Efes 3,6). Al suo seguito, i Padri sviluppano questo tema con magnifica, be-nedetta audacia, fino ad affermare che gli iniziati al Mistero di Cristo, dunque battezzati, confermati ed ammessi al Convito nuziale del Re-gno, sono synaimoi, "consaguinei" con Cristo (ad es. S. GRILLO DI GE-RUSALEMME, Catechesi mistagogica 4,1,3; 4,3,5; in Sources Chrétien-nes 126, Paris 1966, pp. 134 e 136, dove si ripete prima il paolino sys-sòmoi, e 136, dove si dice prima syssòmoi e poi synaimoi). E se è così, argomentano ancora, essi dunque conseguono l'eccellenza della somi-glianzà, e la syggenéia, la "parentela" vera con l'Umanità del Verbo unita ipostaticamente alla sua Divinità, e sono innalzati a vivere la Vita trinitaria (ad es. S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Gen. Horn. 42,9, in PG 54,446).

Concorporeità, consanguineità, parentela, rapporto stretto, ormai non più risolvibile. Con conseguenze determinanti per la vita dei fedeli del "popolo della Parola", la Chiesa Sposa, resa divinamente "Madre del Verbo", a titolo che se di certo è diverso, tuttavia è non meno reale di quello della Tuttasanta Theotókos, la Semprevergine Madre di Dio Maria.

I Padri qui proseguono un filone biblico regale, il quale impetuosamente procede attraverso il medio evo orientale ed occidentale neigrandi autori spirituali, fino a noi. Vale sempre la pena di prenderne coscienza, e pur limitandoci ai sec. 2° e 3°, se ne danno qui alcuni approcci.

II lógion difficile e quindi autentico del Signore, sulla maternità divina per Grazia, di chi "ascolta e pratica la Volontà-Parola del Padre", èulteriormente ripreso ed ampliato dagli Apostoli, che ne sviluppano ladottrina, esplicitandone gli aspetti più impressionanti. Qui si possonoindicare come tre nuclei di sviluppo.

a) La Parola dona la Vita ad opera dello Spirito Santo, ma Vita che è lo Spirito Santo:

Le Parole che Io parlo a voisono Spirito e sono Vita (Gv 6,63b; cf. Sai 32,6).

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CAP. 2 - LA PAROLA DIVINA DIVINIZZANTE

Lo Spirito è 'il Vivificante' (tó zòopoioùn, Gv 6,63a).

b) La Volontà del Padre con la sua Parola ci dona la Vita divina, in ter-mini biblici analoghi, ci genera alla Vita:

Ogni Donazione ottima ed ogni Dono perfetto (cf. Gv 3,27; 1 Cor 4,7)

viene dall'Alto,discendente dal Padre delle Luci (cf. 1 Gv 1,5),presso il Quale non esiste mutazionené oscuramento di rivolgimento.Avendolo voluto, Egli ci partorì (apokyéò) con la Parola della Ve-

rità,affinchè noi siamo una primizia delle creature sue (cf. Ap 14,4; Rom

8,23) (Giac 1,17-18).

E se "Padre" invocate il Giudicante senza accezione di persone se-condo l'opera di ciascuno,

gestite il tempo nel timore che (viene) dalla dimora (di esilio) vo-stra,

sapendo bene che non con corruttibili argento e oro foste redentidalla vana vostra gestione di vita trasmessavi dai padri,bensì dal prezioso Sangue dell'Agnello immacolato ed incontamina-

to, Cristo,precognito da prima della fondazione del mondo,ma manifestato alla fine dei tempi per voi,che mediante Lui siete credenti in Dio.Il Quale Lo resuscitò dai morti e donò a Lui la Gloria,così che la fede vostra e la speranza siano da Dio.Avendo santificato le anime vostre nell'obbedienza della Veritàal fine dell'amore fraterno semplice,con cuore puro amatevi gli uni gli altri di continuo,essendo stati rigenerati non da seme corruttibile (cf. Gv 1,13),bensì da quello Incorruttibile,mediante la Parola del Dio Vivente e Permanente (cf. Is 40,6-7) (1

PM ,17-23).

e) La Volontà del Padre con la sua Parola, il Verbo personale che dona lo Spirito Santo, infine, ci divinizza:

A quanti ricevettero Lui (il Verbo),(questi) donò il potere di diventare figli di Dio (cf. 1 Gv 3,1-2; 5,1),essi che credono nel Nome di Lui (cf. 1 Gv 5,13)

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

essi che non da sangui (cf. Ecclì 28,31), né da volontà di carne (cf.Rom 9,8; 1 Pf 1,23), né da volontà di maschio, ma da

Dio nacquero (cf. Giac 1,18; 1 Pt 1,3) (Gv 1,12-13).

Inoltre, con un testo che fu molto amato ed approfondito dai Padri teofori, il discorso torna sullo Spirito Santo:

Amen amen Io parlo a te:se uno non nasce dall'acqua e dallo Spirito,non può entrare nel Regno di Dio.Il nato dalla carne, è carne,ed il nato dallo Spirito, è spirito.Non meravigliarti che Io dissi a te:Si deve che voi rinasciate dall'Alto.Lo Spirito dove vuole spira,e la voce sua ascolti,ma tu non sai donde viene e dove vada.Così è di chiunque è il nato dallo Spirito (Gv 3,5-8).

Si può anche abbozzare una sintesi, sempre sulla dottrina biblica esplicita.

a) II Verbo Dio, Verbo di Dio, il Dio Verbo incarnato:-è Arche, Principio imprincipiato, Phòs, Luce increata eterna, Zdè, Vi

ta sussistente e creatrice (Gv 1,1 -4), Sophia che venne a porre le tende tra gli uomini facendosi carne (Gv 1,14);

-è il Dio Monogenito nel Seno del Padre, dal quale del Padre è l'Unico Esegeta ed al quale riporta (Gv 1,18);

-dal suo Plèròma, la Pienezza della Divinità che è lo Spirito Santo (cf.Col 1,19; 2,9), tutti ricevemmo (Gv 1,16-17);

-è la Parola della Vita (Gv 5,24);-è la Parola della Vita eterna (Gv 6,68);- le sue divine Parole sono Spirito e sono Vita (Gv 6,63);-è la Parola con lo Spirito Santo (1 Tess 1,5-6); con la Gioia che è lo

Spirito Santo (Gai 5,22-23);- è la Potenza della Parola in opera (Ebr 1,3);

b) La Parola di Dio:-è la Spada dello Spirito Santo (Efes 6,17);-è il Fuoco divino dello Spirito Santo (At 2,1-4; Ger 20,9);

e) La Parola è il Seme divino divinizzante:-per la nascita a Dio (1 Pt 1,23);-è la Parola con cui Dio "ci partorisce" (Giac 1,18);

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CAP. 2 - LA PAROLA DIVINA DIVINIZZANTE

d)La Parola della Resurrezione:- Cristo è "Spirito vivificante" perché Risorto (1 Cor 15,45);- con il suo Evangelo ai morti, li resuscita (1 Pt 4,6);

e) La Parola divina fa "concepire Cristo":- fa diventare "Madri di Gesù" (Le 8,21);- "finché sia formato (= concepito e gestito) Cristo" nei fedeli (Gai

4,19);

f) È la Parola divinizzante:"Sta scritto nella Legge:"Io parlai a voi: voi siete dèi" (Sai 81,6).Ora se "dèi" (Dio) chiamò quelli ai quali venne la Parola di Dio— e la Scrittura non può essere annullata! —,a Colui che il Padre consacrò ed inviò al mondo,voi dite: "Tu bestemmi",poiché Io dissi: Sono figlio di Dio?" (Gv 10,34-36).

Sono testi biblici decisivi. Dove si parla sempre della santa e divina Triade, della Volontà del Padre, dell'opera del Verbo del Padre incarna-tosi tra noi, dell'adempimento attuato dallo Spirito Santo, della Vita, della Gloria, della nascita e della rinascita nostra, e finalmente del no-stro stesso "essere madri e fratelli" del Signore "ascoltando e facendo la Volontà-Parola del Padre" nello Spirito Santo. I Padri seppero trame mirabili tesori dottrinali, in specie quando rileggevano la Parola in fun-zione della celebrazione comunitaria dei divini e vivificanti Misteri, e quindi in funzione della perfezione cristiana. Essi con lavorio ininter-rotto, intelligente e fedele, scoprivano sempre di più e sempre meglio, e questo già nei sec. 2°-3°, la funzione materna generante della Chiesa, e coestensivamente di ogni fedele unito a lei, l'una e gli altri "luogo" pri-vilegiato di questa generazione passiva vivificante ricevuta dall'Alto, e di questa generazione attiva il cui oggetto è l'Alto stesso, postosi a di-sposizione per così dire "paterna" ed infine "filiale" della Chiesa e dei fedeli. I Padri vedevano acutamente, dottrina quasi del tutto scomparsa dalla nostra visuale, e del tutto nella predicazione corrente così immise-rita, che la Chiesa è in realtà la diletta Figlia di Dio, ed insieme è "la Madre, sempre nel parto" (testo del sec. 3°). Significa che vedevano la Chiesa anzitutto in rapporto inscindibile con la Triade santa del Dio Unico: prima del parto; poi nel rapporto inscindibile con i figli suoi, secondo l'aspetto singolare di non partorire i figli e lasciarli come fos-sero autonomi da lei, bensì di stare di continuo a partorirli lungo tutta la vita sua e di essi, tutti e uno per uno; infine, dopo il parto, e senza contraddizione, nel senso che questi figli amati a loro volta, essendo es-si "la Chiesa", tutti insieme ed anche come singoli fedeli, debbono an-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

cora ed ancora concepire e partorire il Verbo Dio. Un testo o l'altro, scegliendo dai primi secoli, ci aiuterà a comprendere questi fatti abissali, determinanti.

S. Ippolito di Roma (+ e. 236), alla scuola spirituale di S. Ireneo, in-sieme con questo e con Origene forma la triade dei primi veri "teologi" della Chiesa antica; inoltre risulta finora come il primo Padre che abbia commentato interi libri della Scrittura Santa. Sul tema che qui ci inte-ressa ha una serie di testi illuminanti.

Che è dunque "la Chiesa"? È la santa Radunanza di quanti vivono nella giustizia. La concordia, che è la via dei santi verso la comu-nità, ecco la Chiesa. Giardino spirituale di Dio, piantato su Cristo come all'Oriente (Gen 2,8), dove si contempla ogni specie di alberi (Gen 2,9): il filare dei Patriarchi morti allora, le opere dei Profeti compiutesi secondo la Legge, il coro degli Apostoli che avevano la Sapienza dal Verbo, il coro dei Martiri salvati dal Sangue di Cristo, la processione delle vergini santificate dall'Acqua (Ap 14,1-5), il co-ro dei Dottori, l'ordine dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Leviti. In or-dine perfetto, tutti questi santi fioriscono in seno alla Chiesa (= Ma-dre), e non possono appassirsi. Se raccogliamo i loro frutti, noi otte-niamo la giusta contemplazione delle realtà, mangiando le portate spirituali e celesti che provengono da essi. Poiché i beati Patriarchi ci trasmisero gli ordini di Dio, quale un Albero piantato nel Giardi-no e producente sempre il Frutto buono, affinchè noi riconosciamo oggi il soave Frutto di Cristo preannunciato da essi, il Frutto della Vita che ci è donato. Scorre da questo Giardino un Fiume d'Acqua inesauribile. Quattro Fiumi ne derivano, irrigando tutta la terra (Gen 2,10). Così avviene per la Chiesa. Cristo, che è il Fiume (Gen 2,10; Gv 7,37-39; 19,30.34), è annunciato nel mondo intero (Me 16,15) dal Quadruplice Evangelo. Questo irriga la terra (Gen 2,10) intera, e santifica quanti credono in esso, secondo la Parola del Profeta: Fiu-mi scorrono dal corpo di Lui (Gv 7,38). Nel paradiso si trovavano l'albero della conoscenza e l'Albero della Vita (Gen 2,9). Anche og-gi due Alberi sono piantati nella Chiesa: la Legge e il Verbo. Poiché dalla Legge viene la conoscenza del peccato (Rom 3,20), ma dal Verbo è donata la Vita (Gv 1,4.16-17) ed è accordato il perdono dei peccati (Col 1, 14; Efes 1,7). Una volta Adamo avendo disobbedito a Dio e gustato dell'albero della conoscenza (Gen 3,6-7), fu espulso dal paradiso (Gen 3,22-24). Tratto dalla terra (Gen 2,7), alla terra ri-tornò (Gen 3,19). Così il credente che non osserva i comandamenti è privato dello Spirito Santo, poiché è espulso dalla Chiesa. Egli non appartiene più a Dio, ma ridiventa terra (Gen 3,19), e ritorna al "vecchio uomo" che era (cfr. Col 3,9; Efes 4,22) (S. IPPOLITO DI RO-

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CAP. 2 - LA PAROLA DIVINA DIVINIZZANTE

MA, Commentaire sur Daniel 1,17, in Sources Chrétiennes [SChr] 14, Paris 1947, pp. 85-87).

Da questa splendida teologia simbolica, la Chiesa in sostanza è de-scritta come il Paradiso terrestre nuovo, anticipatore di quello eterno, datrice dunque di frutti materni della Grazia. E questi provengono dal Padre solo mediante Cristo, il Fiume perenne dell'Acqua Viva, la quale è lo Spirito Santo — ma lo Spirito Santo invariabilmente opera neh"fi-vangelo predicato dappertutto nel mondo.

S. Ireneo di Smirne (e. 180) nel libro 3° della sua grande opera con-tro le eresie gnostiche, Adversus haereses, tratta della retta dottrina del-la Chiesa; nella parte I espone la Tradizione apostolica, ed afferma:

Gli Apostoli depositarono in una ricca dispensa tutto quello che ap-partiene alla Verità, affinchè chiunque ne abbia volontà trovi qui la Bevanda della Vita (Ap 22,17). Solo di qui si entra nella Vita (S. IRENEO, Adversus haereses 3,4,1, in PG 7,855 A).

Ancora Ippolito di Roma viene a parlare della "Comunità dei santi della Chiesa", con questa descrizione:

Poiché i bambini (i figli) si dissetano del Latte delle mammelle sue (della Madre Chiesa, cf. 1 Pt 2,1-2), e così ciascuno, dissetandosi al-la Legge dei comandamenti dell'Evangelo, riceve il Cibo dell'eter-nità. I Due Testamenti sono la Fonte (divina) di questo Latte dei co-mandamenti. Tu, cerca alla Fonte questo Latte della Parola, al fine di diventare discepolo perfetto (S. IPPOLITO DI ROMA, Commentarius ad Canticum Canticorum, Fragmentum slavonicum II, Griechische christliche Schriftsteller [GCS], Hyppolitus 1,1,344,2-8).

Per lui, questo significa diventare, ciascuno, figlio della Chiesa, egli stesso divenuto Chiesa Madre, la cui funzione materna è precisamente, una volta appresa la predicazione della Parola divina dell'A.T. e del N.T., trasmetterla ad altri "bambini-figli", da farne a loro volta Chiesa Madre, e così all'infinito.

Occorre allora "lasciarsi trasformare in Madre Chiesa"; questo tutta-via può avvenire solo ad opera del Verbo, lo Sposo divino, dalle cui Nozze la Chiesa è resa effluente di Latte divino. Ma il Verbo Dio si è incarnato storicamente anche al fine di restare sempre pronto ad incar-narsi ancora e sempre nelle persone dei fedeli suoi e della sua Sposa:

La Bocca del Padre generò la Parola pura (Sai 32,6, con lo Spirito, l'Alito divino della Bocca del Padre). Questa Parola appare per la

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

seconda volta, nata dai santi. Generando perennemente i santi, Essa stessa è coestensivamente generata di nuovo dai santi (S. IPPOLITO DI ROMA, Commentaire surDaniel 1,9, cit., p. 78).

Il tema ha un immenso sviluppo già nella prima patristica. Con spe-ciale insistenza in Clemente Alesandrino:

O meraviglia divina! Non ebbe latte solo questa Madre (la Chie-sa), perché solo Lei non diventò donna. Vergine è Ella ed insieme Madre, intatta come Vergine, amorevole come Madre, e chiamati i bambini suoi, li allatta con il Latte santo, il Verbo adattatosi ai bambini. Perciò Ella non ebbe latte, poiché il Latte era questo Bambino bello e familiare, il Corpo di Cristo, nutrendo Ella del Verbo il popolo giovane, che il Signore stesso partorì nel dolore della carne, e che il Signore stesso infasciò di Sangue prezioso (cfr. 1 Pt 1,19). O santi parti, o sante fasce! Il Verbo è tutto per il bambino, e Padre e Madre e Pedagogo e Nutritore: "Mangiate — parlò — la Carne mia, e bevete il Sangue mio" (Gv 6,53). Tali a noi adatti Nutrimenti il Signore conduce per noi, e la Carne porge, ed il Sangue versa: e nulla per la crescita manca ai bambini" (CLE-MENTE ALESSANDRINO, Paidagógós 1,6,42,1-3, in SChr 70, Paris 1960, pp. 186 e 188).

E poco prima aveva splendidamente spiegato come dalla Madre at-traverso la Parola del Padre nello Spirito Santo noi riceviamo la giovi-nezza eterna, che non conosce cioè declino di decrepitezza:

E noi possediamo la mammella (oùthar) dell'età, essa stessa gio-ventù senza vecchiaia, nella quale permanentemente noi stiamo al culmine della nostra mente, sempre giovani e sempre miti e sempre nuovi. Poiché è necessario che nuovi siano quanti ricevettero il Ver-bo Nuovo. Colui che partecipa all'eternità gode di essere assimilato all'Incorruttibile, come per noi il titolo dell'età infantile è primavera dell'intero vivere, a causa del non invecchiamento della Verità che sta in noi, e dalla Verità è irrigato il nostro modo (di esistere). La Sa-pienza è sempre giovane (Prov 8,22-36; Eccli 24,1-23), sempre se-condo se stessa (Sap 7,7-21.22-30), e come tale sussistente, e mai mutevole. "I loro bambini — parla — sulle spalle saranno portati, e sulle ginocchia consolati: come uno che la madre consolerà, così anche Io consolerò voi" (Is 66,12-13). La Madre attira i bambini, e noi cerchiamo la Madre, la Chiesa... Come i padri e le madri vedo-no con piacere... il bambino, così anche il Padre di tutti accoglie quanti si rifugiano in Lui. Rigeneratili con lo Spirito per farne i fi-

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CAP. 2 - LA PAROLA DIVINA DIVINIZZANTE

gli suoi, li conosce come miti, ed ama solo questi, e li aiuta, e com-batte per essi, e per questo li chiama (ciascuno) "figlio" (CLEMENTE ALESSANDRINO, Paidagógós 1,5,20,3-21,2, in SChr 70, cit., pp. 146 e 148).

Questo invito a vivere per intero della Parola predicata dalla Chiesa, nella Chiesa e come Chiesa, quale eco mirabile di tutto l'annuncio del N.T., è ribadito con forza contro i tempi difficili delle eresie della falsa gnosi (tempi così simili ai nostri, immersi nell'ondata impura e demo-ralizzante e demotivante delle ideologie moderne, tutte gnostiche, tutte false) da S. Ireneo:

Noi abbiamo dimostrato la costante identità della predicazione della Chiesa nel mondo intero, della dottrina che testimoniano i Profeti, gli Apostoli e tutti i discepoli, attraverso gli inizi, la mèta ed il fine, attraverso l'intera Economia disposta da Dio; e che la quotidiana realizzazione della nostra salvezza consiste nella nostra fede. Questa dottrina ricevuta dalla Chiesa noi custodiamo nella fedeltà. Ed essa, quale prezioso liquore posto in un buon vaso, di continuo ringiova-nisce ad opera dello Spirito di Dio, e fa ringiovanire il vaso in cui sta. Essa è il Dono di Dio affidato alla Chiesa, come l'Alito della Vita inspirato nell'argilla che (Dio) aveva plasmata (Gen 2,7) e contiene il Dono di Cristo, ossia lo Spirito Santo, la Caparra dell'incorruzione, la Confermazione della nostra fede e la Scala per salire a Dio. "Poiché nella Chiesa Dio costituì Apostoli e Profeti e Dottori" (1 Cor 12,28), ed operò tutti gli effetti dello Spirito, ai quali non parte-cipano quanti non accorrono alla Chiesa, e che invece con la loro dottrina errata e la pessima condotta della vita si privano da se stessi della Vita. Dove sta la Chiesa, ivi sta lo Spirito di Dio, e dove sta lo Spirito di Dio, ivi sta la Chiesa e tutta la Grazia. E lo Spirito è la Ve-rità. Perciò quanti non Lo possiedono, non si nutrono dalle mam-melle della madre per la vita, e nulla ricevono dal Fonte purissimo che procede dal Corpo di Cristo (Gv 7,37-39; 19,30.34; Ap 22,1-3; cf. Ez 47,2), bensì "si scavano da soli cisterne screpolate" (Ger 2,13), e bevono dalla terra l'acqua inquinata di stereo, poiché fuggo-no la Chiesa al fine di non essere convinti che errano, e respingono lo Spirito al fine di non essere istruiti (S. IRENEO, Adversus haereses 3,24,1, in PG 7,966 A - 967 A).

Con tanti altri, questi tratti vanno insistentemente richiamati, in spe-cie quando si debbono commentare i testi liturgici, che presentano molto materiale analogo se non identico. Ma dovrebbero tornare anche ad es-sere dottrina comune nella predicazione, nella formazione mistagogica e

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

nella pastorale, che siano fondate finalmente sulla Parola divina letta nella Tradizione, e non su metodi privi di contenuti, come ancora si fa.

Tuttavia, ai diretti responsabili della "mistagogia", ossia "condurre gli iniziati" nelle profondità vivificanti del Mistero trasformante, ai re-sponsabili della predicazione della Parola salvifica, ed a quanti colla-borano con essi nella pastorale concreta, va rivolto questo sommesso ma fermo avvertimento. Se la Parola produce frutto copioso del 100 e 60 e 30 rispetto al seme che si deve seminare (cf. qui Mt 13,8.23), la Parola medesima quale Seme divino cresce in noi e ci fa crescere uni-camente se essa è poi sempre donata agli altri fratelli che la attendono, stabilendo dunque con essi la forma primordiale ed essenziale della "comunione" che è la Chiesa.

Se tuttavia il Tesoro resta egoisticamente, o inoperosamente in noi, non solo noi stessi non cresciamo, ma non facciamo neppure crescere i fratelli affidati a noi. E dalla mancata o manchevole o inesistente predi-cazione della Parola di Dio vengono le più drammatiche responsabilità: se ne deve rendere conto direttamente al Signore della Gloria, al Giudice regale e divino. Colui che parla così adesso come allora: "Io avevo fame e sete — della Parola. E voi non mi saziaste né mi dissetaste — della Parola!" (cf. Mt 25,42).

NOTA SULLA PAROLA CIBO

La Santa Scrittura proviene dalla Vita divina stessa come dalla Fonte di infinita e inesauribile supereffluenza, e vuole portare gli uomini a vivere la Pienezza divinizzante. La condizione è accettare il Signore Gesù Cristo che lo Spirito del Padre rende presente con la sua Parola, vera indicibile Parousia permanente se accettata.

1. Parola Cibo, realtà decisiva

"Nulla era senza simbolo presso Dio" (S. Ireneo). Della Vita divina i simboli efficaci sono diversi, ciascuno con la sua dinamica: la Luce, la Sapienza, lo Spirito, il Fuoco, l'Acqua, il Sangue, il Cibo, la Parola.

La Parola-Cibo, sotto il simbolo del "pane", della carne, dell'acqua e del vino, del miele, occupa un grande spazio. Resta poi una trattazio-ne preponderante presso i Padri della Chiesa, per diversi aspetti più im-portante perfino di quella sui divini vivificanti Misteri, ma in connes-sione funzionale strettissima con questi.

Il "cibo" sotto le sue varie forme accennate sopra, indica la necessità vitale primaria: il nutrimento e la sua assimilazione. In specie, la Paro-la-Cibo indica la comunione assimilante, dove il fedele in un certo sen-

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

so con l'"ascolto-manducazione" ovviamente resta se stesso, e tuttavia è consumato, perfezionato, diventa quanto assume.

Il punto di orientamento generale qui potrebbe essere il lógion diffi-cile di Le 8,21. H Signore Gesù proclama infatti che chi ascolta e pone in pratica il suo lògos, la Parola, diventa addirittura "madre sua e fratelli suoi", e questo in un senso non secondario ed accomodatizio, ma pri-mario e reale (vedi sopra).

Il tema della Parola Cibo visto da vicino traversa l'intera Santa Scrittura, dall'A.T. al N.T., dalla Genesi ali''Apocalisse.

Esso si pone al centro stesso della Vita del Signore nostro tra gli uo-mini da redimere e santificare e divinizzare. Infatti Egli dichiara, in modo misterioso per quanti lo ascoltarono senza comprenderlo per al-lora: "Mio Cibo è che Io faccia la Volontà dell'Inviante Me (il Padre), e che compia l'Opera di Lui" (Gv 3,34). Il suo Nutrimento divino è quanto ascoltò e vide presso il Padre suo.

Qui di seguito si passerà in rassegna questo tema, nei testi più indi-cativi.

2. L'A.T.

Il tema qui è fittamente presentato nei diversi contesti letterali e teo-logici.

a) Libri storiciII testo guida qui va letto a partire dalla drastica risposta del Signo-

re, tentato vanamente da satana nel deserto (cf. Mt 4,1-11; Le 4,1-13). Ora, la prima delle tre tentazioni è il suggerimento subdolo di trasfor-mare le pietre in pane, con un gesto miracolistico che si esaurirebbe in se stesso: Gesù dopo 40 giorni, come Mosè, avendo digiunato contem-plando il Disegno del Padre su Lui e su noi, ha fame, farebbe un mira-colo facile e soddisferebbe il suo appetito {Mt 4,3; Le 4,3). Ma il Si-gnore vede la malizia assoluta della tentazione. Se facesse il miracolo adesso, poi potrebbe donare ài discepoli, alle folle, solo il pane mate-riale, non quello epioùsios, il solo primo vero frutto della divina Ca-rità, che è insieme il pane del corpo, ma insieme è il Pane della Parola ed il Pane del Mistero sacrificale del suo Corpo, che proviene solo dalla Croce, dalla Resurrezione, dal Dono inconsumabile dello Spirito Santo.

Così la risposta tagliente di Mt 4,4; Le 4,4, elimina anche l'insinua-zione del dubbio: "Se sei Figlio di Dio...", che va contro la Parola divi-na della Teofania del Giordano. La risposta va riletta nel contesto, che è il cap. 8 del Deuteronomio. Qui il Signore ammonisce Israele che non deve confidare affatto nella sua ischys, la forza, nel kràtos tès cheirós,

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

nella forza della mano, nel poiéin, il "fare" la sua dynamis, la potenza superba ed autonoma (Dt 8,17). Israele deve arrendersi al suo Signore. Deve stare alla sua sola disposizione provvidente, tenere la sua fede e manifestare la sua fiducia in Lui, solo in Lui. Ecco l'esordio di questo grande, irreperibile capitolo 8:

1. Tutti i precetti che Io vi precetto oggi,custoditeli per attuarliaffinchè viviate e vi moltiplichiateed entriate e possediate la terrache il Signore Dio vostro giurò ai Padri vostri.

2. E ti ricorderai dell'intera viaper cui ti guidò il Signore Dio tuo nel deserto per affliggerti e per tentarti, e così Egli conoscesse quanto avevi nel cuore tuo, se custodivi i precetti di Lui, o no.

3. E poi ti afflisse e ti sfinì di fame,e ti nutrì con la mannache non conobbero i Padri tuoi,al fine che ti annunciasse che:non di pane solo vivrà l'uomo,bensì di ogni Parola procedente dalla Bocca di Diovivrà l'uomo.

La sequela deserto, afflizione, tentazione, manna, Parola dalla Divi-na Bocca è singolare e determinante. La manna è cibo, ed è anche sim-bolo della divina Parola che dona la vita. Ora, occorre notare due fatti:a) cibo biblicamente si dice in genere "pane", che significa anche carne, termine che si troverà ancora; b) secondo gli studi più recenti, il"pane" che si chiede con il Padre nostro va comunque connesso con la"manna", simbolo comprensivo della vita davanti al Signore, della dipendenza stretta da Lui per avere la vita, e dello strumento epioùsios,ossia che "giorno dopo giorno" porta alla Vita eterna; e) perciò la divina Manna è la Parola e la Carne-Corpo del Mistero sacrificale.

In sostanza, satana chiede a Gesù di scavalcare, per così dire, l'Eco-nomia divina della Parola e del Sacrificio.

Non per caso le tre tentazioni nel deserto si ripetono sotto la Croce, nell'identica finalità.

b) Libri profeticiII Deuteronomio esercitò un influsso decisivo sui Profeti (e recipro-

camente, almeno per alcuni di questi). Il tema della Parola Cibo emerge

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

già nei primi Profeti "scrittori", quelli del sec. 8° a.C. In un ordine cro-nologico presuntivo si presenta questo materiale principale.

8,11-12In un oracolo che grida la "rabbia profetica" contro gli oppressori

dei poveri, il Profeta inserisce una condanna, con la solita formula ini-ziale: "Idoù, Ecco", che indica l'intervento divino prodigioso (e come tale va sempre segnalato):

Ecco, giorni vengono —parla il Signore! —,ed Io invierò fame sulla terra,non fame di pane, né sete d'acqua,bensì fame di ascoltare la Parola (lògos) del Signore!E si sconvolgeranno le acque fino al mare,e dal settentrione all'oriente essi correrannocercando la Parola (lògos) del Signore,e non la troveranno.

"Giorni vengono" è il preannuncio di tempi decisivi, ultimi, nei quali il Signore si manifesterà con la tremenda punizione per chi ebbe la permanente possibilità di ascoltare e praticare la sua Parola vivente, ma non vi si dispose, e perse l'occasione di obbedire ai Profeti del Signore: "Se non ascoltano Mosè ed i Profeti, non crederanno neppure se uno resuscitasse dai morti!" (Le 16,31). Il "troppo tardi" è una realtà per il popolo di Dio, da temere.

-Ger 15,16La situazione del Profeta è grave. A causa della sua divina missione

egli è investito e travolto da nemici spietati che lo assediano (15,15-21). Il solo testo ebraico narra questo evento nella vita tribolata di Ge-remia:

Furono trovate le Parole tue, *10 le mangiai,allora fu la Parola tua per me gioia ed esultanza nel cuore mio, poiché fu invocato il Nome tuo su me, Signore Dio dei turni adoranti (sébà 'òt).

11 Profeta fedele ha dunque come Cibo sostanziale la realtà prima edultima della sua esistenza, la Parola divina che nutre, procurando lagioia unica, quella che unica vale.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

-Ez 2,8 -3,4Discepolo spirituale di Geremia, il profeta Ezechiele è investito della

medesima missione al popolo ribelle. Dopo la "visione della Gloria" divina trasportata dal carro dei Cherubini (cap. 1), egli adesso riceve la "visione del rotolo" della Parola divina, il quale contiene e conferisce la missione e l'investitura per il Profeta. Il simbolismo del testo che se-gue, come del resto in tutto il libro, è semplicemente straordinario:

E tu, figlio dell'uomo, ascolta il Parlante a te,non essere esacerbato come la casa (d'Israele) esacerbata.Apri la bocca tua, e mangia quanto Io dono a te.Ed io guardai, ed ecco la Mano tesa a me,ed in essa il rotolo di un libro.Ed essa lo svolse davanti a me,ed in esso stava scritto dietro e davanti,e stavano scritti in esso lamenti e nenie funebri e guai.Ed Egli parlò a me:Figlio dell'uomo, mangia questo rotolo,poi va, e parla ai figli d'Israele.Ed aprì la mia bocca, e mi cibò con il rotolo.Ed Egli parlò a me:Figlio dell'uomo, la bocca tua mangia,ed il ventro tuo sarà riempito di questo rotolo,che è donato a te.Ed io mangiai,ed esso fu nella bocca mia come miele dolcificante.Ed Egli parlò a me:Figlio dell'uomo, procedi, entra alla casa d'Israele,e parla le Parole (lógoi) mie ad essi...

Il testo è esemplare: anzitutto il predicatore deve nutrirsi della Parola divina, che sarà per lui nutrimento dolcissimo, da assimilare come sua stessa sostanza. Solo allora potrà parlare al popolo di Dio.

-7* 55,1-11II Deutero Isaia (Is 40,1 - 55,13) si chiude con la promessa dell'al-

leanza eterna, donata con amore, e tuttavia condizionata sempre dall'a-scolto e dall'attuazione della divina Parola nell'esistenza del popolo. La divina Parola qui assume ancora una volta la forma altamente sim-bolica, significante, del cibo e della bevanda donati:

Voi assetati, andate all'acqua,e quanti non possedete denaro, procedete,

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

comprate e bevete senza denaroné prezzo di vino e di cibo pingue.Perché spendere denaro ed il vostro sforzo (di lavoro)non per la sazietà?Ascoltate Me, e mangerete buoni prodotti,e gioirà di buoni prodotti l'anima vostra!Porgete i vostri orecchi e seguite le Vie mie,ascoltate Me,e vivrà di buoni prodotti l'anima vostra!Allora Io stabilirò per voi l'alleanza eterna,realtà sante di David, e fedeli...Cercate Dio, e trovandolo, invocatelo,poiché Egli si avvicinerà a voi...Non sono di fatto i Consigli miei come i consigli vostri,né come le vie vostre le Vie mie— parla il Signore! —.Ma come dista il cielo dalla terra,così dista la Via mia dalle vie vostre,ed i Pensieri miei dalle menti vostre.Come infatti se viene giù la pioggia o neve dal cieloe non torna finché non inebrii la terra,e questa partorisce e germina,e dona seme al seminatore e pane per il cibo,così sarà la Parola (rhèma) mia,quella che esce dalla Bocca mia:essa non ritornerà,se non adempie quanto Io volli,ed Io farò ben procedere le vie tueedi Precetti miei!

E un testo assoluto, che richiama all'Assoluto del Signore, nel quale solo consiste l'esistenza redenta e santificata dei fedeli.

e) Libri sapienzialiAnche qui si procede secondo una cronologia presuntiva, che si in-

dica senza turbare la sequenza dei testi.

-Prov 9,1-6È indetto il celebre "convito della Sapienza" divina, che spesso ri-

corre nella Liturgia delle Ore sante, in specie con applicazione mariolo-gica. Il testo viene alla fine di una "collezione" di proverbi ritenuta più recente (cap. 1-9), tanto più preziosa perciò in quanto tiene conto di

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

esperienze già vissute, ed anche letterariamente si colloca in modo op-portuno come un culmine mirato. È introdotta a parlare la divina Sa-pienza stessa, che prepara il Cibo del suo insegnamento vivificante:

La Sapienza costruì per se stessa la casa,e vi stabilì sette colonne,macellò le sue proprie vittime,mescè nel cratere il suo proprio vinoe preparò la sua propria tavola (tràpeza).Inviò i suoi proprii servi,convitando con altissimi annunci al cratere,parlando:Chi è stolto, si diriga a Me!Ed a chi manca di comprensione, parlò:Venite, mangiate (phàgete) i miei proprii pani,e bevete (piete) il vino che Io mescei per voi!Lasciate la stoltezza, e vivrete,e cercate l'intelligenza affinchè viviate,e rendete retta con la conoscenza la comprensione!

Il Signore Gesù, indicibile Sapienza divina preeterna, realizza que-sto Convito, invia i discepoli e chiama al Cibo superno. Si notino la Ta-vola, la Carne sacrificale, il Vino, il Pane, il "Venite, mangiate e beve-te" della Cena del Signore. E il "vivere" che ne deriva, come torna poi nella teologia del "discorso eucaristico" di Gv 6,22-69. Il grande tema qui è: l'Insegnamento sapienziale divino è Cibo vivificante, la cono-scenza della divina Dottrina è la Vita divina stessa.

- Prov 16,24L'antica collezione dei "proverbi di Salomone" (10,1 - 22,16; non

senza reminiscenze della "sapienza" orientale, come quella egiziana) contiene preziosi insegnamenti sulla Parola. Qui se ne riporta uno:

Favi di miele le parole (lógoi) buone, e le loro dolcezze sono cura dell'anima.

Si tratta bensì di "parole" di uomini, e però parole di "sapienza", che perciò provengono dall'Alto, e non solo "nutrono", ma sono cibo che sostiene l'anima.

-Prov 22,17-19II testo sta nella prima delle due collezioni delle "Parole dei sapien-

ti" (22,17 - 24,22, e 24,23-34), ed offre altre gemme preziose:

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

Alle parole (lógoi) dei sapienti, tu presta il tuo orecchio,ed ascolta la mia parola (lògos),il tuo cuore applica(vi),affinchè tu conosca che sono buone (come cibo),e se le sistemi nel tuo cuore,ti allieteranno insieme sulle tue labbra,affinchè di te stia nel Signore la speranza,ed Egli ti farà conoscere le sue Vie.

Prov 24,13-14 Ritorna il simbolismo della Parola come Cibo di miele:

Mangia il miele, figlio,buono infatti è il favo,affinchè sia resa dolce la tua gola:così sentirai (aisthànomai) la Sapienza con la tua anima.Se infatti (La) troverai, sarà buona la tua sorte,e la speranza non ti abbandonerà.

L'insegnamento della divina Sapienza nutre come cibo soave, e pro-duce frutti copiosi di favore, e la speranza che sorregge l'esistenza.

-Eccli 15,1-3L'invito pressante dirige verso la divina Sapienza:

II timorato del Signore opererà questo,e chi possiede la Legge, La (Sapienza) possederà (in Sposa).Ella gli si farà incontro quale Madre,e quale Sposa di verginità lo accoglierà (nuzialmente):10 nutrirà con il pane della comprensione,e l'acqua della Sapienza lo disseterà.

11 Cibo divino viene allora dalla costanza nuziale, dalla vita ormaifamiliare con la Sapienza insieme Madre generante e Sposa di amore,dalla quale deriva l'intera esistenza santificata per il popolo.

- Eccli 23,37Qui il testo più antico proviene dalla Vulgata latina:Sperimenteranno i derelittiche nulla è meglio del timore di Dio,e nulla è (cibo) più dolceche contemplare i precetti del Signore.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

I "derelitti" sono i piccoli del Regno, i poveri di Dio, quelli che siattendono tutto solo dal loro Signore.

- Eccli 24,23-30Anche qui il testo più attendibile è della Vulgata latina (nei LXX, cf.

vv. 17-22):

Io (la Sapienza) quale Vite, feci germogliare la Grazia,ed i fiori miei (produssero) frutto di Gloria e di ricchezza.Accostatevi a Me, quanti Mi desiderate,e dai miei prodotti riempitevi.Io, la Madre del Buon Amore,e del timore e della conoscenza e della santa speranza.In Me la Grazia di ogni via e verità,in Me ogni speranza di vita e di forza.Venite a Me, voi tutti che Mi desiderate,e dai miei prodotti riempitevi.Poiché lo Spirito mio è più dolce del miele,e l'Eredità mia più del miele e del favo.L'anamnesi di Me, nelle generazioni dei secoli.Quanti mangiano Me, ancora hanno fame,e quanti bevono Me, ancora hanno sete.Quanti ascoltano Me, non saranno confusi,e quanti opereranno con Me, non peccheranno...

È appena qui il caso di accennare qui alle fitte reminiscenze al N.T., a Cristo Signore, all'invito a "fare anamnesi" di Lui, mangiando e be-vento di Lui nella Cena, alla Vita che da Lui si riceve — ma a partire dall'ascolto della sua Parola vivificante, la Dottrina della Vita, la "Gra-zia su Grazia".

-Sap 16,26II libro della Sapienza di Salomone è tardivo (intorno al 50-30 a.C,

secondo alcuni critici), e, va ripetuto, come tale è tanto più prezioso inquanto è la "rilettura" dell'intero A.T. Il contesto è la rievocazione teologica e spirituale degli eventi dell'esodo dall'Egitto. Al v. 12 è presentata la Parola divina che fu medicina salutare per i morsi dei serpenti(cf. Num 21,4-9). Al v. 20 comincia un tratto suggestivo: la manna fu"cibo degli Angeli", "pane dal cielo già preparato"; era la dolcezzastessa del Signore (v. 21), che nutriva i giusti che obbediscono al loroSignore (v. 22): la Benevolenza del Signore infatti è tale che "tutto nutre" in specie quelli che pregano (v. 25):

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

... affinchè conoscessero i figli tuoi,che Tu amasti, Signore,che non le germinazioni dei frutti alimentano gli uomini,bensì la Parola tua,che conserva quelli che credettero in Te.

d) SalmiOltre i numerosi testi che parlano della dolcezza del Cibo che i fe-

deli ricevono rifugiandosi nel santuario divino (vedi poi la Domeni-i iadi Luca), ìl^Salterio insiste suITatto del Signore che nutre 1 pò-

veri e li sazia (Sai 21,27), ma così opera anche con gli opulenti della terra (21,30), perciò convcrtiti. Anzi, il Signore è il magnifico So-vrano che nutre anche gli animali della terra (Sai 103,14ab), ed in specie tutti gli uomini con pane e vino, donando l'olio dell'esultanza (103,14c-15).

Il Salmista però conosce il tema squisito del Cibo dei cibi, la divina Parola.

-Sa/18,10b-llÈ il secondo "Inno di lode" del Salterio. Letterariamente, esso è sta-

to composto con due poemi: i vv. 2-7, che sono la lode al Signore, tri-butatagli come Creatore universale già dalle stesse "opere delle Mani" di Lui, ossia dalla mirabile creazione; questa da sola è il "linguaggio" che traversa tempo e spazio, ed investe con il suo risaltante splendore tutti gli uomini della terra; i vv. 8-15 sono poi un "elogio della Parola". Essa qui riceve molti appellativi: nómos, Legge; martyria, testimonian-za; dikaiòmata, giustificazioni; entolè, precetto; phóbos, timore (del Si-gnore); krìmata, giudizi. L'Orante descrive successivamente gli effetti: la Parola è preziosa, va custodita, procura molta ricompensa, è purifi-cante, è proteggente. In cambio, l'Orante al v. 15, concludendo, chiede al Signore che gli siano graditi le parole ed i pensieri suoi. Qui interes-sano i vv. 10b-ll:

I giudizi del Signore sono fedeli, giustificati con ciò stesso: più desiderabili dell'oro e di pietra molto preziosa, e più dolci del miele e del favo.

La Parola divina perciò è il bene più desiderabile prezioso, ed è il Cibo tra tutti il più soave per i fedeli.

-Sai 118,103Con i suoi 176 versetti, questo è il Salmo più esteso del Salterio, e

costituisce un poema favoloso. Fu molto amato dai Padri, per la ricchez-za del suo contenuto offerto alla meditazione; è in genere deprezzato,

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

invece, dalla critica moderna, con varie motivazioni, sia perché vi vede in atto un ipotetico "procedimento antologico" (ossia: una tardiva rac-colta di spunti promiscui, che formano una specie di mosaico poco ori-ginale), sia perché la ripetizione, con variazioni senza fine che ha per oggetto la Parola divina, è ritenuta incolore e noiosa, sia perché per al-cuni vi sarebbe una sopravvalutazione della Parola, che sarebbe prospet-tata già come quasi-ipostatica quale Legge (come poi sarebbe per gli Ebrei fino ad oggi, la Tóràh eterna). In realtà, il Salmista usando abil-mente le 22 lettere dell'alfabeto ebraico, vuole esprimere circa questo: «Signore, la mia parola è del tutto limitata ed insufficiente. Io non so troppo parlare. Tuttavia oso farlo davanti a Te, ripresentandoti le infinite ricchezze della "tua" Parola», nel segno simbolico delle infinite virtua-lità dell'alfabeto. Ogni lettera occupa una "stanza" di 8 versetti, in cui le risonanze della Parola ricevono diverse definizioni: nómos, Legge; martyna, testimonianza; hodós, via; entolè, precetto; dikdióma, giustifi-cazione; krimata, giudizi; lògos, parola; lógion, parlare, con i loro plurali e con i loro composti (ad esempio, hodós tón martyriòn, via (= com-portamento) delle testimonianze (divine)). Il Salmista lavora su diversi registri: l'opera divina; l'efficacia della Parola divina; il comportamento recettivo del Salmista di fronte a tanti doni divini che riceve; il compor-tamento malvagio di chi invece disprezza e rifiuta la Parola divina. Al v. 103 l'Orante riconosce ed afferma:

Come dolci alla mia gola le Parole (lógia) tue, più del miele e del favo per la mia bocca!

Questo Cibo è diuturno, quotidiano, nutre e ristora e delizia l'Oran-te, che lo riceve e lo contempla lungo la sua esistenza santificata.

3.IlN.T.

La linea del N.T. in questo tema, che è grande realtà, consiste nel ri-tenere il contenuto dell'A.T., nel proseguirlo, ed insieme nell'approfon-dirlo, esplicitandolo fino alle conseguenze ultime: la Parola divina è Cibo anzitutto per il Signore Gesù, come già premesso, e quindi da Lui per tutti i suoi fedeli discepoli.

a) Parola Cibo del Signore GesùCome si anticipò sopra, si può assumere come partenza il testo cita-

to di Gv 4,34: Cibo del Signore è fare la Volontà del Padre che Lo inviò nel mondo degli uomini, in modo da adempiere l'Opera secondo il Di-segno paterno. A questo tratto immane vanno riportate le ripetute affer-mazioni del Signore, che quel Cibo-Volontà-Disegno-Opera del Padre

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

per Lui, Egli dal Padre vide e presso il Padre ascoltò. Cf. qui testi come Gv 5,30; 6,38; 14,31, etc.

Capitale qui è la dura opposizione alla tentazione miracolistica di satana nel deserto, come sopra prospettato. Rilanciando e sancendo per sempre il testo fondante il Dt 8,3, il Signore si comporta così:

Egli però rispose:È stato scritto (da Dio):Non di pane solo vivrà l'uomo,bensì di ogni Parola (rhèma)che procede dalla Bocca di Dio.

È così presentato lo statuto immutabile per ogni uomo che voglia, il quale "vivrà" solo del Pane della Parola divina, da raccogliere preziosa-mente dalla Fonte inesauribile, la Bocca stessa del Signore, simbolo pla-stico della sua Persona e della sua presenza personale. Cf. Mt 4,4; Le 4,4.

b) Cristo Verbo Dio, Cibo donato dal PadreII N.T. conserva tale insegnamento, in specie però Giovanni, fedele

alle parole del Signore. Il tratto è concentrato nel cap. 6, che per i vv. 22-59 si usa chiamare genericamente "discorso eucaristico". Più pro-priamente però si dovrebbe chiamare "discorso sul Pane duplice, della Parola e della Carne e Sangue del Signore".

Al v. 27 viene l'affermazione capitale: Cristo Signore che parla è il Cibo della Vita eterna, donato dal Padre, ma con il Sigillo divino e de-finitivo dello Spirito Santo, che ne "segna" l'unicità. Il testo ha anche una discreta allusione a Is 55,2 (vedi sopra).

Al v. 29 il Signore prescrive che si deve credere a Lui che parla, quale unico Inviato dal Padre, perciò unico divino Profeta di Dio.

Al v. 32 Egli afferma che solo Dio dona questo Pane vivente disceso — anche di sua iniziativa, come "Angelo del Grande Consiglio" di Is 9,6 (LXX) — dal cielo, da parte del Padre, quale suo Verbo vivente. Anche qui il rimando è ad Is 55,6-11.

Al v. 33 questo Pane è caratterizzato così: esso dona la Vita divina al mondo, se è accettato. Poi nei vv. 48.50.5la, la medesima affermazione vale anche per il Cibo della Carne e del Sangue del Signore.

Al v. 35 il Signore afferma di nuovo, in modo circolare ed avvol-gente, di essere il Pane della Vita, al quale si deve "andare" per ascol-tarlo, e il quale si deve "credere" per nutrirsene.

Al v. 40 viene l'altra affermazione capitale: il Padre stesso vuole ed esige che il Figlio sia conosciuto e creduto per quanto parla. Così dalla sua Resurrezione donerà la Vita.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

II v. 45 è centrale: "I Profeti", ossia in genere l'A.T., affermano: "sa-ranno tutti insegnati da Dio" con la Parola. La citazione è complessa. Per sé alla lettera è Is 54,13, testo che a sua volta ha una lunga storia precedente e seguente. Il Deutero Isaia (circa 550 a.C, data presuntiva) qui ripete la parola del suo grande ed antico maestro spirituale, Gere-mia. Questi nel contesto dell'"alleanza nuova", espressione che viene per la prima volta nell'A.T. {Ger 31,31-34), riporta i "segni" supremi di questo evento ultimo, che sono due:

1) allora solo il Signore sarà il divino Maestro di tutti (v. 34a);

2) Egli si dimenticherà (= annullerà) i peccati (v. 34b).

Nel N.T. Ger 31,31-34 è citato in Ebr 8,10-11. Ma Giovanni insiste. In 1 Gv 2,20 ricorda alle sue comunità che i fedeli ricevono "l'Unzio-ne" divina, che è lo Spirito Santo, la Sapienza divina, l'unico Docente. Il quale resta in essi, sì che non abbiano più necessità di "altri" maestri umani, come viene in 1 Gv 2,27.

Da parte sua, Paolo riprende il tratto diverse volte, come quando ri-corda il rispetto che ha per la fede che i suoi fedeli ricevettero dal Si-gnore una volta per sempre (cf. 2 Cor 1,24; 2,5). Circa lo stesso ripete l'Apostolo Pietro (1 Pt 5,3).

Ma il tratto viene dal Signore stesso, che anche in altro contesto riba-disce che unico divino Diddskalos, "il Maestro", e divino Kathègètés, "il Cattedratico", è Lui, "il Kyrios", e nessun altro mai {Mt 23,8.10).

e) La Parola è CiboPer il N.T., qui occorrerebbe tenere conto di altri gruppi di testi, ai

quali si può solo rinviare per l'approfondimento.Anzitutto il "Padre nostro", specialmente Mt 6,11 a; Le 11,3, nell'e-

piclesi per il "Pane", da interpretare (con i Padri) come il pane del cor-po, il Pane della Parola, il Pane del Mistero celebrato.

Poi la prima di tutte le parabole, quella del Seminatore (cf. Me 4,13: "Non comprendete questa parabola? E come allora comprenderete tutte le altre?"), in questa consapevolezza: Parola-Seme, Parola-Pane buono; cf. qui in specie Mt 13,1-23.

Viene anche la Parola come il "pane dei figli" che non va gettato ai piccoli cani, nell'episodio della Cananea (vedi Domenica 17" 1

Matteo). E però la Cananea ottiene con la sua fede proprio quella Parola onnipotente, che guarisce la sua povera figlia {Mt 15,21-28, e par.).

La riprova viene dalla parola stessa, la predicazione e dottrina dei farisei e sadducei, che è "cibo altro", è "il lievito" non buono, del quale non ci si deve nutrire {Mt 16,5-12, e par.).

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CAP. 2 - NOTA SULLA PAROLA CIBO

Infine, uno splendido testo viene da Ap 10,8-11, che rimanda e rias-sume Ez 2,8 - 3,4 visto sopra, e dunque richiama anche tutti gli altri te-sti affini già richiamati sulla Parola-Cibo soave, il "miele". Dopo la 6a

tromba del Giudizio, l'Angelo del Signore — che è Cristo stesso — or-dina al veggente Giovanni di sigillare nel libro le visioni ricevute, fin-ché il Mistero sia compiuto. Segue allora un'azione simbolica misteri-ca. Una voce parla dal cielo a Giovanni:

... Va, prendi il Libro aperto dalle mani dell'Angeloche sta in piedi sul mare e sulla terra.Ed io mi accostai all'Angelo,dicendogli di consegnarmi il Libro.Ed Egli parla a me:Prendi, e mangialo,e ti amareggerà il ventre,ma nella bocca sarà dolce come miele.Ed io presi il Libro dalla mano dell'Angelo,e lo mangiai,ed esso era nella bocca mia dolce come miele,e quando lo mangiai, amareggiò il mio ventre.E parlano a me:Tu devi di nuovo profetizzaresu popoli e nazioni e lingue e re molti.

Si può concludere con una considerazione di peso.La divina Parola è Cibo supersostanziale, e soave. Ed è insieme il

Cibo pikrós, amaro ed amareggiante. Poiché "il profeta" che è chiamato dal Signore ad annunciare la divina Parola, deve sapere bene che questa non sarà sempre accolta e "mangiata" per la Vita eterna. E per-ciò segnerà tragicamente l'esistenza di "popoli... e re molti".

Ieri come oggi.È la precisa esperienza del Signore Gesù. Dei suoi divini Apostoli

come Paolo. Dei missionari nei secoli. Dei predicatori dell'Evangelo, anche in futuro.

Ma esperienza esaltante, che va vissuta fino in fondo. Fino alla Pa-rola della Croce.

4. Un rinvio ai Padri

È ovvio che qui non si possa dare conto dei testi sulla Parola-Cibo, che in numero incalcolabile, impressionante, ricoprono alla lettera l'o-pera esegetica, omiletica e pastorale dei Padri teofori. Tali testi in gran parte sono dimenticati, o disattesi da chi dovrebbe invece rilanciarli di

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

continuo; le eccezioni qui sono rare, benché auree, in studiosi moderni, che però non incidono sulla teologia e sulla spiritualità.

Forse siamo svantaggiati dallo squilibrio, venutosi ad imporre dal medio evo, a vantaggio dei divini Misteri ma a svantaggio della Parola, due forme indicibili dell'unico Cibo supersostanziale.

Ristabilire tale equilibrio, vorrebbe dire scandalizzare qualcuno, ma non i fedeli, i semplici, che questo ascoltavano dai loro maestri e pasto-ri, i Padri, ed oggi non più, e forse lo vorrebbero.

In breve, i Padri sottolineavano incessantemente il primato logico e temporale della divina Parola sui Misteri celebrati. Non dunque un pri-mato per così dire "quantitativo", che non esiste. Infatti i Padri insegna-no rettamente che dalla Parola — "questa parabola... tutte le altre...", come detto qui sopra — deriva ogni realtà di Cristo e della Redenzio-ne: l'ascolto, la conversione del cuore, la fede, la speranza, la carità, l'idoneità ai Misteri celebrati a partire dal santo battesimo.

Si hanno così due "manducazioni", per comunicare efficacemente, effettivamente al triplice Corpo di Cristo: la Parola che si mangia, i Mi-steri dell'altare che si mangiano e si bevono, e la Chiesa Sposa. Tre for-me della koinónia che lo Spirito Santo dona del Corpo di Cristo. Però, la manducazione dei Misteri dell'altare è vista come strumentale — nel senso che è disposta divinamente, non in senso grossolano! —per po-ter operare la manducazione della Parola, attraverso la quale compiuta-mente si percepiscono le Realtà divine del Lògos, il Verbo Dio che in essa parla e si rivela e viene e si comunica alla sua Sposa diletta.

Se questo può sembrare esagerazione oltranzista, "spiritualista", ma nel pensiero dei Padri non lo era, può essere verificato dal semplice fat-to constatabile, e su cui i pastori sono chiamati a riflettere: se la "comu-nione eucaristica", anche molto pia, non sia intesa piuttosto come dono di grazia "antropologica", in un certo senso fine a se stessa, alla generi-ca "santificazione" personale del fedele, e non come "violenta", totaliz-zante, trasformante salita all'unione nuziale consumante con Lui, il Si-gnore nostro, lo Sposo d'amore.

Ma con tutte le sue Realtà divine. Precisamente quelle portate solo dalla Parola con cui dall'origine e per sempre vuole che Lo conosciamo ed amiamo nel Padre con lo Spirito Santo. Questo intendevano espri-mere i Padri.

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CAP.3

LA SANTA SCRITTURA NELLA SANTA LITURGIA

II segno-simbolo che è la santa Liturgia è e resta il cuore della vita della Chiesa. Al suo mirabile centro sta la maestà della santa Tràpeza, l'Altare dell'Evangelo e dei Misteri, l'unica Mensa divina del Pane Vi-vente disceso dal cielo, la Sapienza e Verbo incarnato venuto a donare lo Spirito Santo del Padre e suo, lo Spirito Vivificante, il Divinizzatore.

In specie, preso dall'Altare dove perennemente riposa nella venera-zione, TE vangelo della Grazia è acclamato, è portato con solennità re-gale all'ambone, è proclamato dopo le altre Scritture lette. Così è ac-colto dai fedeli che gli si fanno incontro. È mistagogicamente spiegato nell'omelia. È celebrato come il Pane spezzato della Parola, vero Cor-po di Cristo donato da gustare quale primo Cibo nutriente della Cena mistica, quale Pregusto efficace dei divini vivificanti Misteri.

Santa Scrittura e Divini Misteri formano il contesto unitario ed uni-ficante della "lettura liturgica" della Parola di Dio.

Essa è la "lettura" primaria, che di continuo fonda la Comunità, do-no vero della "profezia" apostolica.

È la "lettura" per eccellenza della Parola divina.È la "lettura" più frequente ed intensa che possa condurre la Chiesa.È la "lettura" normale della Parola divina da parte della Chiesa.È la Tradizione divina nel suo vero culmine, che prosegue efficace-

mente nella vita dei fedeli, iniziati a così grandi Misteri.Tutto il resto della vita della Chiesa — la missione al mondo, le

opere evangeliche della carità — le è subordinato, da essa deriva, e ri-spetto ad essa è in qualche aspetto anche secondario ed eventuale.

Questo Dono divino, infatti, proviene dal Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo, e nello Spirito Santo mediante il Figlio riporta al Padre che tutti attende — divina indicibile Parddosis, Tradizione, realtà prima ed ultima, realtà suprema.

1. Tradizione: uno schema necessario

II termine Paràdosis, Tradizione, va completato con il termine ne-cessariamente connesso di Pardlèpsis, Recezione. Essi sono gli anelli della preziosa catena che Dio non interrompe mai; se vi sarà interruzio-ne dannosa, sarà tutta e solo colpa degli uomini.

La catena Tradizione-Recezione parte da Dio Padre e porta a Dio Padre. I suoi divini Operatori sono il Figlio e lo Spirito Santo.

Gli uomini ne sono i "portatori", a loro volta eletti quali "recettori-tradenti" in ininterrotta successione, nello spazio-tempo della divina salvezza, dair'Arche, il Principio, al Télos, il Fine.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

La Tradizione è la dinamica necessaria della divina Oìkonomia tra gli uomini, che comprende 3 aspetti che tutto significano e tutto riassu-mono: A) il Padre; B) Cristo e lo Spirito con la Chiesa; C) il Padre.

Di questo si può dare una descrizione grafica, che non ha la pretesa di essere esauriente ma solo indicativa, con la sua dovuta spiegazione.

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Realtà trasmesse

Divine

Ricapitolazion

e Spirito Santo

Evangelo - opere - culto

Evangelo - interpretazione

Parathékè, deposito Diadochè, Successione Unità, fedeltà Dottrina, disciplina

PADRE

CRISTO

—SPIRITO SANTO

Vescovi

paradidómi

paralambànó

paradidómi

paralambànó

paradidómi

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78 SPIRITO SANTO

REGNOCRISTO al télos,

paradidómi: 1 Cor 15,24

PADRE lambànó: 1 Cor 15,28

"Dio del tuttoin tutti"

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

II complesso schema chiede una spiegazione sommaria, che rinvia alle realtà della Rivelazione divina presa globalmente.

a) II Padre dona, didòmi, il Tutto divino al Figlio ed allo Spirito Santo,nell'indicibile Theologia. Ma il medesimo si versa nell'Oikonomia tragli uomini. È la precisa insistente visuale giovannea, e sotto altra formaanche paolina, di Ebrei, dei Sinottici, dell 'Apocalisse. Qui si comprende anche la Preparazione, l'A.T.

b)II Figlio e lo Spirito Santo ricevono-accettano, lambànò, il Tutto peressi stessi, e poi per gli uomini. Il verbo lambànò è proprio qui di Giovanni, ma i Padri ne fanno un pilone fondamentale della loro riflessione, e qui basterà citare un testo singolare e sintomatico:

Quando quelli che festeggiavano la Pasqua con Lui stavano per mangiare, Gesù prese il Pane da parte del Padre, e rese grazie, lo spezzò e lo donò ai discepoli suoi secondo quanto ciascuno poteva riceverne. Lo donò ad essi parlando: Accettate e mangiate. Con ciò mostrava che questo Pane che li nutriva era il suo proprio Corpo, poiché è il Lògos stesso che ci è indispensabile, sia adesso, sia dopo, quando Egli sarà pervenuto al compimento nel Regno di Dio (ORI-CENE, InMt. Ser. 86,inGCS 11, 198-199).

e) Cristo Signore Risorto, divino Ricapitolatore (cf. Efes 1,10), dona, paradidòmi, lo Spirito Santo alla sua Chiesa, agli Apostoli, i quali Lo ricevono, paralambànò. Si noti la particellapara- quando si tratta delle realtà degli uomini.

d)Lo Spirito Santo è dunque l'Oggetto-Soggetto della Tradizione divina. In un certo senso Egli è la Tradizione divina, nel suo indicibilericeversi (lambànò) dal Padre per donarsi per intero (didòmi) agli uomini.

e)Dallo Spirito Santo comincia la Catena della Tradizione-Recezionedivina apostolica, nell'ininterrotto "trasmettere, paradidòmi" a causadell'"avere ricevuto, paralambànò".

f) I contenuti donati dallo Spirito Santo sono anzitutto la Parola divinaispirata, con al centro l'Evangelo: vedi 1 Cor 15,3-8. Poi le opere dellacarità ai fratelli: vedi Rom 5,5; 2 Cor 8-9. Al culmine, la celebrazionedei Misteri: vedi 1 Cor 11,23-26.

g)Gli Apostoli nella Chiesa sono gli immediati "recettori", e dunque iprimi "tradenti" o trasmissori, poiché annunciano l'Evangelo, operano

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

le "opere del Regno" (vedi Pietro e Paolo negli Atti), e celebrano il Si-gnore Risorto (cf. At 2,41-47; 20,7-11, di Domenica).

h) Gli Apostoli ai Vescovi, loro Successori legittimi, trasmettono (pa-radidòmi) lo Spirito Santo, che i Vescovi ricevono (paralambàno); e con ciò stesso affidano ad essi la divina Parathèkè, il Deposito della fe-de, in forza della cheirotonia, l'imposizione delle mani consacrante ed abilitante (1 Tim 6,20; 2 Tim 1,12.14); qui il verbo fondamentale è phylàssò, custodire il Deposito quale Proprietà divina dello Spirito Santo, ed in forza dello Spirito Santo (2 Tim 1,14).

i) Lo Spirito Santo è il Hodègós divino della Chiesa, e così anche il Cu-stode di essa, che assiste i Vescovi della Chiesa in tale ufficio apostoli-co fondante.

1) I Vescovi in quanto Successori degli Apostoli per la medesima chei-rotonia trasmettono lo Spirito Santo ad altri che saranno Vescovi come loro, ai presbiteri e ai diaconi, e con questo trasmettono ad essi l'intera realtà fin qui presentata. Senza mai dimenticare che compito primario dei Vescovi è donare lo Spirito Santo all'intera Chiesa ad essi affidata.

m) Quando i Vescovi donano lo Spirito Santo alle Chiese, le vincolano con ciò stesso alla Tradizione-Recezione.

n) Lo Spirito Santo donante e donato ispira e suscita anche la necessa-ria Unità, la Fedeltà delle Chiese. Egli è il divino Custode e Garante — quale primario Testimone di Cristo: Gv 15,26, in quanto lo Spirito San-to procede dal Padre — della Dottrina immacolata nei santi dogmi, e della disciplina comunitaria nella carità, dove il "diritto" è posto "affin-chè in tutto sia glorificato il Nome nella Triade santa del Padre e del Fi-glio e dello Spirito Santo".

o) Così avviene lungo le generazioni nei secoli contemplati dal Divino Disegno.

p) In vista del Télos, il Fine che è la Fine: Cristo con lo Spirito Santo è il Regno di Dio (Mt 12,28; Le 11,20!), che contiene ormai le realtà umane recuperate dal "regno di satana" che deve scomparire. Cristo al-lora "riconsegna,paradidómi, il Regno al Padre": 1 Cor 15,24. Si noti qui il verbo finale.

q) Da Lui, il Padre lo riceve, lambànò, "al fine che Dio stia del tutto in tutti": 1 Cor 15,28.

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

Schema vertiginoso e realtà che tramortisce a pensarci. È il com-plesso dei megaléia toù Theoù, i mirabili fatti divini operati.

È ovvio che negli uomini deve esistere la medesima Volontà divina: di ricevere - trasmettere - ricevere - trasmettere, e così all'infinito, in totale fedeltà e volenterosità.

Ma ricevere-trasmettere è anche soprattutto vivere, e vivendo accre-scere: il Deposito, in sé perfetto ed immutabile, si accresce come ap-profondimento generazione dopo generazione.

La Tradizione divina apostolica definisce la Chiesa. I Padri lo ripe-tono ad ogni passo, e la santa Liturgia, come si vedrà, ne è il luogo pri-vilegiato.

2. Tradizione: una relazione completa

Se si estrapola senza dividere, se non concettualmente, dallo schema qui presentato il rapporto che interessa, tra Chiesa, Scrittura e Liturgia, seguono altre considerazioni fondamentali.

Ed anzitutto: la Tradizione divina apostolica è la massima realtà.Essa abbraccia, comprende e da senso sia alla Chiesa, sia alla Scrit-

tura, sia alla Liturgia. Non solo, ma determina anche la Liturgia in quanto vissuto della Chiesa che interpreta la Scrittura, lì, nel modo au-tentico e più completo. La Tradizione mostra infatti una serie spesso non avvertita di realtà.

a) Infatti è "Tradizione" sia la Chiesa, sia la Scrittura, sia la sua inter-pretazione affidata alla Chiesa, sia la Liturgia come luogo privilegiatodi tutto questo.

b) Ed anzitutto, la Tradizione è una realtà biblica molto evidente.

L'A.T. è "una Tradizione", divina, ed ispirata dallo Spirito di Dio. Gli Ebrei ne hanno una viva coscienza, in specie dopo il ritorno dall'e-silio babilonese (sec. 6° a.C, e seguenti), quando debbono ricomporre le assise del popolo di Dio, l'assemblea santa. Così raccolgono accura-tamente le antiche "tradizioni": la Tòràh, i Profeti anteriori (libri stori-ci, da Giosuè a 4 Re (= 2 Re), i Profeti posteriori (i libri sapienziali), e compongono altre memorie storielle: 1-2 Cronache con le "genealogie" d'Israele ("coscienza storica"!); fissano le memorie del presente (Esra, Nehemia); via via raccolgono altre tradizioni: Ester, in greco Giuditta, Tobia; il Cantico; alcuni Profeti. E proseguono con la storia fino a 1-2 Maccabei. Raccolgono altro materiale sapienziale (Ecclesiaste, Sapien-za). E completano la serie dei Salmi. Infine, determinano la "lettura della storia" in senso profetico e sapienziale con Daniele, maestro di "teologia della storia" (sec. 2° a.C.?).

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

II N.T. si pone alla sequela storica, profetica e sapienziale dell'A.T, le sue "Sante Scritture", la "tradizione dei padri antichi" (cf. Ebr 11). Anche il N.T., sia pure nella sua singolarità assoluta, è "una Tradizio-ne", divina ed ispirata dallo Spirito Santo. Gesù ne ha una coscienza vi-va, vedi testi come Mt 5,17-20, con la finale: "la giustizia maggiore di quella dei farisei", che è dunque reale, essi precedono, debbono essere superati.

Ma soprattutto quando all'inizio del sec. 2° la Chiesa post-apostoli-ca raccoglie insieme religiosamente gli scritti apostolici, e li unisce co-me "Nuovo Testamento", con un atto sovrano ed inaudito, alle "Sante Scritture" dell'"Antico Testamento", per formare l'unico contesto che è il "Libro dei Due Testamenti", la Tradizione mostra la sua potenza. E fissa anche il "canone delle Scritture ispirate", con il criterio invariato (che è il medesimo degli Ebrei): sono ispirati e "canonici" solo gli Scritti che si leggono nella sinassi eucaristica; anche se qui si ebbero oscillazioni nelle Chiese locali almeno fino al sec. 6°. Si fa così luce che le Tradizioni divine delle Sante Scritture suppongono la Tradizione divina apostolica più ampia e comprensiva.

e) La situazione che si chiarifica può essere richiamata con uno sche-ma:

PADRE

FIGLIO

SPIRITO SANTO

Scritture Comunità Interpretazione

II I III

Liturgia

SPIRITO SANTO

Lo schema per analogia è valido anche per l'A.T, poiché prima nel-l'esodo è creato Israele (Es 14-15), al quale è donata la Tòràh al Sinai (Es 19-24), da cui viene il culto, mentre intercorre la necessaria inter-pretazione che spetta a Mosè ed ai sacerdoti.

Lo Spirito Santo alla Pentecoste crea la Chiesa, che inaugura il culto avendo le Sante Scritture (ancora l'A.T), ed interpretandole alla luce di Cristo Risorto.

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CAP. 3 - NOTA SULL'INTERPRETAZIONE DONO

Dunque lo Spirito Santo dona la Dote nuziale alla Chiesa, che sono le Scritture dell'A.T., cui seguono gli scritti del N.T., unica indivisibile Dote — come il medesimo Spirito dona alla Chiesa il Verbo incarnato, il suo Sposo.

Come terzo momento, lo Spirito Santo creatore e Ispiratore, dona al-la Chiesa anche la necessaria interpretazione autentica delle Scritture, ma secondo il metodo sovrano di Cristo Risorto.

NOTA SULL'INTERPRETAZIONE DONO

Le scienze umane moderne si sono esemplate in genere intorno al concetto e metodo della "ricerca" dei dati, che porta alla loro "interpre-tazione". In fondo le stesse scienze "esatte" o dei fenomeni naturali procedono alla ricerca dei dati secondo ipotesi da controllare, per più alte e profonde interpretazioni. Gli antichi già conoscevano queste ne-cessità del pensiero umano, e non per caso il vocabolario dell'"inter-pretazione", con al centro il termine "ermeneutica", viene da essi.

La Santa Scrittura apre i suoi significati attraverso la sua interpreta-zione, che offre così la conoscenza delle realtà della salvezza. Anche qui, il Maestro insostituibile è Cristo Signore, da cui imparano gli Apo-stoli sotto la guida dello Spirito Santo. E anche qui il metodo collaudato è la "lettura Omega", dall'Evento adempiuto risalire a conoscere la totalità. I testi che parlano di questo sono numerosi.

A. - II N.T.

1. H Signore Gesù- ad Emmaus, il Risorto a partire da se stesso in quanto Risorto, "l'O

mega", rinvia alle Scritture, 1'A.T., "l'Alfa": Le 24,25-27 e 44-47;- e così rinvia "a Mosè ed ai Profeti" (Le 24,25-27), ed "interpretava

(diermenéuó) tutte le Scritture su Lui" (v. 27); ed "a Mosè ed ai Profeti ed ai Salmi", dove tutto è adempiuto (plèróó) riguardo a Lui (v.44). Si noti anche l'adempimento liturgico dei Salmi;

- ma ai due di Emmaus anche "apriva (dianóigó) le Scritture" (v. 32),ed "apriva gli occhi (dianóigó) nello 'spezzare il Pane'" (vv. 31.35);e con ciò "incendiava i cuori" quando lungo la via "apriva (dianóigó)le Scritture" (v. 35);

- la sera stessa nel cenacolo ai discepoli "apriva (dianóigó) la menteper comprendere le Scritture" (v. 45);

- si noti qui il "cuore" = intelletto; la mente; gli occhi; le Scritture, oggetto dell'"interpretazione", dell'"apertura" del significato. Lo scopo,è la conoscenza sperimentale, profonda, di Lui Risorto.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

2. Paolo- ad Antiochia, Luca riferisce che Dio (Padre) aveva "aperto (anóigò)

la porta della fede ai pagani" (At 14,27) per la mediazione apostolica;- a Lidia, la prima a Filippi che accolga Paolo e Timoteo, "il Signore

aprì (dianóigò) il cuore per contenere le realtà parlate da Paolo" (At16,14);

- ai Corinzi Paolo mostra come Dio già nell'A.T. promette a quanti Loamano realtà indicibili (1 Cor 2,9), rivelate mediante il suo Spirito (v.10), l'unico che scruti (eraunàó) le Realtà abissali di Dio (v. 11), l'unico che faccia conoscere (óidà) quanto Dio donò (v. 12), che insegna (didàskó) infallibilmente le Realtà divine (v. 13). Per questo "noipossediamo il noùs (mente, intelligenza) di Cristo" (v. 16);

- ai Filippesi l'Apostolo raccomanda di pensare (phronéò) esattamentecome Cristo (FU 2,5);

- già aveva spiegato che in realtà i fedeli sono theodidaktoi, "insegnatida Dio" (1 Tess 4,9);

- poiché Cristo stesso a tutti i suoi fedeli dona la synesis, la compren-sione profonda (2 Tim 2,7).

3. Giovanni- Gv 1,18 è la "carta dell'ermeneutica" biblica: del Dio Invisibile, il

Dio Monogenito ma incarnato (v. 14) è l'unico Esegeta, donando ilsuo Spirito (vedi dopo);

- Egli annuncia e spiega quanto vide ed ascoltò dal Padre, e lo testimo-nia nella verità (Gv 3,32);

- perciò afferma che secondo i Profeti (qui, Is 54,13) "tutti saranno in-segnati da Dio" (Gv 6,54). Isaia rileggeva Ger 31,31-34 per la nuova alleanza, testo poi citato da Ebr 8,10-11;

- nella Cena, il Signore promette 5 volte (simboliche) lo Spirito Santo.Anzitutto come Spirito della Verità (14,16-17) da rivelare come spiegazione della predicazione di Gesù;

- poi come lo Spirito che insegna e fa fare anamnesi (liturgica!) dell'annuncio di Gesù (14,26);

- poi lo Spirito della Verità che testimonia Cristo (15,26);- poi come Spirito che rivelando contesta il mondo del peccato (16,7-

ii);- infine, quale Spirito della Verità che insegna la Verità interna, condu

ce ad essa, rivela l'avvenire, glorifica Cristo, ed annuncerà quanto èdel Padre e del Figlio (16,13-15);

- Gesù nel contesto chiama "amici suoi" i discepoli (15,14), perché ormai li ammise a conoscere quanto Egli conobbe in eterno dal Padre(15,15);

- in 1 Gv 2,20 torna l'insegnamento dei discepoli, ricevuto direttamen-

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CAP. 3 - NOTA SULL'INTERPRETAZIONE DONO

te dal Padre in forza deH'"Unzione del Santo", lo Spirito Santo, per cui comprendono bene la Verità;

- per cui ormai non hanno necessità di insegnamento umano di "altri",in quanto l'Unzione divina ha fatto "dimora" in essi, insegna ad essitutto, e nessuno può insegnare ad essi fuori di questa Dottrina (1 Gv2,27);

- la stessa Triade santa è la suprema Testimone della Verità annunciatada Cristo Signore (1 Gv 5,7);

- infatti ormai "il Figlio di Dio venne, e donò a noi la mente (dianoia)per comprendere il Veridico" nel quale consistiamo (cf. Le 24,45),Egli che è il Vero Dio e la Vita eterna (1 Gv 5,20; cf. Gv 1,1 e 14,6);

- venendo, il Figlio di Dio manifesta di possedere "la chiave di David"che apre ogni realtà (Ap 3,7);

- le Chiese debbono ascoltare quanto lo Spirito di Dio parla ad esse(Ap2-3);

- e parla dopo che l'Agnello, il Servo sofferente Risorto (cf. Is 53,7-8),ricevuto il Libro dal Padre, unico ebbe l'autorità di aprire, anóigó, ilLibro (Ap 5,1-7, con la liturgia cosmica eterna per Lui, vv. 8-14).

4. Pietro- agli stessi Profeti dell'A.T., lo Spirito Santo "pretestimoniava" le sof

ferenze del Figlio di Dio (1 m, 10-ll);- dalla santa Trasfigurazione (2 Pt 1,16-18) gli Apostoli mantengono

"confermata" la Parola profetica, prima Luce nelle tenebre finché sialevata nel giorno pieno la Stella mattutina, Cristo Signore (v. 19),nella consapevolezza che la Scrittura non tollera "interpretazione(epilysis, scioglimento) personale" (v. 20): bensì solo lo Spirito Santo, non la volontà umana, mosse la Profezia, e così guidati, gli uomini santi dell'A.T. parlarono di Dio (v. 21).

B.-L'A.T.

Che la Parola di Dio e la sua interpretazione provengano ambedue e rigorosamente solo da Dio stesso, è dottrina normale già dell'A.T. È uno dei tratti "sapienziali" più rilevanti dell'A.T.: Mosè è il trasmettitore della Legge divina, e ne è il principale interprete.

I sacerdoti del'A.T. detengono la Tóràh, e ne amministrano l'"ora-colo", ossia l'interpretazione applicativa. Il tratto è insistito nei libri sa-pienziali. Di seguito si riporta solo qualche testo indicativo e signifi-cante, oltre quelli citati sopra per Gv 6,45.- "Ma lo Spirito sta nei mortali, e però il Soffio dell'Onnipotente è

Maestro (didàskòT (Giob 32,8);- al faraone, Giuseppe da l'interpretazione dei sogni (Gen 41,16), ma

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

in realtà perché in lui parla Dio (ivi), essendo egli ripieno dello Spirito di Dio, Sapienza infinita (v. 38);

- in analogia, Daniele a Nubucodonosor rivela sia il sogno, sia la suainterpretazione (aramaico pisrà ', cf. ebraico pèser), ma dopo l'epiclesi "sapienziale" (Dan 2,18); così avviene la rivelazione (v. 19), daDio che possiede Sapienza e Potenza (v. 20), al quale si innalza l'inno di lode e d'azione di grazie perché rivela e spiega secondo la preghiera (vv. 21-23). Egli solo è capace di questo (vv. 28-30), Egli solofa conoscere la realtà (v. 47);

- 1'"epiclesi sapienziale", ossia per ottenere la conoscenza della Parola divina, il suo senso profondo, è nota costante dell'A.T. e delN.T. Qui si può rimandare solo alla contemplazione del Sai 118,"Salmo didattico sapienziale", che evoca questo tratto ai vv.12.18.26.27.33. 34.64.68.73.102.104.108.124.125 (in specie).130.135.144.169.

Per interpretare le Sante Scritture occorre molto pregare per ottenere lo Spirito Santo, il medesimo che le ispirò, e senza il quale quei libri sarebbero solo lettura umana.

d) L'interpretazione delle Scritture avviene sotto diverse forme convergenti: l'annuncio kerygmatico comporta la necessaria dottrina catechetica preparatoria all'iniziazione battesimale; e la continua mistagogia aibattezzati; e la formazione dottrinale e spirituale. Il culmine è l'omeliamistagogica celebrativa.

e) Vi sono altre forme necessarie, come le "definizioni" dottrinali chepongono separazioni nette del dogma immacolato, al di là delle qualiviene meno la verità e la fede retta; si tratta in genere di forme negative(vedi i 4 avverbi negativi di Calcedonia), mentre la parte positiva deveessere insegnata dai Vescovi (con l'eventuale aiuto non vincolante deiteologi).

Da queste note rapide ma essenziali appare che già nell'A.T. la Scrittura è dunque vincolata essenzialmente ed irrevocabilmente alla Comunità a cui è affidata, ed insieme alla Liturgia della Comunità. Non solo, a vedere bene la storia, la stessa Liturgia della Comunità postula e sollecita la composizione e la raccolta delle Scritture, ad esempio, le memorie permanenti dell'esodo come fatto fondante; ed insieme, la composizione e la raccolta del meraviglioso accompagnamento orante della lettura del Testo sacro che sono i Salmi e gli altri inni. Il N.T. pro-segue almeno in gran parte quest'uso celebrativo della sinagoga, e sono composte e raccolte le "memorie degli Apostoli" da leggere nella si-nassi comunitaria e che sono materia della didachè ton Apostólón, la

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

santa Dottrina degli Apostoli (At 2,42; e 1 Cor 14), non senza gli "inni" propri del N.T.

Questo vincolo divino, sovrano ed irrefragabile, mostra una serie di fatti. Per quanto segue, è stata molto utile la lettura di Anne Marie Pel-letier, Lecture du Cantique des Cantiques - De l'énigme du sens auxfi-gures du lecteur, "Analecta Biblica" 121, Roma 1989, dalla quale sono ricavate molte delle intelligenti osservazioni dell'Autrice.

La Scrittura, con la sua interpretazione, appare come una delle for-me, quella scritta ed ispirata, dell'unica e più ampia Tradizione divina apostolica. La santa Liturgia, che è come il cuore pulsante della Tradi-zione, si pone come la genesi, ossia come il luogo privilegiato della produzione delle Sante Scritture (A.T. e N.T.), della raccolta di esse al fine di tenerle vive anzitutto nell'assemblea sacra del popolo di Dio, e della loro interpretazione autentica.

Da sempre i fedeli sanno che la Scrittura è significante, e totalmente, sia come Libro che impone rispetto e devozione, sia e soprattutto per-ché gli è letto liturgicamente, e così da essi è ascoltato anzitutto liturgi-camente, e perché gli è anche spiegato liturgicamente. Essi sanno così che la Scrittura è anche il referente della loro esistenza nella Chiesa, perché contiene ed offre la Parola autentica del loro Signore Risorto. Anche se non saprebbero tutti spiegare che le Scritture sono essenzial-mente redatte, raccolte e conservate religiosamente per essere sempre di nuovo usate, sanno che le ascoltano, le praticano, ne pongono in opera i precetti, le vivono.

Si impone qui ancora una volta la realtà vivente che è la Tradizione. Questa è storia che si fece e viene "oggi" e prosegue. È storia vera, obiettiva, è la storia della salvezza con le sue caratteristiche specifiche, che deve essere ancora, "qui ed oggi", vissuta e proseguita; è il vissuto nella storia. Anche se a molti sfugge, la Tradizione, come si è visto so-pra, nella sua interezza, interviene in tutta la sua efficacia all'atto della lettura delle Scritture e del loro ascolto di fede, siano lettura ed ascolto anzitutto liturgici e comunitari, siano personali e contemplanti. Questo dovrebbe essere anche negli studi scientifici, almeno quelli condotti da credenti. Così, si legge e si ascolta il tempo storico della Tradizione, tempo "teologico", altamente qualificato, tempo della salvezza attuato.

La Tradizione stessa poi ha sempre visto nella Liturgia il luogo della realizzazione primaria, principale e più piena della Scrittura: l'annun-cio evangelico porta alla conversione del cuore, alla fede, alla speranza, alla carità, e dunque al battesimo ed al Dono dello Spirito Santo (At 2,38), e al Convito dei Misteri (ivi). Perciò delle Scritture le proclama-zioni sono infinitamente ricche nel loro essere annunciate celebrate messe in opera sotto i "santi Segni"; nel loro essere commentate per l'occasione ricorrente "oggi"; nel loro essere le medesime e tuttavia ri-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

petute, prolungate nella storia delle Comunità e dei fedeli, e così attuate nell'esistenza redenta di questi. Non a caso i Padri hanno prodotto le loro opere principali soprattutto, ed in maggioranza assai evidente, per l'ambito liturgico; e qui basterà pensare alle catechesi, alla mistagogia, all'omiletica, alla paraclesi, alla didascalia formativa. E per questo la principale preoccupazione pastorale e mistagogica della Chiesa deve essere la preparazione remota e prossima del popolo santo alla celebra-zione del Signore Risorto nelle varie forme della Liturgia, in specie però domenicale e delle Ore sante.

Qui la Tradizione raggiunge il suo scopo.

3. La Santa Scrittura nella santa Liturgia

Si può entrare adesso in qualche particolare maggiore.

a) La Parola viventeLa Parola divina è divinizzante per sua stessa natura, come si vide

sopra.Per paradosso, tuttavia, si deve affermare come rigorosamente vero

che la Chiesa di Dio esisterebbe e svolgerebbe le funzioni per cui fu creata dallo Spirito Santo, anche se non avesse le Scritture. Qui vale la parola altrettanto paradossale e vera, detta in un momento di grave in-comprensione della Chiesa occidentale, che, pressata dalle istanze della riforma, tendeva almeno a sconsigliare la lettura della Scrittura. Una grande Santa contemplativa aveva manifestato qui il suo sconforto per questo fatto al suo Signore, il quale le rispose: "Sarò lo la tua Bibbia!" (S. Teresa d'Avila).

Il fatto di partenza qui è che la Chiesa Orante non "parte dalla Scrit-tura". Semmai, di necessità "giunge alla Scrittura".

La Chiesa Orante parte solo dal suo Signore Risorto con lo Spirito Santo, e lo fa con la Grazia dello Spirito Santo. Poiché il Signore Ri-sorto stesso quale Unico e Sommo Sacerdote nello Spirito Santo già ce-lebra la sua Liturgia eterna cosmica al Padre, a cui ha associato gli An-geli ed i Santi in eterno, ed a cui associa nel tempo fino alla Parousia la sua Sposa, per pura Grazia.

Se la sua vita deriva dalla Celebrazione celeste, la Chiesa Orante tuttavia sta all'origine cronologica della celebrazione terrena. Per que-sta essa riceve divinamente anche le Scritture la cui lettera è sempre lettera storicamente ricevuta, ed invariabile per sempre, nella Comunità e da essa. E solo la Comunità è perciò la custode, la garante e la salva-guardia della trasmissione —paràdosis, Tradizione! — delle Scritture.

Qui si nota che le Scritture nella loro lettera, non sono tuttavia solo le parole che le compongono in un "libro" e nei singoli "libri". Esse so-

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

no anzitutto un mirabile universo, che è un Tutto composto dalle sue singole Parti, ma in modo tale che non si hanno giustapposizioni, bensì infinite relazioni costitutive. Esse vigono tra il Tutto, 1'"universo sim-bolico della divina Rivelazione", con le sue Parti, e di queste tutte tra esse e con il Tutto. Tale realtà è ben visibile sia nelle "Scritture" come integralità dei "Due Testamenti", sia negli stessi Due Testamenti assunti separatamente, sia infine in ogni singolo "libro" delle Scritture. Così si deve dire che certo le Scritture sono queste parole divine-umane, bensì per così dire aumentate da quanto lungo le generazioni ne hanno fatto i lettori e gli ascoltatori.

Si rivela qui che esse non sono "un testo che resiste" al lettore ed al-l'ascoltatore, e che perciò vada sempre "spiegato" dal competente di turno, e basta. Tale è l'ideologia di certa esegesi moderna.

Le Scritture precisamente nella celebrazione della Chiesa, diventano "la Parola di Dio nella Liturgia", con le sue leggi esigenti ed anche molto gelose. È il Testo santo letto nel contesto degli altri testi santi, quelli celebrativi della Chiesa. Tutta questa testualità va perciò "letta" ed "ascoltata" insieme, come contestualità benché senza confusione dei ruoli, con sinergia reciproca.

Nella santa Liturgia perciò non si hanno semplici suoni di parole bi-bliche, da ascoltare poi e da meditare in silenzio, e suoni di parole "li-turgiche" a cui si partecipa maggiormente con il canto dell'assemblea. La Liturgia che legge le Scritture fa riassumere in atto, ed in atti, "oggi qui per noi", le Realtà bibliche parlate e scritte, vissute ed operate, rac-colte e tramandate nel passato salvifico lungo le generazioni. Quanto è proclamato "adesso" lo è nella Liturgia, e lo è di un "atto di parola" che rimemora il "passato". E non semplicemente, poiché non si tratta di una "riattuazione" che oggi si chiama "ripresentazione" o "rievocazio-ne". Bensì il passato, quel passato, è rimemorato solo in quanto vi si ri-conosce da sempre, ma in specie "oggi qui per noi", l'attualità e la stretta pertinenza del "presente" della divina Grazia. Un esempio qui può essere la Domenica, che è sempre "di Resurrezione", o una Festa come il Natale. "Quel passato", e non altri, è proclamato qui anzitutto perché chi lo legge e chi lo ascolta vuole conoscere quanto contiene il nostro "presente", e per vivere adesso la ripetizione nuova di quello che è già divinamente dato una volta per sempre: la Resurrezione, il Natale.

Quindi il Testo sacro è "letto", cantato, spiegato, citato, alluso non per essere primariamente commentato, bensì per essere prima-riamente fatto incontrare da chi lo attende. E poiché in tutto questo opera la divina Grazia, si rienunciano le disposizioni e le condizioni spirituali di allora, ma sempre vive ed attuali per la potenza dello Spirito Santo.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Così la connessione necessaria ed originaria delle Scritture con i te-sti della Chiesa conferisce alla Parola divina nella Liturgia, ossia alla "lettura liturgica delle Scritture", una tipica struttura dialogica che il sa-cro Testo già contiene e che vuole che sia portata ad effetto. Per cui tut-to quello che nella Liturgia è "detto", ossia è "fatto", ossia proclamato, cantato, espresso con segni-simboli e tra questi con gli elementi da consacrare (acqua olio pane vino), rende valide al massimo le respon-sabilità di chi "parla" e di chi "ascolta", eventualmente nella celebra-zione anche a ruoli invertiti (come quando gli "ascoltatori" rispondono, cantano). La "lettura liturgica" pone così in funzione "fatti" ed "atti" concreti, non idee astratte per quanto teologiche e buone e nobili. E rende presente per i partecipanti quello che si parla e si opera nella loro diversità, realtà tutte che essi assumono come proprie nella loro esi-stenza fedele in quanto tutte derivano dall'unica Fonte divina.

b) La celebrazione difedeliQuanto adesso segue, ma anche quanto precede, è in particolar mo-

do visibile nelle opere dei santi Padri teofori, nel loro vivo insegna-mento basato sulla pratica della vita, dalla loro esperienza normale.

Ora, la "lettura liturgica" delle Scritture è operata in relazione alla Comunità di fede che si raccoglie per celebrare, nella Grazia dello Spi-rito Santo abilitante, il suo Signore Risorto per la Gloria del Padre. Nel-la sinassi liturgica, il tipico "noi" (ad esempio, quando si canta: "Se hymnoùmen, sé eulogoùmen, sói eucharistoùmen, Te inneggiamo, Te benediciamo, a Te rendiamo grazie"), o anche l'"io" (ad esempio, quando si proclama "Pistéuò eis Héna Theón, Patera Pantokràtora, Io edo nellnico Dioil Padrennipotente"), no suscitier cì re oi lta nvo, sonoodellatiiorno pegiorno d tem euogo dle pso del pclamione litgica: "oi qui noi". A.-M. Pelletier cita un testo illuminante del filosofo P. Ricoeur, Temps et récit, III, 262: "L'atto di lettura si include in una comunità leggente, in condizioni favo÷oni favo÷nto adesso segue, ma anche quanto precede, èrevoli, sviluppa la specie di normatività e canonicità che riconosciamo alle grandi opere, quelle che non hanno mai finito di decontestualizzarsi e di ricontestualizzarsi nelle circostanze culturali più varie". E come si sa, la Scrittura nella letteratura mondiale di ogni tempo è l'Opera che incomparabilmente più di ogni altra fu ed è amata e letta e studiata e celebrata.

L'uso del Testo sacro perciò è anzitutto la sua "lettura" al fine di portare, per quanto ciascuno può, gli ascoltatori alle condizioni che le-gittimano l'ascolto di fede della Scrittura. Il che significa che li vuole rendere il meglio possibile idonei ad entrare in dialogo con essa; sopra si è parlato di "struttura dialogica". E proprio qui, come si accennò, i lettori e gli ascoltatori ampliano il senso del Testo sacro; il che d'altra

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

parte, e purtroppo, significa che essi, in condizioni non idonee, lo limi-tano, lo oscurano, lo rendono inutile.

Ne deriva che ogni spiegazione della Scrittura deve fondarsi sul pre-vio, sul dato di un'esperienza spirituale, di vita vissuta, che già prima della lettura e dell'ascolto abbia fatto sperimentare quanto poi si legge e si ascolta. Qui si entra nell'imponderabile delle anime, poiché quel previo e dato, mai di qualcuno è prevedibile, e comunque mai a fondo conoscibile. Comunque, nel positivo, ciascun fedele qui di necessità ha indiscutibili risultati di fede, diversi da quelli di ogni altro suo fratello, l'esperienza spirituale di uno essendo semplicemente non ripetibile tale e quale da un altro.

Al contrario di quanto pensa certa esegesi moderna, la Scrittura per tutto questo non ha una sua lettura per così dire "nuda", anonima, im-personale, e tanto meno asettica, anodina, anarchica, isolata e gelosa di se stessa, come fosse un qualsiasi testo stampato e a disposizione di chiunque voglia introdurvi lo sguardo più o meno interessato. Essa dalla sua origine è vincolata in modo costitutivo alla vita concreta della Comunità di fede, e dunque anche all'esistenza dei singoli fedeli.

Come si è detto, essa infatti sta per sempre associata per divina fon-dazione a spazi spirituali (luoghi, punti, tratti, posizioni, condizioni, istanze), e con tutta specificità a quelli liturgici. Qui si può parlare del "soggettivizzarsi" della lettura e dell'ascolto all'interno della prospettiva concreta che è Vobiettività del rito comune, posto dalle Autorità della Tradizione come unico ed invariabile, sia pure diverso poi per epoche e regioni. Ma "soggettivizzare" qui per la sua tipicità esclude sia l'intimismo psicologico religioso, sia il pietismo e il devozionismo, e lo stesso fondamentalismo, in quanto siano esperienze limitate al vissu-to di un singolo fedele.

Ed esclude anche il "disporre", il "padroneggiare" le Sante Scritture. Fu una preoccupazione della scolastica decadente e della riforma conse-guente, motivata da incongrui atteggiamenti di canonisti, ma divenuta istanza nervosa e sospettosa a tutt'oggi, di rivolgersi contro la Chiesa, accusata di "stare sopra le Scritture", e quindi di "disporne" con tutta la sua paurosa autorità magisteriale. Al contrario, proprio la lettura liturgi-ca mostra come la Chiesa sia e stia soggetta al Testo divino, che venera come tale riconoscendone la santità e il valore salvifico e divinizzante. È però una soggezione di intelligenza attiva. Il "detti e fatti" della Scrit-tura sono recepiti ed accettati come storici e fattori di storia. Così che interpretare il Testo sacro è di più e prima interpretare la storia della di-vina salvezza ieri come oggi come domani, nella prospettiva della Pa-rousia del Signore, risalendo all'inizio e percorrendo lo svolgimento.

Questo avviene nella Liturgia considerando la Scrittura: a) come un "corpo totale", ponendo in opera la "lettura Omega" (vedi dopo) che

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

tiene conto della globalità a partire dalla fine, ed usa opportunamente l'analogia tèspisteós, che proprio in rapporto al "carisma di profezia" è raccomandata da Paolo (Rom 12,6), ed è indispensabile nell'interpre-tazione liturgica; b) in un "luogo ecclesiale", quale principio insostitui-bile di identità e di unità profonda. A.-M. Pelletier cita un testo singola-re di F. Bréton, che parla di Aristotele: "II discorso ha il suo senso ulti-mo nell'ascoltatore recipiente. Questi sembra passivo, ma possiede la causalità per eccellenza, perché l'ascolto-lettura definisce l'essere stesso di questa realtà che è il discorso orale o scritto". L'applicazione alla Scrittura va da sé.

Avviene l'incontro. Il lettore e l'ascoltatore si rendono presenti al Testo, che è destinato proprio ad essi in totalità quale via di compren-sione degli atti liturgici posti "oggi qui da noi", degli eventi che essi ce-lebrano, della loro identità, della loro situazione spirituale; e non meno della loro situazione nel mondo tra gli uomini, con i conseguenti doveri della santità e dalla carità evangelica. Essi perciò sono non solo agenti di lettura o agenti d'ascolto, bensì sono la finalità stessa della lettura e dell'ascolto. Sono essi il fine inteso, servito dall'atto di comprensione del Testo, come ciascuno può.

La sola condizione è che si ponga dovutamente in funzione il Testo. Infatti la lettura e la relativa ed eventuale spiegazione di esso non sono finalizzati anzitutto a "comprendere" il Testo che sta parlando, bensì prima e al di là della "comprensione" si deve poter giungere e parlare finalmente le parole del Testo, ed a sentirle parlare. Ma non da soli. La concretezza dei fedeli come persone battezzate, nella loro storicità, por-ta a far sorgere prima di essi ed insieme ad essi l'accompagnamento ar-monico di infinite altre voci, senza le quali i fedeli "di oggi" sarebbero essi stessi incomprensibili. A questo proposito, Ebr 12,1 parla della Nube di Testimoni che ci circonda da ogni parte, e si riferisce ai Padri dell'A.T. Ma Ebr 12,22-24 parla anche del nostro accostarci irreversi-bile alla Comunità celeste: la Sion, le miriadi di Angeli, la panègyris gioiosa, la Chiesa dei primogeniti, le anime dei Giusti resi perfetti, tutti quelli insomma che non ricusarono di "ascoltare" Mosè che parlava "oracoli sulla terra", e tanto più di "ascoltare" Cristo Signore che ci parla dai cieli (v. 25). E Ap 7,1-17 descrive la motitudine innumerevole e festante, che inneggia all'Agnello Risorto nell'immenso esodo eterno che con Lui fanno nel cielo verso l'infinità del Padre.

Questo è leggere ed ascoltare la Scrittura per la vita. Perciò con la dovuta intelligenza. Dovuta perché viene dalla stessa costituzione degli uomini quali "icone di Dio", dotate di lògos sapienziale creato, dunque di parola e di scienza. Ora, la vita è realtà globale e riccamente compo-sita, che comprende certo scienza ed intelligenza, ma conglobandole

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

con altre facoltà, ampiamente le trascende. H che significa pur sempre che deve tenere in dovuto conto anche tutte queste facoltà.

4. Testo Liturgia commento comprensione

Queste note si dovranno poi richiamare a proposito dell'omelia che per sua natura è mistagogica, ossia deve condurre gli iniziati più dentro al Mistero, e celebrativa, e dunque deve avere la coscienza di tale atto.

a) II Testo sacro per la LiturgiaGià la logica della disposizione di determinate parti della Scrittura

in un "Lezionario" come Libro liturgico "tipico" — per sé però, Apó-stolos ed Euaggélion, e le altre parti bibliche; usiamo qui i termini cor-renti di comodo — è tale che non si presta ad un "commento moder-no", che tratta ciascun testo come unità indipendente da altre unità. In-vece i nessi tra i diversi testi biblici di una data celebrazione, uniti inol-tre a quelli più propriamente liturgici, richiedono una comprensione particolare. Di questa si occupano ben pochi studiosi dei due campi, che dovrebbero collaborare, ed invece la materia resta quasi come terra di nessuno (da cui si evince che gli specialisti dei due campi tendono a rimettere tale interesse all'altra parte).

Ora, la Scrittura quando è assunta dalla Liturgia presenta tuttavia al-cune sue esigenze rigorose.

Anzitutto essa non chiede a priori di essere commentata. Al contra-rio è il Testo interpretante per eccellenza. Non chiede neppure di essere interpellata, di essere interrogata, poiché è il Testo per eccellenza che interpella ed interroga sovranamente ciascun lettore e ciascun ascolta-tore. Così, nella Liturgia la situazione spirituale di questi esplicita se stessa risalendo al Testo sacro, il quale, dato in questa logica, non sta "prima", bensì "dopo". Poiché ogni Domenica la Chiesa celebra il suo Signore Risorto, il Testo sacro esplicita questa condizione attuale della Chiesa, e non a caso VApolytikion anastàsimon ed il Kontàkion vengo-no prima della proclamazione dell'Apóstolos e dell'Evangelo, e perciò prima dell'omelia che ne tiene il "commento". Quindi per così dire la Scrittura spiega essa stessa la situazione della Chiesa "qui adesso", pri-ma di essere a sua volta spiegata.

Questo discorso che sembra complicato se non contorto, tende inve-ce a riaffermare che la Scrittura è necessaria, e sommamente.

Se prima si è detto che la Chiesa Orante parte solo dal suo Signore Risorto, e si è detto che per puro paradosso esisterebbe e funzionerebbe anche se non avesse le Scritture, adesso si deve completare. La realtà è che il Signore volle donare alla sua Chiesa le Scritture, e la vincolò ad esse, e reciprocamente, donandole anche la loro interpretazione. Il Si-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

gnore costituì la Chiesa in modo tale, che la sua celebrazione ininterrotta rivolta a Lui assuma i contenuti concreti della Vita di Lui sempre e solo dalle Sante Scritture, in pratica dall'Evangelo, illustrato dal resto dei Due Testamenti. Perciò l'intera Chiesa, e qui in specie i lettori ed ascoltatori durante la celebrazione, possono esprimere e vivere in modo adeguato la loro esistenza di fede solo attraverso la Scrittura, intesa co-me contenuti divini ed umani, linguaggio divino ed umano, i suoi se-gni-simboli, le sue visuali salvifiche, le sue dinamiche che portano al-l'adempimento finale.

b) II "commento liturgico " delle ScrittureLa Chiesa legge le Sante Scritture come l'unico "suo libro della fe-

de", come il suo immane Tesoro detenuto "nel pacifico possesso della fede". Il luogo fontale e nodale di questa lettura è la Liturgia. È anche il luogo d'incontro di diverse esigenze convergenti: quelle del Testo sa-cro intangibile, quelle della Liturgia ineludibile, quelle dei fedeli in at-tesa. Sono queste le preoccupazioni (coscienti, ma per lo più implicite) della Comunità celebrante e perciò leggente ed ascoltante.

Ora, questa Comunità sa anzitutto che non deve in primo luogo af-frontare il Testo sacro come se fosse oscuro, difficile, resistente a priori a farsi comprendere (questa è la preoccupazione dei commentatori mo-derni). Ma in primo luogo accoglie il Testo come Cristo stesso presente nella sinassi, perciò lo saluta con acclamazioni dossologiche, lo accom-pagna con le luci, il celebrante lo bacia e con esso traccia sull'assemblea il segno della croce. Questo è il segno che il Testo porta con sé sostanza, gioia e luce. Si riveda qui la preghiera riportata sopra, che il celebrante recita in rapporto al diacono che si prepara a proclamare l'Evangelo.

Il primo scopo dell'omelia (ma anche dei commenti liturgici scritti) quindi non è superare le eventuali difficoltà del testo, senza per questo negare che esistano. Ma è entrare attraverso la celebrazione in gioiosa "connaturalità" con esso; è la "conoscenza per connaturalità" dei grandi spirituali, frutto della Grazia accettata con sinergia docile di affina-mento. Tale sintonia profonda trova con gioia nel Testo letto ed ascolta-to "il più" ogni volta, comparando l'ascolto di "oggi" con i significati ricavati da ogni altro ascolto precedente, così che ogni fedele possa completare e confermare la sua visuale di fede, articolata come storia della salvezza propria che giunge all'"oggi qui per noi", ma non vi si arresta. Quello che si chiama la "comprensione del testo" in tale situa-zione è molto più che un'intelligenza operata dall'intelletto, essa invece si commisura con il vissuto di fede dei lettori e degli ascoltatori della Scrittura.

Il Testo sacro stesso dichiara continuamente la sua funzione inten-zionale e programmatica di farsi promozione e trasmissione di espe-

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

rienza salvifica. Per l'A.T. si potrebbero qui citare i grandi testi del Deuteronomio, il quale istituisce una vera mistagogia trasmissiva del-l'esperienza salvifica originaria: Dt 4,9-10; 11,18-20; 29,23-27, ed altri, ma in modo singolare 6,4-5, sulla massima di tutte le esperienze umane salvifiche, l'amore verso il Signore Unico. "Questa generazione" ha il dovere di trasmettere ed "inculcare ai figli". E Mosè insiste mistagogi-camente sull'"oggi" come fatto generazionale: "Ed io non solo con voi sancisco questa alleanza a questo giuramento, bensì lo sancisco sia con quello che oggi sta davanti al Signore Dio nostro, sia con quello che oggi non sta qui con noi" (Dt 29,13-14). Già l'esperienza della libera-zione dell'esodo si dilata verso il futuro in una mistagogia tridimensio-nale: le generazioni future dovranno conoscere dai padri il senso del sangue dell'agnello (Es 12,26-28), del pane azimo (Es 13,8-10), della consacrazione dei primogeniti (Es 13,14-16). Questo però nel contesto della liturgia, come prescrive infatti" il Sai 77,1-8, un "Salmo didattico storico", dove l'Orante è anche mistagogo ed omileta esortatore:

Attendete, popolo mio, alla Legge mia,chinate gli orecchi vostri alle parole della bocca mia:io aprirò con parabole la bocca mia,farò risuonare enigmi dall'inizio:quanto ascoltammo e lo conoscemmoed i padri nostri narrarono a noi,non fu nascosto ai figli loro nella generazione altra,annunciando essi le lodi del Signoree i fatti mirabili di Lui, che compì.E si levò una testimonianza in Giacobbee legge si pose in Israele:quanto fu ordinato ai padri nostridi informarne i figli loro,affinchè conosca la generazione altra,i figli che sarebbero stati partoriti,e si leveranno e lo annunceranno ai figli loro,affinchè pongano in Dio la loro speranzae non si dimentichino le opere di Dioe ricerchino i precetti di Lui,affinchè non diventino come i padri loro,una generazione distorta ed irritante,una generazione che non rese retto il suo cuore,e il cui spirito non confidò in Dio.

Nel N.T. il Signore stesso fa di questo il precetto cogente, il cui adempimento esalta l'ascoltatore alla grandezza del Regno dei cieli (Mt

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

5,19b), ma solo se lo avrà anche insegnato. E come riassunto finale si scolpiscono le parole del congedo che il Risorto consegna per sempre ai discepoli di allora: insegnare ad osservare ai battezzati tutti i precetti da Lui insegnati: Mt 28,20a, promettendo contestualmente la sua inde-fettibile Parousia: v. 20b.

e) La Liturgia "lègge "per eccellenzaSui Testi biblici letti, come l'A.T. ed il N.T., o proclamati, verbo che

compete solo ai 4 Evangeli, si può esercitare una forma di commento. L'uso è così antico ed affermato, che risale alle tradizioni originarie dell'A.T., come al Deuteronomio, che è un'immensa mistagogia sui "detti e fatti" del Signore; esso era normale nella liturgia del tempio, secondo il prescritto di Dt 31,9-14; era la norma della sinagoga, Neh 8-10; Le 4,16-21. Nella Chiesa non poteva che essere uso recepito dal Si-gnore, e se ne trova una precisa descrizione in S. Giustino Martire, 1 Apologia 61 (circa dell'anno 150).

Tale commento nella forma principale si trova nell'omelia mistago-gica celebrativa. Gran parte dei commenti biblici dei Padri sono di que-sto genere letterario squisito, messi poi per scritto (anche dietro eleganze di rielaborazione letteraria). Ora, il primo fatto qui, come già accennato, è che il Testo sacro non si presenta come "oscuro", "difficile", "resistente" all'immediata comprensione, e quindi non esige di essere anzitutto "spiegato". Al contrario, se si guarda ad esempio come l'E-vangelo "viene" con la "piccola Éisodos" al popolo, già la sua solen-nità di apparizione apporta luce e gioia: l'Evangeliario è l'icona spazia-le temporale della Resurrezione, "segno" della venuta del Signore co-me Verbo incarnato tra gli uomini, ed il gioioso saluto alleluiatico pri-ma e dossologico dopo segna l'incontro tra questa Parola vivente ed il popolo che la attende. Si crea una sintonia ed una tensione.

La Comunità così "oggi qui" accetta dal Testo sacro un "di più", assommato, va ancora insistito, a quanto l'esperienza spirituale ha già accumulato. In genere si usa parlare di "colore liturgico" che ciascuna celebrazione conferisce al Testo sacro. E si dice che la Liturgia sia una "monotonia magnifica", perché in apparenza è sempre la medesima, mentre in realtà anno per anno la medesima celebrazione di una Do-menica o di una Festa non è la medesima dell'anno prima. Il Testo è modalizzato e relativizzato senza alcuna modificazione né adattamen-to deteriore, alla sua spiegazione in atto ed alla sua comprensione in atto: l'omileta così insiste su alcuni significati del Testo sacro insieme con i testi liturgici, dunque Testo sacro mai isolato dalla contestualità liturgica, e, anche se non lo sa, contribuisce a costruire altri significati risultanti dalle realtà storiche bibliche di "oggi" e dal sentire spirituale "qui di noi".

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CAP. 3 - LA SCRITTURA NELLA LITURGIA

La Scrittura subisce sia la "lettura liturgica", sia la "lettura divina" che ciascun fedele è tenuto a condurre ogni giorno da solo o anche in gruppo se vuole prolungare la grazia della celebrazione. Ora, il Testo sacro con i suoi infiniti significati non tende a far cercare altre realtà prima sconosciute, ma vuole confluire il più possibile nella compren-sione del lettore e dell'ascoltatore, tanto più in quanto essi siano spiri-tualmente avanzati.

Non sorprende allora che in fondo i veri lettori ed ascoltatori e com-mentatori (per se stessi e per i fratelli) delle Scritture sono unicamente i santi spirituali delle Chiese. In essi i dati biblici si sommano con la lo-ro avanzata condizione spirituale. Da essi questo avviene per quanto possibile nei fedeli. Si pensi qui ancora una volta all'avanzamento che si nota nei Padri tra le catechesi ai catecumeni, le catechesi mistagogi-che ai battezzati, le omelie mistagogiche celebrative ai fedeli.

E così avviene per l'accostamento di testi disparati di una celebra-zione dei divini Misteri: le Antifone salmiche, YEisodikón, il Prokéi-menon e lo Stichos, YApóstolos, l'Alleluia e lo Stichos, l'È vangelo, il Koinónikón, a cui si aggiungono le parole della Chiesa: quelle interval-late nelle Antifone, i Tropari, il Megalynàrion, YApólysis. Agli specia-listi di esegesi questo appare del tutto arbitrario. Ma è il mezzo sovrano per cui l'occasione liturgica fa confluire quel materiale, sovranamente e genialmente disposto, con le condizioni della Comunità celebrante. So-no scelte maturate in secoli di esperienza orante, all'ascolto continuo del Signore che parla al cuore nella sua Parola vivente, in ambienti co-me quello delle cattedrali e dei monasteri dove l'atmosfera spirituale era densa e vissuta.

Certo, "da fuori", secondo scienze "obiettive", con opzioni culturali non esenti da nominalismo e razionalismo rigettanti la teologia simbo-lica, tutto questo è un mondo estraneo, quasi sempre non apprezzato.