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Luca Rastello IO SONO IL MERCATO Luca Rastello IO SONO IL MERCATO COME TRASPORTARE COCAINA A TONNELLATE E VIVERE FELICI TEORIA, METODI E STILE DI VITA DEL PERFETTO NARCOTRAFFICANTE

Io sono il mercato

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di Luca Rastello. Come trasportare cocaina a tonnellate e vivere felici: teoria, metodi e stile di vita del perfetto narcotrafficante.

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“LA SITUAZIONE È PARADOSSALE. SI PROMULGANO LEGGI SEMPRE PIÙSEVERE CONTRO IL RICICLAGGIO NELLE BANCHE LEGALI MA AL TEMPOSTESSO L’INFILTRAZIONE DEL CAPITALE CRIMINALE NELL’ECONOMIALEGALE ASSUME PROPORZIONI SEMPRE PIÙ INQUIETANTI.”

Jean Ziegler

Questa è la storia di uomini normali, insospettabili padri di famigliasaliti al vertice del narcotraffico internazionale. Una storia “criminale”, raccontata da uno dei protagonisti, che svelale astuzie del sistema cocaina, ma anche la vita e le abitudini deigrandi trafficanti. I pesci grossi, quelli che non ingoiano gli ovuli nétrasportano la droga nei doppi fondi delle valigie, ma nei cargo, neicontainer, a tonnellate alla volta. Uno sguardo dall’interno. Un nuovo punto di osservazione per capirecome l’economia illegale riesce a infiltrarsi nell’economia legale e acondizionarla. Perché la coca, oltre i cliché hollywoodiani e le notiziediffuse da tv e giornali, è un affare straordinariamente redditizio chefinanzia guerre, conferisce potere e ridisegna i rapporti internazionali.

Luca Rastello è giornalista de “la Repubblica” e direttore responsabiledi Osservatoriobalcani.org. Specializzato in economia criminale e re-lazioni internazionali, ha diretto “Narcomafie” e “L’Indice”, e ha lavo-rato come inviato per il settimanale Diario. Ha scritto per Einaudi LAGUERRA IN CASA (1998) e per Bollati Boringhieri il romanzo PIOVEALL’INSÙ (2006).

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IO SONO ILMERCATO

COME TRASPORTARE COCAINA ATONNELLATE E VIVERE FELICI

TEORIA, METODI E STILE DI VITA DELPERFETTO NARCOTRAFFICANTE

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Pamphlet, documenti, storie

REVERSE

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Michele Ainis, Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto,Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi,David Bidussa, Paolo Biondani, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo,Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza, Olindo Canali,Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Andrea Casalegno, Carla Castellacci, Massimo Cirri,Fernando Coratelli, Pino Corrias, Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro,Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella, Massimo Fini,Fondazione Fabrizio De André, Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli,Vania Lucia Gaito, Pietro Garibaldi, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi,Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi,Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Guido Harari, Ferdinando Imposimato,Karenfilm, Giorgio Lauro, Marco Lillo, Felice Lima, Giuseppe Lo Bianco,Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Giorgio Meletti, Luca Mercalli,Lucia Millazzotto, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello,Alberto Nerazzini, Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Antonio Padellaro, Pietro Palladino,David Pearson (graphic design), Maria Perosino, Renato Pezzini, Telmo Pievani,Paola Porciello (web editor), Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera,Sandro Provvisionato, Luca Rastello, Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati,Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Laura Salvai,Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano,Matteo Scanni, Roberto Scarpinato, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò,Bruno Tinti, Marco Travaglio, Elena Valdini, Carlo Zanda.

chiarelettereAutori e amici di

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“Quello che vieneproposto qui non è uno sguardo sul mondocriminale, ma uno sguardocriminale sul mondo.”

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fa pagina 51PRETESTO2PRETESTO2

“Molti pensano che la roba arrivi in Europa nei sottofondi nascosti di valigie, negli ovuli inghiottiti dai corrieri... Non è così. Oggi i piccoli corrieri servonosoprattutto a essere sacrificatisull’altare delle buone relazioni con le polizie occidentali.”

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“Se il narcotraffico venissedebellato, l’economia degli Stati Uniti subirebbeperdite comprese tra il 19 e il 22 per cento, mentre quella messicana vedrebbe un crollo del 63 per cento.”

“Devi fare in modo di non essere controllato.Questo è possibile solo sela roba viaggia nei carichi di grandi aziende, note in tutto il mondo,insospettabili.”

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© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano

ISBN 978-88-6190-027-1

Prima edizione: febbraio 2009

www.chiarelettere.itBLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA

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chiarelettere

Luca Rastello

Io sono il mercato

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Luca Rastello è nato a Torino il 9 luglio 1961. È giornalista, lavora per «laRepubblica» ed è direttore responsabile di Osservatoriobalcani.org. Specializ-zato in economia criminale e relazioni internazionali, è stato direttore di«Narcomafie» e del mensile «L’Indice», e ha lavorato come inviato per ilsettimanale «Diario». Oltre che nei Balcani, di cui si è occupato nel volume Laguerra in casa (Einaudi 1998) e in vari saggi – alcuni dei quali in Introduzione almondo nuovo. Scenari, attori e strategie della politica internazionale (a cura diFabio Armao e Anna Caffarena, Guerini 2006), in Kosovo 1999-2000: la paceintrattabile (a cura di Francesco Strazzari, Asterios 2000) e su varie riviste fra cui«Limes» e «Lo straniero» – ha lavorato in Asia centrale, Caucaso, Corno d’Africae in Centro e Sudamerica, in particolare in Argentina, Bolivia, Venezuela eAntille olandesi. Per molti anni ha collaborato a progetti di cooperazione con leAgenzie della Democrazia locale nei paesi balcanici e con l’Italian Consortiumof Solidarity. Oltre ai testi citati, ha all’attivo il romanzo Piove all’insù, edito daBollati Boringhieri.

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Preludio con teologo 3

Introduzione 11

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Prima lezione. Il problema 19La crisi del sistema-corruzione anni Ottanta e la guerra dei cartelli colombiani

Seconda lezione. Metodi per il movimento spicciolo 50L’avvento dei “cartellini” e dei piccoli corrieri, le “mule”

Terza lezione. I trasporti continentali 74Da Cuba alla Via sud: il traffico per l’Europa piega a meridione

Quarta lezione. La soluzione 110Agire autonomamente: io, manager dei grandi trasporti

Quinta lezione. La pietra filosofale 133Muoversi “al buio” usando la copertura di aziende famose e insospettabili

Epilogo 159

Sommario

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Guardami. Io sono il mercato. Sono il mondo com’è. Alla fine, se mi avrai seguito con attenzione, sarai in grado di mettere su da solo i tuoi affari. Prima di iniziare, però, ti racconto una storia.

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Preludio con teologo

Questa storia termina all’aeroporto internazionale Mai-quetía di Caracas. Padre Antonio vive in un barrio moltopovero della capitale. La sua parrocchia è fatta di quattropali, due assi da cantiere e una copertura di lamierino on-dulato da tettoie. La frequentano solo disgraziati. Padre An-tonio campa a malapena. Ma – purtroppo per lui – è unapersona istruita, un teologo. Uno che nelle notti di ango-scia pensa: «Sono qui da sei anni e tengo Nostro Signore inuna cassetta da frutta con un po’ di carta stagnola intorno».D’accordo: Dio non ha una casa e la sua casa è dovunque,ma il povero padre Antonio pensava che almeno un po’ dibellezza fosse necessaria per rendergli omaggio. Pensava cheil bene comprende la bellezza. Vero è – così si diceva – cheanche la povertà può essere sublimata in bellezza assoluta.

In quanto persona istruita, padre Antonio un giorno fuinvitato a una conferenza a Bogotà, un grande raduno cheprevedeva anche tre pomeriggi di esercizi spirituali. Ovvia-mente non aveva un soldo per il viaggio, e gli toccò batterecassa alla curia, ente parsimonioso, se mai ve ne furono.All’aeroporto di Bogotà, nonostante le scarse finanze, pa-dre Antonio cercò un taxi per andare in centro, ma i taxierano tutti stracarichi, con la gente attaccata agli sportelli;così vanno le cose da quelle parti. E dunque eccolo lì il no-stro padre, fermo come un pandoro sul piazzale degli arri-

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vi. Un pandoro in tonaca attira l’attenzione, però, così untizio si fa avanti e gli offre un passaggio. Padre Antonio ac-cetta, probabilmente perché non sa che cosa passa per latesta del suo benefattore. Qualcosa come: «Ho un prete difianco. Chi vuoi che mi fermi?». Ovviamente il tizio ha ilcofano pieno di coca, vede il sacerdote perso e prende lapalla al balzo. Le strade di Bogotà sono intasate, c’è tempoper fare amicizia e conversare. I due legano, il tizio ascolta,si interessa, e padre Antonio gli racconta il barrio, la chie-sa, la fame, la terra scivolosa delle alture che alla primapioggia se ne va giù verso valle con tutte le baracche deisuoi parrocchiani. L’altro si commuove, e il frate, che a suomodo non è del tutto ingenuo, pensa che forse ha preso al-l’amo un donatore.

«Quando torna a Caracas, padre?»«Fra tre giorni.»«Le lascio il mio numero. Mi chiami, l’accompagno io

all’aeroporto.»È fatta, pensa il sacerdote: tre giorni di esercizi spirituali

e due passaggi, e probabilmente alla fine ci scappa ancheuna piccola offerta. Un bel guadagno per uno che in tascanon ha altro che un pagherò intestato alla segreteria vesco-vile. Solo che l’offerta non è per niente piccola, almenonelle dimensioni in cui è abituato a pensare un prete di pe-riferia: all’imbarco, sulla via del ritorno, gli scivolano inmano cinquemila dollari tondi tondi. Il parroco non credeai suoi occhi, incomincia a vedere un pavimento per la suachiesa, una bella gettata di cemento, con le fondamenta etutto, e almeno per qualche anno sarà certo che la parroc-chia non se ne andrà a valle con il fango. Naturalmente isoldi del colombiano finiscono subito, ma padre Antonioha conservato il numero di telefono del suo benefattore, lochiama, lo ringrazia, chiede.

E una volta di più l’altro lo stupisce: «Vengo io a Cara-cas, padre, ci vediamo lì».

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È senz’altro una persona devota.Il parroco gli mostra la colata di cemento, illustra i suoi

progetti, fa capire di avere bisogno di aiuto. L’altro fa fin-ta di pensarci su, in realtà ci ha già pensato: «Posso aiutar-ti, padre. Ma il mio aiuto potrebbe offendere la tua co-scienza».

È già passato al tu. «Soldi non te ne posso dare. Ma tiposso dare di meglio. Coca. La migliore che c’è. Guardache te la regalo!»

Ovviamente il frate subito inorridisce, ma la tentazioneè grande quanto il problema della sua coscienza. Intornoa lui c’è gente malata, fame, violenza, nessun controllo.Alla sua mente si affaccia un paragone da teologo: come èstata costruita San Pietro a Roma? Con i soldi che cadonodalla cassetta dell’elemosina e l’anima che sale beata al pa-radiso? No: lui lo sa che le grandi opere d’arte del Rinasci-mento stanno in piedi perché sono impastate del sanguedella povera gente. La stessa che soffre tutto intorno a luinelle fangaie del barrio. Eppure la basilica romana ora c’è.Ed è un esempio per il mondo. Di più: un conforto, unrifugio per quegli stessi che ne hanno portato il peso sullespalle. Gli ultimi. È il simbolo stesso della cristianità, ilmessaggio più rivoluzionario di tutti i tempi scolpito persempre nel colonnato, nelle cupole, nei grandi altari. Pa-dre Antonio non vuole costruire una basilica, non cercaopere d’arte. Tutto quello che desidera è una chiesa de-cente. Oltre a questo, sa bene che le sue pecorelle già com-prano coca in giro, e chissà con che schifezze è tagliata.Controllarle potrebbe essere un bene. Un modo per limi-tare i danni.

Potrei dargliela io. E i soldi con cui me la pagherebberoli metterei nella cassetta, al loro servizio. La chiesa sarebbelì a ricordare loro la retta via, la salute ne trarrebbe benefi-cio e l’anima anche. Che differenza c’è, alla fine, fra i mieisoldi e quelli di Leone X?

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Il bello è che il prete aveva ragione. E il trafficante diBogotà era davvero un uomo pio. E davvero gli forniva lacoca migliore del mondo: la perla.

La perla. Si chiama così perché appena la metti sul pal-mo della mano assume una consistenza quasi oleosa, conuna sfumatura di colore cangiante. Uno spettacolo. Robacosì se la possono permettere in pochissimi. Li conti a deci-ne in tutto il mondo. Non la fanno i grandi produttori, sol-tanto contadini che lavorano in proprio. Si produce in pic-cole quantità, richiede foglie mature, vecchie, non le foglio-line appena nate con cui si fanno i grossi raccolti, che sonoverzoline chiare. Quindi per fare la perla ci vuole tempo, ènecessario limitarsi a un minore sfruttamento della pianta,accontentarsi di un solo raccolto l’anno anziché tre. E l’ar-busto da cui esce la foglia è una pianta spontanea. Se la per-di non la ripianti tanto facilmente. Ha foglie più grandidelle piante da vivaio, quindi ben visibili dall’alto. E crescesolo ad alte quote, dove l’ossigeno è minore. Non puoi met-terla in filari se non vuoi essere bombardato dai defogliantinordamericani. Quindi nasce solo in appezzamenti picco-lissimi. E poi richiede di essere asciugata al sole, non al mi-croonde. Ben due volte: sia come foglia sia come pasta dicoca. La pasta poi viene pressata a mano come una volta, enon con la fitopressa per asciugare il caolino – la terra davasi – che ormai usano tutti i produttori.

La perla è incompatibile con la fretta. E la fretta è la ma-ledizione del grande narco. Tutto subito, e pagamenti cash,al brinco rabioso si dice in Sudamerica. Quindi macerazio-ne in vasconi all’ingrosso, acido cloridrico, etere per favori-re la volatilità delle impurità, acidi vari per estrarre l’alca-loide, tagli, asciugatura al microonde? No, la perla si fa amano, con l’aiuto del sole, e si impacchetta con olio puris-simo, commestibile. Calce di prima qualità per catalizzarel’alcaloide e produrre ossigeno. Poi la calce va tolta; di soli-to si fa con acido cloridrico e ammoniaca – è un metodo

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veloce che lascia un colorito giallo e brucia parte del prin-cipio attivo – mentre la perla si lavora solo con acetone edetere. L’acetone brucia soltanto quello che va bruciato, leimpurità, lo fa in modo naturale, lascia un colore roseo.L’etere volatilizza e dà la sfumatura perlacea, e la sostanzasi riduce: quando si precipita la calce, tutto avviene nellapasta. Quel che resta è al massimo un 6 o 7 per cento dibase. A questo punto il processo va ripetuto, con la pazien-za di un vecchio alchimista. Quindi il tutto viene bollito,lasciato macerare per tre giorni e infine di nuovo seccato.Al sole, ovvio. Solo di lavorazione hai impiegato almenodieci giorni dal momento del raccolto, contro i tre dellagrande produzione. Hai prodotto tutti gli odori del mon-do e quindi, se la tua fattoria non è ben lontana da tutto, tisei messo in gravi pericoli: hai lasciato fuoriuscire vaporitossicissimi conservando solo il meglio della sostanza. Ehai corso anche il rischio dell’«opera al nero»: con la lavo-razione a mano è più facile che la sostanza resti bruciatadagli acidi e venga fuori nera e dura come una pietra. Aquel punto sei rovinato: hai buttato il raccolto. Dalla nerapuoi al massimo ricavare il crack o la «base libera», da ina-lare con l’asciugamano in testa come quando hai il raffred-dore: roba micidiale, buona solo per i negri di Los Angeles.O per gli haitiani, che ci fanno palle col catrame. Roba daepidemia, pura dal 30 al 50 per cento al massimo, recupe-ro di scarti che all’ingrosso non vuole nessuno. La perla èuna meraviglia invece: minimo 96 per cento, ma produrlaè un costo, un rischio e una rinuncia. Va remunerata bene.Per esempio, c’è un contadino che la produce nella SierraGuajira. Meravigliosa. Lo strapaghi ma è bene che non nefaccia più di tre chili l’anno, per non snaturare il mercato eper non abbassare la qualità a vantaggio della quantità edella velocità di lavorazione. Slow food della giungla.

Padre Antonio non riesce a smettere di pensare: «Questacoca invece di andare in giro per il mondo ad abbrutirlo e

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scatenare il male, verrebbe sacrificata, sarebbe d’aiuto aipoveri, farebbe sentire meno infelici gli ammalati, costrin-gerebbe i parrocchiani a stare vicino al loro buon pastore».Un vero agnello vegetale. Anche il narco è entusiasta.«Non ti do della fede, amico mio – pensa – ma ti do qual-cosa che può aiutare la fede. E ti do la possibilità di una vi-ta decorosa per te e per il tuo quartiere maledetto dagli uo-mini.» Con un affare così, alla fine, un posticino in paradi-so ci scappa anche per il trafficante.

La mente del povero sacerdote si macera nei dubbi, maalla fine i benefici sono infinitamente superiori ai costi. Ein più al francescano – ovvio, francescano, ordine loico piùdi ogni altro – è venuta l’idea decisiva, quella che fa scatta-re il meccanismo: non distribuirà la coca, non la manderàin giro a fare danni. La farà consumare in parrocchia, sottocontrollo. Una santa shooting gallery. E per di più d’élite: visi consuma la migliore droga mai prodotta dall’uomo. E incondizioni di assoluta sicurezza. Del trasporto si occuperàlui personalmente, non vuole che le sue pecorelle sianocoinvolte in affari ambigui. Del resto i soldi per i viaggi ae-rei non sono più un problema, la chiesa di quartiere nasceed è solida, la comunità prospera, il paradiso quasi in terra.Sembra persino che non occorra più morire per raggiunge-re il Signore. Padre Antonio vola ogni tanto a Bogotà, harealizzato una tonaca con apposita cucitura negli orli, benfoderata, la roba la confeziona in panetti bislunghi che cu-ce all’interno del saio. Tutto sembra andare per il meglio,nessuno sbirro oserebbe mai far annusare una veste santadal suo cagnaccio, e poi all’aeroporto padre Antonio è per-sona nota ormai. Si sa che prende parte con fervore agliesercizi spirituali in tutto il continente.

Le macchine, invece, loro non hanno un’anima. Figurar-si poi macchine stupide come una scala mobile, congegnirozzi che puoi trovare in qualsiasi supermercato del Terzomondo. O aeroporto. Nastri metallici da poco prezzo, fatti

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con lamiere appena migliori di quelle che coprivano la vec-chia parrocchia di padre Antonio. Pezzi di latta male inca-strati l’uno nell’altro, capaci di agganciare l’orlo di una ve-ste lunga, tirarlo, trascinare a terra il malcapitato che la in-dossa, lacerarla, bucarla, far uscire tutto quel ben di Dio espargerlo, bianco come una perla purissima, accecante co-me un sole del Caribe, per tutta la hall dell’aeroporto.

Al processo padre Antonio fu condannato. Non se nepoteva proprio fare a meno: era capitato davanti a tutti,centinaia di occhi avevano visto, i giornali e la tv si eranobuttati a pesce su quella storia. Ma in carcere curarono difarlo stare il meno possibile. In fin dei conti c’è un giudicea Caracas. Ed è anche lui un uomo pio, capace di com-prendere le ragioni profonde di quello che è successo. Cosìil frate lo mettono dentro e poi, zitti zitti, lo lasciano anda-re subito. A suo favore ci sono decine di testimonianze: of-friva soltanto il consumo, non c’era vendita. Padre Anto-nio non era un trafficante. Non era in concorrenza con chivende al dettaglio, e neanche con chi vende all’ingrosso. Almassimo era in concorrenza con chi vende il paradiso aprezzi molto più alti del suo, per esempio con la morte cor-porale. Ma sono problemi che un buon teologo francesca-no sa come affrontare.

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Questa è la storia di uomini normali, insospettabili padri di famigliasaliti al vertice del narcotraffico internazionale. Una storia “criminale”, raccontata da uno dei protagonisti, che svelale astuzie del sistema cocaina, ma anche la vita e le abitudini deigrandi trafficanti. I pesci grossi, quelli che non ingoiano gli ovuli nétrasportano la droga nei doppi fondi delle valigie, ma nei cargo, neicontainer, a tonnellate alla volta. Uno sguardo dall’interno. Un nuovo punto di osservazione per capirecome l’economia illegale riesce a infiltrarsi nell’economia legale e acondizionarla. Perché la coca, oltre i cliché hollywoodiani e le notiziediffuse da tv e giornali, è un affare straordinariamente redditizio chefinanzia guerre, conferisce potere e ridisegna i rapporti internazionali.

Luca Rastello è giornalista de “la Repubblica” e direttore responsabiledi Osservatoriobalcani.org. Specializzato in economia criminale e re-lazioni internazionali, ha diretto “Narcomafie” e “L’Indice”, e ha lavo-rato come inviato per il settimanale Diario. Ha scritto per Einaudi LAGUERRA IN CASA (1998) e per Bollati Boringhieri il romanzo PIOVEALL’INSÙ (2006).

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