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ISSN 2724-1106 1/2021 chiuso il 31/03/2021 Rivista trimestrale – open access DIRETTORE RESPONSABILE: Prof. Ferruccio Auletta RESPONSABILI SCIENTIFICI: Prof. Gian Paolo Califano Prof. Renato Nazzini COMITATO SCIENTIFICO: Prof. Giovanni Verde - Prof. Salvatore Boccagna - Prof. Gian Paolo Califano - Dott. Eduardo Campese - Dott. Stanislao De Matteis - Prof. Francesco De Santis - Prof. Giuseppe della Pietra - Prof. Silvia Izzo - Prof. Rita Lombardi - Prof. Concetta Marino - Prof. Antonio Marzocco - Prof. Roberta Metafora - Prof. Renato Nazzini - Prof. Giovanni Raiti - Prof. Nicola Rascio - Prof. Silvia Rusciano - Prof. Fabio Santangeli - Dott. Marcello Sinisi - Dott. Sergio Zeuli - Prof. Ignazio Zingales REDAZIONE: Capo redazione: Dott.ssa Valentina Capasso Dott. Fabrizio De Vita - Dott. Luigi Rosario Luongo - Dott.ssa Antonella Raganati - Dott.ssa Paola Chiara Ruggieri - Dott.ssa Valeria Verde

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ISSN 2724-1106

1/2021 chiuso il 31/03/2021

Rivista trimestrale – open access DIRETTORE RESPONSABILE: Prof. Ferruccio Auletta

RESPONSABILI SCIENTIFICI:

Prof. Gian Paolo Califano Prof. Renato Nazzini

COMITATO SCIENTIFICO:

Prof. Giovanni Verde - Prof. Salvatore Boccagna - Prof. Gian Paolo Califano - Dott. Eduardo Campese - Dott. Stanislao De Matteis - Prof. Francesco De Santis - Prof. Giuseppe della Pietra - Prof. Silvia Izzo - Prof. Rita Lombardi - Prof. Concetta Marino - Prof. Antonio Marzocco - Prof.

Roberta Metafora - Prof. Renato Nazzini - Prof. Giovanni Raiti - Prof. Nicola Rascio - Prof. Silvia Rusciano - Prof. Fabio Santangeli - Dott. Marcello Sinisi - Dott. Sergio Zeuli - Prof. Ignazio

Zingales

REDAZIONE: Capo redazione: Dott.ssa Valentina Capasso

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ALESSANDRO PEPE

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Passato e futuro della Cassazione. A cent’anni dalla “Cassazione civile” di Piero Calamandrei *

SOMMARIO: 1. Premessa; 2. La Corte di cassazione quale organo di nomofilachia: un percorso ancora “in fieri”; 3. Alcune proposte concrete; 3.1. Le “massime” e l’Ufficio del Massimario; 3.2. Italgiureweb; 3.3. Il possibile rafforzamento della funzione nomofilattica della Corte; 4. Il ruolo della Procura Generale; 4.1 Il ricorso nell’interesse della legge. 1. Premessa Innanzitutto, ringrazio i colleghi della Formazione decentrata della Corte di cassazione per avermi invitato all’odierno convegno. Per me è un grande onore parteciparvi quale relatore e quale rappresentante del mio ufficio, la Procura Generale della Suprema Corte. Parlare de “La Cassazione civile” di Piero Calamandrei 1 è un’impresa davvero ardua. Si tratta di un’opera unica, una sorta di bibbia del diritto, che spazia tra la storia del diritto, l’ordinamento giudiziario e la procedura civile, e che come una vera e propria bibbia in questi cento anni è stata studiata, esaminata, scandagliata, commentata, criticata 2. Ed oggi, dopo appunto un secolo, essa rivela tutta la sua perdurante attualità. Perchè ancora oggi, o forse ancora di più oggi, si discute del ruolo della Corte di cassazione. 2. La Corte di cassazione quale organo di nomofilachia: un percorso ancora “in fieri” Quando, nel 1920, uscì la “La Cassazione civile”, l’opera recava in sé un fortissimo valore simbolico. Essa era un inno alla riunificazione delle cinque Corti di cassazione regionali dell’epoca, un inno ad un’istituzione che doveva diventare espressione dell’unità d’Italia. Un’unica Corte di cassazione italiana, quale luogo di applicazione e sintesi di un unico diritto italiano, aveva un valore simbolico enorme, per l’identità di una nazione (semi)nuova. E non si poteva più attendere oltre perché ciò accadesse. Dimentichiamo per un attimo il momento storico, il velo di oscurità che sempre più si addensava sui cieli italiani. La Cassazione unica era davvero un sogno per un giurista che voleva definirsi italiano. E il sogno doveva diventare al più presto realtà.

* Relazione dell’Autore, tenuta all’Incontro dibattito su «Passato e futuro della Cassazione. A cent’anni dalla “Cassazione civile” di Pietro Calamandrei», Organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, Struttura di formazione decentrata presso la Corte di cassazione e tenutosi in Roma, il giorno 11 novembre 2020. 1 Che noi possiamo leggere on line grazie alla meritoria iniziativa del Dipartimento di Giurisprudenza della Università di Roma Tre e della Fondazione Piero Calamandrei, che hanno riproposto in open access i 10 volumi delle Opere giuridiche del maestro fiorentino. La ristampa delle “Opere” da parte di Roma TrE-Press è con introduzione di CARRATTA, COSTANTINO e RUFFINI, Attualità di Piero Calamandrei processualista. 2 Vedi per tutti FINZI, Recensione a P. Calamandrei, in Arch. Giur., 1922, p. 107 ss.; SATTA, Corte di cassazione, voce dell’Enc. del Dir., Milano, 1962, X, p. 797 e ss.; CIPRIANI, Il progetto del guardasigilli Mortara e i due volumi di Calamandrei, in www.judicium.it, 2008, p. 791 e ss.

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E ciò avvenne di lì a poco, anche sotto la formidabile spinta dei due volumi di Calamandrei: nel 1923 nasceva la Corte di cassazione nazionale destinata ad assicurare l’esatta osservanza della legge senza differenze nell’intero territorio della penisola. La Cassazione, tuttavia, nacque coi retaggi del passato, delle supreme corti dei vari Stati preunitari che erano spesso corti di merito di terzo grado oltre (o più che) corti di legittimità. Il primo libro di Calamandrei è un formidabile percorso storico dalle origini del diritto sino ai suoi tempi, un percorso in cui uno snodo fondamentale era rappresentato dalle corti di ultima istanza degli Stati preunitari, ove le tradizioni degli organi di giustizia di terzo grado si mischiavano con le spinte innovative della Rivoluzione francese secondo cui la Cour de cassation doveva essere mero organo di controllo dell’azione dei giudici di merito che non dovevano esondare i propri poteri invadendo la sfera di competenza del legislativo. Una cosa, comunque, la si può dire. La Corte di cassazione italiana già nasceva “spuria”, un po' giudice di terzo grado del merito e un pò Cassazione francese. Pur se nel 1933, nel decennale della fondazione, il maestro fiorentino parla della Corte di cassazione unificata come della “porta per la quale la scienza del diritto entra più liberamente nelle aule di giustizia”, era una porta in cui oltre al diritto entrava molto il fatto, in quella confusione, contrapposizione, sovrapposizione tra ius constitutionis e ius litigatoris che sono sempre state una costante, permanendo sino ad oggi. Anzi, la situazione è via via sempre più peggiorata, perché i ricorsi si sono a poco a poco moltiplicati e il moltiplicarsi dei ricorsi è un indice di questa ansia di giustizia, che è di legittimità (esatta osservanza ed applicazione della legge) ma soprattutto di merito (decisione del caso concreto). Ma sul punto si tornerà dopo. Proseguiamo un attimo a comprendere cosa fosse esattamente la Corte di cassazione sorta anche grazie all’eccezionale spinta propulsiva e scientifica del Calamandrei. Sappiamo bene che per l’insigne giurista la funzione fondamentale che doveva avere la Corte di cassazione nazionale era quella di assicurare l’uniforme interpretazione della legge, onde “rimediare agli inconvenienti che derivano alla interpretazione giurisprudenziale dalla pluralità degli organi giudiziari dello stesso grado”. La Corte di cassazione, nel decidere i singoli ricorsi, doveva fissare i princìpì validi per il futuro, per consolidare il diritto vivente nascente dall’interpretazione giurisprudenziale e dare vita a regole valide appunto in via generalizzata per la risoluzione di casi futuri. Secondo l’autore, al fine di assicurare alla Corte questa funzione nomofilattica, il suo accesso doveva essere appunto limitato ai soli errores in iudicando, con esclusione del sindacato sugli errores in procedendo, ed inoltre dovevano essere introdotte misure tali da fissare un giusto rapporto tra il numero dei ricorsi da decidere e le capacità della corte di provvedervi, tanto che egli in seguito arrivò addirittura a scrivere che la Corte di cassazione “rende giustizia ai singoli soltanto nei limiti in cui ciò le possa servire per raggiungere il suo scopo di unificazione della giurisprudenza” 3. Ebbene, tali obiettivi non furono certo raggiunti né con l’istituzione della Cassazione unica nel 1923, né col nuovo ord. giudiziario e l’approvazione del codice procedura civile negli anni 40-41. Infatti, il r.d. 30 dicembre 1923 n. 2786, nell’indicare le funzioni dell’unica Corte di cassazione di Roma, adopera, con l’art. 61, la stessa identica espressione usata dalla legge

3 CALAMANDREI-FURNO, Cassazione civile, voce del Noviss. Digesto, Torino, 1968, II, p, 1056.

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sull’ordinamento giudiziario del 1865 n. 2626, ovvero che la Cassazione ha la funzione di assicurare “l’esatta osservanza della legge”. Dunque, restava ancora fuori la funzione nomofilattica tipica, che è soprattutto quella di assicurare la “uniformità della giurisprudenza” 4. E quando nel nuovo ord. giudiziario, entrato in vigore nel 1941, il nuovo (ed ancora attuale) art. 65 ord. finalmente riconosce il ruolo della Corte di cassazione di assicurare non solo “l’esatta osservanza” ma anche “l’uniforme interpretazione della legge”, e in definitiva “l’unità del diritto oggettivo nazionale”, era già entrato in vigore il nuovo codice procedura civile, che consentiva il ricorso per cassazione non solo per solo “per violazione e falsa applicazione di legge” (n. 3 dell’art. 360 c.p.c.), ma anche per errores in procedendo (n. 4 di detta norma) e per vizi di insufficiente e contraddittoria motivazione (n. 5 di detta norma). Se già la falsa applicazione di legge è un mezzo di censura che finisce per involgere un accertamento di fatto, presupponendo la ricostruzione della fattispecie concreta e la verifica se questa rientra nella ipotesi prevista dalla legge, è evidente che i mezzi di censura dei n. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c. sono tutti intrisi di valutazioni di fatto, di esame della vicenda concreta. La storica commistione tra giurisdizione di pura legittimità e di merito resta dunque pienamente attuale dopo le riforme degli anni 40-41. Con buona pace, o comunque forte riduzione, del ruolo principalmente nomofilattico della Corte di cassazione. Questa situazione, per così dire ibrida, è restata anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che nell’occuparsi della Corte di cassazione le assegna il ruolo di organo di garanzia a cui ricorrere sempre per violazione di legge e nei conflitti di giurisdizione, ma non introduce quanto voluto dallo stesso Calamandrei, ossia la costituzionalizzazione della sua funzione nomofilattica sancita dall’art. 65 ord. giud. Come risulta dai lavori dell’Assemblea Costituente, vi furono addirittura spinte a reintrodurre le Cassazioni regionali e Giovanni Leone voleva che fosse prevista una norma che statuisse l’obbligo di tre gradi di giurisdizione. Tali proposte non passarono ma non passò nemmeno quella del Calamandrei, e l’impostazione complessiva della Carta fondamentale non caratterizza la Corte di cassazione per la sua funzione nomofilattica, che è ulteriore e diversa rispetto a quella indicata dagli ultimi commi dell’art. 111 Cost., della Corte quale giudice di ultima istanza destinataria dei ricorsi delle parti a garanzia della legalità delle decisioni. E se la previsione di tale funzione nomofilattica non emerge dall’art. 111 Cost., nemmeno la si può rilevare da altre norme della Costituzione. In particolare, nulla ci dice l’art. 24, che anzi, nell’assicurare l’inviolabilità del diritto di azione, apre la strada ad un’estensione dell’ambito di operatività del ricorso di ultima istanza previsto dall’art. 111. Ed ancora, l’art. 101 comma 2, nell’assoggettare i giudici esclusivamente alla legge, di certo non valorizza la funzione di indirizzo e conformazione giurisprudenziale. Infine, l’art. 3, imponendo l’uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini dinanzi alla legge, sottende una funzione giudiziale volta non tanto a creare regole astratte bensì a tutelare nei casi concreti i diritti dei cittadini 5. Insomma, il quadro complessivo pare escludere la consacrazione costituzionale della funzione nomofilattica della Corte 6.

4 Sul punto, vedi SCARSELLI, Note sulla crisi della cassazione (civile) e sui possibili rimedi, in www.judicium.it, § 2; nei medesimi termini TARUFFO, Il vertice ambiguo, Bologna, 1991, p. 63. 5 Così SCARSELLI, op. cit., par. 5 6 Conclude in senso opposto LUPO, La Corte di Cassazione nella Costituzione, in Atti del convegno “Giurisdizione e giudici nella Costituzione”, Roma 18 giugno 2008, in Quaderni del CSM 2009, p. 80 ss.

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Questo non significa che tale funzione non vi sia, perché essa è imposta dall’art. 65 ord. giud. Solo che, non avendo un’immediata copertura costituzionale, non ha quella centralità che forse sarebbe stata necessaria per individuarla come priorità assoluta. E’ un obiettivo da raggiungere, ma non è la priorità. Tuttavia, il reale e grande problema che rende oggi, più di ieri, assai complesso il perseguimento di questo obiettivo è dato soprattutto dai numeri. Abbiamo visto che Calamandrei riteneva che per far funzionare la Corte ai fini nomofilattici occorresse un giusto rapporto tra il numero dei ricorsi da decidere e le capacità della corte di provvedervi. Se l’autore potesse oggi leggere le statistiche inorridirebbe. Basta fare un confronto: nel 1923, quando nasce la Cassazione unica, erano decisi circa 3600 ricorsi, nel 2019 ne sono stati decisi quasi 35.000. 10 volte in più. E nemmeno la riforma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., operata nel 2012, è riuscita a fermare questi numeri: oggi vi è una vera e propria valanga di contenzioso che attraversa la sacra porta del Palazzaccio; si può dire che solo il Covid 19 è riuscito a ridurre questa valanga, ma anche in questo caso solo in parte (nel 2020 la produttività per evidenti ragioni si è ridotta, ma in numeri sono sempre record; ad oggi siamo arrivati a più di 28.000 provvedimenti depositati 7). Che i ricorsi oggi siano soprattutto di merito e non abbiano valenza nomofilattica emerge dalla stessa distribuzione del lavoro operata dalla Corte di cassazione. Sappiamo che oggi, dopo le miniriforme del 2013 e del 2016, i canali decisionali sono quattro: - il ricorso può andare alla Sesta sezione civile, dove in sede camerale e senza la partecipazione del PM, si decidono i ricorsi manifestamenti fondati, infondati o inammissibili (art. 380 bis c.p.c.); - può essere assegnato all’adunanza camerale per così dire ordinaria, dove, con la presenza solo facoltativa del PM (che se lo ritiene deve intervenire per iscritto), vengono discussi i ricorsi che non presentino questioni di particolare importanza e di rilievo nomofilattico (art. 380 bis.1 c.p.c.); - viene assegnato all’udienza pubblica a fronte della “particolare rilevanza della questione di diritto” su cui si deve pronunciare (art. 375 comma 2 c.p.c.); - infine, viene assegnato alle Sezioni Unite se vi siano contrasti tra sezioni semplici o sussista una “questione di massima di particolare importanza” (art. 374 comma 2 c.p.c.). Premesso che la distinzione fra presupposti per la rimessione alla pubblica udienza e alle Sezioni Unite, al dell’esigenza di risolvere contrasti, è abbastanza incerta (è difficile spiegare che “particolare rilevanza della questione di diritto” è qualcosa di diverso da “questione di massima di particolare importanza”), in questa sede rileva evidenziare che la Corte di cassazione ha scelto di adoperare in modo sempre più massiccio i due canali camerali (quello di Sesta e quello per così dire intermedio), tant’è che oggi meno del 30 % dei ricorsi è deciso in udienza pubblica. Questo dato significa che in più del 70 % dei casi la Corte ritiene che le controversie attengono, almeno in prevalenza, allo ius litigatoris. Quest’ultimo entra del tutto legittimamente, e con facilità, nelle sacre stanze del Palazzaccio, vista la scelta del codice di rito del 1941, che come detto da un lato ha costruito il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. anche come “falsa applicazione di legge” (art. 360 n. 3 c.p.c.), mezzo di censura che finisce per involgere un accertamento di fatto presupponendo la ricostruzione della fattispecie concreta e la verifica se questa rientri (sia sussumibile) nella ipotesi prevista dalla legge; dall’altro ha previsto anche i mezzi di censura dei n. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., che

7 Ci si riferisce alla data del 9 dicembre 2020, di stesura finale di questa relazione scritta.

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sono intrisi di valutazioni di fatto, di esame della vicenda concreta, sotto il profilo processuale e della motivazione della pronunzia. È evidente che un primo argine può essere rappresentato dalla nuova formula dell’art. 360 n. 5 c.p.c., che alla “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” ha sostituito “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione per le parti”. I numeri sopra citati ci dicono che l’argine non è servito perché dal 2012 in poi la crescita non si è ridotta. Ma comunque si tratta di un argine che spetta ai giudici di legittimità impiegare al meglio, per rispettare il nuovo dato normativo ed evitare di reintrodurre surrettiziamente il vecchio vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. L’ansia di decidere nel merito può essere foriera di superamenti del chiaro dato testuale del nuovo n. 5 dell’art. 360 e può produrre effetti negativi rispetto alla primaria funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione. Devo dire che in genere la Corte di cassazione sta “resistendo” in relazione al nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., anche se poi ha allargato molto le maglie dei “fatti” la cui omissione è censurabile, passando dai fatti principali a quelli secondari, e poi ai fatti processuali, intesi come prove non esaminate o non ammesse. Ma l’argine rischia di cadere, in questa ansia di decidere nel merito, ad esempio se si costruisce come vizio ex art. 115 c.p.c. la falsa percezione di una prova, oppure si amplia il sindacato di falsa applicazione di legge fino a censurare a monte la ricostruzione della fattispecie concreta invece di limitarsi a censurare l’inquadramento di una fattispecie concreta in una norma. Non è questa la sede per parlare di ciò e di formulare critiche alle soluzioni alcune volte adottate dalla Corte di cassazione 8. In termini generali ci si può limitare a dire che oggi le spinte formalistiche, molto accentuate sino a pochi anni fa ed ispirate in particolare alla infelice introduzione dell’obbligatorietà dei “quesiti di diritto” (altro maldestro tentativo del legislatore di ridurre il numero dei ricorsi per cassazione), hanno lasciato lo spazio a spinte sostanzialistiche, ispirate anche dalla giurisprudenza europea sul diritto della parte ad una decisione di merito. Sino a pochi anni fioccavano pronunzie di inammissibilità dei ricorsi, oggi le inammissibilità si sono molto ridotte. Questo è un risultato commendevole, in linea coi valori costituzionali ed europei, ma questa prospettiva è ben diversa dalla eliminazione dei limiti oggettivi del giudizio di legittimità. Il “fatto”, lo si è già detto tante volte, già entra nel giudizio di legittimità, ma non lo si può fare entrare oltre i limiti del lecito, pena la totale distorsione del ruolo e della funzione della Corte di cassazione, che non è un semplice giudice di terzo grado. Non può e non deve esserlo, soprattutto oggi, in cui la nomofilachia è un valore sempre più irrinunciabile. Si è visto sopra che l’obiettivo di conformare la giurisprudenza possa nascondere un pericolo: una giurisprudenza unica, creata e controllata dall’alto, può avere risvolti anche illiberali e autoritari; e forse non è un caso che la Cassazione unica e l’art. 65 ord. giud. siano prodotti del periodo fascista.

8 Sulla censurabilità quale vizio ex art. 115 c.p.c. di una falsa percezione di una prova vedi ad esempio Cass. 9356/17 e 27033/18, secondo cui “In materia di ricorso per cassazione, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c., per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte”.

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Non è la sede questa per fare la storia della Corte di cassazione. Basta ricordare solo che la Corte di cassazione nasce, in Francia, come organo politico di controllo “contro” i tribunali di merito, onde evitare gli sconfinamenti di questi in danno del potere legislativo. La Corte di cassazione, diventato organo della giurisdizione, ha sempre avuto in fondo questa funzione di controllo sui giudici di merito. Il suo stesso nome, “Cassation” (cassare le sentenze), evoca, sublima, consacra questa funzione. Che è diventata sempre più rilevante perché sempre più rilevante è diventato il potere del giudice, del singolo giudice, appunto non chiamato solo ad applicare da legge ma anche ad interpretarla. Sappiamo che il vero gradino salito che ha portato la magistratura ad avere un ruolo (pre)dominante nella società moderna è il monopolio sull’interpretazione della legge, quel luogo intermedio tra diritto scritto e fatto che crea il diritto vivente, il diritto giurisprudenziale, luogo ove dall’astrazione della norma si passa alla sua applicazione concreta tenendo conto dei reali accadimenti, delle reali controversie venute in essere. È un potere immenso. Un potere forse più grande di quello legislativo, perché la giurisprudenza colmando il vuoto fra norme astratte e fatti concreti copre uno spazio enorme, lo spazio in cui appunto vive (si evolve, si trasforma e via via cresce) il diritto concreto. Ne deriva che controllare e conformare la giurisprudenza significa di fatto controllare l’applicazione del diritto in un Paese. Una funzione delicatissima, espressione di un potere enorme. Che se mal esercitato può dare vita a risvolti autoritari ed illiberali, rendendo di fatto i magistrati non autonomi ed indipendenti. Questo spiega tutte le scelte della nostra Costituzione, in particolare la non consacrazione del ruolo nomofilattico della Corte di cassazione e la previsione secondo cui i giudici, i singoli giudici, sono soggetti solo alla legge. Essi sono soggetti solo alla legge, non alle interpretazioni date dalla Cassazione. Nella previsione dell’art. 101 Cost. c’è tutta la forza di questo principio democratico e liberale, di una magistratura non verticistica ed autoritaria, ma espressione un potere diffuso ed orizzontale, dove ogni singolo magistrato è autonomo ed indipendente e ha il diritto/dovere decidere in piena libertà, rispettando al contempo la propria coscienza e la legge. Tuttavia, il potere diffuso ed orizzontale, per essere autorevole, non deve apparire capriccioso o originale. L’applicazione ed interpretazione della legge non possono essere diverse a seconda dei tribunali; il mito della giustizia “dea bendata” non può essere proprio di uno Stato di diritto, il quale piuttosto deve fondarsi sulla certezza del diritto, garanzia dell’attuazione in concreto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini avanti alla legge. E la certezza del diritto diventa ancora più irrinunciabile in un mondo contraddistinto dal moltiplicarsi delle fonti, dall’emergere di sempre nuovi diritti, dalla costante giurisdizionalizzazione dei conflitti sociali, tutti o quasi tutti destinati a sfociare in un tribunale. I nostri padri costituenti nel dettare norme di garanzia come quella dell’art. 101 Cost. in tutta evidenza tendevano a scongiurare i pericoli di un improvvido verticismo e conformismo giudiziario. Erano timori comprensibilissimi all’epoca, ma tali pericoli sono sicuramente svaniti dopo più di 70 anni di attuazione dei princìpi costituzionali. Oggi la situazione è completamente opposta. Il pericolo non è quello del conformismo giudiziario ma piuttosto quello del moltiplicarsi delle interpretazioni e dei conflitti giurisprudenziali. E i giudici di merito in genere agognano certezze, punti di riferimento solidi, bussole idonee a governare la domanda di giustizia che esplode nelle loro mani. Il circuito giurisdizionale attuale non vede i giudici di merito in posizione di inferiorità culturale e tecnica rispetto ai giudici di legittimità, assolutamente. Vi è diversità di ruoli e di funzioni,

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ma non vi è alcun sistema verticistico. Il processo è un progetto di costruzione della casa, che parte dalle fondamenta (il primo grado) sino alla realizzazione del tetto (grado di legittimità), dove la realizzazione del tetto non è certo più importante della creazione delle fondamenta. Solo che per realizzare le fondamenta occorrono basi solide e ciò è possibile solo se vi siano punti fermi. E creare questi ultimi è compito dei giudici di legittimità. I quali non impongono le loro soluzioni, perché nel nostro sistema di potere diffuso e di precedente non vincolante non possono farlo, ma con la loro autorevolezza fungono da guida e da orientamento per tutti i giudici di merito e in definitiva per tutta la comunità. Insomma, oggi la nomofilachia non è più un pericolo (sotto i profili di cui sopra), ma l’unica ancora di salvezza. La tutela della durata ragionevole dei processi, del diritto di azione e difesa, del principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge rende irrinunciabile “aggrapparsi” alla nomofilachia: lo vogliono sicuramente i giudici di merito e i cittadini; e lo deve sicuramente volere uno Stato con la S maiuscola. In definitiva, può dirsi che oggi il sogno di Calamandrei sia più attuale che mai: nel senso che la nomofilachia deve essere l’obiettivo primario da realizzare. E la Corte deve essere pronta a combattere al meglio questa sfida: che è una sfida da vincere a tutti i costi, perché da essa, usando una formula che prima facie può apparire retorica ma non lo è, dipende la sopravvivenza dell’idea di giustizia in uno Stato democratico e moderno. 3. Alcune proposte concrete Vediamo ora se sono state poste le basi per vincere questa sfida. E, nella medesima ottica, quali siano i possibili accorgimenti rispetto al sistema attuale. Abbiamo visto sopra che il legislatore ha dato alla Cassazione la possibilità di distinguere i ricorsi, tra semplici, intermedi o di rilevanza nomofilattica, da assegnare rispettivamente alla Sesta civile, all’adunanza camerale e all’udienza pubblica. Con l’ulteriore ultimo gradino del ricorso alle Sezioni Unite per le questioni di massima di particolare importanza o per risolvere i conflitti interpretativi. La Cassazione ha utilizzato questi canali e come detto oggi meno il 30 % dei ricorsi civili conosce la strada dell’udienza pubblica. Questo in teoria significa che solo in questa ridotta percentuale si è in presenza di controversie che interessano ai fini nomofilattici. 3.1. Le “massime” e l’Ufficio del Massimario Ciò dovrebbe in teoria comportare che le “massime”, ossia i princìpi di diritto vivente vincolanti per la singola causa ma soprattutto validi come autorevoli precedenti per regolare le controversie future, dovrebbero essere fatte soprattutto per queste cause. Ed invece così non è. Noi oggi abbiamo tante massime ufficiali che riguardano ordinanze rese in sede camerale, e addirittura tante massime relative a controversie definite in Sesta civile, dove sono trattati, si ripete, i ricorsi manifestamente fondati, infondati e inammissibili. Questo sembra in contrasto con la scelta a monte compiuta dalla Corte di cassazione di non fissare l’udienza pubblica, con la conseguenza che si finisce per dar vita ad un numero rilevante di massime appunto sorte da controversie in partenza prive di rilevanza nomofilattica, in alcune delle quali, tra le altre cose, il Pubblico Ministero non può per definizione partecipare. A mio avviso dovrebbe essere stabilita una regola che esclude la possibilità di massimare le ordinanze rese in sede camerale, in primo luogo quelle rese in sede di Sesta. Questo faciliterebbe anche il lavoro del Massimario. E’ di tutta evidenza come quest’ufficio abbia un ruolo decisivo e centrale, nell’ottica nomofilattica. Il Massimario è il luogo in cui si

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affina la produzione giurisprudenziale della Corte per renderla appunto diritto vivente, a disposizione dei giudici di merito, degli operatori del diritto e dei cittadini in vista della risoluzione dei casi futuri. Soprattutto nella realtà attuale, di numerosi blog e siti che pubblicano i circa 30.000 provvedimenti annui della Cassazione civile (nel 2019 ben di più), deve essere l’ufficio del Massimario la sede deputata a filtrare tutta la ponderosa attività della Corte di cassazione per farne uscire le massime ufficiali, i princìpi di diritto vivente che fungano da guida ed orientamento per la futura soluzione di casi simili. Per ottenere questo, è fondamentale agevolare il lavoro dei magistrati del Massimario nei sensi di cui sopra (non chiedere la massimazione di provvedimenti resi in sede camerale) e, inoltre, è indispensabile che tali magistrati siano al più presto esonerati dalla funzione aggiuntiva oggi svolta (attualmente sono quasi tutti impegnati come consiglieri di supporto, in assoluta prevalenza nel tributario), in modo da restituirli alle funzioni originarie, tra cui appunto quella di massimazione. 3.2. Italgiureweb A tutto questo deve accompagnarsi un potenziamento del sistema attuale Italgiureweb. Quest’ultimo ha rappresentato un’eccezionale conquista ai fini della conoscenza e ricerca della giurisprudenza di legittimità ed è un sistema copiato da tanti; tuttavia, oggi sembra non più al passo coi tempi: spesso l’operatore del diritto preferisce cercare su google o motori di ricerca simili i precedenti di interesse, usando parole chiave che conducono subito a provvedimenti pubblicati o commenti di rilievo rispetto all’argomento, laddove le stesse parole chiave se adoperate su italgiureweb non sempre portano al medesimo risultato. L’obiettivo è quello di restituire ad italgiureweb il ruolo di biblioteca aggiornata, ed insostituibile, del diritto vivente, ove si trovano tutti gli orientamenti di interesse e dove col sistema, unico, dei conformi, difformi e vedi, precedenti e successivi, il giudice di merito e tutti gli operatori del diritto si possono, appunto, orientare. 3.3. Il possibile rafforzamento della funzione nomofilattica della Corte Ma veniamo al problema principale. Nell’assetto attuale, di una Corte di cassazione trasformatasi in un vero e proprio sentenzificio, con varie sezioni civili (cinque + la Sesta) composte da un numero rilevante di giudici che formano più collegi con più presidenti, ove negli ultimi anni è prevalsa senza se e senza ma l’ansia di riduzione dell’arretrato (a tale obiettivo sono ispirate tutte le ultime riforme, in primis la cameralizzazione), spesso le incertezze giurisprudenziali nascono da conflitti interni alla stessa Corte di cassazione, che sono conflitti tra sezioni diverse ma alcune volte interni alle stesse sezioni. In sostanza, la Cassazione, da luogo deputato a dirimere le incertezze giurisprudenziali, è finita per diventare la sede in cui si creano incertezze. Il diritto non è immobile, la Cassazione può sempre cambiare idea, in un percorso evolutivo che tenga conto di mutamenti sociali ed economici, di nuove sensibilità, dell’esistenza di fonti del diritto ulteriori, in particolare di quelle europee. Ma questa mobilità fisiologica, che è un valore, non può trasformarsi in patologia. La Corte di cassazione non può essere una sorta di grande deposito, in cui trovare qualsiasi soluzione. In uno scritto sul Massimario del 2008 il Presidente Antonio Genovese ricorda le parole di Calamandrei che in un lavoro della metà degli anni 30 afferma che l’esistenza di più sezioni della Corte di cassazione non pregiudicava l’obiettivo della “uniformità della giurisprudenza”

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in presenza di un adeguato coordinamento delle sezioni sotto la guida dei presidenti titolari e soprattutto del primo presidente 9. Questo coordinamento indubbiamente c’è anche oggi: grazie anche al contributo degli “spogliatori” (del Massimario e della Corte) si accorpano spesso ricorsi simili, si creano udienze tematiche (commendevole ad esempio è l’idea della terza sezione civile che ha elaborato, coinvolgendo anche la Procura Generale, i progetti “sanità” ed “esecuzione”; ma udienze tematiche sono organizzate in tutte le sezioni, anche in quelle che si trovano di fronte contenziosi seriali enormi, come la sezione lavoro e quella tributaria). Ma, nonostante questi commendevoli sforzi organizzativi, tra le migliaia di provvedimenti pubblicati purtroppo si trovano anche precedenti discordanti. Questo non può e non deve accadere. Se sono inconsapevoli il problema è tutto organizzativo, appunto perché le questioni simili vanno decise nello stesso modo e con lo stesso collegio e qui il ruolo dei presidenti titolari e di tutti gli altri presidenti di sezione e di collegio diventa decisivo (occorrono le udienze tematiche, gli accorpamenti dei ricorsi simili, il controllo costante sulle decisioni adottate per evitare appunto conflitti, che sorgono anche quasi contestualmente). Ma anche se sono consapevoli il problema è soprattutto organizzativo (e non solo culturale), perché: - se un collegio ritiene di andare di contrario avviso rispetto ad un precedente di legittimità di una sezione semplice (soprattutto se quest’ultima è una sezione diversa oppure il contrasto riguardi una questione processuale o comunque afferente materie trattate da più sezioni) appare opportuno che la questione vada subito rimessa alle Sezioni Unite ex art. 374 comma 2 c.p.c., considerandola come “questione di massima di particolare importanza”, perché non può non essere tale una questione per la quale si pensa di creare un conflitto giurisprudenziale interno alla cassazione, che è deputata alla nomofilachia, non al risultato opposto; questa risoluzione immediata dei conflitti interpretativi, che non devono essere in alcun modo né creati né cronicizzati, è un obiettivo prioritario; - a maggior ragione è impensabile che un revirement rispetto ad un precedente giurisprudenza di legittimità venga adottato in sede camerale; certo, non infrequentemente i collegi di Sesta o di adunanze camerali, a fronte di questioni rilevanti, dispongono che la causa venga rimessa alla pubblica udienza; ma, oltre a questa dinamica, fisiologica e giusta, capita non di rado di leggere pronunzie che segnano in sede camerale veri e propri revirement 10; questo a mio avviso non deve accadere, in quanto la scelta del legislatore del 2016 di dividere le cause di rilevanza nomofilattica meritevoli dell’udienza pubblica dalle altre non può essere sconfessato dall’utilizzo della sede camerale per cambiare addirittura giurisprudenza delle Sezioni Unite; anzi, fissare pubblica udienza è solo il minimo step, perché si è visto che ogni revirement deve essere fatto dalle Sezioni Unite, per consolidare subito il risultato interpretativo raggiunto, molto più difficilmente attaccabile anche dai giudici di merito se proveniente dalle Sezioni Unite; - men che meno si può pensare che i conflitti interpretativi possano essere risolti in Sesta civile; ed invece, vi è una disposizione tabellare che prevede una sorta di “Sezioni Unite di Sesta” (un collegio di Sesta civile formato dai componenti delle varie sezioni civili) chiamata a

9 GENOVESE, Per una storia della Corte di Cassazione: l'Ufficio del Massimario e del Ruolo, in Le Carte e la Storia, 2008, II, p. 40 ss. 10 Per fare un esempio, si ricorda Cass. ord. 17084/17, che in sede camerale ha superato le note Cass. SU 576-584 del 2008 sulla rilevazione del nesso di causalità con giudizio ex ante.

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risolvere conflitti interpretativi 11; si auspica che questa disposizione tabellare non venga più riprodotta nei prossimi progetti organizzativi oppure non sia approvata dal CSM, e in ogni caso non sia più applicata; - se vi sono conflitti ed incertezze interpretative in sede di merito, la Corte deve cercare in tutti i modi di decidere al più presto questi casi: i dubbi, infatti, fanno sorgere controversie su controversie, per cui devono necessariamente esistere canali privilegiati di decisione delle cause aventi ad oggetto questioni controverse tra i giudici di merito; - ed ancora, se il collegio in sede camerale ritiene di rimettere la controversia alla pubblica udienza, va sempre chiarito (nell’ordinanza di rimessione) l’aspetto di rilevanza nomofilattica che rende opportuna tale rimessione, al fine di consentire alle parti e alla stessa Procura Generale di interloquire in modo consapevole sul punto: la nomofilachia è una prerogativa della Corte di cassazione ma essa deve essere realizzata col contributo delle parti nonché della Procura Generale, ufficio la cui presenza nel contenzioso civile esprime per definizione l’interesse dell’ordinamento ad una soluzione di legittimità valida per regolare casi futuri, resa all’esito di un contraddittorio rinforzato dalla presenza di questo organo dello stato, il PM civile. Da tutti questi rilievi si vede chiaramente che la prospettiva complessiva è quella della forte valorizzazione del canale decisione della pubblica udienza, magari a Sezioni Unite: qui si fa la nomofilachia, col contributo anche della Procura Generale, riservando invece motivazioni semplificate per le controversie semplici impregnate di ius litigatoris, in cui la Corte finisce sostanzialmente per decidere (almeno in prevalenza) quale giudice di terzo grado. 4. Il ruolo della Procura Generale Vengo all’ultima parte del mio intervento, che è l’intervento di un rappresentante della Procura Generale della Corte di cassazione. Sappiamo che già da molti anni si parla del PM civile come di un “lusso che non possiamo permetterci” 12, di uno organo in “agonia” 13; e questa agonia si sarebbe trasformata in vera e propria “morte” a seguito delle ultime miniriforme soprattutto quella della cameralizzazione spinta del 2006 14. Ebbene, in un recente scritto mi sono permesso di essere meno pessimista, parlando di un “PM civile di legittimità con la lanterna di Diogene alla ricerca di una nuova identità” 15. E’ un’identità che il PM civile di legittimità deve cercare insieme alla Corte di cassazione e supportato da quest’ultima. Il nuovo assetto delineatosi dopo il 2016 può e deve essere un’occasione di rilancio della Suprema Corte, messa in grado di distinguere le pere dalle mele, il grano dal loglio, le cause di rilievo nomofilattico dalle altre. L’ottica è e deve essere quella di concentrare le proprie energie, limitate, nelle cause di rilievo nomofilattico.

11 Si pensi ad esempio alla nota Cass. 30765/17, sugli oneri di produzione ex art. 369 c.p.c. in caso di ricorso contro sentenza notificata in via telematica 12 DENTI, Le riforme della cassazione civile: qualche ipotesi di lavoro, in Foro it. 1988, V, 24. 13 CIPRIANI, L’agonia del pubblico ministero nel processo civile, in Foro it. 1993, V, 14. 14 GAETA, Il nuovo processo civile di cassazione: la secolarizzazione della Corte e la scomparsa del procuratore general , in Questioni e Giustizia, 2017, III, p. 67 ss. Sulla situazione attuale del pubblico ministero civile di legittimità vedi anche AULETTA, Lo stato presente del pubblico ministero davanti alla Corte di cassazione (civile), in Foro it., 2018, II, 1, 593 ss.; SGROI, La funzione della Procura Generale della Cassazione, in Questione Giustizia, 2018, I, p. 52 ss. 15 PEPE, Il PM civile di legittimità con la lanterna di Diogene alla ricerca di una nuova identità, in www.judicium.it, 2019, XI.

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Si è visto che la Corte di cassazione, in un’evidente ottica di incremento della produttività, ha adoperato questa possibilità di distinguere i ricorsi. E dal 2016 in poi il numero dei ricorsi decisi in sede camerale è via via aumentato e, di conseguenza, è aumentato il numero delle definizioni: si ripete, nel 2019 si è arrivati quasi a 35.000! Oggi, circa due terzi di detti procedimenti, dunque circa 20.000 all’anno, sono decisi in sede camerale; circa la metà di questi circa 20.000 procedimenti civili annui, ossia la metà non riservata alla Sesta, viene trasmessa alla Procura Generale, chiamata a sua volta a selezionare, tra la miriade di procedimenti, quelli che comunque meritano l’intervento del pubblico ministero. Attualmente, al settore civile sono addetti circa 20 magistrati oltre gli avvocati generali. Dunque, pochissimi PM civili che devono sostanzialmente fare le pulci alla Corte di cassazione scovando tra le migliaia di ricorsi che la Corte ha ritenuto non di interesse quelli viceversa ritenuti meritevoli di attenzione. E’ un compito che la Procura Generale vuole fare, ma se si seleziona il 10 % di questi procedimenti (peraltro la percentuale è anche più alta del 10 %) non si può dire (come invece si sente dire) che si è fatto poco, perché si è fatto un controllo su un numero enorme di procedimenti già apprezzati (negativamente sotto il profilo dell’interesse nomofilattico) dalla Corte. Il PM civile, dunque, consolida il suo ruolo di “grillo parlante”, che controlla la Corte e la sollecita a ritenere di rilevanza nomofilattica cause che essa in prima battuta non aveva ritenuto tali. Il PM civile è sempre stato un organo di controllo della Corte di cassazione. Questa controlla, attraverso i parametri dell’art. 360 c.p.c., i giudici di merito, il PM civile di legittimità a sua volte controlla la Corte. Non lo fa più nell’interesse del potere esecutivo, come era una volta (nell’ordinamento prerepubblicano), ma in piena indipendenza e nell’esclusivo interesse della legge. La Corte deve essere dunque contenta e grata di questa forma di controllo, che alla fine si è trasformata in un supporto, in una fisiologica cooperazione, funzionale all’attuazione dello stesso ruolo nomofilattico della Corte di cassazione. È noto che la Procura Generale ha svolto questo improbo (visti i numeri) compito di controllo-cooperazione della Corte di cassazione strutturando un Ufficio Spoglio, di magistrati esperti nei vari settori che selezionano i ricorsi ai fini della redazione delle requisitorie scritte. Si è anche ipotizzata una eventuale forma di collaborazione “a monte” nella selezione dei ricorsi, nel senso di prevedere un intervento dei sostituti in aiuto agli spogliatori della Corte per incanalare i ricorsi verso l’udienza pubblica o quella camerale. Tuttavia, si tratterebbe di un intervento non previsto dalla legge, recante notevoli problemi organizzativi ed oltretutto di difficile realizzazione a fronte del numero ridotto dei sostituti addetti al settore civile. Per cui, dopo un primo periodo di assegnazione “a pioggia”, a tutti i sostituti, delle adunanze camerali da esaminare, si è deciso di creare in Procura un “Ufficio Spoglio” centralizzato, destinato alla selezione dei ricorsi “a valle” arrivati in Procura e composto da magistrati esperti nelle materie delle singole sezioni. Si tratta di un ufficio che sinora ha ben funzionato e che a mio parere dovrebbe essere rinforzato individuando dei coordinatori-responsabili per materie ed organizzando meccanismi collegiali di esame e selezione dei ricorsi, in modo che ci siano più persone che insieme abbiano la responsabilità di filtrare e valutare i ricorsi fissati dalla Corte in sede camerale 16. Il problema è anche cosa fare una volta operata la selezione. La legge prevede l’intervento scritto del PM nelle adunanze camerali, con una evidente contraddizione logica, perché si

16 Per queste riflessioni, si rinvia anche a PEPE, op. cit., § 2.

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riserva l’uso dello scritto alle cause in tesi meno importanti, mentre quelle di rilievo nomofilattico assegnate alla pubblica udienza richiedono secondo il codice di rito un mero intervento orale. E’ evidente che lo scritto cristallizza le conclusioni e le opinioni, è idoneo a rendere l’intervento del PM più autorevole ed incisivo, perché di fatto, nella logica di un fisiologico rispetto dei ruoli, impone alla Corte di riflettere su queste conclusioni scritte, per condividerle o disattenderle, auspicabilmente in modo motivato. Nel contempo, l’udienza pubblica è per definizione il luogo dove si deve fare nomofilachia, dove devono concentrarsi le energie della Corte e, per l’effetto, della Procura Generale, organo necessario in quella sede proprio nella prospettiva nomofilattica. Ed allora, appare condivisibile l’idea di fare in modo che: - la selezione dei ricorsi originariamente assegnati alle adunanze camerali venga fatta non per redigere conclusioni scritte ma per chiedere, con succinta motivazione, la pubblica udienza (auspicando un protocollo tra Procura e Corte al fine di rendere rapida e non burocratica la delibazione di tale richiesta da parte della Corte, tenuta a motivare in modo stringato le ragioni per le quali ritenesse di non accogliere tale richiesta ); - possano essere redatte requisitore scritte per le cause assegnate all’udienza pubblica, in primis quelle riservate alle Sezioni Unite. Il progetto è quello di pubblicare le requisitorie di maggiore interesse sul sito internet della Procura Generale, al fine di rendere conosciuto anche all’esterno, ivi inclusa la dottrina, il contributo della Procura Generale alla funzione nomofilattica della Corte, in un contesto di assoluto rispetto delle prerogative di quest’ultima ma convinti del fondamentale ruolo propulsivo, di sollecitazione, stimolo e controllo dialettico svolto dalla Procura Generale nell’interesse appunto della nomofilachia. Le requisitorie scritte anche alle udienze pubbliche e di Sezioni Unite sono oggi una realtà, una prassi già invalsa e recepita dalla Corte di cassazione, che siamo sicuri avrà anche la sensibilità di adoperare percorsi motivazionali che, soprattutto in caso di dissenso, tengano conto delle opinioni espresse dalla Procura Generale. Il PM civile di legittimità, si ripete, è un “grillo parlante” che non deve essere schiacciato, perché le sue sollecitazioni e provocazioni servono alla Corte, servono a destare l’attenzione di tutti i componenti del collegio, in funzione della valorizzazione di una collegialità ampia, che investa anche i procuratori delle parti oltre al PM. La Corte di cassazione deve dire l’ultima parola, deve fare nomofilachia per il futuro: è fondamentale che ciò accada dopo avere ascoltato le tesi delle parti e del PM, con una collegialità appunto piena e non formale. 4.1. Il ricorso nell’interesse della legge Del resto, che il PM civile sia e debba essere un protagonista della nomofilachia è un dato pacifico, che emerge tra le altre cose da una norma chiarissima: l’art. 363 c.p.c., che riserva al Procuratore Generale della Corte di cassazione un rilevante ed esclusivo potere di iniziativa autonoma, quello di presentare un “ricorso nell’interesse della legge” per chiedere che la Corte di cassazione fissi un principio di diritto su una specifica questione giuridica, che non sia arrivata all’attenzione della Corte o perché le parti non hanno presentato ricorso contro la decisione di merito o perché tale decisione non sia impugnabile. Si tratta di uno strumento negli ultimi anni via via valorizzato e che si intende ulteriormente valorizzare in prospettiva, in modo che la Procura Generale possa attuare in pieno il proprio ruolo di organo imparziale di giustizia che prescinde dagli interessi concreti delle parti del giudizio e concorre all’ “esatta osservanza ed uniforme interpretazione della legge”. La pronuncia richiesta alla Corte, che serve a chiarire l'esatta portata e il reale significato della normativa di riferimento, non

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produce effetto nella specifica controversia ma vale come affermazione di principio per i futuri casi analoghi. Dunque, nomofilachia piena, assoluta astrazione dallo ius litigatoris 17. Come emerge dall’esame dei ricorsi ex art. 363 c.p.c. già definiti (che si possono leggere sull’aggiornato sito internet della Procura Generale), il più esteso campo d’applicazione dello strumento ex art. 363 c.p.c. riguarda il settore dei provvedimenti non impugnabili, in particolare i provvedimenti cautelari in sede di reclamo e/o tutti quelli dichiarati espressamente non impugnabili dalla legge. Ad esempio, l’ultimo ricorso predisposto, che è stato assegnato alle Sezioni Unite e non è stato ancora trattato, riguarda la questione della possibilità di emettere decreto ingiuntivo sulla base di parcella professionale di avvocato a seguito della legge n. 140/12. che ha eliminato le tariffe. A fronte di un orientamento maggioritario che ammette tale possibilità in presenza di parere di conformità del Consiglio dell’Ordine sulla parcella, in alcuni uffici giudiziari i decreti ingiuntivi non venivano concessi, ritenendosi l’insussistenza, dopo l’entrata in vigore della legge 140/12, dei requisiti di liquidità ed esigibilità dei crediti professionali degli avvocati. Il diniego di emissione di provvedimento monitorio è appunto non impugnabile. La presentazione del ricorso ex art. 363 c.p.c da parte della Procura Generale ha consentito pertanto di far arrivare all’attenzione della Suprema Corte una questione di rilievo nomofilattico e di grande impatto pratico che altrimenti non sarebbe mai arrivata. Evitando anni ed anni di conflitti ed incertezze interpretative. Ciò che dovrebbe accadere sempre e che occorre fare di tutto perché accada, trattandosi di un obiettivo immanente alla funzione nomofilattica. Va detto peraltro che lo strumento ex art. 363 c.p.c. potrebbe essere azionato anche contro un provvedimento di merito astrattamente impugnabile e non impugnato nei termini di legge. E nulla impedisce che ciò possa accadere pure qualora tale provvedimento sia conforme ad una giurisprudenza della Suprema Corte che tuttavia si intende superare. L’art. 363 c.p.c. non pone limiti al riguardo (richiedendo solo che “le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge”) e vi può certo essere interesse a che una questione, risolta in un certo modo dalla Suprema Corte, possa essere nuovamente sottoposta con dovizia di argomenti alla stessa Suprema Corte per operare un revirement che, se giusto, è ancora più giusto che arrivi subito, per evitare tante sentenze di merito errate in varie cause disseminate sul territorio italiano e destinate ad essere poi ad essere annullate dopo anni e anni. Ancora una volta viene in luce il contributo che la Procura Generale può fornire per risolvere al più presto incertezze interpretative. Quindi, si ribadisce, il potenziale ambito operativo è molto esteso, perché alla fine può riguardare la stessa giurisprudenza di legittimità, per rimetterla immediatamente in discussione. Tuttavia, il problema concreto è quello di far emergere queste “istanze” di intervento nomofilattico. Occorre l’attivazione dei vari “sensori” e “canali” di segnalazione dei casi meritevoli di ricorso ex art. 363 c.p.c. L’idea che si sta cercando di attuare è di coinvolgere gli Uffici di merito, gli Ordini professionali, le Istituzioni Universitarie e ad altri soggetti pubblici e privati, per fare in modo che questi inviino alla Procura Generale istanze e segnalazioni di provvedimenti, non impugnati né impugnabili in Cassazione, che rendono necessaria od opportuna la proposizione di un ricorso nell’interesse della legge. Solo una raccolta dal “basso e diffusa”, attraverso questi “sensori” e “canali”, può consentire un reale decollo dello

17 Sull’argomento, con le precisazioni che si faranno anche in seguito, si rinvia sempre a PEPE, op. cit., §§. 3 e 3.1.

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strumento ex art. 363 c.p.c. E, in effetti, già nel 2017 sono state inviate note formali ai dirigenti degli uffici giudiziari di merito, al Consiglio Nazionale Forense, all’Avvocatura Generale dello Stato, auspicando un contributo nell’ottica della creazione di una vera e propria “rete” funzionale al ricorso ex art. 363 c.p.c. Di questa “rete” dovrebbero far parte anche le Università, l’Accademia, le stesse strutture di Formazione Decentrata dei magistrati. Proprio al fine di agevolare la raccolta delle istanze e sollecitazioni strumentali alle iniziative ex art. 363 c.p.c., nell’ambito del sito internet della Procura Generale è stata istituita la specifica Sezione “Istanze esterne”, attraverso la quale è possibile fornire all’Ufficio tutte le informazioni e gli argomenti che possono attivare l’iniziativa della proposizione del ricorso, da parte degli Uffici giudiziari, delle Istituzioni universitarie, degli Ordini professionali e altresì da singoli professionisti e da privati. Le istanze alle quali è dato seguito confluiscono in un corrispondente ricorso (RIL), reperibile nella Sezione "Richieste dell'ufficio"; quelle che non hanno seguito sono archiviate. In sostanza, la Procura Generale della Cassazione intende diventare il vertice, in senso organizzativo e non gerarchico, di una “rete” diffusa sul territorio nazionale volta a raccogliere le istanze di composizione dei conflitti giurisprudenziali e ad assicurare l’uniforme interpretazione del diritto, sia sostanziale che processuale. Si tratta di una “rete alternativa” a quella ordinaria, viceversa rappresentata dagli uffici giudiziari di merito, nei quali si attua il ius litigatoris e dove il ius constituitionis, ai fini nomofilattici, può venire alla luce solo dopo vari anni di causa e tre gradi di giudizio. Vediamo ora come la Corte di cassazione ha risposto ai vari ricorsi ex art. 363 c.p.c. fatti negli anni dalla Procura Generale (i precedenti si possono leggere sempre sul sito della Procura Generale). Innanzitutto va detto che ha sempre risposto a Sezioni Unite, con ciò chiaramente evidenziando l’importanza e rilevanza delle questioni trattate e della stessa procedura seguita, per sua natura relativa a questioni di massima di particolare importanza. La Corte ha altresì precisato che “La richiesta di enunciazione del principio di diritto rivolta alla Suprema Corte dal P.G. ai sensi del vigente art. 363 comma 1, c.p.c., si configura non già come mezzo di impugnazione, ma come procedimento autonomo, originato da un'iniziativa diretta a consentire il controllo sulla corretta osservanza ed uniforme applicazione della legge non solo nelle ipotesi di mancata proposizione del ricorso per cassazione o di rinuncia allo stesso, ma anche in quelle di provvedimenti non altrimenti impugnabili nè ricorribili, in quanto privi di natura decisoria, sicché tale iniziativa, avente natura di richiesta e non di ricorso, non necessita di contraddittorio con le parti, prive di legittimazione a partecipare al procedimento perché carenti di un interesse attuale e concreto, non risultando in alcun modo pregiudicato il provvedimento presupposto” 18. Ecco, dunque, la particolarità: è un procedimento in cui non vi sono - e non vi possono essere - le parti della causa sottostante, intimamente legate al ius litigatoris, che qui non viene in discussione. L’unica parte è quella pubblica, il PM, “promotore di giustizia” che, nell’interesse del ius constitutionis, fa un ricorso, che non è pero tale, ma una mera sollecitazione. Tanto è vero che la Corte non resta “vincolata dalla domanda del Procuratore Generale ….. e dai limiti di essa” 19 . In altri termini, quello dell’art. 363 c.p.c. è l’unico caso in cui la Corte “può - probabilmente per la prima volta alla pari con altre Corti supreme di altri ordinamenti, benche informati ad altre tradizioni giuridiche - decidere di non decidere”. 18 Cass. SU 23469/16; conf. Cass. SU 13332/10. 19 Vedi sempre Cass. SU 23469/16.

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Le Sezioni Unite del 2016, nell’affermare questo, si preoccupano però di individuare i criteri in base ai quali esercitare questo potere discrezionale, che è tale ma non arbitrario. Si riporta sul punto il par. 24 della sentenza: “Tanto questa Corte puo fare in base a parametri di assoluta discrezionalita, benche certo non arbitrari, collegati comunque ad una situazione di grave e non altrimenti eliminabile conflitto tra i giudici (verosimilmente, di quelli del merito, visto che si tratta di provvedimenti non impugnati, ne impugnabili in via ordinaria per Cassazione) o, in alternativa, a materie di grande impatto o rilevanza per le ricadute di ordine sociale od economico delle decisioni che ne resterebbero influenzate; il tutto secondo parametri che sfuggono alle ordinarie regole del sillogismo giuridico e coinvolgono invece considerazioni sistematiche assai ampie e non predeterminabili.” Queste conclusioni non convincono del tutto. La tesi che la Corte di cassazione sia libera di non decidere rispetto ad un’iniziativa ex art. 363 c.p.c. della Procura Generale è formalmente esatta, perché non si è in presenza di ius litigatoris e dunque non ci può essere un vincolo rispetto al ricorso. Ma pare difficile ipotizzare in concreto che la Corte di cassazione, a fronte di una motivata iniziativa della Procura Generale, che del resto centellina queste iniziative riservandole solo a casi particolari, possa rispondere con un non liquet facendo leva sui criteri, a mio avviso eccessivamente rigidi, fissati dalla pronunzia del 2016. In particolare, se emerge l’esistenza di una giurisprudenza errata e particolarmente contrastata, e tale contrasto può rischiare di incancrenirsi, penso sia preferibile accedere ad un’idea permissiva del ricorso ex art. 363 c.p.c., proprio per la sua finalità di strumento di risoluzione a monte dei contrasti interpretativi. In sostanza, “la situazione di grave e non altrimenti eliminabile conflitto tra i giudici” va valutata cum grano salis, evitando interpretazioni eccessivamente restrittive. Ed analogo è il rilievo con riguardo alle “materie di grande impatto o rilevanza per le ricadute di ordine sociale od economico delle decisioni che ne resterebbero influenzate”. Non pare funzionale agli obiettivi sottesi all’art. 363 c.p.c. ipotizzarne un’applicazione solo per questioni di grande rilevanza economica o sociale. Del resto, l’art. 363 comma 3 c.p.c, prevede che la Corte, “anche d’ufficio” (e dunque, a contrario, pure su sollecitazione della Procura Generale), possa formulare il principio di diritto nonostante dichiari inammissibile il ricorso quando “ritiene che la questione decisa è di particolare importanza”. Non vi sono altre indicazioni oltre al dato della “particolare importanza” della questione. Ora, poiché il terzo comma si innesta nella medesima logica dei commi precedenti, relativi ad un articolo, il 363 c.p.c., che nella sua interezza sottende solo l’interesse nomofilattico privo di collegamento con la risoluzione di una lite specifica, non si vede perché debbano esservi limiti diversi tra l’ammissibilità del ricorso dell’interesse della legge del PM e l’ammissibilità della decisione ex terzo comma da parte della Corte di cassazione. La questione deve essere di “particolare importanza”, questo è il limite, l’unico limite normativo da rispettare. Aggiungendo altro si va oltre il dato normativo e si rischia di ridimensionare ingiustamente il valore dello strumento del ricorso nell’interesse della legge. 5. Conclusioni È quasi simbolica la chiusura di questo intervento con l’art. 363 c.p.c., norma, lo si ribadisce ancora una volta, che esprime al massimo livello il ruolo nomofilattico della Corte di cassazione, in piena adesione al portato dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario.

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Siamo nel campo tanto sognato ed agognato da Calamandrei. Che voleva a tutti i costi una Corte di cassazione risolutrice di controversie private, ma soprattutto creatrice e custode del diritto vivente. Questo sogno va realizzato o comunque perfezionato. Ce la dobbiamo fare. E ce la faremo, tutti insieme, con responsabilità, massimo impegno e voglia di collaborazione. Alessandro Pepe Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione

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Consiglio di Stato, ad. plen., 4.12.2020, n. 24 Il termine decennale per promuovere il giudizio ex art. 114, 1° co. 1, c.p.a. può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale col quale si intimi l’esecuzione del giudicato, essendo manifesta l’intentio legis di qualificare l’anzidetto termine di natura prescrizionale e non decadenziale The ten-year limitation period of any right, deriving from a final judgment, claimed against a public administration, can be interrupted with an out-of-court act.

Il termine dell’actio judicati e la natura necessariamente processuale del suo atto di esercizio: note in margine di un pervasivo equivoco di sistema (ora anche di giustizia amministrativa) Sommario: 1. Il perché dell’art. 2953 c.c. - 2. Natura (potestativa) del diritto coperto da giudicato - 3. In definitiva: non decennalizzazione di tutti i termini prescrizionali, bensì prescrizione decennale dell’azione - 4. L’equivoco 1. Il perché dell’art. 2953 c.c. La questione affrontata con la sentenza dalla quale è tratta la massima in epigrafe l’adunanza plenaria ha ritenuto di risolvere nel senso che il legislatore, avendo optato per la prescrittibilità dell’actio iudicati e non per la decadenza dalla stessa (art. 114, 1° co., c.p.a.), ha inteso omologare la disciplina con quella dettata dall’art. 2953 c.c., «che consente di interrompere la prescrizione anche quando si tratti di un diritto che abbia dato luogo ad un giudicato favorevole». Con la più tipica petizione di principio, quindi, Il Consiglio di Stato ha dato per scontato ciò che, invece, andava dimostrato, ossia che la prescrizione contemplata dall’art. 2953 cit. possa essere interrotta anche con atto stragiudiziale. Occorre subito chiarire che la ratio ispiratrice dell’art. 2953 cit. era quella di stabilire, una volta formatosi il giudicato sul diritto, quale prescrizione applicare al diritto giudizialmente accertato e, in particolare, «eliminare il dubbio, in ordine ai diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni [nel caso fosse] intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato [e, cioè, se] torni a decorrere la prescrizione breve a cui è soggetto il rapporto deciso ovvero inizi a decorrere il termine di prescrizione ordinaria [e, al riguardo,] provvede l’art. 2953, il quale risolve la questione in quest’ultimo senso».1 La disposizione è stata collocata in fondo al paragrafo sulle «prescrizioni brevi»: la collocazione è un (sicuro) indice dell’intenzione del legislatore, il quale, evidentemente, ha ritenuto superflua una simile previsione per le ipotesi in cui oggetto della condanna fosse stato un diritto prescrittibile nell’ordinario termine decennale, dacché, in tal caso, avrebbe operato la (generale) previsione dell’art. 2946 c.c. La norma, quindi, vale anche per le prescrizioni presuntive.2 Dunque, il significato di fondo che se ne trae è che il legislatore ha inteso uniformare, per tutti i diritti oggetto dei provvedimenti condannatori definitivi, la prescrizione contemplata dall’art. 2953

1 È quanto si legge nella Relazione ministeriale al Re, Delle prescrizioni brevi, capo 1208. 2 M. Rinaldi, Prescrizione e decadenza dei crediti di lavoro, Macerata, 2007, 95.

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cit. La norma, stabilendo che il diritto consacrato in una sentenza di condanna passata in giudicato realizza quell’effetto conosciuto come actio iudicati, da esercitarsi entro il termine prescrizionale di dieci anni, ha inteso riferirsi a qualsiasi provvedimento giudiziario contenente una pronuncia di condanna e non più rivisitabile (la norma, ovviamente, trova applicazione, non solo in riferimento alle sentenze, ma anche in riferimento al decreto ingiuntivo dotato di esecutorietà ex art. 647 c.p.c.,3 nonché al lodo arbitrale, una volta munito di exequatur a norma dell’art. 825 c.p.c.4). In linea col considerare la condanna presupposto indefettibile per l’operatività della norma, è stato affermato che effetto di giudicato non può riconoscersi al decreto del giudice delegato reso in sede di verificazione dei crediti e non opposto, sicché il credito ammesso al passivo fallimentare non è assoggettato al termine prescrizionale stabilito dall’art. 2953 cit., ma a quello della originaria prescrizione del credito.5 Ha dato adito a qualche perplessità, nonostante la formula apparentemente onnicomprensiva («i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni»), se la norma possa applicarsi quando la prescrizione breve sia stata disposta da una norma non contenuta nel codice civile: il secondo comma dell’art. 14 preleggi potrebbe apparire estraneo alla questione essendo l’art. 2953 cit. norma di carattere eccezionale e (come tale) non applicabile oltre i casi di prescrizioni brevi espressamente previsti dal codice civile,6 ma, in senso contrario, è stata ritenuta operante la prescrizione decennale anche nel caso della prescrizione (più breve) disposta dall’art. 27 della legge doganale n.1424/1941, abrogata dal d.l. n. 2000/2008, conv. in l. n.9/2009.7 Certo è che, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l'esistenza del credito, non potrà ritenersi applicabile il termine prescrizionale decennale stabilito dall'art. 2953 cit.8

2. Natura (potestativa) del diritto coperto da giudicato Il creditore, allorché il suo credito sia stato accertato con un provvedimento giudiziale non più rivisitabile (con i mezzi ordinari), non è più tale in forza di un (sottostante) rapporto obbligatorio, che non esiste più per essersi ad esso sovrapposta la regiudicata: è (oramai)

3 Cfr. Cass., 20.06.2017, n.15157; Cass., 14.07.2004, n.13081; Cass., 20.02.1991, n.1810, in Giust. civ., 1991, I, 1449. 4 Trib. Torino, Sez. lav., 12.03.2013, in Dejure. 5 Cass., 10.12.1963, n. 3129, in Riv. dir. comm., 1964, II, 325. Il problema, però, si pone solo qualora il credito, non trovando soddisfazione in sede endofallimentare, debba essere fatto valere contro il fallito ritornato in bonis, considerato che la domanda di insinuazione produce (anche) l’effetto interruttivo permanente della prescrizione per tutta la durata della procedura concorsuale. 6 Cass., 19.06.1968, n. 2032, in Arch. giur. circol. e sinistri, 1970, 801. 7 Cass., 3.01.1970, n.1, in Foro it., 1970, I, 1160; Cass., 22.12.1989, n.5777, in Riv. leg. fisc., 1990, III, 2021. 8 È quanto si ricava dalla giurisprudenza in materia di riscossione coattiva, essendo stato chiarito che la scadenza del termine perentorio per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del suddetto termine non consente di ritenere applicabile il termine prescrizionale decennale di cui all'art. 2953 c.c.: v. Cass., ss.uu., 17.11.2016 n. 23397, in Foro it., 2017, 3, I, 938 e Cass., ss.uu., 24.12.2019, n.34447, in Rivista dott. comm., 2020, 1, 93, ove è stato precisato, inoltre, che l'eccezione di prescrizione del credito tributario, maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, sollevata dal curatore in sede di ammissione al passivo fallimentare, è devoluta alla cognizione del giudice delegato (in sede di verifica dei crediti) e del tribunale (in sede di opposizione allo stato passivo), ma non già del giudice tributario, segnando la notifica della cartella il consolidamento della pretesa fiscale e l'esaurimento del potere impositivo, in quanto, ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare di somme iscritte a ruolo, l'eventuale notifica della cartella di pagamento, o di altro atto di riscossione coattiva, da parte dell'agente della riscossione nei confronti del fallito in bonis, non produce effetto novativo della natura del credito, il quale resta assoggettato alla sua specifica disciplina anche in ordine al regime prescrizionale, sicché qualora sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, non è applicabile il termine decennale di cui all'art. 2953 c.c.

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creditore (solo) perché parte vittoriosa del giudizio nel quale è stato reso il provvedimento, stante la copertura del dedotto e deducibile connessa al giudicato. E, se deriva il suo credito da una sentenza passata in giudicato (o da altro atto ad essa equiparabile), il creditore (meglio, la parte vittoriosa) è titolare di una posizione che si atteggia come una posizione di mero potere, alla stregua di quanto avviene per il titolare di un diritto potestativo, ossia quei diritti la cui vitalità non può essere attestata mediante una dichiarazione stragiudiziale, difettando del requisito peculiare dei diritti ad una prestazione, con la conseguenza che, in mancanza di una prestazione da adempiere, non è giuridicamente ipotizzabile una richiesta di adempimento comportante, ai sensi del quarto comma dell’art. 2943 c.c., efficacia interruttiva della prescrizione.9 Del resto, il quarto comma dell’art. 2943 cit. e, cioè, la possibilità di interrompere la prescrizione anche con un atto stragiudiziale è stata giustificata dal fatto che altrimenti «si sarebbe addossato, specie in materia di prescrizioni brevi, un grave onere al creditore, costretto ad agire sempre giudizialmente per mantenere in vita il suo diritto».10 L’aver precisato, nell’attribuire efficacia interruttiva della prescrizione all’atto (stragiudiziale), come debba comunque «val[ere] a costituire in mora il debitore» è espressione di una chiara scelta legislativa, in (perfetta) armonia col sistema del codice e dell’intero ordinamento del diritto sostanziale: l’efficacia interruttiva della prescrizione, ricollegabile all’atto stragiudiziale, dev’essere circoscritta ai soli diritti di credito, ovvero a quei diritti dove si riscontra la presenza di un debitore, presenza costituente (stante il dictum del quarto comma dell’art. 2943 cit.) la premessa perché l’atto stragiudiziale possa interrompere la prescrizione. Ne consegue che, in assenza di un debitore, non è configurabile la costituzione in mora, tanto è vero che, riguardo alla c.d. “prescrizione acquisitiva”, la riserva («in quanto applicabili») contenuta all’art. 1165 c.c. (norma disciplinante l’applicabilità all’usucapione delle disposizioni in tema di interruzione della prescrizione) significa, appunto, che, nell’area di tale compatibilità, non rientra la costituzione in mora, mancando un debitore in materia di diritti reali.11 L’inoperatività dell’atto stragiudiziale ai fini interruttivi della prescrizione si verifica, non solo in presenza di diritti potestativi o di diritti reali, ma è da ricollegare (in generale) alla ineludibilità della domanda giudiziale. La domanda sarà ineludibile allorché l’unico rimedio, per tutelare una posizione soggettiva, sia l’azione. Si pensi all’azione di annullamento di un contratto (art. 1442 c.c.), la cui prescrizione può essere interrotta soltanto dalla domanda giudiziale12, o a quella di annullamento del licenziamento (prima che la l. n. 183/2010, art. 32, 9 Così, Cass., 30.01.1985, n. 575, in Foro it., 1985, I, 369, sul diritto alla retrocessione del bene espropriato, contemplato dall'art. 63 della (ex) l. n. 2359/1865 (oggi regolato dal d.P.R. n. 327/2001, art. 46), quando l’opera pubblica non sia stata eseguita e siano trascorsi i termini all'uopo concessi, in quanto tale diritto integra un diritto potestativo, non corrispondendo ad esso, dal lato passivo, un obbligo di prestazione della controparte, bensì una situazione di mera soggezione alla iniziativa del titolare, consistente nella richiesta al giudice di una pronuncia costitutiva di un nuovo trasferimento del bene con efficacia ex nunc, sicché la prescrizione dello stesso è suscettiva di interruzione per effetto del riconoscimento da parte del soggetto contro il quale può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 2944 c.c., ovvero della domanda giudiziale, ai sensi del secondo dell’art. 2943 c.c., ma non anche per effetto di atto di costituzione in mora del debitore, secondo la previsione dell'ultimo comma del medesimo art. 2943, tenuto conto che tale norma non può trovare applicazione ove, in mancanza di un’obbligazione di adempiere, non è configurabile una richiesta di adempimento, né la norma medesima, stante il limitato ambito di operatività, si pone in contrasto con gli art. 3, 24 e 113 cost., vertendosi in tema di diversità di trattamento giustificata dall'obiettiva indicata particolarità dei diritti potestativi. 10 Così, nella Relazione ministeriale al Re, Della prescrizione e decadenza, capo 1203. 11 Con giurisprudenza “ininterrotta” da Cass., 12.11.1979, n.5835, a Cass., 19.11.2019, n.30079, è stato chiarito che l’efficacia interruttiva dell’altrui possesso ad usucapiendum può verificarsi solo con l’esercizio di azioni con cui si affermi un diritto contrapposto ed incompatibile con la situazione possessoria dell’usucapiente, essendo gli atti di diffida e di messa in mora idonei ad interrompere soltanto i diritti di obbligazione, ma non anche il termine utile per usucapire. 12 Trib. Milano, 18.10.2012, n.4431, in Dejure, nonché Trib. Roma, Sez. lav., 20.01.2009, n.862, ivi.

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assoggettasse l’impugnativa dello stesso a tre termini, nessuno più di prescrizione, ma decadenziali).13 Altrettanto è da dirsi per il termine di prescrizione dell’azione di risoluzione ex art. 1479 c.c. del contratto di compravendita di cosa altrui, proposta dal compratore in buona fede, che, al momento della conclusione del contratto, ignorava l’altruità della cosa14, nonché per la prescrizione dell’azione di rescissione (art. 1449 c.c.).15 Si pensi, ancora, all’azione revocatoria (art. 2900 c.c.), anche per la quale l’interruzione della prescrizione è da ricollegare (esclusivamente) alla proposizione della domanda giudiziale.16 Così come la domanda giudiziale costituisce l’unico strumento per realizzare l’interesse protetto dall’ordinamento anche riguardo all’azione diretta all’annullamento per incapacità transeunte (art. 428 c.c.).17 Né l’intervento delle Sezioni Unite del 2019, in materia di azioni edilizie18 smentisce la dommatica sulla necessità di proporre la domanda giudiziale: optando per l’orientamento che ricollegava l’efficacia interruttiva della prescrizione anche agli atti stragiudiziali19, la decisione delle SS.UU. ha fatto perno sul fatto che l’acquirente farebbe valere una responsabilità ex contractu, dacché, avvalendosi della «garanzia», fa valere l'inadempimento di una precisa obbligazione del venditore (quella imposta dall’art. 1476, n.3, c.c.) e facendo così valere un diritto relativo (non potestativo) potrà farlo anche attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale.20

13 Cass., 13.09.1993, n.9502, in Giur. it., 1994, I, 1. 14 Cass., 3.12.2003, n.18477. 15 V. Cass., 17.03.2017, n.6974, ove è chiarito che l’azione di rescissione possa essere interrotta solo dalla domanda giudiziale e non anche dalla richiesta fatta alla controparte, essendo la rescissione un rimedio esclusivamente giudiziale, in quanto solo il giudice può realizzare il risultato voluto (rescissione del contratto) e, quindi, il diritto del contraente. Sul punto, in dottrina, v. Bianca, Il contratto, 3, Milano, 1984, 652 16 Così, Trib. Trani, 20.03.2018, n. 704, in Dejure, nonché App. Palermo, 16.02.2017, n.272, ivi. In materia fallimentare, nella disciplina ante novella del 2006 (d.lgs. 9.01.2006, n.5), l’exordium preaescriptionis lo si faceva coincidere non con la data dell’atto revocando (come dispone l’art. 2903 c.c. per la revocatoria ordinaria), ma con quella della declaratoria di fallimento, in virtù del principio (generale) sancito dall’art. 2935 c.c., secondo il quale il dies a quo della prescrizione va individuato nel giorno in cui il diritto può essere fatto valere (così Cass., 5.12.2003, n.18607, e Cass., 14.03.2006, n. 5527, ivi): ciò comprova che il termine in argomento non poteva che avere natura prescrizionale, non già decadenziale. Successivamente, con l’introduzione dell’art. 69 bis l. fall. (art. 55 d.lgs. 9.01.2006, n.5.), dalla rubrica «Decadenza dall’azione», è stato stabilito che le azioni revocatorie «non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto»: dunque, com’è avvenuto per l’azione di licenziamento, anche il termine per esercitare la revocatoria fallimentare si è fatto di decadenza, con la conseguenza che l’inidoneità della costituzione in mora, per evitare la perdita del diritto, non discende dal quarto comma dell’art. 2943 cit., bensì dall’art. 2964 c.c.

17 Cass., 23.08.2000, n.11020, in Not. giur. lav., 2001, 231: nella specie, trattavasi dell’annullamento delle dimissioni comunicate al datore di lavoro. 18 Cass., ss. uu., 11.07.2019, n.18672, in Foro it., 2019, 10, I, 3103. 19Cass., 8.07.2010, n. 18035; Cass., 10.11.2015, n. 22903: tale interpretazione implicava un distinguo tra la garanzia (intesa quale situazione giuridica autonoma suscettibile di distinti atti interruttivi della prescrizione) e le azioni che da essa derivano, a norma dell’art. 1492 c.c. Secondo altro orientamento, invece, il termine di prescrizione per l’esercizio di tali azioni poteva essere interrotto unicamente attraverso la domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora, non trovandoci in presenza di diritti di credito ma di diritti potestativi: Cass., 4.9.2017, n. 20705; Cass., 27.09.2007, n. 20332; Cass., 3.12.2003, n. 18477. 20SS.UU. n.18672/2019 cit. ha, inoltre, sottolineato come che il secondo comma dell’art. 1492 c.c., prevedendo che «la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale» comporti soltanto l’impossibilità di rimeditare l’opzione tra risoluzione e riduzione del prezzo. Greco - Cottino, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Della vendita, Bologna, 1962, pag. 238, avevano, invece, ritenuto che la prescrizione delle azioni edilizie potesse essere evitata solo con la proposizione della domanda giudiziale o, in alternativa, sia col procedimento di verifica preventiva previsto dall’art. 1513 c.c. sia invocando la sospensione della prescrizione in caso di dolo del venditore, rimarcando che il termine per agire fissato dall’art. 1495 c.c. risponde all’esigenza di evitare le maggiori difficoltà che, col decorso del tempo, avrebbe incontrato l’accertamento delle cause dei vizi.

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Da segnalare, al riguardo, la sensibilità sia del giudice di legittimità sia di quello delle leggi, quando la domanda giudiziale costituisca l’unico mezzo per evitare la prescrizione: il primo chiarì che la proroga dei termini di decadenza, contemplata dall’art. 1 d.lgs. n. 437/1948, si applica, non solo ai termini processuali, ma anche a quelli di prescrizione di un diritto potestativo, in quanto esercitabile soltanto mediante un’azione giudiziaria;21 il secondo, quando (con un intervento “additivo”) stabilì che l’efficacia interruttiva della prescrizione in materia di prestazioni assicurative (art. 112 d.P.R. n.1124/65) dovesse coincidere con la data del deposito del ricorso introduttivo della controversia.22 Da quanto sinora esposto discende che l’inidoneità dell’atto stragiudiziale, ai fini interruttivi della prescrizione, è da ricollegare, per un verso, alla inesistenza di un debitore (come nel caso dell’usucapione o di un diritto potestativo) e, per altro verso, alla (esclusiva) possibilità, per espressa previsione normativa, di tutelare il diritto solo esercitando l’azione, ossia proponendo una domanda giudiziale, la quale - si badi - potrebbe avere ad oggetto, non solo la tutela di diritti potestativi o di diritti reali, ma anche (taluni) diritti di credito, ossia diritti ad una prestazione. La necessità dell’azione (anche) per la tutela di (specifici) diritti di credito è confermata dalla tutela del credito nei confronti di un soggetto dichiarato fallito, rispetto al quale non v’è spazio per un’interruzione stragiudiziale della prescrizione, dovendo ogni credito accertarsi con procedura endofallimentare (art. 52 l.fall.): ed, allora, l’unico rimedio per tutelare il credito (e, quindi, interrompere il decorso del termine prescrizionale) è la insinuazione a norma dell’art. 93 l. fall.23, la quale è «domanda giudiziale in senso proprio»24: la costituzione in mora, quale mezzo di interruzione della prescrizione, non è compatibile con la pendenza della procedura fallimentare, sicché sarebbe inefficace, sia se compiuta nei confronti del fallito, per quanto stabiliscono gli artt. 42 e 44 l. fall., sia se compiuta nei confronti del curatore, non essendo questi parte passiva del rapporto obbligatorio posto a fondamento della pretesa creditoria fatta valere e, pertanto, non potrebbe essergli chiesto l’adempimento della prestazione.25 L’esclusività dell’accertamento endofallimentare vale anche, se contestati, per i crediti post-fallimentari, ovvero crediti connessi alla gestione del fallimento, avendo il legislatore della

21 Cass., 17.01.1984, n. 402, in Giur. it., 1984, I, 1, 912 in riferimento all’azione revocatoria, ritenendo che, nella fattispecie, potesse applicarsi la previsione del d.lgs. n. 437/1948, attributivo al Ministro della Giustizia del potere di prorogare di quindici giorni i termini di decadenza presso gli uffici giudiziari, qualora questi ultimi «non siano in grado di funzionare regolarmente per eventi di carattere eccezionale». 22 Corte Cost., 23.05.1986, n. 129, in Foro it., 1986, I,2102, non potendo avvalersi dei mezzi previsti dal primo e quarto comma dell’art. 2943 c.c., ma proporre la domanda nella forma del ricorso, sarebbe assoggettato ai tempi del decreto pretorile di fissazione dell’udienza e, quindi, ai rischi connessi al tempo intercorrente tra l’imploratio iudicis offici e la vocatio in ius, coincidendo con questa il momento interruttivo della prescrizione. La decisione ha dato la “stura” per estendere l’analoga tutela anche in materia di licenziamento, come emerge da Cass., 20.04.2017, n.10016, ove è stato sancito che il termine di prescrizione di cui all’art. 1442 c.c. è da considerare validamente interrotto per effetto del solo deposito del ricorso introduttivo, senza che, a tali fini, sia necessaria anche la notificazione dell'atto al datore di lavoro, dovendosi evitare che sul soggetto che agisce in giudizio si ripercuotano i tempi di emanazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, con relativa compressione del termine assegnato dal legislatore per l’esercizio del diritto. 23 Cass., 20.11.2002, n. 16380; Cass., 11.09.1997, n.8990. 24 Come rimarcato da Fichera, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccininni e Severini, III, Torino, 2010, pag. 523 ed è la stessa definizione, che si ricava - potremmo dire in “controluce” - dalle conclusioni di P. Pajardi, laddove afferma che la domanda di ammissione debba assumere la forma del ricorso, il quale «ha tutti gli effetti della domanda giudiziale, impedisce prescrizioni e decadenze per tutta la durata del processo di fallimento», in Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, pag. 416. 25 Viceversa, secondo Cass., 27.02.1998, n. 2239, in Fallimento 1999, 357, l’iniziativa rivolta ad ottenere la declaratoria di fallimento potrebbe rientrare nello schema del quarto comma dell’art. 2943 c.c., poiché il ricorso per la dichiarazione di fallimento, una volta notificato al debitore, interromperebbe la prescrizione, atteso che tale ricorso manifesta al debitore l’intento, in termini ultimativi, di voler ottenere il soddisfacimento del credito.

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riforma fallimentare (art. 111 l.fall.) fatto proprio il diritto antevigente in virtù del quale, in presenza di contestazione dei crediti prededucibili, avrebbe avuto luogo l’accertamento attraverso il procedimento di verifica previsto dall’art. 93 e ss. l. fall.26 In questa ottica (ossia a seconda della esclusività, o meno, della domanda giudiziale per l’accertamento del credito) si colloca il revirement riguardo all’indennizzo per ingiustificato arricchimento: difatti, si era escluso che l’indennità ex art. 2041 c.c. potesse essere interrotta con un atto stragiudiziale, poiché si riteneva che l’obbligazione corrispondente «sorge[sse] e si specifica[sse]» soltanto con la sentenza pronunciata su quella domanda.27 Quando poi si è ritenuto che il diritto del depauperato sorga, non dal comando del giudice, ma per effetto e dal momento dell’arricchimento altrui, non si è esitato ad affermare che, per interrompere la prescrizione del diritto, sia sufficiente, secondo la regola generale del quarto comma dell’art. 2943 c.c., qualsiasi atto contenente la chiara volontà del creditore di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.28

3. In definitiva: non decennalizzazione di tutti i termini prescrizionali, bensì prescrizione decennale dell’azione Si noti come, a proposito dell’art. 2953 c.c., «[i]nvece che di diritto soggetto alla prescrizione ordinaria, suole parlarsi in tal caso di actio iudicati».29 Quantunque la norma non faccia riferimento alcuno all’azione, l’aver definito il suo contenuto come actio iudicati, mutuando l’espressione dal diritto romano30 non è un fatto casuale: evidentemente (ed istintivamente) si è ravvisato, in capo al titolare di un diritto di credito nascente da un provvedimento che renda applicabile l’art. 2953 cit., la titolarità di un potere, cui è correlato uno stato di soggezione del soggetto passivo, atteggiandosi l’actio come l’unico strumento di cui dispone il titolare di un’obligatio scaturente dal giudicato. Se è così, l’aver sempre definito (in dottrina e giurisprudenza) come actio l’attività, per ottenere il soddisfacimento di un credito accertato in uno dei provvedimenti ai quali si estende la disciplina dettata dall’art. 2953 c.c., sta a significare che è quanto mai appropriato l’impiego del termine romanistico, in quanto «[p]er perseguire giudizialmente un’obbligazione, [anche] il diritto romano conosceva una sola via,

26 Cass., 12.01.2001, n.388, in Foro it., 2001, I, 1897; Cass., 29.01.2002, n. 1065, in Fallimento, 2003, 22; Cass., 15.01.2003, n.515, in Fallimento, 2003, 1282; Cass., 27.03.2008, n.7967. E, sull’esclusività del foro fallimentare in relazione alla domanda di riconoscimento anche di un credito sorto successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, si veda App. Salerno, 11.04.2017, n. 337, in Ilfallimentarista.it, 18.08.2017, ove è chiarito che «non appare corretto in diritto restringere la portata della disciplina dell’art. 52 legge fall. alla sola valutazione dei crediti sorti prima del fallimento», atteso che «[n]ella procedura fallimentare operano i principi del concorso formale e sostanziale, in virtù dei quali, da un lato, i creditori, fatti salvi gli eventuali diritti di prelazione, possono partecipare solo in proporzione delle rispettive ragioni (par condicio creditorum) alla distribuzione del ricavato fallimentare e, dall’altro, tutte le posizioni creditorie verso il fallito sono sottoposte ad un accertamento unitario, quali che siano i titoli e quali che possano essere, in astratto, le domande proponibili». 27 Cass., 12.07.1980, n.4473, Giust. civ., 1981, I, 329 e Cass., 14.06.1988, n.4031. 28 Cass., 2.07.2003, n.10409, in Vita not., 2003, 1445: nella fattispecie, l’atto interruttivo fu ravvisato in ciascuna delle lettere inviate dal legale di un’impresa edile ad un Comune, ritenendo ciascuna di esse idonea ad interrompere la prescrizione del diritto di credito preteso.

29 Così, Roselli, in Nuova rassegna di giurisprudenza sul codice civile, diretta da Ruperto e Sgroi, Milano, 1994, Della tutela dei diritti, II, pag. 748. 30 L’actio iudicati era l’azione esecutiva che, nel processo formulare, prese il posto della manus iniectio iudicati, ovvero una delle cinque procedure contemplate dalle legis actiones e che, come quest’ultima, era caratterizzata (perciò azione) da una fase apud iudicem, a seguito della quale, se riconosciuta la fondatezza della pretesa creditoria, aveva luogo l’esecuzione personale (il debito si scontava con i servigi che il debitore prestava al creditore) o con la richiesta che il debitore faceva di rivalersi sul patrimonio del debitore, attraverso la missio in bona: v. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, XIV ed., Napoli, 1976, pag. 140.

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quella dell’actio: e un’actio doveva quindi essere necessaria per ottenere la realizzazione dell’obligatio iudicati».31 Tuttavia, essere titolare di una posizione di potere non significa che l’altro soggetto, titolare della correlativa posizione di soggezione, non possa, come potrebbe fare il soggetto titolare della posizione passiva in un rapporto obbligatorio, realizzare spontaneamente l’interesse dell’avente diritto, non rilevando che il diritto possa eventualmente essere soddisfatto anche mediante accordo stragiudiziale, poiché in tal caso la soddisfazione spontanea dell’interesse garantito da parte del soggetto passivo non è ricollegabile all’adempimento di un obbligo, ma ad una determinazione libera e occasionale, rispetto alla quale il diritto potestativo si atteggia come semplice motivo o presupposto del comportamento prescelto.32 Si vuole significare che, se è pur vero che l’adempimento del soccombente possa avvenire spontaneamente (anzi, sarebbe il comportamento “fisiologico” del soccombente), è altrettanto vero che la parte vittoriosa può soddisfare il proprio diritto, indipendentemente dalla collaborazione dell’altra parte, chiedendo l’intervento dell’organo pubblico per liquidare i beni del debitore o per ottenere le cose o i fatti, riconosciuti dal provvedimento. Ebbene, il soggetto creditore della prestazione in forza di un provvedimento giudiziale (definitivo), allorquando intima al soccombente di adempiere, non può minacciare di agire per l’accertamento giudiziale dell’asserito credito (in quanto già intervenuto), ma solo per ottenere, alla pari di quanto può fare il titolare di un diritto potestativo, il soddisfacimento (non più l’accertamento) del proprio diritto di credito. Ne discende che l’unica «intimazione» configurabile è quella contemplata dall’art. 480 c.p.c., non anche quella di cui è parola all’art. 1219 c.c. (quest’ultima potrebbe venire in rilievo solo per far presente che è venuta meno la tolleranza per il ritardato adempimento). Il precetto, integrando il presupposto (necessario) per l’esecuzione forzata, funge da editio actionis e da provocatio ad opponendum, in quanto individua la pretesa esecutiva, che si vuol far valere con la promovenda azione esecutiva, tant’è che, proprio in ragione di ciò rimane possibile dolersi, mediante opposizione allo stesso (art. 615, 1° co., c.p.c.), della non corrispondenza dell’intimazione rispetto a quanto risultante dal titolo esecutivo, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello oggettivo.33 L’esecuzione forzata inizia, non sulla (sola) base del titolo esecutivo, ma sulla base di questo e del precetto (art. 479, co. 1, c.p.c.), che deve contenere la specificazione (editio actionis) della prestazione della parte obbligata, richiesta dalla parte istante a norma dell’art. 480, 1° co., c.p.c.34 Il precetto configura un atto processuale corrispondente all’atto di citazione introduttivo del giudizio e ciò sia dal punto di vista della funzione sia dal punto di vista degli effetti, come si deduce, agevolmente, dall’art. 125 c.p.c., ossia la norma, inserita nel capo I, titolo VI, libro I del codice di rito (dedicato alla «forma degli atti e dei provvedimenti»), che specifica quali sono gli atti di parte e i requisiti minimi per la loro validità.35

31 Così, Liebman, Opposizioni di merito nel processo esecutivo, Roma, 1936, pag. 17.

32 Cass., 9.11.1983, n.6622. 33 V., sul punto, Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1993, pag. 207 e ss.; Saletti, Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella, Torino 2013, vol. VI, pp. 144-145. 34 Cass., ss.uu., 2.07.2012, n. 11067, in Foro it., 2013, I, 1282. Dello stesso avviso Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1965, III, 105. 35 Così, Zanzucchi, Diritto processuale civile, Del processo di esecuzione, III, Milano, 1964, pag. 11; Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 1998, pp. 65-66; Denti, Esecuzione forzata in forma esplicita, Milano, 1953, pag. 130. Contra: Andrioli, in Nov. Dig. It., voce Precetto, Torino, 1957, 562; Satta, Esecuzione forzata, Torino, 1950, pag. 45; Rocco, Trattato di diritto processuale civile, Vol. IV, Torino, 1959, pag. 152 e ss. Una posizione intermedia è stata assunta da

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Dirimente, a mio avviso, è il primo comma dell’art. 2943 c.c., in quanto attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione (anche) all’atto «con il quale si inizia un giudizio […..] esecutivo». Né la conclusione può ritenersi smentita da alcune pronunce, secondo le quali l’atto di precetto, contenendo un’intimazione ad adempiere rivolta al debitore, produrrebbe un effetto interruttivo della prescrizione a carattere istantaneo, mentre l’atto di pignoramento determinerebbe un effetto, non solo interruttivo, quanto pure sospensivo della prescrizione (art. 2945, 2° co., c.c.), poiché ad esso consegue l’introduzione di un giudizio di esecuzione e, quindi, un nuovo periodo di prescrizione.36 Anche a voler ritenere logicamente compatibili due effetti interruttivi distinti, quali quello prodotto dal precetto e quello prodotto dal pignoramento, giova rilevare che, in caso di estinzione della procedura esecutiva, vengono meno gli atti della serie procedimentale, in quanto destinati alla soddisfazione dei creditori, mentre l’estinzione non travolge gli effetti dell’atto di precetto, tant’è che il nuovo periodo di prescrizione (ri)comincia a decorrere dalla data della notifica del precetto.37 Ne consegue che, anche a voler considerare il precetto un atto prodromico del processo esecutivo, questo costituisce una condizione di proponibilità dell’azione esecutiva (ossia un presupposto processuale), che, rimanendo “indenne” in caso di estinzione del giudizio, realizza la fattispecie di cui al terzo comma dell’art. 2945 cit., ponendosi come l’atto dal quale, una volta estintosi il giudizio, ricomincia a decorrere il termine prescrizionale del diritto fatto valere in executivis. Considerato che il soggetto risultante creditore dal titolo di formazione giudiziale può, avvalendosi di quest’ultimo, esercitare la potestà di incidere nella sfera giuridica del soggetto tenuto alla prestazione, al fine di ottenere il soddisfacimento del diritto indipendentemente dal concorso della volontà di costui, non v’è spazio per un atto di costituzione in mora, ma soltanto l’assoggettamento all’altrui iniziativa, da esercitarsi nella forma dell’esecuzione forzata. Poiché l’atto per l’esercizio della stessa è costituito dal precetto, solo a quest’ultimo può riconoscersi l’idoneità ad interrompere la prescrizione dell’actio iudicati, identificandosi quest’ultima con l’azione esecutiva. D’altronde, non sarebbe giustificabile uno slittamento, all’inizio dell’esecuzione, dell’effetto interruttivo prodotto dal precetto in caso di estinzione del processo esecutivo, ove, invece, questo rimarrebbe fermo in caso di perenzione ai sensi dell’art. 481 c.p.c., non potendo tale inefficacia annientare l’effetto interruttivo della prescrizione «per la ragione che esso si consuma nello stesso tempo in cui viene in vita».38 Una conferma dell’enunciata conclusione può ricavarsi dalla estensibilità dell’art. 2953 c.c. alla condanna generica (art. 278 c.p.c.).39 Senza rimanere in disquisizioni fuorvianti, sarà

Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, pag. 5, che considera il precetto, non una domanda, bensì un «preavviso di domanda».

36 Cass., 19.09.2014, n. 19738; Cass., 29.032007, n. 7737, ivi; Cass., 6.06.2002, n.8219. 37 Fanelli, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella cit., Torino, 2014, vol. VII, pag. 526; Castoro, op. cit., pag. 584. 38 Così Verde, Osservazioni sulla natura del precetto come atto di costituzione in mora, in Foro. It., 1980, I, 980. Dello stesso avviso, Nicoletti, Enc. dir., XXXIV, voce Precetto (dir.proc.civ.), Milano, 1985, 871.

39 Si veda, benché riferite alla condanna generica in favore del soggetto costituitosi parte civile in un procedimento penale, Cass., 14.02.2019, n.4318; Cass., 7.04.2015, n.6901, ivi, e Cass., 19.02.2009, n.4054, in Foro it., 2009, I, 1741, secondo le quali l’actio iudicati di cui all'art. 2953 c.c. opera anche con riferimento ad una pronuncia definitiva di condanna generica emessa in sede penale, con la precisazione che, in difetto di espressa limitazione contenuta in tale pronuncia, si estende a tutte le pretese risarcitorie comunque correlate al reato, senza possibilità di ritenere soggette al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 c.c. pretese relative a danni che, sebbene non specificamente dedotti nell'atto di costituzione di parte civile, siano comunque conseguenti al reato.

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sufficiente osservare come la condanna generica presenti un (marcato) connotato di tutela cautelare del credito, che finisce col godere di una tutela anticipata rispetto alla condanna finale, potendo il creditore iscrivere subito ipoteca giudiziale, anziché attendere la cognizione sull’entità della pretesa creditoria, spesso molto complessa.40 Ciò a prescindere dall’orientamento che si voglia privilegiare, ossia quello secondo il quale la sentenza di condanna generica accerti il diritto alla prestazione41 o quello secondo il quale tale sentenza non postulerebbe l’accertamento del diritto.42 Ora, considerato che la condanna (sicuramente incompleta) resa con la sentenza ex art. 278 cit. e quella (successiva) sulla determinazione quantitativa del diritto mirano (in mutua integrazione) al concreto soddisfacimento della pretesa creditoria, e che la pronuncia sull’an soggiace alla prescrizione decennale a mente dell’art. 2953 cit., il creditore non potrebbe interrompere la prescrizione del diritto nascente dalla condanna generica se non promuovendo il giudizio per l’accertamento del quantum: nella fattispecie, per giunta, non sarebbe neppure configurabile un atto di messa di mora, atteso che al debitore non potrebbe essere richiesta alcuna prestazione. 4. L’equivoco Venendo alla sentenza in commento, anzitutto colpisce come l’art. 90, 2° co., r.d. n. 642/1907 sia stato considerato espressione di un modello proprio delle legislazioni moderne, teso alla omologazione delle normative,43 in quanto avrebbe «richiamato le allora vigenti disposizioni del codice civile del Regno d’Italia del 1865», il quale «all’art. 2123, ammetteva che “la prescrizione può essere interrotta … civilmente”, cioè, tra gli altri atti, con una domanda giudiziale o un atto di costituzione in mora». Opera, poi, un distinguo tra il lessico impiegato nell’art. 90 cit. e nell’art. 2135 del codice del 1865, rispetto a quello rinvenibile nell’art. 2953 del codice attuale: i primi avrebbero fatto riferimento alla prescrittibilità dell’azione, mentre il secondo si riferirebbe al diritto44. La deduzione, però, si pone in patente antilogia con quanto affermato poco prima e, cioè, che il precedente codice avesse previsto la possibilità di interrompere «civilmente» la prescrizione mediante qualsiasi atto (quindi, anche non giudiziale) idoneo a costituire il debitore «in mora d’adempiere l’obbligazione» (art. 2125 cit.). Il vecchio codice, invero, si era spinto a prevedere anche che la prescrizione potesse essere interrotta «naturalmente» e, cioè, mediante la privazione «per più di un anno del godimento della cosa» (art. 2124 del predetto codice). Poi, ad avviso dell’adunanza plenaria, in virtù della 40 V., sul punto, E. Marinucci, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella cit., Torino, 2014, vol. III, pag. 54. In giurisprudenza, v. Cass., ss.uu., 23.11.1995, n. 12103, in Giust. civ., 1996, I, 2993, con nota di Colaiacovo, Perfezionamento dell'illecito da concorrenza sleale e pubblicazione della sentenza, secondo la quale, per le azioni di risarcimento del danno, sia in materia contrattuale sia in quella extracontrattuale, è ammissibile «la domanda dell'attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso (espresso o tacito) del convenuto». 41 Cass., 11.02.2009, n.3357, in Giust. civ., 2010, I, 2653. L’attitudine al giudicato sull’an era già stato evidenziato da Chiovenda, in Saggi di diritto processuale civile, vol. I, ristampa, Milano, 1993, pp. 126-127, in quanto «la condanna ai danni salva liquidazione» era, come la condanna con riserva, anch’essa espressione di «un frazionamento di questioni attinenti al medesimo diritto, ma d’un ordine affatto diverso, poiché l’esistenza del diritto è qui [nella condanna generica], affermata e riservata è soltanto la determinazione della sua entità». 42 Cass., 19.10.2010, n. 18748. 43 Sull’unificazione delle procedure, come tendenza delle moderne legislazioni, v. Sassani, Arbor actionum. L’articolazione della tutela nel codice del processo amministrativo, in www.judicium.it, 26.01.2012. 44 Del resto, era questo il primo dei dilemmi che si era posto il giudice remittente (Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana), formulando il seguente quesito: «se il termine di prescrizione decennale dell’actio iudicati previsto dall’art. 114, comma 1, c.p.c. riguardi il diritto di azione o il diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato».

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possibilità, prevista dall’art. 37 della legge istitutiva del tribunali amministrativi regionali (l. n. 1034/1971), di ottenere, non solo l’esecuzione del giudicato del giudice ordinario, ma anche di quello del giudice amministrativo, non vi sarebbe stato spazio, ai fini interruttivi della prescrizione, per atti diversi dalla proposizione della domanda giudiziale (ovvero la proposizione del ricorso) allorché la tutela avesse involto posizioni di interesse legittimo.45 Successivamente, il c.p.a. (art. 114), avendo sancito la prescrittibilità dell’azione di esecuzione del giudicato, avrebbe espresso la volontà del legislatore di stabilire la regola per cui il termine di prescrizione decennale per l’esperimento dell’actio iudicati prescinderebbe dalle «posizioni giuridiche oggetto del giudicato», con la conseguenza che la (nuova) azione di ottemperanza, se riferita ai (soli) diritti, non avrebbe colmato alcuna lacuna, dal momento che per essi il termine prescrizionale sarebbe stato interrompibile a mente degli artt. 2953 e 2943, 4° co., c.c. Di qui la “ovvia” conclusione: la ratio ispiratrice dell’art. 114 cit. sarebbe da scorgere nella precipua scelta del legislatore di uniformare la disciplina afferente all’oggetto del giudicato, rendendo idoneo l’atto stragiudiziale ad interrompere anche la prescrizione delle posizioni di interesse legittimo, atteso che l’eventuale esclusione della loro interrompibilità con un atto stragiudiziale avrebbe esposto la disciplina ad una scarsa tenuta sul piano costituzionale. A ben vedere, l’(asserita) inscindibilità della regola postula, in sostanza, una scissione tra l’azione e le posizioni verso le quali essa si proietta, avendo contrapposto (isolandola) la prima alle seconde. In particolare, ritenendo che il diritto di agire (e, cioè, l’azione) nascente dal giudicato fosse assoggettato non a decadenza ma a prescrizione, per ciò solo sarebbe, tout court, regolato dalla disciplina (generale) della prescrizione e, dunque, interrompibile anche con un atto di costituzione in mora. La deduzione è frutto di una singolare interpretazione del sotteso spirito della legge, giacché, se fosse condivisibile, bisognerebbe ammettere che il legislatore abbia inteso ampliare il concetto di azione al punto di “annegarlo” in quello di diritto sostanziale. Avrebbe, se così fosse stato, riproposto la concezione “storica” dell’azione, intesa come «il diritto stesso in attuazione e in movimento»46. Caratteristica di questa concezione era l’identificazione dell’azione col diritto, ovvero con un momento della sua esistenza e, cioè, di quello, destinato alla sua protezione, non solo in sede processuale, ma anche fuori del processo, come accade quando il diritto venga tutelato attraverso il ricorso all’autotutela, reattiva (ad es., la facoltà di ritenzione) o preventiva (ad es., l’eccezione di inadempimento)47. Oggi, però, regna universale (certo non è questa la sede per ulteriori approfondimenti) l’accordo circa l’autonomia dell’azione rispetto al diritto verso il quale è diretta la tutela giurisdizionale, autonomia che si risolve nel riconoscimento (e nell’affermazione) di un dualismo48, ancorché imperfetto, nel concetto di diritto soggettivo.

45 Giova segnalare che, essendo stato l’art. 4 della l. n.2248/1865 l’occasione dalla quale era scaturito il giudizio di ottemperanza previsto dal r.d. n. 642/1907, quello introdotto dalla legge del 1971, benché “diretto discendente” del primo, contemplava anche il rapporto tra giudicato amministrativo ed amministrazione, ovvero un rapporto diverso rispetto a quello intercorrente tra questa e il giudicato ordinario: sorsero, difatti, perplessità circa l’utilizzabilità del rimedio per l’esecuzione delle sentenze di condanna (al pagamento di somme), tant’è che dovette intervenire l’adunanza plenaria (9.03.1973, n.1) per sancire che il nuovo giudizio non fosse alternativo, bensì concorrente, con la tutela apprestata dal codice di procedure civile, potendo entrambi i rimedi esperirsi persino contemporaneamente. Al riguardo, v. Caianiello, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, pag. 781; Cassarino, Il processo amministrativo nella legislazione e nella giurisprudenza, Lo svolgimento del giudizio, II, Milano, 1987, pag. 863; Virga, Diritto amministrativo, Atti e ricorsi, II, Milano, 1992, pag. 452; Castro, Il giudizio di ottemperanza amministrativa, Milano, 2012, pag. 98. 46 L’espressione è di Milone, in La exceptio doli (generalis): studio di diritto romano, Napoli, 1882, 215. Sulla questione, v. anche Liebman, in NN.DD., voce Azione (teoria moderna), Torino, 1957, II, pag. 29. 47 Per un’approfondita disamina dell’argomento, v. Dagnino, Contributo allo studio dell’autotutela privata, Milano, 1983, pag. 16. 48 Chiovenda, Saggi cit., vol. I, pag. 117; Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1959, pag. 99.

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Un diritto può esistere a prescindere dalla sua tutelabilità in via di azione, potendo essere, ad esempio, tutelabile solo in via di eccezione (si pensi alla tutela attraverso l’eccezione della soluti retentio). A ciò si aggiunga che l’art. 114 cit., diversamente dall’analoga disposizione che lo aveva preceduto (art. 37 l. 1034/1971), dice che «l’azione si prescrive» e, dunque, non sarebbe azzardato ritenere che il legislatore, stante il palese significato delle parole impiegate, abbia inteso fugare ogni dubbio al riguardo: avendo il c.p.a. fatto espresso riferimento alla prescrizione dell’«azione» e non del diritto, anche a non volere condividere il dualismo sopra evidenziato, non vi sarebbe ragione idonea ad escludere che la domanda giudiziale integri l’unico rimedio per tutelare il diritto e, quindi, l’unica iniziativa atta ad interromperne la prescrizione, come chiarito dalla giurisprudenza per (tutti) i casi in cui il legislatore abbia fatto riferimento alla prescrizione della stessa (v. sub § 2). Il lessico è chiaro e non dà luogo ad equivoci; e così, paradossalmente, per quanto si è appena detto, l’ineludibilità del ricorso per l’ottemperanza al giudicato è più vistosa rispetto alla ineludibilità del precetto per interrompere la prescrizione stabilita dall’art. 2953 c.c.: nel giudizio di ottemperanza l’ineludibilità in discorso discende dal (chiaro) tenore letterale del testo, lì passa attraverso la costruzione del diritto (nascente dal giudicato) come diritto potestativo. Tornando allora conclusivamente alla sentenza che dà l’occasione delle presenti note, seppure appaia condivisibile il criterio equitativo che ha indotto Consiglio di Stato a ritenere «del tutto fisiologico che nel corso del tempo il vincitore del giudizio di cognizione solleciti l’Amministrazione ad eseguire il giudicato, prospettando se del caso soluzioni che possano essere concordate, prima di proporre il giudizio d'ottemperanza (anche in un’ottica deflattiva del contenzioso)», non altrettanto condivisibile ne è la successiva deduzione, secondo la quale, avendo il legislatore conferito agli «atti di impulso univocamente rivolti ad ottenere l'esecuzione del giudicato» efficacia interruttiva dell’actio iudicati, non avrebbe potuto «essere “premiata” l'Amministrazione - con una regola della non interrompibilità della prescrizione - quando, malgrado tali atti, non vi sia stata né la “unilaterale” esecuzione del giudicato, né una soluzione consensuale». Difatti, si potrebbe obiettare che l’esistenza del termine prescrizionale entro il quale proporre la domanda impedisce un’incertezza sine die circa le vicende del contratto, poiché assicura un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti, nel senso di evitare che, su una delle parti, gravi una sorta di “spada di Damocle”. È stata forse questa la ragione che ha indotto il legislatore a porre un limite temporale ad agendum (di natura prescrizionale e, talvolta, decadenziale) per agire, allorquando il diritto sia tutelabile solo mediante l’esperimento dell’azione giudiziaria: si pensi all’incertezza che genererebbe sulle sorti del contratto ed in capo ai soggetti coinvolti nella vicenda contrattuale la possibilità di interrompere con un atto stragiudiziale la prescrizione dell’azione per richiedere l’annullamento (a norma degli artt. 428 e 1442 c.c.), la rescissione (art. 1449 c.c.) o la revocatoria del contratto (art. 1449 c.c.). Opinare diversamente, ossia ritenere interrompibile in questi casi la prescrizione con un’iniziativa extraprocessuale, renderebbe inevitabile riconsiderare la concretezza e l’attualità dell’interesse ad agire, così come delineato dall’art. 100 c.p.c., sì da dare ingresso alle actiones praeiudiciales del diritto intermedio, onde consentire al contraente nei cui confronti è minacciata l’azione tesa a caducare il contratto (o anche al terzo, ove l’azione minacciata fosse la revocatoria), di chiedere al giudice la fissazione di un termine per far valere il diritto in giudizio (provocatio ad agendum) e, in difetto, chiedere di ordinargli di astenersi dal minacciare l’esperimento dell’azione (impositio silentii).

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E, ponendosi da quest’angolo visuale, se è pur vero che non sia meritevole di «essere “premiata” l'Amministrazione» insensibile ai reiterati solleciti del creditore (ponendosi «in sé in contrasto con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa»), è altrettanto vero che neppure quest’ultimo può ritenersi degno d’encomio per la perseveranza in defatiganti iniziative stragiudiziali, anziché attivarsi per promuovere l’azione giudiziaria. Vincenzo Lombardi Avvocato

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GIUSEPPE SEVERINI - MARCO LIPARI - CLAUDIO CONTESSA - SERGIO ZEULI MARINA PERRELLI - SILVIA COPPARI - PAOLA MALANETTO - ROBERTA RAVASIO

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Jumelage «Appui à la réforme de la justice administrative en Tunisie»

TN 15 ENI JH 05 18

Avis de l'équipe italienne sur le projet de code du procès administratif

(Décembre 2020)

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SOMMAIRE DU CONTENU 1. INTRODUCTION GENERALE DU TEXTE ET METHODOLOGIE SUIVIE 2. DISPOSITIONS GÉNÉRALES ET PRELIMINAIRES 2.1. Le projet de Code de la justice administrative: une vue d’ensemble 2.2. Dispositions générales (articles 1-12). Dispositions préliminaires (articles 13-15) 3. LA COMPÉTENCE JURIDICTIONNELLE DES TAPI. 3.1. De la compétence juridictionnelle des TAPI 3.2. De la compétence territoriale des TAPI. 3.3. Le conflit de compétence territoriale des TPI. 4. LES PROCÉDURES DEVANT LE TAPI ET LA LA REPRESENTATION EN JUSTICE DES PARTIES 4.1. Aspects généraux 4.2. La dispense du ministère d’avocat 4.3. De l’aide juridictionnelle devant le Tribunal administratif. 4.4. La requête introductive de l’instance 4.5. Les délais de recours devant les TAPI 4.6. Le début du délai et la connaissance ou la connaissabilité des actes de la procédure administrative. 5. MESURES D’INSTRUCTIONS 6. LES MOYENS D’INSTRUCTIONS 6.1. Cinquième partie: Les moyens d’instructions en général 6.2. De l’expertise. Le rappel des articles pertinents. 6.3. L’expertise : considérations relatives à l’article 6.4. Des constats judiciaires. Le rappel des articles pertinents. 6.5. Les constats

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7. PROCEDURES ET INTERRUPTIONS DE L’INSTRUCTION 7.1. Procédures et interruptions de l’instruction 7.2. Les demandes additionnelles et reconventionnelles 7.3. En particulier: les demandes additionnelles 7.4. En particulier: les demandes reconventionnelles. 7.5. L’intervention 7.6. De la péremption de l’affaire 7.7. De l’inscription de faux 7.8. Des questions préjudicielles 8. LA TRANSACTION 8.1. Considérations préliminaires 8.2. Nature, objet et limites de la transaction régie par les articles 122-139. 8.3. La transaction en tant que phase sous-procédurale qui se déroule devant un juge tiers et impartial. 8.4. Les procès-verbaux des audiences de transaction 8.5. L’interdiction d’introduire un recours relatif à un contentieux antérieur à la conclusion de la transaction. 8.6. L'efficacité de la transaction envers les droits des tiers 8.7. La transaction dans les cas de contentieux pour excès de pouvoir. 9. L’AUDIENCE DE PLAIDOIRIE ET LE JUGEMENT 9.1. Identification des dispositions faisant l'objet d'une plus grande attention 9.2. L’audience de plaidoirie et de jugement : la gestion de tableau des affaires 9.3. L’audience de plaidoirie : la gestion de l’audience 10. LE DELIBERE 10.1. La décision est toujours prise en formation collégiale. 11. LE JUGEMENT. 12. LA RECTIFICATION DE L’ERREUR MATERIELLE 13. L’INTERPRETATION DES JUGEMENTS 14. LES FRAIS DE JUSTICE 15. LA RECUSATION 16. DES REFERES 16.1. Aspects généraux 16.2. Les dispositions examinées 17. LA FONCTION CONSULTATIVE 17.1. Aspects généraux 17.2. La portée objective de la fonction consultative

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17.3. Le calendrier de la procédure et les facultés d'enquête lors de la séance consultative : 18. LA COMPOSITION DE LA HAUTE COUR ADMINISTRATIVE 19. DES VOIES DE RECOURS EXTRAORDINAIRES 19.1. Recours en révision (articles 224 à 230) 19.2. Les cas spécifiques dans lesquels un appel en révision est admis : 19.3. Les délais prévus sous peine de déchéance pour la proposition de l'action de révision 19.4. Les mesures de précaution envisagées l’audience de révision (article 229) 19.5. Opposition en général et opposition du tiers (articles 231 à 236) 20. DES REFERES 20.1. Aspects généraux 20.2. Les dispositions examinées 21. L’ EXECUTION DES JUGEMENTS DES JURIDICTIONS DE JUSTICE ADMINISTRATIVE (ARTICLES 284 À 293) 21.1. La structure du titre VIII. 21.2. Deux différences significatives par rapport au système italien. 21.3. L'impérativité des décisions du juge administratif. 21.4. La portée de la chose jugé du jugement administratif. 21.5. Les effets réparateurs de la décision d'annulation. 21.6. Remèdes procéduraux en cas de non-exécution des décisions finales. 21.7. Non-exécution pour «raison légale» 21.8. L'action en dommages conséquente a la non-exécution de la décision du juge administratif. 21.9. Responsabilités des chefs et des agents des administrations 22. L’ORGANISATION ADMINISTRATIVE ET FINANCIERE DES JURIDICTIONS ADMINISTRATIVES ----- ANNEXE 1 Index des articles transmis à l'équipe italienne

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1. INTRODUCTION GENERALE DU TEXTE ET METHODOLOGIE SUIVIE Dans le cadre du projet de jumelage intitulé «Appui à la réforme de la justice administrative en Tunisie», l'un des objectifs les plus importants et qualificatifs est certainement représenté par l'expression de l’avis sur le projet de Code de la justice administrative rédigé en 2019-2020 par une Commission de codification (et, ultérieurement, par une Commission de synthèse) et qui sera prochainement soumise au Parlement pour examen. Compte tenu de la grande importance de cet objectif dans le contexte du projet de jumelage, le texte a été examiné par un groupe d’experts italiens au plus haut niveau institutionnel. Le groupe de travail était coordonné par le Président de section du Conseil d'État Giuseppe Severini (Coordinateur aussi du Volet A), assisté des présidents de section Marco Lipari et Claudio Contessa (ce dernier, Chef aussi du projet de jumelage pour l'équipe italienne). Le groupe était également composé de magistrats administratifs particulièrement experts en droit procédural administratif et comparé (il était composé, notamment, du Conseiller d'Etat Sergio Zeuli - CRJ du projet -, ainsi que des conseillères de T.A.R. Marina Perrelli - Coordonnatrice aussi du volet C -, Silvia Coppari, Paola Malanetto et Roberta Ravasio). L’avis exprimé par les experts italiens reconnaît la grande importance du projet de code pour la pleine mise en œuvre de l’article 116 de la Constitution tunisienne de 2014 et, plus généralement, pour la pleine mise en œuvre des principes de l’État de droit dans la fondamentale matière procédurale (il s’agit d’un sujet dans lequel le modèle tunisien s'est déjà démarqué pendant des années comme l'un des plus intéressants et avancés de toute la zone géographique). Le texte du projet de Code a été mis à la disposition des experts italiens à trois moments distincts et il a été observé que, probablement, les différentes parties du texte se référaient à différentes étapes d'avancement du projet de Code même. Malgré cela, il était tout à fait possible pour les experts italiens de bien comprendre le sens général du code et de ses dispositions individuelles et d’exprimer une opinion fondée sur une connaissance consciente du texte. En ce qui concerne la méthodologie suivie pour rédiger cet avis, il n’a pas été jugé nécessaire de se concentrer sur tous les articles du projet de Code, mais uniquement sur ceux qui ont suscité des réflexions et des commentaires. Pour chaque disposition - ou groupe de dispositions – l’équipe italienne est partie d’une brève description de l’article de référence ; ensuite a développé l’avis (parfois sous la forme d’un commentaire, parfois sous la forme d'une suggestion, parfois - plus rarement - avec l'indication des profils de criticité possibles). Quoi qu’il en soit, l’expérience récente de codification sectorielle en Italie (2010) a constitué un point de départ pour l’examen des articles individuels. Une dernière remarque concerne les articles relatifs aux Cours d’appel administratives ainsi que à la Haute Cour administrative (articles 167-202), qui n’ont été acquis que très récemment et sur lesquels l'équipe italienne se réserve d’envoyer un autre document dans un bref délai. Nous souhaitons souligner au préalable que toutes les considérations, observations et suggestions contenues dans ce texte ne sont que des contributions collaboratives, formulées

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dans l'esprit positif du jumelage: bien entendu, ce sont des observations qui peuvent être librement prises ou non prises en compte, extérieures à l'expérience tunisienne, mais en tenant compte des principes et des normes découlant de l’expérience professionnelle des rédacteurs.

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2. DISPOSITIONS GÉNÉRALES ET PRELIMINAIRES

2.1. Le projet de Code de la justice administrative: une vue d’ensemble Le projet de Code de la justice administrative tunisienne a été élaboré au moyen d’un travail très important par la Commission de codification au sein du Tribunal administratif supérieur, instituée par le Premier Président Abdessalem Medhi Grissiaa. Le texte actuel de ce projet vient donc directement du monde de la magistrature administrative, où le Premier Président a sélectionné le groupe de magistrats qui y ont travaillé pendant années. Par conséquent, il exprime une très haute expérience professionnelle et la connaissance sûre de tous les problèmes et les questions d'organisation et de procédure, sédimenté par un engagement dédié par chacun des membres depuis de nombreuses années de vie professionnelle. Tout cela est déjà une valeur en soi et en tant que tel mérite d'être considéré avant tout. Néanmoins, le projet est prévu être soumis à d'autres importants passages, qui peuvent affecter son texte, avant d'être traduit en loi et ainsi entrer en vigueur. Ce projet, en effet, est soumis aux observations scientifiques du monde académique, aux observations technico-professionnelles du monde des avocats et ensuite aux évaluations politiques et finales des membres de l’Assemblée des représentants du peuple. Cela assure le concours des trois grandes composantes de la construction du droit et de création de la normativité : jurisprudentielle/professionelle, doctrinale, législative. L'idée même d’un tel Code représente une étape fondamentale vers l'accomplissement définitif de l'Etat de droit en Tunisie, conformément à la Constitution tunisienne de 2014 (article 116). En fait, les dispositions de la Constitution et sa conception bien avancée de la justice administrative au sein du pouvoir judiciaire, ce qui correspond à la dignité constitutionnelle donnée au principe de séparation des pouvoirs (cfr. Chapitre V – Du pouvoir juridictionnel), ont généré la nécessité d'un tel Code. C'est en particulier l'article 116, dernier alinéa, de la Constitution qui confie à la loi - la seule source à laquelle la civilisation du droit et la sécurité juridique imposent réserver la régulation du procès - le soin d'établir l'organisation de la justice administrative, ses compétences, les procédures suivies devant elle et le statut des magistrats. L'activité de notre Projet de jumelage (qui ha le nom significatif de Appui à la réforme de la justice administrative en Tunisie) a été l'occasion de colloques répétés pendant ces deux années, que nous jugeons très utiles et constructives, avec nos collègues tunisiens, y compris des membres importants et faisant autorité de la Commission de codification et avant tout le Premier Président même. Nous aimons noter les traces de ces rencontres et discussions dans certains articles significatifs du projet de Code: en particulier sur les questions de compétence territoriale et des conflits de compétence (pour les questions de répartition de compétence territoriale entre les tribunaux administratifs de première instance et la répartition territoriale des chambres détachées au sein des tribunaux administratifs, etc.) et de l'exécution effective des décisions de justice administrative, ce qui a été l'occasion de confrontations répétées et de comparaisons approfondies. 2.2. Dispositions générales (articles 1-12). Dispositions préliminaires (articles 13-15)

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Dans le projet de Code, les Dispositions générales (articles 1-12) reprennent les grandes questions déjà indiquées par la Constitution de 2014 et les inscrivent dans la loi, de telle sorte que toute interprétation des dispositions individuelles par les juges doit s'y référer. L'article 1, en particulier, définit la dimension organisationnelle générale de la nouvelle structure à trois niveaux de la justice administrative tunisienne, conformément au dessin inscrit dans l'article 116, premier alinéa, première phrase, de la Constitution. Comme il arrive lors des propositions législatives claires et précises, de cette façon l'un des problèmes les plus importants pour la société tunisienne entière est abordée, à savoir la présence de distincts tribunaux administratifs territoriaux compétents en première instance (les tribunaux administratifs de première instances - TAPI). Nous connaissons l'effort apprécié de ces deux années pour démarrer cette organisation en temps serrés; ce qui a forcément dû passer par la mise en place provisoire des douze «Chambres de Première Instance Subsidiaires du Tribunal Administratif» établies aux régions en 2018 en vertu du décret gouvernemental du 25 mai 2017: et ce qui était en tout cas la première, louable forme de diffusion territoriale de la justice dans un Pays de si grandes dimensions géographiques et voies de connexion en construction. Et nous connaissons l'effort convergent du recrutement de nombre de nouveaux juges (les conseilleurs adjoints récemment recrutés pour faire face à la dotation de ces nouvelles chambres), que nous avons constaté directement, lors d'une conférence à Gabès, comme riches d'enthousiasme professionnel et de volonté d'apprendre. La solennité de cet article posé comme introductif de tout le Code marque toutefois et définitivement la voie, proche évidemment (une fois l'expérience professionnelle testée et affinée), de l’«autonomisation» de ces actuelles chambres subsidiaires en autant de tribunaux administratifs proprement dits. Cela correspond à l'exigence fondamentale de l'identification, préalable, certaine et sûre, du juge naturel (c'est-à-dire natif et non délégué) pour chaque territoire de la République tunisienne. Même si une Constitution ne le mentionne pas expressément, il y est immanente car c'est l'un des piliers de l'Etat de droit du point de vue de l'administration de la justice, composante réelle de l'égalité devant la loi et qui se reflète dans une organisation judiciaire certaine et définitive. De ce point de vue, la pleine mise en œuvre de ce précepte d’ouverture est directement liée à l'effectivité de l'article 5 (selon lequel l'incompétence juridictionnelle ou territoriale sont d’ordre public et peuvent être soulevés à n'importe quel degré de juridiction). En fait, au sein d'un tribunal unique de première instance avec des chambres détachées (telle semble être la nature, à présent, des «Chambres de Première Instance Subsidiaires du Tribunal Administratif»), il ne peut y avoir de véritables questions de compétence territoriale, de sorte que l'article 5 ne peut encore s'appliquer et il n’en resterait qu’une importante norme apparente. Tout cela compromet, en ce qui concerne le territoire, le principe du juge naturel. C'était un sujet sur lequel, comme mentionné, les rencontres ont été particulièrement détaillés et utiles, considérant également que l'expérience italienne connaît aussi, dans les plus grandes régions, aux grandes juridictions territoriales, l'institution de chambres détachées : et que cette expérience dit clairement que leur relation avec leur siège central n'est pas une relation de véritable compétence territoriale, contrairement à celle entre véritable tribunal (natif et non délégué) et véritable tribunal (natif et non délégué). Par conséquent, l’altération, dans le cas particulier, de la relation entre le juge et son territoire ne se traduit pas par un vice de la procédure.

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De toute façon, les collègues tunisiens ont pu apprendre, aussi par une mission spéciale à Rome, de l'expérience italienne dans les années 1970 pour la création de tribunaux administratifs et, nous avons pu voir, ce fut une connaissance très utile pour cette nouvelle démarche tunisienne. Encore du point de vue de l'organisation judiciaire, une autre disposition très importante parmi ces Dispositions générales est celle de l'article 10 qui établit que les jugements sont rendus par des organes juridictionnels collectifs sauf si la loi en prévoit autrement. En effet, la collégialité du juge est la principal formule d'organisation pour assurer l'impersonnalité de la fonction et le raffinement, la pondération et l'autorité morale de la décision (juge unique, juge inique). Elle empêche aussi la dérive dangereuse de l'apparente personnalisation et médiatisation de la justice, qui se fait au détriment de la qualité de sa réponse et de son rôle. Il est donc suggéré de considérer que la possibilité d'exception («… sauf si la loi en prévoit autrement») soit utilisée de la manière la plus contenue, et limitée à tous niveaux aux cas - tels que les situations d'extrême urgence - où il est pratiquement impossible de rassembler en temps utile tout le collège. Il en est ainsi en Italie et cette structure confère une qualité et une crédibilité particulières à la justice administrative. Du point de vue de l'État de droit et des pouvoirs di juge, une prévision remarquable d’attention et réflexion est celle relative à l'interprétation, c'est-à-dire l'article 3, dans la partie où l’on prévoit que le recours pour excès de pouvoir porte à une décision qui doit être conforme aux lois et règlements en vigueur «ainsi qu’aux principes généraux de droit» (sans préciser: tunisien). Il n'est pas nécessaire de rappeler le grand débat - large et bien connu - sur les limites de l'interprétation judiciaire, le rôle - actif ou de retenue - du juge dans le sauvegarde ou la formation de l’ordre juridique et sa soumission «à l’autorité de la loi» (pourtant solennisée par l’article 102 de la Constitution tunisienne), comme le phénomène connu aujourd'hui sous le nom, même parfois excessif, de judiciarisation du politique. Il n'est même pas nécessaire de rappeler combien cela doit à l'étendue possible de l'interprétation créatrice basée sur des non écrits et non spécifiés «principes généraux du droit», dégagés par le juge et consacrés par lui. Si le texte définitif de la disposition restera en ces termes, il sera très important pour le droit administratif tunisien e le périmètre du syndicat judiciaire sur la puissance publique, ainsi que pour la définition de l’ordre juridique du Pays, le rôle qui ira jouer le Tribunal administratif supérieur (TAS). Son rôle de cassation est en effet celui du gardien du respect et de l'interprétation uniforme de la loi pour assurer l'unité du droit objectif national : de façon que les «principes généraux du droit» ne soient autre que ceux, connus, du droit tunisien, à prévenir- et le cas échéant pour contraster - toute sorte de créationnisme judiciaire. C’est ce qu’en Italie il est de coutume d'appeler, avec un mot ancien qui vient de l’histoire des cités-état grecques, la fonction de nomophylakia (νομοϕυλακία) - garde des lois - du dernier degré de la pyramide de la juridiction : c’est-à-dire, pour le droit administratif, du Consiglio di Stato (ainsi que la Cour de cassation pour le droit civil ou pénal). Cette fonction est en outre renforcée expressément par la loi lorsqu’il juge dansa dans sa formation la plus large, à savoir la Séance plénière, par une efficacité presque contraignante pour le futur du principe de droit, établi par sa décision: ce qui est d’ailleurs bien prévu par l’article 207 de ce projet de Code tunisien, à propos de l’Assemblée plénière juridictionnelle di TAS. Les articles 2 et 3 énoncent la diversité des pouvoirs et l’objet du jugement du juge administratif, selon les mots de la tradition française. Ce qui est détaillé par l’article 15, c’est-

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à-dire la disposition préliminaire sur recours pour excès de pouvoir. Il n'y a rien à redire, car cela correspond depuis longtemps à la pratique de la justice administrative tunisienne et il est un moyen établi qu'il est prudent de maintenir. De plus, l'harmonisation progressive et la standardisation des pratiques judiciaires des pays de proche tradition vont désormais dans la direction d’un approchement des modèles et des critères de jugement. Cela se produit en particulier, grâce aussi au phénomène du «dialogue des juges», entre les traditions de la justice administrative des pays de civil law (par exemple, au moyen de l’usage du principe de proportionnalité à propos de la légalité interne de l’action administrative). Un article à souligner est aussi l’article 7 où on dit que «les juges et les parties veillent à ce que leurs actes soient rédigés de manière claire et concise». Cela correspond à ce que le Code italien (art. 3) appelle «principe de concision» et qui est réglé au moyen d’un décret du Président du Consiglio di Stato, émis sur avis des associations d'avocats, où la mesure maximale que les écrits défensifs peuvent avoir est réglementée en termes détaillés. Cette disposition joue un rôle très important pour la compatibilité de charges de travail du magistrat, à une époque où, grâce à la composition électronique de textes, il est très facile de céder à la tentation d'écrire en quantités excessives par rapport aux besoins du droit de défense et à la bonne compréhension de la part du juge. Très actuel est, enfin, la prévision de l’article 9, «le courrier électronique est un moyen reconnu devant la justice administrative». La disposition reconnaît la réalité de la révolution technologique et, plutôt que de s'y opposer, la dirige vers une utilisation correcte. Bien entendu, cela implique la mise en œuvre des dispositions afin que les bonnes et dues formes pur cet exercice soient prévues et réglementés.

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3. LA COMPÉTENCE JURIDICTIONNELLE DES TAPI. 3.1. De la compétence juridictionnelle des TAPI L'article 16 décrit le contexte de la compétence juridictionnelle en référence aux tribunaux de première instance (TAPI). La définition de la compétence juridictionnelle reflète l'extension et la sensibilité de la question des compétences du juge administratif Le titre de la section pourrait à bon droit, grâce à l'ampleur considérable du champ de ses propositions, se référer en général au «juge administratif» et pas seulement au juge de première instance (TAPI), de manière à inclure également les litiges qui commencent devant les tribunaux du deuxième degré (e.g.: questions environnementales, télécommunications). Une coordination pourrait être utile avec l’article 13, selon lequel «Les TAPI sont compétents en premier ressort sur tous les litiges à caractère administratif ainsi que ceux qui lui sont attribués par une loi spéciale». La disposition définit donc le cadre général de la question de la compétence, développé ultérieurement dans l’article 16. Par connexion logique, elle pourrait être placée comme premier paragraphe de l'art. 16. Afin de systématiser la discipline, il est suggéré d’évaluer la possibilité d’introduire un paragraphe pour rappeler que le contentieux devant le juge administratif peut être «contentieux de l’annulation (excès de pouvoir)» ou «contentieux de pleine juridiction». L’article 16, paragraphe 2 énumère des différents cas de juridiction administrative, dont certains découlant d'activités illégitimes / illégales (action administrative illégale, préjudices anormaux provoqués par l’une de ses activités dangereuses), et autres découlant de l’inexécution d’un contrat (travaux qu’elle a donnés). L'inclusion d'une liste précédée de lettres pourrait faciliter une meilleure compréhension pour l’interprète, de manière à séparer également les litiges contractuels de ceux relatifs à l'indemnisation. En ce qui concerne des litiges contractuels, compte tenu de l’étendue de la compétence administrative, il pourrait être utile de mentionner non seulement les travaux mais, plus généralement, les contrats à caractère administratif. Enfin, un paragraphe relatif aux questions traitées en première instance par le juge d’appel pourrait être inséré, de manière à définir l'ensemble du domaine d'application de la compétence administrative (i.e.: la compétence matérielle ou compétence ratione materiae de la juridiction administrative). Considérant alors que le nouveau Code tunisien, de manière louable ainsi que solennelle, établit, à l’article 4, et en application de l'art. 108 de la Constitution tunisienne que: “les procédures devant la justice administrative garantissent le respect du principe de l’efficacité, du droit à la défense ainsi que le jugement dans un délai raisonnable”, des spécifications pourraient être introduites avec particulière attention à la nécessité de limiter et au même temps d'accélérer les décisions sur les questions préalables de procédure. A ce propos, il pourrait être utile de considerer que la jurisprudence italienne a développé au fil du temps des principes, ultérieurement codifiés, inspirés par la nécessité d'une procédure régulière, tels que développés par la Convention européenne des droits de l'homme, en supposant que l'efficacité du droit au recours implique le droit à une décision sur le fond dans un délai raisonnable.

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En particulier, en considérant que, conformément à l'art. 5 du Code, «l’incompétence juridictionnelle ou territoriale sont d'ordre public et peuvent être soulevés à n'importe quel degré de juridiction», on pourrait évaluer s’il est le cas d’insérer un article qui établit le moment précis où l'exactitude du choix de la compétence juridictionnelle doit être évaluée en fonction de la loi en vigueur à l'époque. L’uilitè serait que, de cette manière, les conséquences des évolutions réglementaires ultérieures pourraient être exclues: ce choix pourrait éviter des litiges liés à des modifications législatives, même lorsque le requérant avait initialement identifié le juge de manière correcte, évitant ainsi le risque d'un imprévu ralentissement de la procédure (dans le code italien, ce principe est défini comme perpetuatio iurisdictionis, ce qui peut être exprimé par «maintien de la compétence pendente lite»). Encore une fois, afin de faciliter l'appréciation au fond des requêtes, s’il est l’avis, on pourrait envisager, même pour le cas d'un recours présenté devant une juridiction erronée, une règle similaire à celle insérée à juste titre à l'art. 58, qui admet l'interruption des termes dans le cas où un Tribunal incompétent a été saisi, à moins qu'il ne soit considéré que cette solution est déjà possible de manière interprétative précisément à partir de l'art. 58. Un report / coordination avec les règles régissant les conflits de compétence pourrait être suggéré, comme c'est le cas avec l'article 23 en ce qui concerne la compétence territoriale. En outre, étant donné que la détection de l'incompétence peut avoir lieu à n'importe quel niveau de jugement (et donc aussi après, par exemple, que des preuves ont été acquises en première instance), il pourrait être utile d'établir des formes de sauvegarde et d'utilisabilité de l'activité (e.g. d’instruction), réalisée entre-temps. Puisque la compétence juridictionnelle représente le préalable mais aussi la limite de l'activité du juge, si cela correspond à la vision des rédacteurs du projet, il pourrait être cohérent, sur un plan systématique, d'insérer dans cette même section la discipline de la suspension du jugement pour la définition préliminaire des litiges dévolus au juge ordinaire (articles 117-119 ). Enfin, considérant que les mesures provisoires représentent une étape fondamentale pour garantir l'efficacité de la décision et donc la régularité de la procédure (article 108 de la Constitution tunisienne), on pourrait voir s’il est le cas de clarifier si, et devant quel juge, soit possible de demander une mesure conservatoire (sursis à exécution, référé et mesures provisoires) pendant le temps nécessaire pour définir les conflits de compétence. 3.2. De la compétence territoriale des TAPI. L'article 17 identifie le Tribunal compétent pour les recours en excès de pouvoir. L'article prévoit la possibilité de saisir deux Tribunal alternativement; cela facilite certes le citoyen, car lui offre plus de possibilités, mais cela peut aussi impliquer que différents demandeurs se tournent vers des tribunaux différents en référence au même acte. Pour éviter des éventuels jugements ayant autorité de chose jugé en conflit, il serait donc utile d’evaluer la possibilité de prévoir: a) la nécessité de suspendre les jugements afin de les coordonner; ou b) des mécanismes de connexité en cas de recours contre un acte général et un acte d’application.

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Il serait également utile de coordonner la compétence entre le jugement d'annulation de l'acte et l’éventuel jugement d'indemnisation, prévu par l'art. 20, dont la discipline pourrait être insérée dans cet article. L’article 18 identifie le TAPI compétent pour la fonction publique et les agents. L’article en question présente une discipline semblable à celle du Code italien. La disposition, correctement, facilite le fonctionnaire / agent, amenant le litige à un endroit proche de lui (précisément celui de son lieu de travail). L’article 19 identifie le TAPI compétent pour les litiges contractuels de l’administration. L’article en question permet aux parties d'identifier dans le contrat le tribunal qui sera compétent. Il s'agit d'une disposition d'une portée considérable : elle est présidée par le choix de considérer que l'autonomie contractuelle prévaut sur des règles qui ailleurs peuvent être considérées comme d'ordre public. On estime que la clause attributive de compétence territoriale devrait avoir nécessairement une forme écrite. La condition de forme pourrait donc être rendu explicite. L’article 21 identifie le TAPI compétent pour les recours visant à condamner l’administration pour les dommages résultant d’actions administratives illégales ou d’actions matérielles illégales ou dangereuses ou de violation du principe d’égalité en matière fiscale. Une coordination plus spécifique pourrait être introduite avec les hypothèses visées à l'article 16, notamment en ce qui concerne l’hypothèse des «travaux que l'administration a donnés». On peut se demander si ce n'est pas le cas de chercher une plus grande clarté, comme déjà mentionné, en formulant l'art. 16 par lettres séparées, renvoyant ainsi explicitement dans le cadre de l'article 21 uniquement à des hypothèses non contractuelles. L’article 22 dicte une règle «de clôture» sur la compétence de TAPI, dans les cas non couverts par les articles précédents. Il pourrait être utile de clarifier si le terme «siège du défendeur» fait référence au bureau central ou également au bureau décentralisé qui a émis l'acte ou mis en place le comportement. Puisque l'article en question a pour fonction «la clôture» du système, une hypothèse similaire pourrait également être envisagée en référence aux personnes physiques (résidence, domicile, etc.), à condition que peuvent être identifiées des hypothèses où le défendeur dans le procès soit un particulier. 3.3. Le conflit de compétence territoriale des TPI. L’article 24 décrit les moyens par lesquels le TAPI qui a été saisi en second peut soulever le conflit de compétence ainsi que la procédure de résolution du conflit. Dans le système italien, le juge qui se déclare incompétent est obligé d’indiquer quel Tribunal différent il estime compétent; cette solution favorise le plaignant qui envisage d’accepter la décision et se tourner vers ce second tribunal. L’examen de l’article n’indique si le TAS doit indiquer uniquement l’un des deux TAPI en conflit comme juge compétent ou s’il peut également en identifier un troisième.

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Comme déjà mentionné pour le cas de la compétence juridictionnelle, il pourrait être utile d'établir explicitement certaines formes de sauvegarde et d'utilisabilité de l'activité, par exemple une enquête préliminaire, entre-temps menée devant le tribunal non compétent. Les articles 26, 27 et 28. décrivent les activités du TAPI déclaré incompétent après réception de la décision à cet effet prise par le TAS La procédure différencie le système de poursuite du jugement selon que la TAS déclare compétente soit le TAPI déjà en charge du jugement ou celui qui a été jugé comme incompétent. Dans le premier cas, le TAPI compétent pourra poursuivre son activité dès la réception de la décision du TAS. Dans le second cas, le TAS doit rétourner les actes du jugement au Tribunal incompétent, qui adopte un jugement de désistement obligatoire et transmet ensuite les documents au Tribunal déclaré compétent. Il convient de noter que, puisque l'identification contraignante du Tribunal compétent découle de la décision du TAS et non de celle du TAPI qui prononce le jugement de désistement, peut-être ce dernier prononcé implique-t-il une aggravation procédurale, puisque rien n’ajoute à la décision du TAS. Enfin, il pourrait être utile de prévoir une règle spécifique de compétence pour les litiges dans lesquels un juge est partie, en les attribuant à un Tribunal (ou au moins à une Section) autre que celui auquel appartient le magistrat. La création d'un Forum prédéterminé par la loi pour ce type de litige favorise le respect du principe du juge impartial selon la théorie que la CEDH a appelée «théorie des apparences» (arrêt Delcourt c. Belgique du 17 janvier 1970: le justice ne doit pas seulement être dite, elle doit également donner le sentiment qu'elle a été bien rendue), et qui prend en compte la sensibilité accrue du public à l’apparence d’impartialité et renforce finalement le droit à un procès équitable (article 108 de la Constitution tunisienne). Il pourrait encore être utile de préciser dans cette section: a) comment les frais de justice liés aux décisions sur la compétence sont réglementés; b) si et dans quels délais et sous quelles formes la question de compétence peut être portée en appel et, comme déjà observé à propos des conflits de compétence juridicionnelle c) préciser si, et devant quel juge, il est possible de demander une mesure provisoire (e.g.: sursis à exécution, référé) pendant le temps nécessaire pour définir les questions de compétence.

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4. LES PROCÉDURES DEVANT LE TAPI ET LA LA REPRESENTATION EN JUSTICE DES PARTIES 4.1. Aspects généraux La troisième partie du projet de code, dans le texte envoyé aux experts italiens, régit analytiquement les procédures devant le TAPI. L’approche générale de cette partie du texte consiste à établir une série de dispositions générales, propres à réglementer clairement les procédures d'exécution du jugement, à partir de la phase d'introduction. Il s'agit donc d'une législation assez analytique et précise, de nature essentiellement technique. Le caractère organique de la réglementation envisagée et l'aptitude à déterminer le fonctionnement concret du procès doivent certainement être appréciés. La première section de cette troisième partie concerne la représentation des parties en justice devant les Tribunaux et est divisée, à son tour, en paragraphes distincts. Le premier paragraphe concerne la défense en justice menée auprès du ministère de l’avocat et comprend 6 articles (29-34). En détail: - l’article 29 indique les cas dans lesquels la défense technique est prescrite, en général; - l’article 30 régit la démission de l'avocat du mandat de défense; - l’article 31 règle les conséquences de la renonciation au mandat et de l'expulsion de l'avocat de son Ordre professionnel, établissant une protection appropriée du justiciable; - l’article 32 prévoit l’obligation pour la Cour d'indiquer aux parties quand l’assistance d’un avocat est requise pour l’accomplissement de certains actes, garantissant ainsi l’exercice en temps utile de la défense technique; - l’article 33 concerne les modalités de la défense des administrations de l'Etat, avec l'assistance d'un avocat, en se référant de manière appropriée aux réglementations particulières en la matière; - l’article 34 établit les modalités de représentation en justice devant les Tribunaux des administrations publiques autres que celles de l'Etat, en se référant également dans ce cas aux règles particulières prévues par la législation sectorielle. Il est suggéré de vérifier si, aux fins d'une meilleure organisation et lisibilité du code, des références externes à d'autres sources réglementaires peuvent être complétées par l'indication expresse des dispositions pertinentes. 4.2. La dispense du ministère d’avocat Le deuxième paragraphe de la première section, constitué uniquement de l’article 35, dispose que les organismes et administrations publiques, ainsi que les autorités publiques représentées par le Chef du contentieux de l'Etat sont dispensés du ministère d’avocat. Il pourrait être utile de préciser, si cela correspond à la vision des rédacteurs du projet, les méthodes par lesquelles les entités publiques sont représentées devant les tribunaux, en se référant éventuellement aux dispositions particulières en la matière.

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4.3. De l’aide juridictionnelle devant le Tribunal administratif. Le troisième paragraphe de la première section, composé de deux articles (36 et 37), concerne la discipline de l’aide juridictionnelle devant le Tribunal administratif. En détail: - l’article 36 prévoit la discipline générale de l’aide juridictionnelle, établissant que les décisions du bureau de l’aide juridictionnelle sont insusceptibles de recours en excès de pouvoir; - l’article 37 prévoit la création d’un Bureau de l’aide juridictionnelle auprès de chaque TAPI ou TA d’appel ou TA Supérieur. Il s'agit de normes d’une grande importance systématique, car elles développent le principe fondamental de l’effectivité de la protection juridictionnelle: un principe d’autant plus pertinent dans le litige entre le citoyen et les entités publiques. À cet égard, il pourrait être approprié de coordonner les règles spécifiques prévues pour le procès administratif avec les disciplines similaires que la loi tunisienne prévoit pour le contentieux civil et les jugements pénaux, en vérifiant l’homogénéité des disciplines et les aspects de la différenciation nécessaire. Est bien compris le choix du Code, qui exclut la possibilité de contester la décision en matière d’aide juridictionnelle, au moyen d’un recours pour excès de pouvoir. C’est un choix qui répond à l'objectif commun d'éviter la multiplication des contentieux. Cependant, on pourrait évaluer l’utilité de: - établir certains critères généraux destinés à guider la décision du Bureau; - établir le pouvoir du juge, saisi au fond du recours par l'intéressé, de revoir le refus de l’aide juridictionnelle, ainsi que le reste du litige, au moins dans les cas où la demande proposée s'avère fondée sur l'issue du procès. 4.4. La requête introductive de l’instance La deuxième section de la troisième partie discipline la requête introductive de l’instance. Le premier paragraphe de la deuxième section ne comprend que l'article 38 et concerne le contenu obligatoire de requête introductive avec laquelle la partie formule sa demande, introduisant le jugement. Quant au contenu obligatoire de l'appel visé à l'article 38, il est suggéré d’ajouter l'indication d'une adresse électronique - même si elle n’est pas nécessairement certifiée - également en vue d'une future, possible numérisation de la procédure. Le deuxième paragraphe, constitué uniquement de l'article 39, indique les documents qui doivent nécessairement accompagner la requête. Le troisième paragraphe, composé des articles de 40 à 44, régit le dépôt de la demande et son enregistrement au greffe du tribunal. 4.5. Les délais de recours devant les TAPI

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La troisième section de la troisième partie du schéma de Code régit les délais de recours et leur date de début. En particulier, les articles 45, 46 et 47 réglementent, en général, le calcul des délais du procès. Il pourrait être evaluée l'opportunité de vérifier si ces règles sont cohérentes avec la discipline générale du calcul des délais, en substance et dans d'autres procès (civils, pénaux, etc.). Le premier paragraphe de la troisième section (articles de 48 à 55) régit le délai de recours pour excès de pouvoir, en définissant sa durée et sa date de début. L'article 49, de façon très appropriée, prévoit que le justiciable concerné par une décision administrative, avant la fin des délais contentieux, peut adresser un recours préalable à l’administration qui a pris la décision, afin d'obtenir l’accomplissement de la demande à l'amiable. L'ensemble des règles contenues dans cette partie du projet est rationnel et harmonieux. 4.6. Le début du délai et la connaissance ou la connaissabilité des actes de la procédure administrative. La possibilité d'examiner un profil qui a émergé dans la jurisprudence de la Cour de justice de l’Union européenne et du Conseil d’État italien doit être signalée. Il s’agit de savoir si l’expiration du délai de recours peut être conditionnée par la connaissance des documents de la procédure administrative, souvent essentielle pour apprécier l’illégalité de l’acte attaqué. Il pourrait alors être précisé que, sans préjudice des règles précises d’expiration des délais qui sont bien définies par le projet de Code, la connaissance survenue des actes de la procédure administrative permet à l'intéressé d'intégrer les moyens de recours. Le deuxième paragraphe de la troisième section (articles 56-57) réglemente le délai de dépôt d’un recours de plein contentieux. Les articles 56 et 57 établissent que le recours de plein contentieux peut être proposé, en général, dans un délai de quinze ans à compter du moment où le préjudice allégué par le demandeur s'est produit objectivement (indépendamment de la réelle connaissance subjective par l'intéressé). Dans un souci commun de réduction du contentieux judiciaire, l'article 57 précise que le recours doit être précédé d'un recours préalable, adressée à l'administration, qui est tenue de statuer dans les deux mois suivant la demande. Enfin, le troisième paragraphe de la troisième section (articles 58 à 60) règle analytiquement l'interruption des délais de recours. L’article 58 précise, de manière très appropriée, que le dépôt d’un recours devant un Tribunal non compétent provoque l’interruption du terme, qui recommence à courir dès la connaissance de la décision d'incompétence. Particulièrement intéressante, enfin, est la disposition de l’article 59, selon laquelle l'interruption du délai pour proposer un recours est également déterminée par la proposition de la demande d’une aide juridictionnelle. Dans de tels cas, le terme recommence à partir de la connaissance de la décision sur la demande

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5. MESURES D’INSTRUCTIONS La quatrième partie du texte est dédiée aux «mesures d’instructions». Selon l’article 61 : Le Président de la chambre désigne un juge rapporteur qui sera chargé d’instruire l’affaire sous sa direction. Le code propose un modèle basé sur la délégation à un des magistrats du Tribunal. Il s’agit donc d’un modèle monocratique. Le code italien ne prévoit pas en général la possibilité de déléguer l’entière instruction de l’affaire à un seul juge du Collège. En tout cas cette forme de délégation est assez rare. On apprécie donc le choix fait avec le projet de Code qui garantit une plus grande rapidité dans l'activité d'instruction. Le nouveau code tunisien prévoit que le juge gère l’instruction sous la direction du Président, mais il serait mieux de prévoir la possibilité même d’une évocation du pouvoir par le Président, dans le cas échéant cette dernière estime ceci nécessaire. Cette disposition, d’ailleurs, pourrait être coordonnée plus étroitement avec l’art.64 suivant qui prévoit que le rapporteur doit proposer au Président les mesures, y compris «enquêtes, expertises…», donc il pourrait être clarifié si la délégation au juge chargé de l’instruction fondée sur l’art. 61 donne ou pas une effective autonomie au délégué. Selon l’article 62: Le Président de la chambre peut juger directement l’affaire sans instructions ni plaidoirie dans les cas suivants : - Désistement ou radiation de l’affaire. - L’incompétence manifeste. - Non-lieu à statuer. - L’irrecevabilité ou rejet sur la forme. Dans la liste des jugements directs du Président, l’inclusion nommée «incompétence manifeste» a attiré l’attention des experts italiens. Compte tenu qu’il s’agit de l’attribution d’une compétence présidentielle, qui donc il s’active en tant que organe monocratique, sans participation des autres composants de la Chambre, on suggère d’évaluer la possibilité définir le sens de l’adjective «manifeste» pour prévenir désaccords dans la jurisprudence à venir. Cependant, il convient de noter que l’article en question a certains aspects en commun avec l’article 84 du Code italien (qui permet au Président de déclarer le manque d'intérêt survenant pour la décision). Dans tous les cas, l'intention d'accélérer le procès qui inspire le projet de Code à cet égard doit être appréciée. Selon l’article 63 : Le Président de la chambre, ordonne au secrétaire général de communiquer la requête, les mémoires, ou tout document, aux parties concernées dans un délai ne dépassant pas les sept jours du dépôt du dossier. Concernant cet article, il est suggéré de prévoir la possibilité, pour des cas exceptionnels, et avec l’autorisation du Président de la Chambre, de reporter le délai a quinze jours (par ex. si les parties concernées sont supérieures au nombre de 100 personnes), ou, éventuellement, avec une forme générale de publicité quand le nombre des parties concernées dépasse les 1000. Le fondement de cette dernière suggestion semble être confirmée par le suivant article

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69 qui prévoit que les délais imposés aux parties pourront être écourtées en cas d’urgence. Donc, par analogie, on pourrait prévoir tous les deux cas: soit l’urgence que la difficulté à communiquer. Selon l’article 64 : Le Conseiller rapporteur examine la requête, les moyens de défense, les mémoires et les observations portés devant le tribunal par les parties. Il propose au Président de la chambre les mesures qui lui paraissent de nature à éclairer l’affaire telles que les enquêtes, expertises, visites et vérifications administratives. Il appartient au Président de la chambre d’ordonner de telles mesures. Le délai pour la proposition du Rapporteur au Président n’a pas été fixé. il peut être utile de spécifier si ça doit être fait avant, ou bien après la première audience, comme il pourrait être opportun. Selon l’article 65: Il revient aux parties d’échanger les rapports et les documents entre eux avant de les présenter au tribunal à charge de présenter la preuve de cet échange et dans le cas où la preuve n’est pas fournie, le rapport ou le document ne sera pas examiné par la chambre. Evidemment cet article a adopté une «pratique coutumière» déjà suivi par les Tribunaux que permet l’échange des documents ou des pièces entre les parties du procès avant de les présenter au juge. En prévoyant le manque d’examen du document, si la preuve d’échange n’est pas fournis, la disposition est louable. Toutefois on peut prévoir encore, que, avec l’accord de toutes les parties, la chambre peut acquérir le document et le rapport et si elle l’estime utile. Selon l’article 66: La requête, les mémoires ou tout document seront transmises par n’importe quel moyen attestant de sa réception. Article 67: Les parties peuvent échanger les mémoires, rapports, réponses et documents faire par voie électronique. Le président fixe les conditions et procédures du courrier électronique. De même que le tribunal peut envoyer par voie électronique à une des parties ou son mandataire le courrier, les avis et toutes mesures d’instruction. Les deux dispositions s’inscrivent dans le cadre d’une simplification procédurale. Toutefois il pourrait être utile de préciser le sens de la proposition «n’importe quel moyen» contenu à l’art.66 (par ex. en ajoutant des termes comme «à condition que soit un moyen capable d’assurer une certitude juridique») pour éviter le risque de désaccords dans la jurisprudence à venir. Le pouvoir de fixer «les conditions …du courrier électronique» soulève quelques réflexions parce qu’il ne devrait pas revenir au Président de juger sur l’authenticité juridique des actes. Il s’agit d’un pouvoir de compétence de la loi. Selon l’article 68: L’administration défenderesse ainsi que toute autre partie doit présenter leurs mémoires en défense dans un délai maximum d’un mois de la date de leur réception de la requête ou le mémoire en réponse. Ils sont tenus d’envoyer au tribunal tout document demandé dans le délai imparti par le tribunal. Selon l’article 69 : Si les délais précités n’ont pas été respectés, l’instruction se poursuit sans attendre la communication des pièces demandées. le refus de l’administration de répondre à

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la requête est considéré comme un acquiescement de sa part de son contenu, sauf si le dossier comporte des preuves suffisantes. Le tribunal peut écourter les délais dans les cas d’urgence. Relativement à l’art. 68 et par rapport au code italien, on observe que les devoirs et les obligations de l’administration publique, en tant que partie publique, pourraient être plus analytiquement différenciés de celles des autres parties privées du procès. Dans tous les cas le code italien oblige l’administration publique à déposer toute la documentation dans sa possession. Par contre dans le projet de Code il semble que toutes les parties ont les mêmes devoirs, sans différencier la partie publique à celle privée. D’ailleurs, l’art.69 sanctionne l’administration «qui refuse de répondre à la requête du Tribunal»; en fait son refus est considéré comme un «acquiescement». Ça signifie que il y a l’idée d’attribuer à l’administration un rôle procédural diffèrent, caractérisé par une importante responsabilité par rapport aux autres parties du procès. Donc on suggère d’évaluer la possibilité de prévoir toujours que l’administration est obligée à déposer tous les documents qui sont dans sa possession depuis la première audience. Selon l’article 70: Nul ne peut se prévaloir de l’existence du caractère secret des documents ou des informations demandées. Si le tribunal considère que certains documents ou certaines informations sont secrètes, elle peut les consulter au sein du tribunal ou sur place. Un rapport sera rédigé dans ce cas. Dans ce cas il appartient à l’administration de transmettre aux autres parties ce qui a été consulté. La première partie (1° paragraphe) - visant à éviter que l’Administration Publique puisse créer obstacle pour les vérifications des compétences du Tribunal - est correcte et opportun. D’autre part la deuxième partie de la disposition en matière de secret (qui permet uniquement au Tribunal de consulter les documents qui contiennent des informations secrètes) est évidemment liée au système tunisien des rapports entre le pouvoir judiciaire et le pouvoir administratif/gouvernemental. Toutefois, il est suggéré d’évaluer si cela peut poser des questions de compatibilité avec le droit de défense, par ce le Tribunal peut se baser, pour élaborer sa décision, sur des documents qui ne sont pas connus par les concernés. Sur ces documents les autres parties n’ont pas eu la possibilité de s’exprimer. En deuxième lieu, on assiste à une forme particulière de «délégation» du secret, par l’Administration publique au Tribunal, qui y devient responsable, après avoir reçu le document. Cette situation pourrait créer des disfonctionnement au niveau du principe de la séparation de pouvoir par ce qu’elle donne la responsabilité de maintenir le secret à un organe qui n’a pas le pouvoir de le gérer, ni de l’effacer. Cette disposition soulève des réflexions aussi en considérant que le troisième paragraphe ne spécifique pas si le rapport que le Tribunal est obligé à rédiger, après avoir consulté les documents secrets, devra être, quand même, mis à disposition des autres parties du procès. En plus, le dernier paragraphe de la disposition donne le pouvoir à l’Administration, si elle l’estime possible, de transmettre les documents consultés par le tribunal aux autres, sans que le Tribunal même puisse leur transférer ni ordonner à l’Administration de le faire. Donc il est suggéré d’évaluer la possibilité de régler et spécifier cette procédure afin de d’équilibrer le rôle et les pouvoirs soit du Tribunal, soit de l’Administration.

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Selon l’article 71 : Il est impossible au demandeur d’ajouter après la première audience de nouvelles demandes qui n’ont pas été approuvées dans la requête ou ajouter des moyens sauf si elles étaient en rapport avec des documents ou dont il n’a pas eu connaissance. La disposition est utile pour permettre au demandeur d’ajouter des dits (en droit procédural administratif italien) «moyens adjoints» ou bien de nouvelles demandes. Cette possibilité est donnée au demandeur dans deux cas, soit dans le cas que le demandeur n’a pas eu la possibilité de connaître des documents qui sont dans la possession de l’Administration Publique, soit dans le cas de nouveaux actes émis après le dépôt du recours principal. Toutefois ils ne sont pas précisés les délais entre lesquels cette nouvelle demande pourra être présenté. Délais que, naturellement, partiront, dans le premier cas, du moment de la prise de connaissance, du demandeur, de documents et, dans le cas des actes survenus, du moment de leur émanation. On observe encore que, peut-être, cette disposition va mieux coordonnée avec les articles 104 et suivants en matière de «Demandes additionnelles et reconventionnelles». Selon l’article 73 : Lorsque l’affaire est prête à être jugée, le juge rapporteur transmet le dossier au Président de la chambre, avec son projet de jugement qui doit mentionner les faits, les procédures, les mémoires des parties et les documents nécessaires. La norme règle la structure formelle de la décision en délégant au rapporteur la rédaction d’un projet de décision. Il est juste et opportun d’obliger le juge délégué à rédiger en avance un projet, pour permettre l’évaluation du travail de la Chambre avant de la décision finale. Selon l’article 74: Le Président du tribunal, et sur demande du Président de la chambre, peut transmettre le dossier dans un délai de huit jours au commissaire d’Etat qui doit rédiger ses conclusions dans un délai d’un mois. Ces dites conclusions sont versées au dossier. Le Président du tribunal transmet dans un délai de huit jours de la réception des conclusions du commissaire d’État, le dossier au Président de la chambre qui doit fixer la date de l’audience de plaidoirie qui doit se tenir dans les deux mois de la réception des conclusions du commissaire d’État auprès de lui. Cette disposition règle l’intervention du Commissaire d’Etat. Il s’agit d’une institution juridique, celle du dit «Commissaire» qui n’existe pas dans l’ordre juridique italien. Donc la question sera approfondie dans une autre partie de ce commentaire. En particulier il sera utile analyser en profondeur le rôle joué par le commissaire dans le procès et garantir l’indépendance et l’impartialité de cet organe, compte tenu qu’il appartient à l’ordre judiciaire.

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6. LES MOYENS D’INSTRUCTIONS 6.1. Cinquième partie: Les moyens d’instructions en général Cette partie est dédiée aux moyens d’instruction– l’expertise et les constats - qui représentent des outils mis à disposition du juge et qui peuvent être décidés aussi de son gré par le Tribunal. Avec la même appellation ils sont prévus dans le code italien. Tous les deux sont des moyens très utiles pour permettre au juge d’approfondir sa connaissance de la cause, d’une manière autonome, sans dépendre des propositions des parties. 6.2. De l’expertise. Le rappel des articles pertinents. Selon l’article 75 : le tribunal peut de son propre gré ou à la demande d’une des parties ordonner une expertise par le biais d’un expert ou plus quand l’instruction le nécessite. Selon l’article 76 l’avis de l’expert n’engage pas le tribunal et latitude est laissée au tribunal pour écarter une expertise ou une partie quand elle n’est pas motivée. L’article 77 décrit la décision désignant le ou les experts. Elle est rédigée par le juge rapporteur et signée par le Président de la chambre L’article 78 décrit le contenu de la décision désignant le ou les experts Selon l’article 79 l’expert peut, à la demande du tribunal ou de sa propre initiative ou à la demande d’une des parties, procéder à la conciliation entre les parties. L’article 80 décrit les façons dont l'expert désigné peut demander d’être déchargé de l’expertise. L’article en question décrit aussi la décision qui peut être prise par le Président de la chambre pour remplacer l’expert. Selon l’article 81 l’expert désigné doit dans un délai d’un mois de la réception de la mission qui lui a été confiée, aviser les parties du lieu et de la date de l’expertise, en précisant le jour et l’heure soit par écrit soit par tout moyen laissant trace écrite avant sept jours au moins du jour fixé. Selon l’article 82 l’expert a le droit de consulter les pièces du dossier et d’en obtenir une copie après ordonnance du Président de la chambre. Selon l’article 83 les parties peuvent se faire accompagner par toute personne jugée par présence utile. L’absence d’une ou des parties n’arrête pas les travaux de l’expertise. Selon l’article 84 a défaut de versement par la partie désignée ou par toute autre partie de la provision dans un délai de dix jours à partir de la date de la réception de l’expertise, l’expert n’est pas tenu d’accomplir sa mission. L’article en question décrit aussi la procedure de mise en demeure de la partie défaillante.

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L’article 85 régit le cas dans lequel l’expert désigné ait des liens avec les parties ou un intérêt personnel direct ou indirect dans l’affaire. Dans ces cas l’expert doit en informer le président de chambre dans un délais d’une semaine à partir de la réception de l’expertise pour les décisions conséquentes. L’article 86 indique les moyens par lesquels les parties doivent collaborer avec l’expert pour l’exécution de l’expertise. L'article en question indique également les obligations d'information que l'expert a envers le Président de la chambre. Selon l’article 87 l’expert doit se conformer au texte de l’expertise, respecter les délais qui lui sont impartis pour son exécution, qu’il s’engage à l’exécuter personnellement avec neutralité et objectivité, et qu’il informe le tribunal des causes du retard dans l’exécution dans les délais. Cet article indique également les cas dans lesquels une prolongation du délai de l’expertise est possible. Selon l’article 88 l’expertise doit mentionner en particulier l’enregistrement de la présence des parties, leurs déclarations et observations, leurs signatures ainsi que l’avis technique clair et précis de l’expert. Selon l’article 89, dans le cas où il est désigné plus qu’un expert, les experts rédigent un seul rapport unifié de leurs travaux et dans le cas où les experts ne s’accordent pas sur un avis unifié ils sont tenus chacun de leur coté de motiver leur avis ou de présenter un rapport individuel. L’article 90 indique les cas ainsi qui les conditions dans lesquels l’expert peut être poursuivi disciplinairement. Cela est possible au cas où est prouvé un manquement dans l’exécution des travaux de l’expertise sans excuse légale. Selon l’article 91 l’expert rédige un rapport détaillé de ses opérations qu’il dépose au greffe ainsi que des copies au nombre des parties dans l’affaire auxquels il est ajouté une copie supplémentaire et tous les documents et les pièces essentielles ainsi qu’une copie électronique. L’article en questione établit aussi que l’expert informe les parties du dépôt de son expertise dans un délai de trois jours de la date du dépôt par tout moyen laissant trace écrite. Selon l’article 92 le président de la chambre peut appeler l’expert à clarifier ses travaux ou l’inviter à une expertise complémentaire le cas échéant. L’article 93 décrit les façons dont l’expert mentionne ses honoraires. Ces honoraires seront fondés sur la base essentiellement des heures et des jours investis pour étudier le dossier, mener des opérations sur les lieux et établir le rapport. Selon l’article 94 le président de la chambre transmet l’expertise au président du tribunal dans un délai maximum d’une semaine du dépôt de son rapport au greffe, afin de fixer les honoraires de l’expert sur proposition du Président de la chambre.

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L’article 95: discipline les cas ou l’ordonnance de taxation des frais de l’expertise et des honoraires peut être susceptible de révision devant le président du tribunal. Cela sera possible sur la base d’une requête motivée signifiée selon les cas à l’expert ou à la partie intéressée par l’expertise, par tout moyen laissant trace écrite et ce dans un délai d’une semaine à partir de sa signification. L’article en question déctit aussi la decision sur cette opposition. Selon l’article 96:la partie qui est tenue de payer les frais et honoraires de l’expertise doit présenter la preuve du paiement des experts dans un délai de dix jours à partir de sa connaissance de l’ordonnance de taxation des frais de l’expertise et des honoraires ou de la de la décision de révision. L’article en question décrit aussi les conséquences en cas de non-paiement. Selon l’article 97 l’ordonnance de taxation des frais de l’expertise et des honoraires est revêtue de la force exécutoire qui permet à l’expert de recourir à tous les moyens d’exécutions prévus par la loi. 6.3. L’expertise: considérations relatives à l’article Les articles du projet de Code dédiés à «l’expertise» méritent plusieurs considérations. Tout d’abord, il faut souligner que la possibilité, pour le juge, de recourir à l’expertise représente, en Italie comme en Tunisie, une nouveauté qui doit être valorisé, par ce qu’elle donne une importante efficacité à l’évaluation judiciaire et à son pouvoir d’instruction. En deuxième lieu, cette nouvelle donne la possibilité aux juges – au moment de l’instruction - d’équilibrer, avec son intervention «de son propre gré… dans le cas échéant», la différente capacité des parties de démontrer les faits et de produire les preuves. En particulier, il est évident que la partie publique a plus de capacité probatoire et donc que sa disparité, avec un usage équilibré du recours à l’expertise, pourra être récupéré. Il est opportun aussi que la disposition laisse une marge pour l’évaluation du Tribunal, pour éviter que c’est l’expert, et non le juge, à devenir le maître du procès. La disposition selon laquelle l'expert favorise la conciliation entre les parties est très appréciable. Il pourrait être utile d'établir que la conciliation est rendue exécutoire avec une disposition du président de TAPI et d’un Conseiller délégué. 6.4. Des constats judiciaires. Le rappel des articles pertinents. Selon l’article 98 le tribunal peut de son propre chef ou à la demande d’une des parties, effectuer les constats nécessaires notamment l’enquête sur les lieux pour examiner des faits ou consulter des rapports ou des documents ou bien pour vérifier n’importe quelle question. Selon l’article 99 le président de la chambre concernée ordonne la convocation des parties ou, le cas échéant un tiers au procès pour assister à l’enquête sur les lieux. L’article en question décrit aussi les formes et modalités de la convocation.

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Selon l’article 100 le juge rapporteur peut au cours de l’enquête sur les lieux entendre les parties ou toute personne qu’il considère ayant un intérêt pour l’entendre, à charge de le mentionner dans le procès-verbal de l’enquête sur les lieux. De même qu’il lui est possible de se faire assister par des experts ou par toute personne qu’il estime utile par sa présence. Selon l’article 101 le juge rapporteur rédige le procès-verbal de l’enquête sur les lieux. Le procès-verbal doit mentionner spécialement la date de l’enquête sur les lieux, l’identité des présents, les déclarations ; les pièces justificatives présentées et ce qui a été constaté lors de l’enquête sur les lieux. L’article en question décrit aussi les modalités de signature et de conservation du texte Selon l’article 102 le juge rapporteur peut entendre les parties ou plus que les parties au procès ou toute personne qu’il juge utile d’écouter au sujet des faits de l’affaire ou sur un avis technique. L’article en quesion décrit aussi les formes et les modalités par lesquelles le juge rapporteur peut ordonner la convocation de la personne concernée. 6.5. Les constats Opportunément, pour ce qui concerne «Les constats», le projet de Code partage «Les constats des lieux» et «Les constats écrits». Tout d’abord, on note ici, à propos de cette section, que - par rapport au nombre des articles dédiés à l’expertise - l’ébauche est plus synthétisée et ce choix est préférable pour la raison déjà expliqué auparavant (voir les commentaires sur l’expertise). D’ailleurs, il s’agit d’une occasion d’approfondissement du procès mise à disposition du juge que peut profiter de cette occasion pour améliorer sa compréhension des faits, des contentieux et pour enrichir l’instruction. Cependant, il sera opportun de faire attention à ne pas utiliser trop largement ce pouvoir qui peut avoir des effets négatifs sur la rapidité du procès. Il sera aussi opportun de prendre en considération que le procès administratif, reste, soit en Italie soit en Tunisie, un procès réglé par le principe, dit de «pleine disponibilité de la preuve», selon lequel sont les parties, et non les juges, à avoir la pleine disponibilité de la preuve et de la relative instruction. Comme déjà dit, dans cette partie, le code a, encore une fois, partagé dans deux sections la matière des constats: la première (Section 2) dédié aux «constats et à l’enquête de lieux», la deuxième (Section 3) aux constats écrits, ça veut dire l’acquisition de témoignage, qui pourra avenir aussi à l’occasion d’un constat de lieux et donc les deux constats peuvent être effectuée en même temps. Ils seront, évidement, utilisés après la rédaction d’un procès-verbal, avec l’assistance de la greffe.

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7. PROCEDURES ET INTERRUPTIONS DE L’INSTRUCTION 7.1. Procédures et interruptions de l’instruction La sixième partie est dédiée aux procédures et aux possibilités des interruptions de l’instruction Pour ce qui concerne les demandes additionnelles et reconventionnelles il s’agit, danse ce cas, comme le cas déjà vu du pouvoir d’instruction, des prévisions visant à augmenter le pouvoir d’intervention du juge sur l’activité de l’Administration publique qui apparaissent opportuns et raisonnables. 7.2. Les demandes additionnelles et reconventionnelles Selon l’article 104: Le requérant peut, en cours d’instance et avant la première audience publique, présenter une nouvelle demande sous la forme de requête additionnelle ayant un rapport étroit avec la requête principale et ce si ses causes étaient connues lors de l’introduction du recours principal à charge de donner la preuve de sa transmission au défendeur. Selon l’article 105: l’objet de la demande additionnelle ne peut pas être différent de l’objet du recours principal. Selon l’article 106: La décision faisant l’objet de la demande additionnelle présentée dans le cadre du recours pour excès de pouvoir doit être inconnue du requérant avant l’introduction du dit recours ou parue après l’introduction du dit recours à charge de respecter les délais de recours. Le recours se fait selon les procédures prévues pour l’introduction du recours principal. Selon l’article 107: Le rejet du recours principal ou son rejet en la forme entraine le rejet de la demande additionnelle 7.3. En particulier: les demandes additionnelles Pour ce qui concerne les demandes additionnelles on observe que la disposition contenue dans l’article 105, qui impose l’identité d’objet entre la demande originaire et la demande nouvelle pourrait introduire des éléments de rigidité. Peut-être, la possibilité de présenter une demande additionnelle pourrait être étendue avec la prévision que des objets seulement liés entre eux puissent permettre d’introduire la demande adjointe. La même remarque pourrait être soulevée pour la disposition contenue dans l’art.107 – qui ne permet pas la survivance de la demande nouvelle dans le cas du rejet de recours principal. Cette interdiction, à son tour, pourrait introduire des éléments de rigidité. Il pourrait être utile de prévoir des cas exceptionnels ou le juge pourrait garder la demande nouvelle, quand même la demande principale a été rejetée, soit pour raison de forme, soit pour des raisons du fond. C’est peut être le cas où le juge estime «auto-suffisant» la demande nouvelle.

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Selon l’article 108: Le défendeur peut, en cours d’instance et avant la première audience publique, déposer au greffe du tribunal une demande reconventionnelle sous forme de recours visant à obtenir une indemnité pour le préjudice causé par l’affaire ou d’autres demandes ayant un rapport avec le recours principal. Selon l’article 109: La demande reconventionnelle n’est pas recevable dans le cadre du recours pour excès de pouvoir. Selon l’article 110: Les demandes additionnelles et reconventionnelles sont examinées avec le recours principal. 7.4. En particulier: les demandes reconventionnelles. Cette partie, dédiée à «la demande reconventionnelle», se présente très bien rédigée. Il faut noter qu’il n’est pas possible de présenter la demande Reconventionnelle dans le cas de recour pour excès du pouvoir. Cette interdiction est pertinente parce que les recours pour excès de pouvoir, selon la loi tunisienne, peuvent être présentés sans la présence d’un avocat. L’interdiction permettre donc d’éviter à la partie privée de se trouver devant une surprise procédurale, sans assistance technique. Il ne semble pas être prévu un autre remède juridique procédural qui est très important dans l’expérience italienne, ça veut dire le dit «recours accidentel ou secondaire». Il s’agit d’une institution juridique différente de la demande reconventionnelle. Le recours secondaire est utilisé en Italie pour dénoncer d’autres défis de l’acte administratif, différents de quel qui sont mentionnés par le demandeur principal. Dans le cas échéant ou le recours accidentel sera accepté par le juge, ça privera d’intérêt l’action judiciaire du demandeur. En conséquence le juge émettra une décision de «non-lieu a statuer» sur le recours principal. 7.5. L’intervention Selon l’article 111: Une tierce personne ayant un intérêt dans l’affaire, peut y intervenir par le biais d’une demande à joindre au dossier de la requête, dans laquelle il précise les motifs de son intervention et formule ses conclusions. Le tribunal peut, soit de sa propre initiative soit à la demande de l’une des parties ordonner l’intervention d’un tiers lorsqu’une telle intervention lui parait utile pour trancher le litige. Une des parties peut demander l’intervention d’un tiers dans l’affaire par une demande dans laquelle il précise les motifs de son intervention et formule ses conclusions. Dans tous les cas il est tenu de présenter la preuve de sa transmission aux parties par n’importe quel moyen laissant trace écrite. Dans cette section ont été prévus tous les trois types possibles d’intervention du tiers dans le jugement. A été prévue soit l’intervention dû à la même initiative de la tierce personne

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intéressé au procès, soit celle qui a été demandé par une de parties du procès, soit ce qui est ordonnée par le juge. La règle, qui représente un principe juridique consolidé dans l’expérience italienne, apparait très opportune. Peut-être il serait préférable de préciser le délai entre lequel pourra être déposé la demande d’intervention postulée par le tiers de son propre initiative, ainsi comme celui entre lequel sera permis de citer le tiers en justice sur demande de la partie constituée. Dans le Code de la justice administrative italien, l’intervention du tiers, soit de son propre initiative, soit sur demande, est permise jusqu’à la fin de de l’audience de premier degré, avant des conclusions des Défendeurs. Enfin il pourrait être utile, pour sélectionner les interventions admissibles, de préciser que l’intérêt qui peut justifier l’intervention, devra avoir même caractère et consistance de celle qui permet de présenter le recours principal. 7.6. De la péremption de l’affaire Selon l’article 112: l’instance est interrompue, à condition que l’instruction ne soit pas encore close, suite au décès de l’une des parties dans le cas où l’affaire est transmissible ou suite à la perte de sa capacité d’ester en justice, ou suite au décès du représentant légal ou la perte par celui-ci de cette qualité. Le dossier de l’affaire est déposé au greffe du tribunal par décision du président de la chambre concernée et apposé dans un registre spécial, Selon l’article 113: Le tribunal reprend l’instruction de l’affaire sur demande de l’héritier du défunt, ou du représentant légal de celui qui a perdu la capacité ou du représentant de celui dont le mandat a pris fin, et ce dans un délai ne dépassant pas trois ans à partir de la date du dépôt du dossier au greffe. L’autre partie peut demander la reprise de l’instruction dans les mêmes délais. A l’expiration dudit délai, la péremption de l’affaire est prononcée en chambre de conseil sans plaidoirie. Ce jugement n’a pas d’effet sur le fond du droit. Cette section contient les dispositions visant à régler les conséquences du décès d’une des parties du procès durant le déroulement de la procédure. La norme prévoit d’une façon opportune que les évènements procéduraux n’ont aucun impact sur la «substance du droit». L’art.113 donne la possibilité à l’héritier du défunt, ou à son représentant légal dans le cas de manque de capacité légale, de demander au Tribunal la reprise de l’instruction de l’affaire. Il pourrait être donc utile d’intituler différemment la section: au lieu de «péremption de l’affaire» on propose l’appellation «Interruption de l’affaire» ou bien «Suspension du procès». Ces derniers sont les titres adoptés par la correspondante section du Code de la justice administrative italien. En plus, on peut encore signaler deux remarques. La première: il pourrait être utile de spécifier, à la lumière des dispositions examinées, à qui, des protagonistes du procès, appartient la compétence à dénoncer le décès survenu (au défendeur de la partie décédée? à chacun d’eux, indépendamment de qui est la partie décédée? Au seul Tribunal?).

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Il poutrrait aussi être utile de préciser si la même procédure systématique devra être respectée dans le cas que soit le défendeur de la partie a été décédé. Le décès du défendeur a évidemment le même effet de ne pas rendre possible la suite du procès ou au moins de le ralentir. La deuxième observation: il pourrait être utile d’évaluer les différentes conséquences qui peuvent avoir sur le procès le décès du requérant (ou de son défendeur) par rapport au décès de toutes les autres parties procédurales. Il pourrait être opportun de réfléchir si les deux, différentes situations, ne méritent pas une différente discipline. 7.7. De l’inscription de faux Selon l’article 114: Il est possible de demander l’inscription de faux d’une pièce présentée par une des parties au procès par une demande indépendante accompagnée obligatoirement de la preuve de la présentation d’un recours dans ce sens, auprès du ministère public. La requête doit contenir la sommation à la partie opposée de présenter ses conclusions au tribunal dans un délai ne dépassant pas les quinze jours de la date de la notification. Selon l’article 115: Celui qui veut prouver la fausseté d’une pièce, doit transmette la requête à la partie opposée par n’importe quel moyen laissant trace écrite. Le tribunal ne prendra pas en compte la pièce présentée si la partie opposée le demande ou si elle ne donne pas de réponse dans le délai imparti. Selon l’article 116: S’il parait au président de la chambre concernée que la demande d’inscription de faux est sérieuse, et que la pièce contestée va influencer la solution de l’affaire, il ordonne par une décision insusceptible de recours même en cassation, de suspendre l’examen de l’affaire jusqu’au prononcé du recours de l’inscription de faux, et si au contraire il estime qu’elle est dénuée de tout fondement, la chambre continue l’examen de l’affaire. Cette section contient la discipline pour la présentation d’une demande d’inscription de faux d’une pièce présentée durant le procès. Cette initiative peut porter à la suspension du procès, à condition que la pièce, dénoncée comme faux, soit estimée avoir une influence potentielle sur la décision. Pour accélérer la procédure, on suggère d’ajouter que la partie qui a allégué la pièce au dossier, entre un délai établi par le Tribunal, puisse renoncer à l’utiliser comme preuve et à la retirer. La prévision de cette possibilité pourrait éviter la suspension de la procédure, en atteinte de la décision sur l’inscription de faux. On peut aussi prévoir, pour ultérieurement encourager la partie adverse à renoncer à la pièce, que, en cas de renonciation, elle ne serait pas poursuivie par le Ministère Public pour le crime de falsification. 7.8. Des questions préjudicielles Selon l’article 117: Dans le cas où est soulevé une question sérieuse en cours d’instruction devant le juge du fond et qui est primordiale pour le jugement mais qui n’est pas de la

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compétence de la justice administrative, le tribunal saisi décide, par une décision motivée insusceptible d’aucune voie de recours y compris la cassation, de sursoir à statuer et transmet la question au tribunal compétent. Le tribunal informe les parties par n’importe quel moyen laissant trace écrite. Selon l’article 118: Cette décision suspend l’examen de l’affaire quant au fond jusqu’au jugement définitif de la question préjudicielle sauf si la chambre concernée en décide autrement et si l’affaire n’est plus suspendue pour cette question ou pour tout autre cause sérieuse; l’instruction se poursuit sur les pièces du dossier. Selon l’article 119: La partie qui est désignée par le tribunal doit présenter une affaire incidente devant le tribunal compétent dans un délai d’un mois à partir de la notification de la décision de sursois et du transfert, à charge d’en informer le tribunal. Le tribunal transmet une mise en demeure à la partie qui n’a pas respecté les délais pour présenter l’affaire incidente, il prend la décision adéquate dans le cas où celui-ci ne se conforme pas à la mise en demeure. Selon l’article 120: Le tribunal compétent doit statuer en urgence et dans la limite de la question préjudicielle qui lui est soumise. Les vices de procédures qui entachent l’affaire relative à la question préjudicielle n’empêche pas le tribunal de statuer. Selon l’article 121: l’instruction ainsi que l’examen de l’affaire reprennent dès la parution du jugement définitif de la question préjudicielle. Dans cette section est réglée la suspension du procès conséquentes à la présentation des questions préjudicielles. Le choix de déléguer l'évaluation sur l’existence d’une question prejudicielle au juge est certainement appréciable On suggère toutefois d’ultérieurement spécifier le sens de l’adjective «sérieuse» à propos de la question, prospectée par la partie, qui oblige le juge à suspendre le procès en attente de la solution de compétence d’autre ordre judiciaire. Il semble être suffisamment clair, par contre, quand une question puisse être définie «primordiale» parce que il s’agit d’une signification bien approfondie et bien tra itée à la lumière de l’expérience juridique générale: avec l’adjectif «primordial» on se réfère à une situation occasionnelle permet pas, si elle reste non résolue, de continuer le procès principal. Pour le reste de la Section il n’y a pas de problématiques à signaler, sauf le manque d’un délai assigné à la partie intéressée, du moment de la parution du jugement sur la question préjudicielle, pour demander au Tribunal de reprendre l’affaire.

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8. LA TRANSACTION 8.1. Considérations préliminaires A titre préliminaire, il est à noter que l'introduction de la transaction du litige administratif est matière nouvelle pour le juge italien, car en Italie le principe général est que les litiges administratifs ne peuvent pas faire l'objet d'une transaction car cela équivaudrait à régler de manière negociée l'exercice de la puissance publique, ce que n'est pas disponible. Le projet de Code qui a été envoyé aux experts italiens présente, dans les dispositions générales et dans la section concernant les événements qui déterminent la clôture de la phase préliminaire, une Section entièrement consacrée à «La transaction», qui s’étend de l’article 122 à l’article 139. En résumé, les règles susmentionnées régissent la transaction, considérée comme l’événement final d’une sous-phase qui s’ouvre au sein du procès, entraînant sa suspension temporaire. En effet, à n’importe qu’elle étape et à chaque degré de juridiction, si les parties se montrent prêtes à une transaction ou si cela est jugé possible par le Tribunal, le Président du collège transmet le dossier au Président du tribunal afin qu’il puisse nommer le juge chargé de la transaction, entre ceux qui siègent dans le Tribunal. Le juge chargé réalise toutes les activités nécessaires afin de vérifier la disponibilité des parties de conclure une transaction: à cet effet le projet de Code attribue un délai maximum de trois mois, à partir de la date de l’affectation du dossier. Si la transaction est conclue, un procès-verbal est rédigé, qui mentionne ce qui a été convenu. Le procès-verbal est dûment signé par les parties. Cette décision n’est susceptible d’aucune voie de recours y compris la cassation sauf par la voie de la tierce opposition et selon les procédures mentionnées par le projet du Code. Le procès-verbal de transaction est doté de la force exécutoire. Si la transaction n’est pas conclue, le juge chargé renvoie l’affaire au Président du tribunal qui la transmet au Président de la chambre concernée, qui continue l’examen de l’affaire selon les procédures mentionnées par le projet de Code. Enfin, l’article 139 établit que les parties peuvent présenter au Tribunal de leur propre initiative un accord de transaction. Dans ce cas le Président de la chambre concernée procède à sa ratification et ordonne la régularisation et la clôture de l’affaire. 8.2. Nature, objet et limites de la transaction régie par les articles 122-139. Les articles en question ne donnent pas de définition du terme «transaction» et ne font pas non plus référence, à cet effet, à un autre texte législatif ou réglementaire. Un indice permettant d’établir la nature de cet acte juridique peut être déduit du fait que le recours à l’institution juridique en question n’est autorisé que dans les jugements de «plein contentieux», et pas aussi dans ceux dans lesquels l’annulation d’un acte administratif est possible pour excès de pouvoir Considérant que les jugements de plein contentieux semblent être ceux dans lesquels l’activité de l’administration publique est liée par la loi, ne laissant à l'administration aucune marge d’appréciation, on peut en déduire que la ‘transaction’ mentionnée dans la Section du

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Code en examen est un acte par lequel les droits et obligations réciproques du requérant et de l’administration intimée sont envisagés et réglementés, sur la base d’une situation factuelle spécifique. L’institution juridique en question ne semble donc pas habilitée à réglementer la manière dont une administration publique doit exercer son pouvoir discrétionnaire, afin de ne pas porter atteinte à l’intérêt du requérant, qui se plaint d’un excès de pouvoir. L’article 123 précise que la transaction ne doit pas transgresser «l’ordre public»: il pourrait donc être utile que cette disposition soit complétée par une référence aussi à la nécessité de respecter également «l’intérêt public», qui n’est pas une notion coïncidant avec celui de «l’ordre public», dont il diffère dans une plus large mesure et parce qu’il attire l’attention sur la nécessité que toute action de l’administration doit toujours être déterminée par un intérêt pour la collectivité. Cette clarification paraît appropriée car le fait qu’une activité réalisée en absence d’un pouvoir discrétionnaire ne justifie pas que l’administration accorde à la partie privée - par le biais d’une transaction - des avantages plus importants que ceux qu’elle serait en droit de revendiquer en application de la réglementation pertinente. De même, il serait utile que la notion même de ‘transaction’ soit décrite, afin de clarifier si l’institution juridique en question est autorisée à mettre fin à des litiges dans lesquels seule la mesure d’un avantage demandé par le demandeur est contestée, ou si, en revanche, elle peut également être utilisé lorsque l’administration conteste, à la racine, le droit à cet avantage: dans ce cas, par exemple, l’intérêt public de l'opération pourrait résider dans le fait qu’elle met fin à une situation d’incertitude susceptible de causer un préjudice actuel ou potentiel à l'administration. Si la loi tunisienne régit, en dehors du Code de la justice administrative, le contrat de transaction, une référence expresse à cette discipline pourrait être faite au titre de l’article 123. Sinon, il serait préférable - comme précisé - de clarifier au moins la nature juridique de cette «transaction», car cela permet de vérifier la conformité de l’accord de règlement avec «l’intérêt public», ainsi qu’avec «l’ordre public». 8.3. La transaction en tant que phase sous-procédurale qui se déroule devant un juge tiers et impartial. Comme déjà indiqué, le nouveau Code de la justice administrative prévoit - en règle générale - la réalisation d’une phase sous-procédurale, qui fait partie du procès principal, et qui se déroule devant un juge spécialement désigné à cet effet: le «juge chargé de la transaction». Le fait que l’opération se déroule dans un contexte judiciaire, devant un juge, par ailleurs appartenant au même bureau judiciaire devant lequel l’affaire est pendant, pourrait être un élément très positif pour prouver un outil de réduction des litiges. Lorsque des tentatives de transaction ont lieu dans un contexte extra-procédural, il est peu probable que les parties soient convaincues qu’elles n’ont pas toutes les raisons et de l’opportunité conséquente de parvenir à un accord, car dans ce cas elles sont conseillées par des sujets (les défenseurs, le médiateur) qui n’ont aucun pouvoir juridictionnel sur le litige: dans ces cas les parties sont donc beaucoup plus rigides sur leurs positions respectives, sachant qu’elles ont encore la possibilité de faire appel à une autorité judiciaire.

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Il faut donc regarder très favorablement le système envisagé dans le projet de Code, car il présuppose qu’un jugement est déjà en instance devant le tribunal et parce que la tentative de transaction s’effectue en tout état de cause dans la sphère juridictionnelle. Il est vrai que - également d’un point de vue psychologique - il serait bon que la tentative de transaction soit menée précisément par le juge qui a le pouvoir de décision sur la cause, mais il est également vrai qu’une tentative de transaction, pour avoir force de persuasion, doit inclure le fait que le juge puisse exprimer librement ses réflexions sur les questions portées à sa connaissance, afin de faire comprendre à chaque partie ses faiblesses respectives. De cette manière, cependant, le juge anticipe une pensée, qui peut être interprétée comme une anticipation du jugement, s’exposant à la récusation. Il s’ensuit qu’il est extrêmement utile d’avoir prévu que la phase sous-procédurale en question soit confiée à un juge différent, qui n’aura alors aucun rôle dans le jugement en cas d’échec de la transaction: la circonstance qu’il s’agit d’un juge et qu’il siège dans le même Tribunal devrait assurer ou accroître son autorité, car on peut supposer qu’il connaît et suit les lignes directives de la jurisprudence de ce même Tribunal, et peut donc donner des indications extrêmement fiables sur la validité ou la non-validité de la défenses de chacune des parties. Cependant, il convient de noter que l’article 127 présente des possibles marges d’incertitude interprétative: il semblerait en fait qu’il renvoie à l’hypothèse dans laquelle, dans le Tribunal, devant lequel l’affaire a été proposée, n’a été pas institué une section spécifiquement déléguée à l’examen du sous - procédure de transaction: l’interprétation précitée n’est cependant tout à fait claire. Il n’est pas tout à fait clair ce que cela signifie que, dans le cas où il n’a pas été désigné un juge chargé de la transaction dans le Tribunal concerné, le Président du Tribunal nomme un juge pour effectuer la transaction «dans les affaires dont il a la charge». Il est donc proposé d’evaluer la possibilité de préciser le texte de la norme en question. L’article 130, à juste titre, prévoit que le juge chargé de la transaction prodigue tout ce qui est en son pouvoir pour rapprocher le point de vue des parties. Corrélativement, l’article 129 prévoit qu’il peut également entendre les parties séparément. On estime que l’article 131 (selon lequel le juge de la transaction peut désigner toute personne qu’il juge utile pour aboutir à signer la transaction) pourrait mieux préciser le rôle, la nature et la responsabilité de ces sujets désignés: il semblerait que cette disposition pourrait avoir des conséquences pratiques plus pertinentes lorsqu’il s’agit de résoudre des problèmes très techniques. 8.4. Les procès-verbaux des audiences de transaction Selon l’article 133, deuxième paragraphe, le juge chargé de la transaction rédige un procès-verbal pour chaque audience de transaction qui sera signé par toutes les parties au litige. La disposition précise qu’il n’y sera rédigé que ce qui a été convenu entre les parties. Dispose, en outre, que les procès-verbaux des audiences sont classés dans le dossier de l’affaire. À cet égard, il pourrait être précisé s’il est fait référence à un dossier spécifique du juge en charge de la transaction ou au dossier de l’arrêt «principal». Dans l’hypothèse où la disposition doit être interprétée en ce sens que les procès-verbaux recueillis lors des auditions de la transaction doivent converger dans le dossier de l’arrêt «principal», il est à noter qu’une telle disposition ne semblerait pas complètement coordonnée avec le caractère secret des audiences de transaction, établi à juste titre au paragraphe 1 de l’article 133.

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Le secret des audiences de la transaction apparaît par ailleurs comme une mesure raisonnable et utile pour obtenir la collaboration des parties qui, dans ce contexte, peuvent être plus disposées à coopérer, voire à faire des déclarations défavorables en croyant qu’elles resteront secrètes. Par conséquent, il convient de préciser que, dans le cas où la transaction ne serait pas conclue, le procès-verbal des audiences de règlement ne devrait pas être utilisé dans la procédure «principale», mais devrait rester archivé dans un dossier autonome. Au contraire, les mêmes procès-verbaux pourraient être mis à la disposition des parties, si cela était nécessaire à l’interprétation, à l’application et à l’exécution correctes de la transaction. 8.5. L’interdiction d’introduire un recours relatif à un contentieux antérieur à la conclusion de la transaction. Selon l’article 137, «il n’est pas possible aux parties de soulever un recours sur un contentieux antérieur à la conclusion de la transaction». Il n’est pas tout à fait clair si la disposition vise à empêcher uniquement la re-soumission d’un recours en instance avant la transaction, ou si elle vise à empêcher la présentation de tout recours concernant des questions qui constituent une condition préalable à la transaction: le texte semble suggérer que l'interdiction n’existe que par rapport aux questions sur lesquelles un litige judiciaire avait déjà été articulé, mais il pourrait être suggéré de clarifier la question. Cette disposition pourrait ne pas encourager la réalisation de la transaction, car elle laisserait aux parties la possibilité de proposer de nouveaux jugements sur des questions qui constituent une condition préalable à la transaction mais qui n’ont pas été soumises à la transaction elle-même. On suggère d’évaluer l’option consistant à étendre l’efficacité de la saisie de la transaction à toute question liée à l’objet de l’opération et survenue avant le jugement, clôturée par la suite avec la transaction. 8.6. L'efficacité de la transaction envers les droits des tiers Selon l’article 123 «la transaction ne doit pas (…) toucher au droits des tiers»: à cet égard, il est à noter qu’il ne semble pas tout à fait clair si, avec cette disposition, le projet de Code entend dire qu’une transaction qui porte atteinte aux droits de tiers ne peut être autorisée par le juge en charge de la transaction, (ou par le président du collège, conformément à article 139), ou que l’opération, bien que conclue et efficace entre les parties, ne peut avoir d’effets à l’égard des tiers. Il est donc proposé de préciser la question. Le problème de la sauvegarde des droits des tiers pourrait cependant être surmonté (au moins en partie) en leur permettant d’intervenir dans le jugement et de participer à la transaction en le signant. Aucune norme du projet de Code ne précise cette possibilité, qui pourrait concerner notamment des tiers qui ne sont pas déjà intervenus dans le procès au moment de sa suspension pour permettre la tentative de conciliation devant le juge en charge de la transaction.

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Il pourrait donc être évaluée la possibilité de prévoir spécifiquement la possibilité que des tiers, dont les droits ou intérêts pourraient de quelque manière être compromis par l’opération, puissent intervenir dans le litige au principal même si celui-ci a déjà été suspendu pour permettre l'expérimentation de la procédure de transaction, dans le seul but de participer à cette dernière et - éventuellement - de signer la transaction. Une clarification similaire pourrait être apportée aux fins de la conclusion d’une transaction conformément à l’article 139. 8.7. La transaction dans les cas de contentieux pour excès de pouvoir. Compte tenu du fait que tout transaction dont une administration publique est partie doit correspondre à un intérêt public, on considère que le recours à l’institution juridique en question pourrait être utile même en cas de contentieux pour excès de pouvoir où, suite à l’annulation de l’acte, l’administration conserve une marge d’appréciation. Dans de tels cas, une transaction pourrait viser à identifier un moyen pour l’administration de poursuivre l’intérêt public sans compromettre l’intérêt du plaignant, tout en garantissant le même niveau de satisfaction de l’intérêt public. Il s’agirait donc d’une forme particulière de transaction dont le contenu devrait être incorporé dans un acte administratif, qui remplacerait celui dont l'annulation est demandée. Il est donc proposé d’évaluer l’extension de l’institution juridique en question également aux contentieux introduits avec un recours pour excès de pouvoir

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9. L’AUDIENCE DE PLAIDOIRIE ET LE JUGEMENT 9.1. Identification des dispositions faisant l'objet d'une plus grande attention Selon l’article 140:Le président de la chambre établit le tableau des affaires enrôlées pour l’audience.il est possible de diviser le rôle en plusieurs rôles et leur octroyer un horaire différent à chacun. Selon l’article 141: Le rôle doit mentionner, le tribunal et la chambre concernés, la date et l’heure de l’audience, la formation de jugement, le numéro des affaires, les parties, les avocats et le commissaire d’état le cas échéant. Le rôle est signé par le président du tribunal, le président de la chambre et le président du greffe. Selon l’article 142 : le président du greffe classe le rôle de l’audience après sa signature dans un registre spécial 9.2. L’audience de plaidoirie et de jugement: la gestion de tableau des affaires Cette section règle le pouvoir du Président de la Chambre afin de gérer le tableau des affaires. On pourrait s’interroger, d’ailleurs, sur la nécessité de prévoir cette règle dans les détails et dans les particularités, au niveau du code ou, par hasard, s’il ne serait mieux de reporter cette réglementation au niveau d’une source secondaire (éventuellement annexe au Code). Ce choix permettrait de régler, avec les prévisions du Code, seulement les aspects les plus importants, concernant l’audience de plaidoirie et le jugement. Le Code de la justice administrative italienne, par exemple, a choisi de régler, au niveau primaire de la loi procédurale, seulement les typologies de décisions qui peuvent être prises par le Tribunal, et à laisser aux normes secondaires tous les détails, procéduraux et organisationnels. Dans le code tunisien les normes qui concernent la typologie des décisions sont prévues dans les articles 150 et suivants. 9.3. L’audience de plaidoirie : la gestion de l’audience Les normes contenues dans les articles 143 jusqu’à l’article 150 qui règlent tous les aspects formels de la convocation à l’audience sont au contraire plus appropriées et pertinentes au niveau du Code La police de l’audience est attribuée au Président de la Chambre qui peut ordonner l’huis-clos. Ça pourra être le cas – déjà analysé- à l’article 70 qui réglait la matière du Secret. D’ailleurs ce pouvoir est prévu, aussi, au niveau général, par l’article 108 de la Constitution. Le Président peut demander aux parties les éclaircissements nécessaires, ainsi comme il peut valider les preuves que les parties n’ont pas eu la possibilité, sans faute, de produire, dans le délai de rigueur prescrit par la loi. Ceci est possible à condition que la partie qui demande la production tardive des preuves présente la justification à travers une copie des pièces à la partie adverse.

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L’art. 149 enfin est dédié au rôle et aux fonctions du Commissaire de l’Etat à l’audience. Concernant le rôle et les fonctions du Commissaire d’Etat on a déjà dit qui il s’agit d’un organe pas connu par l’expérience juridique italienne.

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10. LE DELIBERE 10.1. La décision est toujours prise en formation collégiale. Seuls les juges ayant assisté à l'audience publique participent à la délibération. Aucune forme d'enregistrement de la chambre de conseil n'est pas envisagée, comme mesure supplémentaire de protection du secret qui caractérise le délibéré. Le secret de la chambre du conseil et du délibéré est réaffirmé, conformément aux dispositions de l'art. 52 de la loi procédurale de 1972. En effet il s'agit d'un élément essentiel pour garantir l'indépendance des juges qui composent le collège délibérant et qui ont la sécurité de pouvoir s'exprimer librement sur l'affaire sans être conditionnés. L’article 151, deuxième alinéa, stipule que «Si le délibéré n’a pu avoir lieu, en raison d’un empêchement survenu à l’un des membres de la formation de jugement, l’affaire est de nouveau renvoyée à l’audience de plaidoirie». Il est à noter que l'art. 154 régit le cas d'empêchement du président d'assister à l'audience du prononcé et l'article 159 celui d'empêchement à la signature de la minute du jugement. Il est suggéré d'évaluer la possibilité de prévoir un article unique régissant les solutions aux cas d'empêchement qui concernent le délibéré et le jugement. L’article 151, troisième alinéa, régit le dispositif du jugement en deux temps : un premier stade où le dispositif semble avoir une formulation encore provisoire – « (…) le dispositif du jugement est consigné dans le procès -verbal de l’audience signé par tous les membres de la formation du jugement» - et un second stade où il acquiert un caractère définitif – «Le dispositif du jugement n’acquiert sa formulation définitive que lors de son prononcé dans une audience publique». L’article 153 stipule: «Le délai de délibération peut être prorogé une seule fois, si nécessaire, pourvu que la durée de prorogation n’excède pas celle de délibéré fixée à l’audience de plaidoirie.». On suggère d’évaluer s’il est préférable de prévoir une communication aux parties de la prorogation du délai de délibération.

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11. LE JUGEMENT. Il s’agit de l’article 154 qui régit l’audience publique, de l’article 155 qui qui énumère les données qui doivent obligatoirement figurer dans le jugement, de l’article 156 qui régit la motivation de l'arrêt, des articles 157 et 158 qui concernent la signature de la minute du jugement et le délai maximum pour sa rédaction et des articles 160 et 161 qui régissent l'apposition de la formule exécutive au jugement et sa signification par l'huissier de justice. Comme déjà dit à propos de l'article 151, il est également suggéré en relation aux articles 154 et 159 que la discipline pour le remplacement du juge en cas d'empêchement survenu est contenue dans une seule disposition concernant à la fois le délibéré et le jugement. L’article 160 stipule «Le greffe du tribunal délivre au profit de toute partie bénéficiaire d’un jugement une grosse portant la formule suivante: «En conséquence, le Président de la République mande et ordonne au ministre ou aux ministres ou le président de la collectivité locale (avec la mention du ministère ou de l’autorité désigné) ainsi qu’à toutes les autorités administratives concernées d’exécuter ce jugement ou arrêt, et il mande et ordonne tous les huissiers notaires, sur ce requis, dans le cadre des voies d’exécution qui peuvent être suivies conformément à la législation en vigueur». Au deuxième alinéa cet article prévoit une procédure particulière pour obtenir une nouvelle grosse, si la partie avant d’avoir pu exécuter le jugement rendu à son profit, a perdu la grosse délivrée. Dans ce cas-là la seconde grosse peut être obtenue par ordonnance de référé rendu par le président de chambre. À cet égard on suggère d’évaluer la possibilité de simplifier cette procédure qui paraît assez complexe, peut-être par une charge de la preuve renforcée sur les circonstances pour lesquelles la première grosse délivrée a été perdue.

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12. LA RECTIFICATION DE L’ERREUR MATERIELLE Il s’agit de l’article 162 qui régit la procédure de rectification par la juridiction et de l’article 163 qui concerne l’activité du greffe. En particulier, l’article 162 stipule «La juridiction qui a rendu le jugement peut, à la demande écrite de l’une des parties ou d’office, procéder à la réparation de toute erreur ou omission matérielle affectant les nom et prénom, l’orthographe, le calcul ou toute autre e rreur similaire entachant son jugement». Le deuxième alinéa prévoit que la compétence pour statuer sur la rectification appartient à la juridiction à laquelle le jugement est déféré. Il apparaît donc que si le jugement est susceptible d'appel ou de recours en cassation, la rectification est faite par la cour d'appel ou de cassation. Le troisième alinéa stipule que «la rectification a lieu sans plaidoirie préalable». Aucune observation si la correction d'erreur matérielle est d'office. On suggère, sur la base de l'expérience italienne, de prévoir une forme d'audition des parties lorsque la correction a lieu à la demande des parties car il pourrait y avoir des litiges. On suggère également d’evaluer la possibilité de déplacer la disposition du deuxième alinéa de l'article 163, qui stipule «si le jugement objet de la rectification est définitif, la décision rectificative de l’erreur matérielle n’est susceptible d’aucune voie de recours», à l'article 162 parce qu'il concerne la procédure et non la compétence du greffe.

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13. L’INTERPRETATION DES JUGEMENTS L’article 164 prévoit la possibilité pour la juridiction qui a rendu un jugement d'interpréter le dispositif, à la demande expresse et écrite des parties du procès. Ledit article stipule “l’interprétation se fait sans plaidoirie, elle se limite à l’explication du dispositif du jugement au vu de ses motifs sans rien lui ajouter et sans rien lui retrancher”. C'est sans doute une institution intéressante avec laquelle le code prévoit une sorte d'interprétation authentique du dispositif du jugement par la même autorité judiciaire qui l'a rendu. Il semble que parmi l'art. 164 l’autorité judiciaire qui a rendu le jugement -c'est-à-dire la même formation judiciaire- peut rendre explicite le sens du dispositif, en clarifiant les motifs qui ne sont pas immédiatement intelligibles. On suggère de clarifier s'il existe un délai dans lequel l'interprétation du dispositif peut être demandée. En fait il s'agit d'une disposition qui semblerait utile dans le temps entre la publication du dispositif et la publication des motifs du jugement, notamment en cas d'exécution immédiate du dispositif. Puisqu'il semble que l'interprétation donnée par l'art. 164 relève de la compétence de l'autorité qui a rendu le jugement dans la même formation, il pourrait être utile de se référer à l'art. 159 pour le cas d'empêchement de l'un des membres de la formation judiciaire.

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14. LES FRAIS DE JUSTICE Il s’agit des trois articles : l’article 165 donne la définition des frais de justice, les articles 166 et 167 concernent les règles pour la condamnation aux dépens et la fixation des dépens. L’article 165 stipule «les frais de justice et les dépens comprennent : - les taxes et droits dus à l’Etat; - les dépens afférents aux instances : les frais relatifs aux procédures de signification, d’assignation, de traduction, d’expertise et diverses missions ordonnées par le tribunal et autres mesures d’instruction; - les frais d’exécution et les honoraires d’avocat. L’article 166 pose la règle générale selon laquelle la partie qui succombe est condamnée aux dépens. Le Tribunal peut raisonnablement décider de faire supporter tout ou partie des frais par une autre partie. La partie ayant droit à l'assistance juridictionnelle est toujours exonérée de frais. L’article 167 pose la règle générale selon laquelle «Le jugement fixe les dépens», mais «s’il n’en a pu être procédé, le montant, sauf pour les honoraires d’avocat, est taxé par décision non susceptible de recours rendue par le président de la formation judiciaire à la demande de l’une des parties.» Il s’agit sans doute d’une règle particulière. On suggère d’évaluer s’il est préférable de rendre susceptible de recours aussi la décision du président de la formation judiciaire qui taxe le montant des dépens, car autrement la même décision concernant le montant des dépens est susceptible de recours seulement s’il est fixé par le jugement.

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15. LA RECUSATION

Il s’agit des trois articles: l’article 168 discipline la requête de récusation, la compétence et la procédure pour la décider; l’article 169 régit l’amende à payer par l’auteur de la récusation en cas de rejet de la demande; l’article 170 discipline la possibilité pour le juge de se dessaisir d’un affair. À cet égard on suggère d’évaluer la possibilité que la Section VII réglemente à la fois la récusation et l'abstention du juge, car ce sont les causes pour lesquelles le juge ne peut pas traiter une affaire. L’article 168 stipule que «le demandeur de la récusation doit, à peine d’irrecevabilité, présenter une requête écrite au président du tribunal dès qu’il a connaissance de la cause justifiant la demande». Il y a un délai après lequel la «demande ne peut être formée», c'est-à-dire la clôture des plaidoiries. La procédure de décision de récusation est réglementée. Le juge qui fait l'objet de la demande peut, dans un délai de 7 jours, acquiescer et se dessaisir de l'affaire, ou s'opposer à la demande de récusation. Dans ce second cas, le président du tribunal transmet le dossier au président du tribunal administratif suprême qui est compétent à statuer sur la demande de récusation, dans un délai de dix jours, en chambre de conseil «assisté de deux présidents de chambres». L’article 169 stipule que «Si la demande de récusation est rejetée, son auteur peut être condamné à une amende de cinq cent dinars (500 DT) à mille dinars (1000 DT), avec réservation du droit du magistrat concerné aux poursuites qu’il pourra engager et aux dommages-intérêts qu’il pourra réclamer». À cet égard, on suggère d'envisager la possibilité de diviser l'article 169 en deux alinéa: le premier qui concerne l'amende que doit payer l'auteur de la requête de récusation si elle est manifestement infondée car elle constitue un abus du procès ; un deuxième qui réserve au magistrat la possibilité d'agir pour protéger sa dignité et pour obtenir la réparation des dommages et intérêts. L’article 170 stipule que «Le juge peut, par une demande motivée, se dessaisir pour une cause sérieuse sur laquelle il est statué par le président du tribunal». À cet égard, il est suggéré la possibilité d'enrichir cet article avec la discipline de la procédure de décision sur la demande du juge, en prévoyant au moins un délai pour la décision

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16. DES REFERES 16.1. Aspects généraux Dans le cadre du texte qu’a été envoyé aux experts taliens, le Titre II (Des référés) est composé des articles 177-206. Le Titre II comprend huit Sections: - les Sections I (Dispositions Générales) et II (Des expetises et des constats) ont un caractère général et – pour ainsi dire – horizontal; - les Sections III (Des mesures de protection du domaine public et de l’environnement), IV (De la provision), V (De la protection des libertés fondamentales), VI (En matière contractuelle), VII (Du secteur de l’audiovisuel) et VIII (Des compagnes électorales). À cet égard il est suggéré d’évaluer la possibilité que la Section IV (De la provision), laquelle présente un caractère général, soit placée avant la Section III (Des mesures de protection du domaine public et de l’environnement), laquelle présente un caractère spécifique. Pour ce qui concerne la structure générale du Titre en question, on observe en premier lieu que, dans le cadre du texte qu’a été envoyé aux experts italiens, certaines des Sections du Titre II (et, en particulier, les Sections II, III, IV, V, VI, VII et VIII, qui comprennent les articles 179-206) semblent coïncider de manière presque intégrale avec les prévisions du Titre VII, Chapitre II, Sections II, III, IV, V, VI, VII et VIII (articles 259-283). On suggère donc, en premier lieu, une coordination formelle entre les deux parties du texte. On suggère, en autre, que les Sections en question soient précédées des prévisions générales lesquelles, dans le texte qu’a été envoyé aux experts italiens, sont contenues dans les articles 249-257. Après cette remarque préliminaire, on peut désormais passer à l’examen des différents articles. 16.2. Les dispositions examinées L’article 171 établit que dans tous les cas d’urgence, le président du tribunal administratif de première instance ou le juge chargé du référé, peut, même en l’absence d’un acte administratif préalable, ordonner en référé toutes les mesures utiles qui ne se heurtent à aucune contestation sérieuse, sans faire obstacle à l’exécution d’aucun acte administratif. À cet égard on suggère d’évaluer s’il est préférable de remplacer l’expression “execution” avec l’expression “adoption”. La raison en est que les ordonnances de référé peuvent être adoptées même en l’absence d’un acte administratif préalable, et donc l’ordonnance du juge ne devrait pas empêcher ni l’execution, ni l’adoption elle-même d’un acte administratif. L’article 175 établit que le juge des référés statue sur les actions dans un délai maximum d’un mois de la date du dépôt de la requête au greffe. Le tribunal informe les parties des ordonnances et des décisions rendues en référé dés leur prononcé par tout moyen laissant une trace écrite.

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À cet égard, en ce qui concerne l’alinéa 1, on suggère d’évaluer la possibilité de spécifier les moyens à travers lesquels la décision du juge est rendue connaissable aux parties concernées. En ce qui concerne l’alinéa 2, on suggère on suggère d’évaluer la possibilité de spécifier quelle est la différence entre les ordonnances et les autres décisions du juge (aussi parce que le suivant article 177 – concernant l’appel des ordonnanecs de référé – mentionne uniquement les ordonnances). L’article 179 établit que le président du tribunal administratif de première instance ou le juge chargé des référés peut ordonner une expertise ou constater tout fait pouvant faire l’objet d’une contestation administrative. À cet égard on suggère d’évaluer s’il est possible de spécifier que l’expertise peut aussi être confiée à une administration publique différente de l’administration qui a adopté l’acte en contestation et qui est dotée de compétences appropriées. L’article 183, alinéa 1 établit que en cas d’urgence, le président de la chambre de première instance ou d’appel saisie d’une affaire pendante peut ordonner en référé la condamnation du défendeur au paiement d’une provision lorsqu’il ne lui paraît pas l’existence d’une contestation sérieuse au fond. À cet égard on suggère d’évaluer la possbilité d’éliminer la mention des cas d’urgence. En fait, si le présupposé pour la condamnation à la provision est représenté par l’absence – prima facie - d’une contestation sérieuse au fond, ce présupposé peut se présenter aussi en cas différents des cas d’urgence. L’article 184 1 établit que l’appel des ordonnances rendues par les présidents des chambres de première instance est porté, moyennant le paiement d’une provision, devant les cours d'appel administratives conformément à la procédure prévue à l’article 177 de la présente loi. À cet égard on suggère de specifier si la provision mentionnée par l’article 184 coïncide avec la provision déjà prévue par l’article 183, ou bien s’il s’agit d’une provision ultérieure et différente de celle. L’article 185 (contenu dans le cadre de la Section V - De la protection des libertés fondamentales) établit que dans tous les cas d’urgence, le président du tribunal administratif de première instance ou les juge chargé des référés peuvent ordonner en référé toutes les mesures nécessaires visant la protection des libertés fondamentales contre les atteintes graves et illégitimes. L’article en question se limite donc à décrire les pouvoirs qui peuvent être exercés par le juge, mais ne décrit pas les présupposés et les modalités de l’action relative (action laquelle, néanmoins, est mentionnée par le suivant article 186). On suggère donc de spécifier la question. L’article 192, alinéa 1 (contenu dans le cadre de la section VI – En matière contractuelle) établit que le président de la chambre de première instance ou le juge chargé de référés statue en référé sur les recours dirigés contre les marchés publics, les contrats de concession et les contrats public privé pour les mêmes motifs indiqués à l’article 187 de la présente loi, et ce après leur passation.

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Le suivant alinéa 3 établit que le recours est également formé par celui qui a préalablement introduit un référé avant la conclusion du contrat lorsqu’il est établi que la personne publique n’a pas exécuté la décision rendue en référé conformément aux dispositions de l’article 188 de la présente loi. Sur la base d’une comparaison entre les deux alinéas, il semble que la possibilité pour qui a introduit un référé avant la conclusion des marchés publics selon l’article 188 d’introduire ensuite un recour après la passation du contrat reste subordonnée au fait que l’administration n’ait pas exécuté la décision rendue en référé conformément aux dispositions de l’article 188. On suggère donc d’évaluer si ladite limitation soit opportune, puisque cela risque de désavantager le justiciable qui a agi en temps utile et risque aussi de subordonner à la conduite de l’administration la possibilité de présenter un référé après la passation. L’article 195 alinéa 1 établit que le président de la chambre de première instance ou le juge chargé de référés prononce l’annulation du contrat en cas de manquement aux obligations prévues à l’article 187 de la présente loi, sauf s’il estime, en considération de l’ensemble des intérêts susceptibles d’être lésés dont notamment l’intérêt public, que les conséquences négatives de cette suspension pourraient l’emporter sur ses avantages. À cet égard on suggère d’évaluer s’il est préférable de remplacer l’expression “suspension” (contenue dans la partie finale de la disposition) avec l’expression “annullation”. On suggère aussi de spécifier que, dans le case où le Président considère prédominant l’intérêt public et décide de ne pas prononcer l’annulation du contrat, le justiciable qui a subi un préjudice en conséquence de la conduite de l’administration puisse obtenir dommages et intérêts, selon la demande soumise. L’article 197, alinéa 1 (contenu dans le cadre de la section VII – Du secteur de l’audiovisuel) établit que le président de la Cour administrative d’appel ordonne l’annulation ou la modification des décisions de la Haute autorité indépendante de la communication audiovisuelle relatives à la diffusion d’un programme, une partie d’un programme ou d’un spot publicitaire. À cet égard on suggère d’évaluer s’il est préférable de remplacer l’expression “ordonne” avec l’expression “peut ordonner”. On suggère aussi de spécifier quels sujets ou organes peuvent demander ladite annullation et de limiter les hypothèses où ce pouvoir d’annullation peut être exercé ex officio. L’article 199, alinéa 2 (contenu dans le cadre de la Section VIII – Des campagnes électorales) établit que le président de la chambre de première instance ou le juge chargé de référés peut ordonner toutes les mesures et procédures pour faire respecter les règles des campagnes électorales conformément à la législation et règlements en vigueur. À cet égard on suggère d’évaluer s’il est préférable de remplacer l’expression “toutes les mesures” avec l’expression “toutes les mesures appropriées”, afin de n’étendre pas au-delà du nécessaire les cas d’intervention du juge à l’encontre de l’administration ainsi que afin de se conformer au principe du ‘minimum de moyens’ et de la distinction entre la fonction juridictionnelle et la fonction administrative L’article 200 établit que pour le référendum l’action est portée par tout représentant légal du parti qui en a participé.

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Puisque la Constitution tunisienne (artt. 3 et 50) discipline le référendum polulaire tant que forme de démocratie directe, on suggère d’évaluer la possibilité d’étendre le droit d’action prévu à l’article 200 aussi aux associations et comités de citoyens.

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17. LA FONCTION CONSULTATIVE 17.1. Aspects généraux Les articles 212-223 du «Chapitre III» du projet de Code régissent la «fonction consultative» que l'article 116 de la Constitution tunisienne attribue à la justice administrative, en reportant à la loi la tâche d'identifier les modalités d'exercice («La justice administrative est composée d’une Haute Cour administrative, de cours administratives d’appel et de tribunaux administratifs de première instance. La justice administrative est compétente pour connaître de l’excès de pouvoir de l’administration et des litiges administratifs. Elle exerce une fonction consultative conformément à la loi»). Il convient de noter que, dans l'indice des articles envoyés aux experts italiens, la subdivision en «Titres», «Parties» et «Chapitres» ne semble pas être complétée et mise au point. Par exemple, on ne trouve ni le premier ni le deuxième ‘Chapitre’, qui devrait logiquement précéder le "Chapitre III" en question, donc sur ce point il serait nécessaire d'harmoniser l'index global du Code. Néanmoins, il est tout à fait possible de comprendre la structure globale de cette partie du Code et d'y faire quelques considérations La fonction consultative est attribuée à la plus haute instance de justice administrative, la Haute Cour administrative, qui s'exprime avec deux types d'avis différents. En premier lieu, il y a les avis à caractère impératif (article 212), qui portent sur: a) les schémas de décrets lois et décrets réglementaires à présenter au Conseil des ministres; b) les projets et propositions de loi relatifs au domaine de l'organisation, de la compétence et de la procédure de justice administrative avant avant d'être présentés à la Chambre des députés; c) toutes demandes et autres projets de loi pour lesquels l’intervention de l’Haute Cour est requise par des dispositions législatives. Ensuite, il y a les avis facultatifs (article 213) que la Haute Cour administrative peut rendre, sur demande, sur les projets de loi qui lui sont soumis par le Président de la République ou le Président du Gouvernement. La Haute Cour peut également être consultée «en général sur toutes les questions qui lui sont soumises par le Président de la République, le Président de la Chambre des députés et le Président du Gouvernement pour obtenir son avis, à condition qu'elles portent sur des questions juridiques de caractère général». D’une manière générale, on constate que le modèle de fonction consultative choisi par le code tunisien attribue à la Haute Cour un rôle central dans le circuit des décisions publiques, en prévoyant que la fonction en question soit exercée en faveur du dit «Etat-communauté» (et non au nom du dit «Etat organisation»), ça veut dire pour l'intérêt général de la légitimité de l'action administrative. Ce choix apparaît dans son ensemble approprié, car il permet à la justice administrative d'apporter une contribution significative, non seulement pour le Parlement et pour le Gouvernement, mais aussi par rapport à toutes les questions qui présentent un haut niveau de complexité (à côté des avis concernant le projet de loi en fait, a également prévue la possibilité que la Haute Cour s'exprime sur des questions juridiques de caractère général). Néanmoins, la position d’impartialité du juge sst toujours assurée (sur la base de l'article 103 de la Constitution tunisienne).

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En outre, le projet de Code soumet de manière appropriée ce type d'intervention à certains délais de définition (article 223), prévoyant également une procédure d'urgence. La division des matières la fonction consultative au sein des sections est une prérogative du président de la Haute Cour, qui est chargé de superviser tous les avis exprimés également par les différentes sections consultatives (article 219). Ils sont adéquatement prévus soit un «quorum» pour la validité du collège (2/3 des membres de la section) et soit la règle, selon laquelle les décisions doivent être prises à la majorité «des membres présents» (article 219). La possibilité d'entendre les représentants de l'administration est également expressément prévue (article 220), ce qui constitue un choix procédural qui, dans l'expérience italienne, s'est avéré d'une grande utilité. Après avoir fait ces brèves remarques générales, les observations et suggestions suivantes sont soumises. 17.2. La portée objective de la fonction consultative (Article 213). Quant à la possibilité de fournir des avis (facultatifs) à l'avance sur les projets de loi, il est suggéré d'évaluer si des normes de coordination avec celles qui régissent les compétences de la Cour constitutionnelle sont appropriées Et en fait, l'article 120 de la Constitution attribue à celle-ci le contrôle de constitutionnalité des actes législatifs, même à titre préventif («La Cour constitutionnelle est seule compétente pour contrôler la constitutionnalité: des projets de loi, sur demande du Président de la République, du Chef du Gouvernement ou de trente membres de l’Assemblée des représentants du peuple. La Cour est saisie dans un délai maximum de sept jours à compter de la date d’adoption du projet de loi ou de la date d’adoption du projet de loi amendé, après renvoi par le Président de la République»). (Article 212) Quant aux avis obligatoires, pour l'hypothèse concernant les projets et les propositions législatives concernant le domaine de l'organisation, de la compétence et de la procédure de la justice administrative (avant la présentation au Parlement), il est suggéré d'établir s'il y a lieu l'implication du Conseil supérieur de la magistrature, dans sa sous-section du Conseil de la magistrature administrative (article 112 de la Constitution tunisienne), compte tenu que il s’agit de l’organe député pour assurer la bonne organisation et les prérogatives du statut de la magistrature. Cette appréciation apparaît particulièrement appropriée au regard de l'article 114 de la Constitution de 2014, selon lequel Le Conseil supérieur de la magistrature garantit le bon fonctionnement de la justice et le respect de son indépendance. L’Assemblée plénière des trois Conseils de la magistrature propose les réformes et donne son avis sur les propositions et projets de loi relatifs à la justice qui lui sont obligatoirement soumis. Chacun des trois Conseils statue sur les questions relatives à la carrière et à la discipline des magistrats”. Par conséquent, un examen sur ce point pourrait être recommandé. Quant aux avis obligatoires à rendre sur les projets de décrets lois (article 212), compte tenu de l'urgence typique qui les caractérise, des formes d'examen particulièrement accélérées pourraient être envisagées afin de ne pas affecter le calendrier des décrets lois eux-mêmes. En référence à l'avis rendu sur les décrets réglementaires, il est enfin proposé d'intégrer l'article 212 aux deux types de schémas de décrets réglementaires envisagés: soit ceux du chef

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du gouvernement («decrets gouvernementaux») soit ceux adoptés par les différents ministres, conformément aux les dispositions de l’article 94 de la Constitution. 17.3. Le calendrier de la procédure et les facultés d'enquête lors de la séance consultative : Par souci de certitude et pour éviter les possibiles situations de blocage décisionnel, il est suggéré d’évaluer la possibilité d'insérer un dernier paragraphe à l'article 223 qui stipule, en substance, que «si l'avis n'est pas rendu dans le délai prescrit, l'Administration (ou bien, n’importe qui a demandé l’avis) peut procéder indépendamment de l’acquisition de l’avis». En outre, il est suggéré d'envisager l'opportunité de prévoir à l'article 220 un paragraphe supplémentaire dans lequel une prolongation du délai pour l'adoption de l'avis est autorisée, lorsque, en raison de conditions préalables, il n'est pas possible de respecter le délai maximum de deux mois prévu par l'article 223, en précisant éventuellement que si en raison d'exigences préliminaires, le délai maximal visé à l'article 223 ne peut être respecté et si ne s'agit pas d'un avis à rendre d'urgence, ce délai ne peut être interrompu qu'une seule fois et le l'avis doit être rendu définitivement dans les [vingt] jours suivant la réception des éléments d'enquête par les administrations concernées.

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18. LA COMPOSITION DE LA HAUTE COUR ADMINISTRATIVE Selon l'article 216, la Haute Cour administrative est divisée en sections consultatives (en nombre indéterminé) et en une assemblée plénière consultative. Les articles de 221 à 222 sont d'un grand intérêt. Ils identifient les compétences de l'Assemblée plénière avec des fonctions consultatives. Conformément à l'article 222, en particulier, l'Assemblée plénière consultative se prononce sur les projets d'avis qui lui sont renvoyés par le président de la Haute Cour administrative, qui nécessitent une harmonisation entre les sections consultatives ou qui concernent des «questions juridiques fondamentales». Une question d'intérêt incontestable concerne l'identification exacte du périmètre des fonctions consultatives assignées à l'Assemblée plénière. En effet, le pouvoir réservé au Président de soumettre un projet d'avis à l'examen de l'Assemblée plénière n'apparaît pas entièrement spécifié: sur ce point, il semblerait préférable que la loi prédétermine les cas dans lesquels l'avis doit nécessairement être adopté par l'Assemblée plénière, en attribuant toujours à cette dernière les avis «sur les régimes des actes législatifs et réglementaires» ou ceux «d'importance particulière» pour laquelle la décision collégiale est de toute façon nécessaire en raison de la complexité et / ou de l'importance de la question.

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19. DES VOIES DE RECOURS EXTRAORDINAIRES 19.1. Recours en révision (articles 224 à 230) Les articles 224 à 230 régissent un recours extraordinaire appelé "appel en révision" pour protéger les parties qui n'ont pas pu se défendre dans le jugement (Les parties qui n’ont pas pu se défendre, peuvent former un recours en révision contre les jugements rendus en dernier ressort par les différents organes de la justice administrative) et qui se voient affectés par une sentence devenue définitive (prononcée aux différents niveaux de jugement), par rapport à des vices de décision qui ne sont apparus qu'après. Le recours est admis dans les cas strictement prévus à l’article 225, à savoir: 1. Lorsqu’il est établi par une décision définitive que le jugement objet du recours a été rendu sur des pièces fausses, 2. Lorsqu’une partie a été condamnée faute d’avoir pu fournir pendant l’instance une pièce décisive retenue par le fait de son adversaire, 3. Lorsque le jugement de la Haute cour administrative a été rendu sans qu’étaient observées les dispositions de la présente loi relatives à la composition de la juridiction, à la procédure suivie durant ses séances ou aux formalités substantielles de ses jugements. La proposition de cette forme de recours est également soumise à deux conditions de déchéance distinctes: deux (2) mois à compter de la date de notification de la condamnation ou de la date de découverte du faux document ou du document retenu du fait de l'opposant, et, en tout état de cause, dix (10) ans à compter de la date du prononcé de l'arrêt attaqué (article 226). Tout comme c'est le cas pour le jugement de révocation prévu par le système italien, le jugement de révision prévu dans le projet du Code de la Justice administrative est donc logiquement divisé en deux phases: La première phase (que nous pourrions qualifier “rescindante”) vise à vérifier si le recours est recevable et si l'un des motifs de révision strictement prévus existe. Cette phase pourrait se terminer par une décision d'inadmissibilité ou d'irrecevabilité (selon si l'action était proposée hors des cas ou en dehors des conditions autorisées). Si la phase de recevabilité de l'action est passée, la phase au cours de laquelle le jugement est renouvelé (le dit «jugement rescisoire ») est prononcée, en corrigeant les vices du jugement précédent (par exemple, en excluant les fausses preuves, ou en acceptant les nouvelles preuves). Dès lors, la décision admettant le recours de la révision remet les parties dans l'état où elles se trouvaient avant le prononcé de la décision attaquée. Cette structure en "deux phases" est clairement confirmée par l'article 230 qui envisage les deux résultats possibles de l'action de réexamen en termes d’"irrecevabilité" ou de "rejet". En outre, conformément au caractère de «renouvellement» de cette forme de recours, l’article 228 établit la règle selon laquelle l'appel en révision doit être déposé auprès du même juge qui a prononcé la sentence qui a été objet de révision. Donc le recours en révision doit suivre les formes et les règles de procédure envisagées pour le recours originaire, à l'exception de celles qui doivent être considérées comme incompatibles avec celles expressément

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prévues en matière de révision, qui doivent certainement prévaloir en vertu du principe de spécialité. L'article 229 prévoit la possibilité d'obtenir la suspension à titre de mesure de précaution de l'effectivité du jugement attaqué, lorsque celle-ci est demandée par la partie agissant en révision et le pourvoi apparaît, sur une première résolution sommaire, se fonder sur des motifs «sérieux», c'est-à-dire qui permettent de prévoir une issue positive du recours. La mesure de suspension de la force exécutoire de la sentence n'est pas la seule possible, le juge étant autorisé à adopter toute mesure conservatoire appropriée qui pourrait devenir nécessaire «pour conserver les droits de la partie ayant succombé » (article 229, dernier paragraphe). Après avoir ainsi décrit les caractéristiques générales du pourvoi en question, les observations suivantes peuvent être faites : 19.2. Les cas spécifiques dans lesquels un appel en révision est admis : Compte tenu du principe général, établi par l'article 224, qui informe l'ensemble de l'institution juridique en question - selon lequel le recours en révision est prévu pour «les parties qui n'ont pas pu se défendre» -, il est suggéré d'étendre l'hypothèse réglementée de l'article 225, n. 1, relatif au jugement résultant de preuves reconnues ou autrement déclarées fausses après la décision, à celle dans laquelle «la constatation de la fausseté a eu lieu avant la sentence mais que, à la partie perdante, n'était pas connue pour des raisons indépendantes par sa volonté». On estime également que l'hypothèse établie par l'article 225 no. 2 pourrait également inclure les cas dans lesquels l'incapacité de la partie à fournir un document décisif était due non seulement à l'acte délibéré de son opposant, mais aussi à des causes de "force majeure"; L’article 225 no. 3 introduit une raison pour la révision qui a une raison différente de ceux qui sont prévues dans les nombres précédents, En fait, cet article permet l'appel en révision d'un jugement rendu en dernière instance (par la Haute Cour administrative), non pas sur la base d'une circonstance devenue connue après sa déclaration, mais en raison de vices de la decision qui concernent l'exactitude des conditions procédurales (telles que l'incompétence, ou, en tout cas, la violation du principe dit du «juge naturel») ou les procédures suivies. Il est à noter que ce motif de réexamen, compte tenu de l'ampleur et du caractère générique de la formulation utilisée («sans qu’étaient observées les dispositions de la présente loi relatives à la composition de la juridiction, à la procédure suivie durant ses séances ou aux formalités substantielles de ses jugements»), pourrait risquer d'introduire un quatrième degré de jugement, qui ne semble tout à fait conforme à l'approche générale du Code. C'est pourquoi, sur ce point, il est suggéré de définir de manière exhaustive les hypothèses de violations procédurales et matérielles dont la gravité est de nature à justifier une hypothèse de révision des jugements rendus par la Haute Cour administrative. 19.3. Les délais prévus sous peine de déchéance pour la proposition de l'action de révision

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La discipline envisagée introduit un double délai qui fonctionne sous une forme combinée: a) deux mois ne doivent pas s'être écoulés «à partir du jour de la notification du jugement ou de la date de la découverte de la pièce fausse ou de la pièce retenue par le fait de l'adversaire» et, dans tous les cas: b) pas plus de dix ans doivent s'être écoulés «de la date de la prononciation du jugement objet du recours». Cependant, si le fonctionnement de ce terme est compréhensible et raisonnable au regard des hypothèses prévues à l'article 225 nos. 1 et 2, en revanche, devient difficile à comprendre au regard de l'hypothèse prévue à l'article 225, no. 3, puisque dans ce cas l'action semble clairement réservée à une partie du procès. Il s'ensuit que, dans de tels cas, le long terme de dix ans semble s'opposer aux exigences de certitude et de stabilité typiques des décisions de dernier ressort. Par conséquent, il est suggéré d'exclure l'applicabilité de la longue période d'expiration de dix ans pour l'hypothèse visée à l'article 225, no. 3. 19.4. Les mesures de précaution envisagées l’audience de révision (article 229) La mise en place d'une protection conservatoire lors du réexamen est un choix opéré également dans le système italien qui apparaît tout à fait acceptable, mais il semblerait opportun de compléter la discipline en question en se référant ici à la procédure généralement envisagée pour l'adoption des mesures conservatoires (prévue par les articles 171 et suivants). Il conviendrait également de justifier la suspension de l’efficacité de la sentence en raison de l'existence d'un «préjudice concret» découlant de son exécution pour la partie qui a introduit un recours en révision. En outre, il est suggéré de verifier la coordination entre l'article 229 et l'article 236 qui régit conjointement la même option suspensive pour les deux recours extraordinaires régis par le titre VI en question. 19.5. Opposition en général et opposition du tiers (articles 231 à 236) La deuxième section régit deux formes distinctes d’«opposition» à une sentence de dernier degré. (Article 231) Le premier prévoit un recours en faveur d'une "partie" de l'arrêt en cas de violation (grave), des droits de la défense lors de la phase du procès à la quelle est suivie la prononciation («Chaque partie à un jugement rendu en dernier ressort par l’une des juridictions de la justice administrative sans que la requête ne lui ait été signifiée et qu’elle n’ait pu présenter aucune mémoire en défense, peut former une opposition contre le dit jugement dans un délai de deux (02) mois à partir de la date de sa notification»). Ce recours a également un caractère «de rénovation» et doit être proposé devant le juge qui a prononcé la sentence, ou devant le juge d'appel «lorsqu’elle a statué sur le recours avant le dépôt de la requête ou lorsque l'affaire est enrôlée devant elle et que le recours est porté devant la juridiction du premier degré». Cette action doit être proposée sous peine de déchéance dans un délai de deux mois à compter de la «notification» de la condamnation. (Article 233) La deuxième forme d'opposition est plutôt un recours fourni en faveur d'un "tiers" car il est resté étranger à la cause ou en tout état de cause placé dans des conditions

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de ne pas pouvoir exercer ses droits («Toute personne, qui n'a été ni mise en cause ni représentée dans une instance, peut former une opposition contre le jugement rendu»). Ce recours d'opposition ne peut être formé que par ceux qui sont lésés par la décision et il est soumis au même délai de deux mois à compter de la « notification » de la décision. Enfin, pour les deux actions d'opposition, un délai final de trois (03) ans à compter de la prononciation de la sentence est envisagé (article 235). Ayant fait ces prémisses générales, on constate que: a) l’opposition qui peut être proposée par la "partie" du procès, en application de l'article 231, semblerait présenter, concernant les décisions de dernier degré de la Haute Cour administrative, des zones de chevauchement possibles avec le recours de révision prévu par l'article 225 n. 3, de sorte que, sur ce point, il est suggéré de préciser les différentes hypothèses qui permettraient l'opposition d'un tiers. b) étant donné que la prédiction d'un délai défini pour la proposition de ce moyen de recours est extrêmement importante aux fins de la certitude et de la stabilité des positions juridiques subjectives affectées par la décision judiciaire, le choix de laisser courir le délai de dépôt de l'opposition du tiers à compter de la date de «notification» de la décision pourrait générer une incertitude, car, si la décision judiciaire n'est pas notifiée au tiers, comme d’habitude (étant, en fait, le tiers un sujet sans aucun rapport avec la cause), le terme ne peut pas courir. Il est donc suggéré d'évaluer la possibilité d’ajouter que le terme s'applique également en cas de «pleine connaissance» de la sentence, en absence même de notification formelle au tiers. c) concernant la possibilité de suspendre par mesure de précaution l'objet de l'opposition (article 236), les observations formulées ci-dessus sont rappelées, en matière de révocation, soulignant notamment la nécessité d'un lien entre les articles 239 et 236.

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20. DES REFERES 20.1. Aspects généraux Dans le cadre du texte qu’a été envoyé aux experts italiens, le Titre VII (Des référés) est composé des articles 237-258. En particulier, le Titre II comprend deux Chapitres - Chapitre I – Du sursis à l’exécution des décisions administratives (artt. 237-248) - Chapitre II – Des ordonnances de référé (artt. 249-283) Ce dernier Chapitre se compose de huit Sections: - Section I – Dispositions générales (art. 249-257); - Section II – Des mesures provisoires utiles (art. 258); - Section II [sic] - Des expertises et des constats (artt. 265-266); - Section III - De la protection des libertés fondamentales (artt. 259-262); - Section III [sic] - Des mesures de protection du domaine public et de l’environnement (art. 266-268); - Section IV - De la provision (artt. 263-264); - Section VI : En matière contractuelle (artt. 269-277); - Section VII- Du secteur de l’audiovisuel (artt. 278-279); - Section VIII- Des compagnes électorales (artt. 280-283). Comme cela a été dit en occasion de l’illustration des articles 171-211 (il s’agit d’une partie du schèma du Code également dédiée aux référés), il serait opportun d’harmoniser les deux parties du texte. Il semble, en fait, que le texte des articles 171-211 coïncide avec le texte des articles 259-283. Donc, ci-dessous: - en ce qui concerne les articles 237-258, seront soumises des observations spécifiques; - en ce qui concèrne les articles 259-283, on se limite à confirmer les observations qu’ont été déjà soumises à l’égard des articles 171-211. 20.2. Les dispositions examinées L’article 239 établit que la demande de sursis à exécution est introduite par une requête indépendante comportant, outre les mentions prévues à l’article 89 de la présente loi, une indication des motifs sérieux et une justification de l’urgence. Elle est accompagnée, le cas échéant, d’une copie de la requête du recours pour excès de pouvoir, d’une copie de la demande préalable, si elle est exigée, et de la pièce justifiant la date de son envoi à l’autorité administrative concernée. Il pourrait être utile de clarifier: - si la demande de sursis à exécution soit indépendante (tel qu’il est prévu dans la première partie de l’article), au point de pouvoir être proposée indépendamment de la demande principale (e.g.: un recours pour excès de pouvoir ou une autre demande préalable) - ou si la demande de sursis à exécution, même si elle peut être proposée indépendamment de la demande sur l’affaire principale, ait néanmoins un caractère accessoire.

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En effet, la prévision de l’article 238 alinéa 1 et la prévision de l’article 243 (selon lequel la chambre saisie doit statuer sur l’affaire principale dans un délai ne dépassant pas six (06) mois à compter de la date du prononcé de la décision de sursis à l’exécution) semblent fournir des arguments au sens du caractère accessoire de la demande de sursis à exécution. L’article 240, alinéa 1 et 2 établit que l’instruction des dossiers de sursis à exécution se fait selon la procédure d’urgence et dans des brefs délais. Le tribunal transmet la requête et ses pièces à la partie défenderesse et lui imparti un bref délai pour présenter ses conclusions en réponse. Il pourrait être oppurtun de clarifier: - si la demande de sursis à exécution doit être envoyée à l’administration défendresse à la diligence de qui a proposé la demande (comme cela semble être prévu par l’article 239) - ou si la demande doit être transmise à l’administration défendresse sous la direction du Tribunal (comme cela semble être prévu par l’article 240, alinéa 2). L’article 246, alinéa 4 établit que en cas d’extrême urgence, le président de la cour ou celui qui le remplace peut ordonner, même d’office, la suspension de l’exécution de la décision administrative attaquée ou de la décision ordonnant le sursis à exécution jusqu’à ce qu’il soit statué sur la requête. Les parties en sont immédiatement informées. On suggère d’évaluer si la prévision d’un tel pouvoir ex officio soit pleinement compatible avec le principe procédural de la demande d’un partie. L’article 252 prévoit que les actions en référé sont dispensées du ministère d’Avocat. Il pourrait être utile de clarifier que les parties ont néanmoin la possibilité de recourir à l’assistance d’un avocat. L’article 258 prévoit que dans tous les cas d’urgence, le président du tribunal administratif de première instance ou le juge chargé des référés peut, même en l’absence d’une décision administrative préalable, ordonner, en la forme des référés, toutes mesures provisoires utiles sans préjuger au fond et pour autant que cela n’entraîne pas l’entrave de l’exécution de toute décision administrative. On suggère d’évaluer la possibilité d’ajouter, à la fin de l’article, les mots suivants: “, sauf que cela soit nécessaire pour la pleine protection des droits qui font l’objet de la demande”. En fait, il est possible que les mesures provisoires plus utiles coïncident exactement avec la suspension de l’exécution d’une décision administrative.

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21. L’EXECUTION DES JUGEMENTS DES JURIDICTIONS DE JUSTICE ADMINISTRATIVE (ARTICLES 284 À 293) 21.1. La structure du titre VIII. Le projet organique du titre VIII du projet de Code, relatif à l’exécution des arrêts des courts et des Tribunaux administratifs, se compose de dix articles (284-293), qui, conformément à l’approche générale du projet de Code, ne portent pas le titre et sont divisés en paragraphes brefs et clairs, non numérotés. Le texte développe systématiquement les principes exprimés par la Constitution tunisienne et aborde, de manière efficace et moderne, les questions soulevées par l’exécution des décisions du juge administratif. En bref, le contenu des articles est le suivant. - l’article 284 affirme le principe général de la force exécutoire des jugements du juge administratif. - l’article 285 définit la portée du jugement administratif. - l’article 286 règle l’autorité de la chose jugée des jugements rendus par les juridictions de justice administrative ainsi que les effets de la décision d'annulation. - l’article 287 réglemente les recours dus au bénéficiaire d'une décision administrative, en cas de difficulté d'exécution. - l’article 288 réglemente le remède spécifique des astreintes. - l’article 289 prévoit la responsabilité d'indemnisation à la charge de l'administration en cas de non-exécution. - l’article 290 établit la responsabilité des responsables politiques au sommet des administrations en cas de non-exécution des décisions des juges administratifs. - l’article 291 précise les conséquences envisagées par l’antérieur article 290, se référant à la discipline législative de la responsabilité en cas de mauvaise gestion. - l’article 292 prévoit la préparation d’un rapport annuel sur l'état d'exécution des décisions du juge administratif. - l’article 293 prévoit la création d'une commission, au sein de la Haute Cour administrative, ayant pour mission spécifique de contrôler de manière générale la bonne exécution des décisions du juge administratif. 21.2. Deux différences significatives par rapport au système italien. La législation prévue au titre VIII vise à assurer l’efficacité de la protection du citoyen, par la création d'un système coordonné d'outils aptes à traduire dans la pratique le contenu des décisions administratives prises dans le cadre du procès de cognition. Lors de la rédaction des articles, l’expérience acquise dans d’autres systèmes juridiques a été prise en compte, en particulier, évidemment, en ce qui concerne les problèmes rencontrés par la justice administrative de la République italienne. Néanmoins, par rapport à la discipline actuellement prévue par le Code de la justuce administrative italien, deux différences d’une certaine importance méritent d'être soulignées.

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a) la législation italienne prévoit expressément l'instrument exécutif du Commissaire ad acta, qui est en fait largement utilisé par le juge, et qui s’est avéré particulièrement efficace pour une exécution complète et satisfaisante des prononces. b) le Code italien prévoit également la possibilité de prononcer des jugements relatifs aux modalités d’exécution déjà en phase de procès de cognition. Mais, dans l'expérience pratique, cette opportunité, bien que potentiellement très utile, n'est pas encore répandue et les parties intéressées sollicitent rarement des décisions avec ce contenu mixte, soit de cognition soit d’exécution. 21.3. L'impérativité des décisions du juge administratif. En passant aux commentaires sur les différentes dispositions du projet, l’article 284 pose clairement le principe de l'impérativité des décisions des juridictions administratives. La formulation «en négatif» de la loi, centrée sur l’interdiction d’empêcher ou d’entraver l’exécution, implique, évidemment, l’obligation positive de procéder à l’exécution, imposée au chef de l’administration et ses agents, alors qu'aucun tiers ne peut tenir une conduite visant à ne pas permettre la mise en œuvre des décisions du juge. Bien opportunément, par conséquent, la disposition prévoit que l'interdiction d’entraver l'exécution est imposée à quiconque, même en dehors de l'administration, et pas seulement aux fonctionnaires. La norme, conformément à la disposition de la Constitution tunisienne (article 111, qui prévoit le terme «sans fondement juridique») prévoit, comme cas exceptionnelle, le «juste motif» qui pourrait justifier, dans des cas individuels, la non-exécution de la décision du juge. Comme cela a émergé au cours de la discussion au sein de group conjoint de travail, la formule utilisée par le projet de Code, pourrait surmonter l’incertitude interprétative découlant de l'expression, utilisée dans une version précédente, «sans motif légal». La disposition constitutionnelle, en effet, se fonde sur le renforcement maximal du principe de légalité: la non-exécution de la décision du juge n'est autorisée qu’en présence d’une base «légale», découlant d'une disposition expresse, constituant une exception au critère de l’impérativité de la décision du juge. L’article 284, faisant plutôt référence à une «raison» juridique, aurait pu être entendu dans le sens où l'administration peut identifier, de temps à autre, des raisons spécifiques suffisantes pour justifier la non-exécution totale ou partielle, à condition qu’elles soient justifiées comme raisons liées a l’intérêt public supérieur. Au contraire, cette solution assure incontestablement une certaine souplesse, sans préjudice de la vérification du juge, qui devra s’assurer de l’existence effective d’un motif juridique approprié empêchant l'exécution. Cependant, il est nécessaire de prendre en compte le risque généralisé d’incertitude d’application, avec une possible dé-responsabilisation des administrations et une multiplication du contentieux. Or, la formule proposée, rappelant le juste motif, est plus rigoureuse, mais, peut-être, elle n’élimine pas complètement les éventuelles incertitudes d’application. On pourrait donc envisager l’opportunité d'utiliser une expression coïncidant avec celle de la Constitution (qui parle de fondement legal) et de prévoir expressément que la non-exécution n’est justifiée qu’en cas d'impossibilité (juridique ou matérielle), découlant également,

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d’événements survenus, ou par des besoins publics impératifs et urgents, dûment documentés. Dans tous les cas, force est de constater que l’effectivité impérative et exécutive des décisions est correctement référé à toutes les décisions du juge administratif (Courts et Tribunaux), indépendamment de l’acquis de la force de chose jugé. 21.4. La portée de la chose jugé du jugement administratif. L’article 285 comprend trois paragraphes. Le premier décrit, avec la plus grande clarté, la portée de la chose jugé dans le secteur administratif. En cas d'annulation pour excès de pouvoir, l’autorité de la chose jugée est absolue (erga omnes); par contre, en cas de rejet du recours, l’autorité est relative, c’est-à-dire limitée aux parties du procès. Dans la tradition interprétative italienne, la sentence de rejet a également un effet limité aux seules raisons examinées par le juge, sans impliquer une constatation définitive de la légitimité de l’acte attaqué (la dite «relativité subjective et objective de la chose jugé»). Ce principe est certainement également applicable au système juridique tunisien, sans nécessité de codification expresse. La disposition de l'article 285 vise exactement à décrire la portée subjective de l'efficacité de la sentence. L’emploi de l’expression «ce qui est jugé» ou bien «chose jugé» doit donc être coordonné avec le sens de cette expression dans le contexte juridique tunisien. À cet égard, il convient de noter que dans le système italien, la chose jugée est régie par les articles 324 du Code de procédure civile et 2909 du Code civil, qui se réfèrent à l’épuisement des recours ordinaires. Une disposition de clarification en ce sens pourrait d’ailleurs également être introduite dans le projet de titre VIII, visant à définir les notions de chose jugé formel (ou procédural, c’est-à-dire l’impossibilité de présenter des autres moyens de recours) et chose jugé de fond. Le paragraphe 2 de l'article 284 prévoit la portée entièrement rétroactive des décisions d’annulation. Le système juridique italien ne prévoit pas expressément cet effet, bien que ce soit la conséquence naturelle et incontestée de l’annulation, selon une interprétation consolidée. Particulièrement intéressante et tout à fait partageable est la disposition du paragraphe 3 de l’article 284, qui n’a pas d’équivalent dans le système procédural italien, en vertu duquel, en cas d’annulation de la disposition pour vice de forme, l'administration est tenue de rectifier l’acte dans un délai de trois mois. Il pourrait être utile, à cet égard, d’établir que la décision de la Cour, prononcée au cours du jugement de cognition, indique expressément cet effet, déclarant le motif de l'annulation et prononçant l’ordonnance expresse de rectifier l’acte annulé en raison d’un vice de forme. Au niveau de l’application, la prévision nécessitera les clarifications interprétatives nécessaires: on pense aux cas douteux dans lesquels l’acte d’administration, annulé en raison d’un vice de forme, est soumis à un délai péremptoire. Dans de telles éventualités, en effet, l’annulation, malgré son effet rétroactif, ne pouvait pas conduire au ré -exercice du pouvoir administratif, visant à corriger l'illégalité constatée.

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21.5. Les effets réparateurs de la décision d'annulation. L’article 286 contient deux propositions importantes. Le paragraphe 1 décrit avec précision l’effet réparateur de la sentence, physiologiquement lié à la décision d'annulation, développant de manière cohérente le principe de rétroactivité énoncé à l'article 285. La référence à la nécessité de rétablir pleinement la «situation juridique» du demandeur doit être correctement comprise comme une obligation, pesant sur l’administration, à adopter non seulement les décisions provisoires et judiciaires nécessaires, mais aussi comme obligation de mener à bien les activités matérielles conséquents à la chose jugé, dans tous les cas visant à rétablir pleinement la situation juridique endommagée par l'acte annulé. Le paragraphe 2 établit que le juge administratif peut moduler les effets de la décision dans le temps. C’est une règle très appréciable: la jurisprudence italienne est récemment parvenue à un résultat interprétatif similaire malgré l'absence de règle écrite expresse, mais la disposition explicite introduite par la norme en question est certainement préférable. Les dispositions combinées des articles 285 et 286 délimitent précisément les deux principaux effets (annulation et réintégration) résultants de la décision d'acceptation du recours du juge administratif. Il pourrait être envisagé d’indiquer, de manière explicite, le troisième effet – l’effet dit «conformatif» - découlant du prononcé de l’annulation, particulièrement important pour la pleine protection des intérêts revendicatifs du demandeur: on pense au cas d’une annulation d'un refus d'autorisation commerciale ou d'un permis de construire. Dans l'expérience italienne, la notion d'effet «conformatif» de la décision fait référence aux actes que l'administration doit accomplir pour se conformer au contenu substantiel de la chose jugée. Dans de telles éventualités, en effet, le simple «rétablissement» de la situation préexistante à l'acte annulé par le juge ne permettrait pas la pleine protection de la position juridique activée par le requérant. 21.6. Remèdes procéduraux en cas de non-exécution des décisions finales. Les articles 287, 288 et 289 régissent de manière analytique et coordonnée les recours en cas d’inexécution des décisions des juges administratifs, devenus définitifs. Il s'agit d’une innovation d'une importance absolue dans le système de justice administrative tunisien, qui renforce et complète le principe d'efficacité de la protection, affirmé par le nouveau code. Une première remarque concerne la définition du champ d’application objectif des moyens procéduraux exécutifs. Contrairement au CPA italien, selon le projet de Code tunisien, les recours exécutifs ne peuvent pas être utilisés en présence de décisions qui ne sont pas encore devenues définitives, même si elles ne sont pas suspendues. En outre, les règles en question ne sont actuellement pas extensibles à la mise en œuvre des décisions juridictionnelles de précaution et d’urgence.

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Encore, contrairement à ce qui se passe dans le système italien, les règles en question se réfèrent uniquement aux décisions du juge administratif et, par conséquent, n’incluent pas les décisions des juges appartenant à d'autres juridictions (comme la juridiction judiciaire). Dans la structure systématique du projet, les hypothèses de la simple «difficulté» de l’exécution (article 287) et celle du «refus» radical de l'exécution sont bien distinctes. L’arrêt visant à vérifier la responsabilité d'indemnisation de l'administration, résultant de l'inexécution, est également autonome. L’approche générale du projet tunisien diffère donc de la systématique du CPA italien, qui choisit plutôt un rite unitaire pour toutes les hypothèses considérées. À la lumière de l’expérience du fonctionnement du procès dit «de conformation/obtempération» italien, il peut être utile d’approfondir les sujets suivants. Un accent particulier pourrait être mis sur les hypothèses de «contournement» du jugement et sur celles de l'exécution incorrecte ou incomplète, ce que, à l’heure actuelle, le projet n’envisage pas expressément, à moins que les rédacteurs du projet ne veuillent envisager, comme il est également possible au stade interprétatif, de les encadrer, alternativement, dans le cas de refus d'exécution ou dans celui de difficulté d'exécution. Il pourrait également être utile de prévoir une coordination plus étroite entre les hypothèses d'articles 287 et 288: en cas de refus d’exécution, en plus des astreintes, ou en alternative à celles-ci, les mesures d’exécution appropriées pourraient bien être arrangées. Compte tenu de la délicatesse de la question, et également sur la base des problèmes rencontrés dans la pratique italienne, la modificabilité des décisions concernant les astreintes pourrait être expressément sanctionnée, même indépendamment de l’occurrence de changements dans la situation factuelle ou juridique. Les rites accélérés prévus par les articles 287 et 288 pourraient être unifiés et il faudrait envisager d'établir, avec une plus grande analyticité, des délais de défense à court terme pour la production de documents et de mémoires. Le jugement d’obtempération italien est soumis au rite dans la chambre du conseil: les règles du procès de cognition ordinaire sont suivies, les termes étant réduits de moitié. Il pourrait être explicitement précisé quel juge a la compétence et quelles décisions sont susceptibles d’appel. En ce qui concerne la disposition visée à l’article 282, la possibilité de s’adresser au juge, en cas de difficulté d'exécution, pourrait également s’étendre à l’administration. Le système italien prévoit cette possibilité et les administrations utilisent souvent l'outil. 21.7. Non-exécution pour «raison légale» Particulièrement intéressante est la disposition du dernier paragraphe de l’article 287: en cas de non-exécution découlant d'un motif juridique, l'affaire est laissée au juge chargé de provoquer la conciliation. C'est une prédiction qui ne se retrouve pas dans le système italien (peut-être encore peu disposé à favoriser des solutions non contentieuses aux jugements dans le secteur administratif). Comme indiqué, il serait nécessaire de clarifier quand il y a effectivement une raison juridique, qui pourrait coïncider avec des cas d’impossibilité survenu, légale ou matérielle.

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Il serait utile en outre de déterminer si, dans de telles circonstances, la conciliation n’a pas lieu, le bénéficiaire de la décision a toujours droit à un recouvrement financier, qui peut être déterminé dans le même forum de conciliation. 21.8. L'action en dommages conséquente a la non-exécution de la décision du juge administratif. La disposition de l'article 289 est particulièrement intéressante, car elle vise à compléter la protection de la partie qui a obtenu une décision favorable, restée non exécutée. Dans le système italien, l’action en indemnité résultant d’une exécution incomplète ou retardée, ou d'une non-exécution totale, se greffe sur le jugement d’obtempération, pour des raisons de simplification procédurale et de concentration des protections. Cette solution, en concentrant les jugements, pourrait également être évaluée pour le système juridique tunisien. 21.9. Responsabilités des chefs et des agents des administrations Les articles 290-291-292-293 complètent la discipline de la non-exécution des jugements du juge administratif. Ces règles, qui ne correspondent pas aux dispositions du CPA italien, sont particulièrement appréciables. La responsabilité des chefs de l'administration n’est assurée qu’en cas de non-exécution volontaire persistante, malgré l’exercice des actions exécutives prévues au titre VIII. Il s’agit d'une règle très stricte, bien qu'elle se réfère à des cas-limites de défaut volontaire. De plus, ils sont très appropriées les dispositions de l’article 291, concernant l'assujettissement au trésor public des fonctionnaires et agents des administrations et celles de l’article 292, concernant le rapport annuel dans lequel la Haute Cour administrative rend compte aux institutions de l'Etat des informations et données sur l’exécution des arrêts du juge administratif.

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22. L’ORGANISATION ADMINISTRATIVE ET FINANCIERE DES JURIDICTIONS ADMINISTRATIVES Dans le cadre du texte qu’a été envoyé aux experts italiens, le Titre IX (L’organisation administrative et financière des juridictions administratives) est composé des articles 294-303. L’article 294 stipule que «La justice administrative est dotée de l’autonomie administrative et financière et de l’autogestion dans le cadre du budget de l’Etat.» et le suivant article 295 régit que «le premier président de la Haute cour administrative est le représentant légal de la justice administrative, son chef d’administration et son ordonnateur». Les équipes du Volet B (organisation) et du Volet C (formation) du jumelage ont discuté du projet actuel de loi procédurale sur la justice administrative en ce qui concerne les articles 296, 299 et 300. En effet, les articles précités relèvent quant à la création d'un centre d'étude de la justice administrative qui s'occupe en permanence de la documentation et de la formation des juges et agents publics. Est incontournable le rôle joué par la formation pour la réalisation des objectifs exprimés dans la Constitution de la République tunisienne de 2014. L’article 103 stipule que «le juge doit être compétent. Il est tenu par l’obligation de neutralité et d’intégrité. Il répond de toute défaillance dans l’accomplissement de ses devoirs». L’importance de la formation des juges peut aussi être déduite de la lecture des articles de la nouvelle Constitution régissant l'administration publique, étant la justice un service public et devant répondre elle-même aux principes constitutionnels de transparence, d’intégrité, d’efficience et de redevabilité auxquels sont soumis les autres services publics (article 15 de la Constitution de 2014); Dans le projet actuel de la loi procédurale sur la justice administrative l’article 296 stipule que «le Premier Président de la Haute Cour Administrative est assisté dans l’exercice de ses attributions par un bureau chargé notamment des relations avec les pouvoirs législatif et exécutif, de la communication, de la formation, de la coopération internationale et du protocole». Le même texte stipule dans son article 299 qu’«Il est créé au sein de la Haute cour administrative un Conseil qui comprend le premier président, le vice-premier président, les présidents de cours d’appel, les trois présidents de tribunaux de première instance les plus anciens et le secrétaire général. Il est créé dans chaque juridiction d’appel et de première instance un conseil qui comprend le président, les présidents des chambres et le secrétaire général adjoint» et l’article 300 stipule que «les conseils des juridictions émettent leur avis sur les questions relatives à l'organisation administrative et financière et au fonctionnement des juridictions.». Face à ce cadre général, la nécessité d'identifier la voie la plus correcte et la plus efficace pour la création d'une unité organisationnelle dédiée à la formation apparaît clairement. La formation est incontestablement "instrumentale" pour l'accomplissement des fonctions judiciaires des juges et il serait approprié lui donner une dignité et une importance égales par rapport aux fonctions judiciaires, car elle pourrait avoir des implications positives précisément sur l'exercice de ces dernières fonctions.

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Le groupe d’experts italiens (volets B et C) a donné, comme demandé par le groupe thématique tunisien, son avis à propos du texte «Mise en place d’un centre d’Etudes, de documentation et de formation›› et a formulé aussi des suggestions dans un dossier qui a été discuté lors d'une série de missions en ligne. En ce moment, un ’ébauche de proposition d’un projet de texte législatif et réglementaire relatif au CEFJIA doit être soumise à l'évaluation de la commission de Codification. Si le texte législatif susmentionné devait être approuvé, on suggère de le coordonner avec les articles susmentionnés du code.

Giuseppe Severini Président de section du Conseil d'État Marco Lipari Président de section du Conseil d'État Claudio Contessa Président de section du Conseil d'État Sergio Zeuli Conseiller d’Etat Marina Perrelli Conseillère d’Etat Silvia Coppari Conseillère de TAR Paola Malanetto Conseillère de TAR Roberta Ravasio Conseillère de TAR

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ANNEXE 1

Index des articles transmis à l'équipe italienne

Code de la justice administrative Dispositions générales

- Artt. 1-12 Première partie : dispositions préliminaires

- Artt. 13-15 Deuxième partie : De la compétence des TAPI Section 1 : De la compétence juridictionnelle des TAPI.

- Art. 16 Section 2 : De la compétence territoriale des TAPI.

- Art. 17 Section 3 : Le conflit de compétence territoriale des TPI.

- Art. 23-28 Troisième partie : Les procédures devant les TAPI Section 1 : De la représentation des parties auprès des TAPI §1 : Le ministère d’avocat :

- Art. 29-34 §2 : De la dispense du ministère d’avocat devant les TAPI:

- Art. 35 §3 : De l’aide juridictionnelle devant le tribunal administratif :

- Art. 36-37 Section 2 : de la requête introductive d’instance : §1 : Les mentions de la requête :

- Art. 38 §2 : Les pièces justificatives de la requête :

- Art. 39 §3 : Le dépôt de la requête, son enregistrement et son inscription

- Art. 40-44

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Section 3 : Les délais de recours devant les TAPI

- Art. 45-47 §1 : Les délais de recours pour excès de pouvoir :

- Art. 48-55 §2: Le délai de recours dans le plein contentieux :

- Art. 56-57 § 3 : De l’interruption des délais.

- Art. 58-60 Quatrième partie : Les mesures d’instructions.

- Art. 61-74 Cinquième partie : Les moyens d’instructions. Section 1 : De l’expertise.

- Art. 75-97 Section 2 : Des constats judiciaires

- Art. 98-101 Section 3 : Des constats écrits

- Art. 102 Section 4 : ي اثبات الخطوط

ف

- art. 103 Sixième partie : Les procédures et les interruptions de l’instruction Section 1 : Les demandes additionnelles et reconventionnelles

- Art. 104-110 Section 2 : de l’intervention

- Art. 111 Section 3 : de la péremption de l’affaire

- Art. 112-113 Section 4 : De l’inscription de faux

- Art. 114-116 Section 5: Des questions préjudicielles

- Art. 117-121

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Section 6 : De la transaction §1 : Principes généraux

- Art. 122-127 §2 : Procédures de la transaction

- Art. 128-133 §2 : Les suites de la transaction

- art. 134-139 Section 7 : De l’audience de plaidoirie et de jugement

- Art. 140-150 ??? Section II - Du délibéré

- Art. 151-153 Section III - Du jugement

- Art. 154-161 Section IV- De la rectification de l’erreur matérielle

- Art. 162-163 Section V- De l’interprétation des jugements

- Art. 164 Section VI- Des frais de justice

- Art. 165-167 Section VII- de la récusation

- Art. 168-170

TITRE IV : LES COURS D’APPEL ADMINISTRATIVES

Section I : Organisation des Cours d’appel administratives

- Art. 167-168 Section II : Compétence des Cours d’appel administratives

- Art. 169- Section III : Procédure devant les Cours d’appel administratives

- Art. 170-181

TITRE V : LA HAUTE COUR ADMINISTRATIVE

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Chapitre I : Composition et organisation de la Haute cour administrative

- Artt. 182-186 Chapitre II : De la fonction juridictionnelle de la Haute cour administrative Section première : Les chambres de cassation Sous-section première : Composition des chambres de cassation

- Art. 187 Sous-section II : La compétence des chambres de cassation

- Art. 188 Sous-section III : Les cas d’ouverture

- Art. 189 Sous-section IV : Procédure de recours en cassation

- Artt. 190-193 Sous-section V : Les effets de recours en cassation

- Artt. 194-202

TITRE II DES REFERES

Section I : Dispositions Générales

- Art. 171-178 Section II : Des expertises et des constats

- art. 179-180 Section III : Des mesures de protection du domaine public et de l’environnement

- art. 181-182 Section IV : De la provision

- art. 183-184 Section V : De la protection des libertés fondamentales

- art. 185-187 Section VI : En matière contractuelle

- art. 188-196 Section VII- Du secteur de l’audiovisuel

- art. 197-198 Section VIII- Des compagnes électorales

- art. 199-206 ???

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Section II : Assemblée plénière juridictionnelle

- art. 207-211

CHAPITRE III : De la fonction consultative de la Haute cour administrative Section première : La compétence consultative de la Haute cour administrative

- art. 212-215 Section II : Les organes consultatifs de la Haute cour administrative

- art. 216 Sous-section I : Les sections consultatives

- art. 217-220 Sous-section II : L’assemblée plénière consultative

- art. 221-223

TITRE VI

DES VOIES DE RECOURS EXTRAORDINAIRES Section I : Du recours en révision

- art. 224-230 Section II : L’opposition et la tierce opposition

- art. 231-236

TITRE VII : DES REFERES

CHAPITRE I : Du sursis à exécution des décisions administratives

- art. 237-248

CHAPITRE II : Des ordonnances de référé Section I – Dispositions générales

- art. 249-257 Section II : Des mesures provisoires utiles

- art. 258 Section III : De la protection des libertés fondamentales

- art. 259-262 Section IV : De la provision

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- art. 263-264 Section II : Des expertises et des constats

- art. 265-266 Section III : Des mesures de protection du domaine public et de l’environnement

- art. 267-268 Section VI : En matière contractuelle

- art. 269-277 Section VII- Du secteur de l’audiovisuel

- art. 278-279 Section VIII- Des compagnes électorales

- art. 280-283

TITRE VIII : EXECUTION DES JUGEMENTS DES JURIDICTIONS

DE JUSTICE ADMINISTRATIVE

- art. 284-293

TITRE IX : L’ORGANISATION ADMINISTRATIVE ET FINANCIERE DES JURIDICTIONS ADMINISTRATIVES

- art. 294-302

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GIAN PAOLO CALIFANO

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Sul (claudicante) regime dei decreti pronunciati ex art. 739 c.p.c.

L’a. propone un breve esame dello “stato dell’arte” sul regime dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, con particolare riferimento a quelli ritenuti in giurisprudenza idonei al giudicato “rebus sic stantibus”. The author proposes a brief examination of the “state of the art” on the regime of the provisions of voluntary jurisdiction, with particular reference to those considered in jurisprudence suitable for the judged “rebus sic stantibus”. 1. Premessa. 2. La previsione degli artt. 739 e 742 c.p.c. 3. Sulla revoca e modifica dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio. 4. Il regime dei provvedimenti pronunciati in sede di reclamo ex art. 739 c.p.c. 5. Conclusioni. 1. Premessa È ben noto il problema, ampiamente discusso1, circa la evidente inadeguatezza del rito camerale almeno quando adottato dal Legislatore non per la regolamentazione di un mero interesse (giuridicamente tutelato) ma, piuttosto e anche per dirimere vere e proprie controversie su diritti soggettivi. Dibattito ovviamente rinfocolato2 dalla riforma del ’99 sul “giusto processo” costituzionalmente garantito: la riserva di legge di cui al comma 1 dell’art.

1 Inutile qui soffermarsi sulla inadeguatezza del procedimento camerale ex artt. 737 ss. c.p.c. quando trasmigrato nella giurisdizione volontaria e per casi in cui i provvedimenti giudiziali finiscono con l’incidere «su diritti a contenuto e funzione non patrimoniale: su diritti inviolabili della persona o su situazioni di libertà”: A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 6a ed., Napoli, 2014, pp. 672 ss. e spec., p. 689. In tema v. ID., Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c. (Appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione d’interessi devoluta al giudice), in Riv. dir. civ., 1990, I, p. 395 ss.; E. ALLORIO, Saggio polemico sulla «giurisdizione volontaria», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1948, pp. 487 ss.; C. MANDRIOLI, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1953; G. A. MICHELI, Significato e limiti della giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1957, p. 526 ss.; ID., Camera di consiglio (dir. proc. civ.), in Enc. del dir., V, 1959, pp. 981 ss.; E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, Padova, 1953; ID., Giurisdizione volontaria (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XIX, 1970, p. 330 ss.; C. VOCINO, L’efficacia dei provvedimenti di giurisdizione volontaria, in Atti del 3° Convegno internazionale di diritto processuale civile, Milano, 1969, p. 498 ss.; F. CIPRIANI, I provvedimenti presidenziali “nell’interesse dei coniugi e della prole”, Napoli, 1970; G. MONTELEONE, voce Camera di consiglio, in Nss. Dig. it., App., I, Torino, 1980, p. 987; A. CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 431 ss.; V. DENTI, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, p. 327 ss.; L. LANFRANCHI, I procedimenti camerali decisori nelle procedure concorsuali e nel sistema della tutela giurisdizionale dei diritti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1989, p. 905 ss.; F. VERDE, La volontaria giurisdizione, Padova, 1989, p. 155; G. GRASSO, I procedimenti cautelari e l’oggetto della tutela, in Atti del XVII Convegno nazionale dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, XLV, Milano, 1991, p. 49 ss.; L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, passim; ID., voce Giurisdizione volontaria, in Enc. giur., XV, Roma, 1989, p. 1 ss.; ID., «Dovuto processo» su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, p. 915 ss.; M. PAGANO, Contributo allo studio dei procedimenti in camera di consiglio, in Dir. e giur., estratto, Napoli, 1989; F. TOMMASEO, Il processo minorile e il diritto di difesa, in Studium iuris, 2001 p. 297 ss.; ID., Processo civile e tutela globale del minore, in Fam dir., 1999, p. 583 ss. 2 Cfr. A. PROTO PISANI, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate, in Foro it., 2013, V, 72.

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111 cost. (come riformulato) non sembra infatti compatibile con un rito -per volontaria giurisdizione contenziosa- che tanto (troppo) affida alla discrezionalità del giudice. Sebbene anch’io resti convinto della fondatezza di tali rilievi, non è su questi che intendo qui concentrare le riflessioni che seguono. Ed anzi, credo che occorra, in generale, meglio determinare la portata della menzionata riserva di legge di cui alla norma costituzionale, almeno per individuarne il relativo spazio minimo e necessario. Ciò che rinvio ad altro e più approfondito studio. Per ora, in quanto segue, mi limito a brevemente riassumere lo “stato dell’arte” del sistema del procedimento di volontaria giurisdizione in vigore, caratterizzato da dottrina3 e giurisprudenza “creativa”4. In primis, nei suoi presupposti, fino all’indirizzo giurisprudenziale che ammette (nei limiti che di seguito emergeranno) il ricorso straordinario in Cassazione, ex art. 111, comma 7 cost., avverso il provvedimento pronunciato dalla corte di appello in sede di reclamo e, dunque, all’esito di un procedimento in camera di consiglio (artt. 737 ss., c.p.c.). Orientamento che, a sua volta, poggia, lo vedremo, sulla pretesa che il decreto pronunciato in sede di reclamo, affermato come impugnabile col rimedio costituzionale, sia in qualche modo dotato della “stabilità” e “decisorietà” ritenute indispensabili per l’ammissione del ricorso straordinario. Ciò che potrebbe trovare conferma nel disposto dell’art. 741 c.p.c. ai sensi del quale tali provvedimenti, di regola, «acquistano efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo»; ovvero, evidentemente e per implicito, all’esito del reclamo. 2. La previsione degli artt. 739 e 742 c.p.c. Vengo, così, a quanto espressamente previsto, in parte qua, dall’art. 739 c.p.c. Considerato il precedente art. 737 per il quale «i provvedimenti che debbono essere pronunciati in camera di consiglio si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti», di tali decreti l’art. 739 detta il regime, stabilendo che essi sono soggetti a reclamo (da proporre al tribunale se pronunciati dal giudice tutelare ovvero alla corte di appello se pronunciati dal tribunale). Il giudice del reclamo si pronuncia, a sua volta, sempre in camera di consiglio; e dunque, con altro provvedimento pure in forma di decreto. La norma continua stabilendo che «il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti» (co. 2). E che «salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo contro i decreti della corte d’appello e contro quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo» (co. 3)5. Da tale previsione sembrerebbe emergere un forte indizio: strano immaginare che un provvedimento “impugnabile” con reclamo e un provvedimento pronunciato all’esito di quest’ultimo siano revocabili o modificabili ad libitum dal giudice a quo.

3 Correttamente A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 670, prende le mosse dalla assoluta necessità che, a fronte delle scarne previsioni legislative, sia comunque indispensabile che quando i decreti in camera di consiglio siano emanati nei confronti di più parti, a pena di eclatante violazione del principio del contraddittorio, ciascuna «debba essere in qualche modo chiamata a partecipare al procedimento». 4 Cfr., ad esempio, B. POLISENO, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, p. 99 ss. e p. 229, nota 67. Cfr. anche V. COLESANTI, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv. dir. proc., 1975, p. 584 s. 5 Giustifica la previsione di cui al testo, avendo il Legislatore evidentemente ritenuto, nella specie, e come regola generale, sufficienti due gradi di merito: Cass. 23 febbraio 2012, n. 2757, in Foro it., 2012, I, 3140, con nota di richiami.

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Tuttavia, è stato lo stesso Legislatore a smentire siffatta conclusione, posto che il successivo art. 742 (sin dalla sua rubrica: Revocabilità dei provvedimenti) espressamente stabilisce (con formula generica) che, salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi, «i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati…». Con l’ulteriore “aggravante” che tale ultima norma, a differenza, ad esempio, dagli artt. 669-decies e terdecies, cod. rito, dedicati alla revoca e modifica e al reclamo dei provvedimenti cautelari, con sistema (invece) armonico, prevedono che questi possano essere revocati o modificati soltanto «se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare» (art. 669-decies, commi 1 e 2 c.p.c.). Se ne deduce, inevitabilmente: a) che i decreti pronunciati in camera di consiglio sono certamente revocabili o modificabili; b) che di tale possibilità, espressamente dettata dal legislatore, vanno soltanto individuati gli eventuali limiti. 3. Sulla revoca e modifica dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio Notevole è stato il dibattito intorno alla revoca o modifica del decreto camerale. Ed anche inevitabile, direi, posto il difficile rapporto tra tale istituto e quello del reclamo, cui non può negarsi una qualche efficacia preclusiva6. La tesi più coerente con quanto espressamente dettato dall’art. 742 c.p.c. ribadisce la revocabilità e modificabilità dei provvedimenti in discorso, in ogni tempo, e, di conseguenza, ne nega l’attitudine al giudicato formale o sostanziale7. E, ascritto il procedimento in camera di consiglio alla categoria di quelli sommari-semplificati, capaci di condurre a provvedimenti meramente esecutivi, in taluni casi (ad esempio di cui all’art. 9 l. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato nel 1987, con l. n. 74 e all’art. 710 c.p.c., come modificato dalla l. 29 luglio 1988, n. 331), li ritiene non preclusivi della possibilità di azionare il diritto al mantenimento o all’assegno in un successivo processo a cognizione piena (se del caso istaurato anche ai sensi dell’art. 615 c.p.c.)8. Non identica la posizione di chi9 afferma che «la revoca e la modifica si possono avere non solo allegando circostanze sopravvenute …. Ma anche allegando circostanze già esistenti al momento in cui il provvedimento è stato emesso, ma in quella sede non fatte valere». Altri10, premesso il rilievo della equivocità del concetto di mero interesse (la cui regolamentazione sarebbe -per diffusa ma non chiara definizione- oggetto dei procedimenti

6 Cfr. G. VERDE, Diritto processuale civile, 3, 5a ed., Torino, 2017, p. 267. 7 A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 671 s., per il quale «il decreto ex art. 737 ss. sarà modificabile o revocabile in ogni tempo: a) per motivi di legittimità, ove le nullità (formali o extraformali) non si siano sanate nel corso del procedimento ex artt. 156, 157 (nei limiti in cui il concreto atteggiarsi del singolo processo ha consentito l’operare della sanatoria prevista da tali norme), 162 ovvero tramite le discipline di sanatoria relative ai singoli requisiti extraformali, nei limiti in cui tali discipline (previste dal I Libro c.p.c.) siano applicabili anche nell’ambiente camerale; b) per motivi di merito, cioè a seguito di allegazione di fatti o prove sia preesistenti al momento della emanazione del decreto (già valutati o no dal decreto stesso), sia sopravvenuti: con la conseguenza che nel primo caso la revoca o la modifica potrà avere efficacia ex tunc, mentre nel secondo solo ex nunc. Assenza quindi di un giudicato formale e sostanziale; revocabilità ben al di là dei motivi indicati nell’art. 395 (ed in ispecie ben al di là delle strette maglie costituite dai nn. 2 e 3 dell’art. 395); non operatività dell’assorbimento delle nullità ex art. 161, 1° comma; non ricorribilità in cassazione ex art. 111, 2° comma Cost.; non operatività della preclusione del dedotto e del deducibile». 8 A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 682. Cfr. G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, 3a ed., III, 2014, p. 310. 9 F. P. LUISO, Diritto processuale civile, 9a ed., IV, Milano, 2017, p. 314. 10 G. GRASSO, I procedimenti camerali e l’oggetto della tutela, cit., passim. Peraltro, l’a., (p. 62 s.) con specifico riferimento a quanto disciplinato dagli artt. 330, 333, 334 e 336, afferma che «Le norme che prevedono la decadenza dalla potestà sui figli, l’adozione di provvedimenti giudiziali idonei a far cessare la condotta del genitore pregiudizievole al figlio e la sua rimozione dall’amministrazione del patrimonio del minore tutelano direttamente una situazione di vantaggio del minore che ha come

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di volontaria giurisdizione11), e riservata al Legislatore la scelta del rito processuale (a suo parere più idoneo) al quale rimettere le varie situazioni giuridicamente tutelate (peraltro ritenendo che l’istruzione sommaria caratterizzante il procedimento cautelare possa e debba adeguarsi al caso specifico) afferma non possa negarsi al decreto camerale “una certa stabilità”. E lo ritiene12, esperito il reclamo o decorso il termine per proporlo, revocabile o modificabile per motivi di merito in forza di circostanze sopravvenute e non per un riesame dei fatti né per motivi di legittimità sostanziale o processuale13. V’è, poi, chi14, preso atto dell’indirizzo giurisprudenziale affermativo della revocabilità o modificabilità “condizionata” dei provvedimenti in discorso15, alla necessità che la relativa istanza proponga motivi di legittimità o di merito in relazione a circostanze preesistenti o sopravvenute, aggiunge che «sarebbe davvero eccessivo consentire la revoca per vizi di legittimità del procedimento (quale la mancata audizione di eventuali controinteressati o di richiesti pareri, ecc.), se a tali vizi non si accompagnasse la deduzione di conseguenze sotto il profilo di una violazione dell’interesse sotteso.». E pure sottrae il vizio di competenza ai motivi spendibili con l’istanza in discorso. 4. Il regime dei provvedimenti pronunciati in sede di reclamo ex art. 739 c.p.c. Brevemente riassunto il dibattito dottrinale circa i termini nei quali sembrano modificabili o revocabili i decreti pronunciati all’esito del procedimento in camera di consiglio, si è poi posto il problema di stabilire se quelli resi in sede di reclamo siano a loro volta impugnabili in cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, cost.16. Sul punto, oltre che in dottrina, si rileva grave dibattito giurisprudenziale. Il problema, non per caso, si è posto spesso in tema di rito camerale adottato in materia di famiglia17.

fondamento l’interesse al rispetto della sua personalità e la corretta amministrazione dei suoi beni. Il fatto che la legittimazione, nel procedimento camerale, spetti all’altro genitore o ad un parente non può indurre a ritenere che la situazione tutelata appartenga a questi ultimi: l’altro genitore agisce per rappresentanza legale e il parente a norma dell’art. 81 c.p.c. Il genitore vede a sua volta protetta la propria situazione di vantaggio (l’esercizio della potestà) dalle norme che disciplinano la reintegrazione e la riammissione nell’esercizio dell’amministrazione, provvedimenti dal contenuto originale talora erroneamente intesi come mera applicazione del principio di revoca sancito dall’art. 742 c.p.c. La netta immagine delle due situazioni e la possibilità di un conflitto tra gli interessi sottostanti, che il giudice camerale compone, tolgono ogni attendibilità alla nota teoria che, costruendo la potestà come mero officium, nei casi da ultimo considerati, vorrebbe protetta ancora e soltanto la posizione del figlio». 11 G. GRASSO, op. cit., p. 78, critica, ad esempio, anche Corte cost. 10 luglio 1975, n. 202 (in Giur. cost., 1975, p. 1573 ss.), nella misura in cui nell’occasione il Giudice delle leggi individuò «i legittimi motivi della scelta del paradigma camerale, da parte di chi legifera, nella “natura degli interessi regolati”. 12 G. GRASSO, op. cit., p. 86. 13 Nel medesimo senso, G. MONTELEONE, Camera di consiglio, cit., p. 989; F. VERDE, La volontaria giurisdizione, cit., p. 155. Contra: E. T. LIEBMAN, Revocabilità dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio, in Problemi del processo civile, Napoli, 1962, p. 448 ss. 14 G. VERDE, Diritto processuale civile, 3, cit., p. 266 ss. 15 Sul quale indirizzo v. infra, nota n. 23. 16 Sul rimedio costituzionale v. R. TISCINI, Il ricorso straordinario in Cassazione, Torino, 2005. 17 Scrive A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 668: «Sono … da considerare, come settore in cui sono massime le difficoltà di distinguere tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione volontaria, le ipotesi di tutela dell’interesse dei minori a fronte del diritto-potestà dei genitori. Si va dalle già gravissime ipotesi di rimozione dell’amministrazione, di decadenza dalla potestà, di “provvedimenti convenienti” ivi compreso l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare, di affidamento temporaneo del minore in mancanza di assenso dei genitori (artt. 330, 333, 334 c.c. e art. 4 l. 184/1983), alla dichiarazione dello stato di adottabilità (artt. 8-21 l. 184/1983), alla dichiarazione di adozione (artt. 25-28 l. 184/1983). In casi di questa specie la contrapposizione tra gestione dell’interesse del minore e tutela del diritto-potestà parentale è massima: soprattutto … la contrapposizione non sembra componibile in modo alcuno tramite la scissione tra giurisdizione non contenziosa sulla gestione dell’interesse del minore e giurisdizione contenziosa sulla tutela del diritto del genitore».

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In linea generale, a partire da Cass., Sez. un., 30 luglio 1953, n. 259318, «la giurisprudenza si era orientata nel senso che fosse possibile il ricorso per cassazione avverso i decreti camerali emessi in sede di reclamo che avessero ad oggetto la soluzione di conflitti intersoggettivi». Soluzione avallata da Corte cost., 1° marzo 1973, n. 2219». Orientamento che si è poi andato chiarendo nel senso di ammettere il ricorso straordinario soltanto avverso il decreto che abbia risolto in maniera definitiva la controversia; cioè con efficacia assimilabile a quella del giudicato20. Rectius: avverso provvedimenti riconosciuti come idonei al cd. giudicato “rebus sic stantibus” (pretesa attitudine che ancor più ne aggrava la trattazione in camera di consiglio)21 . Ma il percorso è stato tutt’altro che lineare e pienamente convincente. In particolare, sulla impugnabilità in Cassazione (ai sensi dell’art. 111 cost.) dei provvedimenti de potestate emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 a 333 c.c. si rilevava ancora di recente grave oscillazione giurisprudenziale. Un primo indirizzo, infatti, ne escludeva l’impugnabilità ai sensi dell’art. 111, comma 7, cost. sul presupposto che «il decreto con cui l’autorità giudiziaria assume “i provvedimenti convenienti” per l’interesse del minore, ai sensi dell’art. 333 c.p.c., al fine di superare la condotta pregiudizievole del genitore, ha natura di atto di giurisdizione non contenziosa ed è privo di carattere definitivo, in quanto revocabile e reclamabile, sia per il disposto speciale di cui al comma 2 della disposizione menzionata, sia secondo le regole generali degli articoli 739 e 742 c.p.c.»22. E soltanto di recente si è arrivati ad affermare, con evidente sovvertimento dei presupposti del precedente orientamento, che siffatti provvedimenti: a) sono impugnabili col ricorso straordinario in cassazione23, pur confermatane la natura non contenziosa24; in quanto, b) essi sarebbero capaci di coprirsi del “giudicato rebus sic stantibus”25, perché, c) non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi.

18 Cass. sez. Un., 30 luglio 1953, 2593, In Foro it., 1953, I, c. 1248. 19 Corte cost. 1° marzo, 1973, n. 22, in giurcost.org. 20 Cfr. G. VERDE, Diritto processuale civile, 3, cit., p. 270. L’a. segnala che l’odierno orientamento si è “affinato” a partire da Cass., Sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6220 che dichiarò inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., proposto avverso il decreto della Corte d’appello che abbia disposto l’esclusione di entrambi i genitori naturali dall’esercizio della potestà sul figlio minore ex art. 317 bis c.c. e l’affidamento familiare dello stesso ai sensi dell’art. 4 legge 4 maggio 1983, n. 184 (in motivazione il principio è ritenuto applicabile anche ai provvedimenti ex artt. 330, 332 e 333 c.c.). V. la sentenza in Foro it., 1987, 3278. 21 Vi sarebbe, infatti, la soluzione addirittura con efficacia di giudicato, di controversie su veri e propri diritti soggettivi senza piena attuazione delle forme del “giusto processo”. 22 Cass. (ord.) 10 luglio 2018, n. 18149, in Foro it., 2018, I, 2716. Nello stesso senso: Cass. 22 novembre 2016, n. 18562, in Rep. Foro it., 2016, voce Responsabilità genitoriale, n. 38; Cass. Sez. un., 1999, n. 729, in Giur. it., 2000, 1150. 23 Cass. 12 novembre 2018, n. 29001, in Famiglia e dir., 2019, p. 368, con nota adesiva di A. FRASSINETTI, Curatore speciale per il minore e garanzia del ricorso per cassazione; Cass. 12 novembre 2018, n. 28998, in Rep. Foro it., 2018, voce Filiazione, n. 48; Cass. 10 dicembre 2018, n. 31902, in Famiglia e dir., 2019, p. 250, con nota, adesiva sul dictum, di F. DANOVI, La Cassazione si esprime (ante litteram?) sulla parità dei tempi dei genitori con il minore), risolto da Cass. Sez. un., 13 dicembre 2018, n. 32359, in Riv. dir. proc., 2020, p. 899 ss. con nota adesiva di S. TARRICONE, Ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro i provvedimenti camerali sulla responsabilità genitoriale. 24 In senso opposto v., però, A. PROTO PISANI, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate, cit., p. 72, che ascrive tali provvedimenti alla giurisdizione contenziosa. E, in generale, quanto al noto e delicatissimo problema dell’adozione del procedimento camerale per l’emanazione di provvedimenti idonei ad incidere su situazioni sostanziali, v. in particolare, le ormai “classiche” affermazioni di L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, passim; ID., voce Giurisdizione volontaria, in Enc. giur., XV, Roma, 1989, p. 1 ss.; ID., «Dovuto processo» su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, p. 915 ss. 25 Sull’equivoca figura del cd giudicato rebus sic stantibus v. R. TISCINI, op. cit., p. 177 ss.

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Orientamento che, per tale via, afferma la ricorribilità in cassazione avverso il decreto della Corte di appello che, in sede di reclamo, abbia confermato, modificato o revocato i predetti provvedimenti. V’è da notare, peraltro, che il nuovo indirizzo giurisprudenziale si è proposto, con ogni evidenza, in relazione a provvedimenti camerali “di merito”, (individuati come) idonei a coprirsi di un’efficacia in tutto simile a quella di cui all’art. 2909 c.c. E perciò meritevoli della tutela del rimedio costituzionale. Non anche per decreti definitivi di mero rito. 5. Conclusioni Il breve excursus fin qui proposto conferma che il procedimento camerale mal si presta all’esercizio di giurisdizione volontaria contenziosa o semi-contenziosa26. E dove a volte vengono in rilievo anche principii costituzionali di rango assai elevato, da alcuni equiparati per qualche verso ai diritti di libertà27. Rito difficilmente considerabile, in tanta parte, come coerente col principio costituzionale del “giusto processo”. Non a caso è vicenda nota quella della rimessione al Giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale degli artt. 333, 336 c.c., nonché degli artt. 738, 739 c.p.c., in relazione agli artt. 24, comma 3, 29, 30, 31 Cost.28, e, con riferimento agli artt. 2, 3, comma 1 e 2, 24, comma 2, 30, comma 1 e 111, comma 1, Cost., dell’art. 336, commi 2 e 3, c.c., nella parte in cui manca(va) di espressa previsione che nel procedimento ablativo della potestà parentale fossero sentiti, a pena di nullità, entrambi i genitori e il minore ultradodicenne; e che gli eventuali provvedimenti pronunciati in caso di urgente necessità senza sentire le parti fossero oggetto di conferma, modifica o revoca in una apposita udienza in contraddittorio con le parti29. Rinvii sui quali la Corte costituzionale si espresse con dichiarazioni di inammissibilità delle questioni come proposte30, poi compensate dal Legislatore con la nuova formula degli artt. 336 e 336-bis, c.c. A tal proposito, e, dunque, quanto all’art. 111, comma 1, Cost., mi sembra che, (quale che se ne preferisca la concreta interpretazione in riferimento alla riserva di legge ivi prevista), la norma non può che essere interpretata, nella sua portata minima, se non (almeno) in combinato disposto col comma successivo. Sicché, a prescindere dal rito, tipo di procedimento e caratteristiche del medesimo (su impulso di parte o d’ufficio), ogni “attività giurisdizionale” deve, a pena di illegittimità costituzionale, necessariamente rispettare il principio del contraddittorio (sia pur con la salvezza del “differito ed eventuale”: cfr. art. 101, comma 1, c.p.c.). Principio del contraddittorio da intendersi nella sua accezione più ampia, e, dunque, comprensiva del rapporto tra parti e giudice (oltre che tra le sole parti). Mi sembra, cioè, che anche nel sistema italiano viga oggi l’imperativo per il quale «Le juge doit, en toutes

26In generale, sulla inadeguatezza del procedimento camerale ex artt. 737 ss. c.p.c. quando trasmigrato nella giurisdizione volontaria e per casi in cui i provvedimenti giudiziali finiscono con l’incidere «su diritti a contenuto e funzione non patrimoniale: su diritti inviolabili della persona o su situazioni di libertà”, v. A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 672 ss. e spec., p. 689. Cfr. F. TOMMASEO, Il processo minorile e il diritto di difesa, in Studium iuris, 2001 p. 297 ss.; ID., Processo civile e tutela globale del minore, in Fam Dir., 1999, p. 583 ss. 27 V. A. PROTO PISANI, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate, cit., passim. 28 Corte d’appello di Genova, 11 febbraio 2000, in Fam. dir., 2000, p. 479 ss., con commento di E. BET, Questione sollevata per la parte in cui le norme del codice civile e del codice di rito non prevedono espressamente la nomina di un curatore speciale in rappresentanza del minore, nei procedimenti di limitazione della potestà. 29 App. Torino, 3 gennaio 2001: v. il Commento di F. TOMMASEO, in Fam dir., 2001, p. 315 ss. 30 Corte cost., 30 gennaio 2002, n. 1, in Fam. dir., 2002, p. 229 ss., con nota di F. TOMMASEO, Giudizi camerali de potestate e giusto processo, e di A. ODINO e N. PASCHETTI, La Corte costituzionale non risponde: un’occasione perduta, sarà Strasburgo a dire l’ultima parola?

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circonstances, faire observer et observer lui-même le principe de la contradiction» (art. 16 cod. proc. civ. francese). Sicchè il contraddittorio, nella sua più ampia accezione deve esser effettivo pure nel procedimento camerale. Procedimento che deve quindi necessariamente coinvolgere tutti i soggetti nei cui confronti il provvedimento reso in camera di consiglio è destinato a produrre effetti. E ai quali deve rendersi concreto in ogni suo aspetto il diritto alla difesa, non affidabile a potere discrezionale alcuno del giudice. Non v’è, comunque, dubbio31 che, pur in assenza di accorto intervento normativo32, è già presente nella elaborazione giurisprudenziale33 la consapevolezza di dover dotare il rito camerale dei correttivi minimi atti a garantire i parametri costituzionali del giusto processo. Ed è perciò apprezzabile, allo stato delle cose, lo sforzo giurisprudenziale teso almeno ad inserire le garanzie minime del giusto processo civile nello scarno sistema degli artt. 737 ss., c.p.c. Sicché -ripeto: allo stato della (scadente) arte legislativa- bene che in tal sede si recuperi appieno il principio del contraddittorio, e che i provvedimenti della corte di appello (o del tribunale) pronunciati in esito al reclamo ex art. 739 c.p.c. (non altrimenti impugnabili) siano in qualche modo riconosciuti dotati della sufficiente stabilità, tale da renderli possibili oggetto del ricorso straordinario in cassazione ai sensi del comma 7 del citato art. 111 cost. Ammissibilità della quale andrebbe però valutato (qui come in generale) il limite giurisprudenziale ai provvedimenti di merito34: Mi sembra, infatti, non peregrino (in generale) un dubbio di illegittimità costituzionale dell’orientamento giurisprudenziale che nega possa esperirsi il rimedio straordinario anche avverso provvedimenti definitivi su questione pregiudiziale di rito. Ciò (tanto più alla luce dell’art. 360, comma 4, c.p.c.) perché, per rimanere sui provvedimenti di volontaria giurisdizione (contenziosa o semi-contenziosa) un decreto della Corte di appello, reso in sede di reclamo, può ovviamente concludere il doppio grado giudizio negando la pronuncia nel merito per impedimento processuale (carenza di giurisdizione, di legittimazione ecc.). E, ritenere in tal caso inammissibile il ricorso straordinario in cassazione, può ledere, prima ancora che il principio del giusto processo, già il diritto di azione garantito dall’art. 24 cost. D’altra parte, l’ammissibilità del ricorso straordinario non può che essere valutata anche e soprattutto alla luce dei sopravvenuti commi 1 e 2 del medesimo art. 111 cost. Fino ad un

31 Cfr. B. POLISENO, Profili di tutela del minore nel processo civile, cit., p. 99 ss. e p. 229, nota 67. 32 Mi riferisco a quanto “definitivamente” affermato da A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 689: al rito camerale il Legislatore ha fatto ricorso in modo oltre che disordinato, eccessivo e molto spesso francamente abnorme. 33 Discorre, non senza apprezzamento e anche con riferimento alla più recente elaborazione giurisprudenziale, di “deviazioni dal modello-base nei procedimenti camerali aventi ad oggetto diritti o status”, G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., III, pp. 310 ss. 34 Orientamento oggi stabile come sancito da Cass. sez. un., 3 marzo 2003, n. 3073, per la quale “quando il provvedimento impugnato sia privo dei caratteri della decisorietà in senso sostanziale, il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. non è ammissibile neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressioni del diritto di azione, atteso che la pronuncia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e non può pertanto avere autonoma valenza il provvedimento decisorio, se di tale carattere detto atto sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede e nei limiti in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel merito”. V . la sentenza in Corr. giur., 2004, pp. 1209, con nota di R. TISCINI, Le Sezioni unite restringono la decisorietà ex art. 111 Cost. alle statuizioni di consistenza sostanziale. Studiosa che ne trovò la ratio, fondamentalmente, in una sorta di autodifesa della S. Corte, tesa a limitare l’accesso a se stessa. 34 Cfr. gli studi di A. PROTO PISANI indicati supra, in nota n. 1.

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necessario approfondimento relativo alla legittimità dell’interpretazione giurisprudenziale della stessa norma costituzionale35. Gian Paolo Califano Ordinario dell’Università degli studi della Campania “L. Vanvitelli”

35 Cfr. R. TISCINI, Il ricorso straordinario in Cassazione, cit., p. 589 s.

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ALESSANDRO CARISSIMO

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Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2020, n. 4689; Giud. Amendola; M. P. (Avv. G.M. Pottino) c. S.R.,

D.R., D.SG., D.A. (Avv. A. Costantini) La tardività di un'eccezione in senso stretto (nella specie, di prescrizione), non rilevata né dalla controparte né dal giudice di ufficio nel processo di primo grado, può essere valutata di ufficio dal giudice di appello poiché la parte, vittoriosa in primo grado anche su tale eccezione, non ha l'onere di impugnazione incidentale o di riproposizione della questione, non formandosi, quindi, un giudicato implicito sul punto.

FATTI DI CAUSA. – D.L. ha presentato domanda per il rilascio del porto d'armi alla Prefettura di Salerno. Avutone rigetto, ha inviato una lettera a diverse istituzioni, compresa la Prefettura stessa ed il Ministero degli Interni con la quale gettava cattiva luce sulla persona e sull'operato dell'allora Vice Prefetto vicario, M.P. Quest'ultimo, ritenendosi diffamato, ha citato in giudizio inizialmente il D., ma il procedimento si è interrotto, per cause relative al difensore, e lo stesso D. è defunto poco dopo l'interruzione. Così che il M. ha ripreso la sua azione verso gli eredi del convenuto iniziale, chiedendo la loro condanna al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Nocera Inferiore ha accolto la domanda, implicitamente rigettando l'eccezione di prescrizione, sollevata tardivamente dai convenuti con la memoria di cui all'art. 183, anzichè con la comparsa di costituzione. Gli eredi del D. hanno proposto appello, ribadendo l'intervenuta prescrizione del diritto, e la corte di secondo grado ha accolto questa eccezione, sul presupposto che, pur essendo stata tardivamente proposta, e seppur avrebbe dovuto il giudice di primo grado rilevarne d'ufficio la tardività, l'attore vi avrebbe fatto acquiescenza, non avendo eccepito la decadenza in prima istanza, e non avendo riproposto l'eccezione relativa sotto forma di appello incidentale. Ora, questa ratio decidendi è contestata dal M. con un motivo di ricorso, illustrato ulteriormente da memoria, al quale resistono con controricorso gli eredi D. RAGIONI DELLA DECISIONE. – 1.- La ratio della decisione impugnata. La corte di appello premette che l'eccezione di prescrizione era tardiva, in quanto proposta non con la comparsa di costituzione, bensì con la memoria istruttoria; premette altresì che il Tribunale avrebbe dovuto rilevarla d'ufficio, ma che, non avendolo fatto, era onere dell'attore eccepire la decadenza per tardività. L'attore non solo non ha eccepito alcunchè, ma non ha riproposto la questione della decadenza con l'appello incidentale, come invece avrebbe dovuto fare. Con la conseguenza che sulla questione si è formato giudicato, nel senso che la tardività della eccezione di prescrizione, non essendo oggetto di appello incidentale, non poteva più essere discussa, e l'eccezione stessa andava dunque valutata nel merito. Cosi premesso, la corte di appello ha dunque accolto quella eccezione ed ha dichiarato prescritto il diritto.

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2.- Il ricorrente propone un solo motivo di ricorso, con cui denuncia una erronea interpretazione degli artt. 345 e 346 c.p.c. In sostanza, sostiene che la corte di merito ha errato nell’imporgli l’onere dell’appello incidentale, ossia ha errato nel ritenere che egli avrebbe dovuto riproporre l’eccezione di decadenza con l’appello incidentale, e l’errore starebbe nel fatto di non considerare che la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere dell’appello incidentale per riproporre in appello le questioni poste in quel grado ed assorbite. Il motivo è fondato. Questa corte ha ritenuto che “soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle; per contro, la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda o eccezione, di cui intende ottenere l'accoglimento, ha l'onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa" (Cass. 6550/2013; Cass. 9889/2016). Nella fattispecie il ricorrente è stato vittorioso in primo grado, in quanto, da un lato, l'eccezione di prescrizione fatta dai convenuti nei suoi confronti è stata implicitamente rigettata, e dall'altro, proprio come conseguenza di questo implicito rigetto, il Tribunale ha accolto nel merito la domanda di risarcimento del danno. Il che significa che, di certo, il ricorrente non aveva l'onere di fare appello incidentale sulla questione della prescrizione, ossia sul fatto che l'eccezione di prescrizione fosse tardiva. Tuttavia, ritengono i controricorrenti che, se pure il ricorrente non aveva l'onere di fare appello incidentale sulla tardività della prescrizione, aveva tuttavia quello di riproporre comunque la questione, ossia di introdurre nel giudizio la questione della decadenza dall'eccezione di prescrizione in cui erano incorsi i convenuti. Non avendolo fatto, ha prestato acquiescenza, come risulterebbe pure dall'orientamento di legittimità sopra citato, il quale richiede che, per evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., la parte deve comunque riproporre la questione fatta valere in primo grado, anche se non necessariamente sotto forma di appello incidentale. Per contro, il ricorrente non solo non ha fatto appello incidentale, ma neanche ha riproposto la questione della decadenza dei convenuti quanto alla eccezione di prescrizione. L'argomento è pertinente quanto al caso cui è riferita la giurisprudenza sopra citata, ma non lo è quanto al caso concreto. Infatti, l'onere di riporre la questione è pur sempre l'adempimento dell'onere originario di eccepire. Ossia: può ritenersi che abbia rinunciato ad una eccezione la parte che aveva l'onere di farla in primo grado. Ma se l'onere non v'era (e non v'è quando la questione è comunque rilevabile d'ufficio) non può sorgere in appello, attraverso l'imposizione alla parte di introdurre comunque una questione che in primo grado poteva anche non introdurre, essendo rilevabile d'ufficio. La rinuncia implicita ad una eccezione, per il fatto di non averla espressamente riproposta (sotto quale forma non rileva) presuppone un onere che, non assolto in primo grado, può utilmente esserlo anche in appello. Escluso che l'attore debba proporre impugnazione incidentale per riproporre la questione della tardività della eccezione, è altresì escluso che debba comunque introdurre, a pena di decadenza, tale questione con le sue difese in appello. Se si opina cosi, si introduce un onere in appello (quello di porre comunque la questione della decadenza) che in primo grado non v'era, poiché la decadenza era rilevabile d'ufficio.

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In altri termini, se sulla questione della decadenza dalla eccezione di prescrizione non si forma giudicato, la questione è ancora discutibile, e dunque rimane integra la rilevabilità d'ufficio che v'era in primo grado, senza bisogno che la questione venga riproposta in appello. E si consideri che, su tale eccezione, il giudice di appello ha gli stessi poteri officiosi di quello di primo grado. Del resto, sulla intervenuta prescrizione v'era appello principale dei convenuti, che dunque hanno introdotto il thema decidendum, rispetto al quale non era venuta meno la rilevabilità d'ufficio della decadenza di quella eccezione, che poteva venire meno solo in caso di giudicato implicito. Ossia: il giudice di appello non può ritenere "consumato" il potere officioso di rilevare la decadenza, se sulla questione relativa non si è formato giudicato, e sappiamo che il giudicato non si è formato proprio dall'argomento per cui l'attore non ha l'onere della impugnazione incidentale. Solo se avesse l'onere della impugnazione incidentale potrebbe dirsi formato il giudicato (in caso di omessa impugnazione). Senza tacere del fatto, già menzionato, che il giudice di appello ha gli stessi poteri officiosi di quello di primo grado, e può dunque rilevare da sè la tardività della eccezione come avrebbe dovuto fare quello di prima istanza. Del resto, la mancata eccezione di decadenza in primo grado non consuma il potere officioso del giudice di rilevare la tardività della eccezione di prescrizione. Ed il fatto che tale potere non sia esercitato e che questa omissione non sia denunciata dalla parte interessata in appello, non comporta che quel potere è consumato. Diversamente, se si ritenesse che la parte, omettendo di eccepire la tardività dalla eccezione di prescrizione, "rinuncia" a far dichiarare decaduta la parte che eccepisce, si negherebbe surrettiziamente la natura di eccezione in senso stretto a quella di prescrizione. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata. P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese. La Cassazione ancora sulle difese dell’appellato ed il giudicato implicito. La rilevabilità ex officio in appello della tardività di un’eccezione in senso stretto Con la presente nota a Cass. civ., 21 febbraio 2020, n. 4689, si affrontano vari profili relativi alla questione di ammissibilità di una eccezione in senso stretto tardiva. Le implicazioni sistematiche sono molteplici, toccando la rilevabilità d’ufficio e l’impugnazione della sentenza, l’appello e la sua natura di revisio prioris istantiae, nonché il giudicato implicito ed il discrimen tra appello incidentale (ex art. 343 c.p.c.) e mera riproposizione (ex art. 346 c.p.c.). In this comment on the decision of the Civil Court of Cassation n. 4689 of the 21/02/2020 are faced many profiles related to question of admissibility of a late objection in the strict sense. There are several systematic implications, involving the possibility to raise ex officio and the challenge to the judgment, the appeal and its nature of revisio prioris istantiae, as well as the implicit judgment and difference between interlocutory appeal (pursuant to art. 343 c.p.c) and the mere resubmission (pursuant to art. 346 c.p.c.).

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Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il sistema delle preclusioni in primo grado: l’art. 167 c.p.c. – 3. Evoluzione ed oggetto dell’appello. – 4. L’appellato tra appello incidentale e mera riproposizione. – 5. Brevi cenni sul giudicato implicito. – 6. Cass., 21 febbraio 2020, n. 4689 e considerazioni finali.

1. Introduzione Il rapporto tra mera riproposizione ed appello incidentale è di certo ampiamente discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza. La quaestio da risolvere, frutto del generico ed equivoco dettato dell’art. 346 c.p.c.1, concerne l’esigenza di stabilire di quale istituto debba avvalersi l’appellato2, al fine di devolvere al giudice d’appello, adito in via principale dalla controparte, la cognizione sulle domande ed eccezioni respinte in primo grado, ovvero espressamente o implicitamente rigettate. Non da meno, la tematica, oltre che dalla formula dell’art. 346 c.p.c., è resa ancora più complessa dall’interferenza di altre delicate questioni, che vanno dall’interesse ad impugnare al giudicato implicito, passando per il concetto di capo della sentenza ed il coordinamento tra rilevabilità officiosa e onere dell’impugnazione. La sentenza in epigrafe rappresenta un (ulteriore) tassello che va ad aggiungersi al mosaico di pronunce che si sono registrate, negli ultimi anni, in ordine all’appello civile, facendo luce (ancora) sui limiti dell’onere di appello incidentale e di riproposizione, attraverso una motivazione condivisibile. A fronte di una situazione di così vasta incertezza interpretativa, si prova quindi non solo a dirimere quanto enunciato dalla Suprema Corte nell’occasione, ma anche a tracciare le coordinate necessarie ai fini di una migliore comprensione del sistema. A partire dalle preclusioni in primo grado – la vicenda trae essenzialmente origine da un’eccezione di prescrizione tardiva –, in particolar modo (quindi) sull’art. 167 c.p.c., soffermandosi sull’appello quale revisio prioris istantiae – toccando tematiche come la sua evoluzione e l’effetto devolutivo –, passando per il giudicato implicito – rispetto al quale si è da sempre registrato un forte dibattito –, per poi trattare il tema delle difese dell’appellato, ovvero il rapporto tra impugnazione incidentale e la mera riproposizione di cui all’art. 346 c.p.c..

2. Il sistema delle preclusioni in primo grado: l’art. 167 c.p.c Sulla scorta degli artt. 24, comma 1, Cost., 2907, comma 1, c.c. e 99 c.p.c., il processo ha come fine la tutela dei diritti che si fondano sui fatti, che, pertanto, risultano funzionali alla definizione della questione controversa. Il disegno processuale, seppur finalizzato alla tutela

1 v. N. RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, Napoli, 1996, p. 134 ss.; BIANCHI, I limiti oggettivi dell’appello civile, Padova, 2000, p. 189 ss.; V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, in Riv. dir. proc., 2018, p. 427 ss.; S. CHIARLONI, L’impugnazione incidentale nel processo civile, Milano, 1969, p. 137 ss. circa i dubbi interpretativi derivanti dall’art. 346 c.p.c., per cui “le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate”, in particolar modo per quanto concerne l’espressione adottata “non accolte”, utilizzata indistintamente sia per le domande che per le eccezioni. 2 Il riferimento è alla parte cd. soccombente virtuale che, alla luce della pronuncia di primo grado, risulta integralmente vittoriosa nel merito, non vantando, pertanto, alcun interesse ad impugnare, avendo soddisfatto l’effetto giuridico preteso. Ai fini di un approfondimento, si rinvia a L. SALVANESCHI., L’interesse ad impugnare, Milano, 1990, p. 70 ss.; C. CONSOLO, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi, Padova, 2009; F. P. LUISO e R. VACCARELLA, Le impugnazioni civili, Torino, 2013, p. 27 ss.; E. T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984, p. 270 ss.; F. P. LUISO, Appello nel diritto processuale civile, in Dig. civ., I, Torino, 1987, p. 360; A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, Padova, 1973; A. ATTARDI, Note sull’effetto devolutivo dell’appello, in Giur. it., 1961. IV, p. 158 ss.; A. TEDOLDI., L’appello civile, Milano, 2016; G. VERDE, Diritto processuale civile, II, Bologna, 2017, p. 178 ss.; C. CECCHELLA, Il nuovo appello civile, Bologna, 2017, p. 31 ss.; G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2019, p. 346 ss.

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dei diritti, è costruito in funzione dell’accertamento dei fatti, essenziale ai fini del conseguimento di una verità storica, che possa – al pari di una corretta applicazione-interpretazione della norma sostanziale - consentire una decisione giusta3. La verità storica è però circoscritta nei margini del principio del contraddittorio, della terzietà ed imparzialità del giudice, della parità d’armi tra le parti processuali e della ragionevole durata, rispondendo alle esigenze di celerità e di accertamento della prova, quali principi imposti dalla Carta Costituzionale. Con l’intento di rendere effettive tali garanzie, il processo civile italiano ha vissuto un lungo periodo di riforme e di elaborazioni giurisprudenziali4, che hanno rafforzato l’originaria impostazione pubblicistica e compresso sempre più la sfera di autonomia e di libertà delle parti nella conduzione del procedimento. Prova di tale tendenza è l’inasprimento delle preclusioni in primo grado ed in appello, rendendo il principio di preclusione sempre più perno centrale del processo5 e leit motiv delle suddette riforme, ergendosi a mezzo di celerità e di ordine in fase di svolgimento dei giudizi. L’art. 345 c.p.c. delinea un esplicito sbarramento in appello, che è solo l’ultimo di una serie che, nel rispetto delle scadenze indicate dagli artt. 167 e 183 c.p.c., col fine di configurare il thema decidendum del giudizio, maturano in primo grado. Un sistema di preclusioni teso ad evitare che una variazione (sostanziale) delle difese, attraverso l’introduzione di temi nuovi, possa produrre un’alterazione degli oneri probatori ricadenti in capo alle parti del giudizio ed uno svantaggio per una delle parti. Come noto, la domanda giudiziale si fonda sui fatti costitutivi e la difesa del convenuto sulla negazione dei fatti costitutivi allegati dall’attore, ovvero sulla loro inidoneità a fondare il diritto affermato, nonché sui fatti estintivi, modificativi e impeditivi6. I fatti primari entrano nel processo attraverso gli atti iniziali (citazione, o ricorso, e comparsa di risposta), per supportare da un lato la domanda dell’attore e dall’altro le eccezioni del convenuto7. Occorre qui, per quanto interessa, soffermarsi sull’art. 167 c.p.c. e sulle preclusioni che ne derivano.

3 Così G. MICCOLIS, L’accertamento dei fatti nel processo di primo e secondo grado, in Judicium, 2019. Cfr. M. TARUFFO, Poteri del giudice, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. CHIARLONI, Bologna, 2011, p. 473, nonché Cass. 3 novembre 2008, n. 26373, in Rep. Foro it., 2009, voce Procedimento civile, n. 72. 4 Difatti, il Codice di procedura civile del 1940, in poco più di cinquanta anni dalla sua entrata in vigore, è stato oggetto di una

pluralità di riforme, in particolar modo incentrate sulla disciplina del processo di cognizione ordinario, con l’intento di ridurne

la patologica durata. Tali riforme a pioggia, spesso e volentieri malformate, non hanno avuto (possiamo dire) alcun riscontro

concreto, dando prova del fatto che non si sia risolto nulla; in primis perché altrimenti non si spiegherebbe il motivo di porre

in essere interventi costanti sulla materia, in secondo luogo perché l’ingolfamento nei tribunali non ha avuto cenni di

miglioramento, seppur il numero delle cause sopravvenute sia rimasto tendenzialmente stabile (in tal senso C. CECCHELLA, Il

nuovo appello civile, cit.).

5 Cfr. P. BIAVATI, Iniziativa delle parti e processo a preclusioni, in Riv. trim. dir. proc., 1996, p. 498 ss., che sottolinea come nei

processi civili degli altri Stati europei le preclusioni si presentino meno rigide di quelle del processo civile italiano, col risultato

di avere un sistema giustizia più efficiente.

6 G. MICCOLIS, L’accertamento dei fatti nel processo di primo e secondo grado, in Judicium, 2019. 7 Le parti, successivamente ai due atti introduttivi, possono, in virtù del dettato normativo, “aggiustare il tiro” con ulteriori attività difensive - come nuove domande, nuove eccezioni e chiamate in causa di terzi – solo in risposta (tempestiva) all’attività della controparte, e nel rispetto del principio del contraddittorio (G. MICCOLIS, L’accertamento dei fatti nel processo di primo e secondo grado, cit.). Fuori da tali ipotesi, è escluso per l’attore l’introduzione di nuove domande – e, pertanto, di nuovi fatti costitutivi -, per il convenuto di proporre nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio – e, pertanto, nuovi fatti estintivi, modificativi e impeditivi a supporto -. Non da meno, occorre (brevemente), soffermarsi sull’all’art. 183 c.p.c. e sul binomio emendatio e mutatio libelli. Ai sensi dell’art. 183 c.p.c., l’attore gode di due poteri: può proporre le domande e le eccezioni che conseguono alla domanda riconvenzionale, o essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, laddove tale esigenza sia frutto delle difese avanzate dalla controparte (rileva, pertanto, la sussistenza di un nesso di consequenzialità con

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L’art. 167, comma 2, c.p.c. elenca le attività che il convenuto deve compiere necessariamente nella comparsa di risposta, quale atto speculare alla citazione, da depositare nel termine di cui all’art. 166, a pena di decadenza. Esse sono, in particolare, le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio8 – a cui il comma 3 aggiunge l’eventuale istanza di chiamata di terzo -9. La sanzione della decadenza, che l’art 167, comma 2, contempla per l'inosservanza dell'onere di proporre la domanda riconvenzionale e le eccezioni in senso stretto con la comparsa di costituzione, è ispirata alla ratio di garantire la celerità e la concentrazione dei procedimenti civili; perciò la relativa violazione viene considerata pregiudizievole non di un mero interesse privato, ma dell'interesse pubblico a scongiurare il protrarsi dei tempi del procedimento, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in sede di impugnazione, a meno che sulla tempestività della proposizione della domanda non si sia formato un giudicato, sia pure implicito10. Il regime delle preclusioni è quindi teso a tutelare non solo l’interesse della parte, ma anche l’interesse pubblico ricadente sul corretto svolgimento del procedimento. Tali premesse risultano necessarie per meglio comprendere l’evolversi della vicenda in esame, che prende le origini dal rigetto implicito di un’eccezione di prescrizione – notoriamente eccezione in senso stretto - sollevata tardivamente, con le memorie ex art. 183 c.p.c., anziché con la comparsa di costituzione, e quindi incorsa nella preclusione prevista dall’art. 167, comma II, c.p.c.

i nova introdotti dalla controparte; così F. CARPI – M. TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2012, p. 820 ss.), o ancora precisare e modificare le eccezioni già proposte e le eccezioni che sono conseguenza delle domande ed eccezioni medesime (C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione, Torino, 2009, p. 94). La norma, a ben vedere, è introdotta col fine di tutelare la parte attrice dalle iniziative difensive della controparte che possono mutare i termini oggettivi della controversia. Il comma 6, del medesimo art. 183 c.p.c., stabilisce che nel corso della prima udienza di trattazione le parti possono esercitare un ampio ius poenitendi, potendo precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già oggetto degli atti introduttivi. Da qui la distinzione tra precisazione e modificazione: la prima si configura in un mero chiarimento di quanto contenuto nelle precedenti difese, realizzabile anche attraverso l’allegazione di fatti secondari, purché questi non producano una modifica dell’oggetto mediato o immediato della domanda; la seconda rappresenta un cambiamento del petitum e della causa petendi, che può prevedere anche l’allegazione di fatti storici nuovi, che, per identificarsi in emendatio, non devono incidere sulla domanda proposta sin dall’origine (G. BALENA, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur. it., 2006, IV, p. 71). A tal proposito si registra la tendenza della giurisprudenza ad allargare le maglie della emendatio. Cass., 15 giugno 2015, n. 12310, in Foro it., 2015, I, 3190, difatti, abbraccia l’orientamento c.d. liberale, rifiutandosi di condividere l’orientamento che propende per una cristallizzazione della domanda sin dalla sua prima formulazione, optando (così) per una costruzione della domanda progressiva e dettata nel tempo. 8 Cfr. S. EVANGELISTA, Riconvenzionale (domanda), in Enc. giur., XXVII, Torino, 1991 e E. VULLO, Riconvenzionale, in Dig. it.,

sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 524 ss.

9 Si registra, pertanto, con la novella del 2005, una innovazione, la cui ratio consiste nell'introduzione di una sorta di barriera

preclusiva, in capo al convenuto, il quale dovrà proporre, a pena di decadenza, le eccezioni in senso stretto, non più nel

termine concesso alla prima udienza, quanto nella comparsa di risposta, da depositare tempestivamente in cancelleria, nel

rispetto dei termini di costituzione (v. L. P. COMOGLIO, C. FERRI, M. TARUFFO, Lezioni sul processo civile, I, Il processo ordinario di

cognizione, Bologna, 2005, p. 56). Superato tale termine, ovvero quello della costituzione tempestiva, il convenuto non potrà

più proporre tali eccezioni, a meno che, in virtù del nuovo art. 183 c.p.c., e della sua funzione dialettica, la loro proposizione

non sia giustificata dalla modifica o dalla precisazione della domanda, da parte dell'attore, in sede di trattazione.

Ciononostante occorre anche osservare che imporre alla parte attorea di allegare tutti i possibili fatti costitutivi o al convenuto

tutti i possibili fatti modificativi del rapporto giuridico controverso, senza poterli più recuperare, “significa costringere le parti

ad uno sforzo difensivo enorme, appesantendo il processo di prime cure con allegazioni e richieste istruttorie, che spesso

risultano essere ridondanti ed inutili”; in tal senso B. GAMBINERI, Mutatio ed emendatio libelli in appello, in Riv. dir. proc., 2019,

p. 712 ss.

10 Cass. 2 marzo 2007, n. 4901, in Rep. Foro it., 2007, voce Procedimento civile, n. 186; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19453, ivi, 2005, voce cit., n. 198; Cass. 30 novembre 2011, n. 25598, ivi, 2011, voce cit., n. 207.

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3. Evoluzione ed oggetto dell’appello L’appello vede per la prima volta, storicamente parlando, la luce nell’epoca romana, quale vera e propria supplica (appellatio, appunto) da parte dei soccombenti11. Successivamente, dall’appellatio, con ius novorum, si adottò un sistema rigido di preclusioni, per far fronte all’ingente numero di ricorsi che, in assenza del divieto dei nova, gravavano inevitabilmente e pesantemente le corti imperiali, passando ad una consultatio, senza ius novorum. Tale sistema sarà poi anch’esso abbandonato nel 520 d.C.; lo ius novorum viene ora ammesso in tutti i casi ed in qualsiasi forma di appello, dando luogo ad un modello, che sarà un punto di riferimento per tutto il medioevo, teso ad identificare la ratio dello ius novum in appello nel veritatis lumen, per poi essere gradualmente, e nuovamente, abbandonato, per far fronte all’eccessiva durata che il processo andava ad assumere12. Tale brevissima premessa è utile a ribadire come il divieto dei nova e l’effetto devolutivo, quali elementi di disaccordo tra chi promuove la verità materiale, in coerenza con i princípi del giusto processo, e chi persegue i princípi di economia e celerità processuale, supportati dalla necessità di tutela del diritto alla difesa, rappresentino una questione complessa e delicata, che ha interessato l’istituto dell’appello sin dalla sua nascita. Nell’evoluzione moderna, l’appello si proponeva come fusione di due tipologie di rimedi contro la sentenza di prime cure, ossia l’appello di diritto comune, cioè un gravame teso a rilevare l’ingiustizia della sentenza sul merito, e la querela nullitatis, come evoluzione della actio nullitatis sententiae; in tal modo, l’appello, ispirato al modello francese, fonde tali funzioni col fine di garantire un controllo sia sul merito che sul rito, prevedendo una libera deducibilità dei nova13. L’appello andava a rappresentare così una pura continuazione del giudizio di primo grado, attraverso cui le parti godevano della possibilità di integrare eventuali carenze emerse dalla sentenza impugnata, introducendo nuovi elementi, col solo limite di tenersi nei margini della domanda giudiziale proposta nel grado precedente. Veniva in pratica abbracciata in toto la concezione originaria dell’appello: garanzia di una migliore e maggiore giustizia in virtù di un giudizio sullo stesso oggetto, dopo la realizzazione di un giudizio precedente14. L’unico limite va così ad incidere sull’oggetto, col divieto di domande nuove, in quanto il giudizio di appello non può essere più ampio e diverso da quello del precedente grado. Tale impostazione concettuale, nel nostro ordinamento, inizia a mutare col Codice di rito del 1940 e viene messa del tutto in discussione dalla riforma del 1950, sino ad arrivare, con le riforme piú recenti, ad un ridimensionamento dell’automaticità del c.d. effetto devolutivo

11 Per un approfondimento sulla Lex Iulia iudiciaria di Augusto, si veda L. MORTARA, Appello civile, voce in Dig. it., I, Torino,

1898, p. 12 ss.

12 C. CECCHELLA, Il nuovo appello civile, Napoli, 2017. 13 A. TEDOLDI, L’appello civile, Napoli, 2017, p. 57 e 58. 14 Garanzia che solo un appello che concede (alle parti ed al giudice) “la possibilità di rinnovare il giudizio nella pienezza dei

poteri e delle facoltà difensive, promuovendo la ricerca della verità e facendo in modo che l’attenzione ricada solo sulla

fattispecie e sul diritto oggetto dell’appello, e non sulla sentenza” (che funge solo da mera premessa logico-giuridica), può

dare; e non perché il giudice d’appello “sia migliore o gerarchicamente superiore, ma semplicemente perché il secondo

giudizio si svolge in relazione e successivamente al primo”. Così C. CECCHELLA, Il nuovo appello civile, Napoli, 2017.

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(appesantendo la portata dell’onere di cui all’art. 342 c.p.c.)15, ad un divieto dei nova sempre più marcato ed a fissare la natura dell’appello in una revisio prioris instantiae16. Attraverso “l’incubico culto delle preclusioni” e del principio della ragionevole durata del processo, idolatrati come vis maiori cui resisti non potest 17, ci si allontana così dal vecchio, e familiare, modello francese, che ancóra oggi vede l’appel come strumento di completamento ed integrazione del processo18, e ci si avvicina al modello adottato nel 2001 dalla ZPO tedesca, ovvero alla metodologia della Fehlerkontrolle. Il risultato è la restrizione, evidente, della cognitio causae nel passaggio da un grado all’altro, per far fronte all’ingente carico giudiziario, gravando di oneri dell’appellante19 ed obbligandolo ad una sorta di progetto/bozza di sentenza attraverso l’atto d’appello20. Pertanto, vigeva un tempo l’effetto devolutivo dell’appello; si registra, poi, il passaggio – da mezzo d’impugnazione reale, con devoluzione piena ed automatica dell’intera controversia – a impugnazione ad effetto personale. La cognizione del giudice d’appello deve ritenersi, quindi, strettamente limitata alle questioni che formano specifico oggetto della motivazione dell’atto di appello – principale o incidentale -, o che siano state espressamente riproposte21. In tale ottica, la preclusione al riesame in sede di appello delle questioni non riproposte con l’atto di gravame si palesa come il frutto di un fenomeno di giudicato formale, che ne preclude il riesame nel seguito del giudizio. Dalla previsione dell’art. 329, comma 2, c.p.c. sull’acquiescenza parziale, deriva la necessità per il soccombente - pratico, se appellante, teorico, se appellato - di proporre appello, col fine di devolvere al giudice la cognizione delle questioni risolte in suo sfavore22. La cognizione in appello è dunque circoscritta alle questioni prospettate dall’appellante con i motivi o riproposte dall’appellato, cosicché i punti (della

15 Per cui i motivi dell’appello occorrono non tanto ad individuare i capi della sentenza oggetto d’impugnazione, ma a

sottolineare al loro interno le questioni da sottoporre al giudice del gravame; v. recente Cass., Sez. un., 16 novembre 2017,

n. 27199, in Foro it., 2018, I, c. 978. Ulteriore restrizione, in tale ottica, dell’effetto devolutivo, è compiuta, come vedremo

dall’art. 346 c.p.c.; v. G. BALENA, Il sistema delle impugnazioni civili nella disciplina vigente e nell’esperienza applicativa:

problemi e prospettive, in Foro it., 2001, c. 124.

16 Non si può non ritornare a Cass., Sez. un., 2005, n. 8203, in Foro it., 2005, I, c. 1690, la quale sottolinea che il pervenire alla

abolizione dello ius novorum, avvenuto con la riforma del 1990, quale sovvertitore della precedente disciplina, ha fatto

assumere all’appello natura di revisio prioris instantiae, allontanandolo dal concetto di prosecuzione del giudizio di primo

grado. v. anche, tra le recenti, Cass. 4 novembre 2020, n. 24464, in Rep. Foro it., 2020, voce Appello civile, 84.

17 A. TEDOLDI, L’appello civile, cit., pp. 57 e 253 ss. 18 v. B. GAMBINERI, Mutatio ed emendatio libelli in appello, in Riv. dir. proc., 2019, p. 692 ss. e ID., L’evoluzione dell’appello nell’ordinamento francese tra autorité de la chose jugée e office du juce, ivi, 2020, p. 315 ss.; a tal proposito si rimanda a nota 69. 19 Ovvero quello di specificare i passaggi della sentenza censurati e le ragioni delle critiche mosse, senza vantare la possibilità

di innovare il materiale di fatto o di introdurre nuovi mezzi di prova (ad eccezione che la parte dimostri che la mancata

proposizione in primo grado sia dovuta ad elemento ad egli non imputabile, quale condicio sine qua non della sua

ammissibilità), ex art. 345 c.p.c.

20 Così assecondando una tendenza nata con la nota sentenza Cass., Sez. un., 6 giugno 1987, n. 4991, in Foro it., 1987, I, c.

3037, con indirizzo che raggiunge l’apice con Cass., Sez. un., 16 novembre 2017, n. 27199, ivi, 2018, I, c. 978 (quale ultima di

una vasta e lunga serie). In tal senso v. C. CECCHELLA, Il nuovo appello civile, cit.

21 Così A. TEDOLDI, Appello civile, cit., pp. 201 e 205. 22 Cfr. G. MONTELEONE, Limiti alla proponibilità di nuove eccezioni in appello, in Riv. dir. civ., I, 1983, p. 724 ss. e A. TEDOLDI, L’appello civile, cit., p. 205.

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sentenza) non toccati dall’iniziativa di parte fuoriescono dall’oggetto di cognizione, ovvero del riesame, cadendo su di essi una preclusione endoprocessuale (c.d. giudicato interno)23. Il nostro ordinamento abbraccia, così, un modello di appello quale impugnazione del provvedimento decisorio del grado precedente mediante una denunzia di errores in judicando o in procedendo, idoneo in astratto a devolvere al giudice di seconde cure l’intera controversia, in concreto delimitato dall’iniziative di parte – salvo il rilievo d’ufficio di questioni non dibattute in primo grado -24. Tale modello segna, dunque, la modifica della cognitio del giudice d’appello; non più cognitio causae ma cognitio appellationis (ormai), in ottemperanza al paradigma di cui all’art. 342 c.p.c.

4. L’appellato tra appello incidentale e mera riproposizione La devoluzione delle domande e delle eccezioni, in sede d’appello, non è quindi automatica, ma subordinata dalle iniziative delle parti, chiamate ad attivarsi col fine di impedire il formarsi di preclusioni sulle suddette. L’oggetto e l’ambito della devoluzione sono, quindi, legati alla volontà delle parti, in quanto potranno chiedere che la nuova decisione, con funzione sostitutiva, sia compiuta soltanto su alcune delle domande in origine proposte, ovvero sottoporre al giudice soltanto alcune delle questioni rilevanti, secondo il principio tantum devolutum quantum appellatum25. Ne consegue che, dato che anche in sede d’appello si applica il principio della domanda ex art. 112 c.p.c., accanto all’impugnazione specifica delle parti della sentenza – di cui viene chiesta la riforma – è necessario che ogni domanda ed eccezione già avanzata in primo grado e non accolta sia espressamente riproposta in appello alla luce dell’art. 346 c.p.c.. Pertanto, soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di appello incidentale ex art. 343 c.p.c., in quanto priva di interesse, potendo essa limitarsi ad una mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. per non cadere nella presunzione di rinuncia; viceversa, la parte soccombente in relazione ad una domanda od eccezione dovrà ricorrere all’impugnazione incidentale, per prevenire il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa26. Da qui la necessità di soffermarsi, data la rilevanza degli artt. 343 e 346 c.p.c. in tale ambito, sulla natura e l’oggetto della riproposizione e di descriverne i rapporti (e le differenze) con l’impugnazione incidentale. Sulla scorta di un canone inverso, quanto più l’ambito d’applicazione dell’art. 346 c.p.c. si restringa, tanto più ampio sarà quello dell’onere d’appello incidentale, quale strumento necessario per l’appellato per perseguire una riforma del provvedimento del giudice di primo grado rispetto alle domande, eccezioni o questioni sulle quali abbia patito una soccombenza. In tali casi, in carenza di appello incidentale, il giudice d’appello non potrà

23 F. P. LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano, 2020, p. 367 ss.; G. TARZIA e F. DANOVI, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2015, p. 356 ss.; A. TEDOLDI, L’appello civile, cit., p. 206; Id., L’onere di appello incidentale nel processo civile, in Giur. it., 2001, p. 1300 ss. 24 Sempre A. TEDOLDI, Appello civile, cit., il quale sottolinea (anche) come la trasformazione dell’appello, accompagnata dalla “illacrimata sepoltura” dell’effetto devolutivo, si traduca in una inesorabile metamorfosi da iudicium novorum a revisio proris instantia, da gravame a mezzo d’impugnazione del provvedimento decisorio di primo grado, da strumento per devolvere la lite ai secondi giudici, sia pure entro i limiti del quantum appellatum, a puro mezzo di controllo degli errori, di diritto o di fatto, così come denunciati dalle parti e nel modo in cui le parti ne hanno chiesto la correzione. 25 V. M. A. COMASTRI, Note in tema di riproposizione in appello di domande ed eccezioni assorbite, nota a Cass., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940, in Riv. dir. proc., 2019, p. 1355 ss., il quale sottolinea come occorra individuare l’ambito della devoluzione rispetto al singolo motivo, cioè se la devoluzione riguardi il solo segmento colpito dal motivo, oppure la questione nella sua interezza. Così anche Cass. 9 luglio 2009, n. 16128, in Rep. Foro it., 2009, voce Appello civile, n. 12 e Cass. 6 settembre 2007, n. 18691, in Nuova giur. comm., 2008, I, p. 400. 26 Così F. FERRANDI, Il motivo specifico e la riproposizione di questione, in C. CECCHELLA, Il nuovo appello civile, Bologna, 2018, p. 46.

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riformare/modificare la sentenza in favore dell’appellato. Regola, questa, che deriva dal principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., ovvero dall’efficacia personale dell’appello27. Tradizionalmente l’appellato totalmente vittorioso nel merito non era tenuto a proporre appello incidentale per il mancato accoglimento di eccezioni di rito o di merito o di ragioni, in caso di soccombenza teorica e non pratica, potendo ricorrere alla mera riproposizione ex art. 346 c.p.c.28. Ciononostante, anche alla luce di un abuso giurisprudenziale del principio di ragionevole durata, il discrimen tra appello incidentale ex art. 343 c.p.c. e riproposizione mera ex art. 346 c.p.c., basato sulla distinzione tra soccombenza pratica e teorica, è andato via via ad affievolirsi, essendo spesso ritenuto necessario l’appello incidentale anche su questioni di rito o preliminari di merito risolte in sfavore della parte comunque interamente vittoriosa nel merito. Non sono pochi, difatti, gli arrets giurisprudenziali che in tali fattispecie esigono l’appello incidentale in casi di soccombenza teorica o di mero assorbimento rituale29. L’art. 346 c.p.c. esige, invece, un’iniziativa dell’appellato vittorioso al fine di devolvere al giudice d’appello le domande e le eccezioni, ovvero tutte le questioni e istanze, proposte in primo grado, non accolte in quanto oggetto di assorbimento tecnico30. L’attività dell’appellato, a cui la norma fa riferimento, sarà tesa ad ottenere una conferma della sentenza impugnata e non una reformatio in melius; pertanto, la norma non si applica alle domande espressamente respinte, per le quali sarà necessario un appello incidentale. Trova, invece, applicazione in relazione alle domande che abbiano subito un assorbimento tecnico alla luce dell’accoglimento della domanda principale, in quanto proposte in via alternativa o subordinata, e quindi non esaminate. Si applica, inoltre, anche alle ragioni della domanda (anch’esse) assorbite, in quanto il giudice abbia accolto la domanda in base ad una specifica causa petendi tra le diverse poste a suo fondamento31. In tali casi non sarà necessario l’appello incidentale per le causae petendi o per le rationes postulandi pretermesse; sarà invece sufficiente la mera riproposizione, attraverso cui l’appellato manifesterà la sua volontà di un

27 Così A. TEDOLDI, L’appello civile, cit., p. 226, il quale opportunamente sottolinea che il divieto di reformatio in peius non ha vigenza assoluta nel nostro ordinamento. “Una riforma in danno dell’appellante, pur in assenza di appello incidentale, è consentita quando la negazione di un bene della vita parzialmente attribuito all’appellante dal primo giudice consegua alla soluzione a suo sfavore di una questione rilevabile d’ufficio, non rilevata in primo grado (esempio è la nullità del contratto); o ancora quando ciò consegua all’accertamento della fondatezza dei motivi d’impugnazione in relazione a una questione preliminare (di merito o di rito); o quando il giudice d’appello ritenga di fare utilizzo di un diverso metodo di determinazione dell’indennizzo”, fissando un ammontare maggiorato, ovvero in vantaggio dell’appellato, nonostante il suo silenzio. Vedi anche L. BIANCHI, I limiti oggettivi dell’appello civile, Padova, 2000, p. 150 ss. 28 Cass. 2 febbraio 2005, n. 2087, in Rep. Foro it., 2005, voce Cassazione civile, n. 45; Cass. 11 giugno 2010, n. 14086, in ivi, 2010, voce Appello civile, n. 50. 29 A mero scopo esemplificativo si è richiesto, dal convenuto vittorioso, l’appello incidentale anche per la riproposizione in appello della domanda di garanzia nei confronti del terzo chiamato (assorbita in occasione del rigetto della domanda principale della controparte). Così Cass. 1° luglio 2004, n. 12005, in Rep. Foro it., 2004, voce Appello civile, n. 42 e Cass. 10 marzo 2006, n. 5249, ivi, 2006, voce cit., n. 39. 30 Cass. 9 dicembre 2003, n. 18721, in Rep. Foro it., 2003, voce Appello civile, n. 107; Cass. 17 dicembre 1999, n. 14267, ivi,

1999, voce cit., n. 78; Cass. 19 ottobre 1995, n. 10884, ivi, 1995, voce cit., n. 62; Cass. 13 aprile 2007, n. 8854, ivi, 2007, voce

cit., n. 34; Cass. 14 dicembre 2005, ivi, 2005, voce cit., n. 96; Cass. 6 ottobre 2020, n. 21504, ivi, 2020, voce cit., n. 82; Cass.

17 febbraio 2020, n. 38964, ivi, 2020, voce Appello civile, n. 47. Non da meno si vuol fare un’ulteriore puntualizzazione: la

disciplina, a rigor di logica, non trova però applicazione per le mere difese (che saranno quindi devolute automaticamente),

se viene chiesta la mera conferma della decisione appellata (v. Cass. 6 aprile 2000, n. 4322, in Rep. Foro it., 2000, voce Appello

civile, n. 86 e Cass. 7 marzo 1990, n. 1768, ivi, 1990, voce cit., n. 49).

31 V. Cass. 25 settembre 2014, n. 20172, in Rep. Foro it., 2014, voce Appello civile, n. 60.

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riesame e di non rinunciare ad esse32. Non da meno, la disciplina delineata dall’art. 346 c.p.c., seppur nata in riferimento alla posizione dell’appellato vittorioso nel merito, si estende anche all’appellante le cui domande non siano state esaminate, in quanto la controversia è stata decisa sulla scorta di una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito. In tali ipotesi l’appellato, oltre a censurare la soluzione a lui negativa, motivando l’appello ex art. 342 c.p.c, dovrà riproporre espressamente le conclusioni di merito e le istanze non esaminate in quanto assorbite33. Per ricapitolare, l’impugnazione incidentale è il mezzo attraverso cui devolvere in appello le domande e le eccezioni respinte dal giudice di primo grado, criticando la sentenza impugnata con l’allegazione di errores in procedendo o in iudicando. Solleva, pertanto, un motivo di nullità o di ingiustizia, devolvendo al giudice di appello le domande o le eccezioni decise – esplicitamente o implicitamente – dalla sentenza impugnata, ovvero non esaminate in violazione di uno specifico dovere34. Di contro, la riproposizione è il mezzo per devolvere al giudice d’appello le domande e le eccezioni rimaste prive di una pronuncia nella sentenza di primo grado, senza errori di procedura o di giudizio. Il discrimen tra l’uno e l’altra sta proprio nell’attività critica svolta, di cui la riproposizione è priva. Alla luce di ciò occorre però interrogarsi sulla figura dell’assorbimento. La giurisprudenza ha raggiunto un orientamento consolidato: quanto alle domande esso è configurabile in relazione alle ipotesi di cumulo condizionato, ovvero in caso di proposizione dalla parte attorea di più domande graduate; da cui ne deriva che l’accoglimento della domanda principale produca sostanzialmente (e conseguenzialmente) un assorbimento delle altre35. Esempio è quando la sentenza di primo grado abbia rigettato una domanda36 dell’attore, comunque totalmente vittorioso nel merito. Ipotesi, questa, configurabile solo se il rigetto 32 Così Cass. 24 maggio 2007, n. 12162, in Rep. Foro it., 2007, voce Appello civile, n. 36; Cass. 28 ottobre 2005, n. 21087, ivi, 2005, voce cit., n. 100; Cass. 18 aprile 2000, n. 5065, ivi, 2000, voce cit., n. 42; A. TEDOLDI, L’onere di appello incidentale nel processo civile, cit., p. 1311 ss. 33 Così A. TEDOLDI, L’appello civile, cit., p. 211 s., il quale, però, opportunamente ricorda che tale regola “non trova rigorosa applicazione in caso di impugnazione della decisone che abbia giudicato inammissibile la domanda in primo grado, quale espressione della volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale”, o, ancora, in caso di impugnazione che investa l’intera materia del contendere, non sussistendo (in tale occasione) un onere di riproposizione specifica di quanto non sia stato in precedenza accolto. 34 Così M. A. COMASTRI, Note in tema di riproposizione in appello di domande ed eccezioni assorbite, nota a Cass., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940, in Riv. dir. proc., 2019, p. 1363. V. anche Cass., sez. un., 12 maggio 2017, n. 11799, in Riv. dir. proc., 2018, p. 258 ss.; o ancora Cass., sez. un., 16 aprile 2016, n. 7700, in Corr. giur., 2016, p. 968 ss., con nota di C. CONSOLO, Breve riflessione esemplificativa (oltre che quasi totalmente adesiva) su riproposizione e appello incidentale, secondo cui, le “domande non accolte” ex art. 346 c.p.c., sono quelle non esaminate per rituale assorbimento e non anche quelle respinte, che necessitano dell’impugnazione. Esempio classico sono le domande subordinate, per cui, una volta accolta quella principale, risulta inutile pronunciarsi anche sulla domanda subordinata – che sarà, pertanto, assorbita e riproponibile -. Il suddetto esempio si distingue, però, dall’ipotesi in cui il giudice, non rispettando il nesso di subordinazione, accolga la domanda subordinata, ommettendo l’esame della domanda principale– si registra così, in relazione a quest’ultima, non un assorbimento ma una omessa pronuncia, ovvero un error in procedendo impugnabile -. L’a., però, si discosta dalla distinzione operata dalla Corte tra le domande con e senza una differenza di valore evidenziatrice di un interesse oggettivo; per cui, nell’ultima ipotesi, l’attore potrà esercitare solo l’appello incidentale, mancando l’interesse ad impugnare per primo, nella prima, invece, sarà libero di fare appello (che sia principale o incidentale). Difatti il vincolo di subordinazione voluto dalla parte non può essere rimesso in discussione dal giudicante. Tale orientamento, sempre secondo l’a., è ancor meno persuasivo considerato che “l’appello incidentale – riconosciuto dalla Corte all’attore che si sia visto accogliere solo la domanda subordinata – non viene configurato come condizionato”. 35 Se il soccombente sulla domanda principale dovesse promuovere appello, l’appellato potrà riproporre la domanda formulata in via subordinata, senza dover ricorrere all’appello incidentale. 36 Intesa come domanda giudiziale, ovvero (storicamente) “l’atto con cui la parte, affermando l’esistenza di una concreta volontà di legge che le garantisce un bene, dichiara di volere che questa sia attuata e invoca a tale scopo l’autorità dell’organo giurisdizionale”, G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, p. 248 ss. Ciononostante, per la dottrina maggioritaria, con l’espressione di “domande”, l’art. 346 c.p.c. include anche le ragioni o i motivi che caratterizzano la

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tocchi una c.d. domanda alternativa a quella accolta37, in quanto in tutti gli altri casi si registrerebbe col rigetto (espresso o implicito) una soccombenza pratica e, consequenzialmente, l’onere di appello38. In tale ipotesi l’attore non ha interesse ad impugnare - in via principale - la sentenza; dubbio è se egli sia tenuto all’appello incidentale, ex art. 343 c.p.c., o alla riproposizione, di cui all’art. 346 c.p.c., in caso di appello proposto dalla controparte. Da più di un decennio39 la giurisprudenza propone, nella specie, la tesi per cui la parte vittoriosa nel merito ha solo l’onere di manifestare esplicitamente la volontà di riproporre le domande e/o le eccezioni respinte o assorbite, per evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c.40. Tra le “domande non accolte”, a cui fa riferimento la norma in esame, rientrano non solo quelle assorbite (e, pertanto, non esaminate), ma anche le domande esplicitamente/implicitamente rigettate, purché rispetto ad esse la parte si trovi in una posizione di soccombenza soltanto teorica41. Tale principio, però, trova applicazione in relazione alle domande ed eccezioni attraverso cui l’appellato tenda a mantenere ferma la decisione a lui favorevole. Se, invece, l’appellato volesse mirare ad un vantaggio maggiore, ovvero ad una riforma in melius, la devoluzione dovrebbe avere luogo attraverso l’impugnazione incidentale42. Nel caso di domande alternative, l’appellato, alla luce di ciò, data la suddetta indifferenza all’accoglimento di una pretesa anziché dell’altra, non può ambire ad un’utilità maggiore; motivo per cui la devoluzione della domanda (alternativa) non accolta dovrà avvenire con la riproposizione e non con appello incidentale. Ciononostante, la dottrina maggioritaria, al fronte della riforma del 2012, ovvero dell’art. 342 c.p.c., sottolinea la necessità di un apposito gravame incidentale. L’art. 342 c.p.c., nell’esigere “l’indicazione delle parti del provvedimento oggetto d’impugnazione”, spinge la parte, ai fini del riesame di una statuizione sfavorevole, alla proposizione di un apposito motivo di gravame43. Conclusione, questa, applicabile a tutti i casi di domanda alternativa respinta, che

domanda. A tal proposito A. CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione, Padova, 1973, p. 298; G. MONTELEONE, Limiti alla proponibilità di nuove eccezioni in appello, p. 714. Sul punto però, permane l’incertezza su di una comprensione o non anche delle istanze istruttorie. Il problema della devoluzione delle istanze istruttorie respinte in primo grado risulta, difatti, una questione di non poco conto. Tradizionalmente, disponendo l’art. 346 c.p.c. sul thema decidendum e non sul thema probandum, non trova applicazione circa le istanze istruttorie. Nella giurisprudenza si riscontrano tre orientamenti: il primo, ritiene le istanze istruttorie implicitamente richiamate con la riproposizione (Cass. 5 luglio 1996, n. 6170, in Foro it., 1997, I, c. 2262); il secondo, secondo cui si intendono rinunciate le istanze istruttorie respinte in primo grado e non riproposte nel grado successivo (Cass. 27 ottobre 2009, n. 22687, in Rep. Foro it., 2009, voce Appello civile, n. 53); il terzo, sottolinea la necessità di sollevare un apposito motivo di gravame. Tra le tre, la soluzione maggiormente condivisibile, soprattutto in virtù del riformato art. 342 c.p.c., è la terza. Ciò, però, in caso di rigetto; per quelle assorbite, invece, sarà sì necessaria l’iniziativa di parte per non incorrere nella presunzione di rinuncia, ma non lo sarà l’impugnazione. 37 Cioè le domande caratterizzate da un nesso di alternatività, ovvero caratterizzate da un’indifferenza rispetto al loro accoglimento, non subendo l’attore pregiudizio dal rigetto di una di esse, conseguendo (comunque) il bene della vita preteso. v. G. TARZIA, Appunti sulle domande alternative, in Riv. dir. proc., 1964, p. 252 ss. 38 v. V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, in Riv. dir. proc., 2018, p. 429. A tal proposito, si rinvia a nota 30. 39 Cass., sez. un., 24 maggio 2007, n. 12067, in Rep. Foro it., 2007, voce Appello civile, n. 35; o ancora Cass. 20 giugno 2014, n. 14085, in Guida al dir., 2011, n. 43, p. 61. 40 V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, cit., p. 429. 41 Sempre Cass., sez. un., 24 maggio 2007, n. 12067, in Rep. Foro it., 2007, voce Appello civile, n. 35; Cass. 16 giugno 2020, n.

11653, ivi, 2020, voce cit., n. 52.

42 Cass. 10 marzo 2006, n. 5249, in Rep. Foro it., 2006, voce Appello civile, n. 39. 43 Così V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, in Riv. dir. proc., 2018, p. 430. V. anche A. TEDOLDI, I motivi specifici e le nuove prove in appello dopo la novella <<iconoclastica>> del 2012, in Riv. dir. proc. 2013, p. 144; G. COSTANTINO, La riforma dell’appello, in Il Giusto proc. civ., 2013, p. 20 ss.; M. RUSSO, Le novità in tema di appello dopo a L. 7 agosto 2012 n. 134, in Giur. it., 2013, p. 230 ss.

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sia incompatibile – sotto un mero profilo sostanziale – con quella accolta, oppure fondata su fatti costitutivi che possono coesistere con quelli della seconda44. Ne emerge che nel primo caso la sentenza contiene evidentemente una statuizione su entrambe le domande, precludendo la configurazione di un assorbimento, in quanto l’incompatibilità fra le pretese implica sempre che l’accoglimento di una di esse comporti il rigetto – esplicito o implicito – dell’altra. Chiaro è che in tale ipotesi, come nella seconda, l’attore non avrà interesse ad una impugnazione in via principale, avendo conseguito comunque il riconoscimento del diritto chiesto. L’interesse dell’attore ad impugnare il rigetto può sorgere solo in virtù della impugnazione principale del convenuto (soccombente pratico), ovvero in virtù del rischio di perdere la vittoria ottenuta nel precedente grado. L’eventuale riesame non potrà quindi essere chiesto attraverso la riproposizione, ma solo attraverso l’impugnazione incidentale, in quanto si registrerebbe una critica che può materializzarsi solo nelle forme dell’impugnazione45. Alla luce di ciò ben si potrà affermare – come già si diceva - che il rapporto tra appello incidentale e mera riproposizione non sia (più) sorretto dai concetti di soccombenza pratica e soccombenza teorica, ma da un altro (e più semplice) criterio: se la parte intende sottoporre a critica la decisione, dovrà avvalersi dell’appello incidentale; se la domanda è ritualmente assorbita, trova applicazione l’art. 346 c.p.c.46. Similmente, a rigor di logica, in caso di cumulo litisconsortile. Difatti, ove il giudice di primo grado abbia, in caso di chiamata in garanzia, rigettato la domanda principale e non abbia deciso su quella di garanzia – in quanto la relativa decisione era subordinata all’accoglimento della domanda principale -, l’appellato può riproporla affinché sia decisa, senza ricorrere all’impugnazione incidentale47. Quanto alle singole questioni, il fenomeno de quo può 44 Il riferimento è di certo, nel primo caso, al c.d. cumulo alternativo puro, e, nel secondo caso, al c.d. cumulo alternativo condizionale. Nella prima ipotesi, difatti, è pacifico per la giurisprudenza che la parte processuale possa proporre, all’’interno del medesimo processo, in subordine o in alternativa, delle domande incompatibili. v. Cass. 30 maggio 2013, n. 13602, in Rep.. Foro it., 2013, voce impugnazioni n. 21; G. TARZIA, Appunti sulle domande alternative, in Riv. dir. proc., 1964, p. 253 ss.; L. SALVANESCHI, L’interesse ad impugnare, Milano, 1990, p. 199 ss. Nella seconda ipotesi, invece, l’alternatività è “espressione dell’indifferenza della parte all’accoglimento di una delle domande alternative, registrando una pretesa al riconoscimento di un unico diritto”, basato (però) su causae petendi diverse (V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, cit., p. 431. 45 Così Cass. 19 aprile 2016, n. 7700, in Corr. giur., 2016, 978, per cui il legislatore ha con la riproposizione alluso alla prospettazione al giudice d’appello di domande ed eccezioni che, in quanto soltanto riproposte, cioè proposte come lo erano state al primo giudice, non sono state da questi considerate nella formulazione della motivazione. 46 v. V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera riproposizione, cit., p. 431, la quale sottolinea che diverso

dall’assorbimento è l’ipotesi del vizio di omessa pronuncia. “Ove il giudice, difatti, ometta l’esame e la decisione della

domanda, violando l’art. 112, comma 1, c.p.c., l’omissione va ad integrare un vizio di nullità della sentenza, denunciabile ex

art. 161, comma 1, c.p.c.”. In siffatta ipotesi, la parte, oltre a poter riproporre la domanda in un separato giudizio, potrà

reiterarla in sede di impugnazione attraverso la formulazione di un apposito motivo di appello, teso a far valere la suddetta

violazione (tra le più recenti, v. Cass. 12 febbraio 2016, n. 2885, in Dejure e Cass., 27 maggio 2019, n. 14434, in Rep. Foro it.,

2019, voce Appello civile, n. 54). Ci si trova innanzi ad un error in procedendo, che comporta una soccombenza – almeno

parziale -, che preclude la possibilità di ricorrere all’art. 346 c.p.c.

47 Le Sezioni Unite si sono recentemente pronunciate, infatti, sulla questione dell’attività a cui è tenuto il convenuto-appellato per devolvere al giudice del gravame la domanda di garanzia rimasta assorbita in primo grado dal rigetto della pretesa attorea (Cass., sez. un., 19 aprile 2016, n. 7700, in Corr. giur., 2016, 978). La querelle prende le origini da due orientamenti opposti: il primo sosteneva la necessità dell’appello incidentale condizionato; il secondo che fosse sufficiente la mera riproposizione ex art. 346 c.p.c., non configurandosi, rispetto alla domanda, alcun tipo di soccombenza che potesse giustificare la proposizione del gravame. La soluzione abbracciata è la seconda, basata (però) su di una motivazione diversa: il fulcro non è il difetto di soccombenza, ma il difetto legittimo di pronuncia. Se il giudice dichiara non fondata la domanda principale, non sussistono le condizioni per un esame della domanda di garanzia, che deve quindi essere considerata assorbita. Ne emerge la carenza di una pronuncia sulla domanda di garanzia (legittima), motivo per cui, non potendo essere mossa una critica, non sarà necessaria l’impugnazione, essendo sufficiente la riproposizione. Per le suddette ragioni, quindi, imporre l’appello incidentale attribuirebbe una funzione ultronea a tale strumento. Cfr. V. BATTAGLIA, Appunti sui rapporti tra appello incidentale e mera

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configurarsi tanto dal lato dell’attore che del convenuto. Classico esempio della prima ipotesi si ha con l’allegazione da parte dell’attore, a fondamento di una domanda autodeterminata, di più fattispecie costitutive in concorso tra loro48. Quanto al lato del convenuto, l’assorbimento può prodursi quando siano state dedotte più eccezioni e la domanda sia stata respinta in base ad una di esse, omettendo l’esame delle rimanenti, in applicazione del principio della ragione più liquida. Anche nelle suddette ipotesi, in caso di impugnazione l’appellato potrà ricorrere alla riproposizione ex art. 346 c.p.c., non avendo l’onere dell’impugnazione incidentale. Mutano, invece, le conseguenze della omessa riproposizione, rispetto all’omessa impugnazione, in caso di questioni. Mentre con la omessa impugnazione di una questione si configura (sempre) una preclusione per acquiescenza, in caso di questione assorbita, ed omessa riproposizione, occorre fare una distinzione tra quelle rilevabili d’ufficio e quelle la cui rilevazione è riservata alla parte. In quest’ultimo caso l’omissione, che qualifica una rinuncia, preclude l’esame del giudice; nel primo caso, invece, l’omissione, ovvero la rinuncia, non preclude il potere di rilevazione del giudice, in quanto non condizionato dall’iniziativa di parte49.

5. Brevi cenni sul giudicato implicito Non da meno, la pronuncia in esame si innesta nel complicato dibattito relativo alla configurabilità del giudicato implicito, offrendo alcuni spunti d’analisi; motivo per cui occorre – brevemente - soffermarsi anche su tale istituto. Come ormai noto, sulla scorta di orientamenti giurisprudenziali50, le maglie del giudicato51 interno sono state allargate fino a configurare una autonoma categoria, tesa a coprire ogni antecedente logico-giuridico necessario di una questione risolta espressamente. Tale istituto è il giudicato implicito, ovvero un giudicato su una decisione inespressa, ritenuta esistente in

riproposizione, cit., p. 435. In tema, si veda, tra le più recenti, Cass. 17 giugno 2019, n. 16148, in Rep. Foro it., 2019, voce Appello civile, n. 74. 48 Altri esempi, più esaustivi, in C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Milano, 2019, p. 493 ss. 49 In tal senso M. A. COMASTRI, Note in tema di riproposizione in appello di domande ed eccezioni assorbite, cit., p. 1365 ss. Non da meno, rileva, a tal proposito, l’individuazione del termine della riproposizione ex art. 346 c.p.c. compiuta da Cass., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940, in Giur. it., 2019, p. 2648 ss. Abbandonata la tesi che ammetteva l’appellato ad esercitare la facoltà di riproposizione sino all’udienza di precisazione delle conclusioni, per la Corte, come sostenuto dapprima dalla dottrina maggioritaria (v. V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1945, p. 327, o, ancora, S. CHIARLONI, L’impugnazione incidentale nel processo civile, Milano, 1969, p. 220 ss.), la riproposizione deve avvenire all’atto della costituzione nel giudizio di appello, potendo però la parte, a differenza di quanto previsto dall’art. 343 c.p.c. per l’appello incidentale, costituirsi sino all’udienza. In tal modo si garantirebbe non solo un ordinato svolgimento del processo, ma anche il pieno svolgimento del contraddittorio, posto che la parte destinataria della riproposizione può argomentare quest’ultima sino alla comparsa conclusionale. 50 v. E. ALLORIO, Critica alla teoria del giudicato implicito, in Riv. dir. proc., 1938, p. 246, il quale dichiara che da tempo i repertori di giurisprudenza sono imbevuti della dottrina del giudicato implicito, e p. 247, note 1-5, per ogni ulteriore riferimento. 51 E. T. LIEBMAN, <<Parte>> o <<capo>> di sentenza, in Riv. dir. proc., 1964, p. 52, e Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984, configura il formarsi del giudicato nel fenomeno del limite alla possibilità di riesame della pronuncia giudiziale, con la conseguente incontrovertibilità-immunità della statuizione contenuta nella sentenza conclusiva del giudizio. Ovviamente l’art. 324 c.p.c. va letto in parallelo con l’art. 2909 c.c., per cui la sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. In particolare l’art. 324 c.p.c. ricollega il passaggio in giudicato all’esercizio del potere di impugnazione, per cui passa in giudicato la sentenza non più suscettibile di impugnazione con i mezzi ordinari. Il riferimento ai mezzi ordinari fa sì che la suddetta situazione di incontrovertibilità-immutabilità non sia però assoluta, ovvero le sentenze passate in giudicato potranno comunque essere impugnate con i mezzi di impugnazione straordinari.

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via implicita, in quanto si cela dietro la soluzione (espressa) di altra questione, poiché giuridicamente e logicamente pregiudiziale rispetto a quest’ultima52. Pertanto, la nozione di giudicato implicito postula quella di decisione implicita, consistente nella statuizione contenuta in un provvedimento, ma non espressa in termini formali. Ciò sta a significare che la volontà decisoria del giudice viene sì manifestata, ma il ragionamento sillogistico che sta alla sua base è caratterizzato da proposizioni espresse, ma anche da proposizioni inespresse che, essendo implicate da quelle espresse, sono da quest’ultime deducibili53. In altri termini, la teoria del giudicato implicito si basa sulla configurazione di un ordine logico-giuridico precostituito di formulazione del giudizio54. Ne emerge che all’interno del quadro logico della decisione complessiva si collocano i passaggi - di rito o di merito - che conducono alla decisione finale. Come sottolineato dalla giurisprudenza55 tali passaggi sono effigiati nella prescrizione dell’art. 276, comma 2, c.p.c., da cui scaturisce un obbligo imposto dalla legge di decidere prima le questioni pregiudiziali, logiche o tecniche, e - in seguito - il merito. Pertanto, se il giudice decide il merito, data la regola della decisione gradata – in coerenza con la ratio stessa del processo – si deve presumere che egli abbia quindi deciso, anche implicitamente, altresì le questioni pregiudiziali o preliminari avanzate dalle parti o rilevabili d’ufficio56. Nello specifico, per quanto concerne il giudicato implicito sulle questioni di merito, appare evidente che esso è strettamente legato alla nozione di pregiudizialità in senso logico. La giurisprudenza – come visto – è costante nel ritenere che l’efficacia del giudicato copre non solo la pronuncia finale, ma anche l’accertamento che presenta la veste di presupposto logico-giuridico della decisione57. Conseguenza è il formarsi del giudicato anche sulla pregiudiziale, in quanto la decisione di merito non può che essere il frutto (anche) di un accertamento dell’esistenza del rapporto giuridico alla base della pretesa. Tale pregiudiziale in senso logico va però distinta da quella in senso tecnico, cioè “la situazione che, pur essendo un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio, vanta un’autonomia ed indipendenza dal fatto costitutivo del suddetto effetto, poiché è solo passibile di accertamento incidentale”58 (salvi i casi in cui, su istanza di parte o per previsione di legge, sia richiesta una decisione con attitudine al giudicato). Ma il giudicato implicito può toccare anche questioni processuali. Ciò è desumibile da una lettura in combinato disposto degli artt. 276, comma 2, 279, comma 2, e 187, comma 2 e 3, c.p.c., che assumono le pregiudiziali di rito nell’ordine delle questioni da trattare in occasione

52 Cfr A. ROMANO, Contributo alla teoria del giudicato implicito sui presupposti processuali, in Giur. it., 2001, p. 1233; G. FANELLI, Progressione logico-giuridica tra i presupposti processuali, poteri delle parti e distorsioni del giudicato implicito; in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 1596. 53 Così L. MANCINI, Il giudicato implicito sulle questioni processuali, nota a Cass., 17 maggio, n. 10088, in Giust. civ. com, 11, p. 2016. 54 Per un’accurata disamina si rinvia a P. BIAVATI, Appunti sulla struttura della decisone e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., IV, 2009, p. 1300 ss.; R. VACCARELLA, Economia di giudizio e ordine delle questioni, in Giusto proc. civ., 2009, p. 640 ss. 55 Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Rep. Foro it., voce Giurisdizione civile, n. 212. 56 Da qui è d’obbligo chiarire che non si deve confondere l’ordine di trattazione delle questioni e l’ordine di decisione delle questioni. Tale precisazione è confermata, difatti, dal quadro normativo, con gli artt. 276, comma 2, c.p.c. e 118, comma 2, disp. att. c.p.c. che disciplinano (il primo) l’attività decisoria e (il secondo) la struttura della motivazione della sentenza. 57 Cass. 4 marzo 2020, n. 6091, in Rep. Foro it., 2020, voce Cosa giudicata civile, n. 6; Cass. 19 marzo 2018, n. 6716, ivi, 2018, voce cit., n. 5; Cass. 28 novembre 2017, n. 28415, ivi, 2017, voce cit., n.28; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1285, in Foro it., 2006, I, c. 700; Cass. 1° febbraio 1994, n. 990, in Rep. Foro it., 1994, voce Cosa giudicata civile, n. 9. 58 L. MANCINI, Il giudicato implicito sulle questioni processuali, cit.

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della pronuncia sulla domanda59. Difatti è ormai pacifico che ricorre il giudicato implicito tutte le volte in cui tra la questione decisa e quella tacitamente risolta esiste un rapporto di dipendenza, al punto che le questioni decise pur implicitamente rappresentano il presupposto logico-giuridico del provvedimento definitivo60. La decisione sul merito implica, dunque, anche una (non espressa) dichiarazione sulle condizioni di procedibilità, motivo per cui la mancata impugnazione della statuizione implicita determina il formarsi del giudicato61. Dal novero di tali condizioni processuali devono, però, essere escluse quelle il cui difetto porta ad un’ipotesi di nullità che esige un controllo in ogni stato e grado del processo, a prescindere dall’onere di impugnazione. Il riferimento è ai presupposti la cui carenza è preclusiva della stessa ammissibilità dell’azione, in quanto determinano l’assenza della potestas iudicandi e della legitimatio ad causam62. Difatti, su tale tematica, nota è la pronuncia delle Sezioni Unite63 che ha stabilito il principio per cui se il giudice ha deciso il merito, si deve ritenere che abbia deciso, in senso positivo, la questione pregiudiziale della giurisdizione64. Per evitare conseguenze eccessive, frutto dell’applicazione del suddetto principio, sempre le Sezioni Unite hanno sottolineato come la logica della consumazione del potere di rilievo officioso nel passaggio dal primo al secondo grado non può essere applicata per le questioni di rito fondanti l’equo ed efficace processo, che non si possono considerare implicitamente risolte, ma soggette alla verifica dei giudici delle impugnazioni, in quanto tese a tutelare l’ordinamento dal disvalore di sistema costituito dall’emissione di sentenze inutiliter datae65. Diverse, invece, sono le questioni di rito di minor rilievo, cioè quelle che non condizionano l’efficacia e l’utilità della decisione. Distinzione, questa, fondamentale, in quanto solo per le prime non è possibile precludere al giudice dell’impugnazione il rilievo della questione non espressamente risolta nel grado di giudizio precedente. Il motivo è presto detto: “le questioni fondanti necessitano di una pronuncia esplicita ai fini del passaggio in giudicato, non potendo essere considerate implicitamente decise attraverso la decisione nel merito”66. Ciò premesso, risulta complesso stabilire quali siano le questioni fondanti l’equo ed efficace processo e quali non lo siano. Ciononostante, la giurisprudenza, nel percorso ermeneutico in crescendo intrapreso, ha annoverato tra le prime il difetto di integrazione del contraddittorio e di legittimatio ad processum, ovvero il difetto assoluto di potestas iudicandi (come nel caso di vizio di legittimatio ad causam o di mancato rispetto dei termini di decadenza per l’esercizio dell’azione, o altresì la litispendenza o il giudicato interno, o ancora la violazione del divieto 59 P. BIAVATI, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. dir. proc. civ., 2009, p. 1301 ss. 60 v. MANCINI, op. cit... O, ancora, Cass., 4 febbraio 2000, n. 1219, in Foro it., 2000, c. 119. 61 Questo secondo la giurisprudenza (più recente) maggioritaria. V Cass., sez. un., 4 febbraio 1998, 12699, in Giust. civ., 1999, p. 1691; o ancora Cass. 2 febbraio 2011, n. 2427, in Rep. Foro it., 2011, voce Cosa giudicata civile, n. 18. Ciononostante, altra parte della giurisprudenza è di senso contrario: l’impugnazione della pronuncia di merito è sufficiente ad impedire il formarsi del giudicato sulla statuizione implicita della questione processuale. Difatti, se la questione di merito viene (ri)messa in discussione, anche l’accertamento implicito (processuale) risulta toccato dall’impugnazione, precludendone la “cristallizzazione”. V., in tal senso, Cass. 30 ottobre 2008, n. 26019, in Giur. it., 2009, p. 1459 ss. 62 Alla stregua dell’indirizzo inaugurato da Cass., sez. un., 2008, n. 26019, ivi. 63 Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, in Foro it., 2009, I, c. 806 ss. 64 Si veda tra le ultime Cass. 19 marzo 2020, n. 7454, in Rep. Foro it., 2020, voce Giurisdizione civile, n. 19. Come si diceva, tale

rappresentazione trae origine dalla teoria del c.d. doppio oggetto del processo, per cui nel processo vi sarebbero due diversi

oggetti del giudizio: il primo processuale, ovvero il dovere del giudice di decidere il merito della causa, il secondo sostanziale,

ovvero il dovere di accertare la fondatezza della domanda.

65 M. ABBAMONTE, Sulla rilevabilità ex officio da parte del giudice d’appello della tardività della domanda riconvenzionale rigettata nel merito in primo grado, in Giustizia civile.com, 6, 2020. 66 M. ABBAMONTE, op. cit.

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dei nova ex art. 345 c.p.c.)67. Si tratta, però, di una elencazione esemplificativa, che non fornisce criteri classificatori esaustivi. Pertanto, resta un pericoloso stato d’incertezza, in cui l’ampia discrezionalità vantata dai giudici apre (inevitabilmente) ad imprevedibili oscillazioni giurisprudenziali68.

6. Cass., 21 febbraio 2020, n. 4689 e considerazioni finali Nella fattispecie, M.P. ha chiesto una condanna al risarcimento dei danni a D.L. Il tribunale adito ha accolto la domanda, rigettando implicitamente l’eccezione di prescrizione, sollevata tardivamente dalla parte convenuta nelle memorie ex art. 183 c.p.c. e non nella comparsa di costituzione. La parte soccombente ha proposto appello, ribadendo l’eccezione di prescrizione, che la Corte ha accolto in quanto, anche se ab origine proposta tardivamente, l’attore vi avrebbe fatto acquiescenza, non avendo eccepito la decadenza in prime cure e non avendo riproposto la relativa questione con appello incidentale, determinando un giudicato implicito sul punto. M.P. ricorre proponendo un solo motivo: l’errata interpretazione degli artt. 345 e 346 c.p.c. Come sottolineato dalla Corte, il ricorrente (M.P.) era stato vittorioso in primo grado, motivo per cui non aveva l’onere di appello incidentale sulla questione. Ciononostante, i controricorrenti adducono che, seppur sollevato dall’onere di impugnazione incidentale, M.P. avrebbe dovuto comunque riproporre la questione ex art. 346 c.p.c.; e non avendolo fatto avrebbe prestato acquiescenza. La Corte, tuttavia, ritiene tale argomento non pertinente nel caso concreto. Ciò perchè l’onere di riproporre un’eccezione, in quanto adempimento dell’onere originario di eccepire, sussiste solo quando la parte aveva già l’onere di sollevare la questione in primo grado. In caso contrario, si introdurrebbe un onere in sede d’appello che in primo grado non sussisteva, in quanto la decadenza era rilevabile d’ufficio. Ciò esclude che si sia formato il giudicato sulla questione di decadenza; sicché la questione stessa è rimasta ancora discutibile e, pertanto, rilevabile d’ufficio senza bisogno della riproposizione. Non da meno, sulla prescrizione v’era appello (principale) dei convenuti, che dunque hanno introdotto il thema decidendum, rispetto al quale non era venuto (quindi) a mancare il potere di rilievo del giudice. In ultimo, sottolineando che il giudice di appello ha gli stessi poteri officiosi del giudice di primo grado, la Corte non ritiene consumato il potere officioso di rilevare la decadenza se sulla questione non si sia formato giudicato69.

67 Si veda sempre Cass., sez. un., 30 ottobre 2008, n. 26019, in Giur. it., 2009, p. 1459 ss. 68 v. M. ABBAMONTE, Sulla rilevabilità ex officio da parte del giudice d’appello della tardività della domanda riconvenzionale rigettata nel merito in primo grado, cit. 69 Alla luce di ciò, seppur la motivazione – come premesso nel § 1, e come vedremo a breve – risulta condivisibile, non può

non essere avvertito un senso di ingiustizia sostanziale, anche in virtù del divieto sancito dall’art. 345 c.p.c. – vedi § 3 –. Ne

emerge, difatti, una problematica assai nota, in ordine alle preclusioni: chiudere alle parti la possibilità di introdurre ulteriori

temi di indagine, implica inconfutabilmente il sacrificare la possibilità che il processo possa chiudersi con una sentenza giusta,

ovvero l’effettività della tutela, all’altare della ragionevole durata del processo. Difatti, ormai da tempo la giurisprudenza non

esita a sacrificare la garanzia di effettività della tutela ai fini di una rapida chiusura della lite, attraverso la massima

compressione dei tempi processuali. Effettività della tutela che, però, sempre di più invoca un ampliamento dell’oggetto del

giudizio di appello, per svincolarsi dalla concezione machiavellica del processo adottata dal legislatore. Ad, esempio,

l’incoerenza nel limitare il potere di modificazione delle parti in sede d’appello è evidenziata dal dettato di cui all’art. 282

c.p.c. - secondo cui la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva -, che di fatto “disincentiva l’uso dell’appello per

scopi dilatatori”. Anche l’ampiezza del giudicato, ed il conseguente depauperamento della possibilità delle parti di aprire un

(nuovo) processo per rimediare ad un proprio errore, dovrebbe spingere per la possibilità (concessa alle parti) di portare in

secondo grado ciò che non possono più portare innanzi ad un nuovo giudice. Segnali di apertura si riscontrano, ciononostante,

nella giurisprudenza più recente, in tema di deduzione in giudizio di crediti a petitum frazionabile, di riqualificazione giuridica

della fattispecie, di azioni di impugnative contrattuali – e “se si accetta la possibilità di recuperare in appello l’eccezione di

nullità o quella di adempimento, difficilmente si riesce a spiegare l’esclusione della possibilità di avanzare un’eccezione di

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In tal modo, la sentenza che si commenta presenta numerosi profili di interesse, tutti piuttosto rilevanti, anche sul piano sistematico. Un primo profilo tocca l’appello incidentale ex art. 343 c.p.c. Occorre, qui, ragionare in termini di interesse ad impugnare, per cui la necessità di un’impugnazione incidentale sussiste solo se l’attore vittorioso in primo grado, poi appellato, abbia uno specifico e giuridico interesse. Ciò sta a significare che, con l’appello incidentale, l’attore appellato non mira ad una conferma della prima decisione, ma persegue una sua sostituzione attraverso una decisione ancora più favorevole e conforme alle sue iniziali conclusioni. L’appello incidentale è dunque necessario per contrastare un (presunto) errore del primo giudice, distinguendosi dalla mera riproposizione, di cui all’art. 346 c.p.c., alla luce “dell’esistenza di una soccombenza, ovvero di un interesse a vedere modificata la decisione resa in prime cure e contraria a quando chiesto dalla parte”. Se tale interesse si rinviene, allora è necessario impugnare, criticando la soluzione adottata dal primo giudice. Similmente nel caso di omessa pronuncia su di una domanda che la parte espressamente aveva chiesto venisse esaminata70. Se tutte le questioni sono state risolte nel senso prospettato dalla parte, o sono rimaste assorbite, allora l’appello incidentale non è ammissibile, in quanto viene meno l’attività di critica che presenta la veste di presupposto indissolubile di tale strumento. L’art. 346 c.p.c., invece, come sopra detto, fa essenzialmente riferimento all’attività della parte appellata tesa ad ottenere la conferma della sentenza, impugnata dalla controparte, e non una reformatio in melius, ancorché parziale, o una qualunque modifica. La norma, perciò, non si applica alle domande espressamente respinte, ma a quelle che siano rimaste tecnicamente assorbite dall’accoglimento della domanda principale, avanzate in subordine o in alternativa, e non esaminate dal giudice di prime cure. Attraverso tale istituto, pertanto, l’appellato manifesta la sua volontà di provocarne il riesame, non rinunciandovi. Nello specifico una volta che l’eccezione sia stata ritenuta infondata, il riesame è condizionato all’iniziativa di parte, che si tratti di eccezioni in senso stretto ovvero in senso lato – tale distinzione, dunque, perde effetto una volta che sulla questione sia intervenuta una pronuncia71 -. La sopracitata distinzione mantiene, però, rilevanza allorché l’eccezione sia rimasta assorbita in prime cure, oppure non sia stata esaminata, perché se è vero che di fronte prescrizione” (come nella fattispecie oggetto della sentenza in esame) -. Nasce (così) la necessità di volgere lo sguardo verso

il sistema di giustizia civile francese. In Francia è infatti forte l’esigenza di assicurare, alla parte che si è dimenticata di allegare

un fatto o di prospettare l’applicabilità di una certa norma giuridica, la possibilità di porre rimedio al proprio errore, ovvero

di non cristallizzare la lite a come prospettata attraverso gli atti introduttivi, dato il rischio di conseguire – in tal modo – una

ingiustizia sostanziale. Pertanto, è dal confronto con l’ordinamento francese, teso a conservare l’appello come giudizio a

struttura aperta (voie d’achévement du litige), che derivano i maggiori spunti di riflessione sulla struttura dell’appello,

aprendo ai poteri di modificazione, strumentali alla massimizzazione del principio di efficacia della tutela, che possa anche

sconfessare la proliferazione dei processi – favorendo (così) una riunione di tutte le controversie, che prendono origine dal

medesimo episodio, in un unico processo -: così B. GAMBINERI, Mutatio ed emendatio libelli in appello, cit., p. 692 ss. e ID.,

L’evoluzione dell’appello nell’ordinamento francese tra autorité de la chose jugée e office du juce, in Riv. dir. proc., 2020, p.

315 ss. a cui si rimanda per una maggiore esaustività.

70 C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 2019, p. 507. 71 Così A. TEDOLDI, L’appello civile, p. 221. V. anche Cass., sez. un., 20 gennaio 1998, n. 494, in Foro it., 1998, I, c. 365 e Cass. 8

luglio 1997, n. 6147, in Giust. civ., 1998, I, p. 111, secondo cui “qualora il giudice di primo grado, disattendendo la tesi della

sua inammissibilità, abbia esaminato e rigettato nel merito un'eccezione ritenendola ritualmente acquisita al tema del

dibattito processuale, la parte risultata vittoriosa ha l'onere, a norma dell'art. 346 c.p.c. di riproporre la deduzione di

inammissibilità dell'eccezione nel corso del giudizio di appello (entro l'udienza di precisazione delle conclusioni) e ove non vi

provveda non può, con il ricorso per cassazione, muovere utilmente alla sentenza di secondo grado censure attinenti alla

ritualità dell'eccezione, il positivo riscontro della quale è coperto dal giudicato formatosi sulla statuizione del primo giudice”.

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a una statuizione espressa del giudice di prime cure, attraverso cui viene dichiarata infondata quell’eccezione, si rende in ogni caso necessaria un’iniziativa di parte, onde evitare la preclusione conseguente a giudicato interno, è però altrettanto vero che, innanzi ad una pronuncia non espressa, l’iniziativa di parte risulta necessaria solo per le eccezioni in senso stretto, in quanto per quelle in senso lato rimane il regime della rilevabilità ex officio da parte del giudice in ogni stato e grado del processo72. Pertanto, in tale ipotesi l’onere di riproposizione condiziona la conoscibilità delle sole eccezioni in senso stretto, mentre quelle rilevabili d’ufficio rimangono tali anche in appello. Tale affermazione, fedele all’orientamento tradizionale, è solo apparentemente contrastata dal revirement della Cassazione in tema di giurisdizione, che ha affermato l’inapplicabilità del principio di rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado di cui all’art. 37 c.p.c., ove il giudice di primo grado – pur senza una pronuncia espressa – abbia (però) deciso la causa nel merito, ritenendosi che prima di pronunciarsi nel merito egli abbia deciso implicitamente sulla questione della giurisdizione73. Solo apparentemente perché le stesse Sezioni Unite, intervenendo sul regime processuale delle nullità contrattuali e, pertanto, sull’efficacia di giudicato della decisone, ammettono il rilievo “in assenza di specifica doglianza o di riproposizione a partibus”74. Pertanto, innanzi a eccezioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, il potere del secondo giudice dovrebbe ritenersi ancora sussistente, in quanto il silenzio sulla questione non è in grado di influire sull’ampiezza dei poteri cognitori del giudice d’appello75. Non da meno, il codice di rito prevede che le parti, sino alla precisazione delle conclusioni, possano avanzare eccezioni nuove di cui la legge ammette la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del processo; soluzione, questa, che ben può essere estesa anche al caso in cui sulle stesse eccezioni sia mancata la pronuncia in primo grado76. In definitiva, nel caso in esame non si può ritenere necessaria né la riproposizione in limine litis, né a maggior ragione l’appello incidentale77, in quanto i poteri dell’ufficio restano assorbiti solo dalla definizione del processo, ossia dalla assoluta carenza di un’impugnazione che investa il giudice del grado superiore78. Per ricapitolare: l’art. 346 c.p.c. fa riferimento non solo alle domande, ma anche alle eccezioni non accolte. Deve trattarsi di eccezioni in senso stretto, rimaste assorbite in primo grado, ovvero che non siano state espressamente rigettate; in quest’ultimo caso sarà difatti

72 Cfr. Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in Rep. Foro it., 2015, voce Cosa giudicata civile, n. 13; Cass. 25 luglio 1996, n. 6714, in Giust. civ., 1997, I, p. 126. 73 Rileverebbe qui, anche tenendo in considerazione quanto detto nel paragrafo precedente sul giudicato implicito, la previsione dell’art. 329, comma 2, c.p.c. per cui, in assenza di puntuale impugnazione, opera la presunzione di acquiescenza. Cass., sez. un. 16 ottobre 2008, n. 25246, in Giur. it., 2009, p. 2004 ss. 74 Così A. TEDOLDI, L’appello civile, cit. p. 222. In particolare, v. Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in Foro

it., 2015, I, c. 862 e Cass. 15 settembre 2020, n. 19186, in Dejure.

75 L. BIANCHI, Riproposizione in appello delle eccezioni respinte da parte dell’appellato vittorioso in primo grado, cit., p. 834. 76 Anzi, a ben vedere, se non si erra, alla luce della lettura dell’art. 167 c.p.c. e delle preclusioni che da esso derivano, ne

emerge che la riproposizione in appello dell’eccezione in senso stretto preclusa in primo grado (pertanto non introdotto nel

thema decidendum) implichi l’introduzione – inammissibile – di nova, in violazione dell’art. 345 c.p.c. (nello specifico, comma

II), trattandosi, appunto, di un’eccezione subordinata alla sola iniziativa di parte.

77 Come osservato da L. BIANCHI, Riproposizione in appello delle eccezioni respinte da parte dell’appellato vittorioso in primo grado, in Giusto proc. civ., II, 2017, p. 811 ss.; v., ancora, G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2019 p. 400 ss. 78 Così G. LASERRA, Il giudice dell’impugnazione e le nullità insanabili non dedotte, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1957, p. 571. Contra G. POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, p. 349, che rimette alla esclusiva disponibilità delle parti l’individuazione dei temi oggetto di riesame nelle fasi di impugnazione.

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necessaria l’impugnazione. Sono da ritenersi escluse, invece, dall’ambito della riproposizione le eccezioni in senso lato, poiché “la limitazione del rilievo officioso, soprattutto se su fatti di ordine pubblico, richiede una espressa statuizione legislativa, che invece risulta mancante”. Lo stesso tenore letterale della norma invita a condividere la suddetta tesi. L’art. 346 c.p.c., per l’appunto, presenta l’espressione rinuncia, il che “farebbe riferimento ad un’attività propria della parte verso situazioni giuridiche disponibili”, da cui inevitabilmente vanno sottratti i fatti di ordine pubblico, in quanto “non possono essere riconnessi ad alcun potere di rinuncia”79. Tali fatti vanno dunque intesi come automaticamente devoluti. Ciò può estendersi alle eccezioni officiose di rito80, che implicano addirittura il riferimento al potere stesso del giudice di statuire su quella controversia81 e governano il corretto andamento del procedimento. Sulla scorta di ciò, ben si può affermare che le suddette questioni siano devolute automaticamente al giudice d’appello, “senza che si ravvisi la consumazione del potere giudiziale, né tanto meno la mutazione dell’eccezione in senso lato in eccezione in senso stretto”82. Non da meno, nella sentenza in epigrafe la Corte, giustamente, puntualizza che l’onere di riproposizione rappresenta pur sempre l’adempimento dell’onere originario di eccepire. Una rinuncia ad una eccezione, attraverso la non riproposizione, presuppone un onere che, non adempiuto in prime cure, può utilmente esserlo in appello. Se l’onere non c’è, non è pertanto configurabile una rinuncia. In caso contrario si introdurrebbe un onere in appello che in primo grado non sussisteva, essendo la decadenza rilevabile d’ufficio83.

79 Così G. BASILICO, Sulla riproposizione di domande ed eccezioni in appello, in Riv. dir. proc., 1996, p. 132. 80 Sempre nonostante l’orientamento giurisprudenziale sul difetto di giurisdizione, che ha attratto a sè (si potrebbe dire automaticamente) delle critiche da parte della dottrina. Tra i tanti, F. P. LUISO, Giudicato implicito – i guasti del giudicato implicito, in Giur. it., 2018, 4, p. 871 ss.; ID., Contro il giudicato implicito, in Judicium, 2019, p. 181 ss.; A. PANZAROLA, Contro il cosiddetto giudicato implicito, in Judicium, 2019, p. 309 ss., secondo cui se si insiste ad esigere la tecnica della impugnazione per evitare l’acquiescenza sulla decisione implicita, “lo si fa al prezzo di una finzione, trasformando in censura quella che è in verità la devoluzione nel giudizio in appello di una questione vergine, in quanto non previamente decisa, se non addirittura non discussa, implicando, nel caso, anche una lesione al principio del contraddittorio”. 81 G. MONTELEONE, Limiti alla proponibilità di nuove eccezioni in appello, in Riv. dir. civ., 1983, p. 736. 82 Così G. BASILICO, Sulla riproposizione di domande ed eccezioni in appello, cit., p. 133 s., la quale opportunamente si sofferma sul significato dell’espressione rinuncia e sulla sorte delle domande ed eccezioni non riproposte. Secondo la più tradizionale tesi, ed anche la più valida, “c’è un rapporto diretto ed immediato tra giudicato ed impugnazione, nel senso che il primo è impedito dalla proposizione della seconda”; ne deriva che “se si esula dall’ambito dell’impugnazione, se si esula anche da quello del giudicato”. Se è corretto il presupposto per cui vi è riproposizione di domanda o di eccezione solo in caso di soccombenza reale – in virtù di un rigetto espresso – è da escludere che il legislatore abbia inteso equiparare la presunzione di rinuncia all’acquiescenza: pertanto sulla domanda/eccezione non si forma giudicato. “La mancata riproposizione, dunque, produce un effetto assolutamente endoprocessuale, cioè la domanda o l’eccezione non avrà alcuna rilevanza ai fini dell’appello” (si veda anche V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1945, p. 320 ss.); “la giurisprudenza, invece, è andata oltre, delineando il criterio per cui la sentenza del giudice d’appello che abbia deciso su domande ed eccezioni non espressamente riproposte è viziata da ultrapetizione”. Comunque va (anche) sottolineato che il principio secondo cui l’art. 346 c.p.c. non trova applicazione con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio deve, ovviamente, essere coordinato col sistema delle preclusioni e con l’art. 342 c.p.c., che sancisce la specificità dei motivi d’impugnazione; motivo per cui la libera iniziativa del giudice – in tali ipotesi – va incontro ad un limite ove su tali questioni abbia deciso esplicitamente il giudice di primo grado, ed il punto non sia stato oggetto di impugnazione, o riproposizione. 83 Come noto, il convenuto, oltre a costituirsi e ad essere presente, può svolgere ulteriori attività processuali; difatti, può

porre in essere una c.d. mera difesa, ovvero allegare delle eccezioni, accrescendo la vicenda storica delineata dalla parte

attorea (rimanendo nell’ambito del rapporto o della situazione giuridica dedotta dall’attore), col fine di estinguere, modificare

o impedire l’efficacia dei fatti addotti da quest'ultimo in origine (attraverso la domanda). Ai sensi dell’art. 2697 c.c. l’onere

della allegazione si modella sull’onere della prova; tale relazione è però solo tendenziale, dal momento in cui vi è la sussistenza

di eccezioni rilevabili d’ufficio, dando luogo, infatti, ad una dissociazione fra onere dell’allegazione e onere della prova. Questo

accade quando la parte interessata non eccepisca un dato fatto che può essere rilevato dal giudice quando tale fatto risulti

dagli atti processuali in esame. A tal proposito la giurisprudenza pone in essere una distinzione tra potere di allegazione e

potere di rilevazione della sua efficacia giuridica; il primo compete esclusivamente alla parte, in applicazione del principio

dispositivo e del divieto di scienza privata del giudice, e va incontro a limiti modali e temporali previsti per il rito applicabile

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In ultimo, in relazione all’art. 346 c.p.c. va sottolineato che, per consolidato orientamento dei giudici di piazza Cavour, in virtù del suddetto effetto devolutivo limitato e non automatico, la mancata riproposizione comporta in capo alla parte una vera e propria decadenza, con la formazione del giudicato implicito sul punto. La tematica è affrontata dalla sentenza in epigrafe e, pur rimanendo sottotraccia, riveste grande importanza. Alla luce di quanto detto in precedenza, il giudicato implicito si forma sulle questioni e sugli accertamenti che costituiscono il presupposto logico indispensabile di una questione o di un accertamento sul quale si sia formato un giudicato esplicito. Pertanto, tale criterio non trova applicazione in relazione alle questioni pregiudiziali all’esame del merito, ovvero alle questioni che attengono alla proponibilità dell’azione, ove la parte soccombente abbia impugnato la questione di merito, impedendo in tal modo il formarsi del giudicato esplicito sulla questione, quale indispensabile presupposto del giudicato implicito sulla questione decisa ma “sottaciuta”. Ne consegue che il giudice d’appello è tenuto a prendere in esame l’eccezione ed a pronunciarsi su di essa, anche se l’appellato, vittorioso in primo grado, non l’abbia riproposta. In definitiva, quanto disposto dall’art. 346 c.p.c. non trova applicazione alle questioni rilevabili d’ufficio. Appare, quindi, che i giudici di piazza Cavour, in tale occasione, abbiano condiviso una terza tesi – sulla possibilità per il giudice d’appello di rilevare d’ufficio, cioè al di fuori degli specifici motivi d’impugnazione, le questioni pregiudiziali di rito – sostenuta da un’autorevole dottrina84. Tesi che anche a chi scrive pare essere la più convincente. L’opinione tradizionale, come visto (ed oggetto di ripensamento esclusivamente per quanto concerne la questione di giurisdizione), riconosce al giudice d’appello il potere di rilevare ex officio le questioni pregiudiziali di rito non investite da una decisione espressa, ancorandosi alla distinzione fra soluzioni esplicite ed implicite. Una seconda tesi – quella riproposta dalla Suprema Corte per la questione di giurisdizione -, invece, non compie alcuna distinzione tra soluzione esplicita ed implicita, muovendo dal presupposto che il giudice, ogniqualvolta decide nel merito, ha accertato – anche implicitamente – i presupposti processuali e le condizioni dell’azione, da cui deriva il suo potere di decidere il merito. Si ammette, pertanto, “la possibilità del formarsi di un giudicato parziale ove la sentenza, che contenga o non decisioni

alla fattispecie, il secondo può essere esercitato anche dal giudice e quindi non è gravato da alcun limite temporale.

Ordunque, sono eccezioni in senso stretto quelle che per espressa disposizione di legge rientrano nell’esclusiva disponibilità

della parte, potendo solo essa rilevare l’efficacia giuridica del fatto che ne costituisce fondamento; sono eccezioni in senso

lato, invece, quelle che il giudice può rilevare d’ufficio purché il fatto (modificativo, estintivo o impeditivo) risulti rite et recte

acquisito al processo. v. M. MINARDI, Le trappole nel processo civile, Milano, 2010; G. VERDE, Diritto processuale civile, Bologna,

2017, pp. 155 ss.

84 Cfr. C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., p. 488 ss.; o ancora Travagli “costituzionalmente orientati” delle

sezioni unite sull’art. 37 c.p.c., ordine delle questioni, giudicato implicito, ricorso incidentale condizionato (su question i di rito

o, diversamente operante, su questioni di merito), in Riv. dir. proc., 2009, p. 1141 ss., il quale sottolinea come la prima tesi sia

proprio quella che desta maggiori perplessità, la quale appare fondata, in buona sostanza, “su una petizione di principio”.

Secondo l’a., al risultato di richiedere uno specifico motivo di gravame solo quando l’accertamento sia avvenuto

espressamente nella decisone impugnata, si può pervenire solo assegnando “un assai peculiare ed alquanto discutibile

significato alla antecedenza logico-giuridica delle questioni processuali su quelle di merito, che è positivamente enunciata

dall’art. 276, comma 2, c.p.c. Si dovrebbe, più precisamente dimostrare che questa anteriorità non opera – come è, invece,

imposto dallo stesso art. 276 c.p.c. – rigorosamente in funzione di un passaggio logico alla decisione di merito, e che, di

conseguenza, dalla pura e semplice statuizione sul merito della causa non potrebbe desumersi, sicuramente ed

inequivocabilmente, anche un’implicita ed affermativa presa di posizione sul rito”.

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esplicite, sia impugnata solo per ragioni di merito”85. Tesi, questa fortemente criticata, data la carenza, in primis, di un capo di sentenza cui possa confarsi la disposizione di cui all’art. 329, comma 2, c.p.c., ma, al contempo, anche dell’esigenza di una specifica doglianza86. Difatti, l’assunto in discorso si palesa più che altro come una scelta dettata da esigenze di politica giudiziaria, affrancando il giudice dal dovere di attivare il contraddittorio tra le parti e di prendere motivatamente posizione su un tema, pur dequotando (in tal modo) le regole processuali. La terza ed ultima tesi, alla quale poc’anzi si accennava, al pari della seconda, non fa distinzioni tra accertamenti espliciti ed impliciti. Ma, in caso di impugnazione (solo) di merito, riserva al giudice d’appello il potere di rilevare la questione d’ufficio, indipendentemente dal fatto che la sentenza impugnata si sia esplicitamente o implicitamente pronunciata su di essa. I due oggetti sottoposti all’accertamento del giudice attraverso la domanda (il riferimento è alla ricognizione del potere-dovere di decidere il merito della causa e la dichiarazione circa l’esistenza o non del diritto controverso), sono infatti innegabilmente inscindibili, essendo l’uno funzionale all’altro87. A ciò consegue che, attraverso l’impugnazione sul merito, la questione dell’ammissibilità della domanda/eccezione, dato il suo stretto legame col merito stesso, è devoluta al giudice d’appello così com’era in prime cure. Se la questione de quo viene (ri)messa in discussione, anche l’accertamento implicito (processuale) risulta implicato dall’impugnazione, precludendo un suo cristallizzarsi. Pertanto, che vi sia un accertamento esplicito od implicito, se si impugna sul merito, il giudice d’appello ha sempre il potere di rilevare ex officio la carenza del presupposto processuale accertato in prime cure. Alessandro Carissimo Dottore in Giurisprudenza

85 C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., p. 501. 86 Il giudicato è di certo teso a salvaguardare la certezza del diritto, ma deve anche rispondere ad altri canoni (come quelli

della economicità del giudizio o del diritto di difesa); motivo per cui è importante che vi sia chiarezza sull’oggetto che il

giudicato stesso ricopre, onde evitare la violazione di quei principi che proprio l’istituto mira a salvaguardare. Invero, se nel

rapporto tra più questioni di merito il principio della ragione più liquida trova applicazione, consentendo al giudice di superare

l’ordine delle questioni – trascurando alcuni antecedenti logici della decisione – detto criterio non può operare, invece, nel

rapporto tra questioni pregiudiziali di rito e questioni di merito. Questo a conferma della statuizione di Cass., sez. un., 20

marzo 2019, n. 7925, per cui il giudicato interno “preclude la rilevabilità d’ufficio delle relative questioni solo se espresso,

cioè formatosi su rapporti tra questioni di merito dedotte in giudizio e, dunque, tra le plurime domande od eccezioni di

merito, e non quando implicito, cioè formatosi sui rapporti tra questioni di merito e questioni pregiudiziali o preliminari di

rito o di merito, sulle quali il giudice non abbia pronunciato esplicitamente, sussistendo tra esse una mera presupposizione

logico-giuridica”. A ben vedere, ne consegue che imporre l’onere all’impugnazione incidentale anche ai casi in cui la domanda

o l’eccezione non sia stata decisa risulta essere irrazionale nella logica processuale, in quanto ciò potrebbe tradursi

nell’imposizione alla parte di impugnare una decisione che non esiste, ovvero che non si può leggere e, pertanto, non si può

censurare (v. R. SUCCIO, Il criterio della “ragione più liquida” nel caso di giudicato interno e tra questioni di rito e questioni di

merito, in Ilprocessocivile, 2020).

87 Così C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., p. 501.

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ALESSANDRA PANARIELLO

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Se l’algoritmo non può decidere la lite, che almeno ne tenti la conciliazione: la proposta

conciliativa ex art 185 bis c.p.c. formulata dall’intelligenza artificiale Tra gli istituti che si fondano su di una progressione nell’attività di composizione della lite, l’art. 185 bis è quello che desta maggiori preoccupazioni. Evidente è il rischio che la decisione del giudice venga pregiudicata da dichiarazioni apprese e valutazioni fatte nella precedente fase di mediazione. In questa prospettiva le Online Courts si rivelano un valido modello da seguire: l’automatizzazione della proposta ex art. 185 bis c.p.c. consentirebbe di evitare un’indebita anticipazione del giudizio pur continuando a svolgere una funzione conciliativa all’interno del processo. Among the institutes that are based on a progression in the activity of the composition of the lite, art. 185 bis is what causes the most concern. There is a clear risk that the judge’s decision will be prejudiced by learned statements and assessments made in the previous stage of mediation. In this perspective, the Online Courts are a valid model to follow: the automation of the proposal ex art. 185 bis c.p.c. would avoid undue anticipation of judgment while continuing to play a conciliatory role within the process. Sommario: 1. Introduzione: l’impatto dell’intelligenza artificiale sul sistema-giustizia. – 2. L’IA integrata nel procedimento di risoluzione delle controversie: le Online Courts. – 3. Il caso emblematico del Civil Resolution Tribunal. – 4. I precedenti costituiti dalle clausole med-arb nel diritto internazionale. – 5. La conciliazione stragiudiziale: l’art. 412 c.p.c. – 6. La conciliazione giudiziale: l’art. 185 bis c.p.c. – 7. Prospettive future: affidare la formulazione della proposta conciliativa ex art. 185 bis all’IA. 1. Introduzione: l’impatto dell’intelligenza artificiale sul sistema-giustizia “La scienza e la tecnologia si moltiplicano attorno a noi. A un punto tale che esse dettano il linguaggio col quale noi parliamo e pensiamo. O utilizziamo questi linguaggi o rimaniamo muti”. Così lo scrittore britannico James Graham Ballard commentava l’impatto che la tecnologia digitale ha avuto sulla collettività. Quale elemento costitutivo della società umana, il diritto non è stato immune da tale progresso scientifico. In particolare, secondo parte della dottrina, il livello di permeazione della tecnologia nel sistema-giustizia può essere classificato in tre stadi progressivi: Supportive Justice Technology, Replacement Justice Technology, Disruptive Justice Technology1. Nella specie, con la prima formula si identifica il livello più elementare di influenza della tecnologia sul sistema-giustizia: quest’ultima svolge una funzione di assistenza e di supporto

1 T. SOURDIN, Judge v Robot? Artificial Intelligence and Judicial Decision-Making, in UNSW Law Journal, 2018, vol. 41, p. 1114 ss.

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ai soggetti coinvolti nel processo2. Ad uno stadio successivo si colloca la tecnologia di sostituzione: cd. Replacement Justice Technology, con la cui espressione si suole identificare un impiego della tecnologia in un’ottica sostitutiva di alcune attività umane3. Terzo ed ultimo livello è, invece, costituito dalla cd. “Disruptive Justice Technology”. L’aggettivo “disruptive” evoca l’idea di una tecnologia sofisticata che impatta fortemente sul sistema-giustizia: l’intelligenza artificiale4 (d’ora in poi IA). Quest’ultima può cambiare non solo il modo in cui i giudici e gli operatori del diritto lavorano bensì può assumere anche un ruolo autonomo nella gestione e/o nella decisione della lite. Ciononostante, l’influenza dell’IA nel sistema pubblico di giustizia è stata più lenta rispetto a quella nel settore privato. Ogni possibile giovamento che la tecnologia potesse apportare ai tribunali è stato inizialmente confinato al loro esterno con ciò sfruttando al minimo le potenzialità della tecnologia digitale. Ben presto, tuttavia, di pari passo con l’inarrestabile progresso scientifico, si è assistito ad un’implementazione della tecnologia a livello istituzionale. In questa prospettiva si inscrive il fenomeno delle Online Courts, nuova generazione di tribunali in cui all’IA è affidata una funzione conciliativa volta ad evitare la fase avversariale e quindi a considerare la decisione umana come extrema ratio. Invero, la progressione da mediatore a giudice è schema ormai generale che si rinviene nell’ambito delle clausole med-arb nei contratti internazionali, nell’arbitrato del lavoro ex art. 412 c.p.c. e, ancora, nella conciliazione giudiziale ex art. 185 bis c.p.c.. In particolare, è proprio con riferimento a tale ultimo istituto che emergono le maggiori preoccupazioni: il rischio che l’identità tra chi concilia e chi decide pregiudichi i principi di imparzialità e di neutralità cui deve essere improntata la fase di decisione ai sensi dell’art. 111 Cost., è ancora più evidente nella conciliazione giudiziale. Dunque, l’obiettivo che ci si propone in questa sede è quello di analizzare l’istituto delle Online Courts al fine di riproporne l’applicazione dello schema nell’ordinamento giuridico italiano attraverso l’implementazione dell’IA nella struttura dell’art. 185 bis c.p.c.. I due istituti, seppur accomunati da una progressione di fasi, differiscono proprio per l’organo cui le stesse vengono affidate. In primo luogo, si muoverà dallo studio delle Online Courts inquadrandole nel concetto di ODR da cui esse traggono origine; seguirà l’analisi dei precedenti costituiti dalle clausole med-arb e dall’art. 412 c.p.c.. Infine, si esamineranno la ratio e le problematiche della conciliazione giudiziale ex art. 185 bis c.p.c.

2 Ciò mediante, ad esempio, la ricerca di precedenti favorevoli attraverso l’utilizzo di banche dati telematiche o siti Web che permettono alle parti di conoscere le attività del tribunale e di essere aggiornati sullo stato della loro lite. 3 Basti pensare all’utilizzo di software per la classificazione di documenti e la predisposizione automatica di atti ovvero alle notifiche telematiche. 4 È nota l’assenza di una definizione univoca e condivisa di “intelligenza”. Si suole convenire che l’intelligenza si sostanzi nella capacità di svolgere determinate funzioni come la capacità di adattarsi all’ambiente, di comunicare, di apprendere dalla propria esperienza; tuttavia, manca l’accordo sulla caratterizzazione della supposta competenza unitaria, quale l’intelligenza, cui ineriscono le diverse abilità supra accennate. In particolare, di intelligenza artificiale si sono date nel tempo molte definizioni anche non coincidenti. Così, ci si è riferiti a «the science of making machines do things that would require intelligence if done by men» piuttosto che a un «cross-disciplinary approach to understanding, modeling, and replicating intelligence and cognitive processes by invoking various computational, mathematical, logical, mechanical, and even biological principles and devices». In ogni caso, sulla scia di Alan Turing, gli studiosi si sono trovati sostanzialmente concordi nell’indicare come costanti dell’IA, oltre al carattere interdisciplinare del relativo studio, la simulazione di pensiero, il ragionamento ed il comportamento umani, in modo da permettere, nella logica del machine learning, processi spontanei di comprensione, acquisizione e raccolta di informazioni anche dall’ambiente circostante e capacità di adattamento a situazioni impreviste. Cfr. J. COPELAND, Artificial Intelligence: Philosophical Introduction, New Jersey, 1993, p. 1 e K. FRANKISH, W.M. RAMSEY, The Cambridge Handbook of Artificial Intelligence, Cambridge, 2014, p. 7.

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2. L’IA integrata nel procedimento di risoluzione delle controversie: le Online Courts Il progetto delle Online Courts scaturisce dall’istituto delle Online Dispute Resolution (d’ora in poi ODR) con il quale si fa riferimento ad un ampio spettro dei modelli di integrazione delle tecnologie in tutti i sistemi di risoluzione delle liti, dalle ADR al processo5. In sintesi, le caratteristiche delle ODR sono: l’assenza di un’interazione “faccia a faccia” tra le parti ed il mediatore, che avviene invece online spesso in modo asincrono; l’automatica acquisizione e raccolta dei dati e delle informazioni relative alla controversia; l’impiego dell’intelligenza artificiale non più come mero strumento di comunicazione tra le parti ma vero e proprio elemento attivo nella gestione (e a volte nella decisone) della lite. In particolare, in base al grado di autonomia che l’IA possiede nel meccanismo di risoluzione delle controversie può distinguersi tra Instrumental ODR e Principal ODR. Nella prima categoria, la tecnologia svolge il ruolo di “Quarta Parte” (Fourth Party), cioè si affianca alla terza parte costituita dal mediatore umano facilitando ed agevolando l’interazione tra i soggetti della lite; nella seconda, invece, la tecnologia svolge sia il ruolo di terza che di quarta parte assumendo funzioni sia di gestione della controversia che di decisione della stessa, sostituendo dunque, in tutto o in parte, il mediatore umano6. A tale distinzione se ne sovrappone un’altra, quella tra il cd. ODR tool e ODR system: nel primo la componente digitale è inserita nei tradizionali meccanismi di risoluzione della controversia e consente di svolgere attività in maniera semplificata7. Nel secondo si configura un vero e proprio sistema di giustizia digitalizzata come modello esclusivo per definire le liti all’interno di un determinato gruppo di soggetti8. Sulla base di tali classificazioni, le Online Courts vengono di norma definite come Instrumental ODR System9. In esse, infatti, l’IA, seppur svolge un ruolo strumentale perché mira alla conciliazione delle parti e non assume una funzione autonoma decisionale10, è pienamente integrata nel sistema-giustizia. Più precisamente, la fase conciliativa condotta dall’IA è un passaggio necessario della progressione nell’attività di composizione della lite tipica delle Online Courts.

5 Con l’evoluzione tecnologica e, in particolare, lo sviluppo del commercio elettronico, l’esigenza è stata quella di dar vita ad uno strumento informale, duttile, economico e rapido tale da far fronte a nuove tipologie di controversie. Nell’acronimo ODR scompare, infatti, il termine “Alternative”: manca il carattere proprio del fenomeno della degiurisdizionalizzazione. L’elemento innovativo di tali strumenti sta non nell’alternatività rispetto alla genesi statale dei meccanismi che consentono di comporre le liti bensì nella diversità del metodo, nei criteri in cui la lite viene risolta. 6 In altre parole, le Instrumental ODR costituiscono essenzialmente uno spazio virtuale per l’instaurazione del processo di risoluzione delle controversie: una piattaforma di comunicazione specializzata che permette di condurre il processo online. Le Principal ODR vanno, invece, al di là della comunicazione e dell’accesso all’informazione; esse svolgono un ruolo proattivo nella risoluzione della controversia. Tipicamente alimentati dall’intelligenza artificiale, tali sistemi automatizzano le capacità classiche di terze parti come quelle di identificare interessi e obiettivi, educare le parti sulle opzioni disponibili, individuare le regole applicabili e instradare i casi verso percorsi di risoluzione pertinenti. 7 In questo quadro si inscrive l’introduzione del processo civile telematico. Cfr. D.P.R., 13 febbraio 2001, n. 123 avente ad oggetto il “Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti”. 8 Caso paradigmatico è costituito dalla piattaforma sviluppata da eBay per risolvere le controversie tra acquirenti e venditori: l’eBay Resolution Center. Qui, l’IA assume un ruolo autonomo sia nella gestione che nella decisione della lite quale Principal ODR System. La piattaforma, infatti, è completamente automatizzata e viene utilizzata per gestire e risolvere le controversie nate all’interno della stessa. 9 Per un’ampia disamina delle Online Courts cfr. A. J. SCHMITZ, Expanding Access to Remedies through E- Court Initiatives, in Buff. L. Rev., 2009, vol. 67, p. 125 ss. e G. LISELLA, Corti digitali e giustizia civile progressiva, in Giust. proc. civ., 2020, p. 269 ss. 10 Lo Stato, finanche nel panorama internazionale che per primo ha assistito ad una crescita esponenziale delle ODR, è ben lontano dall’affidare alla tecnologia di IA un ruolo autonomo decisionale.

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Occorre preliminarmente notare che con l’espressione Online Court l’ordinamento inglese non intende riferirsi alla mera digitalizzazione della giustizia: l’aggettivo “online”, infatti, non è necessariamente un sinonimo di “telematico”. Quest’ultima rappresenta una delle vie percorribili da tale nuovo modello di corte ma nulla vieta il ricorso ad altre forme di contatto come, ad esempio, quello telefonico. Invero, la caratteristica innovativa dell’Online Court sta nell’immaginare un modello di tribunale, inserito nel sistema di giustizia civile tradizionale, in cui le parti controvertono, dall’inizio alla fine del procedimento, autonomamente, cioè senza avvocati11. Come accennato, il modello dell’Online Court prevede un procedimento articolato in tre stadi progressivi. Una prima fase è costituita da una procedura completamente automatizzata in cui alle parti viene fornita assistenza per l’individuazione e la comprensione delle questioni sottese alla controversia; inoltre, alle stesse viene richiesto di caricare online i documenti e le altre prove di cui il tribunale avrà bisogno ai fini della decisione. La seconda fase implica, invece, la trattazione della lite da parte di un soggetto, non ancora il giudice, che è incaricato di avviare una fase di consultazione e conciliativa con le parti per telefono o telematicamente ma non in presenza fisica. La terza ed ultima fase, infine, si apre qualora non si sia pervenuti ad una soluzione amichevole della lite e prevede l’intervento, con funzione decisoria, del giudice. Quest’ultimo deciderà sulla scorta delle prove precedentemente caricate; ciò anche mediante la fissazione di udienze da tenersi in modalità telematica via computer, tablet o smartphone12. È necessario evidenziare che il meccanismo sotteso alla prima fase del procedimento, dal punto di vista meramente processuale, è consentire l’emersione preventiva di tutti gli elementi in fatto e in diritto in luogo di quello che normalmente avviene mediante i cd. Pre-action Protocols13 compilati dagli avvocati. La seconda fase, invece, risponde allo scopo di introitare nel modello processuale un momento che, di norma, è solo eventuale o che, quando imposto, è deferito ad un organismo esterno al tribunale. Dunque, nello schema processuale che si intende delineare, la fase decisoria tradizionale, che rappresenta il fulcro del processo civile, diverrebbe solo eventuale o, meglio, costituirebbe la fase cui ricorrere solo se le parti non siano già pervenuti ad una soluzione della lite. 3. Il caso emblematico del Civil Resolution Tribunal In tale prospettiva si colloca l’istituzione in Canada del Civil Resolution Tribunal14. Costituito in seguito all’approvazione del Civil Resolution Tribunal Act [CRTA], il Civil Resolution Tribunal [CRT] è la prima Online Court del Canada e, attualmente, l’unica ODR nel mondo che è pienamente integrata nel sistema giudiziario. L’obiettivo era quello di offrire una risposta certa alle richieste dei consociati, fornendo loro un sistema di risoluzione delle liti più efficiente ma soprattutto proporzionato rispetto alle loro esigenze15. Il ruolo del CRT è, infatti,

11 F. LOCATELLI, Il giudice virtuoso. Alla ricerca dell’efficienza del processo civile, Napoli, 2020, p. 165 ss.; A. SELA, Streamlining Justice: How Online Courts Can Resolve the Challenges of Pro Se Litigation, in Cornell J.L.& Pub.Pol’y, 2016, vol. 26, p. 331 ss. 12 M. BRIGGS, Civil Courts Structure Review: Interim Report, 2015, in https://www.judiciary.uk/wpcontent/uploads/2016/07/civil-courts-structure-review-final-report-jul-16-final-1.pdf. 13 I Pre-action Protocols costituiscono una sorta di linee guida per favorire una soluzione conciliativa della lite in modo tale da evitare il contenzioso. Essi sono prodromici all’emersione ed alla selezione delle questioni effettivamente rilevanti ai fini della composizione della controversia. 14 Civil Resolution Tribunal and Strata Disputes, http://www2.gov.bc.ca/gov/content/housing-tenancy/strata-housing/resolvingdisputes/the-civil-resolution-tribunal. 15 Nel 2011 il Ministero della Giustizia della British Columbia aveva infatti iniziato ad esplorare l’uso dell’ODR in un contesto di giustizia pubblico. Nello stesso anno, la Consumer Protection BC, una società senza scopo di lucro per la protezione dei

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quello di utilizzare strumenti di comunicazione elettronici per facilitare la composizione delle liti per consenso16, ove possibile, e per decisione, se necessario17. Il procedimento è proporzionale in quanto, pur componendosi di quattro fasi obbligatorie, la potestà decisoria è esercitata solamente nell’ultima di queste. Nella specie, il processo si articola in questo modo: dopo un’iniziale fase di autodiagnosi della questione giuridica, vi è una negoziazione diretta tra le parti; segue una fase agevolata in cui le parti sono assistite per raggiungere un accordo18 e, nel caso in cui un compromesso non venga raggiunto, una fase di aggiudicazione in cui il giudice prende una decisione vincolante. Secondo lo schema delineato dal CRT, le parti procedono in modo lineare ma proporzionato impiegando tempo, sforzo e denaro strettamente necessari per risolvere la controversia19. In particolare, la prima fase del CRT si svolge attraverso una piattaforma chiamata “Solution Explorer”20 mediante la quale, nell’ottica di creare opportunità per una rapida e anticipata risoluzione della lite, il sistema aiuta le parti ad autodiagnosticare il problema e ad avere una panoramica relativa alla questione controversa21. Sono previsti dei percorsi guidati per fornire informazioni legali di base che aiutano l’utente a comprendere meglio i termini della lite ed a scegliere consapevolmente se raggiungere un accordo o rinunciarvi22. Se nessuna soluzione è ritenuta soddisfacente, la parte può iniziare la controversia presentando online una domanda al CRT. In questo caso, il processo si sposta su un portale ODR ed inizia con una negoziazione mediante la quale le parti hanno la possibilità di pervenire ad un accordo. Tale fase è relativamente breve e, qualora le parti non raggiungano un’intesa, si apre la cd. facilitation phase in cui il cd. facilitator non si limita ad agevolare la comunicazione tra le parti bensì esegue una valutazione del caso fornendo alle stesse eventuali chiarimenti e supportandole nel tentativo di comporre la lite consensualmente23. Qualora anche la facilitation phase dovesse fallire, si giunge alla quarta ed ultima fase, quella aggiudicativa.

consumatori e la correttezza del mercato, cominciò ad usare un’ODR basata sul software Modria (https://www.tylertech.com/products/Modria) per risolvere liti tra consumatori e aziende. Sempre nel 2011 il BC Property Assessment Appeal Board, una delle administrative court della British Columbia, iniziò ad usare un sistema simile per risolvere le controversie in tema di imposizione fiscale. Il successo di tali iniziative fornì la base per studiare la possibilità di esportare il modello anche al sistema giudiziario pubblico. Sul punto cfr. D. THOMPSON, The Growth of Online Dispute Resolution and its Use in British Columbia, in https://online.cle.bc.ca/CoursesOnDemand/ContentByCourse/Webinars?courseId=5187. 16 Si fa riferimento alla possibilità che le parti raggiungano autonomamente un accordo sulla controversia. 17 O. R. EINY, E. KATSH, The New New Courts, in Am. U. L. Rev., 2017, vol. 67, p. 190. 18 Il vantaggio di tale fase non solo aumenta le possibilità di un accordo anticipato, ma aiuta anche ad affrontale gli ostacoli che si presentano nelle prime fasi del processo; ad esempio, con riguardo alle barriere linguistiche, mediante lo sviluppo di strumenti di supporto per aiutare le parti a partecipare pienamente al processo. 19 S. SALTER, D. THOMPSON, Public-centered civil justice redesign: a case study of the British Columbia Civil Resolution Tribunal, in McGill J. Disp. R., 2016-17, vol. 3, p. 113 ss. 20 Trattasi di un sistema “esperto”, intendendosi con tale espressione una piattaforma basata sulla tecnologia che imita o emula il ragionamento di un esperto umano. 21 S. SALTER, D. THOMPSON, Public-centered civil justice redesign: a case study of the British Columbia Civil Resolution Tribunal, cit., p. 129 ss. 22 Il funzionamento della piattaforma è gestito da un’IA che lavora attraverso alberi logici: viene somministrato alle parti un questionario che muta e adatta le domande a seconda delle risposte che vengono fornite; in tal modo, il sistema è in grado di pervenire alla migliore diagnosi del caso concreto. Durante tale fase, inoltre, vengono rilasciati una serie di documenti riepilogativi insieme ad una serie di opzioni di auto-risoluzione della questione. 23 Dal punto di vista della proporzionalità, tale fase rappresenta un’escalation significativa - sia nello sforzo che nell’intensità – rispetto alle prime fasi di auto-risoluzione e negoziazione tra parti. Tuttavia, essa richiede meno risorse dell’ultima fase, quella relativa all’aggiudicazione. Ad esempio, non è necessario che le parti preparino argomentazioni o prove formali finché non diventa chiaro che la controversia non può essere risolta consensualmente.

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In sintesi, lo schema adottato è quello tipico delle Online Courts. L’obiettivo dichiarato è quello di spingere le parti ad uscire dalla prospettiva prettamente avversariale per adottare modelli di gestione della lite di tipo collaborativo senza però abdicare completamente al ruolo decisorio tradizionalmente ascritto al giudice per il caso in cui la conciliazione non riesca24. Ciò è reso possibile mediante l’adozione di un procedimento strutturato a più livelli in cui, conferita un’iniziale piena autonomia alle parti, qualora non sia stato possibile raggiungere un accordo, si apre alla fase aggiudicativa in cui il giudice emana una decisione vincolante per le stesse. 4. I precedenti costituiti dalle clausole med-arb nel diritto internazionale La prospettiva delineata dalle Online Courts, come accennato, non è nuova nell’ambito del panorama internazionale. Dal punto di vista della progressione nell’attività di composizione della lite, sono note le esperienze delle cd. clausole med-arb che costituiscono un modello ibrido per la risoluzione delle controversie. Tale modello riflette la combinazione di due consolidate third-party procedures25. La mediazione è una procedura con cui una terza parte assiste i contendenti nel raggiungimento di una risoluzione volontaria ed autonoma della lite: il mediatore non può imporre una determinata decisione alle parti. L’arbitrato, invece, consiste in una procedura in cui una terza parte, un arbitro, tenuta un’udienza nella quale i soggetti della lite dichiarano le loro posizioni sulle questioni controverse ed offrono supporto probatorio alle proprie argomentazioni, emette una statuizione vincolante per gli stessi mediante lodo. Invero, le due procedure differiscono dal punto di vista del controllo decisionale. Quest’ultimo è elevato nella mediazione perché le parti possono rifiutare qualsiasi opzione di risoluzione della lite offerta dal mediatore; diversamente, esse hanno uno scarso controllo decisionale nell’arbitrato dove la statuizione dell’arbitro è vincolante. Chiaramente, ciascuna delle procedure ha i propri vantaggi: la mediazione colloca le parti in un contesto amichevole nel quale le stesse possono mettere a nudo le questioni controverse e provare a raggiungere compromessi nell’ottica di pervenire ad un accordo che sia soddisfacente per entrambe. D’altra parte, l’arbitrato conferisce una certa serenità al rapporto tra le parti; sull’arbitro grava il potere-dovere di decidere la controversia ed è lo stesso che le parti “biasimerebbero” nel caso in cui la soluzione della lite non fosse appagante per entrambe. Dunque, riconoscendo i punti di forza di ciascun istituto, parte della dottrina26 ha proposto l’adozione di un modello ibrido in cui mediazione e arbitrato fossero tra loro integrate; ciò attraverso la previsione, soprattutto nei contratti internazionali, delle cd. clausole med-arb. Nella specie, la mediation-arbitration (cd. med-arb) si articola in due fasi: 1) la mediazione seguita da 2) arbitrato, se la mediazione non riesce a garantire un accordo entro un termine prestabilito. Lo stesso soggetto svolge sia il ruolo di mediatore che di arbitro. Il procedimento

24 Nel sistema canadese, il CRT è concepito come una corte amministrativa cioè come un ente che ha il potere di gestire e trattare determinate controversie nei limiti in cui questo gli è stato consentito. Dal punto di vista sistematico, esso si pone a metà via tra un tribunale tradizionale e la giustizia privata. “An administrative tribunal has only as much authority as is granted by its enabling statute, and its jurisdiction may be much more limited than that of a court. Despite this, and subject to applicable statutes, the common law rule is that tribunals are masters of their own process, which gives them a wide general authority to determine which public justice processes to adopt”. Così S. SALTER, D. THOMPSON, Public-Centred Civil Justice Redesign: a case study of the British Columbia Civil Resolution Tribunal, cit., p. 115 ss. 25 Con tale espressione si intende riferirsi alle procedure in cui vi è un soggetto terzo, che non è parte della lite, cui è affidata la gestione e/o la risoluzione della controversia. 26 W. H. ROSS, D. E. CONLON, Hybrid Forms of Third-Party Dispute Resolution: Theoretical Implications of Combining Mediation and Arbitration, in The Academy of Management Review, 2000, vol. 25, p. 418 ss.

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è graduale: solo se la mediazione fallisce, si apre all’arbitrato che termina con una statuizione vincolante per entrambe le parti. Chiaramente, affinchè il procedimento abbia successo, il mediatore-arbitro deve essere un individuo dalle qualità singolari. Egli, idealmente, deve associare il talento conciliatore del mediatore all’oggettività e all’autorità dell’arbitro ed essere in grado di muovere da un ruolo ad un altro rapidamente e con delicatezza. In altre parole, il modello med-arb presuppone una progressione nell’attività di composizione della lite27. Invero, accanto al modello della med-arb, ha preso piede una sua variante: la procedura arbitration-mediation (cd. arb-med). Sinteticamente, l’arb-med ricalca lo schema della med-arb invertendone l’ordine delle fasi. La procedura si articola in tre stadi progressivi. Nella prima fase si svolge il procedimento arbitrale all’esito del quale l’arbitro prende una decisione che però viene sigillata in una busta chiusa affinchè non sia rivelata alle parti. La seconda fase consiste nella mediazione: è data la possibilità alle parti di raggiungere un accordo che sostituisce quella decisione, entro un termine prestabilito. Se l’accordo non viene raggiunto e la mediazione fallisce, la decisione viene poi rivelata e diventa vincolante per le parti28. Ciò posto, è necessario riconoscere come la logica della progressione nell’attività di composizione della lite sia ormai consolidata nel panorama internazionale. In particolare, anche se con fatica, il modello ibrido di derivazione anglosassone si è affermato nel nostro Paese29. Sul punto è sufficiente un richiamo alla Camera arbitrale di Milano che ha elaborato una clausola cd. multistep che prevede come tappa obbligatoria la mediazione prima di instaurare il giudizio innanzi agli arbitri30. Per quanto concerne, invece, le istituzioni arbitrali di respiro internazionale, occorre sottolineare che la Corte arbitrale europea di Strasburgo ha predisposto una clausola “multistep”31 per la risoluzione delle controversie. 5. La conciliazione stragiudiziale: l’art. 412 c.p.c.

27 H. POLLAND, Mediation-abritration: a trade union view, in Monthly Lab.Rev., 1973, vol. 96, pp. 63-65. 28 Secondo parte della dottrina, il modello arb-med è più efficace di quello med-arb. Nella prima, infatti, la “minaccia” della decisione vincolante indurrebbe le parti ad assumere un atteggiamento collaborativo per pervenire ad una soluzione amichevole della controversia che sia soddisfacente per entrambe. Cfr. H. ROSS, D. E. CONLON, Hybrid Forms of Third-Party Dispute Resolution: Theoretical Implications of Combining Mediation and Arbitration, cit., p. 418 ss. 29 A. PANZAROLA, Il d. lgs. n. 28 del 2010 tra mediazione ed arbitrato: arb-med, med-arb e medaloa, in AA.VV., Materiali e commenti sulla mediazione civile e commerciale, Bari, 2011, p. 143 ss. 30 Si veda la clausola “multistep” della Camera arbitrale di Milano del seguente tenore: “Le parti sottoporranno le controversie derivanti dal presente atto al tentativo di conciliazione previsto dal Servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano. Nel caso in cui il tentativo fallisca, le controversie, anche di natura non contrattuale, derivanti dal presente atto, relative o connesse allo stesso, saranno risolte mediante arbitrato secondo il Regolamento della Camera Arbitrale di Milano, da un arbitro unico/tre arbitri**, nominato/i in conformità a tale Regolamento”, in https://www.camera-arbitrale.it/it/arbitrato/clausola-arbitrale/modelli-di-clausola-arbitrale.php?id=222. Anche la Camera di Commercio di Firenze ha predisposto, sin dall’entrata in vigore del D.lgs. n. 5/2003, alcuni modelli, utilizzabili soprattutto nell’ambito delle controversie societarie. 31 “Any dispute relating to or arising from this contract, that is not subject to mandatory provisions on different terms at the place of the mediation proceedings, including mediations between parties belonging to different jurisdictions or parties to domestic disputes, shall be submitted to a procedure of mediation conducted by a sole mediator selected, appointed and proceeding in accordance under with the Mediation Rules of the European Centre of Arbitration and Mediation having its seat in Strasbourg, – which Rules are in force at the date of filing of the application for mediation – conducted by a sole mediator selected and appointed by its local branch competent by territory – if any – and if not by the Centre itself and proceeding according to them. In the event of the mediation not being successful, the arbitration proceedings will be conducted according to the Rules of the European Court of Arbitration by a sole arbitrator who will be appointed, if the dispute is domestic, by the local Chapter – if any – of the European Court of Arbitration and in the absence of a local Chapter, as well as to all non domestic disputes, by the Central Registrar competent for that area”, in https://cour-europe-arbitrage.org/fr/standard-clause/.

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Nella stessa logica della clausola multistep (med-arb)32 supra esaminata, in cui mediazione e arbitrato confluiscono in un unico procedimento senza soluzione di continuità tra una fase e l’altra, si inscrive la fattispecie di cui all’art. 412 c.p.c.33. Tale norma, così come modificata dall’art. 31, comma 5, della legge 183/2010 statuisce che le parti, in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, possono accordarsi per la risoluzione della lite affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. Occorre sottolineare che, sebbene il tentativo di conciliazione si configuri come antecedente logico necessario per la proposizione della domanda arbitrale, esso non costituisce condizione di procedibilità di tale domanda34; ai sensi dell’art. 410 c.p.c. la conciliazione, infatti, è facoltativa. Secondo parte della dottrina, la combinazione della conciliazione e dell’arbitrato è espressione della volontà del legislatore di potenziare gli strumenti di composizione alternativa delle controversie. Se le parti non intendano raggiungere un accordo amichevole, possono rivolgersi allo stesso soggetto che ha tentato di mediare la lite affinchè la decida35. È proprio questa la peculiarità delle procedure oggetto della presente trattazione: la progressione da una fase all’altra si verifica intorno allo stesso soggetto che assume prima la veste di mediatore e, in seguito, quella di arbitro/decisore della lite. In altre parole, lo stesso organo supporta le parti nel raggiungimento di una soluzione concordata della controversia e, in mancanza di un accordo, assume un potere decisorio statuendo sulla lite in maniera vincolante. Come accennato, è proprio l’identità tra chi concilia e chi decide a fondare una delle preoccupazioni principali inerenti a tali fenomeni. A rischio sono, infatti, i principi di imparzialità e di indipendenza che dovrebbero guidare la fase di mediazione e di decisione36 e in conformità dei quali si colloca il divieto di utilizzare le dichiarazioni apprese nella fase di mediazione per il giudizio37. La problematica va esaminata da due prospettive differenti. Dal punto di vista dell’organo mediatore-arbitro, si può immaginare che egli senta in qualche modo compromesso il suo potere-dovere di decidere essendo condizionato da ciò che ha appreso in precedenza durante il tentativo di conciliazione. Più grave è, invece, la questione se analizzata dal punto di vista delle parti; le stesse sono, infatti, private di un sentimento fondamentale caratterizzante la fase di mediazione: la fiducia nei confronti del mediatore. Esse sanno con anticipo che lo stesso organo mediatore sarà

32 A. PANZAROLA, Il d. lgs. n. 28 del 2010 tra mediazione ed arbitrato: arb-med, med-arb e medaloa, cit., p. 143 ss. 33 Invero, l’accostamento delle procedure di conciliazione a quelle di arbitrato non è nuova nell’ordinamento giuridico italiano. Basti pensare allo Statuto dell’Ufficio del lavoro della sede apostolica in vigore dal primo gennaio 2010 (art. 10 ss.). Cfr. N. PICARDI, Il Collegio di conciliazione ed arbitrato dell’Ufficio del lavoro della Sede apostolica, in F. AULETTA, G. P. CALIFANO, G. DELLA PIETRA, N. RASCIO (a cura di) Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, p. 626 ss. 34 Il suo mancato esperimento non determina l’invalidità del lodo ex art. 808 ter c.p.c. 35 P. LICCI, Vantaggi (e svantaggi) del mediatore-arbitro: considerazioni sparse intorno al procedimento arbitrale affidato alle commissioni di conciliazione, in Judicium online, 2011, p. 3 ss. 36 E. ZUCCONI GALLI FONSECA, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, in Riv. arb., 2008, p. 481 ss. In senso contrario F. AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel «Collegato lavoro» (L. 4 novembre 2010, n. 183), in Judicium online, 2011, p. 1, il quale ritiene non condivisibile la incompatibilità tra fasi di conciliazione e arbitrato pur se amministrate dagli stessi “commissari”. 37 Cfr. Art 10, comma 1, del dlg. n. 28 del 2010: “Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio”.

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chiamato a decidere la controversia qualora l’accordo fallisse. Di conseguenza, i contendenti potrebbero comportarsi in maniera eccessivamente prudente evitando di fare dichiarazioni che potrebbero influenzare la decisione dell’arbitro. In altre parole, viene meno il carattere della confidenzialità proprio della fase di mediazione38. Tuttavia, occorre dar conto della facoltatività della fase di arbitrato: ai sensi dell’art. 412 c.p.c. le parti “possono” affidare alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. In altre parole, la scelta della progressione dell’attività di composizione della lite è nelle mani delle parti. Dunque, qualora le stesse ritenessero sussistenti problemi di imparzialità in capo al mediatore-arbitro, potrebbero semplicemente scegliere di non promuovere la domanda arbitrale. Se, invece, le parti optano per entrambe le procedure, la conciliazione prima e l’arbitrato poi ex artt. 410 e 412 c.p.c., vuol dire che esse nutrono fiducia nel lavoro della commissione. 6. La conciliazione giudiziale: l’art. 185 bis c.p.c. L’art. 185 bis c.p.c., inserito dal d.l. n. 69 del 2013, conv. in legge n. 98 del 2013, stabilisce che il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando non sia esaurita l’istruzione, possa formulare alle parti, ove consentita dalla natura e dal valore della controversia, nonché dall’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione, una proposta transattiva o conciliativa. Inoltre, la norma statuisce che tale proposta non può costituire motivo di ricusazione o di astensione del giudice. Ciò, diversamente dall’analogo art. 420 c.p.c. nel diritto del lavoro che pure si ispira alla logica della continuità soggettiva tra la fase di conciliazione e quella di decisione. Invero, l’art. 185 bis conferisce al giudice la facoltà di formulare la proposta conciliativa; mentre, nell’art. 420 sussiste un obbligo a carico dello stesso. Inoltre, diverso è anche il momento in cui la proposta viene formulata: nel rito ordinario il giudice può formulare la proposta alla prima udienza ovvero sino a quando non sia esaurita l’istruzione, quindi lungo tutto il corso del giudizio; nel rito del lavoro, invece, il giudice deve formulare la proposta nell’udienza fissata per la discussione della causa e dopo aver interrogato liberamente le parti. Al di là di ogni altra considerazione che può farsi in merito al rapporto tra le due suddette norme, ciò che interessa in questa sede è sottolineare il minimo comune denominatore dell’art. 185 bis e dell’art. 420 c.p.c.: in entrambe le norme il giudice cumula una natura promiscua. Egli è mediatore dell’accordo conciliativo ma resta, allo stesso tempo, titolare del potere di decisione nel caso di fallimento della conciliazione. In altre parole, il giudice è concepito non come mero decision maker bensì come parte attiva del giudizio che tende a favorire una definizione della lite non necessariamente eteronoma39. Difatti, il cumulo di funzioni facilitative, valutative e aggiudicative a un tempo in capo alla stessa persona non costituisce un buon metodo per un’equa risoluzione della controversia: è evidente il rischio di una sovrapposizione di ruoli. Ciò è ancora più grave nella misura in cui l’art. 185 bis, come accennato, diversamente dall’analogo 420, comma 1, c.p.c., consente di formulare la proposta conciliativa non già all’inizio del processo o in esito all’interrogatorio libero delle parti bensì anche al suo termine cioè quando si accinge a decidere.

38 Così P. LICCI, Vantaggi (e svantaggi) del mediatore-arbitro: considerazioni sparse intorno al procedimento arbitrale affidato alle commissioni di conciliazione, cit., p. 6. 39 Così A. TEDOLDI, Iudex statutor et iudex mediator: proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., precognizione e ricusazione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, p. 985.

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D’altronde, è proprio dal divieto fatto al giudice di astenersi o alle parti di ricusarlo quando lo stesso abbia fatto una proposta transattiva o conciliativa della lite (ex art. 185 bis c.p.c.), che si trae il principio per cui il giudice non può nell’esercizio delle sue funzioni e prima che sia formulata una sentenza manifestare indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto della causa. La precognizione40 del giudice confligge, infatti, con i precetti di rango costituzionale di cui agli artt. 24, comma 2, 25, comma 1, 111, comma 1, e art. 6 CEDU che sancisce i principi di imparzialità e terzietà del giudice41. Tali criticità vengono superate interpretando la norma di cui all’art. 185 bis c.p.c. come espressione del principio di leale collaborazione del giudice con le parti che, come tale, mai potrebbe pregiudicare l’esito del giudizio. Tuttavia, il dibattito non è del tutto sopito. Non sembra sia scongiurato il rischio di indebite anticipazioni del convincimento del magistrato ogni qual volta lo stesso, nel dirigere il tentativo di conciliazione, esprima le sue valutazioni preventive sull’esito della lite. Più comodo sarebbe che il giudice inviti ex officio le parti, quando ne ravvisi le condizioni, a svolgere la mediazione presso un organismo iscritto, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del dlg. n. 28 del 2010. Ma, in questa prospettiva, a nulla varrebbe la previsione dell’art. 185 bis c.p.c. che si risolverebbe in una mera duplicazione di quanto già statuito dalla legge in materia di mediazione. La peculiarità della norma di cui all’art. 185 bis è, infatti, un’altra: la conciliazione non viene deferita ad un altro organismo bensì viene svolta all’interno dello schema classico della risoluzione della lite e precede la fase di decisione. In altre parole, la conciliazione viene integrata nel procedimento ordinario di risoluzione delle controversie come fase antecedente rispetto a quella aggiudicativa. 7. Prospettive future: affidare la formulazione della proposta conciliativa ex art. 185 bis all’IA Come osservato, insito nella struttura dell’art. 185 bis c.p.c. è il rischio che il ruolo decisorio del giudice sia pregiudicato da dichiarazioni emerse e valutazioni fatte nella precedente fase di mediazione. In questa prospettiva, si ritiene che tale rischio potrebbe essere scongiurato attraverso il ricorso allo schema, supra delineato, delle Online Courts. I due istituti, infatti, sono tra loro analoghi: in entrambi vi è una progressione nell’attività di composizione e di decisione della lite e la fase conciliativa precede quella aggiudicativa. Nelle Online Courts la ratio di fondo è quella di attrarre nell’orbita della giustizia controversie che altrimenti vi sfuggirebbero; il sistema che le stesse hanno adottato per perseguire tale finalità consiste nell’inglobare nel procedimento stesso dinanzi al tribunale proprio la fase conciliativa. Invero, come si è osservato, non ci si è limitati ad affidare il tentativo di conciliazione ad un giudice, come nell’art 185 bis c.p.c., o a qualche organismo esterno. Bensì si è provveduto a sfruttare le potenzialità dell’IA per affidarle una funzione di ausilio non solo per le parti ma soprattutto per il giudice. Come osservato nel CRT, attraverso percorsi guidati alimentati dall’IA, la parte è in grado di autodiagnosticare la lite avendo gli strumenti per pervenire ad un accordo con la controparte. Il sistema, tra l’altro, suggerisce anche opzioni di 40 L. DITTRICH, La precognizione del giudice e le incompatibilità nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2002, p. 1145 ss. 41 Cfr. A. TEDOLDI, Iudex statutor et iudex mediator: proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., precognizione e ricusazione del giudice, cit., p. 992, per il quale il divieto di precognizione non va però interpretato in maniera rigida. In particolare, secondo l’A., è ovvio che il giudice, al fine di conoscere e decidere, sia costretto ad emanare dei provvedimenti intermedi facendo progredire il processo verso il suo esito naturale. Non incorrerebbe in incompatibilità il giudice ogni qualvolta compia valutazioni preliminari che siano destinate a confluire in quella successiva.

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auto-risoluzione della controversia. Nelle Online Courts, infatti, non vi è il rischio di una precognizione del giudice nel momento in cui decide la lite: a tentare la conciliazione delle parti è l’IA integrata a pieno titolo nel sistema-giustizia e nello schema classico di risoluzione delle controversie. Resta ferma la funzione di garanzia del giudice: se la conciliazione non ha successo, non è precluso l’accesso alla fase aggiudicativa. Inoltre, ogni fase è pensata per lavorare in simbiosi con l’altra senza soluzione di continuità. Chiaramente, l’integrazione dell’IA o, meglio, di una vera e propria ODR nell’ambito delle Online Courts si giustifica in un’ottica preprocessuale. La fase avversariale resta affidata nelle mani di un soggetto umano. Ciò alla luce dell’impossibilità non solo di sovrapporre il ragionamento di un’IA a quello di un giudice uomo ma, in senso più ampio, di assegnare la funzione di ius dicere all’IA42. In questa prospettiva, risulta più chiaro il modo in cui potrebbe venir meno la preoccupazione del pregiudizio del giudice insita nella struttura dell’art. 185 bis c.p.c.: sarebbe opportuno affidare la funzione conciliativa all’IA. In altre parole, automatizzando la proposta di cui all’art. 185 bis c.p.c. si risolverebbe il dibattito in ordine alla natura promiscua del giudice ed al rischio di indebita anticipazione del giudizio pur continuando a svolgere una fase conciliativa integrata nel processo. In questo modo, si avrebbe un procedimento caratterizzato da una pervasiva autonomia privata che trova nel giudice semplicemente una funzione di garanzia più che di promovimento della conclusione autonoma della lite. L’IA, in un’ottica di ausilio del giudice, si limiterebbe a mettere a disposizione delle parti un’opzione di auto-risoluzione della lite; tuttavia, se l’accordo non viene raggiunto, si passa alla fase decisoria. Inoltre, nessuna rilevanza assume il rischio che l’IA possa formulare una proposta che contrasta con i precetti di rango costituzionale e con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Per definizione, una funzione ausiliaria è posta sotto il controllo di un’autorità sovraordinata. Nel caso di specie, infatti, il giudice manterrebbe un pieno dominio sull’IA e potrebbe superare la proposta formulata da quest’ultima qualora fosse inadeguata. D’altronde, di norma, la stessa natura della mediazione di fronte al giudice ex art. 185 bis c.p.c. è destinata a far venire meno la proposta: se le parti raggiungono un’intesa, la proposta sulla base della quale l’hanno raggiunta costituisce un antecedente di mero fatto43.

42 Le funzioni giudiziarie, esercitate sotto lo stato di diritto, comportano un complesso cocktail di razionalità giuridica e di formazione giuridica. Invero, se, da un lato, l’umanità del giudice è qualcosa che si teme nella resa del giudizio perché potrebbe compromettere la sua imparzialità; dall’altro lato, la stessa costituisce anche l’unico elemento che garantisce il rispetto da parte dei contendenti del ruolo giudiziario. In altre parole, ciò che legittima l’esercizio della funzione giurisdizionale è proprio la circostanza che questa sia svolta da un essere umano cioè da un proprio simile. Inoltre, chiara è la natura necessariamente retrospettiva di ogni aggiudicazione fondata sul machine learning dovuta alla riduzione dell’angolo di spettro dei dati analizzati rispetto alla piena circolarità dei dati sociali padroneggiati naturalmente da ogni individuo umano. Sarebbe, in altre parole, fortemente compromessa la possibilità di rendere una decisione attuale le cui caratteristiche implicano l’universalità dei dati sociali, relazionali, umorali, irrazionali posseduti da un uomo e giammai trasferibili all’ente dotato di intelligenza artificiale perché retrospettivo e settoriale nella loro selezione. La sentenza, infatti, non può essere concepita come un qualcosa di autonomo e distaccato dalla realtà sociale e dalla sua cultura. Sul punto, cfr. T. SOURDIN, Z. ARCHIE, The Responsive Judge. International Perspectives, Berlino, 2018, p. 102 ss.; R. MATTERA, Decisione negoziale e giudiziale: quale spazio per la robotica? In Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 199 ss. 43 L’unico caso in cui la proposta rivive è quello di cui all’art. 91 c.p.c. ai sensi del quale il giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese maturate dopo la formulazione della stessa.

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A maggior ragione, nel caso in cui la proposta fosse formulata dall’algoritmo, non solo le parti avrebbero la possibilità di superarla ma lo stesso giudice potrebbe evitare di far propria quella proposta: quale funzione ausiliaria, quella dell’IA, resterebbe sotto il pieno governo del giudice. Alessandra Panariello Dottoranda di ricerca presso l’Università degli studi di Salerno

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INDICE

Saggi

ALESSANDRO PEPE

PASSATO E FUTURO DELLA CASSAZIONE. A CENT’ANNI DALLA “CASSAZIONE CIVILE” DI PIERO CALAMANDREI ...... 1

GIAN PAOLO CALIFANO

SUL (CLAUDICANTE) REGIME DEI DECRETI PRONUNCIATI EX ART. 739 C.P.C. .............................................. 99

ALESSANDRA PANARIELLO

SE L’ALGORITMO NON PUÒ DECIDERE LA LITE, CHE ALMENO NE TENTI LA CONCILIAZIONE: LA PROPOSTA CONCILIATIVA

EX ART 185 BIS C.P.C. FORMULATA DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ..................................................... 129

Note a sentenza

VINCENZO LOMBARDI

IL TERMINE DELL’ACTIO JUDICATI E LA NATURA NECESSARIAMENTE PROCESSUALE DEL SUO ATTO DI ESERCIZIO:

NOTE IN MARGINE DI UN PERVASIVO EQUIVOCO DI SISTEMA (ORA ANCHE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA) ......... 17

ALESSANDRO CARISSIMO

LA CASSAZIONE ANCORA SULLE DIFESE DELL’APPELLATO ED IL GIUDICATO IMPLICITO. LA RILEVABILITÀ EX OFFICIO IN

APPELLO DELLA TARDIVITÀ DI UN’ECCEZIONE IN SENSO STRETTO ........................................................... 107

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Documenti e normativa

GIUSEPPE SEVERINI, MARCO LIPARI, CLAUDIO CONTESSA, SERGIO ZEULI, MARINA PERRELLI, SILVIA COPPARI,

PAOLA MALANETTO E ROBERTA RAVASIO

JUMELAGE «APPUI A LA REFORME DE LA JUSTICE ADMINISTRATIVE EN TUNISIE». AVIS DE L’EQUIPE ITALIENNE SUR

LE PROJET DE CODE DU PROCES ADMINISTRATIF (DECEMBRE 2020)........................................................ 29

Tutti i contributi pubblicati nel presente fascicolo sono stati sottoposti a blind peer review, secondo il procedimento descritto nella Rivista, sub Referaggio.