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I • LE TRE DONNE UN VOLTO SU CUI IL TEMPO LASCIA BEN POCA TRACCIA In un sabato pomeriggio di novembre stava calando il crepuscolo, e l'ampia distesa di terreno aperto e selvaggio nota col nome di brughiera di Egdon si veniva facendo ogni momento più scura. In alto, il curvo strato di nubi biancastre che nascondeva il cielo era come una tenda che avesse per pavimento tutta la brughiera. La linea d'incontro tra il cielo velato da questo diffuso scialbo chiarore e la terra resa scurissima dalla vegetazione era nettamente segnata all'orizzonte. Il contrasto era tale che sulla brughiera sembrava ormai giunta la notte con un anticipo sul tempo astronomico: vi dominava la tenebra, mentre nel cielo ancora indugiava il giorno. Il paesano, intento a tagliare ginestra, guardando in alto sarebbe stato indotto a continuare nel suo lavoro; abbassando gli occhi a terra, avrebbe deciso di far su la sua fascina e tornarsene a casa. I margini lontani della terra e del firmamento sembravano segnare una divisione nel tempo oltre che nella materia. Semplicemente col suo colore, il volto della brughiera aggiungeva un'ora e mezzo alla sera; allo stesso modo poteva far ritardare l'alba, attenuare lo splendore del mezzogiorno, anticipare il cipiglio di temporali che raramente scoppiavano, e rendere più intensamente opaca una profonda notte senza luna, facendone una causa di sbigottito terrore. In realtà, proprio in questo passeggero momento del crepuscolo in cui affondava nella tenebra, incominciava il grande e particolare splendore della landa di Egdon, e non poteva dir di comprenderlo chi non ci fosse stato mai in un momento simile. Meglio si poteva sentirlo, quando non lo si vedeva chiaramente, chè in quest'ora, e in quelle che sarebbero seguite prima dell'alba del giorno dopo, era possibile intenderne bene il significato e il valore: allora, e allora soltanto, si rivelava veramente. Il luogo aveva in realtà una stretta parentela con la notte e, quando la notte sopraggiungeva, appariva evidente la tendenza delle sue ombre a fondersi col paesaggio. La fosca distesa di montagnole e valloncelli pareva levarsi e muovere incontro all'ombra della sera, come rispondendo a un'intima affinità, e la terra esalava tenebra con lo stesso ritmo con cui la riversava il cielo. E così l'oscurità dell'aria e quella della terra si fondevano in una fraternità tenebrosa verso cui muovevano entrambe, incontrandosi a metà strada. Vi si diffondeva ora un senso di vigile attenzione: chè, mentre le altre cose si immergevano, dormigliose, nel sonno, pareva che la brughiera si destasse lentamente mettendosi in ascolto. Si sarebbe detto che ogni notte la sua titanica forma attendesse qualcosa; ma aveva atteso così, immota, attraverso tanti secoli, attraverso le crisi di tante cose, che poteva ormai attendere un'ultima crisi soltanto: lo sconvolgimento finale. Era un luogo che, alla memoria di quanti l'amavano, ritornava con un carattere di singolare, affettuosa rispondenza. Raramente questo accade di campagne ridenti, ricche di fiori e di frutti, in permanente armonia soltanto con un'esistenza più idonea della presente ad affrontare i propri problemi. Dalla fusione del crepuscolo col paesaggio della brughiera di Egdon nasceva qualcosa di maestoso ma non scostante, che colpiva ma senza ostentazione, vigoroso nei suoi richiami, grandioso nella sua semplicità. Le qualità che danno

La Brughiera

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I • LE TRE DONNE

UN VOLTO SU CUI IL TEMPO LASCIA BEN POCA TRACCIA

In un sabato pomeriggio di novembre stava calando il crepuscolo, e l'ampia distesa di terreno aperto e selvaggio nota col nome di brughiera di Egdon si veniva facendo ogni momento più scura. In alto, il curvo strato di nubi biancastre che nascondeva il cielo era come una tenda che avesse per pavimento tutta la brughiera.

La linea d'incontro tra il cielo velato da questo diffuso scialbo chiarore e la terra resa scurissima dalla vegetazione era nettamente segnata all'orizzonte. Il contrasto era tale che sulla brughiera sembrava ormai giunta la notte con un anticipo sul tempo astronomico: vi dominava la tenebra, mentre nel cielo ancora indugiava il giorno. Il paesano, intento a tagliare ginestra, guardando in alto sarebbe stato indotto a continuare nel suo lavoro; abbassando gli occhi a terra, avrebbe deciso di far su la sua fascina e tornarsene a casa. I margini lontani della terra e del firmamento sembravano segnare una divisione nel tempo oltre che nella materia. Semplicemente col suo colore, il volto della brughiera aggiungeva un'ora e mezzo alla sera; allo stesso modo poteva far ritardare l'alba, attenuare lo splendore del mezzogiorno, anticipare il cipiglio di temporali che raramente scoppiavano, e rendere più intensamente opaca una profonda notte senza luna, facendone una causa di sbigottito terrore.

In realtà, proprio in questo passeggero momento del crepuscolo in cui affondava nella tenebra, incominciava il grande e particolare splendore della landa di Egdon, e non poteva dir di comprenderlo chi non ci fosse stato mai in un momento simile. Meglio si poteva sentirlo, quando non lo si vedeva chiaramente, chè in quest'ora, e in quelle che sarebbero seguite prima dell'alba del giorno dopo, era possibile intenderne bene il significato e il valore: allora, e allora soltanto, si rivelava veramente. Il luogo aveva in realtà una stretta parentela con la notte e, quando la notte sopraggiungeva, appariva evidente la tendenza delle sue ombre a fondersi col paesaggio. La fosca distesa di montagnole e valloncelli pareva levarsi e muovere incontro all'ombra della sera, come rispondendo a un'intima affinità, e la terra esalava tenebra con lo stesso ritmo con cui la riversava il cielo. E così l'oscurità dell'aria e quella della terra si fondevano in una fraternità tenebrosa verso cui muovevano entrambe, incontrandosi a metà strada.

Vi si diffondeva ora un senso di vigile attenzione: chè, mentre le altre cose si immergevano, dormigliose, nel sonno, pareva che la brughiera si destasse lentamente mettendosi in ascolto. Si sarebbe detto che ogni notte la sua titanica forma attendesse qualcosa; ma aveva atteso così, immota, attraverso tanti secoli, attraverso le crisi di tante cose, che poteva ormai attendere un'ultima crisi soltanto: lo sconvolgimento finale.

Era un luogo che, alla memoria di quanti l'amavano, ritornava con un carattere di singolare, affettuosa rispondenza. Raramente questo accade di campagne ridenti, ricche di fiori e di frutti, in permanente armonia soltanto con un'esistenza più idonea della presente ad affrontare i propri problemi. Dalla fusione del crepuscolo col paesaggio della brughiera di Egdon nasceva qualcosa di maestoso ma non scostante, che colpiva ma senza ostentazione, vigoroso nei suoi richiami, grandioso nella sua semplicità. Le qualità che danno spesso alla facciata d'una prigione una dignità maggiore di quella che si trova nella facciata d'un palazzo grande il doppio rivestivano questa brughiera d'un che di sublime di cui sono affatto privi luoghi rinomati per una più ovvia bellezza. Visioni serene felicemente si sposano con tempi sereni: ma guai se i tempi non sono tali! Gli uomini soffrono assai più spesso per l'ironia di un luogo troppo ridente che per l'oppressione di ambienti grevi di malinconia. La tetra brughiera di Egdon sollecitava un istinto più sottile e più raro, una sensibilità appresa più di recente di quelli che rispondono al tipo di bellezza definito affascinante e grazioso.

In realtà, ci si può chiedere se il segno esclusivo di questo tipo ortodosso di bellezza non stia avvicinandosi alla fine. Nell'ultima Thule, la nuova Valle di Tempe sarà forse una squallida landa deserta; forse gli spiriti umani si scopriranno in sempre più intima armonia con cose del cui aspetto aspro e tetro la nostra razza, quand'era giovane, sarebbe inorridita. Sembra avvicinarsi il tempo, se pur già non è giunto, in cui soltanto la sobria sublimità d'una landa, d'un mare o d'una montagna s'intonerà in modo assoluto allo stato d'animo dei più pensosi tra gli esseri umani. E potrà accadere che, anche per il viaggiatore più comune, luoghi come l'Islanda divengano quel che sono ora per lui le vigne e i giardini fioriti di mirto dell'Europa del sud; e che passi per Heidelberg e Baden senza neanche fermarvisi, mentre dalle Alpi si affretta verso le dune di sabbia di Scheveningen.

Anche lo spirito più profondamente ascetico sentiva di avere un diritto naturale a vagare per la brughiera di Egdon; non varcava i limiti d'una legittima indulgenza esponendosi alla sua influenza. Godere di colori e di bellezze così modesti e attenuati era lecito a tutti. Soltanto nelle giornate estive più splendide, la brughiera arrivava ad assumere un aspetto quasi gaio. Conseguiva la sua massima intensità col solenne più che col brillante, e soprattutto durante il buio, le tempeste e le nebbie invernali. La brughiera allora si destava, e rispondeva al temporale suo amante, al vento suo amico. Strani fantasmi l'abitavano; e pareva rivelarvisi il modello finora ignoto di quelle fantastiche zone d'ombra da cui abbiamo la vaga sensazione d'essere circondati nei nostri sogni notturni popolati di fughe e d'incubi, e a cui non pensiamo più, dopo il sogno, finchè non ce le richiamano alla memoria simili spettacoli.

In quest'ora crepuscolare, la brughiera s'intonava in modo perfetto alla natura dell'uomo; non era spettrale, nè paurosa, nè orrida; ma non banale nè insignificante e neanche artefatta; come l'uomo, negletta e paziente, e al tempo

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stesso gigantesca e misteriosa nella sua tetra monotonia. Come accade in persone vissute a lungo isolate, un senso di solitudine pareva emanare dal suo volto. E quel volto faceva pensare a tragiche possibilità.

Questo remoto, arcaico, quasi dimenticato paese, figura nel libro del Doomsday. Ve lo si descrive, col nome di «Bruaria», come una zona deserta e non coltivata, piena d'erica, di ginestra e di rovi. Se ne definiscono la lunghezza e la larghezza in leghe; e, pur rimanendo alquanto incerta la precisa entità di questa misura lineare, si direbbe, a giudicare dalle cifre, che l'area di Egdon sia assai poco diminuita da allora. Nei documenti dell'epoca si trova il termine «Turbaria Bruaria», che indica il diritto di tagliarvi la vegetazione. «Coperto di ginestra e di felci,» dice il Leland, parlando di quest'oscuro tratto di terra.

Qui se non altro si potevano intendere certi aspetti del paesaggio, leggendone la storia e trovandovene le prove più esaurienti. La brughiera di Egdon era stata sempre sin dall'inizio qualcosa d'ostinatamente indomabile, ribelle. La civiltà era sua nemica; e sin da quando s'era coperta di vegetazione, aveva continuato a portare la stessa antica veste scura, naturale, invariabile indumento della sua particolare formazione terrestre. Quell'unica venerabile veste pareva rivolgere una punta di satira alla umana vanità degli indumenti. Nella brughiera, una persona che indossi abiti di taglio e colore moderni appare sempre fuori posto. Dove la veste della terra è così primitiva, anche gli uomini dovrebbero portare gli abiti più antichi e più semplici.

A chi si sedesse sul ceppo d'un albero nella valle al centro di Egdon, in quest'ora tra il pomeriggio e la sera, quando vi si scorgono soltanto le vette e le creste che limitano l'orizzonte allo sguardo, veniva fatto di pensare che tutto quanto aveva attorno e sotto di sè esisteva sin dai tempi della preistoria, immutato come le stelle al disopra del suo capo; e questo dava un senso di stabilità allo spirito alla deriva, in continuo mutamento, e ossessionato dall'irresistibile Nuovo. Il grande spazio inviolato dava un senso d'antichità e permanenza a cui lo stesso mare non può pretendere. Chi può dire che un determinato mare è antico? Distillato dal sole, impastato dalla luna, si rinnova di anno in anno, di giorno in giorno, di ora in ora. Il mare è mutato, sono mutati i campi, i fiumi, i villaggi, ma Egdon è rimasta intatta. La sua superficie, non tanto scoscesa da poter essere corrosa dalle intemperie, non è d'altra parte così piatta da essere esposta a inondazioni e sedimentazioni. A eccezione di un'antica strada maestra e di un'ancor più antica montagnola costruita dall'uomo, su cui ritorneremo ben presto - quasi cristallizzate anch'esse dal tempo in prodotti naturali - anche le sue piccole irregolarità non erano prodotte dal piccone, dall'aratro o dalla vanga, ma ancora portavano i segni dell'ultimo sovvertimento geologico.

La strada maestra cui s'è accennato tagliava, da un orizzonte all'altro, la zona più bassa della brughiera. In molti tratti si confondeva con una vecchia strada vicinale, staccatasi dalla grande via occidentale dei romani, la Via Iceniana, o Ikenild Street, che passava lì vicino. In questa sera di cui stiamo parlando si sarebbe potuto notare che, sebbene la tenebra fosse ormai tanto aumentata da ricoprire, confondendoli, gli aspetti minori della brughiera, la bianca superficie della strada rimaneva quasi chiara e visibile come sempre.

ENTRA IN SCENA L'UOMO E CON LUI L'AFFANNO

Sulla strada camminava un vecchio. Aveva la testa bianca come una montagna con la vetta coperta di neve, le spalle curve, e dava un'impressione di decadenza. Portava un cappello lucido, le scarpe e una vecchia giacca da marinaio con un'ancora sui bottoni di metallo. Teneva in mano un bastone col pomo d'argento, di cui si serviva come se fosse stato una terza gamba, continuando a battere con la punta in terra a ogni passo. Si sarebbe detto che fosse stato, da giovane, ufficiale di marina.

Dinanzi a lui si stendeva la lunga strada faticosa, arida, vuota e bianca. Aperta alla brughiera su entrambi i lati, tagliava l'ampia superficie scura come una riga su una testa dai capelli neri, facendosi piccola e svoltando all'estremo orizzonte.

Il vecchio continuava a scrutare davanti a sè il lungo tratto di strada che doveva ancora percorrere. Finalmente vide, a grande distanza, un puntino che si muoveva e che si rivelò un veicolo volto nella sua stessa direzione. Era l'unica particella di vita visibile nel paesaggio e serviva soltanto a rendere più evidente la generale solitudine. Avanzava con lentezza e il vecchio guadagnava sensibilmente terreno.

Quando fu più vicino, vide che si trattava d'un carrozzone di forma comunissima, ma d'un color rosso cupo piuttosto singolare. Il conducente gli camminava accanto; ed era, come il suo carro, rosso dalla testa ai piedi. Uno strato di colore gli copriva gli abiti, il berretto che aveva in capo, gli stivali, il volto e le mani. Non si trattava d'una coloritura momentanea: tutta la persona n'era impregnata.

Il vecchio capì di che si trattava. Il conducente del carro era un venditore d'ocra, il cui mestiere consisteva nel fornire ai contadini il colorante per marcare le pecore. Apparteneva a una classe che nel Wessex viene ora rapidamente estinguendosi ed occupa, nel mondo rurale d'oggi, il posto occupato nel secolo scorso dal dodo nel mondo degli animali. Rappresenta un legame curioso, interessante e quasi scomparso, tra le antiche forme di vita e quelle oggi in genere prevalenti.

Un passo dopo l'altro, l'ex ufficiale raggiunse l'altro viandante e gli augurò la buona sera. Il conducente girò la testa a guardarlo e ricambiò il saluto con aria triste e preoccupata. Era giovane, e il suo volto, pur non potendosi dire veramente bello, lo era quanto bastava perché si capisse che lo sarebbe stato nel suo colore naturale. Gli occhi, che lampeggiavano stranamente nel volto deturpato dal colore, avevano un certo fascino: acuti come quelli d'un uccello da

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preda e azzurri come le nebbie autunnali. L'assenza di barba e baffi permetteva di scorgere le morbide curve della parte inferiore del volto. Le sue labbra sottili, sebbene apparentemente serrate nello sforzo del pensiero, avevano di quando in quando agli angoli un fremito come di sorriso. Indossava un abito di fustagno d'ottima qualità che gli stava a pennello, e metteva in risalto la sua figura aitante e vigorosa, non troppo vecchio e adattissimo al mestiere, che gli aveva tolto però il colore originario. Una cert'aria d'agiatezza faceva pensare ch'egli non fosse, tra i suoi pari, uno dei più poveri; anzi, a chi lo osservasse veniva fatto di chiedersi perché un uomo con simili qualità avesse scelto di nasconderle adottando quello strano mestiere.

Rispose al saluto del vecchio, ma non parve disposto a continuare la conversazione, benchè camminassero ora uno accanto all'altro, chè il vecchio sembrava desideroso di compagnia. Non s'udivano altri suoni che il rombo del vento sulla distesa d'erba scura che li circondava, il cigolio delle ruote; i passi dei due uomini e il rumore degli zoccoli dei cavallini dal pelo lungo che tiravano il carro. Erano, questi, animali piccoli e robusti, d'una razza tra la Galloway e l'Exmoor, noti nella zona col nome di «cavalli di brughiera».

Mentre continuavano a camminare, il venditore d'ocra abbandonava di quando in quando il compagno e, portandosi dietro il carro, dava un'occhiata ansiosa nell'interno, attraverso un finestrino. Tornava poi accanto al vecchio, che faceva qualche altra osservazione circa lo stato della campagna, e così via, a cui l'altro di nuovo rispondeva distrattamente, per ricadere poi nel silenzio. Ma questo silenzio non dava fastidio nè all'uno nè all'altro; in questi luoghi solitari spesso i viandanti, dopo un primo saluto, camminano per miglia e miglia senza scambiarsi una parola; lo star vicini costituisce come una tacita conversazione là dove, diversamente che in città, basta un lieve mutar d'umore per por fine alla vicinanza, e il non porle fine vale perciò quanto un discorso.

Probabilmente i due non avrebbero più detto nulla sino al momento di separarsi, se l'uomo rosso non avesse continuato ad andar a gettare occhiate nell'interno del carro. Dopo la quinta volta, il vecchio disse: «C'è qualcosa là dentro, oltre il solito carico?»

«Sì.»«Qualcuno che le sta a cuore?»«Sì.»Poco dopo si sentì come un gemito uscire dall'interno del carro. Il venditore d'ocra s'affrettò a passare dietro,

guardò nel finestrino, poi tornò accanto all'altro.«È un bambino?»«No, signore, una donna.»«Che diamine! E perché gemeva?»«S'è addormentata e, non essendo abituata a viaggiare, si agita e fa brutti sogni.»«È giovane?»«Sì, giovane.»«La cosa avrebbe potuto interessarmi una quarantina d'anni fa. È sua moglie?»«Mia moglie!» disse l'altro con amarezza. «Si sentirebbe disonorata a sposare uno come me. Ma non capisco

perché debba dirle tutto questo.»«È vero. Ma io non capisco perché non dovrebbe dirmelo. Che male posso farle?»Il venditore d'ocra guardò il vecchio bene in faccia. «Vede, signore,» si decise poi a dire, «la conosco da

tempo, anche se forse sarebbe stato meglio che non l'avessi conosciuta mai. Ma non è nulla per me come io non sono nulla per lei e non sarebbe nel mio carro se si fosse trovato un veicolo migliore.

«Posso chiederle di dove viene?»«Da Anglebury.»«Conosco bene la città. Che ci stava a fare?»«Niente di cui valga la pena di parlare! Ora è stanca morta, comunque, è un po' sofferente: ecco perché si agita.

S'è addormentata circa un'ora fa, e credo che un sonnellino le farà bene.»«È una bella ragazza?»«Direi di sì.»L'altro viaggiatore si voltò a guardare con interesse il finestrino del carro e, sempre fissandolo, disse: «Potrei

darle un'occhiata?»«No,» rispose il venditore d'ocra con tono brusco. «Ormai è buio e non la vedrebbe neanche; e poi non posso

permetterglielo. È una fortuna che dorma così bene: spero che non si svegli finchè non sia arrivata a casa.»«Chi è? Una del vicinato?»«Chi sia non ha importanza, mi scusi.»«Non è per caso quella ragazza di Blooms-End di cui s'è parlato qualche tempo fa? In questo caso, la conosco;

e posso immaginare quel ch'è avvenuto.»«Non ha importanza... Ma ora, signore, mi dispiace dirle che dobbiamo separarci. I miei cavalli sono stanchi, e

ho ancora un bel pezzo di strada; li farò riposare per un'oretta, al riparo di questa collina.»Il vecchio annuì col capo con aria indifferente e il venditore d'ocra fece girare i cavalli col carro sul prato

vicino alla strada, dicendo: «Buona notte.» L'altro ricambiò il saluto e continuò la sua strada come prima.Il giovane lo guardò allontanarsi finchè la sua figura, sempre più piccola, si ridusse a una macchia sulla strada

e finì con l'esser assorbita completamente dai veli sempre più densi della notte. Prese allora un po' di fieno da un fascio

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appeso sotto il carro e, dopo averne gettata una parte dinanzi ai cavalli, ammucchiò il resto in terra accanto al veicolo, facendone una specie di cuscino su cui sedette, appoggiando la schiena alla ruota. Giungeva dall'interno al suo orecchio il lieve suono d'un calmo respiro. Ne parve soddisfatto e si mise a contemplare pensosamente il paesaggio come se si chiedesse che cosa doveva fare.

Agire ponderatamente e a gradi sembrava logico e inevitabile nelle valli di Egdon, in un'ora come questa. Qualcosa nella brughiera stessa pareva suggerire l'idea d'una lunga, esitante incertezza. Emanava dal luogo un senso di riposo: non un riposo fatto d'inerzia, ma una sensazione creata da un ritmo incredibilmente lento. Una vita sana tanto simile al torpore della morte è già di per sè cosa notevole; quel suo apparire immobile come un deserto, pur contenendo forze in movimento simili a quelle esistenti in un prato o addirittura in una foresta, non poteva fare a meno di colpire chi vi si soffermasse col pensiero, suscitando quel tipo d'attenzione intensa sollecitata in genere da ogni atteggiamento di reticente discrezione.

Lo spettacolo che s'offriva agli occhi del venditore d'ocra era una serie graduale di lievi pendii in ascesa dalla strada fino al cuore della brughiera. Comprendeva collinette, fosse, creste, pendenze, l'una dietro l'altra, il tutto concluso da un alto colle che si stagliava contro il cielo ancor chiaro. L'occhio del viaggiatore osservò tutto questo per un momento, finchè non si fermò su un punto che attirò la sua attenzione. Era una montagnola, un tumulo costruito dall'uomo. Questa protuberanza che si levava al disopra del livello naturale della terra, sorgeva nel punto più alto del più isolato altopiano della brughiera. Benchè, a guardarlo dalla valle, sembrasse poco più d'una verruca sulla fronte d'un gigante, le sue dimensioni erano notevoli: appariva il polo e l'asse di quel mondo d'erica e di ginestra.

Guardando, mentre si riposava, la montagnola, l'uomo notò come sulla sua cima, ch'era stata sinora il punto più alto dell'intero paesaggio, fosse comparso qualcosa di più alto ancora. Emergeva dal monticello emisferico come il chiodo d'un elmetto. Uno straniero dotato di fantasia avrebbe potuto credere che si trattasse d'uno degli antichi celti costruttori del tumulo, a tal punto era assente dalla scena ogni traccia di modernità: forse l'ultimo di quegli uomini antichi, che ancora indugiava meditando per un attimo prima di affondare nella notte eterna col resto della sua razza.

La figura rimaneva là, immobile come il colle su cui posava. Sulla pianura sorgeva la collina, sulla collina la montagnola e sulla montagnola la figura. Al disopra della figura nulla che si potesse disegnare su una carta che non fosse quella del globo celeste.

La figura dava alla massa scura dei colli un tocco definitivo così perfetto, delicato e necessario, da sembrare la loro unica evidente giustificazione. Senza di essa, sarebbe stata una cupola senza il lucernario; la sua presenza soddisfaceva invece alle esigenze architettoniche della massa. Il paesaggio era stranamente omogeneo; valle, altopiano, montagnola e figura costituivano un'unità. A guardar l'uno o l'altro pezzo dell'insieme si aveva l'impressione di non osservare una cosa completa, ma una semplice frazione di essa.

A tal punto la figura appariva parte organica dell'intera immota struttura che nel vederla muovere si sarebbe stati colpiti come da un fenomeno. Essendo l'immobilità la principale caratteristica di quel tutto di cui la persona faceva parte, l'interrompersi dell'immobilità in qualsiasi punto avrebbe creato un senso di disordine.

Eppure fu proprio quel che accadde. Si vide la figura perdere la sua immobilità, fare due o tre passi, voltarsi. Come se qualcosa l'avesse spaventata, si lasciò scivolare sul fianco destro della montagnola, come una goccia d'acqua che scorra sull'involucro d'una gemma, poi scomparve. Ma bastarono quei pochi movimenti per mostrare in modo più chiaro i tratti caratteristici della figura, che si rivelò quella d'una donna.

Ben presto però fu chiara la ragione del suo improvviso spostamento. Un'altra figura, carica d'un fardello, emerse nel cielo a sinistra, salì il monticello e depose il carico sulla cima. Seguì una seconda figura, poi una terza, una quarta, una quinta, finchè tutta la montagnola fu coperta di figure curve sotto un carico.

L'unica cosa comprensibile in questa pantomima d'ombre sullo sfondo del cielo era che la donna non aveva nessun rapporto con le forme che l'avevano sostituita, si sforzava anzi di evitarle ed era venuta in quel luogo per uno scopo diverso. La fantasia dell'osservatore preferiva indugiare sulla solitaria figura scomparsa, trovandola più interessante, più importante, e probabilmente più ricca d'una storia che valeva la pena di conoscere, che non sui nuovi venuti, ch'era inconsciamente tratto a considerare come intrusi. Tuttavia c'erano, e sembravano decisi a rimanere; mentre nulla faceva prevedere che la persona solitaria, prima regina di quel luogo deserto, dovesse ricomparire.

USANZE PAESANE

L'osservatore che si fosse trovato nelle immediate vicinanze si sarebbe reso conto che quelle persone erano ragazzi e uomini, abitanti dei villaggi vicini. Ciascuno di essi, salendo la montagnola, portava un greve carico di fascine di ginestra, legate - due davanti e due dietro - ad un palo aguzzato a questo scopo alle due estremità e bilanciato sulla spalla. Venivano da una zona, a un quarto di miglio più all'interno, di cui la ginestra era quasi l'unico, esclusivo prodotto.

Questo sistema di portare le fascine, che li coprivan così quasi completamente, li rendeva, finchè non se ne fossero liberati, simili a cespugli in movimento. Erano arrivati camminando in fila indiana, come un gregge di pecore in viaggio: prima i più forti, poi i deboli e i giovani.

Le fascine vennero ammucchiate e sulla cima della montagnola, nota per molte miglia attorno col nome di Rainbarrow, si levò una piramide di circa dieci metri di circonferenza. Alcuni si diedero poi da fare coi fiammiferi e a

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scegliere i rami più secchi, altri a sciogliere gli sterpi che tenevano insieme le fascine. Altri ancora, mentre si svolgevano queste operazioni, levavan gli occhi a guardare l'ampio paesaggio che si poteva dominare dall'altura, ora quasi completamente sommerso dall'ombra. Nelle valli della brughiera nulla si vedeva, a qualsiasi ora del giorno, all'infuori del suo volto selvaggio; ma dall'alto della montagnola si scorgeva un orizzonte più ampio che comprendeva un tratto molto lontano, in parte fuori della brughiera stessa. I particolari non erano visibili, ma si aveva l'impressione d'una distesa vaga e remota.

Mentre uomini e ragazzi stavano lavorando a costruire la catasta, qualcosa avvenne nella massa d'ombra del lontano paesaggio. Soli rossi e barbagli di fuoco s'accesero, uno dopo l'altro, punteggiando la campagna circostante. Erano i falò che gli abitanti di altri distretti e altri villaggi accendevano per commemorare lo stesso fatto. Alcuni, lontani, in un'atmosfera nebbiosa, irradiavano a ventaglio fasci di pallidi raggi color paglia. Altri, grandi e vicini, laceravano la tenebra col loro ardore scarlatto, simili a ferite in una pelle nera. Altri sembravano Menadi dal volto violaceo e dalle chiome svolazzanti. I fuochi tingevano il grembo silenzioso delle nubi sovrastanti, illuminandone le effimere caverne, che sembravano trasformarsi in immense caldaie ardenti. Si potevano contare una trentina di falò in tutta quella zona; e, come si può leggere l'ora su un quadrante anche quando le cifre sono invisibili, così gli uomini riconoscevano la località di ciascun falò dall'angolo e dalla direzione, anche se non si vedeva altro.

La prima fiamma del falò del Rainbarrow che si levò alta nel cielo richiamò l'attenzione di tutti quelli che avevano fissato gli occhi sui fuochi lontani. L'allegro chiarore illuminò a sprazzi la superficie interna del cerchio umano - a cui altri viandanti s'erano ora aggiunti, maschi e femmine - rivestendola come d'un manto d'oro e gettando sulla scura erba attorno una luce viva, che si veniva attenuando e spegnendo ai piedi della montagnola. In questa luce, la montagnola o tumulo appariva come il segmento d'un globo, perfetta come il giorno in cui era stata costruita, con accanto il fossatello, da cui era stata scavata la terra. Nessun aratro aveva mai smosso un granello di quel terreno indomabile. Sterile per il contadino, la brughiera era feconda per lo storico: nulla era stato distrutto perché nulla era stato costruito.

Si sarebbe detto che gli uomini intenti ad alimentare il falò si trovassero in un radioso piano superiore del mondo, staccato e indipendente dalle zone d'ombra sottostanti. La brughiera in basso appariva loro come un vasto abisso, non come continuazione della terra su cui posavano i piedi; i loro occhi, abbagliati dalla fiamma, nulla potevano discernere nelle profondità che non n'erano illuminate; anche se di quando in quando una luce più vigorosa saettava lampi di luce lungo il pendio a esplorare qualche lontano cespuglio, stagno o tratto di sabbia bianca, rivestendoli per un attimo dello stesso colore finchè tutto non scompariva di nuovo nella tenebra. Il nero paesaggio assomigliava allora al Limbo come doveva averlo visto dal ciglio della montagna, nella sua visione, il genio fiorentino, e gli articolati mormorii del vento nelle piccole valli facevano pensare ai lamenti e alle suppliche degli «spiriti magni» colà sospesi.

Era come se questi uomini e questi ragazzi si fossero tuffati di colpo nel passato, evocandone un'ora e un'attività un tempo familiari al luogo. Le ceneri dell'originaria pira britannica accesa su quella vetta giacevano intatte ancora e inviolate nel tumulo sotto i loro piedi. Le fiamme dei roghi funebri là accesi un tempo avevano illuminato la pianura come quelle del falò di oggi. A questi eran seguiti nello stesso luogo i fuochi accesi in onore del dio Thor e del dio Odino. Sappiamo benissimo come i falò, simili a quello intorno a cui si raccoglievano oggi allegramente i paesani, siano eredità di una confusione di riti druidici e cerimonie sassoni, piuttosto che invenzione del sentimento popolare eccitato dalla «Congiura delle polveri».

Accendere il fuoco è inoltre l'atto istintivo e persistente che l'uomo compie quando, all'inizio dell'inverno, suona il coprifuoco della natura. Rivela una spontanea, prometea ribellione contro la legge che, al ricorrere di questa stagione, condanna la terra a intemperie, fredda tenebra, povertà e morte. Il nero caos sopraggiunge, e gli dei incatenati nel grembo della terra dicono: «Sia la luce.»

I baleni di chiarore e le grevi ombre che s'alternavano, in vivo contrasto, sui volti e sugli abiti delle persone intorno al fuoco, davano ai loro lineamenti e alle loro figure l'aggressivo vigore d'un quadro di Dürer. Ma era impossibile scoprire l'espressione costante di ciascun volto, chè, mentre le agili fiamme si levavano, s'inchinavano e si dissolvevano nell'aria circostante, le chiazze d'ombra e di luce sui volti mutavano continuamente forma e posizione. Tutto era instabile: come un tremar di foglie, come un lampo evanescente. Occhiaie piene d'ombra, fonde come quelle d'un teschio, si trasformavano di colpo in polle di luce; il disegno sottile d'una mascella appariva a un tratto incavato e un momento dopo irradiante chiarore; le rughe s'accentuavano sino a sembrare abissi per poi scomparire completamente allo spostarsi d'un raggio. Le narici erano come pozzi scuri; le vene nel collo dei vecchi sembravano ornamenti dorati; oggetti senza nessuna qualità particolare si coprivano d'una patina brillante; cose lucide, come il falcetto portato da uno degli uomini, parevan fatte di vetro; gli occhi brillavano come piccole lanterne. Quelli che la Natura aveva reso semplicemente bizzarri diventavano grotteschi, quelli naturalmente grotteschi assumevano un aspetto irreale; tutto era portato all'estremo.

È quindi probabile che il volto d'un vecchio, accorso come gli altri al richiamo dei fuochi, non fosse tutto e soltanto naso e mento, come appariva al gioco alterno delle luci e delle ombre, ma una vera e propria faccia umana. Stava a crogiolarsi, soddisfatto, al calore della fiamma. Con un palo appuntito respingeva nel braciere i frammenti di ramo che ne cadevano, guardando fissamente il rogo, alzando di quando in quando gli occhi per misurare l'altezza della fiamma o per seguire le grandi scintille che si levavano nell'aria per poi spegnersi allontanandosi nel buio. Sembrava che la viva luce e il calore penetrante creassero in lui una sensazione di letizia, che divenne presto vero e proprio giubilo. Col bastone in mano si mise a danzare da solo una specie di minuetto, mentre un mazzo di sigilli d'ottone

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scintillava e ciondolava con ritmo di pendolo dal suo panciotto: e si mise anche a cantare, con voce simile al ronzio di un'ape su un petalo vellutato:

«Il re convocò tutti i suoi nobili,a uno, a due, a tre;o ciambellano, vado a confessare la regina,e tu verrai con me.

«Benone, benone, disse il ciambellanoe piegò a terra il ginocchio,qualunque cosa dica la regina,io non ho nulla invero da temer!»

La mancanza di fiato gl'impedì di continuare la canzone; e l'improvviso silenzio attirò l'attenzione d'un uomo di mezza età e dall'aria posata, che sembrava tener gli angoli della bocca ricurva rigorosamente infossati, come per impedire a chiunque d'attribuirgli per sbaglio una qualsiasi ombra d'allegria.

«Bella canzone, nonno Cantle. Ma non è un po' troppo faticoso per i vostri vecchi polmoni sconquassati?» disse al rugoso festaiolo. «Scommetto che vi piacerebbe aver di nuovo diciott'anni, come quando l'avete imparata, no?»

«Eh?» disse nonno Cantle, smettendo di ballare.«Vi ho chiesto se non vi piacerebbe ritornar giovane. Il vostro organetto mi sembra ormai un po' sfiatato.»«Ma non sono bravo, forse? Se non sapessi tirar in lungo quel poco fiato che ho, sarei un vecchio decrepito

davvero, Timothy!»«Ma che ne è degli sposi alla locanda della "Buona Donna"?» chiese l'altro, puntando il dito verso una vaga

luce presso la strada maestra, in un tratto però diverso da quello in cui il venditore d'ocra stava in quel momento riposando. «Che cosa staran facendo? Dovreste saperlo, voi che siete un uomo accorto.»

«E anche pieno di malizia, vero? Sì, debbo riconoscerlo. Mastro Cantle bisogna prenderlo com'è. Ma è un difetto simpatico, vicino Fairway, e di cui guarirò con gli anni.»

«Ho sentito dire che sarebbero tornati a casa questa sera stessa. A quest'ora dovrebbero già essere arrivati. Chi ne sa qualcosa?»

«Non credete che dovremmo andar subito a porger loro i nostri auguri?»«Io direi di no.»«No? E io dico di sì, invece. Non sarei più io se non ci andassi: lo sanno tutti che non perdo mai un'occasione

di far festa!

«Metti una tonaca da frate,e io ne metterò una compagna,e andremo dalla regina Eleonora,travestiti da frati ambedue.»

«Ho incontrato ieri sera la signora Yeobright, zia della sposina, e m'ha detto che suo figlio Clym verrà a casa per le feste di Natale. Che testa, quel giovanotto! Vorrei sapere tutto quello che sa lui. Be', le ho parlato, scherzando, come faccio sempre, e lei mi ha detto: "Ma guarda un po' se un vecchione venerabile deve fare discorsi simili!" - così ha detto. Ma a me non me n'importa un cavolo, che diamine, e gliel'ho anche detto. "Non me n'importa un cavolo, che diamine!" L'ho messa a posto, no?»

«Mi sembra che sia stata lei a mettere a posto voi!» disse Fairway.«Via,» disse nonno Cantle, un po' mortificato, «a me non sembra affatto.»«E a me sì, invece. Comunque, è a causa del matrimonio di sua cugina che Clym viene a casa per Natale.

Ormai sua madre è rimasta sola. Non credete che sia per questo?»«Sì, proprio per questo. Ma ascoltami, Timothy,» disse il nonno con tono serio. «Anche se mi piace scherzare,

so, quando voglio, parlare sul serio. E ora sentimi. So tutto degli sposi. So che questa mattina alle sei sono andati fuori a sposarsi, e da allora nessuno li ha più visti per niente, anche se credo che nel pomeriggio siano tornati a casa, l'uomo e la donna, anzi la moglie. Non ho parlato sul serio ora, Timothy? Vedi che la signora Yeobright ha avuto torto?»

«Bene. Non sapevo che quei due avessero ripreso a parlarsi dopo l'autunno scorso, quando la zia s'è opposta alle pubblicazioni. Da quando hanno ricominciato a vedersi? Tu lo sai, Humphrey?»

«Sì, da quando?» disse nonno Cantle con aria maliziosa, rivolgendosi anche lui a Humphrey. «È proprio quello che mi chiedo.»

«Da quando la zia ha cambiato idea e ha detto che, se proprio voleva, poteva sposarselo,» rispose Humphrey, senza distogliere lo sguardo dal fuoco. Era un giovane dall'aria seria, quasi solenne. Portava le insegne del suo mestiere, e cioè il falcetto e i guantoni dei tagliatori di ginestra, e aveva le gambe inguainate in grosse e pesanti ghette, rigide come gli schinieri di rame dei filistei. «Ecco perché sono andati a sposarsi fuori, penso. Dopo aver fatto tante storie e

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tenuta la ragazza chiusa in casa come in convento, ed essersi opposta alle pubblicazioni, come poteva poi permettere che si sposassero in pompa magna proprio nella parrocchia, come se non avesse mai avuto niente in contrario?»

«Non poteva, proprio così; ma dev'esser stato un brutto affare per quei due poveretti,» disse nonno Cantle, con tono faticosamente serio e corretto.

«Il caso ha voluto ch'io fossi in chiesa, quel giorno,» disse Fairway; «e non è una cosa che capiti molto sovente.»

«Non per darmi delle arie,» disse il nonno con enfasi, «ma quest'anno non ci sono ancora stato; e difficilmente ci andrò ora che viene l'inverno.»

«Io non ci vado da tre anni,» disse Humphrey, «perché alla domenica ho sempre un sonno da morire; ed è terribilmente lontano; e poi, anche se ci vai, è così poco probabile che scelgano proprio te, fra tanti, per accoglierti in cielo, che preferisco starmene tranquillamente a casa.»

«Il caso ha voluto non soltanto che ci fossi,» disse Fairway, riprendendo con rinnovata enfasi, «ma che fossi addirittura seduto nello stesso banco della signora Yeobright. E voi forse non mi crederete, ma a sentirla mi si gelò il sangue nelle vene. Vi sembrerà strano, sì, ma pensate che ero gomito a gomito con lei.» E così dicendo, si voltò a guardare gli astanti, che s'erano avvicinati per ascoltarlo; le sue labbra erano più che mai tirate e strette nello sforzo di raccontare l'episodio con la dovuta moderazione e sobrietà.

«È grave quando ti capitano le cose in un posto come quello,» disse una donna in seconda fila.«"... è tenuto a dichiararlo," aveva appena finito di dire il parroco,» continuò Fairway. «E vedo alzarsi in piedi

una donna vicino a me: così vicina che quasi la toccavo. "Dio m'accechi se non è la signora Yeobright quella che si alza," dissi a me stesso. Sì, amici, ho detto proprio così, benchè fossi nel tempio della preghiera. È contro la mia coscienza imprecare e bestemmiare quando sono in compagnia, e spero che le donne presenti mi scuseranno. Ma quel che ho detto l'ho detto, e sarei un bugiardo se non volessi riconoscerlo.

«Hai ragione, vicino Fairway.»«"Dio m'accechi se non è la signora Yeobright che si alza," dissi,» insistè il narratore, ripetendo le parole

blasfeme con lo stesso volto impassibile e severo di prima, come a dimostrare che le ripeteva per necessità e non per gusto. «E poi subito sento che dice: "Mi o oppongo alle pubblicazioni." "Ne parliamo dopo la funzione," disse il parroco con tono dimesso: sì, sembrava un uomo qualunque, senza niente di sacro, come te o come me. Com'era pallida! Vi ricordate quel monumento nella chiesa di Waterbury? Quel soldato seduto a gambe incrociate a cui i ragazzini della scuola han rotto un braccio? Bene, la faccia della donna era bianca come quel marmo quando disse: "Mi oppongo alle pubblicazioni."»

I presenti si schiarirono la gola e gettarono alcuni rametti nel fuoco non perché fosse necessario, ma per aver il tempo di meditare sulla morale della storia.

«Quando ho sentito che avevano proibito le pubblicazioni son stata più contenta che se mi avessero messo in tasca un sixpence,» disse con voce seria: quella di Olly Dowden, una donna che viveva facendo scope di ginestra, o granate. Il suo carattere la portava a essere cortese coi nemici quanto con gli amici e a mostrarsi riconoscente a tutti per il solo fatto che le permettevano di stare al mondo.

«Ma ora la ragazza l'ha sposato lo stesso,» disse Humphrey.«Dopo d'allora la signora Yeobright ha cambiato idea; e adesso era d'accordo,» riprese Fairway con aria

indifferente, per dimostrare che le sue parole non erano un seguito a quelle di Humphrey, ma il risultato di riflessioni indipendenti.

«Anche se si vergognavano, non vedo perché non potessero sposarsi qui lo stesso,» disse una donna così grossa che, se appena si chinava o voltava, faceva scricchiolare le balene del busto e le scarpe. «È bello invitare i vicini a fare un po' di d'allegria di tanto in tanto; e perché non farlo quando ci si sposa, oltre che alle solite feste? Non mi piacciono le cose fatte di nascosto.»

«Bene, forse voi non mi crederete, ma io non ci tengo per niente alle feste di nozze,» disse Timothy Fairway, girando di nuovo gli occhi attorno. «Vi confesso che non mi spiace affatto che Thomasin Yeobright e il vicino Wildeve abbian voluto far le cose senza pompa. Una festa di nozze vuol dire ballare cinque o sei gighe in un'ora; e questo non è un complimento per le gambe d'un uomo che ha passato i quarant'anni.»

«È vero. Una volta in casa della sposa, non puoi rifiutarti di fare la tua parte: devi pur guadagnarti il pranzo.»«A Natale devi ballare perché è la più grossa festa dell'anno; alle nozze devi ballare perché è la più grossa festa

della vita. C'è chi riesce a ballare anche ai battesimi, magari solo due o tre giri. Senza parlar delle canzoni che devi cantare... Per conto mio preferisco quasi un bel funerale. Si mangia e si beve magnificamente, meglio ancora che alle altre feste. E a chiacchierare con un poveretto per consolarlo non ti rompi le gambe come a ballare al suono delle cornamuse.»

«Vuoi dire allora che nove persone su dieci non penserebbero di mettersi a ballare a un funerale?» insinuò il nonno Cantle.

«È l'unico ricevimento a cui un uomo posato possa starsene tranquillo, dopo aver bevuto due o tre bicchieri.»«Già; ma io non capisco perché una brava e garbata ragazza come Tamsin Yeobright abbia accettato di

sposarsi in modo simile,» disse Susan Nunsuch, la grassona, insistendo sul suo punto di vista. «Non lo fanno neanche i poveri. E poi, non avrei mai sposato quel tipo, anche se qualcuno dice che è un bell'uomo.»

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«Bisogna riconoscere che, a modo suo, è un uomo intelligente e istruito; quasi intelligente come Clym Yeobright. Con l'istruzione che ha, avrebbe potuto far qualcosa di meglio che l'oste della "Buona Donna". Un ingegnere: ecco quel che era, a quanto sappiamo; ma non è riuscito a far fortuna, ed eccolo ridotto a tenere una locanda per vivere. A che gli è servita l'istruzione?»

«A niente, come capita a tanti,» disse Olly, la fabbricante di scope. «Chissà perché la gente ci tiene tanto a diventare istruita! Anche quei tipi che una volta, neanche per salvarsi la pelle, avrebbero saputo fare una O con l'imbuto, ora sanno scrivere il loro nome senza piantare il pennino nella carta, a volte addirittura senza una macchia; che dico? ...a volte senza neanche doversi appoggiare con lo stomaco e i gomiti sul tavolino.»

«Proprio così. È straordinario come il mondo s'è incivilito, disse Humphrey.«Eh, prima d'andare a fare il soldato, nel corpo dei "Campioni territoriali" (così ci chiamavano) nel 1804,»

intervenne a questo punto la voce allegra di nonno Cantle, «non sapevo niente del mondo, come il più ignorante tra voi. Ma poi, quante cose ho imparato!»

«Sapresti fare la tua firma, sicuro,» disse Fairway, «se tu fossi tanto giovane da poterti risposare, come Wildeve e la signorina Tamsin: ed è più di quello che saprebbe fare il nostro Humph, il quale, quanto a istruzione, non vale più di suo padre. Non dimenticherò mai, Humph, quando mi sono sposato, come mi ha guardato in faccia tuo padre, vedendo che scrivevo il mio nome sul registro. Lui e tua madre erano stati gli ultimi a sposarsi prima di noi, e sulla pagina c'era la croce fatta da tuo padre, con le braccia tese come un grosso spaventapasseri. Una grossa croce nera: tutta tuo padre! Confesso che mi venne proprio da ridere quando la vidi, anche se ero tutto sudato un po' per il matrimonio, un po' per quella donna che mi stava attaccata al braccio, un po' perché Jack Changley e una squadra d'altri giovanotti mi stavano a guardare ghignando dalla finestra della chiesa. Ma un momento dopo mi sentii morire, perché ricordai che tuo padre e tua madre da quando s'eran sposati non avevano fatto che litigare, e io, disgraziato, ero andato a cacciarmi nei medesimi guai... Che giornata!»

«Wildeve ha diversi anni più di Tamsin Yeobright. E lei è anche una bella ragazza. Come ha fatto una donna giovane, e che ha da vivere, a perder la testa per un uomo simile?»

Quello che aveva parlato, uno scavatore di torba arrivato un minuto prima, portava sulla spalla la grossa vanga a forma di cuore usata nel suo mestiere; e la lama ben affilata brillava come un arco d'argento alla luce del fuoco.

«Almeno cento ragazze sarebbero state felici di sposarlo, se le avesse chieste,» disse la donnona.«Hai mai conosciuto un uomo che nessuna donna vorrebbe sposare, vicino?» chiese Humphrey.«No,» rispose il boscaiolo.«Nemmeno io,» disse un altro.«E neanch'io,» disse nonno Cantle.«Io invece ne ho conosciuto uno,» disse Timothy Fairway, battendo forte col piede in terra. «Ho conosciuto un

uomo simile. Ma uno solo, badate.» Si schiarì la gola a fondo, come se si sentisse in dovere di non farsi fraintendere parlando con voce rauca. «Sì, l'ho conosciuto,» disse.

«Chissà che mostro sarà stato quel poveretto!» disse lo scavatore di torba.«Non era nè sordo, nè muto, nè cieco. Non so cos'avesse.«È uno di queste parti?» chiese Olly Dowden.«Può darsi,» rispose Timothy, «ma non voglio far nomi... Su, riattizzate il fuoco, ragazzi.»«Perché mai batte i denti Christian Cantle?» disse un ragazzo di tra il fumo e le ombre dall'altra parte del falò.

«Hai freddo, Christian?»Si sentì una voce sottile e un po' stridula rispondere: «No, per niente.»«Vieni avanti, Christian, e fatti vedere. Non sapevo ch'eri qui» disse Fairway, gettando da quella parte

un'occhiata compassionevole.Così invitato, un uomo dall'aria irresoluta, i capelli radi, le spalle cascanti e grossi polsi e caviglie che

spuntavano dalle maniche e dai pantaloni, fece due o tre passi avanti di sua volontà e fu poi spinto per un'altra dozzina di passi dalla volontà degli altri. Era il figlio minore di nonno Cantle.

«Perché tremi, Christian?» disse lo scavatore di torba con dolcezza.«Sono io quell'uomo.»«Quale uomo?»«Quello che nessuna donna vuol sposare.»«Ma che diamine!» disse Timothy Fairway, con uno sguardo che includeva molto di più della piccola figura di

Christian, mentre nonno Cantle lo fissava come una chioccia fissa i pulcini usciti dall'uovo che ha covato.«Sì, sono proprio io; e ho una gran paura,» disse Christian. «Credete che mi capiterà qualcosa di male? Dico

sempre che non me ne importa niente, e ci giuro su anche; invece me ne importa moltissimo.»«Dio m'accechi se questa non è la cosa più strana che mi sia mai capitata,» disse Fairway. «Non pensavo

affatto a te. Allora ce n'è un altro nel paese! Perché hai voluto confessare la tua disgrazia, Christian?»«Si vede che così dev'essere, penso. Che ci posso fare?» Si guardò attorno coi suoi tondi occhi dolorosi,

circondati, come bersagli, da linee concentriche.«Niente, si capisce. Ma è una cosa malinconica, e mi son sentito gelare il sangue quando hai parlato, perché ho

saputo così che i disgraziati sono due, mentre credevo che ce ne fosse uno solo. Certo è molto triste per te, Christian. Ma come fai a sapere che le donne non ti vogliono?»

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«Ho provato con tante.»«Oh, non avrei mai creduto che tu avessi tanto coraggio. E che cosa ti ha risposto l'ultima con cui hai provato?

Può anche darsi che cambi idea.»«"Levati dai piedi, pezzo di spilungone scimunito," mi ha detto.»«Non è stata incoraggiante, lo riconosco. "Levati dai piedi, pezzo di spilungone scimunito" non è un modo

molto gentile per dire di no. Ma forse non sarà impossibile convincerla col tempo, quando la pettegola avrà qualche filo grigio nei capelli. Quanti anni hai, Christian?»

«Ne ho fatti trentuno all'ultima aratura, signor Fairway.»«Eh, non sei più un ragazzo, certo. Ma non è perduta ogni speranza.»«È questa la mia età secondo il battesimo, come sta scritto nel grosso libro che tengono in sacrestia; mia madre

però mi ha detto che quando m'hanno battezzato ero già nato da un po'.»«Ah!»«Ma, per quanti sforzi faccia, non riesce a ricordare il giorno della mia nascita; sa soltanto che non c'era la

luna.»«Non c'era la luna: un bel guaio. Ecco perché è disgraziato, vicini.»«Sì, un bel guaio,» disse nonno Cantle, scuotendo il capo.«Mia madre sapeva che non c'era la luna, perché l'aveva chiesto a un'altra donna che aveva un almanacco,

come faceva ogni volta che le nasceva un maschio, perché il proverbio dice "Niente luna, niente fortuna", e ogni volta temeva che la luna non ci fosse. Credete davvero che io sia disgraziato perché quando son nato non c'era la luna, signor Fairway?»

«Certo. "Niente luna, niente fortuna". È uno dei proverbi più giusti che conosca. Il maschietto che nasce con la luna nuova non combina niente di buono. È stato un bel guaio per te, Christian, metter fuori il naso proprio in quel giorno, con tanti giorni che ci sono in un mese.»

«Certo la luna era piena quando voi siete nato,» disse Christian, guardando Fairway con disperata ammirazione.

«Be', nuova non era,» ribattè Fairway, ostentando indifferenza.«Preferirei star senza bere a Ferragosto che essere un uomo senza fortuna,» riprese Christian, continuando la

sua rotta cantilena. «Dicono che sono uno scherzo d'uomo, buono a nulla; forse è per questo che non mi vogliono.»«Sì,» disse nonno Cantle, leggermente depresso. «E pensare che sua madre, quand'era ragazzo, piangeva per

delle ore, per paura che crescesse troppo e lo prendessero a fare il soldato.»«Ma non è il solo: ci sono altri nelle sue condizioni,» disse Fairway. «I castrati hanno il diritto di vivere nè più

nè meno dei montoni, poveretti.»«Allora credete che dovrò continuare così? Avrò sempre paura di notte, signor Fairway?»«Certo ti toccherà dormir solo tutta la vita; e i fantasmi, quando vengono, non s'avvicinano certo alle coppie

sposate, ma a quelli che son soli. Ultimamente ne hanno visto uno. Molto strano.»«Oh, vi prego, non ne parlate, se potete! Mi si accapponerà la pelle quando ci penserò a letto, da solo. Ma voi

lo farete, ne sono certo, Timothy; e ne sognerò per tutta la notte! Un fantasma molto strano? Di che tipo di fantasma parlate, Timothy, quando dite ch'era molto strano? ...No, no ...non ditemelo.»

«Io negli spiriti non ci credo. Ma dev'essere abbastanza spaventoso... a quanto m'han detto almeno. È stato un ragazzino a vederlo.»

«E com'era?... No... non lo dite.»«Era rosso. Sì, lo so che quasi tutti i fantasmi sono bianchi; ma sembrava che questo fosse stato tuffato nel

sangue.»Christian respirò profondamente senza che per questo gli si dilatasse il petto, e Humphrey disse: «Dove l'han

visto?»«Non proprio qui; ma in questa parte della brughiera. Ma è meglio non parlarne. Che ne direste,» continuò con

tono più allegro, rivolgendosi agli altri, come se l'idea non fosse stata di nonno Cantle, «che ne direste, dato che è la loro notte di nozze, di andare a fare una cantatina sotto la finestra degli sposi, prima di ritirarci? Una volta che due si sono sposati, tanto vale mostrarsene contenti: farsi vedere di malumore non serve a nulla. Io non sono uno che beve, lo sappiamo tutti, ma quando le donne e i ragazzi se ne sono andati a casa, possiamo passare un momento alla "Buona Donna", e fare un po' di chiasso dinanzi alla porta degli sposi. La mogliettina sarà contenta e io lo farò volentieri, pensando a tutte le volte che m'ha offerto da bere quando stava a Blooms-End con la zia.»

«Bene, allora andiamo!» disse nonno Cantle, voltandosi con gesto così brusco che i sigilli d'ottone oscillarono più in fretta che mai. «A star qui fuori al vento m'è venuta una gran sete e non ho bevuto un goccio dall'ora di cena. Dicono che l'ultima birra arrivata alla "Buona nonna" sia una bontà. E anche se la faremo un po' lunga, vicini, domani è domenica e potremo dormire fino a tardi, non vi pare?»

«Nonno Cantle! Non vi sembra d'essere un po' troppo spensierato per la vostra età?» disse la grassona.«Sì, sono spensierato... troppo per i gusti delle donne! Olà! Eccomi qui, pronto a cantare L'allegra ciurma o

qualsiasi altra canzone, mentre un vecchio cadente si consumerebbe gli occhi a furia di piangere. Su, andiamo: son pronto a tutto.

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«Il re si guardò dietro la spallae il guardo avea crucciato.O ciambellano, disse, se giurato non avessi,saresti ora impiccato.»

«Bene, ecco quel che faremo,» disse Fairway. «Andremo a fare una cantatina agli sposi, e che il Signore li aiuti. Ma a che cosa serve che Clym, cugino di Thomasin, torni a casa quando ormai la cosa è fatta? Poteva venir prima, se voleva che non si facesse, e sposarsela lui.»

«Forse viene per stare un po' con sua madre: si sentirà sola, ora che non c'è più la ragazza.»«Potrà sembrar strano, ma io non mi sento mai solo,» disse nonno Cantle. «E di notte non ho paura di niente!»Il falò si stava intanto spegnendo, perché il materiale di cui era fatto non poteva durare a lungo. Moltissimi

degli altri fuochi che punteggiavano l'orizzonte venivano anch'essi attenuandosi. Osservando con attenzione la loro luminosità, il colore e la durata, si poteva scoprire la qualità del materiale usato; e, attraverso questo, fino a un certo punto, i prodotti naturali della zona in cui si trovava il falò. Il chiaro, regale splendore caratteristico dei più rivelava una zona di brughiera e di ginestra come quella in cui si trovava il Rainbarrow, e che si stendeva da una parte per miglia innumerevoli; il rapido infiammarsi e spegnersi dei falò in altri punti dell'orizzonte denunciava invece un combustibile meno consistente: paglia, sterpi e i soliti detriti dei terreni coltivati. I più resistenti di tutti - luci ferme e senza mutamento, simili a pianeti - si trovavano nella zona boscosa ed erano fatti di rami di nocciolo, fascine di ginestra e ceppi robusti. I falò costruiti con questo materiale erano pochi e, sebbene meno appariscenti a confronto delle fiammate violente e caduche, incominciavano ora a affermare la propria superiorità per il solo fatto che continuavano a bruciare. Gli enormi falò fiammeggianti s'erano ormai spenti, ma questi resistevano ancora. Erano nei luoghi più lontani: vette stagliate contro il cielo al disopra della folta boscaglia e delle zone coltivate a bosco, a nord, dove il terreno era diverso e la brughiera estranea e ignota.

All'infuori di uno: e questo era il più vicino di tutti, la luna di quella folla di luci. Si trovava in direzione esattamente opposta a quella della finestra illuminata nella valle sottostante. Era così vicino che, sebbene in realtà piccolissimo, la sua luminosità superava di gran lunga quella degli altri.

La luce di quest'occhio tranquillo aveva già attirato di quando in quando l'attenzione dei paesani; e più l'attrasse quando il loro falò s'abbassò, oscurandosi; persino alcuni dei fuochi di legna accesi ultimamente avevano incominciato a spegnersi, ma in quello non si notava mutamento alcuno.

«Guardate com'è vicino quel fuoco!» disse Fairway. «Mi sembra addirittura di veder qualcuno che gli gira intorno. Piccolo e buono, direi che si può chiamare quel falò.»

«Se tiro una pietra lo colpisco,» disse il ragazzo.«Anch'io!» disse nonno Cantle.«No, non lo colpireste, figlioli. Anche se sembra così vicino, quel falò è ad almeno un miglio da qui.»«È nella brughiera, ma non è di ginestra,» disse lo scavatore di torba.«Fuoco di legna secca, ecco quel che è,» disse Timothy Fairway. «Soltanto legna stagionata può bruciare in

quel modo. E il falò è sulla collinetta davanti alla casa del vecchio capitano, a Mistover. Che tipo strano! Farsi un falò nei suoi terreni, di cui nessun altro possa godere, a cui nessuno possa avvicinarsi! Un bel matto ad accendere un falò quando non ha neanche ragazzini da accontentare!»

«Oggi il capitano Vye è andato a fare una lunga passeggiata ed era stanchissimo,» disse nonno Cantle. «Non credo assolutamente che sia stato lui ad accenderlo.»

«E poi non sciuperebbe legna simile per un falò,» disse la grassona.«Sarà stata sua nipote allora,» disse Fairway. «Anche se non è più in età da divertirsi a cose del genere.»«A viver sola laggiù è diventata un po' stramba e si vede che ci si diverte ancora,» disse Susan.«È una bella ragazza dopo tutto,» disse Humphrey; «specialmente quando si mette addosso quei bei vestiti

eleganti.»«È vero,» disse Fairway. «Be', lasciamo che il suo falò continui a bruciare finchè vuole. Ormai il nostro si è

spento.»«Che buio, ora che non c'e più il fuoco!» disse Christian Cantle, volgendosi a guardare coi suoi occhi di lepre

impaurita. «Non credete che faremmo bene ad andarcene a casa, vicini? So benissimo che non ci sono spiriti nella brughiera; ma sarebbe meglio andare a casa... Ah, avete sentito? Che cos'è?»

«Nient'altro che il vento,» disse Sam.«Il 5 novembre dovrebbe essere celebrato di notte soltanto in città. In campagna, e soprattutto nei luoghi

solitari e infidi come questi, bisognerebbe festeggiarlo di giorno!»«Che sciocchezze dici, Christian! Comportati da uomo, via! Facciamo un balletto io e te, Susy, prima che sia

buio del tutto e non si veda più quanto sei ancora bella, benchè siano passati tanti anni da quando quel figlio di strega di tuo marito ti ha portata via a me. Vuoi, tesoro?»

Queste parole erano rivolte a Susan Nunsuch; e un momento dopo gli astanti videro con stupore la figura maestosa della matrona spostarsi rapidamente verso il punto in cui era stato acceso il fuoco, praticamente sollevata dal braccio robusto di Fairway che l'aveva allacciata alla cintola prima ch'ella potesse rendersene conto. Dove prima ardeva il falò era rimasto soltanto un mucchio di cenere con un po' di brace da cui sprizzava di quando in quando una rossa

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scintilla: la ginestra era bruciata tutta. Dopo aver portato la donna nell'interno del cerchio, Fairway incominciò a farla girare e piroettare. Era particolarmente rumorosa: oltre all'armatura di stecche di balena e di rigida tela che la rinchiudeva tutta, portava suole di legno estate e inverno, col tempo umido e il tempo asciutto, per non consumare le scarpe; e quando Fairway incominciò a farla saltellare attorno, il rumore delle suole di legno, lo scricchiolio delle stecche di balena e i suoi strilli di sorpresa si fusero in un sonoro concerto.

«Ti romperò la testa, disgraziato!» disse madama Nunsuch, costretta a piroettare, battendo coi piedi sulle braci ancora accese. «Già avevo le caviglie in fiamme per aver camminato in mezzo alle spine della ginestra, e adesso mi fai anche saltare in mezzo al fuoco!»

Ma l'allegra follia di Timothy Fairway si dimostrò contagiosa. Lo scavatore di torba afferrò la vecchia Olly Dowden e, pur con minore violenza, fece piroettare anche lei. I giovani non tardarono a seguire l'esempio dei più anziani e si misero a ballare con le ragazze; nonno Cantle col suo bastone saltellava tra gli altri come un essere a tre gambe; un minuto dopo sul Rainbarrow non si vedeva che un confuso turbinare di forme scure in mezzo a un folle balenar di scintille che arrivavano sino alla cintola dei ballerini. Gli acuti strilli delle donne, le risate degli uomini, il rumore delle stecche e delle suole di legno di Susan, l'«ohi-ohi-ohi» di Olly Dowden e il fischio del vento tra i cespugli d'erica formavano una specie di accompagnamento musicale al ritmo indemoniato della danza. Soltanto Christian, rimasto in disparte, si dondolava a disagio, mormorando: «Non dovrebbero fare una cosa simile... guardate come volano alte le scintille! È sfidare il Maligno, questo.»

«Che cosa c'è?» chiese uno dei giovani, fermandosi.«Ah .... dove?» disse Christian, avvicinandosi in fretta agli altri.Quelli che ballavano rallentarono il ritmo della danza.«Ho sentito una voce proprio dietro di te, Christian... laggiù.»«Sì... proprio dietro di me!» disse Christian. «Santi del paradiso, aiutatemi; angeli del cielo, proteggetemi...»«Sta' zitto. Che cos'è?» disse Fairway. «Ohé...» gridò una voce dal buio. «Chi è...?» rispose Fairway.«C'è una strada che porta di qui alla casa della signora Yeobright, a Blooms-End?» disse la stessa voce di

prima, mentre un'alta e snella figura indistinta s'avvicinava alla montagnola.«Non sarebbe meglio che corressimo subito a casa, vicini? Ormai è tardi,» disse Christian. «Ma non

andiamocene ognuno per conto suo. È meglio che scappiamo tutti insieme.»«Cercate qualche rametto di ginestra e fate una fiammata, così vedremo chi è costui,» disse Fairway.Quando il fuoco divampò, si vide la figura d'un giovane chiuso in un abito attillato, e rosso dalla testa ai piedi.

«C'è una strada che porti di qui alla casa della signora Yeobright?» ripete.«Sì... basta seguire il sentiero.»«Ma ci possono passare due cavalli con un carro?»«Credo di sì; non ci vuol molto ad arrivare alla valle qui sotto. La pista non è gran che, ma se avete una

lanterna i cavalli possono, con un po' d'attenzione, seguire la strada. Dov'è il vostro carro, vicino?»«L'ho lasciato al fondo, a circa mezzo miglio di qua. Son venuto avanti per cercar la strada, perché ormai è

notte e da un pezzo non vengo da queste parti.»«Venite avanti, allora,» disse Fairway. «Che paura mi avete fatto!» disse ai presenti, includendovi anche il

venditore d'ocra. «Per amor del cielo, ho pensato, che cos'è questo fantasma di fuoco che viene a sorprenderci? Non per offendervi, vicino: non sareste brutto per niente senza quello strano colore che vi copre. Ma ho avuto una sensazione curiosa. Per un momento ho quasi creduto che foste il diavolo o quel fantasma rosso di cui ha parlato il ragazzo.»

«Anch'io mi son presa paura,» disse Susan Nunsuch, «ieri notte avevo sognato un testa di morto.»«Oh, non parlatene più,» disse Christian. «Se avesse avuto un fazzoletto sulla testa, sarebbe stato tale e quale il

Diavolo nel quadro delle Tentazioni.»«Bene, grazie per l'informazione,» disse il giovane con un vago sorriso. «E buona notte a tutti.»E scese dalla montagnola, scomparendo alla vista.«Mi sembra d'aver già visto la faccia di quel giovanotto,» disse Humphrey. «Ma non ricordo dove nè come, e

non so come si chiama.»Il venditore d'ocra se n'era andato da pochi minuti, quando si vide un'altra persona avvicinarsi al falò in parte

riacceso. Era una ben nota e rispettabile vedova del vicinato, di posizione che si sarebbe potuta definire agiata. Il suo volto, uscendo dall'oscurità della brughiera, apparve bianchissimo e senz'ombre, come un cammeo.

Era una donna di mezza età, con quei lineamenti regolari che s'accompagnano spesso, in chi li possiede, alla qualità della perspicacia. Pareva in certi momenti che considerasse le cose da una sfera negata a quelli che la circondavano. Emanava da lei come un senso d'isolamento, di estraneità: la solitudine della brughiera era concentrata in quel volto che dalla solitudine era nato. L'espressione con cui guardò i paesani rivelava una certa indifferenza alla loro presenza e a quel che potevano pensare vedendola passeggiare a quell'ora in quel luogo solitario, affermando così, indirettamente, che, per certi aspetti, li giudicava suoi inferiori. La cosa si spiegava col fatto che, sebbene suo marito fosse stato un piccolo agricoltore, ella era figlia d'un curato e aveva sognato un tempo più alti destini.

Le persone che hanno un certo carattere portano con sè, nella loro orbita, come i pianeti, la propria atmosfera; e la dama, comparsa ora sulla scena, poteva imporre e imponeva in genere la propria personalità a quelli con cui veniva a contatto. Usava, trattando coi paesani, un tono di riservato distacco, fondato sulla coscienza della propria superiorità

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sociale. Ma chiunque si ritrovi in mezzo alla gente e alla luce dopo aver errato in solitudine e al buio, è indotto a una maggiore cordialità che si esprime nel volto ancor più che nelle parole.

«Ma sì, è la signora Yeobright,» disse Fairway. «Signora Yeobright, pochi minuti fa è passato di qui un uomo che chiedeva di lei: uno di quelli che portano l'ocra ai contadini.»

«Che cosa voleva?» diss'ella.«Non ce l'ha detto.»«Avrà avuto qualcosa da vendere; anche se non riesco a capire che cosa.»«Son lieto di sapere che suo figlio Clym verrà a casa per Natale, signora,» disse Sam. «Era un cannone a fare i

falò!»«Sì. Credo che verrà,» diss'ella.«Chissà che bel ragazzo s'è fatto,» disse Fairway.«È un uomo, ormai,» rispose la donna, con tono calmo.«Non dovrebbe andare in giro sola per la brughiera di notte, signora,» disse Christian, uscendo finalmente dal

suo appartato silenzio. «Guardi di non perdersi. Non è bello perdersi nella brughiera di Egdon e stanotte il vento fischia in modo così strano!» capitato anche ai più pratici d'essere portati attorno dai folletti!»

«Sei tu, Christian?» disse la signora Yeobright. «Perché non me l'hai detto subito che c'eri?»«Perché con questa luce incerta non l'avevo riconosciuta, signora; e siccome sono piuttosto timido mi sono

spaventato, ecco. Se sapesse come sono malinconico e depresso certe volte, non avrebbe più pace pensando che possa togliermi la vita.»

«Certo non assomigli a tuo padre,» disse la signora Yeobright, gettando un'occhiata verso il fuoco, dove nonno Cantle, non sapendo far di meglio, ballava da solo tra le scintille, come avevano fatto prima gli altri.

«Via, nonno,» disse Timothy Fairway, «non vi vergognate? Un venerando patriarca come voi - di almeno settant'anni - che si mette saltellare da solo!»

«Quel vecchio è un tormento, signora Yeobright,» disse Christian con aria mesta. «Non starei con lui neanche una settimana, se sapessi dove andare: è troppo allegro.»

«Fareste meglio a smetter di saltellare, nonno Cantle, e a salutare la signora Yeobright, voi che siete il più anziano,» disse la donna delle scope.

«Avete ragione, perbacco,» disse l'allegro vecchietto, fermandosi un po' mortificato. «Ho così poca memoria, signora Yeobright, che dimentico spesso quello che gli altri pensano di me. Lei crederà ch'io sia sempre d'ottimo umore: ma non è vero. Pesa sentirsi considerare un capo, e sovente ne sono oppresso.»

«Mi spiace interrompere la conversazione,» disse la signora Yeobright, «ma ora devo andarmene. Passavo per la strada di Anglebury, diretta alla nuova casa di mia nipote, che deve ritornare questa sera con suo marito, e vedendo il falò e sentendo tra le altre la voce di Olly, son salita a vedere che cosa facevate. Olly non potrebbe venir con me, visto che facciamo la stessa strada?»

«Certo, signora, stavo appunto per andarmene,» disse Olly.«Allora incontrerete certamente l'uomo di cui vi ho parlato prima,» disse Fairway. «È soltanto andato a

prendere il carro. Abbiamo saputo che sua nipote e il marito sarebbero tornati a casa subito dopo le nozze, e stavamo proprio per andare a far loro una cantatina di benvenuto.»

«Vi ringrazio,» disse la signora Yeobright.«Ma noi taglieremo per la brughiera, lungo un sentiero dove lei, con le gonne lunghe, non può seguirci; sarà

meglio che non ci aspetti.»«Benissimo... Sei pronta, Olly?»«Sì, signora. Vedo la finestra di sua nipote illuminata. Ci aiuterà a non perder la strada.»Indicò il fioco lume in fondo alla valle a cui aveva accennato Fairway, e insieme le due donne scesero dalla

montagnola.

SOSTA LUNGO LA STRADA

Continuarono a scendere, e pareva che a ogni passo la discesa si allungasse. La ginestra graffiava rumorosamente le loro gonne; sfioravano le loro spalle le grosse felci che, sebbene morte e secche, si ergevano ancora alte come quand'eran vive, perché le intemperie invernali non le avevano ancora piegate e abbattute. Quel paesaggio infernale non sembrava in verità molto adatto a due donne sole; ma questi luoghi selvaggi erano familiari a Olly e alla signora Yeobright in tutte le stagioni dell'anno; e il buio non rende spaventoso un volto amico.

«E così Tamsin ha finito con lo sposarlo,» disse Olly, quando, essendo la discesa diventata meno ripida, non ebbe più bisogno di guardare continuamente dove metteva i piedi.

«Sì, ha finito con lo sposarlo,» rispose la signora Yeobright, lentamente.«Sentirà la sua mancanza: è sempre stata come una figlia per lei.»«Sento la sua mancanza, infatti.»Olly non era in grado d'accorgersi quando le sue osservazioni erano inopportune; ma la sua semplicità stessa

impediva che diventassero offensive. Poteva fare impunemente domande che, da parte di altri, avrebbero creato

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risentimento. Si spiegava così l'indulgente tolleranza della signora Yeobright, toccata in un punto evidentemente doloroso.

«Ci son proprio rimasta, signora, a sentire che aveva acconsentito,» continuò la donna.«Non più di quel che ne sarei stata stupita io un anno fa, Olly. Questo matrimonio lo si può vedere in molti

modi. Non potrei spiegarteli tutti, anche se volessi.»«Pensavo anch'io che non fosse degno d'imparentarsi con una famiglia come la sua, signora. Un oste, dopo

tutto. Ma bisogna riconoscere che è intelligente: dicono che una volta fosse un ingegnere, un signore, e che si sia rovinato per voler vivere con troppo lusso.»

«Dopo tutto, ho deciso ch'era meglio lasciarle sposare chi voleva.»«Poveretta, non si può comandare al sentimento. È una cosa naturale. Dicano di lui quel che vogliono, possiede

parecchi acri di brughiera coltivata intorno alla locanda, e una coppia di cavalli, e ha i modi d'un gentiluomo. E poi, cosa fatta capo ha.»

«Proprio così,» disse la signora Yeobright. «Ecco qui finalmente le tracce del carro. Ora sarà più facile andare avanti.»

Non parlarono più delle nozze; e presto giunsero a un incrocio di due sentieri dove si separarono, non prima però che Olly pregasse la sua compagna di ricordare al signor Wildeve che non aveva mandato a suo marito, ammalato, la bottiglia di vino che gli aveva promesso in occasione delle nozze. Poi girò a sinistra verso la propria casa, dietro una sporgenza della collina, e la signora Yeobright seguì invece la via diritta, che un po' più avanti confluiva con la strada maestra nei pressi della locanda della «Buona Donna» dove pensava che sua nipote fosse ormai tornata con Wildeve, dopo il matrimonio celebrato ad Anglebury quel giorno stesso.

Giunse prima al «terreno di Wildeve», come lo chiamavano, un tratto di brughiera sgombrato e dissodato, reso coltivabile dopo molti anni di dura fatica. Colui che aveva scoperto ch'era possibile coltivarlo era morto per l'eccesso di fatica; l'uomo che gli era succeduto s'era rovinato nello sforzo di renderlo fertile. Come Amerigo Vespucci, Wildeve era arrivato proprio al momento buono per raccogliere i frutti e gli onori dovuti a quelli che l'avevano preceduto.

Quando la signora Yeobright, giunta alla locanda, stava per entrarvi, vide, alla distanza di circa duecento metri, un cavallo e un veicolo che le venivano incontro, accompagnati da un uomo con una lanterna in mano. Doveva esser l'uomo ché aveva chiesto di lei, si disse; e, invece d'entrar subito in casa, mosse verso il carro.

Il veicolo s'avvicinò e l'uomo stava per passarle accanto senza quasi vederla, quand'ella gli si rivolse dicendo: «Siete voi che avete chiesto di me? Sono la signora Yeobright di BloomsEnd.»

L'uomo trasalì e alzò il dito come per imporre silenzio. Fermò i cavalli e le fece cenno di ritirarsi con lui a qualche metro di distanza; il che ella fece, con un certo stupore.

«Non mi riconosce, signora?» disse.«No,» diss'ella; ma poi subito aggiunse: «Sì che ti conosco, invece! Sei il giovane Venn... Tuo padre non aveva

una fattoria da queste parti?»«Sì. E ho conosciuto sua nipote, la signorina Tamsin. Ho una cattiva notizia da darle.»«Che riguarda lei?... Ma non è possibile. Credo che sia appena tornata a casa, con suo marito. Dovevano

rientrare nel pomeriggio... qui alla locanda.«E invece non c'è.»«Come fai a saperlo?»«È qui. È nel mio carro,» disse il giovane lentamente.«Che nuovo guaio è mai capitato?» mormorò la signora Yeobright, coprendosi gli occhi con la mano.«Non so dirle gran che, signora. So soltanto che questa mattina, mentre camminavo accanto al carro a circa un

miglio da Anglebury, sentii qualcuno che mi correva dietro, con passo leggero da cerbiatta e, voltandomi, vidi ch'era lei, pallida come una morta. "Oh, Diggory Venn!" disse. "M'è sembrato che fossi tu. Vuoi aiutarmi? Sono in un guaio."»

«Come faceva a sapere il tuo nome di battesimo?» disse la signora Yeobright, dubbiosa.«La conoscevo da ragazzo, prima che andassi fuori a lavorare. Mi chiese se poteva salire sul mio carrozzone,

poi svenne. La tirai su e la misi sul carro, dov'è rimasta da allora. Ha pianto molto, ma non ha quasi mai parlato; m'ha detto soltanto che questa mattina avrebbe dovuto sposarsi. Ho cercato di farle mangiar qualcosa, ma non ha voluto; poi finalmente s'è addormentata.»

«Voglio vederla subito,» disse la signora Yeobright, muovendo verso il carrozzone.L'uomo la seguì portando la lanterna e, salendo per primo, aiutò la signora Yeobright ad arrampicarsi sul

gradino, accanto a lui. All'aprirsi della porticina, ella vide in fondo al carro un giaciglio improvvisato, intorno al quale erano disposti tutti i pezzi di tela che il conducente possedeva per salvare chi vi giaceva dal contatto con l'ocra di cui il carro era pieno. Là, sul giaciglio, era stesa una giovinetta, coperta da un mantello. Dormiva, e la luce della lanterna le illuminò il volto.

Era un volto campagnolo, chiaro, dolce e onesto, incorniciato da una massa di riccioli castani: a un punto di mezzo tra il grazioso e il bello. Benchè avesse gli occhi chiusi, era facile immaginarne il luminoso splendore, unico tocco mancante alla bellezza del quadro. L'espressione fondamentale del volto era di fiduciosa speranza, offuscata ora però da qualcosa che appariva sostanzialmente estraneo, un velo d'ansia e di pena. Ma la pena era per quel volto così nuova che ancora non aveva potuto diminuirne lo splendore, limitandosi a dare una sfumatura di dignità a ciò che avrebbe forse finito col distruggere. Il color rosso vivo delle labbra non aveva ancora avuto il tempo d'impallidire,

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appariva anzi ancora più intenso per contrasto col passeggero pallore delle guance. Le labbra si schiudevano di quando in quando in una specie di mormorio. Pareva un'immagine uscita da un madrigale, a cui non era lecito rivolgersi che in termini d'armoniosa poesia.

Una cosa era evidente: non si poteva continuare a guardarla così. Il venditore d'ocra dovè rendersene conto e, mentre la signora Yeobright osservava la ragazza, distolse da lei il suo sguardo con una delicatezza che gli faceva onore. Anche la dormiente dovè avvertire la loro presenza, perché un momento dopo aprì gli occhi.

Le sue labbra si schiusero in un'espressione di speranza, temperata dal dubbio; e la luce che le illuminava il volto permise di cogliere con la massima precisione i mutamenti del suo volto in cui si rifletteva ogni pensiero e ogni frazione di pensiero. Vi si rivelava una vitalità candida, trasparente; come se si vedesse in lei il fluire della vita. In un attimo si rese conto della situazione.

«Sì, sono proprio io, zia,» gridò. «So che ti ho spaventata e che non puoi credere ai tuoi occhi; ma sono proprio io che

torno a casa in questo modo!»«Tamsin! Tamsin!» disse la signora Yeobright, chinandosi sulla giovinetta per baciarla. «Cara bambina mia!»Thomasin era sul punto di scoppiare in singhiozzi; ma riuscì a frenarsi con un dominio di sè inatteso in lei. Con

un lieve respiro d'ansia si tirò su a sedere.«Non m'aspettavo di vederti in questo stato, come tu non t'aspettavi di vedere me,» disse subito. «Dove sono,

zia?»«Vicino a casa, tesoro. Al fondo della valle di Egdon. Ma che cosa è successo?»«Te lo dirò tra un momento. Siamo vicino a casa, hai detto? Allora posso scendere e camminare. Prendiamo il

sentiero.»«Ma questo bravo giovane, che ha fatto già tanto, vorrà certo portarti sino a casa,» disse la zia, rivolgendosi al

venditore d'ocra che, allo svegliarsi della ragazza, s'era allontanato di qualche passo dal carro, rimanendo in attesa nella strada.

«Si capisce che lo farò,» disse.«È proprio molto gentile,» mormorò Thomasin. «Lo conosco da quando eravamo bambini, zia, e oggi, quando

l'ho visto, ho preferito il suo carro a un altro veicolo appartenente a un estraneo. Ma ora vorrei camminare. Ferma i cavalli, ti prego.»

L'uomo la guardò con una sfumatura d'esitazione e di tenerezza, ma li fermò.Zia e nipote discesero allora dal carro; e la signora Yeobright disse al venditore d'ocra: «Ti riconosco bene, ora.

Ma perché hai cambiato mestiere e non seguiti a fare quello di tuo padre?»«È andata così,» disse il giovane, gettando un'occhiata a Thomasin che arrossì leggermente. «Allora per questa

sera non ha più bisogno di me, signora?»La signora Yeobright gettò un'occhiata al cielo scuro, alle colline, ai fuochi che si spegnevano e alla finestra

illuminata della locanda vicina. «Credo di no,» disse, «visto che Thomasin preferisce camminare. Seguendo il sentiero, saremo a casa in un momento: lo conosciamo così bene!»

Scambiate poche altre parole, si separarono: il venditore d'ocra andò avanti col suo carro, lasciando le due donne sulla strada. Appena si fu allontanato quanto bastava perché non potesse più sentir la sua voce, la signora Yeobright si volse alla nipote.

«E ora, Thomasin,» chiese, con voce severa, «vuoi dirmi che cosa significa questo scandalo?»

BRAVA GENTE CHE NON CAPISCE

Thomasin parve colpita dal cambiamento di tono della zia. «Significa semplicemente una cosa: non... sono sposata,» rispose debolmente. «Perdonami, zia, se ti procuro una pena. Me ne dispiace proprio tanto; ma non è stata colpa mia.»

«Non pensare a me, ma a te, piuttosto.»«Non è stata colpa di nessuno. Quando siamo arrivati là, il parroco non ha voluto sposarci perché c'era una

piccola irregolarità nella licenza.»«Che irregolarità ?»«Non lo so. Wildeve saprà spiegartelo. Quando sono partita questa mattina, non pensavo certo che sarei

ritornata in questo modo.» Nel buio, Thomasin potè permettere alla sua pena di sfogarsi in lagrime silenziose che le scesero non viste lungo le guance.

«Quasi potrei dire che ti sta bene, se non sapessi che non te lo meriti,» continuò la signora Yeobright che, sapendo essere quasi al tempo stesso dolce e collerica, passava insensibilmente dall'uno all'altro atteggiamento. «Ricordati, Thomasin, che non sono stata io a volerlo; sin dal primo momento, quando hai incominciato a incapricciarti di quell'uomo, t'ho avvertita che non t'avrebbe resa felice. Ne ero così sicura che ho fatto quello che non avrei mai creduto d'aver il coraggio di fare: mettermi in mostra in chiesa e far parlare la gente per settimane intere. Ma, ora che ho dato il mio consenso, non sono disposta ad ammettere simili scherzi. Ormai devi sposarlo.»

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«Forse non lo voglio anch'io?» disse Thomasin, con un profondo sospiro. «So che ho fatto male a innamorarmi di lui, ma non farmi soffrire ancora di più parlando in questo modo, zia! Non volevi mica che rimanessi là con lui, no?... E la tua casa è l'unica a cui possa ritornare. Dice che ci sposeremo tra due o tre giorni.

«Vorrei che non ti avesse mai vista.»«Allora, a costo d'essere la più infelice donna del mondo, non mi farò più vedere da lui. No, non voglio più

saperne!»«È tardi ormai per dir questo. Vieni con me. Andrò alla locanda a vedere se è tornato. Voglio andare al fondo

della cosa. Wildeve non deve pensare di poter prendere in giro me o le persone a me care.»«Ma non ha voluto far questo. C'era qualcosa che non andava nella licenza, e non poteva procurarsene un'altra

in giornata. Se viene, ti spiegherà com'è andata.»«Perché non ti ha riaccompagnata a casa?»«Sono stata io!» disse Thomasin tra i singhiozzi. «Quando ho visto che non potevamo sposarci, non ho voluto

tornare indietro con lui, e mi son sentita male da morire. Ho visto Diggory Venn e ho preferito farmi portare a casa da lui. Non so che cosa mi sia preso. Ma la colpa è mia e devi essere in collera con me soltanto.»

«Ora vedremo,» disse la signora Yeobright; e insieme mossero verso la locanda, nota nel vicinato col nome di «Osteria della Buona Donna» perché aveva sull'insegna la figura d'un donnone che portava la testa sotto il braccio; sotto quest'immagine paurosa si potevano leggere due versi ben noti ai frequentatori dell'osteria:

POICHÈ LA DONNA TACENON SIA L'UOMO A FAR CHIASSO.

La facciata della casa dava sulla brughiera e sul Rainbarrow, la cui massa scura sembrava incomberle addosso dal cielo. Sulla porta si vedeva una targa d'ottone appannata con la curiosa scritta: «Ingegner Wildeve», reliquia ormai inutile, ma serbata con amore dall'epoca in cui il giovane aveva incominciato a esercitare la professione in uno studio di Budmouth, sotto la guida di chi aveva riposto in lui molte speranze, rimaste deluse. Dietro la casa c'era il giardino, e dietro ancora un torrente calmo e profondo, che segnava, in quella direzione, il limite della brughiera; al di là del torrente incominciavano i prati.

Ma in quel momento la fitta oscurità permetteva solo di scorgere d'ogni cosa le linee stagliate contro il cielo. Si sentiva l'acqua dietro la casa scorrere oziosamente serpeggiando tra le file di giunchi piumati che formavano come un baluardo su ciascuna riva. Ne denunciava la presenza un suono - simile a quello d'una congregazione di fedeli che preghi a bassa voce - prodotto dal loro frusciare al soffio del vento.

La finestra, che quelli del falò avevano visto illuminata dalla fiamma d'una candela, non aveva tendine, ma era troppo alta perché il passante potesse guardar dentro dal di fuori. Una grande ombra, in cui si potevano vagamente discernere i contorni d'una figura maschile, copriva per metà il soffitto.

«Sembra che ci sia,» disse la signora Yeobright.«Debbo entrare anch'io, zia?» chiese Thomasin debolmente. «Forse no: credo che non sia bene.»«Devi venire, invece: così, in tua presenza, non potrà raccontar le cose a modo suo. Non ci fermeremo che

cinque minuti, poi ce ne andremo a casa.»Entrando dall'ingresso aperto, bussò alla porta dell'alloggio privato, l'aprì e guardò dentro.La schiena e le spalle d'un uomo si levarono tra gli occhi della signora Yeobright e il fuoco acceso nel camino.

Wildeve - chè si trattava di lui - si volse immediatamente, si alzò e mosse incontro alle visitatrici.Era un uomo giovane, e chi lo guardava era colpito non tanto dal suo aspetto quanto dal suo modo di muoversi.

I suoi gesti avevano una grazia particolare: erano l'espressione mimica della carriera d'un Don Giovanni. Si notavano poi le sue qualità più materiali, tra cui una profusa chioma sovrastante il volto, che dava alla sua fronte la forma, dagli angoli alti, d'un antico scudo gotico; e un collo liscio e rotondo come un cilindro. Una figura, in complesso, in cui un uomo non avrebbe trovato nulla da ammirare e una donna nulla da disapprovare.

Scorgendo la ragazza nell'ingresso, disse: «Dunque, Thomasin è arrivata a casa. Perché mi hai lasciato in quel modo, cara?» Poi, volgendosi alla signora Yeobright: «È stato inutile discutere con lei. Ha voluto andarsene, e da sola.»

«Ma che cosa significa tutto questo?» chiese la signora Yeobright con tono severo.«Sedetevi,» disse Wildeve, offrendo loro due sedie. È stato uno stupidissimo errore, ecco: cose che possono

capitare. La licenza non era valida per Anglebury. Era stata fatta per Budmouth ma, non avendola letta, non lo sapevo.»«Ma non era stato ad Anglebury?»«No. Ero stato a Budmouth - sino a due giorni fa - e là avevo pensato di portarla; ma quando venni a prenderla,

decidemmo invece d'andare ad Anglebury, dimenticando che ci sarebbe voluta un'altra licenza. E dopo non c'era più il tempo di andare a Budmouth.»

«Mi sembra una distrazione imperdonabile,» disse la signora Yeobright.«È stata colpa mia se abbiamo scelto Anglebury,» disse Thomasin, supplichevole. «Son stata io a proporlo,

perché là nessuno mi conosce.»«So benissimo d'essere nel torto: non occorre ricordarmelo,» disse Wildeve.«Cose simili non avvengono senza una ragione,» disse la zia. «È una grossa mancanza di riguardo per me e per

la mia famiglia; e quando lo si verrà a sapere qui, sarà molto sgradevole. Come potrà domani Thomasin guardare in

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faccia le sue amiche? È un'offesa grave e non credo di poterla facilmente perdonare. Può danneggiare la sua reputazione.»

«Sciocchezze,» disse Wildeve.Thomasin, che aveva seguito la discussione passando con lo sguardo dal volto dell'una a quello dell'altro,

intervenne ora con ansia: «Mi permetti, zia, di parlar della cosa con Damon per cinque minuti? Vuoi, Damon?»«Certo, cara,» disse Wildeve, «se tua zia vorrà scusarci.» E la condusse nella stanza accanto, lasciando la

signora Yeobright accanto al caminetto acceso.Non appena furono soli e la porta si chiuse, Thomasin disse, volgendo verso di lui il viso pallido e lagrimoso:

«Se tu sapessi come mi sento, Damon! Questa mattina ad Anglebury non volevo andarmene così in collera, ma ero stravolta, e fuori di me. Non ho detto alla zia quanto ho sofferto oggi; anche se ho fatto una gran fatica a dominare la voce e il volto, e a sorridere come se fosse stata per me una cosa da niente. So che non è stata colpa tua, caro, anche se la zia sembra crederlo.»

«È molto ingiusta.»«Sì,» mormorò Thomasin, «e probabilmente ti sembrerò ingiusta anch'io, adesso... Ma, Damon, che cosa conti

di fare?»«Che cosa conto di fare?»«Sì. I tuoi nemici mettono attorno voci che in certi momenti mi fanno dubitare di te. Ci sposeremo, non è vero?«Ma certo. Basterà che andiamo a Budmouth lunedì e ci sposeremo subito.»«E allora andiamoci, ti prego!... Oh, Damon, che cosa mi fai dire mai!» esclamò, nascondendo il volto nel

fazzoletto. «Eccomi qui a pregarti di sposarmi; quando invece dovresti essere tu a supplicare in ginocchio me, la tua crudele signora, di non respingerti, dicendo che ti spezzerei il cuore facendolo. Pensavo che sarebbe stato così, tutto bello, tutto dolcezza; com'è diverso, invece!»

«La realtà è sempre diversa dal sogno.»«Non che a me personalmente importi,» aggiunse con una certa dignità; «posso vivere benissimo senza di te.

Ma penso alla zia. È così orgogliosa e ha un così grande concetto del buon nome della famiglia, che resterebbe troppo mortificata se la cosa si sapesse prima che sia tutto a posto. Anche mio cugino Clym ne sarà ferito.»

«E sarà irragionevole da parte sua. In realtà, siete tutti un po' irragionevoli.»Un lieve rossore, che non era d'affetto, colorò il volto di Thomasin. Ma il sentimento passeggero che l'aveva

ispirato scomparve così com'era venuto, ed ella disse umilmente: «Farò di tutto per non esserlo, se appena ci riesco. Ma non posso fare a meno di sentire che finalmente hai mia zia in tuo potere.»

«Direi quasi ch'è giusto,» disse Wildeve. «Pensa a quel che ho dovuto sopportare per ottenere il suo consenso; che grave ingiuria è stata per me il veder proibire le pubblicazioni: doppia ingiuria per un uomo come me, così pieno di sensibilità, suscettibilità e tutto il resto. Non dimenticherò mai quella giornata. Se fossi più cattivo di quel che sono, godrei a vendicarmi di tua zia, non portando più avanti la cosa.»

Ella lo guardò pensosa coi suoi occhi dolenti, mentre diceva queste parole, rivelando col suo aspetto come in quella stanza ci fosse un'altra persona piena di sensibilità. Vedendo che la ragazza soffriva veramente, l'uomo parve turbato, e aggiunse: «Dico per dire, sta' tranquilla. Non ho la minima intenzione di rifiutarmi al matrimonio, Tamsie cara... Non farei mai una cosa simile.»

«Oh, ne sono sicura!» disse la ragazza, illuminandosi tutta. «Tu, che non puoi veder soffrire neanche un insetto, che sei urtato da ogni suono od odore sgradevole, non puoi voler dare un dolore così grande a me e ai miei.»

«Non voglio infatti, se posso evitarlo.»«Dammi la mano e promettimelo, Damon.»Egli le diede la mano con indifferenza.«Ma che diamine succede?» disse a un tratto.Tendendo l'orecchio, udirono un coro che cantava dinanzi alla casa. Due voci si distinguevano in modo

particolare: un basso molto profondo e un esile, ansimante falsetto. Thomasin le riconobbe rispettivamente per quelle di Timothy Fairway e di nonno Cantle.

«Che cos'è questo? Non verranno a farci le beffe, spero,» diss'ella, lanciando uno sguardo impaurito a Wildeve.«Ma neanche per sogno: sono soltanto i paesani che vengono a farci gli auguri. Che seccatura!» Si mise ad

andare avanti e indietro per la stanza, mentre gli altri, là fuori, cantavano allegramente:

«Egli le disse ch'era la gioia della sua vita,e che, se l'accettava, l'avrebbe fatta sua moglie;ella non potè rifiutare; insieme andarono in chiesa;dimenticato Will, Sue era soddisfatta;e quando la baciò e la fece sedere sulle sue ginocchia,nessuno al mondo era più innamorato di lui!»

A questo punto la signora Yeobright irruppe nella stanza. «Thomasin! Thomasin!» disse, guardando Wildeve con aria sdegnata. «Questo è un vero scandalo! Scappiamo subito. Vieni!»

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Ma era ormai troppo tardi per uscire dall'ingresso. Qualcuno bussava forte alla porta della stanza accanto. Dopo essersi affacciato alla finestra, Wildeve tornò presso le due donne.

«Ferme!» disse imperiosamente, prendendo la signora Yeobright per un braccio. «Siamo assediati, ormai. Sono almeno in cinquanta lì fuori. Stia in questa stanza con Thomasin; andrò ad affrontarli. La prego di rimanere, per riguardo a me, finchè non se ne siano andati; così sembrerà che sia tutto a posto. Via, Tamsie cara, smettila di far scene, adesso. Come potremmo non sposarci dopo tutto questo? Lo vedi anche tu. Basta che tu stia tranquilla... e che parli il meno possibile. Me la sbrigherò io con loro. Idioti!»

Costrinse la ragazza agitata a sedere, tornò nella stanza accanto e aprì la porta. Subito fuori, nell'ingresso, si vide nonno Cantle che cantava in coro con quelli rimasti fuori. Entrò nella stanza e salutò Wildeve con un lieve cenno del capo, le labbra ancora schiuse e i lineamenti penosamente tesi nello sforzo del canto. Quando la canzone fu finita, disse cordialmente: «I migliori auguri agli sposini, e che Dio li benedica!»

Dietro il nonno entrarono tutti gli altri, tra cui Fairway, Christian, Sam, Humphrey, e una dozzina d'altri. Tutti sorridevano a Wildeve e anche ai suoi tavoli e alle sue sedie, quasi fossero animati da un senso di cordialità verso gli oggetti non meno che verso chi li possedeva.

«Nonostante tutto, non siamo arrivati prima della signora Yeobright,» disse Fairway, riconoscendo il cappello della dama attraverso la vetrata che divideva la parte pubblica dell'osteria dalla stanza in cui erano le due donne. «E dire che abbiamo tagliato per la brughiera, signor Wildeve, mentre lei è venuta per il sentiero.»

«E vedo anche la testa della sposina!» disse il nonno, allungando lo sguardo nella stessa direzione, e scorgendo Thomasin che, seduta accanto alla zia, attendeva, infelice e imbarazzata. «Non s'è ancora ben sistemata... ma c'è tempo, c'è tempo.»

Wildeve non rispose; e probabilmente rendendosi conto che più presto dava loro da bere, più presto se ne sarebbero andati, tirò fuori un'anfora di coccio, la cui vista creò subito nella stanza un'atmosfera d'allegria.

«Questa sì è roba buona,» disse nonno Cantle, con l'aria d'uno troppo educato per dimostrarsi ansioso di gustarla.

«Sì,» disse Wildeve, «è vecchio idromele. Spero che vi piaccia.»«Oh, certo!» risposero gli ospiti, con l'entusiasmo che vien fuori naturalmente quando le parole imposte dalla

convenienza coincidono con l'intimo sentimento. «Non c'è al mondo bevanda migliore.»«No, lo giuro,» aggiunse nonno Cantle. «L'unico difetto dell'idromele è che dà un pochino alla testa, e non

passa tanto presto. Ma domani, grazie a Dio, è domenica.»«Una volta che ne ho bevuto un goccio, mi son sentito fiero come un soldato,» disse Christian.«Così ti sentirai di nuovo dopo aver bevuto,» disse Wildeve, in tono di protezione. «Tazze o bicchieri,

signori?»«Se non le dispiace, preferiamo bere direttamente all'anfora, e passarcela; è meglio che centellinarlo in un

bicchierino.»«Al diavolo i bicchieri; scivolano,» disse nonno Cantle. «E poi a che servono se non si possono mettere a

scaldare tra le ceneri, vicini? Non è forse vero?»«Giusto, nonno,» disse Sam; e l'idromele incominciò a circolare.«Bene,» disse Timothy Fairway, sentendo il dovere di ricambiare in qualche modo la cortesia, «è una bella

cosa sposarsi, signor Wildeve; e la donna che lei ha scelto, dico, è un vero gioiello. Sì,» continuò rivolgendosi al nonno Cantle, e alzando un po' la voce perché lo sentissero dall'altra parte della vetrata, «suo padre (e accennò col capo verso la stanza interna), era l'uomo migliore del mondo: sempre pronto a sdegnarsi se appena sentiva odore di menzogna e d'inganno.»

«Son cose pericolose?» disse Christian.«E pochi da queste parti potevano stargli a pari in molte cose,» disse Sam. «Quando c'era una processione,

suonava il clarinetto nella banda come se non avesse fatto altro in vita sua. Poi, quando arrivava alla porta della chiesa, buttava via il clarinetto, saliva nel coro, prendeva il violoncello e si metteva a muover l'archetto come se suonare il violoncello fosse il suo unico mestiere. E la gente - gente che s'intendeva di musica, sapete - diceva: "Ma non può essere lo stesso uomo che un momento fa suonava così bene il clarinetto!"»

«Me ne ricordo anch'io,» disse lo scavatore di torba. «Era straordinario: non si capiva come sapesse muover così bene le dita senza mai confondersi.»

«E poi ci fu quella volta alla chiesa di Kingsbere,» riprese Fairway, come se aprisse un nuovo filone nell'interessante miniera dei ricordi.

Con un sospiro che esprimeva noia e impazienza, Wildeve gettò uno sguardo alle due donne prigioniere dietro la vetrata.

«Ci andava tutte le domeniche pomeriggio per far visita al suo vecchio amico Andrew Brown, primo clarinetto di quella banda; un brav'uomo, certo, ma la sua musica era un po' stridula, se ben ricordate.»

«Sì, certo.»«E il vicino Yeobright sostituiva Andrey per una parte della funzione perché potesse farsi un sonnellino: un

vero amico.»«Un vero amico,» disse nonno Cantle, e anche gli altri approvarono con un cenno del capo.

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«Appena Andrey s'era addormentato e il vicino Yeobright si metteva a soffiare al suo posto nel clarinetto, tutti i fedeli presenti in chiesa capivano che c'era tra loro un'anima grande. Tutti voltavano la testa verso il coro e dicevano: "Ah, mi pareva che fosse lui!" Ricordo benissimo che una domenica c'era un concerto di violoncello e Yeobright aveva portato il suo. Era il Salmo 133, A Lidia, e quando si arrivò al punto dove dice: "Questo è come l'olio eccellente che è sparso sopra il capo di Aronne; il quale gli scende in su la barba e poi cola infino al lembo dei suoi vestimenti", il nostro Yeobright, preso dall'entusiasmo, passò l'archetto sulle corde con tanto vigore che per poco non spaccava il violoncello in due pezzi! Tutte le finestre tintinnarono, come durante un temporale. Il vecchio parroco Williams alzò le mani nella sua cotta solenne, con la stessa naturalezza come se fosse stato vestito dei soliti abiti, e parve dire a se stesso: "Oh, se avessimo un uomo simile nella nostra parrocchia!" Ma non c'era in tutta Kingsbere uno anche lontanamente paragonabile a Yeobright.»

«Non era pericoloso quando le finestre tremavano?» chiese Christian.Ma non ebbe risposta: tutti erano come rapiti nell'ammirato ricordo di quella straordinaria esecuzione. Come

accadde per l'esibizione del cantante Farinelli dinanzi alle principesse, per il famoso discorso di Sheridan alla Begum, e per altri esempi del genere, il fatto che nessuno ormai potesse più sentirlo dava al tour de force compiuto dal signor Yeobright in quel memorabile pomeriggio una gloria che la critica, qualora fosse stata possibile, avrebbe notevolmente attenuato.

«Chi pensava che sarebbe morto così giovane,» disse Humphrey.«Eh, sì, lo capimmo alcuni mesi prima che se ne andasse. A quell'epoca le donne andavano a comprare

camicette e gonne alla fiera di Greenhill; e quella ch'è ora mia moglie - ed era allora una bella ragazza agile con le gambe lunghe come una puledra, appena in età da marito - ci andò con le sue amiche, perché era una buona camminatrice prima di diventar pesante com'è ora. Quando tornò a casa, io dissi - cominciavamo allora a uscire insieme: "Che cos'hai portato a casa, tesoro?" "Ho preso... ecco, ho preso una gonna," disse, facendosi rossa. Scommetto che ha comprato invece una camicia, pensai. Ed era proprio così. Ah, quando penso alle cose che mi dice ora senza sognarsi neanche d'arrossire, mi sembra strano che allora non avesse il coraggio di dire una sciocchezza simile... Disse qualcos'altro, comunque, ed ecco perché l'ho ricordato adesso. "Qualunque indumento mi sia preso, bianco o a colori, da mostrare o da non mostrare (a quei tempi le ragazze erano piene di modestia), avrei preferito perderlo, pur di non vedere quello che ho visto. Il povero signor Yeobright si sentì male, appena giunto alla fiera, e fu costretto a tornarsene a casa. "Fu quella l'ultima volta che uscì dal villaggio.»

«Peggiorò di giorno in giorno, finchè si sentì dire ch'era morto.»«Ha sofferto molto?» chiese Christian.«Oh, no, affatto. E neanche nello spirito. Per sua fortuna, era un uomo onesto e credente.»«E gli altri? ... Soffrono molto quando muoiono, signor Fairway?»«Dipende se hanno paura o no.»«Io non ho paura, grazie a Dio!» disse Christian con tono di coraggio. «E sono contento perché così non

soffrirò... Non credo almeno che avrò paura; e se l'avrò, non sarà per colpa mia, e quindi non meriterò di soffrire. Vorrei proprio non aver paura!»

Seguì un momento di silenzio solenne, finchè, guardando fuori della finestra, non chiusa da tende nè da imposte, Timothy disse: «Ma guardate che bello quel falò dinanzi alla casa del capitano Vye! Continua a bruciare come se niente fosse.»

Tutti si voltarono verso la finestra e nessuno notò l'espressione del volto di Wildeve. Lontano, nella scura valle della brughiera, a destra del Rainbarrow, si vedeva ancora infatti la luce del falò, piccola, ma ferma e persistente come prima.

«L'hanno acceso prima che accendessimo il nostro,» continuò Fairway; «e tutti gli altri ormai sono spenti.»«Forse vorrà dire qualcosa!» mormorò Christian.«Che cosa?» chiese Wildeve bruscamente.Christian rimase troppo colpito per rispondere, e Timothy venne in suo aiuto.«Vuol dire, signore, che quella solitaria creatura dagli occhi neri che alcuni credono una strega - io non oserei

mai chiamare una bella giovinetta con un nome simile - inventa sempre qualche stranezza. E probabilmente è stata lei ad accenderlo.»

«Sarei felice di chiederla in sposa, se mi volesse, e correrei volentieri il rischio di farmi stregare dai suoi occhi neri,»

disse nonno Cantle, con tono deciso.«Non dirlo neanche, padre,» implorò Christian.«Dio m'accechi se chi sposerà quella ragazza non avrà un bel quadro da mettere in mostra nel suo salotto,»

disse Fairway con la lingua un po' impastata, posando l'anfora dell'idromele dopo averne bevuto un lungo sorso.«È una compagna profonda come la stella del nord,» disse Sam, prendendo l'anfora, e bevendo quel poco che

restava.«Bene, penso che sia ora d'andarcene,» disse Humphrey, vedendo che l'anfora era ormai vuota.«Ma non vogliamo prima cantare una canzone?» disse nonno Cantle. «Mi sento canoro come un uccellino.»«Grazie, nonno,» disse Wildeve. «Ma vi siete disturbati anche troppo. Rimandiamo la cosa a un'altra volta,

quando darò una festa.»

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«Allora mi metto subito a studiare delle canzoni nuove: una decina almeno!» disse nonno Cantle. «E può essere sicuro che non mi farò pregare per venire, signor Wildeve.»

«Ne sono convinto,» rispose questi.Tutti si disposero allora ad andarsene, augurando all'ospite lunga vita e felicità nel matrimonio, con aggiunte e

ripetizioni che portarono via un bel po' di tempo. Wildeve li accompagno sino alla porta, oltre cui li attendeva la scura salita nella brughiera, ampio regno buio che andava dai loro piedi fin quasi allo zenit, dove la prima forma precisa visibile era la fronte aggrottata del Rainbarrow. Tuffandosi nella densa oscurità in una fila capeggiata da Sam, mossero verso casa facendosi strada tra i cespugli di ginestra.

Non appena non si sentì più il fruscio dei rovi contro i loro gambali, Wildeve ritornò nella stanza dove aveva lasciato Thomasin e la zia. Ma le due donne non c'erano più.

Potevano essersene andate in un modo solo, e cioè attraverso la finestra che dava sul dietro della casa: infatti, era aperta.

Wildeve fece un risolino tra sè, rimase a pensare per un momento, poi tornò pigramente verso la stanza. I suoi occhi caddero su una bottiglia di vino sul caminetto. «Ah... il vecchio Dowden,» mormorò, e, muovendo verso la porta della cucina, gridò: «C'è qualcuno qui che può portare una bottiglia al vecchio Dowden?»

Nessuno rispose. La stanza era vuota perché il garzone era ormai andato a letto. Wildeve tornò indietro, si mise il cappello, prese la bottiglia e uscì di casa, chiudendo la porta a chiave, perché quella sera non c'erano ospiti nella locanda. Ma, appena fu sulla strada, di nuovo il suo occhio cadde sul piccolo falò di Mistover Knap.

«Aspetti ancora, eh, signorina?» mormorò.Non si diresse però verso la luce; ma, lasciando la collina a sinistra, avanzò a fatica per una strada segnata da

grossi solchi, arrivando a una capanna che, come tutte le altre abitazioni sulla brughiera, era rintracciabile soltanto grazie al debole filo di luce che usciva dalla finestra della stanza da letto. Era la casa della donna delle scope, Olly Dowden. Wildeve entrò.

La stanza al pianterreno era buia; ma, procedendo a tentoni, l'uomo trovò una tavola su cui posò la bottiglia, e un minuto dopo era di nuovo fuori. Si fermò guardando verso nord il piccolo falò ancora acceso: alto su di lui, anche se un po meno del Rainbarrow.

Sappiamo che, come dice l'antico detto, quel che donna vuole, Iddio lo vuole: e soprattutto quando la donna è giovane e bella. Wildeve rimase per un momento immobile, respirando affannosamente, in terribile incertezza; poi, cedendo, disse a se stesso: «E sia! Andrò dunque da lei!»

Invece di voltarsi per tornare a casa, si avviò con passo rapido per un sentiero che passava sotto il Rainbarrow, verso quella luce ch'era evidentemente un segnale.

LA FIGURA CONTRO IL CIELO

Quando i paesani convenuti da tutte le parti di Egdon se ne furono andati lasciando la scena del falò alla sua consueta solitudine, una donna avvolta in pesanti panni s'avvicinò alla montagnola da quella parte della brughiera in cui brillava ancora il fuocherello. Osservandola, il venditore d'ocra avrebbe riconosciuto in lei la singolare figura scorta prima sulla vetta del monticello e scomparsa all'avvicinarsi degli altri. Risalì ora sin sulla cima, dove le braci ancora accese del fuoco quasi spento la salutarono come occhi vivi nel cadavere del giorno. E là rimase, circondata dall'ampia distesa dell'atmosfera notturna, la cui tenebra, incompleta a paragone del buio totale della brughiera sottostante, poteva sembrare un peccato veniale a confronto d'un peccato mortale.

A vederla così, tutta avvolta in un grosso scialle piegato ad angolo secondo l'antica foggia, col capo coperto da un fazzolettone, protezione tutt'altro che superflua in quel luogo e a quell'ora, si vedeva soltanto ch'era alta e diritta e che si muoveva con garbo signorile. Voltava le spalle al vento, che soffiava da nord-ovest; ma non si capiva se stesse voltata in quel modo per difendersi dalle gelide raffiche che investivano quella posizione esposta o perché l'interessava quello che si trovava in direzione sud-est.

Altrettanto oscura era la ragione per cui rimaneva così immobile, quasi fosse il perno centrale di quel pezzo di brughiera. Questa sua straordinaria immobilità, questa sua cospicua solitudine, quest'indifferenza alla notte, rivelavano tra l'altro un'assoluta mancanza di paura. Quel paesaggio, il cui aspetto sinistro non era per nulla cambiato dal tempo in cui Cesare s'affrettava ogni anno ad allontanarsi dalle sue tetre nebbie prima dell'equinozio d'autunno, quelle condizioni d'ambiente e di clima che indussero i viaggiatori provenienti dal sud a veder nella nostra isola la terra cimmeria di Omero, non eran certo attraenti e accoglienti per una donna.

Ascoltava forse il vento che, coll'avanzare della notte, s'era fatto forte sino ad attirar l'attenzione? Il vento sembrava fatto apposta per quella scena, come la scena sembrava creata apposta per il vento. C'era nella sua voce qualcosa di particolare, quale non si sentiva in nessun altro luogo. Una serie d'innumerevoli raffiche, provenienti da nord-ovest, si susseguivano l'una all'altra, e nella scia di ciascuna si sentiva un suono complesso in cui era possibile discernere un tono di falsetto, di tenore e di basso. Il tutto echeggiava su valli e colline come un profondo rintoccar di campana, a cui s'accompagnava da vicino il ronzio baritonale d'un albero d'agrifoglio; mentre, inferiore per volume, ma più alta di tono, una voce attenuata e faticosa dava un suono roco, che costituiva il particolare suono locale a cui si è alluso. Più sottile e meno facilmente identificabile degli altri due, faceva però assai maggiore impressione. C'era in esso

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quella che si potrebbe definire l'espressione caratteristica della brughiera; e, siccome non è possibile udirlo altrove, pareva in qualche modo giustificare l'intensa attenzione della donna che continuava a rimanere immobile e tesa.

Il sibilo di questi lamentosi venti di novembre assomigliava in modo straordinario all'esile filo di voce d'un novantenne che canti una canzone. Era un sussurro antico, un fruscio secco, come di carta, e colpiva l'orecchio in modo così chiaro e distinto che chi vi fosse abituato poteva sentire, come al tocco, i particolari materiali da cui era generato. Era il prodotto complessivo di cause vegetali infinitesimali, che non erano però nè steli, nè foglie, nè frutti, nè fili d'erba, nè rovi, nè licheni, nè muschio.

Erano le piccole mummie dei campanellini dell'erica fiorita nell'estate trascorsa, che, soavemente violacei in origine, eran stati poi scoloriti dal lavacro delle piogge di settembre, e ridotti a steli secchi dall'ultimo sole d'ottobre. Il suono individuale prodotto da ciascuna di esse era così basso e flebile, che ce ne volevano cento messi insieme per rompere il silenzio; e dalle migliaia che coprivano il declivio si levava a colpire l'orecchio della donna una specie di recitativo contratto e intermittente. Ma nessuno tra i molti suoni individuali fluttuanti nella notte rivelava così chiaramente, a chi l'ascoltasse, le proprie origini. Si sentiva nell'intimo l'infinità delle varie moltitudini fuse in esso; e si capiva che in ognuno di quei minuscoli calici il vento entrava da padrone, frugandovi dentro a fondo, per poi uscirne, quasi si fosse trattato d'un cratere immenso.

«E lo spirito li mosse.» Un'interpretazione di questa frase s'imponeva all'attenzione; e l'atteggiamento feticistico d'un ascoltatore sensibile ben avrebbe potuto trasformarsi in uno stato d'animo di qualità più elevata. Non erano dopo tutto gli steli risecchiti della distesa a sinistra o a destra, o sul pendio di fronte a parlare; bensì qualcos'altro, qualcosa di unico, che si esprimeva al tempo stesso attraverso ciascuno di essi.

Improvvisamente, sulla montagnola, a quest'orgiastico fremito notturno s'unì un suono così naturalmente fuso con tutto il resto ch'era assai difficile distinguerne il principio e la fine. Le ripe e i cespugli e i campanellini dell'erica avevano rotto il silenzio; lo stesso fece infine la donna; e i suoni da lei emessi non furono che un'altra battuta dello stesso motivo. Gettati ai venti, con essi s'intrecciarono, con essi volarono via.

Ella emise un sospiro prolungato, suscitato evidentemente dal pensiero di ciò che l'aveva portata lì in quel momento. C'era in esso uno spasimo d'abbandono, come se, permettendole di emettere quel suono, il cervello della donna avesse autorizzato qualcosa che non avrebbe potuto poi frenare e dominare. Una cosa sola era evidente: che, pur attenuata e depressa, ella non era però in uno stato d'animo d'immoto languore.

Lontano, nella valle, si vedeva ancora brillare una debole luce a una finestra della locanda; e dopo un momento si capì che quella finestra e ciò che le stava dietro era legato al sospiro della donna, più dei suoi atti e dell'ambiente che la circondava. Alzò la mano sinistra in cui teneva un cannocchiale chiuso; lo allungò rapidamente, come se si trattasse di un'operazione a lei familiare e, applicandovi l'occhio, lo diresse verso la luce lontana.

Il fazzolettone che le aveva prima coperto la testa come un cappuccio era ora scivolato un po' indietro: il volto era sollevato e il profilo si stagliava contro il tetro sfondo monocromo delle nubi che lo circondavano; come se i riflessi dei lineamenti di Saffo e di Mrs. Siddons si fossero incontrati emergendo dalla tomba per creare un'immagine che non assomigliava nè all'una nè all'altra, pur facendo pensare a entrambe. Si trattava però di un'impressione superficiale. I lineamenti d'un volto possono rivelare certi elementi d'una personalità; ma lo illuminano compiutamente soltanto col loro mutarsi. Quel che si chiama espressione ha spesso aiutato a comprendere un uomo o una donna più degli sforzi faticosi di tutte le altre membra insieme. Ben poco rivelava quindi la notte di colei di cui avvolgeva la figura nella sua ombra, dato ch'era impossibile vedere le parti mobili del suo volto.

Smise infine d'osservare, chiuse il cannocchiale e si volse verso le braci che si stavano spegnendo. Ormai non davan più luce se non quando qualche soffio di vento più forte ne traeva, sfiorandole, un chiarore passeggero, rapido a comparire e scomparire come il rossore sul volto d'una ragazza. La donna si chinò sul cerchio silenzioso e, scegliendo tra i tizzoni un rametto con un grosso pezzo di brace sulla punta, lo portò al punto dov'era prima.

Voltò il rametto in giù, soffiando intanto col fiato sulla brace per ravvivarla; finchè, rischiarando debolmente il terreno, illuminò un piccolo oggetto che si rivelò una clessidra, benchè ella portasse anche un orologio. Continuò a soffiare tenendo la brace accesa quanto le bastò per vedere che la sabbia era passata tutta.

«Ah!» disse, come sorpresa.La luce instabile alimentata dal suo fiato non aveva rivelato del suo volto che una momentanea luminosa

visione: due labbra incomparabili e una guancia, chè la testa era ancora rimasta in ombra. Buttò via il rametto, prese in mano la clessidra, si mise il cannocchiale sotto il braccio e partì.

S'avviò lungo la cresta su una pista appena segnata. Quelli che la conoscevano la chiamavano sentiero; e mentre un forestiero le sarebbe passato accanto in pieno giorno senza vederla, gli abitanti della brughiera sapevano ritrovarla anche nel cuore della notte. Il segreto per poter seguire questi sentieri rudimentali quand'è così buio che mal si potrebbe distinguere un'ampia strada, consiste in una particolare sensibilità dei piedi, che si ottiene vagando per anni, di notte, su terreni poco battuti. Un frequentatore abituale del luogo sente, sia pure attraverso le scarpe o gli stivali dalla suola più spessa, la differenza tra un tratto d'erba vergine e gli steli piegati dal più modesto passaggio.

La figura solitaria che seguiva la pista non ascoltava la canzone che il vento traeva dai campanellini appassiti dell'erica. Non voltò neanche la testa a guardare un po' più oltre un gruppo di animali scuri, che fuggirono al suo avvicinarsi quando passò accanto a un valloncello in cui stavano pascolando: una ventina di cavallucci selvaggi noti col nome di «cavallini di brughiera». Vagavano in libertà sulle ondulate distese di Egdon, ma erano così rari che non riuscivano ad attenuarne la solitudine.

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In quel momento la passante non osservava nulla di ciò che aveva attorno: e bastò un banale incidente a dimostrare la sua distrazione. Un ramo di rovo le s'impigliò nella gonna, costringendola a fermarsi. Invece di spostare il ramo e andare avanti, cedette lasciandosi trattenere e rimanendo per un attimo passivamente ferma. Quando incominciò a liberarsi lo fece girando e rigirando su se stessa per sciogliersi dalle spine. Era evidentemente in uno stato di malinconica fantasticheria.

Muoveva in direzione del falò ancora acceso che aveva attirato l'attenzione degli uomini sul Rainbarrow e di Wildeve nella valle sottostante. I riflessi del fuoco incominciarono ben presto a illuminarle il volto; si vide allora che il falò non era al livello del terreno, ma sull'angolo sporgente d'un terrapieno al punto in cui venivano a incontrarsi due argini. Fuori c'era un fossato, asciutto tranne che nel punto immediatamente sotto il falò, dove s'apriva un ampio stagno circondato da erica e giunchi. In questo tranquillo specchio d'acqua, il falò si rifletteva capovolto.

Il terrapieno non era chiuso da una siepe, ma soltanto qua e là da cespugli di ginestra che s'allineavano in cima come teste impalate sulle mura d'una città. Si vedeva un albero maestro, verniciato di bianco, con pennoni e sartie come se fosse su una nave, stagliarsi contro lo scuro sfondo di nuvole ogni volta che le fiamme erano così vive da illuminarlo. Sembrava veramente una fortezza su cui si fosse acceso un fuoco come segnale.

Nessuno era visibile; solo di quando in quando qualcosa di bianco spuntava all'angolo del terrapieno tra i due argini, per poi scomparire di nuovo: una piccola mano di fanciullo, che gettava pezzi di combustibile sul fuoco; ma, come nell'episodio in cui una visione analoga turbò il re Baldassarre, si sarebbe detto che la mano non fosse attaccata a un corpo. Ogni tanto un pezzo di brace rotolava giù dal bastione, cadendo poi nello stagno con un sibilo.

A un lato dello stagno rozzi gradini tagliati nella terra permettevano a chi lo volesse di salire sul terrapieno; e fu quel che fece la donna. Al di là si stendeva un terreno in stato d'abbandono, anche se mostrava da certi segni d'esser stato un tempo coltivato; ma l'erica e le felci vi si erano furtivamente insinuate, riaffermando l'antico dominio. Più avanti si scorgevano vagamente una casa di forma irregolare, un giardino e alcune tettoie sullo sfondo d'una macchia di pini.

La giovane donna - chè giovane s'era rivelata per la vivacità nell'arrampicarsi sino al terrapieno, - invece di scendere dall'altra parte percorse il tratto in cima, arrivando sino all'angolo dov'era il falò. Si vide allora una delle ragioni per cui il fuoco durava tanto; il combustibile con cui veniva alimentato era legno duro e stagionato: ceppi tagliati e segati dai tronchi delle grosse piante di rovo che crescevano a gruppi di due e tre sui fianchi della collina. Nell'angolo interno del bastione c'era una piccola catasta ancora intatta; e da quest'angolo il volto d'un ragazzetto si levò offrendosi al suo sguardo. Di tanto in tanto gettava un pezzo di legno nel fuoco: ma evidentemente il gioco durava da un pezzo, perché appariva ormai stanco e annoiato.

«Son contento che sia arrivata, signorina Eustacia,» disse, con un sospiro di sollievo. «Non mi piace star qui solo.»

«Che sciocchezze! Ho soltanto fatto una passeggiatina. Sarò stata via al massimo una ventina di minuti.»«Mi son sembrati lunghi,» mormorò il ragazzino malinconico. «E poi se n'è andata via tante volte!»«Ma come! Credevo che ti piacesse fare un bel falò. Non mi dici neanche grazie?»«Sì; ma vorrei qualcuno con cui giocare.»«Non è venuto nessuno mentre non c'ero?»«Soltanto suo nonno: è uscito una volta a cercarla. Gli ho detto ch'era andata a fare un giro sulle colline per

vedere gli altri falò.»«Sei proprio un bravo ragazzo.»«Se non sbaglio, eccolo qui di nuovo, signorina.»Nel punto più lontano, illuminato dal fuoco, in direzione della casa, si vide emergere la figura d'un vecchio:

quello stesso vecchio che, sul finire del pomeriggio, aveva raggiunto il venditore d'ocra sulla strada maestra. Guardò pensoso la giovane in cima al bastione mostrando tra le labbra socchiuse i candidi denti irregolari.

«Quando conti di rientrare, Eustacia?» chiese. «È quasi ora d'andare a letto. Sono arrivato da due ore e son stanco morto. Non sei più una bambina per star fuori tanto tempo e sciupar tanta legna. I miei preziosi pezzi di rovo, il combustibile migliore che ci sia, e che serbavo per Natale... me li hai consumati quasi tutti!»

«Avevo promesso un bel falò a Johnny, e non vuole ancora lasciarlo spegnere,» disse Eustacia con un tono da cui si capiva ch'era in casa sua regina assoluta. «Vattene a letto, nonno, vengo subito. Ti piace il falò, vero, Johnny?»

Il ragazzino alzò su di lei uno sguardo dubbioso e mormorò: «Adesso però non ne ho più voglia.»Il nonno s'era già voltato per rientrare in casa e non udì la risposta del ragazzo. Appena non si vide più la testa

bianca del vecchio, Eustacia si rivolse al bambino con dispetto: «Ingrato che non sei altro, come hai osato contraddirmi? Non ti lascerò mai più fare un falò se non continui a tenere acceso questo. Non sei contento di farmi un piacere?»

«Sì, signorina,» disse il ragazzino intimidito, e continuò ad alimentare il fuoco con gesti stanchi e distratti.«Resta qui un altro po' e ti darò una monetina,» disse Eustacia con tono più dolce. «Metti sul fuoco un pezzo di

legno ogni due o tre minuti, non tutto in una volta. Vado a fare un altro giretto sulla cresta, ma tornerò di tanto in tanto. E se senti un ranocchio saltare nello stagno, col rumore d'una pietra gettata nell'acqua, corri subito ad avvertirmi: vuol dire che sta per piovere.»

«Sì, Eustacia.»«Chiamami "signorina Vye".»«Sì, signorina Vye... stacia.»

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«Basta così. Ora metti un altro pezzo di legno sul fuoco.»Il piccolo schiavo continuò ad alimentare il falò come prima. Sembrava un automa costretto a muoversi e a

parlare dalla capricciosa volontà di Eustacia. Avrebbe potuto essere la statua di ottone che, a quanto narra la leggenda, Alberto Magno riuscì ad animare, facendosene un servo capace di parlare e di muoversi.

Prima d'andarsene di nuovo, la ragazza rimase per alcuni minuti ferma in cima al bastione, in ascolto. L'altura, sebbene un po' più bassa del Rainbarrow, non era meno isolata; ma più riparata dal vento e dalle intemperie grazie alla macchia di pini a nord. Il bastione che circondava la casa, proteggendola dalla brughiera selvaggia in mezzo a cui sorgeva, era fatto di grosse zolle di terra quadrate, ricavate dal fossato esterno e costruito con quella leggera inclinazione che rappresenta una certa difesa là dove il vento e il terreno sterile non lascian crescere siepi, e dove non si trova altro materiale con cui costruire un muro. Il bastione era l'unico riparo di quel luogo completamente aperto da cui si poteva dominare la valle in tutta la sua lunghezza, sino al fiume dietro la casa di Wildeve. In alto, a destra e assai più vicina della locanda della «Buona Donna», si profilava contro il cielo la massa scura del Rainbarrow.

Dopo aver osservato con attenzione gl'incolti pendii e le avvallature profonde, Eustacia ebbe un gesto d'impazienza. Parole violente uscivano di quando in quando dalle sue labbra; ma alle parole s'alternavan sospiri e ai sospiri improvvisi silenzi d'ascolto e d'attesa. Discesa dal suo posto di vedetta, di nuovo mosse errando verso il Rainbarrow, ma questa volta non si spinse fin là.

Due volte ricomparve, a intervalli di pochi minuti, chiedendo:Non hai sentito cader niente nello stagno, bambino?»«No, signorina Eustacia,» rispose il ragazzo.«Bene,» diss'ella infine. «Tra un po' mi ritiro; ti darò la monetina e potrai andartene.»«Grazie, signorina Eustacia,» disse lo stanco fuochista, con un sospiro di sollievo. E di nuovo Eustacia

s'allontanò dal fuoco, ma questa volta non in direzione del Rainbarrow. Girando intorno al bastione, arrivò al cancelletto dinanzi alla casa, dove rimase immobile, contemplando la scena.

A una cinquantina di metri di distanza, si levava l'angolo formato dai due argini convergenti, dov'era acceso il fuoco; dentro si vedeva, come prima, la figura del ragazzino intento a mettere sul falò un pezzo di legno dopo l'altro. Osservandolo distrattamente, Eustacia lo vide arrampicarsi più volte vicino al fuoco, fermandosi accanto ai tizzoni accesi. Il vento spingeva il fumo e i capelli del bambino e le falde del suo grembiule, tutti nella stessa direzione; poi il vento cadeva, il grembiulino e i capelli rimanevano immobili e il fumo si levava diritto verso il cielo.

Mentre Eustacia stava osservando la scena a distanza, si vide il ragazzetto trasalire visibilmente: si lasciò scivolare lungo il bastione e corse verso il cancelletto bianco.

«Allora?» disse Eustacia.«Un ranocchio è saltato nello stagno. L'ho sentito.»«Allora vuol dire che sta per piovere e sarà meglio che tu te ne torni a casa. Non hai paura?» Parlava in fretta e

affannosamente, come se, alle parole del ragazzino, si fosse sentito saltare il cuore in gola.«No, perché avrò la monetina a tenermi compagnia.»«Sì, eccotela. Ora corri più in fretta che puoi... non da quella parte... attraversa di qui il giardino. Nessun altro

bambino in tutta la brughiera ha avuto un falò come il tuo e tutto per sè.»Il ragazzino, che evidentemente aveva goduto anche troppo del suo bel falò, s'affrettò ad andarsene,

scomparendo nelle tenebre. Non appena fu partito, Eustacia, lasciando il cannocchiale e la clessidra presso la porta, mosse rapidamente verso l'angolo del bastione sotto il falò ancora acceso.

Qui attese, al riparo. Dopo alcuni minuti si udì un tonfo nello stagno vicino. Se ci fosse stato ancora il bambino, avrebbe detto ch'era saltato dentro un altro ranocchio; ma chiunque altro avrebbe facilmente riconosciuto il suono d'una pietra caduta nell'acqua. Eustacia salì sul bastione.

« Sì?» disse, trattenendo il fiato.A questo punto la sagoma d'un uomo si delineò vagamente contro il cielo che s'incurvava sulla valle, al di là

della riva esterna dello stagno. L'uomo girò attorno all'acqua e con un salto fu sul bastione accanto a lei. La ragazza rise allora d'un riso basso e profondo. Era la terza manifestazione di sentimento a cui s'abbandonava in quella sera. La prima, quand'era in cima al Rainbarrow, era stata d'ansia; la seconda, sulla cresta, d'impazienza; quella di adesso di gioia trionfante. Posò su di lui, senza una parola, gli occhi sfavillanti di piacere, come su un miracolo che avesse creato evocandolo dal caos.

«Sono venuto,» disse l'uomo, ch'era Wildeve. «Non vuoi proprio darmi pace. Perché non mi lasci stare? Ho visto il tuo falò.»

Non mancava nelle sue parole l'accento della passione; ma ancora riusciva, con uno sforzo di volontà, a mantenere calma la propria voce.

A questo tono inaspettatamente contenuto dell'innamorato, parve che anche la ragazza riuscisse a frenare il proprio sentimento. «Si capisce che hai visto il mio falò,» rispose con indifferenza voluta. «Perché non dovrei accendere un falò la sera del 5 novembre, come gli altri abitanti della brughiera?»

«Sapevo che l'avevi acceso per me.»«E come facevi a saperlo? Non ho più scambiato una parola con te da quando... hai scelto di sposare lei, e sei

andato fuori con lei, abbandonandomi completamente, come se non fossi mai stata tua, irrimediabilmente tua, con tutta la mia anima!»

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«Eustacia! Potevo forse dimenticare che l'autunno scorso in questo stesso giorno e in questo stesso posto hai acceso un identico fuoco per chiamarmi? Perché avrebbe dovuto esserci di nuovo un falò dinanzi alla casa del capitano Vye se non per lo stesso scopo?»

«Sì, sì..., lo confesso,» gridò la ragazza con voce soffocata e con quel fervore estatico di gesto e di tono che le era particolare. «Ma non parlarmi così, Damon; mi costringerai a pronunciar parole che preferirei non dirti. Avevo rinunciato a te e deciso di non pensarci più; ma, quando ho saputo, son venuta fuori e ho preparato il fuoco, perché ho pensato che tu l'avessi fatto per fedeltà a me.»

«Che cosa hai saputo?» chiese Wildeve, stupefatto.«Che non l'hai sposata!» mormorò Eustacia con tono d'esultanza. «E ho capito che l'hai fatto perché ami di più

me e non potevi tradirmi... Sei stato crudele a lasciarmi, Damon, e mi son detta che non ti avrei mai perdonato. E non credo di poterti perdonare completamente neanche ora: una donna di carattere non può dimenticare un'offesa simile.»

«Se avessi saputo che mi chiamavi qui soltanto per rimproverarmi, non sarei venuto.»«Ma ora non m'importa più e posso anche perdonarti; non hai sposato lei e sei ritornato da me!»«Chi t'ha detto che non l'ho sposata?»«Il nonno. Oggi ha fatto una lunga passeggiata nella brughiera e, mentre tornava, ha incontrato un tale che gli

ha parlato d'un matrimonio andato a monte: ha pensato che fosse il tuo; e io ne ho avuto la certezza.»«Altri lo sanno?»«Credo di no. Capisci ora, Damon, perché ho acceso il falò? Non penserai che l'avrei acceso se ti avessi

creduto ormai il marito di un'altra. Sarebbe offensivo per il mio orgoglio.»Wildeve non rispose: evidentemente l'aveva pensato.«Pensi davvero ch'io ti credessi ormai sposato?» ripetè la ragazza con tono serio. «Mi fai torto; e non riesco a

convincermi che tu abbia così cattiva opinione di me! Tu non mi meriti, Damon: lo vedo benissimo, e tuttavia ti amo. Ma non importa: capisco che dovrò rassegnarmi anche ai tuoi insulti. Ma non è forse vero,» aggiunse con ansia malcelata, vedendo ch'egli non rispondeva, «che non hai potuto abbandonarmi, e che continuerai ad amarmi più di ogni altra donna?»

«Sì; perché sarei venuto qui altrimenti?» rispose l'uomo con tono patetico. «Non che l'esser fedele sia in me un gran merito, dopo quanto m'hai così cortesemente detto circa la mia indegnità: se qualcuno poteva dir qualcosa di simile ero io, e tu sei stata ben poco generosa. La mia disgrazia è d'esser troppo facilmente infiammabile; e questo mi mette alla mercè delle donne. Ecco perché da ingegnere che ero mi son ridotto a far l'oste; e ancora non so dove andrò a finire.» E la guardava intanto con aria triste e depressa.

Scegliendo il momento buono, Eustacia buttò indietro lo scialle, esponendo al chiarore del fuoco il volto e il petto e dicendo con un sorriso: «Hai mai visto, nel corso dei tuoi viaggi, qualcosa di meglio?»

Eustacia non era tipo da esporsi a un giudizio simile senz'essere sicura di se stessa. Egli rispose infatti tranquillamente: «No.»

«Neanche sulle spalle di Thomasin?»«Thomasin è una cara e innocente ragazza.»«Questo non c'entra,» gridò Eustacia con collera improvvisa. «Non parliamo di lei, adesso: pensiamo soltanto a

te e a me.» E, dopo averlo guardato a lungo, riprese, con l'antico ardore suadente: «Perché vuoi costringermi ancora a mostrarmi debole, a confessare cose che una donna non dovrebbe rivelare mai? A dirti com'ero disperata quando - fino a due ore fa - credevo che tu m'avessi proprio e per sempre abbandonata?»

«Mi spiace d'averti fatto soffrire.»«Ma forse non è tutta colpa tua se soffro,» riprese la ragazza con una sfumatura di malizia. «Sono malinconica

per natura: come se avessi la tristezza nel sangue.«Forse soffri d'ipocondria.»«Ne soffro da quando vivo in questa brughiera selvaggia. A Budmouth ero abbastanza allegra. Oh, i tempi, le

giornate di Budmouth! Ma ora forse potrò essere felice anche a Egdon.»«Speriamolo,» disse Wildeve, con tono malinconico. «Ma ora che mi hai richiamato, lo sai che cosa capiterà,

vero, cara? Tornerò ad aspettarti al Rainbarrow, come una volta.»«Si capisce.»«Debbo confessarti però che, quando son venuto qui stasera, intendevo, dopo quest'ultimo addio, non vederti

mai più.»«Non pretenderai che ti ringrazi,» diss'ella, distogliendo lo sguardo, mentre si sentiva percorrere da un senso di

sdegno, simile a un calore sotterraneo. «Puoi tornare al Rainbarrow, se vuoi, ma non mi troverai; e puoi chiamarmi, ma io non ti ascolterò; e puoi tentarmi, ma io non sarò più tua.»

«L'hai detto tante volte, cara; ma i tipi come te difficilmente mantengono la parola. E neanche i tipi come me.»«Ecco il compenso per la mia pena,» mormorò Eustacia con amarezza. «Perché mai ti ho richiamato? A volte,

Damon, mi sento come straziata. Tu mi ferisci e, quando ritrovo la calma, mi chiedo: "Ma quest'uomo ch'io amo non è forse un fantasma vano e inconsistente?" Sei instabile e mutevole come un camaleonte, e ti vedo ora nel tuo aspetto peggiore. Vattene, o finirò coll'odiarti!»

Si sarebbe potuto contare fino a venti mentre egli rimase immobile e silenzioso guardando in direzione di Budmouth; finalmente disse, come se in fondo gli fosse indifferente: «Bene, me ne vado. Vuoi che ci vediamo ancora?»

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«Sì, se riconosci che hai mandato a monte il matrimonio con Thomasin perché ami di più me.»«Non credo che sarebbe buona politica da parte mia,» disse Wildeve, sorridendo. «Capiresti troppo bene fin

dove arriva il tuo potere.»«Dimmelo comunque!»«Lo sai.»«Dov'è adesso, lei?»«Non lo so. Preferisco non parlare di lei con te. Non l'ho sposata; ho risposto alla tua chiamata. Che altro

vuoi?»«Ho acceso il falò semplicemente perché mi annoiavo, e ho pensato che sarebbe stato divertente farti venire

qui e assaporare il gusto del trionfo, come quando la strega di Endor chiamò a sè Samuele. Ho deciso che saresti venuto; e sei venuto infatti! Ho avuto la prova del mio potere. Un miglio e mezzo per venire fin qui, e un miglio e mezzo per tornare a casa: hai percorso tre miglia al buio per me. Non è forse una prova sufficiente?»

Egli la guardò crollando il capo. «Ti conosco troppo bene, Eustacia; troppo bene. Non c'è nulla di te ch'io non conosca; e so benissimo che, appassionata come sei, mai avresti potuto fare una cosa simile a sangue freddo. Ho visto una figura di donna sul Rainbarrow al crepuscolo, che guardava verso la mia casa. Credo d'esser stato io ad attirarti, prima che tu attirassi me.»

Si sentiva ora chiaramente ardere in Wildeve il fuoco di una antica passione; si tese avanti, come per avvicinare il proprio volto a quello della ragazza.

«No, no,» diss'ella, spostandosi bruscamente e decisamente sull'altro lato del fuoco ormai quasi spento. «Che cosa vuoi fare?»

«Mi permetterai almeno di baciarti la mano?»«No, non te lo permetto.»«Di stringerla almeno?»«No.»«Allora pazienza, me ne vado. Addio.»Ella non rispose e, con un inchino da ballerino, l'uomo scomparve dall'altra parte dello stagno, così com'era

venuto.Eustacia sospirò: non un fievole sospiro di fanciulla, ma un sospiro che la squassò tutta come un brivido.

Rabbrividiva così ogni volta che un barlume di ragione - e a volte accadeva - le faceva vedere come alla luce d'un riflettore il suo innamorato, mostrandone le imperfezioni e i difetti. Ma il brivido non durava che un attimo, e continuava ad amarlo. Sapeva benissimo ch'egli non era serio, che scherzava soltanto con lei; e tuttavia continuava ad amarlo. Calpestò, spargendoli, i tizzoni semispenti, entrò in casa immediatamente e salì nella propria camera senza neanche accendere un lume. Al fruscio che fece svestendosi al buio s'accompagnarono altri grevi sospiri; e lo stesso brivido continuò a scuoterla di tanto in tanto quando, dieci minuti dopo, si lasciò cadere sul letto e s'addormentò.

REGINA DELLA NOTTE

C'era in Eustacia Vye la stoffa d'una dea. Con un minimo di preparazione, si sarebbe trovata benissimo sull'Olimpo. Aveva le passioni e gli istinti che rendono perfetta una dea, quelli cioè che fanno d'una donna il contrario della perfezione. Se, anche solo per un attimo, ella avesse potuto essere padrona assoluta della terra e del genere umano, se avesse potuto brandire la conocchia, il fuso e le cesoie liberamente secondo il suo volere, pochi al mondo si sarebbero accorti del cambiamento di governo. Ci sarebbero state le stesse ingiustizie del destino, lo stesso accumularsi qui di fortune e là di disgrazie, lo stesso prevalere della generosità sulla giustizia, gli stessi perpetui dilemmi, lo stesso affascinante alternarsi di carezze e di colpi a cui siamo ora esposti.

Aveva la persona piena e un po' pesante; il volto non troppo colorito nè pallido, e dolce al tocco come una nube. Guardando i suoi capelli, veniva fatto di pensare che l'inverno intero non contenesse tenebra sufficiente a uguagliarne l'ombra; le ricadevano sulla fronte come il tramonto che vela lo splendore dell'occidente.

I suoi nervi avevano i loro terminali in quelle trecce, ed era sempre possibile placarla, accarezzandole. Quando le spazzolavano i capelli cadeva di colpo nel silenzio e sembrava una sfinge. Se, mentre passava sotto una delle alte siepi di Egdon, una ciocca dei suoi capelli rimaneva impigliata, come a volte accadeva, in un ciuffo spinoso del grande Ulex Europaeus - simile a una grossa spazzola - tornava indietro di alcuni passi per esserne sfiorata una seconda volta.

Aveva occhi pagani, pieni di misteri notturni, il cui balenare appariva e scompariva per ricomparire di nuovo, velato in parte dalle grevi palpebre ornate di lunghe ciglia; la palpebra inferiore era assai più pesante e pronunciata di quel che non sia di solito nelle donne inglesi. Questo le permetteva d'abbandonarsi alle fantasticherie senza che si vedesse: si sarebbe potuto crederla capace di dormire senza chiuder gli occhi. Se pensassimo che l'anima degli uomini e delle donne fossero essenze visibili, immagineremmo l'anima di Eustacia d'un bel rosso fiammeggiante. La stessa impressione davano le scintille che balenavano nelle sue pupille scure.

La bocca sembrava fatta meno per parlare che per fremere, meno per fremere che per baciare. E qualcuno avrebbe potuto aggiungere: meno per baciare che per esprimere sdegno. Vista di fianco, la linea delle sue labbra chiuse formava, con precisione quasi geometrica, la curva ben nota nelle arti del disegno col nome di ogiva o arco a sesto

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acuto. Nello squallore disadorno d'un luogo come Egdon, la vista d'un arco così morbido e sinuoso colpiva come un'apparizione. Si sentiva subito che quella bocca non era venuta dalla Slesia con una banda di pirati sassoni le cui labbra combaciavano come le due metà d'un panino. Labbra simili si potevan forse trovare sotto terra nei paesi del sud, in frammenti di marmi dimenticati. La linea delle sue labbra era così fine e delicata che gli angoli della bocca erano, benchè floridi, segnati nettamente come punte di lancia. Questa nettezza agli angoli s'attenuava soltanto quand'ella diventava improvvisamente preda d'un attacco di malumore e di tristezza, una delle fasi di quel lato del sentimento, tenebroso come la notte, ch'ella conosceva anche troppo bene per la sua età.

Faceva pensare a rose scarlatte, rubini, notti tropicali; i suoi atteggiamenti evocavano i mangiatori di loto e la marcia di Athalie; i suoi movimenti, il fluire e il rifluire del mare; la sua voce, il suono della viola. In una luce incerta e con un leggero mutamento d'acconciatura dei capelli, la sua figura avrebbe potuto essere scambiata per quella di una divinità femminile. La luna nuova dietro la sua testa, un elmo antico sul suo capo, un diadema di casuali gocce di rugiada sulla sua fronte sarebbero stati elementi sufficienti per farla assomigliare volta a volta ad Artemide, Atena o Era, con un'approssimazione superiore a quella che si può riscontrare in molti quadri di riconosciuto valore.

Ma superiorità, amore, collera e fervore celestiale s'eran dimostrati inutili sulla troppo terrena brughiera di Egdon. Il suo potere vi era limitato e la coscienza di questi limiti ne aveva alterato lo sviluppo. Egdon era per lei l'Ade e, da quando vi abitava, aveva assorbito in gran parte i suoi toni tenebrosi, anche se interiormente continuava a respingerli con sdegno. Il suo aspetto ben s'accordava con questa ribellione soffocata ma sempre viva, e il tenebroso splendore della sua bellezza non faceva in realtà che velare il malinconico e soffocato ardore che era in lei. Il suo volto aveva una vera dignità tartarea, non artificiosa nè imposta, ma sviluppata nel corso degli anni.

Portava in capo, a trattenere i lussureggianti capelli scuri, una sottile striscia di velluto nero che, ombreggiandole capricciosamente la fronte, ne aumentava la maestà. «Nulla abbellisce un bel volto quanto una stretta striscia sopra la fronte,» disse Jean Paul Richter. Alcune ragazze del vicinato portavano a questo scopo un nastro colorato e si ornavano di gingilli vari; ma se qualcuno consigliava a Eustacia Vye di mettersi in testa un nastro a colori o addosso un ornamento qualsiasi, ella si limitava a ridere.

Perché mai una donna di questo genere viveva nella brughiera di Egdon? Nata a Budmouth, - a quell'epoca una cittadina balneare alla moda - era figlia del capobanda d'un reggimento che vi aveva stanza, nato a Corfù e ottimo musicista, il quale aveva conosciuto la futura moglie durante un viaggio da lei compiuto nell'isola in compagnia di suo padre, capitano di ottima famiglia. Il vecchio non approvava il matrimonio, poichè le tasche del musicista erano leggere come le musiche che interpretava. Ma il capobanda fece tutto il possibile: adottò il nome di sua moglie, si stabilì definitivamente in Inghilterra, si dedicò con passione all'educazione della figlia - di cui il nonno pagava le spese - e si conquistò un'ottima reputazione come musicista locale, fino alla morte della moglie: smise allora di lavorare, si diede al bere e ben presto morì anche lui. La bambina rimase affidata al nonno che, essendosi rotte tre costole nel corso d'un naufragio, viveva ora in questo punto elevato e pieno d'aria della brughiera: l'aveva scelto perché gli avevan venduta la casa a un prezzo irrisorio e perché una lontana sfumatura azzurra all'orizzonte tra le colline, visibile dalla porta di casa, veniva tradizionalmente identificata con La Manica. Alla ragazza non piacque la nuova sede che le diede la sensazione d'essere in esilio; ma dovette rimanerci.

Si spiega così perché nella mente di Eustacia albergassero i pensieri più diversi e più strani, tratti dal passato e dal presente. Non conosceva via di mezzo nelle sue prospettive: romantici ricordi di pomeriggi soleggiati su una spianata con bande musicali, ufficiali e gentiluomini, si staccavano, risaltando come iniziali dorate, sullo sfondo scuro della brughiera. Erano sensibili in lei i bizzarri effetti risultanti dal capriccioso intrecciarsi degli splendori d'una città balneare con la grandiosa solennità della brughiera deserta. Vedendo ora intorno a sè ben poca vita umana, era naturalmente tratta a esaltare eccessivamente quella che aveva conosciuta.

Donde veniva quella sua maestosa dignità? Da una vena latente della razza di Alcinoo, a lei tramandata dal padre proveniente dall'isola dei Feaci?... O da Fitzalan e De Vere, suoi nonni materni, che avevano avuto un cugino alla Camera dei Pari? Forse era semplicemente un dono del cielo, una felice convergenza di leggi naturali. Negli ultimi anni poi, vivendo completamente sola, s'era salvata da ogni forma di volgarità. È pressochè impossibile diventar volgari vivendo nell'isolamento d'una brughiera: che volgarità può esserci nei cavallini selvatici, nei pipistrelli o nelle serpi? Mentre una vita meschina a Budmouth avrebbe potuto facilmente distruggere la sua nobiltà.

L'unico modo per avere un aspetto regale quando manchino regni o cuori su cui regnare, è comportarsi come se si fossero posseduti e poi perduti: ed è quel che Eustacia faceva alla perfezione. Nella modesta casetta del capitano sognava palazzi grandiosi che non aveva visto mai. Forse perché la sua vera casa, assai più vasta, erano gli ampi colli aperti. Come, durante l'estate, l'ambiente che la circondava, ella pareva incarnare l'espressione «popolosa solitudine»: apparentemente indifferente, vuota, tranquilla, ma in realtà intensamente piena e viva.

Essere amata alla follia: ecco il suo grande desiderio. L'amore era per lei l'unico cordiale che potesse distruggere la divorante solitudine delle sue giornate. Più che un particolare innamorato sembrava che desiderasse l'astrazione chiamata passione d'amore.

L'espressione di rimprovero. che si leggeva sul suo viso, era rivolta meno contro gli esseri umani che contro certe creature della sua fantasia, tra cui in primo luogo il Destino. Era colpa del Destino, pensava, se l'amore balena solo per un attimo nel rapido trascorrere della giovinezza; se ogni amore che si riesce a conquistare è destinato a esaurirsi col veloce ritmo con cui la sabbia scorre in una clessidra. Pensandoci, provava un risentimento sempre più vivo, come se si trattasse d'una crudeltà assurda; e di qui nascevano certi suoi gesti avventati e del tutto fuori delle convenzioni, intesi a

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strappare un anno, una settimana, anche una sola ora d'amore ovunque e finchè fosse possibile averla. Non avendo quest'amore, aveva cantato senza gioia, posseduto senza godere, brillato senza trionfare. La solitudine rendeva più profondo il suo desiderio. A Egdon, i baci più freddi e meschini erano a prezzi favolosi; e dove trovare una bocca degna della sua?

La fedeltà in amore l'attirava di per se stessa meno di quel che non attiri la maggior parte delle donne: l'attirava soltanto come segno d'imperio amoroso. Una fiammata d'amore, subito spenta, era meglio d'un fioco barlume che durasse per anni. Su questo punto ella sapeva per una specie di preveggenza ciò che quasi tutte le donne imparano soltanto attraverso l'esperienza: avendo fatto mentalmente un giro d'esplorazione intorno alla fortezza dell'amore, contandone le torri, considerandone gli splendori, s'era convinta che c'era nell'amore più pena che gioia. E tuttavia lo desiderava, come un viandante nel deserto ringrazia chi gli porga un sorso d'acqua salmastra.

Diceva spesso le sue preghiere; non in ore particolari, ma, come i veri devoti, quando sentiva voglia di pregare. La sua preghiera era sempre spontanea, e diceva spesso: «Libera il mio cuore da questo pauroso senso di dolorosa solitudine: mandami un grande amore, se non vuoi che muoia.»

I suoi eroi erano Guglielmo il Conquistatore, Strafford, e Napoleone Bonaparte, come le erano apparsi nel libro di storia per giovinette usato alla scuola in cui era stata educata. Se avesse avuto dei figli li avrebbe chiamati Saul o Sisera piuttosto che Giacobbe o David, che ella non ammirava. A scuola, più d'una volta s'era schierata in varie battaglie a fianco dei Filistei, e s'era chiesta se Ponzio Pilato fosse così bello com'era franco e onesto.

Era quindi una ragazza d'una certa apertura di spirito, anzi, quando si pensi che viveva in mezzo a gente tarda e retriva, veramente originale. C'era alla radice di questo suo atteggiamento un istinto sociale anticonformistico. Durante le vacanze, si comportava come quei cavalli che, lasciati liberi in un prato, godono nel vedere i loro simili che lavorano sulla strada maestra. Amava riposarsi soltanto quand'era in mezzo a gente che faticava. Odiava perciò le domeniche in cui riposavano tutti quanti e diceva spesso ch'erano la sua morte. Vedere i paesani nel loro atteggiamento domenicale, e cioè con le mani in tasca, le scarpe lucidate di fresco e non allacciate (come usava la domenica) passeggiare tranquillamente tra le zolle di terra e le fascine di ginestra fatte durante la settimana, prendendole a calci con aria critica come se non ne conoscessero l'uso, le era intollerabile. Per dissipare la noia di questa sgradevole giornata, si divertiva a frugare negli armadi che contenevano le vecchie carte del nonno e altre reliquie, canterellando intanto sottovoce le ballate dei contadini locali. Ma il sabato sera cantava spesso un salmo, e nei giorni feriali leggeva la Bibbia, per non sentirsi oppressa dal rimorso di non aver fatto il proprio dovere.

Un simile atteggiamento verso la vita era, fino a un certo punto, il prodotto naturale dell'influenza dell'ambiente sul suo carattere. Vivere in una brughiera senza cercar di capirla era come sposare uno straniero senza impararne la lingua. Le delicate e sottili bellezze della landa sfuggivano a Eustacia, che ne vedeva soltanto le ombre. Un ambiente che d'una donna soddisfatta avrebbe fatto un poeta, d'una donna sofferente una devota, d'una donna pia una compositrice di salmi, e avrebbe reso pensosa persino una spensierata, faceva d'una donna ribelle una grande malinconica.

Eustacia aveva ormai rinunciato al sogno d'uno splendido matrimonio; ma, benchè fosse piena d'ardore amoroso, sdegnava un'unione meschina. Viveva così in una specie d'isolamento.

Aver perduto l'idea divina di poter fare quel che si vuole, e non aver acquistato il gusto modesto di fare quel che si può, è indizio d'una personalità vigorosa, non criticabile astrattamente, poichè rivela uno spirito che, pur deluso, si rifiuta al compromesso. Ma un carattere simile, anche se giustificabile dal punto di vista filosofico, tende a diventare pericoloso per la comunità: più che mai in un mondo in cui amare significa sposarsi e la comunità è fatta di cuori e di mani.

Vediamo dunque la nostra Eustacia - a volte tutt'altro che priva delle più amabili qualità - giungere a quello stato d'illuminazione interiore in cui si scopre che non c'è nulla per cui valga la pena di vivere, e riempire il vuoto della propria esistenza idealizzando Wildeve, in mancanza d'un soggetto migliore. Era questa l'unica ragione per cui lo amava: e lo sapeva benissimo. In certi momenti, il suo orgoglio si ribellava alla passione che provava per lui, e arrivava persino a desiderare di liberarsene. Ma una cosa sola poteva relegarlo in secondo piano: l'arrivo d'un uomo migliore.

Quanto al resto, soffriva di gravi crisi di depressione e faceva lunghe passeggiate per sollevarsi lo spirito: portava con sè il cannocchiale del nonno e la clessidra della nonna, quest'ultima soprattutto perché le dava un piacere particolare osservare una rappresentazione materiale del graduale scorrere del tempo. Raramente faceva progetti ma, quando li faceva, i suoi piani assomigliavano alla complessa strategia d'un generale piuttosto che alle piccole arti dette muliebri, benchè, quando non voleva esprimersi chiaramente, sapesse pronunciare oracoli ambigui come quelli di Delfo. In cielo avrà probabilmente il suo posto tra le Eloise e le Cleopatre.

CHI SI TROVA LA' DOVE NON DOVREBBE ESSERCI NESSUNO

Non appena si fu allontanato dal falò, il ragazzetto malinconico strinse forte la monetina nel palmo della mano come per farsi coraggio e si mise a correre. In realtà un bambino non si esponeva a nessun pericolo andando attorno da solo in questa parte della brughiera di Egdon. La capanna di suo padre, inoltre, non distava di là più di tre ottavi di miglio e formava, insieme a un'altra capanna a pochi metri di distanza, il piccolo villaggio di Mistover Knap: la terza e

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ultima casa era quella del capitano Vye e di Eustacia, che sorgeva a qualche distanza dalle casette, ed era la più isolata di tutte le case isolate su quelle colline scarsamente popolate.

Corse dapprima fino a farsi mancare il fiato, poi, acquistando coraggio, procedette più adagio, cantando con vocetta da vecchio una canzoncina che parlava d'un giovane marinaio e d'una bella ragazza e della ricerca d'un tesoro. Giunto a metà, il bambino s'interruppe: da un avvallamento sotto la collina che aveva davanti usciva una luce, a cui s'accompagnavano una nuvola di polvere fluttuante e un suono come di colpi.

Soltanto gli oggetti e i suoni insoliti facevano paura al ragazzetto. L'antica voce della brughiera non lo atterriva, perché gli era familiare. Un po' meno rassicuranti erano i cespugli di rovo che incontrava di quando in quando sul suo sentiero: fischiavano lugubremente e, al buio, assumevano forme spettrali simili a pazzi saltellanti, giganti dalle braccia tese, storpi orribili e deformi. Quella sera c'erano luci un po' dappertutto, ma questa era diversa. La prudenza più che il terrore indusse il ragazzo a tornare indietro invece di passar dinanzi alla luce misteriosa: avrebbe pregato la signorina Eustacia di farlo accompagnare a casa dalla domestica.

Risalito il valloncello, il ragazzo vide che il falò sul bastione era ancora acceso, anche se meno vivo di prima. E accanto al fuoco, invece della figura solitaria di Eustacia, scorse due persone, una delle quali era un uomo. Avanzò cautamente all'ombra del bastione, per capire quel che stava avvenendo e sapere se poteva osar disturbare una creatura superiore come la signorina Eustacia.

Dopo esser rimasto in ascolto alcuni minuti, si volse, perplesso e dubbioso, e incominciò a ritirarsi in silenzio come era venuto. Evidentemente aveva giudicato preferibile non interrompere Eustacia nella sua conversazione con Wildeve, se non voleva esporsi alla sua collera.

Il povero ragazzo si trovava ora tra Scilla e Cariddi. Fermandosi a un punto in cui si sentiva al sicuro e non temeva d'esser scoperto, decise infine d'affrontare la luce ignota come il minore dei mali. Con un gran sospiro ridiscese il pendio, seguendo il sentiero percorso prima.

La luce s'era spenta, la nuvola di polvere s'era dileguata... per sempre, sperava. Mosse decisamente avanti senza trovare nulla di terribile finchè, giunto a pochi metri dalla cava di sabbia, sentì dinanzi a sè un lieve rumore che lo costrinse a fermarsi. Ma non rimase fermo a lungo perché si rese subito conto che il rumore era prodotto da due animali che stavano tranquillamente pascolando.

«Sono due cavallini,» disse ad alta voce. «Non sapevo che venissero fin qui.»Gli animali bloccavano il sentiero, ma questo non preoccupava il bambino abituato, sin dalla prima infanzia, a

giocare tra le zampe dei cavalli. Avvicinandosi, rimase però sorpreso nel vedere che i due animali non scappavano, e che erano entrambi impastoiati perché non potessero fuggire: non erano dunque cavalli selvatici, ma domestici. Poteva vedere ora nell'interno della cava di sabbia, aperta nel fianco della collina, e a cui si accedeva dal piano. Nell'angolo più interno osservò la sagoma quadrata d'un carro che gli voltava la schiena. Una luce che usciva dall'interno gettava un'ombra mobile sulla parete verticale all'estremità della cava, verso cui il carro era voltato.

Il ragazzo pensò che fosse il carrozzone d'uno zingaro e provò un senso di paura, ma così lieve da esserne stimolato anzichè atterrito. Soltanto pochi centimetri di muro di fango facevan sì che lui e i suoi non fossero zingari anch'essi. Girò prudentemente intorno alla cava, risalì il pendio e si allacciò all'orlo per poter guardare nella porta aperta e scorgere di chi fosse l'ombra.

Ma fu atterrito da quel che vide. Accanto a una piccola stufa, nell'interno del carro, era seduta una figura rossa dalla testa ai piedi: l'uomo ch'era stato amico di Thomasin. Stava rammendando una calza, rossa come tutto il resto. Fumava inoltre, pur continuando a rammendare, una pipa con la cannuccia e il fornello ugualmente rossi.

Proprio in questo momento si sentì uno dei due cavallini che stavano pascolando nell'ombra scuotere in modo sensibile la pastoia attaccata alle zampe. A quel suono, il venditore d'ocra posò la calza, accese una lanterna appesa lì accanto, e uscì dal carrozzone. Per raddrizzare la candela, sollevò la lanterna all'altezza del volto, e la luce illuminò il bianco dei suoi occhi e i suoi denti d'avorio che, in contrasto con tutto il rosso che lo circondava, gli davano un aspetto tale da impaurire un ragazzetto. Questi capì ora anche troppo bene in chi era venuto a imbattersi. C'erano tipi peggiori degli zingari che attraversavano di quando in quando la brughiera, e l'«uomo dell'ocra» era uno di questi.

«Ah, se fosse solo uno zingaro!» mormorò.Ora l'uomo tornava indietro dopo aver dato un'occhiata ai cavalli. Nel suo timore d'esser visto, il ragazzo fece

un gesto nervoso che lo tradì. L'erica e uno strato di torba sovrastavano la cava come stuoie che ne nascondessero la vera sponda. Il ragazzo s'era spinto avanti, abbandonando il terreno solido; l'erica cedette, ed eccolo rotolare lungo la scarpata di sabbia grigia proprio ai piedi dell'uomo.

Questi aprì la lanterna e gettò la sua luce sul ragazzo caduto.«E tu chi sei?» disse.«Johnny Nunsuch, signore!»«Che cosa facevi qui?»«Non lo so.»«Mi spiavi forse?»«Sì, signore.»«E perché mi spiavi?»«Perché tornavo a casa dal falò della signorina Vye.»«Ti sei fatto male?»

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«No.»«Ma sì che ti sei fatto male, invece: hai la mano che sanguina. Vieni con me e te la fascio.»«Mi lasci cercare la mia monetina, la prego.»«Chi te l'ha data?»«Me l'ha data la signorina Vye, perché tenessi acceso il falò.»La monetina fu ritrovata e l'uomo mosse verso il carro, seguito dal ragazzino che quasi non osava respirare.L'uomo prese un pezzo di straccio da un sacchetto che conteneva l'occorrente per cucire, ne strappò una

striscia, tinta, come tutto il resto, di rosso, e si mise a fasciare la ferita.«Mi sento girar la testa... posso sedermi, signore?» disse il ragazzo.«Ma certo, poveretto. Mi meraviglio che tu non sia svenuto. Siediti su quel fagotto.»L'uomo finì di medicare la ferita e il ragazzo disse: «Ora me ne vado.»«Si direbbe che hai paura di me. Sai chi sono?»Il bambino osservò a lungo, dall'alto in basso, con aria preoccupata, la figura vermiglia, poi disse: «Sì.»«E chi sono allora?»«L'uomo dell'ocra,» disse il bambino debolmente.«Sicuro. Anche se ce n'è più d'uno. Voi bambini credete che ci sia un solo cuculo, una sola volpe, un solo

gigante, un solo diavolo e un solo uomo dell'ocra, mentre in realtà siamo moltissimi.»«Davvero? Allora non mi metterà nel sacco per portarmi via?» Dicono che l'uomo dell'ocra lo fa, qualche

volta.»«Sciocchezze. Non facciamo altro che vendere l'ocra ai contadini. Vedi tutti quei sacchi in fondo al carro? Non

sono pieni di ragazzini... ma soltanto d'ocra rossa.»«È nato rosso così?»«No, lo sono diventato. Sarei più bianco di te se cambiassi mestiere: dopo un po' di tempo naturalmente,

diciamo sei mesi; non prima, perché il colore mi è entrato nella pelle e non basta lavarsi per mandarlo via. Ora avrai ancora paura dell'uomo rosso?»

«No, mai più. Willy Orchard ha detto che l'altro giorno qui c'era un fantasma tutto rosso... era lei?»«Ero qui, infatti, l'altro giorno.»«Era lei che mandava su quella polvere che ho visto un momento fa?»«Sicuro. Stavo sbattendo i miei sacchi. E lassù avete fatto un bel falò? Ho visto la luce. Perché la signorina

Vye ci teneva tanto al falò da darti una monetina perché tu lo tenessi acceso?»«Non lo so. Ero stanco, ma mi ha fatto rimanere lo stesso a tenere acceso il fuoco, mentre lei continuava ad

andare avanti e indietro verso il Rainbarrow.»«E fino a quando è durato?»«Finchè un ranocchio è saltato nello stagno.»Di colpo il venditore d'ocra si fece attento. «Un ranocchio?» chiese. «In questa stagione dell'anno non ci sono

ranocchi che saltino negli stagni.»«Eppure l'ho proprio sentito.»«Ne sei sicuro?»«Sì. M'aveva detto prima che l'avrei sentito; e cosi è stato. Dicono che è un po' maga; forse l'ha fatto venire con

un incantesimo.»«E poi?»«Poi son passato di qui per andare a casa, ho visto la luce e mi son messo paura e così sono tornato indietro;

ma non ho osato parlarle per via del signore, e son venuto di nuovo cui.»«Il signore... Ah! E che cosa diceva a questo signore?»«Gli ha detto che sapeva che non aveva sposato l'altra perché voleva ancora bene all'innamorata di prima; e

tante altre cose così.»«E il signore che cosa le ha detto?»«Che voleva più bene a lei e che sarebbe venuto di nuovo a trovarla al Rainbarrow di notte.»«Ah!» gridò l'uomo, battendo il pugno contro la parete del carrozzone e facendolo tremare tutto. «Ecco dunque

la ragione!»Il ragazzino saltò giù dallo sgabello su cui era seduto.«Non aver paura, ometto,» disse il venditore d'ocra con voce improvvisamente dolce. «Mi sono dimenticato

ch'eri qui. Capita di tanto in tanto che l'uomo dell'ocra s'infurii; ma poi non fa del male a nessuno. E allora che cosa ha detto la signorina?»

«Non me ne ricordo. Ma adesso, signor uomo dell'ocra, posso andare a casa?»«E come no? Certamente. Ti accompagno per un pezzetto.»Accompagnò il ragazzo fuori della cava, fino al sentiero che portava alla capanna di sua madre. Quando la sua

figuretta fu scomparsa nel buio, ritornò indietro, si sedette di nuovo accanto al fuoco e ricominciò a rammendare.

L'AMORE INDUCE UN UOMO ACCORTO A FARSI STRATEGA

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I venditori d'ocra, un tempo figure familiari nel Wessex, si van facendo oggi sempre più rari. Dopo l'avvento della ferrovia, gli agricoltori del Wessex hanno imparato a fare a meno di questi visitatori dall'aspetto mefistofelico, e a procurarsi per altra via il pigmento di vivace colore usato dai pastori nel marcar le pecore per la fiera. E anche quelli che ancora esistono vanno sempre più perdendo quell'alone poetico che caratterizzava la loro vita quando l'esercizio del mestiere comportava viaggi periodici alla cava da cui si traeva il materiale, e lo star fuori accampati per mesi, tranne che nel cuore dell'inverno, peregrinando tra fattorie che si contavano a centinaia, e conservando, nonostante questa loro vita errante, una buona reputazione dovuta al possesso d'un ben fornito portafogli.

L'ocra tinge del suo vivo colore tutto quel che tocca, e lascia la sua impronta inconfondibile, come il marchio di Caino, su chiunque la maneggi anche solo per mezz'ora.

Vedere per la prima volta il venditore d'ocra rappresentava allora un'esperienza importante nella vita d'un bambino. Quella figura color del sangue era come l'incarnazione di tutti i sogni spaventosi che avevano afflitto, sin dal sorgere della fantasia, lo spirito infantile. «Viene l'uomo rosso a prenderti!» minacciavano da generazioni le madri del Wessex. Per qualche tempo, all'inizio del secolo, l'uomo rosso era stato felicemente sostituito da Buonaparte; ma, a misura che col passar del tempo questo personaggio diventava frusto e inefficace, l'antica immagine riprendeva il suo potere. Ora anche il venditore d'ocra ha seguito Buonaparte nel paese degli spauracchi in disuso, e il suo posto è stato preso da più moderne invenzioni. Il venditore d'ocra conduceva una vita simile a quella degli zingari; ma li disprezzava. Guadagnava press'a poco come i fabbricanti ambulanti di cesti e di stuoie; ma non aveva nulla in comune con essi. Nasceva da famiglie più benestanti ed era in genere più educato dei mandriani che continuamente incontrava nel suo errare, e che si limitavano a salutarlo con un cenno del capo. La sua mercanzia era più preziosa di quella dei merciai ambulanti; anche se questi non volevano riconoscerlo e, passando accanto al suo carro, tenevano gli occhi fissi avanti senza degnarlo d'uno sguardo. Il suo colore era così innaturale che gli uomini delle giostre e dei baracconi sembravano gentiluomini accanto a lui; ma egli ne disdegnava la compagnia, e si teneva in disparte. Era continuamente in contatto con tutti questi abitatori e frequentatori della strada; e tuttavia non era uno di loro. Il suo mestiere tendeva a isolarlo, e lo si vedeva infatti quasi sempre solo.

Si diceva a volte che i venditori d'ocra fossero delinquenti, dei cui misfatti altri erano stati accusati ingiustamente, che, sfuggendo alla legge, non erano però sfuggiti alla propria coscienza e s'erano quindi dedicati a quel mestiere come se fosse una penitenza destinata a durare tutta la vita. Perché mai l'avrebbero scelto, altrimenti? Nel nostro caso una domanda simile sarebbe parsa pienamente giustificata. Il venditore d'ocra, entrato quel pomeriggio nella brughiera di Egdon, era un bel giovane simpatico, e non si poteva far a meno di pensare ch'era sciupato in quel mestiere, per cui sarebbero andate benissimo persone assai meno dotate. L'unica cosa in lui poco attraente era il colore: se non ne fosse stato deturpato, sarebbe apparso un magnifico esemplare di giovane e maschia bellezza campagnola. Chi l'avesse osservato attentamente avrebbe potuto pensare - ed era, in parte, la verità - che avesse lasciato il posto che occupava prima nella vita soltanto perché non l'interessava. Poi, dopo averlo guardato ben bene, sarebbe stato tratto a pensare che alla base del suo carattere ci fossero una bontà fondamentale e una finezza che sfiorava i limiti dell'astuzia.

Mentre continuava a rammendare la calza, il suo volto era come irrigidito nel pensiero. Poi, a poco a poco, la sua espressione si fece più dolce fino a velarsi di quella malinconica tenerezza di cui era soffuso il suo volto nel pomeriggio mentre viaggiava attraverso la brughiera. A un tratto smise di muover l'ago. Posò la calza, si alzò, e staccò una borsa di pelle dal gancio in un angolo del carrozzone. Conteneva, tra l'altro, un pacchetto di carta scura che, a giudicare dalle pieghe segnate e consunte, doveva essere stato aperto e chiuso con cura una quantità di volte. Sedette su uno sgabello a tre gambe, da mungitura, l'unico sedile esistente nel carrozzone, e, esaminando il pacchetto alla luce d'una candela, ne tolse una vecchia lettera che aprì, spiegandola. In origine bianca, la carta su cui la lettera era stata scritta era ormai diventata rossastra; e i segni neri della scrittura su di essa facevano pensare ai rametti d'una siepe, d'inverno, contro un cielo arrossato dal crepuscolo. La lettera portava la data di due anni prima e la firma di Thomasin Yeobright. Diceva:

«Caro Diggory Venn, la domanda che mi hai fatta raggiungendomi mentre tornavo a casa da Pond-close mi ha tanto sorpresa che temo di non esser riuscita a farmi capire. Naturalmente, se la zia non fosse venuta a incontrarmi, avrei potuto spiegare tutto subito, ma così non è stato possibile. Da allora non ho più avuto pace perché tu sai che non voglio darti pena, e tuttavia temo che lo farò ora negando quel che hai potuto credere che dicessi allora. Non posso sposarti, Diggory, e neanche lasciare che tu pensi a me come a un'innamorata. Non lo potrei davvero, Diggory. Spero che queste mie parole non ti daranno troppo dolore: il solo pensiero della tua pena mi affligge, perché ti voglio molto bene e nel mio cuore vieni subito dopo mio cugino Clym. Ma le ragioni per cui non posso sposarti sono tante che non posso neppure elencarle tutte in una lettera. Certo non immaginavo che mi avresti parlato d'una cosa simile quando mi hai seguita, perché non ti avevo mai pensato come innamorato. Non devi essere offeso se mi sono messa a ridere quando hai parlato: non ridevo affatto perché ti giudicassi sciocco. Non ridevo di te, ma dell'idea che mi sembrava strana. L'unica e vera ragione personale per cui non posso accettare la tua proposta è semplicemente che non provo per te quel che dovrebbe provare una donna quando accetta d'andar fuori con un uomo con l'intento di diventare poi sua moglie. Non è, come forse tu credi, che abbia un altro innamorato: non incoraggio e non ho mai incoraggiato nessuno. Un'altra ragione è mia zia. Non acconsentirebbe mai al nostro matrimonio, anche se io lo volessi. Ti stima e ti vuol bene, ma vorrebbe ch'io sposassi qualcuno di posizione un po' più elevata d'un piccolo agricoltore, e cioè un

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professionista. Spero che non te n'avrai a male, se scrivo con franchezza, ma ho pensato che altrimenti avresti cercato di rivedermi, e forse è meglio che non c'incontriamo più. Penserò sempre a te come a un buon amico, augurandoti ogni bene. Ti mando questo biglietto per mezzo della ragazzina di Jane Orchard. Credimi, caro Diggory, la tua fedele amica:

Thomasin Yeobright»

Dopo l'arrivo di quella lettera, un mattino d'autunno molto tempo prima, il venditore d'ocra e Thomasin non s'erano mai più incontrati fino a oggi. In quel periodo egli s'era allontanato ancor più da lei, adottando l'attuale mestiere: anche se le sue condizioni economiche erano piuttosto buone. Lo si sarebbe addirittura potuto chiamare ricco, poichè le sue spese arrivavano appena a un quarto dei suoi redditi.

Gli innamorati respinti tendono naturalmente al vagabondaggio, come api prive d'alveare; e il lavoro che Venn, con gusto quasi cinico, s'era scelto, corrispondeva in un certo senso a questa tendenza. Tuttavia l'antico sentimento l'aveva spesso tratto, nel suo errare, verso la brughiera di Egdon, anche se non s'era mai fatto vedere da colei che a essa lo richiamava. Essere nella brughiera in cui abitava Thomasin e vicino a lei, pur senza esserne visto, era l'unica modesta gioia che gli rimaneva.

Ma, dopo l'incidente avvenuto quel giorno, il venditore d'ocra, che ancora l'amava profondamente, si sentiva spinto, dal favore che per caso aveva potuto farle in quel momento critico, ad assumere nei suoi riguardi un atteggiamento d'attiva devozione, invece d'accontentarsi, come prima, di sospirare standosene lontano. Dopo quanto era accaduto, non poteva non dubitare dell'onestà delle intenzioni di Wildeve. Ma evidentemente Thomasin riponeva in lui ogni sua speranza; facendo tacere il proprio sentimento, Venn decise quindi di aiutarla a esser felice nel modo da lei desiderato. Che la sua felicità dovesse farlo soffrire non aveva per lui importanza. Il suo era un amore generoso.

Un primo passo attivo a favore di Thomasin lo fece la sera dopo, verso le sette, stimolato da quanto aveva saputo dal ragazzetto malinconico. Che Eustacia fosse in qualche modo la causa della negligenza di Wildeve circa il matrimonio, era quanto Venn aveva pensato venendo a sapere del segreto incontro tra i due. Non poteva immaginare che causa del richiamo amoroso lanciato da Eustacia a Wildeve fosse stato il ridestarsi della passione nel cuore della bella, alla notizia del mancato matrimonio portatale dal nonno. Tendeva quindi a considerarla come un'attentatrice alla felicità di Thomasin, piuttosto che come un ostacolo già esistente in precedenza.

Per tutto il giorno aveva desiderato ansiosamente notizie di Thomasin; ma non osava presentarsi alla soglia d'una casa in cui era un estraneo, soprattutto in un momento così penoso. Aveva trascorso la giornata spostandosi coi suoi cavalli e il suo carico in un altro punto della brughiera, a est del luogo in cui era prima; e qui aveva scelto con cura un angoluccio tranquillo al riparo dal vento e dalla pioggia, il che faceva pensare che intendesse trattenervisi per qualche tempo. Rifece poi a piedi parte del cammino percorso; e, dato ch'era ormai buio, si spostò verso sinistra finchè si trovò dietro una siepe d'agrifoglio al margine d'una cava a una ventina di metri dal Rainbarrow.

Pensava che i due si sarebbero incontrati, ma attese invano. Quella sera in quel luogo non venne nessuno, all'infuori di lui.

Ma l'inutile attesa non lo scoraggiò. Avvezzo alla pena di Tantalo, pareva disposto ad accettare tutta una serie di delusioni: un risultato ottenuto senza questa naturale premessa avrebbe addirittura creato in lui un senso di diffidenza e d'affanno.

La sera dopo, alla stessa ora, era di nuovo là; ma neanche questa volta comparvero Eustacia e Wildeve, i due che avrebbero dovuto incontrarvisi.

Lo stesso fece diligentemente per altre quattro sere, senza risultato alcuno. Ma la quinta sera, una settimana esatta dopo il primo incontro, vide una figura di donna muovere lungo la cresta e una sagoma maschile salire dalla valle. S'incontrarono nel piccolo fossato che circondava la montagnola, scavato dagli antichi britanni per trarne il materiale con cui avevano costruito il tumulo.

Punto dal sospetto che si tramasse qualcosa a danno di Thomasin, il venditore d'ocra sentì il dovere di farsi stratega. Allontanandosi dal cespuglio, avanzò strisciando sulle mani e sulle ginocchia. Quando fu arrivato fin dove poteva avventurarsi senza pericolo d'essere scoperto, si accorse che il vento contrario non gli avrebbe permesso di udire la conversazione che si veniva svolgendo tra i due.

Accanto a lui, come in diversi punti della brughiera, erano sparse qua e là grosse zolle di terra coperte d'erica messe di traverso e capovolte in attesa che Timothy Fairway le rimovesse prima dell'inverno. Sempre rimanendo sdraiato ne prese due e se le tirò addosso fino a coprirsi con una la testa e le spalle, con l'altra la schiena e le gambe. Così sarebbe stato impossibile scorgerlo, anche alla luce del giorno; l'erica voltata all'insù, sembrava cresciuta naturalmente su di lui. Così mascherato continuò ad avanzare strisciando, e le zolle che aveva sulla schiena avanzarono con lui. È probabile che, nella luce incerta del crepuscolo, non l'avrebbero visto anche se si fosse avvicinato senza copertura; ma così era come se avanzasse lungo una galleria sotterranea. Potè quindi portarsi vicinissimo ai due che parlavano.

«Vuoi il mio parere?» furono le parole che giunsero al suo orecchio, pronunciate dalla voce calda e impetuosa di Eustacia Vye. «Il mio parere! Ma non capisci che è un'infamia parlarmi in questo modo?» Si mise a piangere. «Ti amo, e ho dimostrato che ti amo, anche se ora me ne dolgo; e tu vieni qui a chiedermi freddamente se dopo tutto non faresti meglio a sposare Thomasin. Ma certo che faresti meglio. Sposala: la sua posizione sociale è più adatta a te della mia!»

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«Sì, ti capisco,» disse Wildeve con tono brusco. «Ma dobbiamo guardar le cose come sono. Anche se la colpa è soprattutto mia, Thomasin è oggi in una posizione peggiore della tua. Ti ho spiegato semplicemente che mi trovo in una grave difficoltà.»

«E non devi dirmelo! Devi capire che così mi fai soltanto soffrire. Non hai agito bene, Damon; e ti sei abbassato nella mia stima. Non hai apprezzato a dovere la mia generosità nell'amarti: la generosità d'una giovane che aveva assai più alte ambizioni. Ma la colpa è stata di Thomasin. Ti ha rubato a me e quindi è giusto che soffra. Dov'è ora? Non che m'importi: non m'importa neanche di dove sto io. Certo sarebbe felice se fossi morta e scomparsa. Ti ho chiesto dov'è.»

«Thomasin sta in casa di sua zia, chiusa in una stanza, e non si fa vedere da nessuno,» diss'egli, con tono indifferente.

«Non credo che te ne importi molto nemmeno ora,» disse Eustacia, con tono improvvisamente gioioso, «altrimenti non ne parleresti con tanta freddezza. Sei così freddo anche quando parli di me con lei? Forse sì, temo! Perché te ne sei andato e mi hai lasciata? Non credo che potrò mai perdonartelo, a meno che, ogni volta che m'abbandoni, tu ritorni poi a me, disperato e contrito.»

«Ma io non voglio più abbandonarti.»«Credi forse di farmi un piacere con questo? Guai se andasse tutto troppo liscio. Mi piace anzi che tu

m'abbandoni un poco di quando in quando. L'amore è una cosa squallida quando l'innamorato è veramente onesto e fedele. So ch'è una vergogna dire una cosa simile: ma è vero!» A questo punto si concesse una risatina. «Mi sento depressa solo a pensarci. Se vuoi offrirmi un amore addomesticato, tanto vale che tu te ne vada!»

«Vorrei che Tamsie non fosse una così brava ragazza,» disse Wildeve; «così potrei amarti senza far del male a chi non lo merita. Il colpevole sono io, dopo tutto; non valgo un bottone a confronto di lei e di te.»

«Ma non devi sacrificarti a lei per un senso di giustizia,» s'affrettò a ribattere Eustacia. «Se non l'ami, la cosa migliore anche per lei è in fondo che tu la lasci. Mi sembra l'unica soluzione. Forse queste mie parole ti sembreranno sconvenienti in bocca a una donna. Non c'è volta che, quando te ne sei andato, io non debba pentirmi di quel che ho detto.»

Senza rispondere, Wildeve fece due o tre passi nella brughiera. NeI silenzio si udì il gemito d'un albero di rovo svettato piegato dal vento, tra i cui rami che resistevano il soffio della brezza filtrava come attraverso un setaccio. Era come se la notte cantasse a denti stretti una funebre nenia.

Ella continuò, rattristata: «Dopo il nostro ultimo incontro, ho pensato più d'una volta che forse non è stato per amor mio che non l'hai sposata. Dimmi la verità, Damon, e cercherò di sopportarla. È stato per causa mia?

«Vuoi proprio saperlo?»«Sì, devo sapere. M'accorgo che sono stata un po' troppo pronta a credere nel mio potere.»«Ecco, la ragione immediata è stata che la licenza non era valida per Anglebury e, prima che potessi

procurarmene un'altra, lei scappò via. Fino a questo punto tu non c'entravi per niente. Ma poi sua zia mi ha parlato con un tono che non mi è affatto piaciuto.»

«Oh, ecco! Io non c'entro... non c'entro per niente. Tu ti fai soltanto gioco di me. Cielo! Di che cosa sei fatta, Eustacia Vye, per tenerci tanto a un uomo simile?»

«Via, non andare in collera... Pensa, Eustacia, che l'anno scorso vagavamo tra quei cespugli, quando al gran caldo eran succedute le giornate fredde e l'ombra delle colline nei valloncelli ci rendeva quasi invisibili!»

Per un po' ella rimase immersa in un silenzio pieno di tristezza, poi disse: «Sì; e io ridevo di te perché osavi aspirare al mio amore! Ma quanto mi hai fatto soffrire poi!»

«Tu m'hai trattato così crudelmente, che alla fine ho creduto d'aver trovato una donna migliore. E mi è parsa una fortuna.»

«Sei ancora convinto d'aver trovato una donna migliore di me?»«A volte sì, a volte no. I due piatti della bilancia sono quasi in equilibrio, e basterebbe il peso d'una piuma per

farne abbassare uno.»«Ma desideri star con me o no?» diss'ella lentamente.«Lo desidero, certo; ma non voglio perdere la mia pace,» rispose il giovane con tono languido. «No, tutto

questo è acqua passata ormai. Trovo due fiori dove credevo che ce ne fosse uno solo. Forse ce ne saranno anche tre, o quattro, o chissà quanti, belli quanto il primo... È un destino curioso il mio. Chi avrebbe mai pensato che potesse capitarmi tutto questo?»

Eustacia lo interruppe con un ardore contenuto che pareva potersi ugualmente risolvere in uno scoppio d'amore o di collera. «Mi ami adesso?»

«E chi lo sa? Chi può dirlo?»«Dimmelo; voglio saperlo!»«Ti amo e non ti amo,» diss'egli con tono dispettoso. «Secondo le ore e le stagioni. Un momento mi sembri

troppo alta, un altro momento troppo oziosa, un altro troppo malinconica, un altro troppo tenebrosa, un altro ancora non so che... so soltanto che non sei più per me l'intero universo, com'eri un tempo, mia cara. Però sei una donna simpatica con cui si sta volentieri; e ti trovo affascinante come sempre... o quasi.»

Eustacia tacque e s'allontanò da lui; a un tratto disse, con tono pieno di forza contenuta: «Ho voglia di fare una passeggiata e vado da questa parte.»

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«Credo che dovrò seguirti, allora.»«Sai benissimo che non puoi non farlo, malgrado la tua volubilità e i tuoi cambiamenti d'umore!» diss'ella in

tono di sfida. «Di' quello che vuoi; tenta pure; sta' lontano da me finchè puoi... non mi potrai mai dimenticare. Mi amerai sempre. E saresti felice di sposarmi!»

«Certo!» disse Wildeve. «A volte mi vengono delle idee strane, Eustacia, come in questo momento. Tu odii la brughiera più che mai; lo so.»

«È vero,» ella mormorò con tono di convinzione profonda. «È la mia croce, la mia onta, e sarà la mia morte!»«Anch'io l'aborro,» diss'egli. «Senti il vento come soffia lugubremente!»Eustacia non rispose. La voce del vento era in realtà solenne e onnipresente. Suoni compositi e complessi

colpivano i loro sensi rivelando le caratteristiche della zona. Immagini acustiche parevano emergere dal buio paesaggio; si poteva sentire dove incominciavano e dove finivano le distese d'erica; dove crescevano più alti gli steli; dov'era stata tagliata da poco; in che direzione si trovava la macchia dei pini, e a che distanza il valloncello in cui cresceva l'agrifoglio: tutti questi aspetti diversi avevano non solo forme e colori, ma anche voci diverse.

«Che solitudine, mio Dio!» riprese Wildeve. «Che c'importa il pittoresco dei valloni e delle nebbie se non vediamo nient'altro? Perché dobbiamo rimanere qui? Vuoi venire con me in America? Ho dei parenti nel Wisconsin.»

«È una cosa su cui bisogna riflettere.»«Qui può essere felice soltanto un uccello selvatico o un pittore di paesaggi. E allora?»«Dammi un po' di tempo,» diss'ella, prendendogli la mano. «L'America è così lontana. Vuoi accompagnarmi

per un pezzetto?»Pronunciando queste ultime parole, Eustacia s'allontanò dalla base della montagnola e Wildeve la seguì, così

che l'uomo in ascolto non potè più sentire quel che dicevano.Rimosse le zolle di cui s'era coperto e si alzò. Vide le nere sagome dei due allontanarsi contro il cielo, finchè

scomparvero. Erano come due corna che la pigra brughiera avesse allungato fuori dal suo capo, come una lumaca, e che ora ritirasse di nuovo.

Il passo con cui il venditore d'ocra attraversò il vallone per ritornare al punto in cui c'era il suo carro, non era allegro e vivace come avrebbe dovuto essere quello d'un agile giovanotto di ventiquattro anni. Era turbato e soffriva. Il vento che scherzava intorno alle sue labbra durante il percorso portava con sè accenti di minaccia.

Entrò nel carrozzone, dove il fuoco era ancora acceso nella stufa. Senz'accender la candela, sedette subito sullo sgabello a tre gambe e meditò su quanto aveva visto e udito e che riguardava la ragazza che ancora amava. Emise un suono che non era nè un sospiro nè un singhiozzo, ma rivelava, più che se fosse stato l'uno o l'altro, il turbamento del suo spirito.

«Tamsie mia,» disse alla fine con un greve sospiro. «Che cosa posso fare per aiutarti? Ebbene, sì, andrò a parlare a questa Eustacia Vye.»

DISPERATO TENTATIVO DI PERSUADERE

Il mattino dopo, all'ora in cui l'altezza del sole appariva, da qualunque parte della brughiera lo si guardasse, insignificante a confronto di quella del Rainbarrow, e quando tutte le collinette nelle zone più basse erano come un arcipelago in un mare Egeo fatto di nebbia, il venditore d'ocra uscì dal recesso tra i cespugli che aveva assunto come dimora e salì il pendio che porta a Mistover Knap.

Benchè le frastagliate colline fossero apparentemente deserte, diversi acuti occhi tondi erano già pronti in quel mattino invernale a fermarsi sul passante. Vi si nascondevano infatti uccelli che, visti altrove, avrebbero creato meraviglia. Era possibile trovarvi un'ottarda; erano una ventina in quella zona soltanto pochi anni prima. I falchetti si levavano a volo di quando in quando dalla valle vicina a quella in cui abitava Wildeve. Aveva frequentato il luogo anche un piviere tortorino, uccello così raro che se ne conoscevano in Inghilterra al massimo una dozzina; ma un barbaro non aveva avuto pace finchè non era riuscito a colpire il vagabondo venuto dall'Africa, e dopo questo fattaccio i pivieri tortorini non avevano più voluto saperne della brughiera di Egdon.

Il viandante che, percorrendo la zona, avesse osservato questi suoi visitatori come li vedeva ora Venn, si sarebbe sentito in diretta comunicazione con regioni ignote all'uomo. Ecco, proprio dinanzi a lui, un'anatra selvatica, appena giunta dalla patria dei venti settentrionali, ricca di un'immensa conoscenza del nord. Catastrofi glaciali, episodi legati a tempeste di neve, luminosi effetti aurorali, la Stella Polare allo zenit, i relitti della spedizione Franklin al di sotto: tutta una meravigliosa serie di fenomeni per lei assolutamente normali. Ma, vedendo come l'uccello fissava l'uomo, si sarebbe detto che, a somiglianza di molti altri filosofi, considerasse quel momento di benessere reale assai più importante d'interi decenni di ricordi.

Venn procedeva in mezzo a queste creature alate verso la casa dell'isolata bellezza che viveva tra loro disprezzandole. Era domenica; ma siccome a Egdon si andava in chiesa solo in circostanze eccezionali, per i matrimoni e le sepolture, l'atmosfera era quella di tutti i giorni. Aveva deciso di chiedere audacemente un colloquio alla signorina Vye: di attaccare la sua posizione come rivale di Thomasin con l'astuzia o con la forza, dimostrando così, in modo anche troppo evidente, quella mancanza di cavalleria caratteristica d'un certo tipo d'uomini accorti, che vanno dai contadini ai re. Il grande Federico in guerra contro la bella Arciduchessa, Napoleone nel suo rifiuto di venire a patti con

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la bella Regina di Prussia, non erano più indifferenti al fascino del sesso di quanto lo fosse, a modo suo, il venditore d'ocra nella sua volontà di sconfiggere Eustacia.

Per gli abitanti di rango inferiore era sempre più o meno un'impresa presentarsi alla casa del capitano. Anche se in certi momenti non sdegnava far due chiacchiere, il suo umore era volubile e capriccioso, e nessuno poteva prevedere come si sarebbe comportato in un determinato momento. Eustacia era riservata e viveva molto da sè. Raramente qualcuno entrava in casa loro all'infuori della figlia d'uno dei contadini che veniva per i servizi e d'un ragazzo che accudiva all'orto e alla stalla. I Vye erano le uniche persone di qualità della zona oltre i Yeobright e, benchè fossero tutt'altro che ricchi, non sentivano affatto quel dovere di comportarsi amichevolmente verso ogni essere umano, uccello o animale, che provavano invece i loro vicini più poveri.

Quando il venditore d'ocra entrò nel giardino, il vecchio stava guardando col cannocchiale verso la macchia di mare azzurro in lontananza, e le piccole ancore scolpite sui suoi bottoni mandavano riflessi al sole. Riconobbe in Venn l'uomo incontrato sulla via maestra, ma non fece alcun riferimento alla circostanza, limitandosi a dire: «Ah, eccoci qui, amico... Vuole un bicchierino di grappa?»

Venn rifiutò l'offerta dicendo ch'era troppo presto, e chiese di poter parlare con la signorina Vye. Il capitano lo squadrò attentamente dal berretto al panciotto e dal panciotto ai gambali, poi lo invitò a entrare.

Non fu possibile trovare la signorina Vye; e Venn attese pazientemente sul sedile presso la finestra, con le mani abbandonate tra le ginocchia aperte e il berretto ciondolante tra le mani.

«Non è ancora alzata la signorina?» chiese a un tratto alla domestica.«Non ancora. Vi par questa l'ora di far visita?»«Allora andrò a far due passi fuori,» disse Venn. «Quando sia disposta a vedermi, chiamatemi, per favore, e

verrò subito.»Uscito di casa, il venditore d'ocra si mise a vagare sul colle vicino. Passò un bel po' di tempo senza che

nessuno lo chiamasse. Incominciava a pensare che il suo progetto fosse ormai fallito quando vide Eustacia venire senza fretta verso di lui. La novità rappresentata dall'incontro con un tipo così singolare era stata stimolo sufficiente a farla uscir di casa.

Dopo aver gettato un'occhiata a Diggory Venn, la ragazza ebbe l'impressione che l'uomo fosse venuto per uno scopo piuttosto insolito e che non fosse così rozzo e insignificante come l'aveva dapprima creduto; perché, vedendola arrivare, non dimostrò agitazione alcuna, nè mosse i piedi con imbarazzo, nè fece nessuno di quei piccoli gesti che sfuggono a un villico ingenuo alla presenza d'una donna non comune. Quand'egli le chiese se poteva avere un colloquio con lei, rispose: «Sì, accompagnatemi» e continuò a camminare.

Dopo un brevissimo tratto di strada, l'accorto venditore d'ocra si rese conto che forse sarebbe stato più saggio da parte sua dimostrarsi un po' meno indifferente e imperturbabile, e decise di por rimedio all'errore commesso non appena se ne fosse presentata la possibilità.

«Perdoni il mio ardire, signorina, se ho osato venir da lei per riferirle alcune strane voci che ho sentito circolare a proposito di quell'uomo.»

«Quale uomo?»Egli fece coi gomito un gesto verso sud-est, in direzione dell'osteria della «Buona Donna».Eustacia si volse vivacemente verso di lui. «Volete alludere al signor Wildeve?»«Sì, ha messo nei guai una famiglia, e io sono venuto a dirglielo, sperando che lei possa porci rimedio.»«Io? E di che mai si tratta?»«Glielo dico in tutta segretezza. Si teme che, in definitiva, il signor Wildeve finisca col non sposare più

Thomasin Yeobright.»Benchè intimamente colpita dalle sue parole, Eustacia seppe mostrarsi all'altezza della parte che le era imposta.

Rispose freddamente: «La cosa non m'interessa, e non capisco che cosa vogliate da me.»«Voglia ascoltarmi ancora, signorina.»«È inutile. Quel matrimonio non m'interessa e, quand'anche m'interessasse, non vedo come potrei indurre il

signor Wildeve a fare quel che gli dico.»«Credo che lei potrebbe farlo, invece, essendo l'unica vera dama che vive nella brughiera,» disse Venn, con

sottile e indiretta lusinga. «Ecco come stanno le cose. Il signor Wildeve sposerebbe subito Thomasin, e tutto andrebbe a posto, se non ci fosse di mezzo un'altra donna. Credo che sia quella con cui se l'intende, e che di quando in quando incontra nella brughiera. Egli non la sposerà mai, ma può darsi che, per causa sua, non sposi neanche la donna che lo ama teneramente. Se lei, signorina, che ha tanto prestigio su noi uomini, insistesse perché egli si comportasse nei riguardi della sua giovane vicina Thomasin in modo onorevole, rinunciando all'altra donna, Wildeve forse lo farebbe, salvandola così da una sicura infelicità.»

«Ma guarda!» disse Eustacia, con un riso che le fece schiudere le labbra, così che il sole le illuminò l'interno della bocca, accendendolo d'un vivo color scarlatto come quello d'un tulipano. «Voi esagerate davvero il mio potere sugli uomini, brav'uomo. Se avessi un potere simile, non tarderei a servirmene a pro di chi mi abbia fatto veramente del bene: e, a quanto io so, Thomasin Yeobright non ha nei miei riguardi nessun merito particolare.»

«Ma è possibile che non sappia... quanta considerazione ha sempre avuto per lei?»«No, non l'ho mai saputo. Abitiamo a due sole miglia di distanza, ma in tutta la mia vita non ho mai messo

piede in casa di sua zia.»

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Le sue parole e il suo tono scostante fecero capire a Venn che finora non era riuscito a far breccia. Sospirando nell'intimo, si vide costretto a sfoderare il suo secondo argomento.

«A parte questo, le assicuro, signorina Vye, che lei può fare un gran bene a quella ragazza.»Ella scosse il capo.«La sua bellezza è legge per il signor Wildeve. È legge per tutti gli uomini che la vedono: "Ecco che viene

quella splendida signorina... come si chiama? Com'è bella!" Più bella di Thomasin Yeobright,» insistè Venn, dicendo tra sè: «Dio mi perdoni questa menzogna!» E più bella era infatti, anche se lui la pensava diversamente. C'era, nella bellezza di Eustacia, un potere tenebroso cui l'occhio di Venn non era avvezzo. In panni invernali, come in quel momento, faceva pensare a una cinciarella che, vista in circostanze usuali, ha un colore neutro e insignificante, ma, esposta a una luce viva, brilla d'abbagliante splendore.

Eustacia non potè fare a meno di rispondere, pur con la coscienza che, così facendo, metteva a repentaglio la propria dignità. «Sono molte le donne più belle di Thomasin,» disse; «e la cosa non ha quindi molta importanza.»

Pur dolorosamente ferito, il giovanotto continuò: «È un uomo che sa apprezzare la bellezza femminile, e se lei volesse, potrebbe fargli fare tutto quel che vuole.»

«Come posso io, stando così lontana, ottenere ciò che non ha saputo ottenere la sua fidanzata?»A questo punto il venditore d'ocra si girò di colpo. «Signorina Vye!» disse.«Osereste forse dubitare di quel che dico?» chiese Eustacia con voce debole, quasi ansando. «Come vi

permettete di parlarmi con questo tono?» s'affrettò ad aggiungere con un sorriso forzato d'alterezza. «È una vera sfacciataggine da parte vostra!»

«Signorina Vye, perché vuol farmi credere che non conosce quell'uomo?... Ma il perché io lo so: le è troppo inferiore e lei se ne vergogna.»

«Sbagliate. Che cosa volete dire con questo?»Il venditore d'ocra aveva ormai deciso di giocare la carta della verità. «Ero al Rainbarrow l'altra sera quando vi

siete incontrati e ho sentito quel che avete detto,» disse. «La donna che s'interpone tra Wildeve e Thomasin è lei.»Sconcertata da questo improvviso colpo di scena, ella si sentì, come la moglie di Candaule, bruciare per

l'umiliazione. Ormai non riusciva a frenare il tremito delle labbra e l'ansito del respiro.«Non mi sento bene,» disse in fretta. «O meglio... non sono disposta ad ascoltarvi oltre. Lasciatemi, vi prego.»«E invece debbo parlare, signorina Vye, anche a costo di farla soffrire. Ciò che debbo dirle è questo.

Comunque sia andata, di chiunque sia la colpa, Thomasin si trova oggi in una situazione assai peggiore della sua. E credo che in fondo sarebbe un bene anche per lei rinunciare al signor Wildeve: non credo che lei abbia veramente intenzione di sposarlo. Mentre per Thomasin è diverso: tutti daranno la colpa a lei, se perde il fidanzato. Ecco perché le chiedo di lasciare Wildeve: non perché il diritto di Thomasin sia più valido, ma perché, andando a monte il matrimonio, ella verrebbe a trovarsi in una posizione incresciosa.»

«Ma io non voglio... non voglio!» disse Eustacia con impeto, dimenticando l'atteggiamento tenuto sino allora con quell'uomo da lei considerato suo inferiore. «Chi è stata trattata peggio di me? Andava tutto così bene... non voglio lasciarmi battere... da una donnucola come quella. Potete difenderla finchè volete, ma non è forse stata ella stessa la causa della sua disgrazia? Non posso forse dimostrare la mia simpatia a una persona che mi piace senza chiedere prima il permesso al contadiname vicino? È venuta a intromettersi tra me e l'uomo che mi piace, e ora che è giustamente punita manda voi a supplicarmi!»

«Veramente,» disse Venn con tono serio, «Thomasin non ne sa assolutamente nulla. Sono io che le chiedo di rinunciare a lui. Sarà meglio per Thomasin e anche per voi due. Tutti la criticheranno quando si saprà dei suoi incontri segreti con un uomo che s'è comportato male con un'altra donna.»

«Ma io non le ho fatto niente di male: Wildeve era mio prima d'essere suo!» tornato a me... perché... perché mi ama più di lei!» gridò Eustacia con passione. «Ma io mi abbasso a parlar con voi in questo modo. Che cosa mi fate mai dire!»

«So mantenere il segreto,» disse Venn con dolcezza. «Non abbia paura. Sono l'unico che sa dei suoi incontri con Wildeve. Ho soltanto ancora una cosa da dirle, poi me ne andrò. L'ho sentita dichiarare che odia vivere qui... che la brughiera di Egdon è come un carcere per lei.»

«L'ho detto infatti. So benissimo che il paesaggio ha una certa bellezza; ma per me è come una prigione. E anche la presenza qui dell'uomo di cui voi parlate non mi libera da questo senso d'oppressione. Mai gli avrei dato retta del resto, se ci fosse stato qualcuno meglio di lui da queste parti.»

A queste parole di Eustacia, il venditore d'ocra sentì rinascere in sè una certa speranza: chissà che il suo terzo tentativo riuscisse. «Ora che ci siamo un po' chiarite le idee, signorina, le farò una proposta. Da quando esercito questo mestiere, viaggio molto, come lei sa.»

Ella approvò col capo e si girò di colpo posando gli occhi sulla valle piena di nebbia che s'apriva sotto di loro.«E nel corso dei miei viaggi vado spesso vicino a Budmouth. È un posto meraviglioso, Budmouth: un grande

arco d'acqua di mare scintillante, bande musicali che suonano continuamente; ufficiali di marina e di terra che passeggiano tra la gente; e su dieci persone, nove almeno sono innamorate.»

«Lo so,» diss'ella con sdegno. «Conosco Budmouth meglio di voi. Ci sono nata. Mio padre, che veniva dall'estero, dirigeva la banda musicale. Ah, la mia Budmouth! Come vorrei esser ancora là!»

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Il venditore d'ocra rimase sorpreso nel vedere come da un torbido fuoco potesse di colpo sprigionarsi una fiammata. «Se lei fosse là, signorina,» disse, «dopo una settimana non penserebbe a Wildeve più che a quei due cavallini che vede laggiù. E io potrei farcela andare.»

«E come?» chiese Eustacia, con una luce d'intensa curiosità negli occhi profondi.«Mio zio è da venticinque anni amministratore d'una ricca vedova che ha una bella casa di fronte al mare. Ora

è diventata vecchia e un po' zoppa e cerca una damigella di compagnia che conversi con lei e le legga qualcosa, ma non riesce a trovarne una di suo gusto, pur avendo messo l'avviso sui giornali, e avendone provate una mezza dozzina. Sarebbe felice di avere una persona come lei, e mio zio faciliterebbe in tutti i modi la cosa.»

«Ma dovrei lavorare?»«No, non si tratta di vero lavoro; dovrebbe far qualcosa, naturalmente, leggere e cose del genere. Potrebbe

incominciare a Capodanno.»«Lo sapevo che bisognava lavorare,» diss'ella, con tono nuovamente languido e depresso.«Dovrebbe soltanto intrattenerla; ma se gli oziosi possono chiamar lavoro un'occupazione simile, quelli che

lavorano la chiamerebbero divertimento. Pensi alla compagnia che avrebbe, alla vita che potrebbe condurre, signorina: all'allegria delle feste a cui potrebbe intervenire e al gentiluomo che finirebbe con lo sposare. Mio zio è appunto incaricato di cercare una damigella di tutta fiducia che venga dalla campagna, perché le ragazze di città alla signora non piacciono.»

«Dovrei faticare per divertirla! Non voglio. Anche se darei metà della mia vita, ve l'assicuro, per poter abitare in una gaia città e vivere da signora, a modo mio!»

«Mi aiuti a rendere felice Thomasin, signorina, e farò per lei tutto quanto posso.»«E che cosa credete di poter fare?» disse Eustacia con orgoglio. «Che cosa può offrirmi un uomo come voi?...

Via, è ora che rientri. Non ho altro da dirvi. E voi? Non avete da dar la biada ai cavalli o da rammendare i sacchi dell'ocra o da cercar clienti per la vostra merce? Perché state qui a perder tempo?»

Venn non parlò più. Tenendo le mani dietro la schiena, si voltò per nascondere la delusione che s'era dipinta sul suo volto. In verità la chiarezza e la forza mentale che aveva sentito in questa giovane solitaria gli avevano fin dal primo momento fatto presagire il peggio. Aveva creduto di trovare in lei - così giovane e in posizione svantaggiosa - una semplicità su cui le sue parole avrebbero potuto avere una certa presa. Ma le lusinghe che avrebbero incantato ragazze di campagna più semplici, non avevano fatto che allontanare Eustacia. In genere, il solo nome di Budmouth esercitava sugli abitanti di Egdon un fascino invincibile. Porto della Marina Regia e cittadina balneare, il luogo evocava nella mente degli abitanti della brughiera un misto incantatore e ineffabile della maestà e del traffico di Cartagine, del lusso di Taranto e della serena bellezza di Baia. Neanche Eustacia sfuggiva al suo fascino: non voleva però, per andarci, rinunciare alla propria indipendenza.

Quando Diggory Venn si fu allontanato, Eustacia andò in cima al terrapieno e guardò, dalla parte del sole, la selvaggia e pittoresca vallata in cui sorgeva la casa di Wildeve. La nebbia s'era ormai venuta dissipando e si potevano scorgere gli alberi e gli arbusti intorno alla sua casa, come se emergessero da una vasta ragnatela bianca che li riparava dalla luce del giorno. Evidentemente i pensieri della ragazza tendevano in quella direzione: in modo indefinito e capriccioso, girando intorno a lui e allontanandosene, come l'unico oggetto nel suo orizzonte su cui potessero cristallizzarsi i suoi sogni. L'uomo che aveva incominciato semplicemente col divertirla, e che non sarebbe mai stato per lei altro che un capriccio se non avesse avuto l'abilità d'abbandonarla al momento giusto, era di nuovo al centro dei suoi desideri. Smettendo d'amarla, aveva dato nuova vita all'amore di lei. Il sentimento provato prima capricciosamente da Eustacia per Wildeve, s'era ingigantito, straripando, urtando contro la diga rappresentata da Thomasin. S'era divertita spesso a tenerlo a bada, per tormentarlo, ma prima che un'altra gli avesse dimostrato la propria simpatia. Una goccia d'ironia rende spesso più piccante una situazione banale.

«Non rinuncerò a lui... mai!» disse con impeto.L'accenno fatto dal venditore d'ocra alle possibili critiche sulla sua condotta non aveva per nulla spaventato

Eustacia. La disapprovazione altrui non la turbava, così come la mancanza di biancheria non turberebbe una dea. Questa sua indifferenza non nasceva da un'intima spregiudicatezza, ma dal fatto che viveva troppo isolata per sentire il peso dell'opinione pubblica. Nel cuore del deserto, Zenobia non poteva preoccuparsi di quel che si diceva di lei a Roma. Quanto a etica sociale, Eustacia era quasi in uno stato selvaggio, benchè la sua sensibilità fosse quella di un'epicurea. Era giunta ai segreti recessi della sensualità senz'aver dovuto ancora sfidare le convenzioni.

DISONESTÀ DI UNA DONNA ONESTA

Venn s'allontanò da Eustacia oppresso dai più gravi dubbi circa la futura felicità di Thomasin; ma capì che poteva tentare ancora un'altra via, quando vide, mentre tornava verso il suo carrozzone, la figura della signora Yeobright, diretta con passo lento verso la «Buona Donna». Le mosse incontro; e, dal suo volto ansioso, comprese che la visita ch'ella si preparava a fare a Wildeve aveva press'a poco lo stesso scopo di quella da lui fatta poco prima a Eustacia.

Fu ella stessa a dirglielo, del resto. «Temo, signora Yeobright,» osservò allora il venditore d'ocra, «che il suo sia un viaggio inutile e che potrebbe risparmiarselo.»

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«Quasi lo penso anch'io,» diss'ella. «Ma non vedo che altro si possa fare se non cercar di convincerlo.»«Mi ascolti un momento, la prego,» disse Venn con fermezza. «Il signor Wildeve non è l'unico uomo che abbia

chiesto a Thomasin di sposarla; e perché poi non potrebbe sposare un altro? Io, per esempio, sarei felice di diventare il marito di sua nipote, signora, e già gliel'avevo proposto due anni fa. Ora lo sa: finora non l'avevo detto a nessuno.»

La signora Yeobright era un tipo abbastanza controllato e discreto, ma i suoi occhi si posarono involontariamente sulla bizzarra figura del giovane.

«L'aspetto esteriore non è tutto,» disse il venditore d'ocra, notando il suo sguardo. «Ci sono mestieri che rendono meno del mio, se vogliamo parlar di denaro; e forse la mia situazione finanziaria non è peggiore di quello di Wildeve: nessuno è povero come un professionista fallito. E se non le piace il mio colore... be', non sono nato così rosso, dopo tutto; mi son messo a fare questo mestiere per capriccio; e col tempo potrei benissimo dedicarmi a un altro lavoro.»

«Ti sono molto grata del tuo interesse per mia nipote; ma temo che ci siano obiezioni d'altro genere. E poi Thomasin è innamorata di Wildeve.»

«Proprio per questo ho fatto stamane una cosa che altrimenti non avrei fatto mai.»«E se non fosse per questo, non ci sarebbe di che prendersda troppo e non mi vedresti ora andare alla locanda.

Ma che cosa ti ha risposto Thomasin quando le hai parlato dei tuoi sentimenti?»«Mi ha scritto, tra l'altro, che lei sarebbe stata contraria.»«È stata giudiziosa, in un certo senso. Ma non devi avertene a male: è la verità. Sei stato molto buono con

Thomasin, non possiamo dimenticarlo. Ma, siccome è stata lei a non voler diventare tua moglie, mi pare che il mio desiderio e la mia opinione non c'entrino.»

«Certo. Ma la situazione ora è diversa, signora. In questo momento Thomasin è angosciata, e ho pensato che se lei volesse parlarle di me, e si dimostrasse favorevole, potrebbe forse lasciarsi convincere, e liberarsi da questo Wildeve che la tiene a bada, senza sapere se la vuol veramente sposare o no.»

La signora Yeobright scosse il capo. «Thomasin pensa, e io con lei, che ormai deve sposare Wildeve, se non vuol essere disonorata agli occhi del mondo. Se si sposano subito, tutti penseranno ch'è veramente stato un semplice disguido a far rimandare il matrimonio. Altrimenti il fatto si rifletterà sulla sua reputazione... comunque la renderà ridicola. Insomma, se appena è possibile, debbono sposarsi.»

«Anch'io lo pensavo, sino a mezz'ora fa. Ma perché poi l'esser stata alcune ore con lui ad Anglebury dovrebbe danneggiare la reputazione di Thomasin? Chi conosca la sua serietà stimerebbe ingiusto qualsiasi sospetto. Questa mattina ho fatto quel ch'era in me per facilitare questo matrimonio con Wildeve - sì, signora, -convinto di doverlo fare, dato ch'ella è innamorata di lui. Ma ora mi sto chiedendo se ho fatto bene, dopo tutto. Comunque, il tentativo non è riuscito. E ora le ripeto la mia proposta.»

Parve che la signora Yeobright non volesse più parlare dell'argomento. «Ora devo andare,» disse; «e non vedo che altro si possa fare.»

S'allontanò. Ma benchè non distogliesse la zia di Thomasin dal colloquio che si proponeva, questa conversazione glielo fece affrontare e impostare in modo molto diverso. Ed ella ringraziò Dio in cuor suo per l'arma che il venditore d'ocra le aveva messo in mano.

Quando giunse alla locanda, Wildeve era in casa. La introdusse senza parlare nel salotto, e chiuse la porta. La signora Yeobright incominciò:

«Ho creduto mio dovere venire a parlarle. Mi è stata fatta oggi una proposta che in verità non m'aspettavo e che riguarda da vicino Thomasin. Ecco perché ho preferito parlarne prima con lei.»

«Sì? E di che si tratta?» chiese l'uomo con tono di garbata indifferenza.«Dell'avvenire di Thomasin, naturalmente. Lei forse non lo immagina, ma c'è un altro che vorrebbe sposarla.

Finora io non l'ho incoraggiato, ma ora non posso, in coscienza, continuare a respingerlo. Non che voglia metter lei alle strette; ma devo essere onesta con tutti e due.»

«E chi è?» chiese Wildeve, sorpreso.«Uno che già l'amava quando Thomasin non era ancora impegnata con lei. Le ha chiesto di sposarlo due anni

fa; e lei ha detto di no.»«E allora?»«L'ha rivista recentemente e mi ha chiesto il permesso di farle la corte. E può darsi che oggi Thomasin non gli

dica più di no.»«Come si chiama?»Questo la signora Yeobright non volle dirglielo. «È un uomo per cui Thomasin ha della simpatia e della

stima,» disse. «E chissà che non accetti oggi quello che allora ha respinto. La situazione in cui è venuta a trovarsi senza sua colpa è sgradevole e penosa.»

«Non mi aveva mai parlato di questo corteggiatore.»«Anche la donna più candida non è così sciocca da scoprire tutte le sue carte.»«E allora se proprio ci tiene se lo sposi.»«A parole tutto sembra facile, ma in pratica le cose si complicano. È lui soprattutto che la vuole; e prima

d'incoraggiarlo voglio essere ben sicura che lei non farà nulla per impedire questa soluzione che mi sembra oggi la

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meno peggio. Non vorrei che, quando fossero fidanzati e sul punto di sposarsi, lei tirasse fuori qualche pretesa. Forse Thomasin non si lascerebbe convincere, ma comunque ne soffrirebbe.»

«Non farei mai una cosa simile,» disse Wildeve. «Ma per ora non sono neanche fidanzati. È sicura che Thomasin gli dica di sì?»

«Non lo so; ma se insiste penso che finirà coll'acconsentire. Credo d'avere una certa influenza su di lei ed è una ragazza docile e arrendevole: farò di tutto per presentarle il giovane nella luce migliore.»

«E di farmi apparire ai suoi occhi nella luce peggiore.»«Non vorrà pretendere che faccia le sue lodi,» diss'ella con tono secco. «Se mi do tanto da fare è perché vedo

Thomasin mortificata e infelice. Può darsi che accetti questo nuovo pretendente per rifarsi dell'umiliazione che lei le ha inflitto: l'orgoglio femminile gioca molto in questi casi. So benissimo che non sarà facile convincerla, ma io mi sento di farlo se soltanto lei mi promette una cosa indispensabile: dichiararle in modo esplicito che non intende più sposarla. Così, magari per dispetto, acconsentirà a sposare l'altro.»

«Non me la sento di farle una promessa simile in questo momento, signora Yeobright. Non posso decidere di colpo.»

«Ma così sconvolge i miei piani. Le sembra giusto rifiutarmi il suo aiuto, quando le chiedo semplicemente di dichiarare che non vuole aver più nulla a che fare con noi?»

Wildeve riflettè un momento: era evidente che si sentiva a disagio. Poi disse: «Confesso che non m'aspettavo da lei una simile richiesta. Rinuncerò a Thomasin, s'ella veramente lo vuole e se è necessario per il suo bene. Ma avrei ancora intenzione di sposarla.

«Non è la prima volta che lo dice.»«Via, signora Yeobright, non mettiamoci a litigare adesso. Mi lasci un po' di tempo per pensarci. Non voglio

essere in nessun modo d'ostacolo alla felicità di Thomasin; ma avrei voluto saperlo prima. Le scriverò o verrò a trovarla tra due o tre giorni. Basta così?»

«Sì,» ella rispose, «purchè mi prometta di non comunicare intanto con Thomasin senza ch'io lo sappia.»«Lo prometto,» disse Wildeve. Così il colloquio ebbe termine, e la signora Yeobright se ne tornò a casa

com'era venuta.Ma la semplice strategia da lei impiegata quel giorno doveva, come spesso accade, dare risultati diversi da

quelli che s'aspettava. Fu infatti in seguito alla sua visita che quella sera stessa, appena fu scuro, Wildeve si diresse verso la casa di Eustacia a Mistover.

A quell'ora la casa isolata aveva le imposte chiuse e le persiane abbassate a difesa contro il freddo e il buio. Wildeve seguì la tattica di gettare una manciata di ghiaia nella fessura delle imposte esterne, in modo che cadesse con un leggero fruscio, simile a quello d'un topo, tra l'imposta e il vetro. Pensava così d'attirare l'attenzione di Eustacia, senza suscitare i sospetti del nonno.

«Ho sentito; aspettami,» disse a bassa voce Eustacia dall'interno; evidentemente era sola.Attese come al solito fuori, passeggiando nel recinto e soffermandosi sulle rive dello stagno; non era mai stato

invitato in casa dalla sua altera anche se accondiscendente signora. Ella non dimostrò nessuna fretta di uscire. Passò un bel po' di tempo e già Wildeve incominciava a impazientirsi. Dopo una ventina di minuti, Eustacia apparve all'angolo del recinto, e mosse verso di lui con passo tranquillo come se uscisse a prender aria.

«Non mi avresti fatto aspettare tanto, se tu avessi saputo perché sono venuto,» diss'egli con amarezza. «Ma son contento lo stesso d'averti aspettata.»

«C'è qualcosa che non va?» disse Eustacia. «Ti vedo piuttosto triste. Ma neanch'io sono molto allegra, del resto.»

«Niente di speciale,» diss'egli. «Ma siamo arrivati a un punto in cui devo prendere una decisione.»«Che decisione?» chiese la ragazza con interesse.«Hai già dimenticato quel che ti ho proposto l'altra sera? Quando ti ho offerto di portarti con me via di qui,

all'estero?»«Non ho dimenticato. Ma perché vieni così all'improvviso a ripetere la tua richiesta, mentre mi avevi promesso

di aspettare sino a sabato prossimo? Volevo pensarci su con comodo.»«Sì, ma ora la situazione è cambiata.»«Spiegati.»«No, perché capisco che andresti in collera.»«Ma debbo pur sapere la ragione della tua fretta.»«È la passione che mi brucia, mia cara Eustacia. E tutto è risolto ormai.»«E allora perché hai l'aria così preoccupata?»«Non sapevo neanche d'averla. Tutto è a posto. La signora Yeobright... ma questo non c'entra.»«Ah, me l'immaginavo che doveva entrarci in qualche modo! Avanti, parla, non mi piacciono le reticenze.»«No... non c'entra affatto. Dice soltanto che debbo rinunciare a Thomasin perché c'è un altro che vuol sposarla.

E ora che non ha più bisogno di me, si dà un mucchio di arie!» disse Wildeve, rivelando, nonostante tutto, una certa irritazione.

Eustacia tacque a lungo, riflettendo. «Sei come un impiegato i cui servizi non siano più richiesti,» disse poi, con tono mutato.

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«Già. Thomasin però non l'ho ancora vista.»«E questo ti dispiace. Non tentar di negarlo, Damon. Ti secca questa ripulsa da parte di chi meno te

l'aspettavi.»«E allora?»«E allora vieni da me, perché non puoi più avere lei. Ora capisco perché dici che la situazione è mutata. Hai

bisogno di me per consolarti dello smacco.»«Non dimenticare che questa proposta te l'ho fatta già l'altro giorno.»Ma Eustacia continuava a tacere, come immersa in una specie di travaglio interiore. Quale bizzarro sentimento

si veniva mai svegliando dentro di lei? Possibile che il suo interesse per Wildeve fosse a tal punto fondato sul gusto dell'antagonismo che egli perdeva per lei ogni fascino e ogni attrattiva non appena non era più desiderato dalla rivale? Ormai era sicura di lui. Thomasin non voleva più sposarlo. Era una vittoria, ma che vittoria umiliante! Sapeva che Wildeve amava di più lei; ma - quasi non osava confessare neanche a se stessa un pensiero così perverso - che valore poteva avere un uomo non apprezzato da una donna a lei tanto inferiore? Quel sentimento che, più o meno nascosto, esiste in ogni essere umano - e che l'induce a non desiderare più ciò che non è desiderato dagli altri - era straordinariamente vivo nel cuore ipersensibile ed epicureo di Eustacia. La propria superiorità sociale su Wildeve - di cui finora non aveva voluto tener conto - le s'imponeva con sgradevole insistenza; per la prima volta aveva la sensazione d'essersi abbassata amandolo.

«Allora, siamo d'accordo, cara?» disse Wildeve.«Se potessimo andare a Londra, o anche solo a Budmouth, invece che in America,» mormorò languidamente.

«Bene, ci penserò. Non posso decidere di colpo una cosa tanto importante. Vorrei odiare meno la brughiera... o amarti di più.»

«Sai essere sincera fino a far male. Un mese fa mi amavi tanto da esser disposta a venir con me in qualunque posto.»

«E tu allora amavi Thomasin.»«Forse in questo hai ragione,» ribattè Wildeve, con tono quasi beffardo. «Ma non la odio neanche ora.»«Certo. Ora però non puoi più averla.»«Via, non stuzzicarmi, Eustacia... non litighiamo. Se non accetti, e al più presto, di venir via con me, me ne

andrò da solo.»«Oppure cercherai di riconquistare Thomasin. Non è strano, Damon, pensare che avresti sposato

indifferentemente me o lei, e che ora sei qui da me soltanto perché io... sono più facile da avere? Sì... sì... è proprio così. Una volta sarei andata su tutte le furie con chi avesse osato trattarmi in questo modo: ma tutto è finito ormai.»

«Dimmi che verrai, cara. Parti con me in segreto per Bristol, ci sposiamo e ci lasciamo dietro per sempre questa miserabile Inghilterra.»

«Son pronta a fare quasi qualsiasi cosa per andarmene di qui,» diss'ella con tono stanco, «ma non ho voglia di partire con te. Dammi un po' di tempo per decidere.»

«Io ho già deciso,» disse Wildeve. «Posso aspettare tutt'al più una settimana.»«Un po' di più, così potrò darti una risposta definitiva. Debbo pensare a tante cose. Chi l'avrebbe mai detto che

Thomasin volesse liberarsi di te? Non riesco a togliermelo di mente.»«Non pensarci. Rimandiamo a lunedì prossimo. Sarò qui esattamente alla stessa ora.»«Troviamoci al Rainbarrow,» diss'ella. «Qui è troppo vicino a casa; potrebbe uscire il nonno.»«Bene, cara. Lunedì prossimo a quest'ora sarò al Rainbarrow. Addio, per ora.»«Addio. No, no, non toccarmi adesso. Una stretta di mano è anche troppo, finchè non abbia deciso.»Eustacia osservò la figura dell'uomo perdersi nell'ombra finchè non scomparve. Si portò la mano alla fronte ed

esalò un greve sospiro, poi le sue floride e romantiche labbra si aprirono a un banale sbadiglio. Subito provò un senso di collera per aver rivelato anche solo a se stessa il possibile attenuarsi e svanire della sua passione. Non poteva ammettere di colpo d'aver sopravvalutato Wildeve: riconoscere ora la sua mediocrità equivaleva ad ammettere d'esser stata pazza sino a questo momento. E lo scoprire in sè un atteggiamento troppo simile a quello del cane nella mangiatoia, le dava un senso di vergogna e di disagio.

La strategia della signora Yeobright ebbe un risultato davvero notevole, anche se non nel senso da lei sperato. Aveva influito su Wildeve, ma più ancora veniva ora influendo su Eustacia. L'innamorato non era più per lei un uomo affascinante che varie donne si disputavano, costringendo così anche lei a lottare per conservarlo, ma qualcosa di superfluo e privo di valore.

Rientrò in casa in quel particolare statò d'animo d'infelicità che non è vero dolore e che si prova di solito ai primi barlumi della ragione che ritorna sul finire d'un amore sconsiderato e non destinato a durare. Aver coscienza che la fine del sogno si sta avvicinando, ma non è ancora arrivata, è uno dei momenti al tempo stesso più strani e penosi in tutta la storia d'una passione.

Suo nonno, appena rientrato, era intento a travasare alcune grosse fiasche di rum appena arrivate nelle bottiglie quadre del suo stipo quadrato. Era sua abitudine, quando aveva terminato la provvista, andare a rifornirsi alla «Buona Donna» e là, in piedi, voltando le spalle al camino, col bicchiere dell'acquavite in mano, raccontava storie straordinarie: dicom'era vissuto per ben sette anni sotto la linea d'immersione della sua nave, e altre avventure marinare, agli abitanti

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locali, troppo ansiosi ch'egli offrisse loro un bicchier di birra per esprimere qualsiasi dubbio circa la veridicità dei suoi racconti.

Ne tornava appunto quella sera. «Hai saputo la notizia?» disse, senz'alzar gli occhi dalle bottiglie. «Ne parlavano alla "Buona donna", come se fosse un fatto d'importanza nazionale.»

«Non ho saputo nulla,» diss'ella.«Il giovane Yeobright - Clym, come lo chiamano - torna a casa la settimana prossima per trascorrere il Natale

con sua madre. Pare che si sia fatto un bel giovane. Te lo ricordi?»«Non l'ho mai visto in vita mia.»«Ah, è vero; se n'è andato prima che tu arrivassi. Io lo ricordo, invece: era un ragazzo che prometteva bene.»«E dov'è stato in tutti questi anni?»«In quel nido di tutte le pompe e di tutte le vanità che si chiama Parigi, credo.»

II • L'ARRIVO

SI PARLA DELL'ATTESO

In questa stagione dell'anno, e anche prima, poteva accadere che, nelle belle giornate, certe attività passeggere turbassero sia pure superficialmente la calma maestosa della brughiera di Egdon. Erano attività che, accanto a quelle d'una città, d'un villaggio o anche solo d'una fattoria, sarebbero apparse come un semplice fermentar d'acque stagnanti, un brivido di carne sonnolenta. Ma qui, lontano da ogni possibile confronto, nel chiuso delle immote colline, in cui il camminare stesso assumeva un che di rituale e pomposo, e dove ogni uomo poteva immaginare senza difficoltà d'essere Adamo, queste attività attiravano l'attenzione d'ogni uccello vicino, d'ogni rettile non ancora in letargo, e inducevano i conigli selvatici ad affacciarsi curiosi dalle montagnole di terra, tenendosi a distanza discreta.

Questa volta l'attività consisteva nel radunare e accatastare le fascine di rami di ginestra che Humphrey aveva tagliato per il capitano nel corso delle belle giornate precedenti. La catasta era all'estremità dell'edificio, e ci lavoravano Humphrey e Sam, sotto la direzione del vecchio.

Erano le tre d'un bel pomeriggio sereno; ma essendo ormai arrivato furtivamente il solstizio d'inverno, il sole basso dava l'impressione che fosse più tardi di quel ch'era in realtà: chè troppo invalsa era negli abitanti della brughiera l'abitudine di legger l'ora nel cielo. Da giorni e da settimane, l'alba s'era venuta spostando da nord-ovest a sud-est, e il tramonto s'era ritirato da nord-ovest a sud-ovest; ma Egdon quasi non se n'era accorta.

Eustacia si trovava nella stanza da pranzo, simile in realtà a una cucina, perché aveva il pavimento di pietra e un camino enorme. Non c'era vento e, nel silenzio della stanza, giunse al suo orecchio un suono di voci che conversavano. Si mise allora sotto la cappa e rimase in ascolto, guardando su nel vecchio camino irregolare, con le sue cavità scure, dove il fumo sembrava farsi strada a tentoni per raggiungere il quadratino di cielo in cima, da cui la luce del giorno si riversava illuminando, smorta e livida, i granelli di fuliggine di cui le pareti s'ammantavano, come s'ammanta d'alghe una fenditura negli scogli.

Ricordò che la catasta di fascine di ginestra non era lontana dal camino e che le voci dovevano essere quelle dei due che vi lavoravano.

Anche il nonno partecipava alla conversazione. «Quel ragazzo non avrebbe mai dovuto andarsene. Il mestiere di suo padre andava bene anche per lui, e poteva seguitarlo. Non mi piace questo gusto di cambiare. Mio padre era marinaio, e io sono stato marinaio, e lo sarebbe stato anche mio figlio, se ne avessi avuto uno.»

«È andato a vivere a Parigi,» disse Humphrey, «là dove dicono che tanti anni fa hanno tagliato la testa al re. La povera mamma me ne parlava spesso. "Hummy," diceva, "ero una ragazzina a quei tempi e me ne stavo in casa a stirare la cuffia della mamma, quando vidi entrare il parroco che disse: 'Hanno tagliato la testa al re, Jane; Dio solo sa che cosa capiterà adesso.'"»

«Non passò molto tempo che molti di noi lo seppero non meno di Lui,» disse il capitano, ridacchiando. «Proprio per quello son vissuto sette anni sotto il livello dell'acqua, quand'ero giovane... in quella maledetta infermeria della nave Trionfo, dove continuavano a portar giù uomini dal ponte con le braccia e le gambe a pezzi... E così il giovanotto s'è stabilito a Parigi. Mi dicono che fa l'amministratore d'un commerciante di pietre preziose, non è così?»

«Sì, signore, proprio così. Ha una posizione magnifica, a quanto ha detto sua madre... e lavora in un palazzo che sembra quello del re, tutto pieno di pietre preziose.»

«Si capisce che abbia voluto andarsene,» disse Sam.«Ha fatto benissimo,» disse Humphrey. È mille volte meglio vendere pietre preziose che star qui a faticare.»«Deve costar quattro soldi vivere in un posto simile.» «Certo, brav'uomo,» rispose il capitano. «Là si può

spendere un mucchio di denaro anche senz'essere un ghiottone o un ubriacone.» «Dicono anche che Clym Yeobright sia un uomo molto istruito e abbia delle idee un po' strane. Sarà perché è andato a scuola così presto, anche se la scuola era quello che era.» «Delle idee un po' strane, eh?» disse il vecchio. «Secondo me, oggi si va troppo a scuola! E non ne nascono che guai. Se passate davanti a una staccionata o a un muro, vedete subito qualche parolaccia scritta col gesso

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da uno di quei piccoli delinquenti di scolari; c'è di che far arrossire una donna che passa di lì. Se non avessero imparato, non potrebbero scrivere quelle sconcezze. I loro padri non sapevano scrivere, e non si stava peggio per questo.» «Ma via, capitano, forse che la signorina Eustacia non ha letto più libri di tutti gli abitanti di qui?» «Forse sarebbe meglio anche per lei se avesse letto meno sciocchezze romantiche,» disse il capitano brevemente; poi s'allontanò. «Stammi a sentire, Sam,» osservò Humphrey, quando il vecchio se ne fu andato; «non ti sembra che la signorina Eustacia e Clym Yeobright farebbero una magnifica coppia? Dio m'accechi se non è vero! Tutti e due di gusto difficile e istruiti e con tante idee... non si potrebbe immaginare una coppia più riuscita, neanche a farla apposta. Clym viene da una famiglia di condizione non inferiore alla sua. Suo padre era un agricoltore, è vero, ma sappiamo tutti che sua madre era una signora. Mi piacerebbe veder quei due marito e moglie.» «Farebbero una figura magnifica, a braccetto, vestiti a festa, o anche da lavoro, se lui è ancora quel bel giovane ch'era una volta.» «Certo, Humphrey. Mi piacerebbe proprio rivederlo, dopo tanti anni. Se sapessi quando arriva gli andrei volentieri incontro tre o quattro miglia, per aiutarlo a portare il bagaglio; anche se sarà molto cambiato dal ragazzo d'una volta. Dicono che parla francese con la stessa facilità con cui una ragazzina mangia un cestello di more; e noi che siamo sempre rimasti qui faremo una ben povera figura ai suoi occhi.»

«È vero che arriva a Budmouth col piroscafo?»«Sì; ma non so con che mezzo verrà qui da Budmouth.»«Sua cugina Thomasin è in un bel pasticcio. Mi chiedo perché un giovane assennato come Clym abbia scelto

per tornare a casa proprio un momento simile. Come ci siamo rimasti male quando abbiamo saputo che non s'erano sposati! E noi che eravamo andati a cantar per loro, credendoli ormai marito e moglie! Non vorrei che capitasse una cosa del genere a una della mia famiglia. C'è da diventar ridicoli tutti quanti!»

«Chissà quanto avrà sofferto, povera ragazza! E deve anche esser giù di salute, perché mi dicono che se ne sta sempre chiusa in casa. Non la si vede più correre su e giù per la brughiera col volto fresco e roseo, come un tempo.»

«Ho sentito dire che ora, anche se Wildeve la volesse, non accetterebbe più di sposarlo.»«Ah, sì? Questo non lo sapevo.»Mentre i due così conversavano lavorando, il volto di Eustacia s'era gradatamente chinato verso il focolare;

immersa in una profonda fantasticheria, batteva inconsciamente con la scarpetta le zolle di torba che bruciavano ai suoi piedi.

Il discorso l'aveva profondamente interessata. Un uomo giovane e intelligente stava per arrivare in quella brughiera solitaria dal luogo che presentava con essa il più vivo contrasto: Parigi. Era come se fosse stato mandato dal cielo. E, cosa anche più singolare, i contadini l'avevano istintivamente accoppiata a quest'uomo, come se fossero veramente fatti l'uno per l'altra.

La conversazione udita per caso in quei cinque minuti bastò a riempire di visioni il vuoto pomeriggio di Eustacia. Avvengono a volte così, insensibilmente, queste improvvise alternative a uno stato di vuoto mentale. Al mattino, Eustacia non avrebbe mai pensato che prima di sera il suo scolorito mondo interiore si sarebbe animato come una goccia d'acqua sotto il microscopio, benchè non fosse venuto nessuno a cercarla. Le parole di Sam e di Humphrey sull'affinità esistente tra lei e lo sconosciuto produssero sul suo animo l'effetto del preludio del Bardo invasore nel Castello dell'indolenza, destando miriadi di forme imprigionate dove prima regnava l'immobile vuoto.

Immersa in queste fantasticherie, non s'accorse che il tempo passava. Quando riprese coscienza del mondo esterno, era già scuro. La catasta di fascine era ormai terminata; gli uomini se n'erano andati. Eustacia salì al piano di sopra, pensando di uscire poi per la solita passeggiata; e decise di scegliere come meta Blooms-End, il villaggio in cui il giovane Yeobright era nato e dove attualmente viveva sua madre. Perché non andare da quella parte, dato che non aveva una meta precisa? A diciannove anni un sogno a occhi aperti può ben giustificare un pellegrinaggio. Arrivare sino alla casa dei Yeobright e guardarla dal di fuori le pareva una degna e utile impresa. Quella ch'era semplicemente un'oziosa passeggiata assumeva per lei un'importanza eccezionale.

Si mise il cappello e, uscendo, discese la collina dalla parte verso Blooms-End, e percorse un miglio e mezzo lungo la valle. Arrivò così a un punto in cui il fondo verde della valletta si veniva facendo più ampio e i cespugli di ginestra si ritiravano dal sentiero tracciato, diradandosi, a causa della fertilità del terreno, sino a non essere più che gruppetti isolati qua e là. Al di là del tappeto irregolare d'erba si levava una staccionata bianca che segnava il limite della brughiera in quel punto; sul buio del paesaggio circostante spiccava distintamente come una trina bianca su un abito di velluto. Dietro la staccionata c'era un giardinetto; dietro il giardino, una vecchia casa di forma irregolare, col tetto di paglia, che dava sulla brughiera e dominava tutta la valle. A questa dimora oscura e appartata stava per ritornare un uomo ch'era vissuto per anni nella capitale francese, centro della più turbinosa mondanità.

PREPARATIVI A BLOOMS-END

Per tutto il pomeriggio, l'imminente arrivo del giovane, oggetto delle riflessioni di Eustacia, aveva creato a Blooms-End un fervore di preparativi. Thomasin s'era lasciata convincere, un po' dalla zia e un po' dal suo affetto naturale per il cugino Clym, a darsi da fare con un'alacrità insolita in lei in quei giorni ch'erano i più dolorosi della sua vita. Mentre Eustacia ascoltava la conversazione dei due lavoranti, Thomasin si stava arrampicando in un solaio sopra la legnaia della zia, dove si tenevano in serbo le mele, per scegliervi le più belle e le più grosse per le prossime feste.

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Il solaio era illuminato da un lucernario semicircolare, attraverso cui passavano i colombi che nel solaio avevano fatto il nido; e da quella stessa apertura il sole mandava la sua luce gialla a illuminare la figura della ragazza che, in ginocchio, cacciava le braccia nude nella soffice felce scura, usata a Egdon, per la sua abbondanza, a ricoprire e imballare ogni genere di merce. I colombi le volavano intorno al capo senz'ombra di paura, e si vedeva la faccia di sua zia poco più in su del pavimento, illuminata da mobili chiazze di luce, mentre, a metà strada sulla scaletta a pioli, guardava nel solaio, dove non si sentiva abbastanza agile per salire.

«Prendi anche qualche mela di Normandia, Tamsin. Una volta gli piacevano quanto quelle color ruggine.»Voltandosi, Thomasin rimosse le felci da un altro angolo, dove altri frutti l'accolsero col loro profumo maturo.

Prima di raccoglierli, rimase ferma per un momento.«Che faccia avrà adesso il nostro caro Clym?» disse pensosa, guardando l'apertura da cui passavano i colombi;

il sole illuminava così direttamente i suoi capelli scuri e la sua pelle trasparente che pareva quasi la trapassasse coi suoi raggi.

«Se avesse potuto esserti caro in un'altra maniera,» disse la zia dalla scaletta «questo giorno avrebbe potuto essere quello d'un incontro felice.»

«Ma a che serve dir cose che non possono più essere, zia?»«Serve,» disse la zia con un certo calore. «Per render chiari gli errori passati e ammonire altre ragazze a

tenersene lontane.»Thomasin chinò di nuovo il capo verso le mele. «Eccomi diventata un esempio per gli altri, come i ladri e gli

ubriaconi e i giocatori,» disse a voce bassa. «A che mi sono mai ridotta! Ma è poi proprio giusto? Mi sembra assurdo! Perché tutti si comportano con me come se fossi colpevole? Perché non mi giudicano per quel che ho fatto? Guardami adesso, qui, mentre raccolgo le mele... ho forse l'aria d'una donna perduta?... Vorrei che tutte le donne oneste fossero come me!» aggiunse con vivacità.

«Gli estranei non possono vederti come ti vedo io,» disse la signora Yeobright; «giudicano da quanto han sentito dire. Comunque, è una situazione sgradevole, e la colpa in parte è mia.»

«È così facile sbagliare!» ribattè la ragazza. Le sue labbra tremavano e aveva gli occhi pieni di lagrime; a stento riusciva a distinguere le mele dalle felci mentre continuava alacremente nella sua ricerca per nascondere la propria debolezza.

«Non appena avrai finito con le mele,» disse la zia, scendendo dalla scaletta, «vieni giù anche tu; andremo in cerca di agrifoglio. Oggi non c'è nessuno fuori e non devi aver paura che ti vedano. Se non raccogliamo un po' di rami con le bacche, Clym penserà che non ci siamo date abbastanza da fare.»

Quand'ebbe finito con le mele, Thomasin discese; ed entrambe, varcata la staccionata bianca, s'inoltrarono nella brughiera. I colli aperti erano chiari e ariosi e l'atmosfera lontana appariva, come spesso accade nelle belle giornate invernali, in piani distinti di luce di tonalità diversa: i raggi che illuminavano le zone più vicine del paesaggio si sovrapponevano in modo visibile a quelli più lontani; uno strato di luce color zafferano si posava su uno strato d'azzurro profondo, mentre più oltre si stendevano zone ancora più remote avvolte in una gelida luce grigia.

Giunsero al punto dove cresceva l'agrifoglio, in una specie di valloncello conico, in cui le cime degli alberi si levavano di poco al disopra del livello generale del suolo. Thomasin salì all'incrocio dei rami d'urlo dei cespugli, come aveva fatto con maggiore allegria in molte altre occasioni, e con una piccola accetta che s'era portata incominciò a tagliare i rami coperti di rosse bacche.

«Bada a non graffiarti,» disse la zia, che sull'orlo del valloncello osservava la ragazza in movimento tra le lucide masse verdi e rosse dell'albero. «Verrai con me questa sera, quando gli vado incontro?»

«Mi piacerebbe. Altrimenti potrebbe pensare che l'abbia dimenticato,» disse Thomasin, gettandole un ramo. «Non che la cosa abbia molta importanza; ormai appartengo a un uomo, e non c'è altro da fare. Quell'uomo debbo sposarlo, non fosse che per orgoglio.»

«Ho paura che...» incominciò la signora Yeobright.«Tu forse pensi: "Come potrà questa povera ragazza... farsi sposare quando vuole?" Ma io ti dico, zia, che

Wildeve non è uno sciagurato, come io non sono una donna leggera; anche se qualche volta ha modi sgradevoli e non fa nulla per ingraziarsi la gente che non sia già disposta per conto proprio a trovarlo simpatico.»

«Thomasin,» disse la signora Yeobright con calma, fissando gli occhi sulla nipote, «credi forse d'ingannarmi difendendo in questo modo Wildeve?

«Che cosa vuoi dire?»«Da un pezzo ho capito che non lo ami più come prima: da quando ti sei accorta che non è l'essere superiore

che credevi; e ho l'impressione che con me tu reciti semplicemente una parte.»«Desiderava sposarmi, e anch'io desidero sposare lui.»«Vorrei che tu rispondessi a una domanda: se tra voi non fosse accaduto nulla, accetteresti ancora d'esser sua

moglie?»Thomasin fissò gli occhi sull'albero con aria turbata. «Zia, disse a un tratto, «credo d'aver il diritto di non

rispondere a questa domanda.»«Certo.»«E allora pensa quello che vuoi. Mai, nè con una parola nè con un gesto, ti ho fatto capire d'aver cambiato

opinione su di lui; nè lo farò mai. E lo sposerò.»

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«Bene, aspetta che venga a proportelo di nuovo. Può anche darsi che lo faccia, ora che sa... una cosa ch'io gli ho detto. Riconosco anch'io che sposarlo è per te la cosa migliore. Anche se gli son stata contraria un tempo, trovo che su questo punto hai perfettamente ragione. È l'unico modo per uscire da una posizione falsa e sgradevole.»

«Che cosa gli hai detto?»«Che lui rappresentava un ostacolo per un altro innamorato di te.»«Come?» disse Thomasin, sbarrando gli occhi per lo stupore.«Non preoccuparti: dovevo farlo. ora non posso dirti altro, ma quando tutto sarà risolto ti racconterò alla lettera

quel che gli ho detto e perché l'ho detto.»E per il momento Thomasin dovette accontentarsi della spiegazione.«Però non dirai nulla a Clym di tutto questo, almeno per il momento, vero?» chiese la ragazza, dopo un po'.«Ti do la mia parola; ma temo che sia inutile. Lo verrà a sapere ben presto. Basterà che ti guardi in faccia per

capire che qualcosa non va.»Thomasin dall'albero si voltò a guardare la zia. «Ascolta,» disse, dando alla sua voce delicata una fermezza

derivante da una forza che non era certamente fisica. «Ti prego di non dirgli nulla. Se troverà che non son degna d'essere sua cugina, pazienza. Ma, siccome un tempo mi ha voluto bene, non rattristiamolo parlandogli subito della mia disgrazia. So che tutti qui ne parlano; ma anche i più pettegoli non oseranno dirglielo sin dal primo giorno. Proprio perché mi è parente, le voci che corrono sul mio conto tarderanno a raggiungerlo. Se non sarò riuscita a mettere a tacere le chiacchiere tra una settimana o due, sarò io stessa a dirgli tutto.»

La serietà con cui Thomasin aveva parlato impedì alla zia di fare altre obiezioni. Disse semplicemente: «Benissimo. Certo avremmo dovuto avvertirlo quando si doveva celebrare il matrimonio. Non ti perdonerà mai d'averglielo nascosto.»

«Me lo perdonerà, sì, quando saprà che l'ho fatto per risparmiargli pena e fatica, non sapendo che sarebbe tornato a casa così presto. E la mia disavventura non deve rovinare la tua festa. Rimandarla non farebbe che peggiorare le cose.»

«Non la rimanderò, infatti. Non voglio mostrarmi sconfitta agli occhi di tutta Egdon, alla mercè d'un uomo come Wildeve. Ora abbiamo abbastanza agrifoglio, mi pare, e sarà meglio che ce ne torniamo a casa. Quando avremo ornato le pareti con queste bacche e col vischio, dovremo muoverci per andargli incontro.»

Thomasin scese dall'albero, scosse dai capelli e dagli abiti le bacche sparse che vi s'erano impigliate, e scese la collina con la zia, portando con lei i rami raccolti. Erano ormai quasi le quattro e il sole stava per scomparire dalla piccola valle. Quando il cielo già era arrossato dal tramonto si videro di nuovo le due donne uscire di casa e avviarsi nella brughiera in direzione contraria a quella di prima, verso un punto della lontana strada maestra da cui doveva arrivare l'uomo che attendevano.

COME UN PICCOLO SUONO BASTÒ A SUSCITARE UN GRANDE SOGNO

Eustacia si fermò al limite della brughiera, aguzzando gli occhi in direzione della casa e dei terreni della signora Yeobright. Non vi si scorgeva alcuna luce, nè si sentiva alcun suono o movimento. La sera era fredda, il luogo buio e solitario. Evidentemente l'ospite non era ancora arrivato; dopo aver indugiato per una quindicina di minuti, ella si volse per tornare a casa.

Ma aveva fatto pochi passi quando udì le voci di alcune persone che s'avvicinavano lungo il sentiero che stava percorrendo. Ben presto le loro teste furono visibili contro il cielo. Avanzavano lentamente, e, benchè fosse troppo scuro perché si potesse distinguerne bene l'aspetto, si capiva dal loro modo di camminare che non erano contadini. Eustacia si scostò per lasciarli passare. Erano due donne e un uomo, e le voci delle donne erano quelle della signora Yeobright e di Thomasin.

Le passarono accanto quasi sfiorandola, e probabilmente notarono la sua figura nell'ombra perché una voce maschile disse forte: «Buona sera!»

Mormorando una risposta, Eustacia fece silenziosamente alcuni passi avanti, poi si voltò. Le pareva impossibile che un caso del tutto fortuito le avesse fatto incontrare il padrone della casa ch'era andata a esplorare dall'esterno, la sola ragione per cui era andata da quelle parti.

Aguzzò gli occhi per vederli meglio, ma inutilmente. Tanta era però la sua tensione che i suoi occhi parvero assolvere alla funzione dell'udito oltre che della vista. In momenti simili questa estensione di facoltà diventa quasi credibile. Il sordo dottor Kitto era probabilmente sotto l'influenza d'una fantasia analoga quando disse che il suo corpo, attraverso una lunga serie di sforzi, era diventato così sensibile alle vibrazioni che riusciva a percepire i suoni come con le orecchie.

Sentiva ora perfettamente le parole dette dai tre viandanti. Nulla d'intimo o di segreto. Eran le solite chiacchiere piene d'animazione di parenti che si ritrovano dopo esser stati per un pezzo separati di corpo ma non di spirito. Ma Eustacia non badava alle parole: un momento dopo non le ricordava neanche più. Tutta la sua attenzione era invece concentrata sulla voce che ne aveva pronunciate forse un decimo: la voce che le aveva dato la buona sera. A volte diceva «sì», altre volte «no», oppure chiedeva notizie di qualche decrepito abitante del luogo. Fu sorpresa nel sentire quella voce dire a un tratto che trovava accogliente e simpatico l'aspetto delle colline. Poi le tre voci

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s'allontanarono, attenuandosi, fino a svanire del tutto. Tanto le era stato concesso: e non più. Ma la sua eccitazione era al colmo. Aveva trascorso quasi tutto il pomeriggio immaginando, come rapita, il fascino che deve emanare da un uomo appena giunto dalla mirabile città di Parigi: permeato della sua atmosfera, abituato alle sue bellezze. E quest'uomo l'aveva salutata.

Appena le figure scomparvero, dimenticò completamente le chiacchiere delle due donne; ma non l'accento dell'uomo. La voce del figlio della signora Yeobright - chè di Clym si trattava - aveva forse una qualità particolare? No. Ma in quella voce c'era tutto. Di quali sentimenti, di quali emozioni non era capace l'uomo che aveva detto quel «buona sera»? La fantasia di Eustacia suppliva al resto, anche se non sapeva spiegarsi quello che per lei era un enigma: quali gusti poteva mai avere un uomo che trovava accogliente e simpatiche quelle scabre, inospiti colline?

In momenti simili, mille idee passano nel cervello fervido ed eccitato d'una donna, e si rivelano nei suoi lineamenti con alterazioni reali anche se quasi impercettibili. Il volto di Eustacia passò attraverso una serie ritmica d'espressioni. S'illuminò prima d'ardore; poi, ricordando che l'immaginazione può essere mendace, parve abbattersi, per poi subito riprendersi; s'infiammò per raggelarsi di nuovo: tutto un ciclo d'espressioni, provocato da un ciclo d'immagini.

Rientrò in casa piena d'eccitazione. Il nonno si stava godendo il fuoco, frugando tra le ceneri ed esponendo la parte incandescente dei pezzi di torba: il loro fosco e intenso chiarore dava al camino l'aspetto d'una fornace.

«Perché non siamo amici con i Yeobright?» disse la ragazza, venendo avanti e tendendo le morbide mani al calore della fiamma. «Sembrano gente per bene.»

«Il diavolo mi porti se so il perché,» disse il capitano. «Il vecchio mi era abbastanza simpatico, anche se a volte pungeva come un rovo. Ma non credo che ti sarebbe piaciuto frequentare la loro casa.»

«E perché?»«I loro usi sono un po' troppo campagnoli per i tuoi gusti cittadini. Stanno in cucina, bevono idromele e vino di

sambuco, e spargono la sabbia in terra per tenere il pavimento pulito. Tutte cose sensatissime, ma che tu non apprezzeresti.»

«La signora Yeobright però viene da una buona famiglia. Non era figlia d'un curato?»«Sì; ma ha dovuto adattarsi alle abitudini del marito; e ci si è adattata benissimo. Ah, adesso ricordo: una volta

ho avuto qualcosa a che dire con lei, e da allora non ci siamo più parlati.»Quella che seguì fu una notte importante per la fantasia di Eustacia; una notte che non avrebbe mai più

dimenticato. Fece un sogno; e pochi esseri umani, da Nabucodonosor al calderaio Swaffham sognarono mai cose più straordinarie. E mai nessuna ragazza nella posizione di Eustacia fece un sogno così elaborato nei suoi sviluppi, così incomprensibile ed eccitante. Tortuoso come il labirinto di Creta, fluido come le luci del nord, colorato come un prato nel mese di giugno, pieno di figure come una festa d'incoronazione. Alla regina Scheherazade il sogno sarebbe parso poco meno che banale, e poco più che interessante a una ragazza avvezza alle più splendide corti d'Europa; ma, dato l'ambiente in cui viveva Eustacia, era il sogno più straordinario che si potesse immaginare.

Dalla girandola delle scene mutevoli finì coll'emergere però gradatamente un episodio meno fantasioso, in cui la brughiera appariva vagamente dietro lo splendore generale dell'ambiente. Ella danzava al suono d'una musica meravigliosa e il suo cavaliere era l'uomo chiuso in un'armatura d'argento che l'aveva accompagnata attraverso i fantastici mutamenti precedenti, colla visiera dell'elmo abbassata. Estatica si muoveva nei giri tortuosi della danza. Un dolce sussurro, che usciva dalla splendente visiera, colpiva il suo orecchio, dandole la sensazione d'essere in Paradiso. A un tratto i due s'allontanarono girando dalla massa dei ballerini, si tuffarono in uno degli stagni della brughiera, uscendone dall'altra parte in una specie di cavità iridescente sotto una galleria di arcobaleni. «Fermiamoci qui,» disse la voce al suo fianco; e, alzando timidamente gli occhi, ella vide che si toglieva l'elmo per baciarla. In quel momento s'udì il rumore di qualcosa che s'infrangeva e la figura dell'uomo si scompose come un mazzo di carte.

Ella gridò forte: «Oh, perché non ho visto il suo volto!»A questo punto Eustacia si svegliò. Il rumore era stato quello delle imposte al piano di sotto che la domestica

aveva aperto per far entrare la luce del giorno, che stava ora lentamente avvicinandosi al massimo della scarsa razione concessa dalla natura in quella stenta stagione. «Oh, perché non ho visto il suo volto!» disse di nuovo. «Doveva essere Yeobright!»

Ripensandoci con più calma, si rese conto che molti episodi del sogno erano nati naturalmente dalle immagini e dalle fantasie del giorno prima. Ma questo non ne diminuiva affatto l'interesse, consistente nell'ottimo materiale provvisto dal sogno a un nuovo fervido ardore. Si trovava ora al punto critico tra l'indifferenza e l'amore, allo stadio in cui si dice di «avere una simpatia» per qualcuno. Si verifica una volta nella storia delle più grandi passioni, e proprio nel momento in cui più debole è la volontà di dominarle.

Quella donna ipersensibile era ormai quasi innamorata di un'immagine. La natura fantastica della sua passione, indegna del suo intelletto, ne esaltava però l'animo. Se avesse avuto maggior capacità di dominio su se stessa, avrebbe frenato la sua passione, annullandola col semplice ragionamento. Se fosse stata un po' meno orgogliosa, sarebbe andata, vincendo la ritrosia femminile, a gironzolare intorno alla casa dei Yeobright finchè non fosse riuscita a vederlo. Non fece invece nè una cosa nè l'altra. Si comportò come si sarebbe comportata la donna più esemplare in simili circostanze; andò due o tre volte al giorno a passeggiare sulle colline di Egdon, tenendo sempre gli occhi aperti.

Il primo giorno passò ed egli non venne da quelle parti.Anche la seconda volta si trovò a passeggiare da sola.

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Il terzo giorno c'era una nebbia fitta; si guardò attorno, ma con ben poca speranza. Poteva passare a una ventina di metri da lei, senza che lo vedesse.

Al quarto tentativo, si mise a piovere a dirotto e fu costretta a tornarsene a casa.La sua quinta uscita fu nel pomeriggio: il tempo era bello e rimase fuori a lungo, risalendo sino in cima alla

valle in cui si trova Blooms-End. Vide, a un mezzo miglio di distanza, la bianca staccionata; ma egli non comparve. Quando tornò a casa, le doleva il cuore e provava un senso di vergogna per la propria debolezza. Decise allora di non cercare più l'uomo giunto da Parigi.

Ma la Provvidenza si diverte a volte a civettare; e non appena Eustacia ebbe preso questa decisione, ecco presentarsi quell'occasione favorevole, che finchè l'aveva cercata, le era stata negata.

EUSTACIA SI LASCIA TENTARE A UN'AVVENTURA

La sera di quest'ultimo giorno di attesa, ch'era il 23 dicembre, Eustacia si trovava sola in casa. Da un'ora stava rimuginando tra sè con pena una voce giunta a lei chissà come, secondo cui la visita di Yeobright a sua madre avrebbe avuto termine alla fine della prossima settimana. Era giusto, disse a se stessa: come poteva un uomo che aveva il suo lavoro e i suoi interessi in una grande, gaia città, trattenersi a lungo in un posto come la brughiera di Egdon? Ma ben difficilmente, nei limiti di questa breve vacanza, ella sarebbe riuscita a incontrare e conoscere il proprietario della voce che aveva destato il suo interesse, a meno che non girellasse continuamente intorno alla casa di sua madre come un pettirosso: cosa difficile e per di più sconveniente.

L'espediente a cui, in simili circostanze, ricorrono le ragazze e i giovani di provincia, è quello di andare in chiesa. In qualsiasi villaggio o cittadina di campagna si può essere quasi certi che o il giorno di Natale o la domenica che lo precede o lo segue, un nativo del luogo venuto a casa per le vacanze, e che non abbia perduto con gli anni e con l'ennui il gusto di vedere e farsi vedere, comparirà in uno dei banchi, brillante di speranza, di presunzione e vestito di nuovo. Il pubblico di fedeli che si trova in chiesa il mattino di Natale è quindi in buona parte una collezione, che fa pensare a quella di M.me Tussaud, dei personaggi celebri nati nelle vicinanze. Qui la donna trascurata tutto l'anno può osservare furtivamente come si comporta l'innamorato che l'ha dimenticata, e sperare, mentre lo guarda al disopra del libro di preghiere, che l'antico sentimento possa rinascere in lui, quando si sia stancato delle novità che l'hanno attirato fuori dal paese. E una donna giunta da poco come Eustacia avrebbe potuto veder da vicino l'aspetto di chi, nato in quel luogo, aveva lasciato il paese prima ch'ella comparisse in scena, e studiare se valesse la pena di coltivare l'amicizia dei suoi nel corso della sua prossima assenza, per esser sicura d'incontrarlo al suo prossimo ritorno.

Ma simili amorosi progetti non erano attuabili tra gli sparsi abitatori della brughiera di Egdon. Si chiamavano parrocchiani, ma in realtà non appartenevano a nessuna parrocchia. Quelli che venivano in quelle poche case isolate per trascorrervi il Natale con gli amici, se ne stavano dinanzi al focolare a bere idromele e altre bevande corroboranti finchè non se ne andavano definitivamente. Fuori non c'era che pioggia, neve, ghiaccio e fango dappertutto; non li attirava percorrere faticosamente due o tre miglia per andarsi poi a sedere, coi piedi bagnati e spruzzati di fango sino al collo, tra quelli che, pur essendo in un certo senso loro vicini, potevano, vivendo accanto alla chiesa, entrarci puliti e asciutti. Eustacia sapeva benissimo che le probabilità che Clym Yeobright non andasse affatto in chiesa in quei pochi giorni di vacanza erano nove su dieci, e che sarebbe stata da parte sua una fatica inutile spingersi fin là col calesse e il cavallino, nella speranza di vederlo.

Era il crepuscolo, ed ella se ne stava seduta accanto al fuoco nella stanza da pranzo, dove s'intrattenevano, anzichè in salotto, in questa stagione dell'anno, perché vi si trovava un enorme camino, fatto apposta per le grosse fascine di ginestra, combustibile preferito dal capitano per l'inverno. Gli unici oggetti visibili nella stanza erano quelli sul davanzale, che spiccavano contro la luce del cielo basso: in mezzo c'era la vecchia clessidra, e ai due lati una coppia di antichi vasi britanni, scoperti scavando in una montagnola vicina e usati ora come vasi per due piante grasse dalle foglie taglienti e acuminate. Qualcuno bussò alla porta. La domestica era fuori, e anche il nonno. Dopo aver aspettato un minuto, la persona che aveva bussato venne a picchiare all'uscio della stanza.

«Chi è?» chiese Eustacia.«Per favore, capitano Vye, permette che...»Alzandosi, Eustacia mosse verso la porta.«Come osate entrare così, senza permesso? Dovevate aspettare.»«Il capitano ha detto che potevo entrare senz'altro,» rispose un ragazzo dalla voce simpatica.«Ah, sei tu?» disse Eustacia con tono più dolce. «Che cosa vuoi, Charley?»«Crede che suo nonno ci concederà l'uso della legnaia per le prove, questa sera alle sette?»«Sei uno di quelli che si mascherano quest'anno per Natale?»«Sì, signorina. Il capitano ha sempre permesso che si facessero qui le prove.»«Lo so. Servitevi pure della legnaia, se volete,» disse Eustacia con voce languida.La legnaia del capitano Vye era stata scelta per farvi le prove perché si trovava quasi al centro della brughiera:

era inoltre spaziosa come un granaio e adattissima allo scopo. I ragazzi che formavano la compagnia abitavano in punti diversi sparsi qua e là, e la distanza che dovevano percorrere per riunirsi in quel punto era pressochè uguale per tutti.

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Per le maschere e le loro recite Eustacia professava il massimo disprezzo: sentimento non condiviso certo dai ragazzi che si mascheravano, anche se non ne erano in fondo follemente entusiasti. Un divertimento tradizionale si distingue da una semplice recita soprattutto in questo: mentre una recita è ricca in genere di eccitazione e di fervore, la festa tradizionale è accompagnata da un'ottusa monotonia, che induce quanti vi partecipano a chiedersi perché mai si debba continuare a tenerla in piedi. Come Balaam e altri profeti involontari, si direbbe che gli attori siano indotti da un impulso interno a dire e fare le parti loro assegnate, lo vogliano o no. Questa recitazione priva di mordente è la vera caratteristica per cui, in quest'epoca di rinnovamento, si può distinguere un resto fossilizzato da una riproduzione spuria.

Si ripeteva ogni anno la ben nota storia di San Giorgio; e anche quelli che non comparivano in scena collaboravano nei preparativi, comprese le donne della famiglia. Senza l'aiuto delle sorelle e delle fidanzate, mai i giovanotti sarebbero riusciti a mettere insieme i costumi necessari; e tuttavia questo aiuto aveva i suoi aspetti negativi. Era impossibile indurre le ragazze a rispettare la tradizione nel preparare e ornare i vari costumi; a tutti i costi si ostinavano ad aggiungere fiocchi e nastri di seta e di velluto, secondo il proprio gusto. Gorgiera, bracciale, elmo, corazza, guanto, manica erano agli occhi di queste donne altrettanti spazi disponibili su cui attaccare pezzi di stoffa di vario colore.

Poteva accadere che Joe, il quale combatteva per i cristiani, avesse un'innamorata, e che ce l'avesse anche Jim, il quale combatteva dalla parte dei musulmani. Durante il lavoro di preparazione dei costumi la fidanzata di Joe veniva a sapere che quella di Jim ornava il fondo della giacca dell'amato con strisce di seta lucida: lo stesso materiale che serviva in genere per fabbricare la griglia della celata che nascondeva il volto. Immediatamente anche la fidanzata di Joe ornava di nastri di seta lucida l'orlo della giacca e, per far qualcosa di più, aggiungeva qualche fiocco sulle spalle. Quella di Jim allora, per non esser da meno, spargeva fiocchi e rose di nastro dappertutto.

Ne risultava che alla fine il Valoroso Soldato dell'esercito cristiano non si distingueva in nulla nel costume dal Cavaliere Turco; e, cosa anche peggiore, uno spettatore casuale poteva addirittura scambiare San Giorgio per il suo mortale nemico, il Saraceno. E gli attori, pur internamente deprecando questa confusione di personaggi, non potevano offendere le ragazze del cui aiuto avevano così largamente approfittato, e non si opponevano quindi a queste innovazioni.

C'eran però dei limiti a questa tendenza all'uniformità. Il Medicone o Dottore conservava intatte le sue caratteristiche: impossibile confondere il suo vestito scuro, il suo strano cappello, e la bottiglia di medicina che teneva sotto il braccio. Lo stesso accadeva per la convenzionale figura di Babbo Natale col suo enorme bastone, un uomo più anziano che accompagnava il gruppo, come protettore di tutti, nei viaggi notturni da una parrocchia all'altra, e portava la borsa col denaro.

Ben presto giunsero le sette, l'ora fissata per le prove, e Eustacia sentì un suono di voci nella legnaia. Per distrarsi, sia pure superficialmente, dalla visione tenebrosa della vita umana che l'affliggeva, si recò nella tettoia adiacente alla legnaia in cui si tenevano i ceppi già pronti. C'era nel muro fatto di fango un piccolo foro, destinato in origine ai colombi, attraverso cui si poteva vedere nel locale vicino. Ne usciva ora un filo di luce; Eustacia salì su uno sgabello per vedere quel che facevano.

Nella legnaia tre grandi torce erano piantate su una mensola, e alla loro luce sette od otto ragazzi andavano attorno, declamando e confondendosi l'un l'altro, nel tentativo di perfezionare lo spettacolo. C'erano, come osservatori, i raccoglitori di ginestra Humphrey e Sam, e anche Timothy Fairway che, appoggiato al muro, faceva il suggeritore, fondandosi sulla propria memoria e alternando alle frasi stabilite osservazioni e aneddoti dei bei tempi d'una volta quando lui e altri eran stati scelti per la recita come questi ragazzi oggi.

«Bene, mi pare che così vada,» disse. «Anche se ai miei tempi non ci si sarebbe certo accontentati d'una recita simile. Harry dovrebbe camminare con aria più prepotente quando fa il Saraceno, e John dovrebbe invece urlare un po' meno. A parte questo, mi pare che possa andare. I costumi sono pronti?»

«Li avremo lunedì.»«È lunedì sera il primo spettacolo?»«Sì. In casa della signora Yeobright.»«Ah, la signora Yeobright. Perché mai vi ha invitati? Non pensavo che una donna della sua età si divertisse a

veder le maschere.»«Dà una festa in casa sua perché è la prima volta, dopo tanti anni, che suo figlio Clym viene a casa per le feste

di Natale.»«Già, già... la festa. Ci vado anch'io. Giuro che me n'ero quasi dimenticato.»Sul volto di Eustacia si dipinse un'espressione delusa. Ci sarebbe stata una festa in casa della signora

Yeobright; e lei naturalmente non era invitata. S'era sempre tenuta estranea a simili feste, che giudicava indegne della propria posizione sociale. Se avesse avuto invece l'abitudine di frequentarle, che magnifica occasione sarebbe stata ora per vedere l'uomo il cui pensiero la riscaldava come sole d'estate! Alimentando quel pensiero trovava l'eccitazione desiderata; respingendolo avrebbe forse ritrovato la serenità; stando le cose com'erano soffriva il supplizio di Tantalo.

I ragazzi e gli uomini si preparavano ad andarsene e Eustacia ritornò presso il fuoco. Ma non rimase a lungo immersa nei propri pensieri. Pochi minuti dopo, il giovane Charley, quello che già era venuto a chiedere il permesso di servirsi della legnaia, ritornò in cucina a riportare la chiave. Eustacia lo sentì e, aprendo la porta che dava sul corridoio, disse: «Charley, vieni qui.»

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Il ragazzo rimase sorpreso. Entrò nella stanza, non senza arrossire; chè, come molti altri, subiva fortemente il fascino del volto e della persona della ragazza.

Ella gli indicò una sedia accanto al fuoco e si sedette di fronte a lui all'altro lato del camino. Si capiva dalla sua espressione che avrebbe detto ben presto la ragione per cui l'aveva invitato a entrare.

«Che parte fai, Charley, nella recita: quella del Cavaliere Turco, no?» chiese la bella, guardandolo attraverso il fumo che usciva dal camino.

«Sì, signorina, il Cavaliere Turco,» rispose il ragazzo timidamente.«È una parte lunga?»«Nove frasi in tutto.»«Me le sai dire? Mi piacerebbe sentirle.»Il ragazzo sorrise guardando le braci ardenti, poi disse:

«Ecco, son qui: il Turco Cavaliere,che in turca terra a battagliare ha appreso»,

e continuò a recitare le battute delle varie scene, sino alla catastrofe conclusiva, quando cadeva sotto i colpi di San Giorgio.

Eustacia già aveva sentito varie volte quelle battute. Appena il ragazzo ebbe finito, incominciò a recitarle lei, con le stesse parole esatte, e continuò senza un'esitazione e senza un inciampo fino alla fine. Era la stessa cosa, ma quanto diversa! Simile nella forma, aveva la dolcezza e la levigatezza d'una copia di Raffaello da un originale del Perugino, che, pur riproducendo fedelmente il soggetto originale, ne supera di gran lunga l'arte.

Charley la guardò con tanto d'occhi. «Com'è intelligente, signorina!» disse, ammirato. «Io ho impiegato tre settimane a imparare quelle battute.»

«Le avevo già sentite,» disse Eustacia tranquillamente. «Ora ascolta, Charley: vuoi farmi un piacere?»«Molto volentieri, signorina.»«Mi lasci far la tua parte per una sera?»«Oh, signorina! Ma non è possibile... non è una parte da donna.»«Posso vestirmi da uomo... almeno per quel che si vede fuori del costume. Che cosa vuoi per darmi i vestiti e

lasciar che prenda il tuo posto per un'ora o due lunedì sera, senza dire assolutamente a nessuno chi e che cosa sono? Potresti raccontare che per quella sera non puoi recitare e che qualcuno - un cugino della signorina Vye - farà la tua parte. Non ho mai parlato con nessuno degli altri attori, e non possono riconoscermi; e poi, se anche mi riconoscessero, non importa. Che cosa vuoi per farmi questo favore? Mezza corona?»

Il ragazzo scosse il capo.«Cinque scellini?»Di nuovo egli scosse il capo. «Non voglio denaro,» disse, sfiorando col cavo della mano la testa d'uno degli

alari di ferro.«Che cosa vuoi allora, Charley?» chiese Eustacia con tono deluso.«Ricorda, signorina, quel che non ha voluto concedermi alla festa di Calendimaggio?» mormorò il ragazzo

senza guardarla e continuando ad accarezzare la testa dell'alare.«Sì,» disse Eustacia, con una sfumatura d'alterezza. «Volevi tenermi la mano mentre si faceva il girotondo, se

ben ricordo.»«Me la lasci per mezz'ora e io sono d'accordo, signorina.»Eustacia guardò in faccia il ragazzo. Aveva tre anni meno di lei, ma era evidentemente precoce per la sua età.

«Che cosa devo lasciarti per mezz'ora?» chiese, pur avendo capito benissimo.«La sua mano.»Ella tacque. «Facciamo un quarto d'ora,» disse.«Sì, signorina Eustacia... se mi permette anche di baciarla. Un quarto d'ora. E le giuro che non dirò mai a

nessuno che lei ha preso il mio posto. Ma non crede che potrebbero riconoscere la sua voce?»«Può darsi. Mi metterò un sassolino in bocca, per alterarla un poco. Benissimo, allora. Ti permetterò di tenermi

la mano quando mi porterai il costume, la spada e il bastone. Ora vattene.»Charley se ne andò e Eustacia pensò che dopo tutto la vita poteva essere molto interessante. Finalmente ecco

qualcosa da fare: qualcuno da vedere e un modo attraente e avventuroso di vederlo. «Ah,» disse a se stessa, «debbo avere uno scopo nella vita... ecco quel che mi occorre!»

Il modo di fare di Eustacia era in genere languido e sonnolento, essendo le sue passioni più profonde che vivaci. Ma, quando si riscuoteva, sapeva essere, almeno per quel momento, attiva come le persone più dinamiche.

Poco le importava d'essere riconosciuta. I ragazzi che recitavano non la conoscevano. Un po' meno sicura era per quel che riguardava il pubblico. Ma anche se la scoprivano, non era dopo tutto una cosa terribile. Potevano scoprire il fatto, non i motivi. L'avrebbero giudicato il capriccio passeggero d'una ragazza che tutti già stimavano un po' stramba. Che facesse per una ragione seria quel che si fa in genere per puro giuoco e scherzo era comunque un segreto che nessuno poteva indovinare.

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La sera dopo trovò Eustacia puntualmente sulla porta della legnaia, in attesa del crepuscolo che doveva portare Charley con gli indumenti e i vari oggetti. Quella sera il nonno era in casa, e non poteva quindi far entrare il suo complice.

Il ragazzo apparve a un tratto sulla cresta scura della brughiera, simile a una mosca su un negro, portando gli oggetti con sè, e arrivò da lei quasi senza fiato.

«Ecco qui tutto,» sussurrò, posando il fagotto sulla soglia. «E ora, signorina Eustacia...»«Il pagamento. È pronto. So mantenere la mia parola.»Si appoggiò allo stipite della porta e gli porse la mano. Charley la prese tra le sue con tenerezza indescrivibile,

come un fanciullo che tenga tra le mani un passerotto catturato.«Oh, ma c'è il guanto!» disse con tono deluso. «Sono stata fuori,» diss'ella. «Ma signorina!»«Sì, hai ragione. Non è giusto.» Si sfilò il guanto e gli porse la mano nuda.Rimasero così alcuni minuti, senza più parlare, guardando il paesaggio che si veniva sempre più oscurando,

immerso ciascuno nei propri pensieri.«Preferirei non consumare tutti i miei minuti questa sera,» disse Charley devotamente, quando furono passati

sei od otto minuti in cui non aveva smesso di accarezzarle la mano. «Potrei conservarmi il resto per un'altra volta?»«Come vuoi,» diss'ella, senz'ombra di sentimento. «Purchè non si vada oltre una settimana. Ora voglio ancora

una cosa da te: aspetta che mi sia messo il costume e guarda se faccio la mia parte come si deve. Prima però vado a dare un'occhiata in casa.»

Scomparve, entrando in casa, per due o tre minuti. Il nonno dormiva pacificamente sulla sua poltrona. «Ecco,» diss'ella, tornando fuori. «Va' a fare una passeggiata in giardino: appena pronta, ti chiamo.»

Charley si mise a passeggiare, in attesa, finchè udì un debole fischio e subito ritornò verso la porta della legnaia.

«È stata lei a fischiare, signorina Vye?»«Sì, entra,» disse la voce di Eustacia dal buio della legnaia. «Non posso accendere il lume finchè non sia

chiusa la porta, altrimenti si vede dal di fuori. Chiudi col tuo berretto il buco che dà nella tettoia, se riesci a trovarlo al buio.»

Charley ubbidì ed ella accese il lume, apparendo così mutata di sesso, vestita a vivi colori, e armata dalla testa ai piedi. Ebbe forse un attimo di timidezza sotto lo sguardo intenso di Charley, nel mostrarsi a lui vestita da uomo, ma era impossibile scorgerne il segno sul volto nascosto dalle strisce di nastro che servivano a rappresentare la celata d'un elmo medievale.

«Mi sta a pennello,» disse, guardando le lunghe calze-pantaloni bianche. «Soltanto la tunica, o come la chiamate, ha le maniche un po' troppo lunghe. Il fondo dei pantaloni posso rivoltarlo. Ora sta' attento.»

Incominciò allora a recitare, battendo la spada contro il bastone o lancia, ogni volta che pronunciava una frase di minaccia, secondo la tradizione degli attori, e camminando su e giù a grandi passi. All'ammirazione Charley accompagnò alcune critiche espresse con molta dolcezza, perché ancora sentiva il tocco della mano di Eustacia.

«E ora vediamo che scusa darai agli altri,» disse. «Dove vi trovate prima di andare dalla signora Yeobright?»«Pensavamo di trovarci qui, signorina, se lei non ha niente in contrario. Alle otto, in modo da poter arrivare là

per le nove.»«Bene. Naturalmente tu non verrai. Arriverò io cinque minuti dopo, tutta vestita, e li avvertirò che non puoi

venire. Ho pensato che la cosa migliore sia dire che ti ho mandato a fare una commissione, dando così alla scusa un certo fondamento di verità. Capita spesso che i nostri due cavallini s'allontanino sperdendosi e domani sera puoi andare a cercarli; al resto penserò io. Ora vattene.»

«Sì, signorina. Ma, se non le spiace, vorrei avere ancora un minuto di quel che mi spetta.»Come prima, Eustacia gli porse la mano.«Un minuto,» disse, e contò finchè non ne furono passati sette od otto. Ritirò allora la mano e la persona a una

certa distanza e riprese l'antica dignità. Esaurito il contratto, di nuovo eresse tra loro una barriera impenetrabile come un muro.

«Allora, è finito; non volevo consumarlo tutto,» disse il ragazzo con un sospiro.«Hai avuto anche la buona misura,» diss'ella, voltandosi per andarsene.«Sì, signorina. Ed è giusto che me ne vada.»

AL CHIARO DI LUNA

La sera dopo, nello stesso posto, le maschere attendevano l'arrivo del Cavaliere Turco.«Sono le otto e venti all'orologio della "Buona Donna" e Charley non c'è ancora.»«Quello di Blooms-End fa le otto e dieci.»«Secondo l'orologio di nonno Cantle mancherebbero dieci minuti alle otto.»«E sarebbero le otto e cinque secondo l'orologio a pendolo del capitano.»A Egdon il tempo non era una cosa assoluta. L'ora era sempre il risultato di varie teorie professate dai diversi

villaggi, nate alcune da una radice comune, altre estranee sin dall'inizio. La parte occidentale di Egdon credeva nell'ora

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di Blooms-End, la parte orientale in quella della «Buona Donna». L'orologio da tasca di nonno Cantle aveva avuto in passato molti fedeli seguaci, ma da quando era diventato vecchio la fiducia in esso incominciava a vacillare. Le maschere, arrivate lì dai punti più diversi, avevano ciascuna i propri principi sul presto e sul tardi; fecero dunque un compromesso, decidendo d'aspettare un altro po'.

Attraverso il buco nel muro Eustacia aveva visto arrivare i giovani; e quando capì ch'era ormai il momento buono per mostrarsi, uscì dalla tettoia adiacente e aprì decisamente la porta della legnaia. Suo nonno era alla «Buona Donna» e non doveva quindi preoccuparsi per lui.

«Ecco Charley finalmente! Sei in ritardo, Charley.»«Non sono Charley,» disse il Cavaliere Turco col volto nascosto dalla celata. «Sono un cugino della signorina

Vye, desideroso di sostituire Charley, che ha dovuto andare a cercare i cavallini, sconfinati nei prati attorno: sapendo che non sarebbe tornato in tempo per la recita, mi ha pregato di prendere il suo posto. La parte la so bene quanto lui.»

Notando il suo incedere aggraziato, la figura elegante e i modi garbati, le maschere si convinsero che dopo tutto ci avrebbero guadagnato nel cambio, purchè il nuovo venuto sapesse veramente la parte.

«Va bene... ma mi sembri un po' troppo giovane,» disse San Giorgio. In realtà la voce di Eustacia aveva un tono più giovanile e più alto di quella di Charley.

«La so alla perfezione, vi dico,» ribattè Eustacia con tono deciso. Ci voleva una certa audacia per riuscire bene nell'impresa, ed ella si mostrò audace quanto occorreva. «Su, ragazzi, facciamo la prova. Vi sfido a cogliermi in fallo in una sola parola.»

Una prova fu fatta rapidamente, e alla fine le maschere erano entusiaste del nuovo acquisto. Alle otto e mezzo spensero le candele e si avviarono per la brughiera in direzione della casa della signora Yeobright a Blooms-End.

C'era un po' di gelo quella sera, e la luna, benchè fosse mezza soltanto, investiva le fantastiche figure delle maschere d'una luce viva che ne accentuava i caratteri; mentre camminavano, le piume e i nastri frusciavano come foglie d'autunno. Non passarono per il Rainbarrow, ma lungo una valletta che lasciava a sinistra l'antico tumulo. Il fondo della valletta era verde per una decina di metri e i luccicanti cristalli di gelo sulle foglie d'erba sembravano muoversi con le ombre di quelli che circondavano. A destra e a sinistra le masse di rovi e di ginestra erano più scure che mai; non bastava una mezzaluna per inargentare i loro manti tenebrosi.

Dopo una mezz'ora di cammino e di chiacchiere, arrivarono a quel punto della valle in cui la striscia d'erba s'allargava, portando direttamente alla casa. Vedendola, Eustacia, che aveva avuto qualche esitazione durante la passeggiata in compagnia dei ragazzi, fu di nuovo lieta d'aver tentato l'avventura. Era venuta lì per vedere un uomo che forse avrebbe saputo liberare il suo spirito da una mortale oppressione. Che cos'era mai Wildeve? Un uomo interessante, ma non alla sua altezza. Chissà che stanotte non le fosse dato d'incontrare il suo eroe.

Avvicinandosi alla casa, le maschere si resero conto che dentro si stava suonando e danzando allegramente. Di quando in quando una lunga e bassa nota del serpentone, lo strumento a fiato più usato a quei tempi, giungeva alle loro orecchie, superando quelle più alte e sottili degli altri strumenti, seguita dal suono dei passi d'un ballerino particolarmente pesante e vivace. A misura che s'avvicinavano, i frammenti di suoni si fusero e fu possibile cogliere le note fondamentali dell'aria chiamata Fantasia di Nancy.

Clym era là, naturalmente. Ma con quale donna stava danzando? Forse proprio in quel momento una sconosciuta, di qualità assai inferiori alle sue, stava, aiutata dalla sottile lusinga del!a musica e della danza, per sigillare il destino del giovane. La donna che danza con un uomo concentra nell'ambito di un'ora l'ardore contenuto in un anno intero. Arrivare al corteggiamento senza conoscersi, e al matrimonio senza corteggiamento è una scorciatoia riservata soltanto a quelli che percorrono questa strada regale. Osservandoli bene tutti, avrebbe capito verso chi tendeva il cuore di Clym.

L'intraprendente damigella seguì il gruppo delle maschere attraverso il cancello nella staccionata bianca e si fermò dinanzi al portico aperto.

Grossi pezzi del tetto di paglia ricadevano tra le finestre del piano superiore; la facciata, ora direttamente illuminata dalla luna, era stata originariamente bianca ma un enorme paricanto la copriva ora quasi tutta.

Subito si resero conto che la sala in cui ballavano si trovava immediatamente dietro la porta, senza nessuna stanza intermedia. Si sentiva contro le pareti il fruscio delle gonne e dei gomiti, a volte persino l'urto delle spalle. Benchè abitasse a sole due miglia di distanza, Eustacia non aveva mai visto l'interno di questa bizzarra vecchia casa. Tra il capitano Vye e i Yeobright i rapporti erano stati sempre assai limitati; il capitano veniva di fuori e aveva acquistato la casa di Mistover Knap, vuota da un pezzo, poco prima della morte del marito della signora Yeobright; questa morte e la partenza del figlio avevano interrotto completamente i già rari rapporti amichevoli.

«Non c'è un vestibolo dietro la porta?» chiese Eustacia, mentre attendeva con gli altri sulla veranda.«No,» rispose il ragazzo che faceva la parte del Saraceno. «Si entra direttamente in sala dove si tiene la festa.»«Allora non possiamo aprire la porta senza interrompere la danza.»«Infatti. Dobbiamo aspettare che abbiano finito, perché quando vien buio sprangano sempre la porta.»«Non ci vorrà molto,» disse Babbo Natale.Ma i fatti smentirono la sua affermazione. Di nuovo gli strumenti tacquero, finita l'aria; e di nuovo ripresero

con altrettanto vigore e passione. Si trattava ora d'una musica da ballo che non ha veramente un principio, una parte centrale, e una fine, quella musica che, tra quante possono scaturire dalla fantasia d'un musicista ispirato, fa pensare più d'ogni altra all'interminabile e celeberrimo Trillo del diavolo. Quelli che aspettavano fuori al chiaro di luna potevano

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solo approssimativamente immaginare l'impeto dei movimenti suscitato dall'impeto delle note, dai colpi che la punta dei piedi e il tacco di qualche ballerino producevano sbattendo contro la porta, ogni volta che il ritmo si faceva più veloce.

Per i primi cinque minuti le maschere si divertirono un mondo. Ma i cinque minuti divennero dieci, poi un quarto d'ora: e la danza vivace non dava segno di volersi interrompere. I colpi contro la porta, le risate, il batter di piedi erano più robusti che mai, e quelli fuori incominciavano a trovar la cosa assai meno divertente.

«Perché dà feste simili la signora Yeobright?» chiese Eustacia, un po' sorpresa da tanta allegria.«Oh, questo non è un ricevimento signorile. Ha invitato i vicini e i lavoranti, senza far distinzione, soltanto per

offrir loro un buon pranzo e farli divertire. Lei e suo figlio serviranno gli ospiti a tavola.»«Capisco,» disse Eustacia.«Siamo alla fine, credo,» disse San Giorgio, che teneva l'orecchio applicato alla parete. «Un giovanotto e una

ragazza son venuti a fermarsi proprio in quest'angolo, e lui sta dicendole: "Oh, che peccato! Per questa volta temo che sia finita, tesoro."»

«Meno male,» disse il Cavaliere Turco, pestando i piedi per riscaldarseli e riprendendo la tradizionale lancia delle maschere, che aveva appoggiato al muro. Essendo le sue scarpe meno pesanti di quelle degli altri, aveva i piedi freddi e bagnati.

«Temo che ne avremo ancora per dieci minuti,» disse il Soldato Valoroso, guardando attraverso il buco della serratura, mentre la musica riprendeva senza interrompersi. «C'è nonno Cantle in quest'angolo che aspetta il suo turno.»

«Non sarà lungo; è una giga a sei,» disse il Dottore.«Ma perché non entriamo, ballo o no? Dopo tutto ci hanno invitati,» disse il Saraceno.«Non si può,» disse Eustacia con autorità, mentre per riscaldarsi camminava vivacemente avanti e indietro.

«Entrando così di colpo, li costringeremmo a fermarsi, e non sarebbe cortese.»«Chissà che cosa si crede d'essere perché avrà studiato un po' più di noi,» disse il Dottore.«Per me, potete pure andare in malora!» esclamò Eustacia.Tre o quattro dei giovani si sussurrarono qualcosa, poi uno si volse a lei.«Ci tolga una curiosità,» disse con un certo garbo. «Lei è la signorina Vye, non è vero? Ci giureremmo.»«Giurate quel che volete,» rispose Eustacia lentamente; «ma ricordatevi che i giovanotti bene educati non

tradiscono le signore.»«Non lo diremo a nessuno, signorina. Sul nostro onore.»«Grazie,» rispose Eustacia.In quel momento i violini conclusero l'aria con grande stridore d'archi e il serpentone emise un'ultima nota che

per poco non fece volar per aria il tetto. Quando, dalla relativa calma all'interno, le maschere capirono che i ballerini dovevano essersi seduti, Babbo Natale si fece avanti, alzò il paletto e mise dentro la testa.

«Ah, le maschere, le maschere!» gridarono contemporaneamente diversi ospiti. «Fate largo alle maschere.»Il Babbo Natale dalla schiena gobba fece allora il suo ingresso agitando l'enorme bastone, come per sgombrare

la scena ai veri e propri attori, mentre in rime eleganti avvertiva la compagnia ch'era arrivato, lo volessero o no; e concluse il suo discorso così:

«Fateci largo, giovani miei prodi,poichè noi vi veniamo a raccontarela storia di San Giorgio, che vi piacesentire in questa sera di Natale.»

Gli ospiti si stavano ora sistemando a un'estremità della stanza, il suonatore di violino aggiustava una corda rotta, quello del serpentone si mise a ripulirne l'imboccatura, e lo spettacolo ebbe inizio. Il primo a entrare di quelli di fuori fu il Soldato Valoroso, paladino di San Giorgio:

«Eccomi qui, il Soldato Valorosoche Ammazzatutti ha nome»,

e così via. Il suo discorso si concludeva con una sfida all'infedele, alla fine della quale doveva entrare Eustacia nella parte del Cavaliere Turco. Insieme agli altri non ancora di scena era rimasta fuori, al chiaro di luna che inondava ormai il portico. Senz'ombra di sforzo o di esitazione, entrò dicendo:

«Ecco, son qui, il Turco Cavaliereche in turca terra a battagliare ha appreso;combatterò con te fino alla morte:trema dunque attendendo la tua sorte!»

Mentre declamava Eustacia teneva la testa alta, e parlava con voce forte, sentendosi sicura di se stessa. Ma la necessità di concentrarsi sulla sua parte per non venire scoperta, la novità dell'ambiente, la luce abbagliante delle

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candele, e i nastri della celata che le offuscavano la vista, non le permettevano assolutamente di vedere gli spettatori. Poteva soltanto scorgere vagamente in fondo alla sala una folla di volti intorno a un tavolo illuminato dalle candele.

Intanto Jim Starks nella parte del Soldato Valoroso s'era fatto avanti e, guardando con occhio bieco il Turco, rispondeva:

«Se tu sei dunque il Turco Cavaliere,con la tua spada vieni a battagliare!»

Si misero a combattere; il Soldato Valoroso fu colpito da Eustacia in modo del tutto inadeguato; ma dominato dalla sua passione d'attore, si lasciò cadere come un pezzo di legno sul pavimento di pietra con un colpo così forte da slogarsi una spalla. Poi, dopo un altro discorsetto, pronunciato in verità un po' troppo fiaccamente dal Cavaliere Turco, che si dichiarò pronto a combattere contro San Giorgio e tutta la sua compagnia, fece il suo ingresso il magnifico San Giorgio in persona con le note pompose parole:

«Ecco, son qui, San Giorgio il Valoroso,con la spada e la lancia strette in mano,che si battè col drago e il fe' morire,conquistando così del re la figlia.Qual è il mortale che oserà affrontarmiquando avanzo brandendo la mia spada?»

Jim era stato il primo dei ragazzi a riconoscerc Eustacia; e quand'ella, facendo la parte del Turco, rispose con la debita sfida e subito si mise a battersi, il giovanotto ebbe cura di servirsi della spada con la massima delicatezza possibile. Ferito, il Cavaliere cadde in ginocchio, secondo le istruzioni. Entrò allora il Dottore, rianimò il Cavaliere dandogli da bere un sorso dalla famosa bottiglia, e il duello ricominciò; il Turco continuò a piegarsi, abbassandosi, finchè non fu completamente sopraffatto: morendo indomito in questo antico dramma, come si dice che faccia ancora oggi.

Quel modo di cadere, abbassandosi gradatamente, era in realtà una delle ragioni per cui Eustacia aveva scelto come più adatta la parte del Cavaliere Turco, benchè non fosse la più breve. Gli altri guerrieri dovevano cadere di colpo, passando dalla posizione verticale a quella orizzontale; e questo non era elegante e decoroso per una ragazza: meglio morire come i turchi, ostinandosi a combattere sino alla fine e cadendo poco per volta.

Eustacia era ora tra gli uccisi, ma non proprio sdraiata sul pavimento, perché era riuscita, cadendo, ad appoggiarsi di sbieco contro la cassa del pendolo, in modo da tener la testa sollevata. Lo spettacolo continuava ora tra San Giorgio, il Saraceno, il Dottore e Babbo Natale; e Eustacia, non avendo più nulla da fare, potè finalmente guardarsi attorno, cercando colui che l'aveva attirata in quel luogo.

I DUE FACCIA A FACCIA

Per lasciar posto ai ballerini, la grande tavola di quercia era stata tirata indietro sino a farne una specie di bastione dinanzi al focolare. Alle due estremità del tavolo, dietro di esso e nel vano del camino erano raggruppati gli ospiti, molti dei quali ansanti e col volto arrossato dalla fatica della danza, e tra questi Eustacia riconobbe alcune persone d'un certo riguardo abitanti oltre i limiti della brughiera. Thomasin, com'ella aveva previsto, non c'era; ricordò allora d'aver notato, mentre erano fuori, una finestra illuminata al piano di sopra: forse era quella della sua camera. Osservando meglio si rese conto che un naso, un mento, due mani, due ginocchia e due piedi che spuntavano dal sedile all'interno del camino formavano tutti insieme la persona di nonno Cantle, invitato perché di quando in quando veniva a far qualche lavoro di giardinaggio per la signora Yeobright. Dinanzi a lui saliva il fumo d'un vulcano di torba che, dopo aver sfiorato le nicchie della cappa del camino, colpiva la bussola del sale, per perdersi poi tra i prosciutti appesi in alto.

Ben presto il suo sguardo si spostò a un'altra parte della sala. All'estremità opposta del camino c'era la grossa panca a spalliera, indispensabile dove il fuoco è così aperto che soltanto un vento molto forte può portar via il fumo. Questa panca rappresenta per i vecchi camini ampi come caverne quel che rappresenta per un terreno esposto una fascia d'alberi a est, o per un giardino un muro orientato a nord. Al di là della panca le candele sgocciolano spegnendosi, gli spifferi d'aria sollevano i capelli, le giovani donne rabbrividiscono e i vecchi starnutiscono. Al di qua della panca è il Paradiso. Non un soffio d'aria; quelli che vi siedono hanno la schiena calda come la faccia, e canzoni e vecchie storie escono dalle loro labbra, alimentate dal caldo e dal benessere, come meloni in una serra.

Ma a Eustacia non interessavano quelli seduti sulla panca, bensì un volto che si staccava nettamente contro il legno scuro dello schienale. Era il volto di Clement Yeobright, o Clym, come lo chiamavano; in quel momento costui era appoggiato all'estremità esterna della panca; ne era certa, non poteva essere il volto di nessun altro. Sembrava un piccolo frammento d'un quadro di Rembrandt, dal tono e dal colore più intenso. Il vigore della personalità del giovane si rivelava nel fatto che, benchè si vedesse tutta la sua figura, l'osservatore era colpito soltanto dal volto.

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Un uomo anziano l'avrebbe giudicato quello d'un giovane, anche se un ragazzo non vi avrebbe scorto segno alcuno d'immaturità. Ma era in realtà uno di quei volti i cui lineamenti rivelano non tanto il numero degli anni quanto il patrimonio d'esperienza accumulato. Si possono calcolare gli anni di Jared, Mahalaleel e tutti gli altri personaggi antidiluviani, ma l'età dell'uomo moderno si misura dall'intensità della sua storia.

Belle, bellissime anzi, erano le sue fattezze. Ma lo spirito che le animava dall'interno incominciava a servirsene come di una tavoletta da scrivere su cui veniva tracciando le proprie idiosincrasie a misura che si sviluppavano. Ben presto la sua bellezza sarebbe stata spietatamente sopraffatta dal suo parassita, il pensiero, che avrebbe benissimo potuto servirsi d'un esterno meno bello, in cui non ci fosse nulla da danneggiare. Se il cielo avesse preservato Yeobright dalla faticosa abitudine della riflessione, la gente avrebbe detto guardandolo: «Che bell'uomo!» Se il suo cervello si fosse sviluppato entro lineamenti più irregolari, avrebbe detto invece: «Che pensatore!» Ma siccome una forza interiore s'imponeva alla simmetria esterna, giudicavano il suo aspetto singolare.

Ecco perché chi incominciava col guardarlo, finiva con lo studiarlo. Il suo volto era sovraccarico di significati. Senz'essere ancora consunto dal pensiero, già portava i segni d'un modo di reagire al mondo esterno quale raramente si trova in uomini che abbiano dietro di sè appena quattro o cinque anni di lavoro e di sforzo dopo il sereno periodo della fanciullezza. Già il suo aspetto esterno dimostrava come il pensiero sia una malattia della carne, provando indirettamente che la bellezza fisica ideale è incompatibile con lo sviluppo del sentimento e una piena coscienza della complessità delle cose. La luce dello spirito si nutre di linfa vitale, di cui ha bisogno anche il fisico; e già erano visibili in lui gli effetti rovinosi di due diverse esigenze, costrette a sfruttare entrambe una stessa e unica fonte.

Di fronte a certi uomini il filosofo si duole che i pensatori siano fatti di sostanza deperibile, e l'artista che questa sostanza deperibile sia costretta a pensare. Chi avesse osservato con occhio critico il giovane Yeobright non avrebbe quindi potuto fare a meno di deplorare, sia dall'uno sia dall'altro punto di vista, l'interdipendenza, reciprocamente distruttiva, dello spirito e della carne.

Si vedeva che una gaiezza naturale lottava in lui, senza riuscire a vincerla, contro la depressione che gli veniva dal mondo esterno. Nel suo isolamento si vedeva come un segno di superiorità. Come sempre accade nelle persone eccezionali, il divino che esiste vergognosamente incatenato nell'effimero corpo umano irradiava fuori di lui la sua splendida luce.

Eustacia ne fu straordinariamente colpita. Nello stato d'animo d'eccitazione e d'esaltazione in cui già prima si trovava, anche l'uomo più banale le avrebbe fatto una certa impressione; ma Yeobright creò in lei un turbamento profondo.

Lo spettacolo ebbe fine: tagliarono la testa del Saraceno e San Giorgio si proclamò vincitore. Nessuno fece commenti, come nessuno si sarebbe sognato di commentare o discutere sul fatto che i funghi spuntano in autunno e i bucaneve in primavera. Accettavano con la stessa passività il senso del dramma e la recitazione degli attori. Era una parentesi allegra attraverso cui si doveva passare nel corso delle feste natalizie, e basta.

Cantarono la mesta nenia che segue la fine dello spettacolo, mentre tutti i morti si levavano in piedi, silenziosi e spettrali, come i fantasmi dei soldati di Napoleone nella Rivista di Mezzanotte. Poi si aprì la porta e si vide comparire sulla soglia Fairway, accompagnato da Christian e da un altro. Avevano aspettato fuori che finisse la recita, come prima gli attori avevano aspettato che finisse la danza.

«Avanti, avanti,» disse la signora Yeobright; e Clym mosse loro incontro per salutarli. «Come mai così tardi ? Nonno Cantle è arrivato da un pezzo: pensavamo che sareste venuti con lui, dato che abitate così vicino.»

«Certo avrei potuto venir prima,» disse Fairway; poi s'interruppe cercando con gli occhi nel soffitto un chiodo a cui appendere il cappello; ma, vedendo che quello a cui lo appendeva di solito era occupato da un rametto di vischio e che a tutti gli altri chiodi nel muro erano appesi mazzetti d'agrifoglio, finì col liberarsi del copricapo mettendolo in precario equilibrio tra la cassa delle candele e quella del pendolo. «Sarei dovuto venir prima, signora,» riprese, con tono dignitoso, «ma so come sono queste feste, non c'è mai abbastanza posto nelle case e così ho preferito aspettare un po' perché tutti fossero sistemati.»

«Anch'io ho pensato lo stesso, signora Yeobright,» s'affrettò a dire Christian; «ma mio padre aveva fretta di venire, da vero indiscreto qual è, ed è partito di casa prima che facesse scuro. Gli ho detto che non era corretto per un vecchio come lui venire in anticipo; ma le mie parole son state inutili.»

«Ma guarda un po'! Chissà perché avrei dovuto aspettare che il divertimento fosse quasi finito! Quando si tratta di far festa nessuno corre più svelto di me!» si levò la voce gracchiante di nonno Cantle dal sedile nell'interno del camino.

Intanto Fairway aveva osservato Yeobright con occhio critico. «Potrete credermi o meno,» disse infine, rivolgendosi agli altri nella stanza, «ma non avrei riconosciuto questo signore se l'avessi incontrato fuori di casa sua; è molto cambiato.»

«Anche tu sei cambiato, e direi in meglio, Timothy,» disse Yeobright, osservando la solida e robusta figura di Fairway.

«Guardi un po' anche me, signor Yeobright. Anch'io sono cambiato in meglio, non le sembra?» disse nonno Cantle, alzandosi e venendosi a collocare a pochi centimetri di distanza dagli occhi di Clym, offrendosi all'indagine più attenta.

«Certo che vi guarderemo,» disse Fairway, prendendo in mano la candela e facendola passare sul volto del nonno, mentre l'oggetto dell'esame s'illuminava di un sorriso ed esprimeva la sua gioia con gesti giovanili.

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«Non è cambiato molto,» disse Yeobright.«Se mai, il nonno è ringiovanito,» aggiunse Fairway con tono definitivo.«Non è merito mio e non ho quindi di che inorgoglirmi,» disse il vecchio, soddisfatto. «Ma non riesco a guarire

delle mie follie; e mi dichiaro quindi colpevole. Sì, Mastro Cantle è sempre stato così, lo sappiamo. Ma non valgo nulla al suo confronto, signor Clym.»

«Come noi tutti, del resto,» disse Humphrey, in tono di calda ammirazione, ma a bassa voce perché gli altri non sentissero.

«Nessuno dei presenti potrebbe venir secondo o anche terzo dopo di lui, se io non fossi stato soldato nei "Campioni territoriali", così ci chiamavano per la nostra eleganza,» disse nonno Cantle. «E anche così non facciamo una gran figura vicino a lui. Ma nel '4 qualcuno disse che in tutto il Wessex meridionale non c'era un soldato più bello di me quando mi videro passare davanti alle vetrine con tutta la compagnia il giorno che scappammo da Budmouth perché si credeva che il Bonaparte fosse sbarcato lì vicino. Bisognava vedermi, diritto come un giovane pioppo, col fucile e la giberna e le ghette e il sottogola che mi tagliava le mascelle, tutto bello e lucido come uno specchio. Sì, vicini cari, ero uno spettacolo da vedere quando facevo il soldato. Avreste dovuto conoscermi nel '4!»

«Clym ha preso tutto dalla parte di sua madre, che Dio la benedica,» disse Timothy. «Conoscevo bene i suoi fratelli. Per nessun altro, in tutta la contea del Wessex occidentale, si fecero bare lunghe come per loro; eppure si dice che bisognò piegare un poco le gambe del povero George.»

«Bare, dove?» chiese Christian, avvicinandosi. «È comparso il fantasma di qualcuno, vicino Fairway?»«No, no. Non lasciarti impressionare dalle parole, Christian; e comportati da uomo,» disse Timothy in tono di

rimprovero.«Certo,» disse Christian. «Ma, ora che ci penso, ieri sera la mia ombra aveva proprio la forma d'una bara. Che

cosa succede quando la nostra ombra ha la forma d'una bara, vicini? C'è da aver paura?»«Paura? Ma no!» disse il nonno. «Io non ho mai avuto paura di nulla, tranne che del Bonaparte, altrimenti non

sarei stato un bravo soldato. Sì, è un vero peccato che non mi abbiate visto nel '4!»Gli attori intanto si preparavano ad andarsene; ma la signora Yeobright li trattenne invitandoli a una cenetta:

invito che Babbo Natale, a nome di tutti, s'affrettò ad accettare.Eustacia fu lieta di poter rimanere ancora un poco. Pensava con sgomento alla gelida notte che avrebbe dovuto

affrontare fuori. Ma anche lì non si trovava in una situazione facile. Non essendoci spazio sufficiente nella sala, la signora Yeobright sistemò una panca per le maschere a metà nel salotto e a metà nell'attigua dispensa. Su questa panca si sedettero tutti in fila, lasciando aperta la porta: erano così praticamente ancora nella stessa stanza. La signora Yeobright mormorò alcune parole a suo figlio che attraversò la sala dirigendosi verso la porta della dispensa, battendo, mentre passava, la testa contro i ciuffi di vischio, e portò alle maschere pane e carne, focaccia, pasticcini, idromele e vino di sambuco: servivano lui e la madre perché la servetta, considerata quella sera un'ospite, potesse far festa anche lei. Le maschere si tolsero gli elmi, e si misero a mangiare e a bere.

«Non vuol proprio nulla?» disse Clym al Cavaliere Turco, fermandosi dinanzi al guerriero col vassoio in mano. Eustacia aveva rifiutato e rimaneva con l'elmo in testa e la faccia coperta; si vedeva soltanto scintillare il suo sguardo tra i nastri che le nascondevano il volto.

«Nulla, grazie,» rispose Eustacia.«Deve perdonarlo, è molto giovane,» disse il Saraceno, in tono di scusa. «Non è uno dei nostri; ci ha

accompagnati perché l'altro non ha potuto venire.»«Ma vorrà pur prender qualcosa,» insistè Yeobright. «Almeno un bicchiere d'idromele o di vino di sambuco.»«Ma sì, quello almeno,» disse il Saraceno. «Così non sentirà tanto freddo quando torneremo a casa.»Eustacia non poteva mangiare senza scoprirsi la faccia, ma poteva bere benissimo attraverso la maschera.

Accettò quindi il vino di sambuco e il bicchiere scomparve sotto i nastri.Più d'una volta, mentre beveva, Eustacia temette di venir scoperta; e provò una gioia piena di paura. Quelle

attenzioni usate a lei, anche se non veramente a lei ma a un personaggio fittizio, dal primo uomo ch'ella si fosse mai sentita disposta ad adorare, complicavano in modo indescrivibile il suo sentimento e il suo stato d'animo. S'era innamorata di lui in parte perché in quell'ambiente rappresentava qualcosa d'eccezionale, in parte perché aveva deciso di amarlo, e soprattutto perché provava un bisogno disperato d'amar qualcuno, dopo essersi stancata di Wildeve. Convinta di doverlo amare suo malgrado, si trovava nella condizione del secondo Lord Lyttleton e altre persone che, avendo sognato che sarebbero morti un certo giorno, avevan finito col morire davvero sotto l'influsso della loro morbosa fantasia. Convincete una ragazza che s'innamorerà di qualcuno in un dato posto e in un dato giorno, e la cosa è fatta.

Che cosa fece sospettare a Yeobright il sesso della creatura nascosta sotto quel travestimento di fantasia? Come intese la sua forza e la sua capacità di amare e di farsi amare? Come si rese conto della sua superiorità sui compagni? Quando la Dea dell'amore apparve travestita agli occhi di Enea, un profumo sovrannaturale l'accompagnò rivelandone l'essenza. Se un'emanazione misteriosa di questo genere venne mai proiettata dai sentimenti d'una donna terrena sul loro oggetto, fu questa a rendere Yeobright accorto della presenza di Eustacia. Dopo averla guardata un momento con aria pensosa, parve che s'abbandonasse a una specie di fantasticheria, quasi dimentico di quel che stava guardando. Poi, dopo un momento, s'allontanò, e Eustacia sorseggiò il vino senza sentirne il sapore. L'uomo che ella aveva deciso di amare con tutta la sua passione entrò nella stanza più piccola e l'attraversò.

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Come già s'è detto, le maschere erano sedute su una panca, di cui un'estremità arrivava sin nella vicina dispensa, non essendoci posto sufficiente nella stanza più grande. In parte per timidezza, Eustacia aveva scelto il posto al centro, da cui poteva vedere sia l'interno della dispensa, sia la stanza in cui c'erano gli ospiti. Quando Clym attraversò la dispensa, i suoi occhi lo seguirono nella penombra. C'era in fondo una porta che, proprio quand'egli stava per spingerla, venne aperta da qualcuno all'interno; ne uscì una striscia di luce.

Quel qualcuno era Thomasin, che comparve con una candela in mano, il volto ansioso, pallido e delicato. Yeobright parve contento di vederla e le strinse la mano. «Bene, Tamsie,» disse cordialmente, come tornando in sè alla sua vista, «sono contento che tu abbia deciso di scendere.»

«No, no...» s'affrettò a rispondere la ragazza. «Sono venuta soltanto per parlarti.»«Ma perché non vuoi far festa con noi?»«Non posso. O almeno preferirei non farlo. Non sto molto bene e avremo tanto tempo per stare insieme, dato

che rimarrai a casa per un pezzo.»«Senza di te è molto meno bello. Davvero non ti senti bene?»«Non tanto bene, caro cugino... qui,» diss'ella, posando scherzosamente la mano sul cuore.«Forse la mamma avrebbe dovuto invitare qualcuno che stasera non è presente?»«No, no. Sono scesa semplicemente per chiederti, Clym...» A questo punto egli la seguì nella stanza vicina e

chiuse la porta; Eustacia e la maschera seduta vicino a lei, gli unici che avessero potuto seguire l'incontro, non videro nè udirono altro.

Eustacia sentì una vampata di calore salirle alla testa e alle guance. Immediatamente intuì che, essendo a casa da due o tre giorni soltanto, Clym non sapeva ancor nulla delle mancate nozze di Thomasin con Wildeve; e, vedendo che continuava a vivere in casa sua come prima ch'egli se ne andasse, naturalmente non aveva sospettato di nulla. Anche se Thomasin era ancora innamorata d'un altro, quanto sarebbe durato questo suo sentimento, se continuava a vivere accanto a quel cugino così interessante e che aveva tanto viaggiato? Nulla impediva che, vivendo così vicini e senza nulla che li distraesse, un sentimento nuovo nascesse ben presto tra i due. Anche se l'amore che Clym le aveva portato da ragazzo s'era spento, poteva assai facilmente riaccendersi.

Eustacia si sentì allora vittima della propria astuzia. Aveva fatto torto a se stessa presentandosi così vestita mentre un'altra poteva mostrarsi nella luce migliore! Se avesse immaginato una cosa simile avrebbe fatto fuoco e fiamme per poter intervenire alla festa nel suo aspetto normale. Così non poteva valersi della forza espressiva del suo volto, nè far sentire il fascino del suo sentimento nascosto, nè esercitare alcuna civetteria. Non le rimaneva che la voce: le pareva d'essere diventata Eco. «Nessuno qui mi rispetta come merito,» disse a se stessa. Dimenticava che, presentandosi come un ragazzo insieme ad altri ragazzi, come un ragazzo doveva essere trattata. Ma la situazione l'aveva resa così sensibile e suscettibile che non riusciva a mandar giù l'indifferenza con cui la consideravano, benché l'avesse provocata lei stessa e fosse perfettamente giustificata.

Molte donne hanno ottenuto travestendosi ottimi risultati. Lasciando da parte le più importanti che, come una certa bella interprete di Polly Peachum agli inizi del secolo scorso, e un'altra di Lydia Languish all'inizio di questo hanno conquistato non l'amore soltanto ma anche il titolo di baronessa, molte sono quelle che han saputo far innamorare di sè quelli che volevano. Ma i nastri svolazzanti, di cui non osava liberarsi, toglievano al Cavaliere Turco ogni possibilità di successo.

Yeobright ritornò solo nella stanza, senza la cugina. A due o tre passi da Eustacia si fermò, come se fosse nuovamente colpito da un pensiero. La guardava. Sconcertata, ella distolse lo sguardo dal suo, chiedendosi quanto sarebbe durato questo supplizio. Dopo un momento, egli si mosse e s'allontanò.

Si direbbe che un istinto induca certe donne appassionate ad accogliere con sollievo la propria sconfitta amorosa. Sentimenti contrastanti d'amore, di paura e di vergogna crearono in Eustacia uno stato di disagio profondo. Desiderava intensamente andarsene subito. Ma gli altri attori non sembravano averne la minima intenzione; e allora, mormorando al ragazzo seduto accanto a lei che preferiva aspettare all'aperto, si avvicinò alla porta cercando di farsi notare il meno possibile, l'aprì e uscì.

Il paesaggio calmo e solitario le ridiede una certa sicurezza. Andò sino alla staccionata e vi si appoggiò, rimanendo in contemplazione della luna. Era lì da qualche minuto quando la porta si riaprì. Credendo che fossero quelli della sua banda, Eustacia si volse: ma no... era Clym Yeobright che, uscito come lei senza farsi notare, chiudeva ora la porta dietro di sè.

Venne avanti e si fermò accanto a lei. «Mi è venuta un'idea bizzarra,» disse, «e vorrei farle una domanda. Lei è una donna?... oppure m'inganno?»

«Sono una donna.»Gli occhi di Clym si fermarono su di lei con interesse. «Non sapevo che anche le ragazze recitassero. Una volta

non usava.»«Non usa neanche adesso.»«E allora perché l'ha fatto?»«Per far qualcosa di diverso dal solito e non sentirmi più tanto depressa,» diss'ella a bassa voce.«Che cosa la deprimeva?»«La vita.»«È una cosa a cui molti hanno dovuto adattarsi.»

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«Lo so.»Seguì un lungo silenzio. «S'è divertita almeno?» chiese finalmente Clym.«In questo momento forse mi diverto.»«Le spiace esser stata scoperta?»«Sì; anche se in fondo me l'aspettavo.»«Sarei stato felice d'invitarla alla nostra festa, se avessi saputo che desiderava venirci. Ci siamo conosciuti da

ragazzi?»«No, mai.»«Non vuole rientrare e trattenersi ancora un po'?»«No. Non voglio che altri mi riconoscano.»«Bene, di me può essere sicura.» E, dopo aver riflettuto un momento, aggiunse con dolcezza: «Non voglio

importunarla. Il nostro è uno strano incontro e non oso chiederle perché una damigella come lei abbia voluto far questa parte.»

Ella non glielo spiegò, come sembrava ch'egli sperasse, e Clym le augurò allora la buona notte; poi andò dietro la casa, dove rimase per un po' a passeggiare su e giù da solo prima di rientrare.

Riscaldata da un fuoco interno, Eustacia non ebbe più la pazienza di aspettare gli altri. Buttò indietro i nastri che le nascondevano il volto, aprì il cancello e s'avviò per la brughiera. Non aveva fretta. A quell'ora il nonno era a letto, ed ella aveva l'abitudine di andare a spasso per le colline nelle notti di luna; non si preoccupava quindi delle sue uscite e dei suoi ritorni e, facendo anch'egli quel che gli piaceva, la lasciava libera di vivere a modo suo. Un altro problema la preoccupava ora assai più che quello di rientrare in casa. Per poca curiosità che avesse, Yeobright avrebbe immancabilmente scoperto il suo nome. E poi? Provò dapprima una certa esaltazione ricordando come s'era conclusa l'avventura, anche se provava a tratti, tra un attimo e l'altro di gioia, brividi di timidezza e di vergogna. Poi un pensiero venne a raffreddare il suo entusiasmo: a che serviva quanto aveva fatto? Per la famiglia Yeobright ella era un'estranea qualunque. L'irrazionale alone romantico di cui aveva circonfuso quell'uomo poteva essere per lei causa di profonda infelicità. Come aveva potuto infatuarsi a tal punto d'uno che non conosceva? E per di più, a colmare la coppa del suo affanno, ecco il pensiero di Thomasin, che, vivendogli quotidianamente accanto, ben poteva infiammarsi e infiammarlo; poichè sapeva ora che, contrariamente a quanto aveva prima creduto, sarebbe rimasto a casa per un pezzo.

Giunta al cancelletto di Mistover Knap, si voltò ancora una volta a contemplare la brughiera. La sagoma del Rainbarrow era visibile al disopra delle colline, e la luna sembrava posarsi su di essa. L'aria era greve di silenzio e di gelo. Eustacia ricordò allora una cosa di cui sino a quel momento s'era completamente dimenticata. Aveva promesso d'incontrarsi con Wildeve al Rainbarrow proprio quella sera alle otto, per dargli una risposta definitiva circa la sua proposta di fuga.

Era stata lei a fissare il giorno e l'ora. Probabilmente egli era andato all'appuntamento, l'aveva aspettata al freddo ed era rimasto terribilmente deluso.

«Bene, tanto meglio; non gli avrà fatto certo male,» disse serenamente. Wildeve appariva ora ai suoi occhi come l'orbita di un sole senza raggi visto attraverso una lente affumicata, ed ella poteva quindi dir cose di questo genere con la massima indifferenza.

A lungo rimase immersa nei suoi pensieri; e di nuovo ricordò i modi affettuosi di Thomasin con il cugino.«Oh, se avesse sposato Damon prima dell'arrivo di Clym!» disse. «E l'avrebbe sposato se non fosse stato per

me! Se soltanto avessi saputo... se soltanto avessi saputo!»Di nuovo Eustacia levò verso la luna i profondi occhi tempestosi e, esalando quel suo tragico sospiro così

simile a un brivido, scomparve nell'ombra del tetto. Si tolse il travestimento sotto la tettoia, ne fece un fagotto, poi entrò in casa e salì nella sua camera.

BELLEZZA E BIZZARRIA

Data la profonda indifferenza del capitano per quel che faceva la nipote, Eustacia era libera come un uccellino di seguire tutti i propri umori e capricci; ma il caso volle che il mattino seguente il nonno si sentisse in dovere di chiederle perché era tornata a casa così tardi la sera prima.

«Son stata in cerca d'avventure, nonno,» diss'ella, guardando fuori della finestra, con quel tono di misteriosa sonnolenza che rivelava una forza nascosta, pronta a scattare non appena si premesse il grilletto.

«Mi sembra di sentir parlare uno dei miei amici di quando avevo vent'anni.»«È così noiosa la vita qui: non c'è mai nessuno.»«Tanto meglio. Se vivessimo in una città avrei il mio da fare a sorvegliarti. Credevo però di trovarti a casa

quando son tornato dalla "Buona Donna".»«Ti racconterò quel che ho fatto. Avevo voglia di divertirmi e sono andata con le maschere. Ho fatto la parte

del Cavaliere Turco.»«Ma no, via! Ah, ah! Che diamine! Non mi sarei mai aspettata una cosa simile da te, Eustacia!»«È la prima volta che ho recitato, e sarà certamente anche l'ultima. Ho voluto dirtelo, ecco... ma ricordati, è un

segreto.»

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«Si capisce. Ma, Eustacia, come hai potuto... Ah! Ah! La cosa m'avrebbe molto divertito quarant'anni fa! Però bada a non farlo più, ragazza. Puoi andare a spasso per la brughiera giorno e notte, se vuoi, purchè tu non mi combini dei guai; ma ti proibisco di vestirti da uomo.»

«Non preoccuparti per me, nonno.»Qui la conversazione ebbe termine. L'educazione morale di Eustacia non era stata mai molto severa; e,

qualunque ne fosse il risultato, non era certo costata al nonno una gran fatica. Ma ella non si fermò ora a pensare a se stessa; e, piena d'appassionato, straordinario interesse per uno che non conosceva neanche il suo nome, uscì nell'ampia e incolta distesa bruno-gialla, irrequieta come l'ebreo Assuero. S'era allontanata di casa un mezzo miglio quando da un piccolo avvallamento poco distante vide emergere qualcosa d'un rosso sinistro, fosco, spettrale come un fuoco acceso nella luce del sole; e subito capì che si trattava di Diggory Venn.

Quando, nel corso del mese precedente, i contadini che volevano rifare la loro provvista d'ocra, avevano chiesto dove si poteva trovare Venn, s'erano sentiti rispondere: «Nella brughiera di Egdon.» Passavano i giorni e la risposta era sempre la stessa. Ora, siccome a Egdon c'erano più cavallini e tagliatori di ginestra che pecore e pastori, e le dune abitate dalle greggi si trovavano alcune a nord, altre a ovest di Egdon, non si capiva perché si ostinasse a rimanere in quel posto, come Israele a Zin. Era un posto centrale e a volte poteva anche esser comodo. Ma la vendita dell'argilla non era lo scopo principale per cui Diggory rimaneva nella brughiera, soprattutto in questa stagione dell'anno, quando gran parte dei suoi colleghi s'erano ormai ritirati nelle loro sedi invernali.

Eustacia guardò l'uomo solitario. Durante il loro ultimo incontro, Wildeve le aveva parlato dell'accenno fatto dalla signora Yeobright a Venn, come pretendente ansioso di prendere il suo posto quale fidanzato di Thomasin. Aveva un fisico perfetto, un volto giovane e dai lineamenti regolari, l'occhio luminoso, l'intelligenza sveglia e una posizione che, volendo, avrebbe potuto facilmente migliorare. Ma, nonostante tutto questo, era ben poco probabile, anche se possibile, che Thomasin accettasse di sposare quell'essere dall'aspetto diabolico quando aveva al suo fianco un cugino come Yeobright e anche un Wildeve tutt'altro che disprezzabile. Eustacia aveva capito subito che la povera signora Yeobright, preoccupata per l'avvenire della nipote, aveva parlato di questo pretendente per stimolare l'ardore dell'altro; si sentiva ora dalla parte dei Yeobright e, mettendosi nei panni della zia, la capiva perfettamente.

«Buon giorno, signorina,» disse il venditore d'ocra, togliendosi il berretto di pelo di lepre, evidentemente non serbandole rancore per quanto s'erano detti nell'ultimo incontro.

«Buon giorno,» diss'ella, senza neppure darsi la pena di sollevare le grevi palpebre per guardarlo. «Non sapevo ch'eravate ancora da queste parti. Il vostro carrozzone è qui vicino?»

Venn indicò col gomito un avvallamento in cui una fitta macchia di cespugli di rovo dagli steli violacei s'era tanto allargata da formare una specie di grotta. I rovi, anche se poco comodi da maneggiare, costituiscono un accogliente rifugio all'inizio dell'inverno, essendo tra gli ultimi alberi cedui a perder le foglie. Si vedevano il tetto e il camino del carrozzone di Venn dietro l'intricato disegno della macchia.

«Vi siete stabilito qui?» chiese Eustacia, con maggiore interesse.«Sì, ho una faccenda da sbrigare.»«Vendere l'ocra ?»«No. L'ocra non c'entra.»«C'entra invece la signorina Yeobright?»L'espressione del volto di Eustacia sembrava chiedere una pace armata, e l'uomo rispose quindi francamente.

«Sì, signorina; sto qui proprio per lei.»«In attesa di sposarla?»Nonostante la tinta che lo ricopriva, il volto di Venn arrossì violentemente. «Non si faccia beffe di me,

signorina Vye,disse.»«Non è vero, forse?»«Non è vero affatto.»Ella si convinse allora che il venditore d'ocra era per la signora Yeobright un semplice pis aller; e che non

sapeva neppure d'essere stato promosso alla funzione di pretendente. «Era un'idea mia,» disse Eustacia lentamente; e stava per proseguire per la sua strada senza dir altro, quando, guardando a destra, vide una figura a lei anche troppo nota che saliva a zig zag per uno dei sentierini che portavano in cima. Seguendo le curve della strada, ora voltava loro la schiena. Si guardò rapidamente intorno: c'era un modo solo per non incontrarlo.

Volgendosi a Venn, disse: «Mi permettete di riposare per alcuni minuti nel vostro carrozzone? Sono stanca e mi secca sedermi sull'erba bagnata.»

«Certo, signorina; s'accomodi.»Ella lo seguì dietro la siepe di rovi sino alla sua casa viaggiante; Venn vi salì e tirò vicino alla porta lo sgabello

a tre gambe.«Non ho di meglio da offrirle,» disse, ridiscendendo e tornando sul sentiero, dove ricominciò a fumare la pipa,

camminando avanti e indietro.Eustacia salì sul carro con un salto e si sedette sullo sgabello, nascondendosi dietro la porta. Ben presto udì il

suono d'altri passi oltre a quelli del venditore d'ocra, il poco cordiale «buon giorno» che i due uomini si scambiarono nell'incontrarsi, poi i passi d'uno che s'allontanava. Allungando il collo, potè scorgere la schiena e le spalle del passante;

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e provò una stretta al cuore, non avrebbe saputo dire il perché. Era la pena che, quando il volubile cuore abbia una certa dose di generosità, accompagna la vista improvvisa d'uno che si amava un tempo e che ora non si ama più.

Quando Eustacia scese dal carrozzone per riprendere la sua strada, il venditore d'ocra le si avvicinò. «Quello che è passato era il signor Wildeve, signorina,» disse lentamente, quasi la pensasse spiacente di non averlo incontrato.

«Sì, l'ho visto venir su per la collina,» rispose Eustacia. «Crede forse che m'interessi?» Era una domanda un po' strana, dato che il venditore d'ocra conosceva la sua passione d'un tempo; ma i suoi modi alteri sapevano imporsi a quelli che trattava come estranei e inferiori.

«Sono lieto di sentirglielo dire,» ribattè l'uomo con tono brusco. «E, ora che ci penso, s'accorda perfettamente con quanto ho visto ieri sera.»

«Ah!... E che cosa avete visto?» Eustacia avrebbe voluto andarsene, ma desiderava troppo sapere.«Il signor Wildeve è stato al Rainbarrow un bel pezzo, aspettando una donna che non è venuta.«Si direbbe che abbiate aspettato anche voi, però.»«Sì, io aspetto sempre. E ho goduto nel vederlo deluso. Verrà di nuovo questa sera.»«E sarà deluso di nuovo. La verità è, mio caro, che la donna a cui alludete, anzichè impedire il matrimonio di

Thomasin col signor Wildeve, farebbe di tutto per promuoverlo.»La dichiarazione lasciò Venn stupefatto, anche se seppe non dimostrarlo troppo; si può rivelar stupore alle

osservazioni che differiscono d'un punto da quel che ci si aspetta, ma lo si trattiene in genere in quei casi complicati in cui i punti sono più d'uno e di genere diverso. «Benissimo, signorina,» rispose.

«Come fate a sapere che il signor Wildeve verrà di nuovo al Rainbarrow questa sera?» chiese Eustacia.«Gliel'ho sentito dire. Parlava tra sè. Era veramente furioso.»Per un momento Eustacia permise al suo volto di esprimere quel che veramente sentiva e, levando i profondi

occhi scuri a incontrare i suoi, mormorò: «Non so proprio che cosa fare. Non voglio esser scortese con lui; ma non ho più voglia di vederlo; e ho alcune cosette da restituirgli.»

«Se vuole affidarle a me, signorina, con un biglietto per dirgli che non intende più parlargli, posso portargliele, con la massima discrezione. Sarebbe questo il modo migliore per fargli conoscere le sue intenzioni.»

«Benissimo,» disse Eustacia. «Venite con me a casa, e vi dò subito tutto.»S'avviò, e siccome il sentiero era una semplice, esile pista che divideva i brandelli frastagliati della brughiera,

l'uomo la seguì da vicino. Ella vide di lontano che il capitano, sul bastione, stava scrutando l'orizzonte col cannocchiale; e, ordinando a Venn d'aspettarla in quel punto, entrò in casa sola.

Dieci minuti dopo tornava con un pacchetto e una lettera; porgendoglieli, disse: «Perché ci tenete tanto a servirmi in questa faccenda?»

«Ha forse bisogno di chiedermelo?»«Forse credete così di servire in qualche modo Thomasin. Ma desiderate davvero che sposi Wildeve?»Venn parve toccato. «Certo avrei preferito sposarla io,» disse a bassa voce. «Ma se davvero non può essere

felice senza di lui, farò il mio dovere d'uomo, cercando d'aiutarla a sposarlo.»Eustacia guardò con una certa curiosità l'uomo singolare che parlava in quel modo. Che strano amore era mai il

suo, assolutamente libero da quell'egoismo che è spesso l'elemento principale, se non addirittura l'unico, della passione! Un simile disinteresse era così degno di rispetto, che quasi non si riusciva a rispettarlo, tanto era difficile comprenderlo; sembrava addirittura assurdo.

«Allora finalmente ci troviamo d'accordo,» ella disse.«Sì,» rispose Venn, con tono malinconico. «Ma io sarei più tranquillo, signorina, se volesse dirmi perché si

preoccupa tanto di Thomasin. Il cambiamento mi sembra così improvviso e così strano!»Eustacia non seppe che cosa rispondere. «Questo non glielo posso dire,» ribattè freddamente.Venn non disse altro. Mise in tasca la lettera e, con un inchino, s'allontanò.Il Rainbarrow era diventato di nuovo tutt'uno con la notte mentre Wildeve saliva il declivio che portava alla

sua base. Quando giunse in cima, una figura parve emergere dalla terra proprio dietro di lui. Era l'ambasciatore di Eustacia. Battè sulla spalla di Wildeve. L'agitato locandiere ed ex ingegnere soprassaltò come Satana al tocco della spada d'Ituriele.

«L'appuntamento è sempre alle otto, in questo stesso posto, disse Venn, «ed eccoci qui... tutti e tre.»«Tutti e tre?» disse Wildeve, gettando un'occhiata attorno.«Sì; lei, io, e la ragazza. Eccola qui.» E, così dicendo, gli porse la lettera e il pacchetto.Wildeve li prese, stupito. «Non capisco che cosa significa tutto questo,» disse. «Che cosa c'entra lei? Qui ci

dev'essere un errore.»«Capirà tutto quando avrà letto la lettera. Le faccio luce.» Accese un fiammifero, lo accostò a un mozzicone di

candela che aveva portato con sè, riparandolo dal vento col berretto.«Ma chi è lei?» chiese Wildeve, scorgendo alla luce della candela la strana tinta rossa dell'uomo. «È il

venditore d'ocra che ho visto stamane sulla collina... Ho capito, lei è l'uomo che...»«Legga il biglietto, la prego.»«Non mi stupirebbe se venisse da parte dell'altra», mormorò Wildeve mentre apriva la lettera e incominciava a

leggerla. Ma subito il suo volto si fece serio.

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«Dopo averci riflettuto a lungo, ho deciso una volta per tutte di romperla con te. Più ci penso, più mi convinco che tra noi deve cessare ogni rapporto. Se, in questi ultimi due anni, tu mi fossi stato sempre fedele, avresti forse ragione d'accusarmi ora di crudeltà; ma se ti soffermi a pensare quanto ho sofferto quando mi hai abbandonata e con quanta rassegnazione ho lasciato che tu corteggiassi un'altra senza dire una parola, dovrai riconoscere che ora ho pienamente il diritto di agile secondo il mio sentimento. Può darsi che sia colpa mia se non provo più per te quel che provavo una volta, ma non potrai certo rimproverarmene se ricordi che mi hai lasciata per Thomasin.

«Il latore di questa mia ti consegnerà i piccoli doni che mi hai fatto nei primi tempi della nostra amicizia. Veramente avrei dovuto rimandarteli prima, appena ti sei fidanzato con un'altra.

Eustacia»

Quando Wildeve giunse alla firma, lo stupore con cui aveva letto la prima parte del biglietto si trasformò in umiliazione. «Si direbbe che si siano messe d'accordo per farsi beffe di me, esclamò con dispetto. «Lei sa che cosa c'è in questa lettera?»

Invece di rispondere, Venn si mise a canterellare.«Perché non risponde?» chiese Wildeve, risentito.«Trallarà, trallarà, trallarà,» continuò a canterellare l'altro.Per un momento Wildeve tenne lo sguardo fisso in terra, ai piedi di Venn, finchè, facendosi coraggio, risalì con

gli occhi la figura del giovane illuminata dalla candela, sino a vederne la testa e il volto. «Ah, ah! In fondo ho quel che mi merito, visto che mi sono divertito con entrambe,» disse alla fine, più a se stesso forse che a Venn. «Ma mi sembra molto strano che sia proprio lei a portarmi questa roba. Non mi sembra nel suo interesse.»

«Nel mio interesse?»«Certo. Non è nel suo interesse incoraggiarmi in ogni modo a tornare da Thomasin, ora che ha accettato, o

quasi, di sposare lei. La signora Yeobright mi ha detto che vi sposerete. È vero?»«Buon Dio! Già qualcun altro me l'ha detto, ma non ci volevo credere. Quando mai la signora Yeobright ha

affermato una cosa simile?»Fu ora la volta di Wildeve di mettersi a canterellare.«E neanche adesso ci credo,» gridò Venn.«Trallarà, trallarà, trallarà,» continuò Wildeve.«Oh, è proprio bravo a imitarmi!» gridò Venn, con disprezzo. «Comunque la cosa va chiarita. Vado subito da

lei.»Diggory s'allontanò a grandi passi, mentre Wildeve lo osservava con sprezzante derisione, come se fosse stato

un animale. Quando la sua figura non fu più visibile, anche Wildeve scese la collina e scomparve nell'ombra cupa della valle.

Perdere tutt'e due le donne - dopo esser stato amato da entrambe - era un'ironia troppo crudele. Soltanto sposando Thomasin poteva salvare la faccia; e, una volta che fosse diventato suo marito, Eustacia si sarebbe pentita e il rimorso l'avrebbe tormentata per un pezzo. Non è meraviglia che Wildeve, ignorando l'arrivo dell'uomo nuovo, ancora nascosto dietro lo quinte, pensasse a una specie di ricatto da parte di Eustacia. Per credere che la lettera non fosse stata scritta in un momento di dispetto passeggero, per convincersi ch'ella veramente fosse disposta a cederlo a Thomasin, avrebbe dovuto conoscere il cambiamento avvenuto in lei sotto l'influenza di quell'uomo. Chi poteva immaginare ch'ella era diventata generosa perché perdutamente avida d'una passione nuova, che, desiderando un cugino, era pronta a favorire la cugina, ch'era disposta a cedere perché ansiosa di conquistare?

Ben deciso a sposarsi subito, spezzando così il cuore dell'orgogliosa ragazza, Wildeve continuò la sua strada.Diggory Venn intanto era ritornato al suo carrozzone, dove rimase a lungo in piedi dinanzi alla stufa, immerso

nei suoi pensieri. Una prospettiva nuova s'apriva dinanzi a lui. Ma, per quanto promettente potesse apparire il fatto che la signora Yeobright lo considerava un possibile candidato alla mano di sua nipote, per ottenere il consenso di Thomasin una cosa era indispensabile: rinunciare alla vita nomade che conduceva. E la cosa non gli sembrava molto difficile.

Era troppo impaziente di vedere Thomasin e parlarle della cosa per aspettare il mattino seguente. Subito si diede da fare a lavarsi, tirò fuori da una cassa un vestito pulito e, dopo una ventina di minuti, nessuno avrebbe più potuto riconoscere in lui il venditore d'ocra: soltanto alcune ombre rosse, che non si potevano cancellare in un giorno, gli rimanevano sul volto a ricordare il suo mestiere. Chiusa la porta con un lucchetto, s'avviò verso Blooms-End.

Era arrivato alla staccionata bianca e già la sua mano si posava sul cancello quando la porta della casa si aprì per richiudersi subito. Una figura femminile rientrò rapidamente. Nello stesso momento un uomo, che evidentemente era stato in compagnia della donna sotto il portico; avanzò sino a trovarsi faccia a faccia con Venn. Era di nuovo Wildeve.

«È stato svelto, per diancine,» disse Diggory, sarcastico.«E lei invece è arrivato in ritardo, come vedrà,» disse Wildeve. «E,» aggiunse, abbassando la voce, «le

consiglio di tornarsene indietro. Ho proposto a Thomasin di sposarmi subito e ha accettato. Buona notte, amico!» Detto questo, s'allontanò.

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Venn si sentì mancare il cuore, anche se non s'era mai eccessivamente illuso. Per circa un quarto d'ora rimase appoggiato alla staccionata, incerto e indeciso. Poi percorse il vialetto del giardino, bussò alla porta e chiese della signora Yeobright.

Invece di farlo entrare, venne lei a riceverlo sulla porta. Per poco più di dieci minuti, i due parlarono con tono basso e tranquillo. Poi la signora Yeobright rientrò in casa e Venn rifece tristemente la via della brughiera. Quando fu di nuovo nel carrozzone, accese la lanterna e, con volto apatico, si tolse gli abiti della festa; dopo pochi minuti era di nuovo, sotto tutti gli aspetti, l'uomo di prima.

FERMEZZA D'UN NOBILE CUORE

Quella sera nel tranquillo e accogliente salotto di Blooms-End dominava il silenzio. Clym Yeobright non c'era. Dopo Natale era andato per alcuni giorni a trovare un amico a circa dieci miglia di distanza.

La figura che Venn aveva visto separarsi da Wildeve sotto il portico e rientrare in casa, era quella di Thomasin. Entrando, buttò via il mantello in cui s'era avvolta in fretta e s'avvicinò al punto più illuminato della stanza, dove la signora Yeobright sedeva al suo tavolino da lavoro, messo al riparo della grossa panca che s'allungava sin nell'interno del camino.

«Non mi piace che tu esca sola quand'è buio, Thomasin,» disse calma la zia, senz'alzare gli occhi dal lavoro.«Sono soltanto uscita qui fuori.»«E allora? » chiese la signora Yeobright, colpita dal tono diverso della voce di Thomasin, e osservandola. Il

volto della ragazza era colorito più di quanto fosse mai stato da quand'erano incominciati i suoi guai; i suoi occhi scintillavano.

«È stato lui a bussare alla porta,» disse.«Me l'ero immaginato.»«Vuole che ci sposiamo subito.»«Davvero? Si è dunque deciso?» disse la signora Yeobright scrutando il volto della nipote. «E perché non è

entrato in casa?»«Non ha voluto. Dice che tu sei in collera con lui. Vorrebbe che ci sposassimo dopodomani, in forma privata;

nella chiesa della sua parrocchia, non della nostra.»«Ah! E tu che cos'hai detto?»«Ho accettato,» rispose Thomasin con fermezza. «Devo essere pratica ormai. Il cuore non c'entra più. Lo

sposerei in qualsiasi modo, dopo... dopo la lettera di Clym.»Una lettera era infatti appoggiata sul cestino da lavoro della signora Yeobright; alle parole di Thomasin, la zia

la riaprì e la lesse in silenzio per la decima volta in quella giornata:«Che cosa significa questa stupida storia che sento circolare su Thomasin e Wildeve? Sarei davvero mortificato

se ci fosse qualcosa di vero. Ma come ha potuto nascere simile diceria? Si dice che bisogna andare all'estero per saper che cosa accade in patria, ed è proprio quel ch'è accaduto a me. Naturalmente continuo a negare, ogni volta che qualcuno me ne parla; ma è una cosa seccante e davvero non capisco chi abbia messo in giro queste voci. Che cosa può aver fatto una ragazza come Thomasin per infliggerci l'onta d'essere abbandonata il giorno delle nozze?»

«Sì,» disse la signora Yeobright con tristezza, posando la lettera. «Se credi di poterlo sposare, fallo. E se Wildeve vuol farlo senza cerimonie, sia pure così. Io non ci posso far nulla. Ormai dipende unicamente da te. La mia autorità su di te ha avuto fine quando sei uscita da questa casa per andare con lui ad Anglebury.» E continuo, con una certa amarezza: «Mi chiedo addirittura perché me ne parli. Anche se tu fossi andata a sposarlo senza dirmelo, non me ne sarei avuta a male... in fondo, povera ragazza, è la miglior cosa che tu possa fare.»

«Non parlar così: mi scoraggi.»«Hai ragione; non lo farò più.»«Non voglio difenderlo, zia. La natura umana è debole e io non sono così cieca da non veder le sue

imperfezioni. Una volta lo credevo perfetto, ma ora non più. Conosco però il mio dovere e tu lo sai. E voglio sperare per il meglio.»

«Anch'io spero; e insieme dobbiamo continuare a sperare,» disse la signora Yeobright, alzandosi per darle un bacio. «Allora, se ho ben capito, le nozze dovrebbero avvenire il mattino del giorno in cui Clym ritorna?»

«Sì. Così tutto sarà a posto prima che arrivi. Dopo, potrai guardarlo francamente in faccia, e anch'io. Non ci sarà più nulla da nascondere.»

La signora Yeobright assentì col capo, pensosa; poi, improvvisamente, disse: «Vuoi che ti accompagni? Sai che son pronta a farlo, se tu lo desideri, come l'avrei fatto l'altra volta. Credo che, essendomi allora opposta alle pubblicazioni, sia questo il meno che oggi posso fare.»

«Non credo che ti pregherò d'accompagnarmi,» disse Thomasin, a malincuore ma decisa. «Son certa che finirebbe coll'essere una cosa sgradevole. È meglio che ci siano soltanto estranei, e nessun parente. Preferisco così. Non voglio far nulla che torni a tuo disdoro, e sento che, dopo quanto è avvenuto, mi sentirei a disagio se tu fossi presente. Sono soltanto tua nipote, dopo tutto, e non è affatto necessario che tu continui a preoccuparti per me.»

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«Bene, dopo tutto ha vinto lui,» disse la zia. «Si direbbe che ti abbia trattata così per vendicarsi di me, dell'umiliazione che gli avevo inflitto opponendomi al matrimonio.»

«Oh, no, non dir questo, zia,» mormorò Thomasin.Non parlarono più dell'argomento. Poco dopo fu Diggory Venn a bussare alla porta; e la signora Yeobright,

tornando dal colloquio avuto con lui sulla veranda, osservò con tono indifferente: «Un altro è venuto a chiedere la tua mano.»

«No?»«Sì: quel tipo curioso, il giovane Venn.»«Vorrebbe sposarmi?»«Sì; ma gli ho detto ch'è arrivato troppo tardi.»Thomasin guardò pensosa la fiamma della candela. «Povero Diggory,» disse, poi si scosse e passò ad altro.Il giorno seguente trascorse tutto in preparativi puramente meccanici, a cui le due donne si dedicarono tanto

più volentieri in quanto preferivano non soffermarsi troppo a considerare il lato sentimentale della cosa. Si prepararono i vestiti e le altre cose di Thomasin, e si parlò continuamente di particolari domestici, come per scongiurare ogni possibile apprensione circa il suo avvenire come moglie di Wildeve.

Venne il mattino fissato. Thomasin aveva detto a Wildeve che l'avrebbe raggiunto in chiesa per evitare qualsiasi curiosità da parte di chi li vedesse andar via insieme, come usa nel paese.

Zia e nipote erano nella stanza da letto in cui la sposa si stava vestendo. Dove arrivava a sfiorarli, il sole si specchiava nei capelli di Thomasin, sempre pettinati in grosse trecce. Li intrecciava seguendo una specie di calendario. Nei giorni feriali faceva le trecce a tre capi; le domeniche a quattro; alle feste di Calendimaggio, agli spettacoli degli zingari e simili, a cinque. Molti anni prima aveva detto che quando si sposava si sarebbe fatte le trecce a sette capi. E così le aveva oggi intrecciate.

«Ho pensato che metterò il mio vestito di seta azzurra,» disse. «È il giorno delle mie nozze, anche se un po' triste. Voglio dire,» aggiunse subito, per correggere qualsiasi impressione sbagliata, «non triste in se stesso, ma perché è stato preceduto da complicazioni e da guai.»

La signora Yeobright si lasciò sfuggire qualcosa che poteva sembrare un sospiro. «Quasi preferirei che Clym fosse qui,» disse... «Ma tu hai scelto di sposarti oggi proprio perché lui non c'è.»

«In parte sì. So d'aver fatto male a non dirgli nulla; ma non volevo dargli pena, e allora ho pensato che fosse meglio continuare sino alla fine, e dirgli tutto quando ogni nube fosse ormai scomparsa.»

«Sei proprio una savia e pratica donnina,» disse la signora Yeobright sorridendo. «Vorrei che tu e lui... No, son discorsi inutili ormai. Ecco, suonano le nove,» s'interruppe, sentendo il ronzio e il rintocco del pendolo al piano di sotto.

«Ho detto a Damon che sarei partità di casa alle nove,» disse Thomasin affrettandosi a uscir dalla stanza.La zia la seguì. Mentre Thomasin percorreva il vialetto dalla porta al cancello, la signora Yeobright la guardò

incerta e preoccupata e disse: «Mi sembra una vergogna lasciarti andar sola.»«È meglio così,», disse Thomasin.«Comunque,» disse la zia con allegria forzata, «verrò a trovarti nel pomeriggio, portando la torta. Se Clym a

quell'ora è già tornato, può darsi che venga anche lui. Voglio dimostrare a Wildeve che non gli serbo rancore. Dimentichiamo il passato. E che Dio ti benedica, cara! Anche se non credo nelle vecchie superstizioni, voglio farlo lo stesso.» Gettò una pantofola dietro la ragazza che s'allontanava; costei si voltò, sorridendo, poi continuò la sua strada.

Dopo pochi passi si volse di nuovo. «Mi avevi chiamata, zia?» chiese, con voce tremante. «Addio, allora!»Spinta da un impulso invincibile, vedendo il volto stanco e bagnato di lagrime della signora Yeobright, tornò

indietro di corsa; la zia le venne incontro e di nuovo s'abbracciarono. «Oh, Tamsie...» disse l'anziana signora, piangendo. «Mi fa pena lasciarti andare così.»

«E io... io...» incominciò Thomasin, cedendo anch'essa alla pena. Ma subito, frenandosi, disse di nuovo: «Addio!» e s'allontanò.

La signora Yeobright vide allora la sua figura avanzare tra gli spinosi cespugli di ginestra e scomparire nella valle: macchia azzurro-chiaro in un'immensa distesa scura incolore, solitaria e armata soltanto della forza della propria speranza.

Ma l'elemento peggiore della situazione era quello che non si vedeva nel paesaggio; e cioè l'uomo.Thomasin e Wildeve avevano scelto quell'ora per la cerimonia allo scopo di evitare un incontro imbarazzante

col cugino Clym, che doveva tornare a casa proprio quel mattino. Confessargli la parziale verità di quanto aveva udito sarebbe stato penoso, prima che la situazione fosse risolta. Soltanto dopo un secondo viaggio all'altare, questa volta conclusivo, Thomasin poteva rialzare la testa: si sarebbe visto allora che il matrimonio era stato rimandato soltanto per un particolare senza importanza e non per qualche ragione seria.

Non era passata mezz'ora da quando Thomasin era partita da Blooms-End che Yeobright, arrivando attraverso i prati dalla direzione opposta, entrò in casa.

«Ho fatto colazione presto,» disse alla madre, dopo averla salutata. «Prenderei volentieri qualcosa.»Sedettero a tavola ed egli continuò con voce bassa e ansiosa, evidentemente pensando che Thomasin non fosse

ancor scesa dalla sua camera: «Che cos'è questa storia di Thomasin e di Wildeve?»«È vera in gran parte,» disse la signora Yeobright con calma, «ma spero che ormai tutto sia a posto.» Guardò

l'orologio.

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«È vera?»«Sì, Thomasin lo sposa oggi.»Clym respinse il piatto che aveva davanti. «Allora c'è stato uno scandalo: ecco che cos'aveva Thomasin. Per

questo stava male?»«Sì. Ma non è stato uno scandalo; soltanto una contrarietà. Ti racconterò tutto, Clym. Non devi andare in

collera, ma ascoltare; e vedrai che abbiamo agito per il meglio.»Gli narrò allora com'erano andate le cose. Già prima di ritornare da Parigi egli sapeva che esisteva una simpatia

tra Thomasin e Wildeve, che dapprincipio sua madre aveva cercato di scoraggiare, ma che poi, in seguito alle insistenze di Thomasin, aveva considerato con occhio più benigno. Perciò quand'ella gli spiegò quanto era avvenuto fu profondamente sorpreso e turbato.

«Thomasin ha voluto che le nozze fossero celebrate prima del tuo ritorno,» disse la signora Yeobright, «per non doverti incontrare prima e aver con te una spiegazione penosa. Ecco perché se n'è andata; hanno deciso di sposarsi questa mattina.»

«Ma io non riesco a capacitarmi,» disse Yeobright, alzandosi. «Non mi sarei mai aspettato una cosa simile da lei. Capisco che tu non mi abbia scritto dopo le nozze mancate. Ma perché non mi hai avvertito quando stava per sposarsi... la prima volta?»

«Ero un po' in collera con lei in quel momento, vedi. La giudicavo sciocca e ostinata; e quando m'accorsi che tu non eri nulla per lei, feci di tutto perché ella non fosse nulla per te. Dopo tutto, era soltanto mia nipote; le dissi che poteva sposare chi voleva, ma che io non mi sarei più occupata di lei, e che la sua condotta non interessava più neanche te.»

«M'interessava, invece. Hai agito male, mamma.»«Ho avuto paura che la notizia ti turbasse nel tuo lavoro, che tu magari rinunciassi all'impiego o danneggiassi

in qualche modo il tuo avvenire: ecco perché non ti ho detto nulla. Naturalmente, se si fossero sposati, te l'avrei fatto sapere in seguito.»

«Se penso che Tamsin si sposa mentre ce ne stiamo qui a chiacchierare!»«Sì. A meno che non capiti di nuovo qualche contrattempo, com'è accaduto la prima volta. E potrebbe capitare,

dato che è sempre lo stesso uomo.»«Sì, e io credo che capiterà. Ma è stato giusto lasciarla andare? E se questo Wildeve fosse realmente un

mascalzone?»«Allora non andrà in chiesa e Tamsin tornerà a casa di nuovo.«Avresti dovuto interessartene di più.»«Ormai son discorsi inutili,» rispose la madre, addolorata e impaziente. «Tu non sai che brutte settimane

abbiamo passato, Clym. Non sai come una donna rimanga umiliata da una cosa simile. Non sai quante notti abbiamo passato senza dormire in questa casa, e le parole spesso amare che ci siamo scambiate dopo il 5 novembre. Spero di non dover più trascorrere settimane simili in vita mia. Tamsin non è più uscita di casa, e io mi vergognavo di guardar la gente in faccia; e ora tu mi rimproveri perché le ho lasciato fare l'unica cosa che può rimettere le cose a posto.»

«No,» rispose Clym lentamente, «non ti rimprovero. Ma devi renderti conto che son stato colto di sorpresa. Stavo qui e non sapevo nulla; poi di colpo mi si dice che Tamsie è andata a sposarsi. Forse era la miglior cosa che potesse fare, d'accordo. Ma lo sai, mamma,» continuò, dopo un momento, ripensando con interesse al proprio passato, «che una volta son stato lì lì per innamorarmi di Tamsin? Sì, davvero. Che tipi strani sono i ragazzi! E quando son tornato e l'ho rivista e m'è parsa più affettuosa del solito, ho ripensato a quel tempo, specialmente la sera della festa, quando non stava bene. Abbiamo fatto festa ugualmente... non è stato crudele nei suoi riguardi?»

«Tanto non cambiava nulla. Avevo stabilito di dare la festa e non serviva a nulla metterci in lutto. Che accoglienza sarebbe stata la nostra se, appena arrivavi, ci fossimo chiuse in casa con te a raccontarti le disgrazie di Tamsin?»

Clym continuava a riflettere. «Forse sarebbe stato meglio non aver dato quella festa,» disse, «per un'altra ragione. Ma questo te lo saprò dire tra due o tre giorni. Ora bisogna pensare a Tamsin.»

Seguì un silenzio. «Ecco, vedi,» disse di nuovo Yeobright, con un tono che rivelava il persistere d'un sentimento nascosto, a non mi sembra giusto lasciare che Tamsin si sposi in questa maniera, senza nessuno di noi che l'accompagni e le faccia animo. Non s'è disonorata e non ha fatto nulla per meritare un simile trattamento. È già triste che si sposi così, quasi alla chetichella; e la nostra assenza peggiora ancora le cose. Ti giuro che mi sembra proprio una vergogna. Ci vado subito.»

«Ma a quest'ora sarà tutto finito,» disse la madre con un sospiro; «a meno che abbiano fatto tardi o che lui...»«Arriverò almeno in tempo a vederli uscire dalla chiesa. Hai fatto male, mamma, a tenermi all'oscuro di tutto.

Quasi mi augurerei che lo sposo non avesse mantenuto la parola e non si fosse fatto vedere!«Ma così la reputazione della ragazza sarebbe rovinata.»«Sciocchezze! E perché poi dovrebbe esserlo?»Prese il cappello e uscì subito di casa. Con aria infelice, la signora Yeobright rimase sola, immersa nei suoi

pensieri. Ma non fu sola per molto. Pochi minuti dopo vide tornare Clym, accompagnato da Diggory Venn.«Ho capito che ormai non sono più in tempo,» disse Clym.

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«S'è sposata?» chiese la signora Yeobright, volgendo verso il venditore d'ocra un volto che rivelava una strana lotta tra desideri contrastanti.

«Sì, signora,» rispose Venn con un inchino.«Mi sembra impossibile,» mormorò Clym.«Questa volta non s'è tirato indietro?» chiese la signora Yeobright.«No. E la reputazione di Thomasin è intatta. Mi sono affrettato a venirle a dare la notizia, non avendola vista

là.»«Ma come mai eri là? Come sapevi che si sposavano questa mattina?» chiese la donna.«Gironzolo spesso da queste parti, e li ho visti entrare in chiesa,» disse il venditore d'ocra. «Wildeve arrivò

puntuale come un orologio: confesso che non me l'aspettavo.» Non aggiunse, come ben avrebbe potuto, che lui non gironzolava da quelle parti per caso; e che, da quando Wildeve aveva deciso di compiere il suo dovere nei riguardi di Thomasin, aveva, con quello scrupolo ch'era in lui una seconda natura, deciso di seguire la cosa finchè non fosse giunta a buon termine.

«Chi c'era?» chiese la signora Yeobright.«Quasi nessuno. Mi tenni in disparte per non farmi vedere da lei.» Nel dir queste parole la sua voce era

leggermente rauca, e si voltò a guardare verso il giardino.«Chi le ha fatto da testimone?»«La signorina Vye.»«Come! La signorina Vye! Dobbiamo considerarlo un onore?»«Chi è la signorina Vye?» chiese Clym.«La nipote del capitano Vye, che abita a Mistover Knap.»«Una ragazza piena di superbia che viene da Budmouth,» disse la signora Yeobright. «Non che mi piaccia

molto. C'è chi dice che sia una specie di strega, ma naturalmente sono sciocchezze.»Il venditore d'ocra tacque dei suoi rapporti con quell'interessante personaggio, e neanche disse che Eustacia era

presente perché era andato lui a prenderla, in seguito alla promessa fattale appena aveva saputo che si doveva celebrare il matrimonio. Disse soltanto, continuando il racconto:

«Me ne stavo sul muretto del cimitero quando li vidi arrivare, uno da una parte, e una dall'altra; la signorina Vye passeggiava nel cimitero, guardando le lapidi. Non appena furono entrati in chiesa, entrai anch'io: volevo vedere come andavano le cose, dato che la conoscevo. Mi tolsi gli stivali per non far rumore e salii nel coro. Vidi allora che c'erano anche il parroco e il sacrestano.»

«Ma come ha potuto far da testimone la signorina Vye, se si trovava là per caso?»«L'ha fatto perché non c'era nessun altro. Era entrata in chiesa un momento prima di me, senza salire nel coro.

Prima d'incominciare la cerimonia il parroco si guardò attorno e, vedendo che c'era soltanto lei disponibile, la chiamò con un cenno vicino all'altare. Quando fu il momento d'apporre la firma sul registro, ella tirò su il velo che le nascondeva il volto e firmò; e mi pare che Tamsin la ringraziasse per la sua cortesia.» C'era nel suo modo di raccontare un che di preoccupato e pensoso; non poteva dimenticare come Wildeve avessc cambiato colore quando Eustacia, sollevando il fitto velo che gli aveva prima impedito di riconoscerla, l'aveva guardato tranquillamente in faccia. «Poi,» concluse Diggory, con tristezza, «me ne andai, perché ormai la storia di Tamsin Yeobright era finita.»

«Le avevo proposto d'accompagnarla,» disse la signora Yeobright con rimpianto. «Ma ha detto che non era necessario.»

«Non importa, comunque,» disse il venditore d'ocra. «La cosa è finita come si voleva fin dal principio, e che Dio le mandi ogni bene. E ora buon giorno a tutti.»

Si mise il berretto in testa e se ne andò.Da quel momento, per molti mesi il venditore d'ocra non si fece più vedere a Egdon e nei dintorni. Scomparve

completamente. Il cantuccio tra i rovi, dove aveva sostato col suo carrozzone, il mattino dopo era deserto come prima, e nulla dimostrava che ci fosse stato qualcuno, all'infuori di qualche filo di paglia e di qualche traccia di rosso, che il primo temporale cancellò completamente.

Nella relazione, pur veridica e corretta, che Diggory aveva fatto delle nozze, mancava un particolare significativo che gli era sfuggito, data la distanza a cui si trovava. Mentre Thomasin con mano tremante stava scrivendo il proprio nome sul registro, Wildeve aveva gettato a Eustacia uno sguardo che voleva dire: «Vedi come ti ho punita.» Ed ella aveva risposto a bassa voce, e l'uomo non sapeva con quanta sincerità: «T'inganni; oggi sono veramente felice di vederla diventare tua moglie.»

III • L'INCANTESIMO

«IL MIO SPIRITO È IL MIO REGNO»

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Nel volto di Clym Yeobright si poteva vagamente scorgere l'espressione tipica del futuro. Se avremo in avvenire un periodo d'arte classica, i suoi Fidia riprodurranno volti come il suo. La visione della vita, come d'una cosa a cui bisogna rassegnarsi, - sostituitasi al gusto di vivere, così intenso nelle civiltà primitive - finirà col permeare di sè così totalmente la struttura delle razze più progredite, che il riflesso di questa visione sul volto umano dovrà essere accettato come nuovo punto di partenza per l'arte. Un uomo, i cui lineamenti non si alterino mai, o che mai riveli in qualche modo segni di travaglio mentale, appare ormai troppo lontano dalla sensibilità attuale per essere un tipo moderno. Gli uomini fisicamente belligloria della razza nella sua giovinezza - sono ora quasi un anacronismo; e vien fatto di chiedersi se, un momento o l'altro, anche le donne fisicamente belle non appariranno ugualmente anacronistiche.

Si direbbe che una lunga serie di secoli carichi di delusioni abbia alterato in modo permanente la visione ellenica - o come altro si voglia definirla - della vita. Sappiamo ora quel che i greci sospettavano soltanto; i fanciulletti del nostro tempo già sentono quel che Eschilo poteva appena immaginare. L'antico gioioso adattamento alla realtà esistente diventa sempre meno possibile a misura che scopriamo le carenze delle leggi naturali, e a quale stato complicato e doloroso condannino l'uomo.

I lineamenti in cui si rifletteranno gli ideali fondati su questo nuovo e diverso atteggiamento saranno probabilmente simili a quelli di Yeobright. L'occhio di chi lo osservava era infatti colpito dal suo volto non come da un quadro, ma come da una pagina; non da quel che era, ma da quel che rivelava. Le sue fattezze attiravano come simboli, così come suoni, di per se stessi banali, possono diventare attraenti quando si trasformino in linguaggio, e come forme intrinsecamente semplici divengono interessanti nella scrittura.

Era stato un ragazzo che prometteva molto, anche se non si capiva assolutamente che cosa ne sarebbe venuto fuori. Poteva ugualmente eccellere in modi impensati oppure andare a finir male. Una cosa sola pareva certa: non sarebbe rimasto nelle condizioni in cui era nato.

Perciò, quando uno degli agricoltori locali pronunciava il suo nome, subito si sentiva qualcuno che diceva: «Ah, Clym Yeobright: che cosa fa adesso?» Quando, sentendo nominare una persona, la domanda che viene spontanea è: «Che cosa fa?», questo evidentemente accade perché si sa che, contrariamente alla grande maggioranza degli altri, non si limita a far sempre le solite cose. Si pensa che stia facendo qualcosa d'eccezionale e d'insolito, buono o cattivo. Si spera, doverosamente, che faccia qualcosa di buono, ma si è segretamente convinti che finirà col combinare qualche guaio. Era questo un argomento di conversazione prediletto dalla mezza dozzina di agiati commercianti che si fermavano alla «Buona Donna» quando passavan di lì con la loro merce. Benchè non fossero nativi di Egdon, non potevano fare a meno di parlare di lui, mentre succhiavano i lunghi cannelli delle pipe di terracotta e guardavano la brughiera fuori delle finestre. Clym era stato nella sua adolescenza così strettamente legato alla brughiera che quasi nessuno poteva guardarla senza pensare a lui. Era dunque un soggetto ricorrente nella conversazione: se faceva fortuna e conquistava una buona reputazione, meglio per lui; ma se fosse diventato il protagonista di qualche tragica storia, il discorso sarebbe stato tanto più appassionante.

In realtà la fama di Yeobright s'era diffusa anche troppo largamente prima che lasciasse il paese. «È un guaio quando la tua fama supera i tuoi mezzi,» disse il gesuita spagnolo Gracián. All'età di sei anni aveva proposto un enigma fondato sulle Scritture: «Chi fu il primo uomo a portare i calzoni?» e in tutta la brughiera l'avevano calorosamente applaudito. A sette anni dipinse la battaglia di Waterloo con polline di gigli tigrati e succo di more, in mancanza di acquerelli. All'età di dodici anni era già noto come artista e come studioso per un raggio di almeno due miglia. Un individuo la cui fama percorre tre o quattromila metri nel tempo in cui la fama di altri nella sua stessa situazione ne percorre sei o settecento, deve avere in sè necessariamente qualcosa di speciale. Può darsi che la fama di Clym, come quella di Omero, fosse dovuta in parte alle circostanze: ma famoso lo era, indiscutibilmente.

Crescendo, fu aiutato a farsi strada nella vita. Il capriccioso destino che fece di Lord Clive, all'inizio uno scrivano, dello scrittore Gay un mercante di tela, del poeta Keats un chirurgo e mille altre cose strane di mille altri, condannò il selvaggio e ascetico figlio della brughiera a un mestiere esclusivamente legato ai simboli essenziali dell'egoismo e della vanità.

Non staremo a spiegare qui minutamente le ragioni della sua scelta. Alla morte di suo padre un signore del vicinato, desiderando dar modo al ragazzo di farsi strada, l'aveva mandato a Budmouth. Yeobright non aveva nessuna voglia di andarci, ma non sapeva che altro fare. Da Budmouth passò poi a Londra, e di là, poco dopo, a Parigi, dov'era rimasto.

Siccome ci si aspettava sempre qualcosa di speciale da lui, non appena fu a casa da alcuni giorni, gli abitanti della brughiera incominciarono a chiedersi con curiosità perché mai si trartenesse così a lungo. Le vacanze normali erano finite, eppure non dava segno di volersene andare. La domenica mattina dopo il matrimonio di Thomasin, proprio di questo si stava discutendo durante la solita cerimonia dello sbarbamento dinanzi alla casa di Fairway. Era questa l'ora e la giornata che gli abitanti del luogo dedicavano al taglio della barba e dei capelli; seguiva poi, a mezzogiorno, il bagno generale della domenica; finchè, un'ora dopo, indossavano con cura gli abiti della festa. Nella brughiera di Egdon la vera e propria domenica non incominciava che all'ora del pranzo, e anche allora non ne era che una copia in tono minore.

Era Fairway che tagliava i capelli, la domenica mattina; la vittima sedeva su un ceppo dinanzi alla sua casa, senza giacca, e i vicini gli stavano attorno spettegolando, e osservando con indifferenza le ciocche di capelli che, appena tagliate, venivano portate dal vento in tutte le direzioni. Estate e inverno, la scena era sempre la stessa: solo quando il vento era più forte, lo sgabello veniva leggermente spostato in un angolo un po' più riparato. Lagnarsi del freddo a

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starsene fuori, senza cappello e senza giacca, mentre Fairway raccontava storielle ed episodi tra un colpo di forbici e l'altro, non sarebbe stato giudicato degno d'un vero uomo. Trasalire, gridare, o muovere i muscoli del volto nel sentirsi pungere dalle forbici sotto l'orecchio, o graffiare la nuca col pettine, sarebbe apparsa una vera e propria mancanza di educazione, tanto più che Fairway si prestava a far quel lavoro gratuitamente. Se qualcuno, il pomeriggio della domenica, si mostrava attorno con una ferita sul collo che sanguinava, bastava per spiegarla che dicesse: «Mi sono fatto tagliare i capelli, capisci.»

Avevano incominciato a parlare di Yeobright, vedendo di lontano il giovanotto passeggiare nella brughiera.«Un uomo che ha fortuna altrove non starebbe qui due o tre settimane senza uno scopo,» disse Fairway. «Deve

aver qualche progetto in testa... potete esserne sicuri.»«Non vorrà aprire una bottega di pietre preziose qui, spero,» disse Sam.«Non capisco perché avrebbe dovuto farsi arrivare quei due enormi bauli se non avesse intenzione di rimanere;

e Dio solo sa che cosa possa fare in un posto come questo.»Prima che si potessero avanzare altre ipotesi, Yeobright s'era venuto avvicinando; e, vedendo il gruppo degli

uomini, si diresse verso di loro. Facendosi avanti e guardandoli in faccia un momento con occhio critico, disse, senza preamboli: «Volete che indovini di che cosa stavate parlando, amici?»

«Certo, se ci riesce.»«Parlavate di me.»«È una cosa che non avrei mai osato confessare,» disse Fairway con tono pieno di dignità; «ma dal momento

che è stato lei a dirlo, signor Yeobright, riconosco che stavamo proprio parlando di lei. Ci chiedevamo perché mai rimane qui a far niente, mentre ha a Parigi una così bella posizione nel commercio dei gingilli: ecco tutto.»

«Ve lo dirò subito il perché,» disse Yeobright con tono improvvisamente serio. «Non mi spiace affatto aver quest'occasione per spiegarvi i miei piani. Sono tornato a casa perché, tutto considerato, posso forse essere un po' meno inutile qui che altrove. Ma solo da poco tempo me ne son reso conto. Quando son partito, pensavo che non valesse la pena d'occuparsi d'un luogo simile. La vita che si conduce qui mi sembrava assolutamente priva d'interesse. Dar l'olio alle scarpe invece di lucidarle, spolverare la giacca con un giunco invece che con una spazzola: s'è mai visto nulla di più ridicolo? Così dicevo.»

«Sicuro! Proprio così!»«E invece ti sbagli; non è ridicolo per niente.»«Chiedo scusa, credevamo che volesse dir proprio questo.»«Bene, a misura che le mie idee cambiavano, incominciai a sentirmi scontento del lavoro che facevo. Mi

accorsi che facevo di tutto per diventare simile a gente che aveva ben poco in comune con me. Mi sforzavo di respingere un tipo di vita per un altro tipo di vita che non era migliore di quella vissuta prima. Era semplicemente diversa.»

«È vero; molto diversa,» disse Fairway.«Sì, Parigi dev'essere un posto straordinario», disse Humphrey. «Grandi vetrine, trombe e tamburi mentre noi

siamo qui esposti a tutte le intemperie...»«Ma voi non mi capite,» protestò Clym. «Proprio per questo era deprimente. Ma non ancora deprimente come

qualcosa di cui mi resi conto dopo: e cioè che il mio mestiere era il più ozioso, il più vano, il più effeminato cui un uomo potesse dedicarsi. E allora decisi: l'avrei abbandonato, e mi sarei trovata un'occupazione razionale tra le persone che meglio conoscevo, e alle quali più potevo esser utile. Sono tornato a casa: ed ecco il mio progetto. Cercherò di farmi dare un posto da maestro vicino a Egdon, in modo da poter andare e venire ogni giorno, e aprirò una scuola serale in casa di mia madre. Ma prima debbo studiare un po' per ottenere la qualifica necessaria. E ora debbo andarmene, vicini.»

E Clym riprese la sua passeggiata nella brughiera.«Non farà mai una cosa simile, ci scommetto,» disse Fairway. «Basteranno poche settimane per fargli veder le

cose in modo diverso.»«È un ragazzo pieno di cuore,» disse un altro. «Ma, per conto mio, penso che farebbe meglio a occuparsi dei

fatti suoi.»

LA NUOVA VITA DELUDE

Yeobright amava il suo prossimo. Era convinto che alla maggioranza degli uomini mancasse quel tipo di conoscenza che produce saggezza anzichè ricchezza. Desiderava elevare la classe a spese dell'individuo piuttosto che gli individui a spese della classe. E, soprattutto, era pronto a sacrificarsi per primo.

Nel passaggio dalla vita vegetativa a quella intellettuale, gli stadi intermedi sono in genere almeno due, e spesso molti di più; e uno di questi stadi è quasi certamente il miglioramento delle condizioni sociali. Difficilmente la placida serenità degli abitatori dei campi può essere stimolata e attirata a scopi intellettuali, senza una fase di passaggio dedicata a raggiungere un certo successo mondano. La caratteristica di Yeobright era che, pur tendendo a una forma elevata di pensare, rimaneva tuttavia legato a una vita semplice: anzi a una vita misera e incivile sotto molti aspetti, e alla fraternità coi contadini.

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Era una specie di Giovanni Battista che predicava l'elevazione piuttosto che il pentimento. Mentalmente viveva in quella che sarebbe stata la vita provinciale dell'avvenire, era cioè in molti punti sullo stesso piano dei pensatori cittadini del suo tempo. Buona parte di questa sua evoluzione era probabilmente dovuta agli studi da lui fatti a Parigi, dove aveva imparato a conoscere i sistemi morali popolari in quell'epoca.

A causa di questa sua posizione relativamente avanzata, ben lo si poteva definire sfortunato. Il mondo campagnolo non era ancor maturo per lui. Bisognerebbe essere in anticipo sul proprio tempo solo entro certi limiti; avere aspirazioni troppo all'avanguardia può essere pericoloso e fatale. Se il bellicoso figlio di Filippo fosse stato d'idee così avanzate da cercar di portare la civiltà nel mondo senza il massacro, sarebbe stato un eroe due volte superiore, ma nessuno avrebbe mai sentito parlare di Alessandro.

Per ottener fama e rinomanza bisognerebbe aver soprattutto capacità pratiche. I propagandisti hanno successo quando le dottrine a cui danno forma son quelle che il pubblico sente da qualche tempo nell'aria, senza saper dar loro un nome. Chi invoca lo sforzo estetico e depreca lo sforzo sociale sarà probabilmente compreso soltanto da una classe per cui lo sforzo sociale è diventato ormai cosa abituale e superata. Anteporre la cultura al lusso in un mondo contadino può essere giustissimo, ma tende a turbare un ordine a cui da tempo il genere umano è abituato. Predicando agli eremiti di Egdon che potevano elevarsi alla serena superiorità dell'intelligenza senza passare per lo stadio dell'arricchimento, Yeobright era un po' come gli antichi caldei i quali sostenevano che, per passare dalla terra al puro empireo, non era necessario superare la zona eterea intermedia.

Era l'intelligenza di Yeobright perfettamente equilibrata? No. Un'intelligenza perfettamente equilibrata non rivela nessuna tendenza particolare; e siamo certi che chi la possiede non sarà mai rinchiuso come pazzo, torturato come eretico, o crocifisso come blasfemo. E neanche, d'altra parte, applaudito come profeta, venerato come sacerdote, o esaltato come re. Sue caratteristiche sono in genere la mediocrità e la felicità. Produce la poesia di Rogers, le pitture di West, la politica di North, la spiritualità di Tomline; permette ai suoi possessori di arricchirsi, di vivere bene, di ritirarsi dignitosamente dalla scena, di morire tranquillamente nel proprio letto e di vedersi erigere poi il monumento che, in molti casi, meritano. Ma non avrebbe mai permesso a Yeobright di fare una cosa pazzesca come quella di buttar via la sua posizione per dedicarsi al bene dei propri simili.

Ora mosse verso casa, senza preoccuparsi di seguire i sentieri. Nessuno meglio di Clym conosceva la brughiera. Era permeato dai suoi aspetti, dalla sua sostanza, dai suoi odori. Si sarebbe potuto dire che ne era il prodotto. Là i suoi occhi s'erano aperti alla luce; ai suoi aspetti erano legate le prime immagini di cui aveva ricordo; n'era stata colorata la sua visione della vita; i suoi balocchi erano stati i coltelli di pietra e le teste di freccia che vi trovava, chiedendosi come mai le pietre potessero «crescere» con una forma così strana; i fiori da lui amati erano i campanellini violacei dell'erica e la ginestra gialla; gli animali suoi amici, le serpi e i cavallini; suoi compagni, gli abitanti della brughiera. Prendete tutte le ragioni dell'odio di Eustacia Vye per la brughiera e trasformatele in ragioni d'amore, e avrete il sentimento che dominava il cuore di Clym. Ora, mentre guardava, camminando, l'ampio paesaggio che lo circondava, si sentiva pieno di gioia.

Per molti questa brughiera di Egdon era un pezzo di terra sopravvissuto al suo tempo, molte generazioni prima, per intrudersi goffamente nel presente. Era una cosa antica e superata e ben pochi si preoccupavano di studiarla. E come potrebb'essere altrimenti, in un'epoca di campi quadrati, di siepi ben tagliate, di prati divisi da canali d'irrigazione in una forma rettangolare così perfetta che nelle belle giornate sembrano graticole d'argento? L'agricoltore che, nel corso della sua passeggiata, è in grado di sorridere all'erba fatta crescere artificialmente, di guardare con ansiosa sollecitudine il grano che nasce, di sospirare malinconicamente vedendo un tubero roso dai vermi, non poteva che considerare con sguardo accigliato le distese lontane della brughiera. Yeobright invece, mentre guardava in giù dall'alto delle collinette che veniva percorrendo, non poteva far a meno di abbandonarsi a una specie di barbara soddisfazione nell'osservare che, nonostante alcuni tentativi di bonifica, le coltivazioni, dopo due o tre anni, erano andate decisamente in rovina, e le felci e i cespugli di ginestra avevano tenacemente e vittoriosamente riaffermato il proprio dominio.

Scese nella valle e ben presto raggiunse la sua casa a Blooms-End. Sua madre stava togliendo le foglie secche dai vasi che teneva sul davanzale. Alzò gli occhi a guardarlo come se non comprendesse la ragione del suo lungo soggiorno; da diversi giorni lo guardava in quel modo. Egli si rese conto che la curiosità dimostrata dal gruppo d'uomini che si facevano tagliare i capelli, era diventata in sua madre vera e propria preoccupazione. E tuttavia non gli aveva chiesto nulla, anche quando l'arrivo dei bauli le aveva fatto capire che non se ne sarebbe andato per un pezzo. Ma il suo silenzio era più espressivo delle parole, ed egli sentì di doverle una spiegazione.

«Non tornerò più a Parigi, mamma,» disse. «Almeno, non per riprendervi il mestiere di prima. Ci ho rinunciato.»

La signora Yeobright si voltò a guardarlo, colpita e sorpresa. «Ho subito immaginato che ci fosse qualcosa che non andava, quando ho visto arrivare i bauli. Ma perché non me l'hai detto subito?»

«Avrei dovuto farlo, infatti. Ma non sapevo se avresti approvato il mio progetto. Su alcuni punti non avevo neanch'io le idee molto chiare. Ho deciso di fare un lavoro completamente nuovo.»

«Mi meraviglio, Clym. Come puoi trovare un lavoro migliore di quello che hai fatto finora così bene?»«Oh, è molto facile; anche se non sarà un lavoro migliore nel senso in cui tu lo intendi; ti sembrerà forse

peggiore. Ma odio ormai quel mestiere e voglio far qualcosa di buono prima di morire. E credo di poterlo fare come maestro: maestro dei poveri e degli ignoranti, che nessun altro si preoccupa d'istruire.»

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«Dopo tutta la pena per darti un buon avvio, e quando ti basterebbe continuare nel tuo lavoro per diventare ricco, come puoi pensare di ridurti a far la vita d'un povero maestro? Le tue fantasie ti porteranno a rovina, Clym.»

La signora Yeobright parlava con tono calmo, ma la forza del sentimento nascosta dietro le sue parole era anche troppo evidente per chi la conoscesse bene come suo figlio. Egli non rispose. Il suo volto rivelava quella certezza di non esser compreso che si ha quando l'interlocutore è costituzionalmente al di là d'una logica che, anche nelle condizioni più favorevoli, è un mezzo di comunicazione troppo grossolano per la sottigliezza dell'argomento.

Non ne parlarono più sino alla fine del pranzo. Sua madre disse allora, come continuando il discorso iniziato al mattino: «Mi addolora, Clym, vedere che sei tornato con simili idee per la testa. Non avrei mai immaginato che tu potessi desiderar di peggiorare, di tua propria volontà, la posizione che hai nel mondo. Ho sempre pensato che avresti preferito migliorarla, come fanno gli altri uomini - quelli degni di questo nome - che abbiano la possibilità di far fortuna.»

«Non è colpa mia,» disse Clym, con voce turbata, «se odio quel mestiere superficiale, tutto apparenza. Tu parli di uomini degni di questo nome; come può esserne degno chi passi il suo tempo in quel modo effeminato, mentre vede metà degli esseri umani condurre una vita infelice perché non c'è nessuno che si dedichi con impegno a insegnar loro ad affrontare e trasformare la misera condizione in cui sono nati? Ogni mattina, svegliandomi, vedo l'intero creato gemere sotto il peso della fatica e del dolore, come dice San Paolo; e poi vedo me stesso, intento a trafficare in luccicanti oggetti preziosi con donne ricche e libertini titolati, lusingando le vanità più meschine: io, che ho forza e salute sufficiente per far qualsiasi cosa. Da un anno almeno intimamente ne soffro, e ora ho capito che non posso più continuare.»

«Ma perché devi esser diverso dagli altri?»«Non so; so soltanto che molte sono le cose a cui gli altri tengono e a cui invece io non tengo affatto; ed è in

parte per questo che ho deciso. In primo luogo, il mio fisico non ha molte esigenze. Non so godere le raffinatezze, non apprezzo il lusso. Tanto vale che faccia di questa mia deficienza una virtù e che, potendo fare a meno di ciò che altri trovano indispensabile, dia agli altri quel che non spendo in inutili lussi.»

In realtà, alcuni di questi istinti Yeobright li aveva ereditati proprio dalla donna che aveva ora dinanzi a sè e non potè quindi fare a meno di toccarla nel sentimento, se non col ragionamento, anche se ella, convinta di fare il suo bene, cercava in tutti i modi di nasconderglielo. Fu quindi con tono assai meno sicuro ch'ella gli disse: «Eppure, continuando per la tua strada, avresti potuto diventare molto ricco. Direttore d'una grossa ditta di pietre preziose... che cosa si può desiderare di meglio? È una posizione che si fonda sulla fiducia e sul rispetto! Mi accorgo che sei come tuo padre: come lui, ti stanchi di fare un lavoro serio.»

«No,» rispose suo figlio. «Non sono stanco del lavoro, ma di quello che tu intendi per lavoro. Che cos'è per te, mamma, un lavoro serio?»

La signora Yeobright era una donna troppo intelligente per accontentarsi di definizioni superficiali e banali: come il «che cos'è la saggezza?» del Socrate di Platone, e il «che cos'è la verità?» di Ponzio Pilato, la scottante domanda di Yeobright rimase quindi senza risposta.

Il silenzio fu rotto dal rumore del cancello del giardino che si apriva; poi qualcuno bussò alla porta ed entrò: era Christian Cantle, vestito con gli abiti della domenica.

Era consuetudine a Egdon incominciare il proemio d'una storia prima d'esser entrati completamente in casa, in modo d'arrivare alla storia vera e proprio quando visitatore e ospite fossero faccia a faccia. Mentre tirava il paletto Christian aveva dunque incominciato a dire: «E pensare che io, che non esco quasi mai di casa e ben raramente a quell'ora, debba essermi trovato là proprio questa mattina!»

«Che notizia ci porti, dunque, Christian?» disse la signora Yeobright.«Oh, terribile: c'è una strega, e dovete perdonarmi se vengo a quest'ora; perché, dico io, "devo andare ad

avvertirli subito, anche se stanno ancora pranzando". Vi assicuro che tremavo come una foglia. Credete che capiterà qualche cosa adesso?»

«Ma che cosa?»«Questa mattina in chiesa ci eravamo alzati tutti in piedi e il parroco aveva detto: "Ora, preghiamo." "Bene,"

penso io, "tanto vale inginocchiarsi, allora"; e così mi sono inginocchiato; e anche tutti gli altri hanno ubbidito. Ma ci eravamo appena inginocchiati quando si sente un urlo terribile in tutta la chiesa, come se avessero trafitto il cuore di qualcuno. Tutti allora saltano in piedi e si viene a sapere che Susan Nunsuch ha punto la signorina Vye con un lungo ferro da calza: aveva minacciato di farlo appena la signorina fosse andata in chiesa, dove non va molto spesso. Ha aspettato l'occasione per diverse settimane; voleva cavarle il sangue, ha detto, perché non potesse più stregare i suoi bambini come fa da un pezzo. La seguì dunque in chiesa, si sedette vicino a lei e, appena le fu possibile, piantò il ferro nel braccio della ragazza.»

«Che orrore!» disse la signora Yeobright.«L'ha punta così forte che la ragazza è svenuta; avevo paura che succedesse chissà che cosa, perciò mi sono

nascosto dietro il contrabbasso e non ho più visto niente. Dicono che l'hanno portata fuori - all'aria; e quando si son messi a cercare Sue, era scomparsa. Che strillo ha gettato, povera ragazza! Il parroco, in cotta e stola, continuava ad alzare la mano e a dire: "Sedetevi, brava gente, sedetevi!" Ma chi diavolo poteva pensare a sedersi in quel momento! Oh, lo sa che cosa ho scoperto, signora Yeobright? Che il parroco, sotto la tonaca, porta un vestito come noi!... Quando ha alzato il braccio, ho potuto vedere la manica nera.»

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«Che barbarie!» disse Yeobright.«Sì, una vera barbarie», approvò sua madre.«Le autorità dovrebbero provvedere,» disse Christian. «Ma ecco che arriva anche Humphrey.»Entrò Humphrey. «Avete sentito la notizia? Vedo che sapete già. Sembra strano, ma appena uno di Egdon va in

chiesa, capita di sicuro qualche stranezza. L'ultima volta che ci andò uno di noi, il vicino Fairway morì in autunno; e fu proprio il giorno in cui lei, signora Yeobright, si oppose alle pubblicazioni.»

«La ragazza ha potuto ritornare a casa?» disse Clym.«Dicono che s'è subito ripresa e che se n'è andata tranquillamente. E ora che ve l'ho detto, me ne vado a casa

anch'io.»«Anch'io,» disse Christian. «Vedremo ora se c'è qualcosa di vero in ciò che si dice di lei.»Quando se ne furono andati, Yeobright chiese alla madre con tono tranquillo: «Credi ancora che abbia torto a

voler diventare maestro per insegnar qualcosa a questa gente?»«È giusto che ci siano maestri e missionari e altre persone del genere,» ella rispose. «Ma è anche giusto che io

cerchi di distoglierti da simili carriere perché tu ti faccia una posizione migliore e non ritorni indietro nella scala sociale. Pensa ai sacrifici che ho fatto per darti questa possibilità.»

Più tardi arrivò anche Sam, il tagliatore di ginestra. «Sono venuto a chiederle una cosa in prestito, signora Yeobright. Ha sentito quel ch'è capitato alla nostra bellezza di Mistover?»

«Sì, Sam, ho sentito: è venuta almeno una dozzina di persone a dircelo.»«Bellezza?» chiese Clym.«Sì, non c'è male,» rispose Sam. «Sembra a tutti molto strano che una così bella ragazza sia venuta a vivere

qui.»«È bruna o bionda?»«Mah! L'avrò vista una ventina di volte, ma proprio non riesco a ricordarmene.»«Ha i capelli più scuri di Thomasin,» mormorò la signora Yeobright.«È una donna che ha l'aria d'infischiarsi di tutto, come si suol dire.»«È un tipo malinconico?» chiese Clym.«Ama star sola e non fa amicizia con nessuno.»«Le piacciono le avventure?»«No, ch'io sappia.»«S'imbranca a volte coi ragazzi, per distrarsi, in questo luogo così solitario?»«No.»«Non va in maschera?»«No. I suoi gusti son molto diversi. Direi piuttosto che le piacerebbe essere molto lontano di qui, fra dame e

cavalieri che non conoscerà mai, e palazzi che non riuscirà mai a vedere.»Accorgendosi che Clym sembrava vivamente interessato, la signora Yeobright s'affrettò a dire a Sam: «Tu vedi

in lei più di quel che ci vedono molti altri. Secondo me, la signorina Vye è troppo fiacca e oziosa per essere interessante. Non ho mai sentito dire che abbia fatto qualcosa di utile a lei o agli altri. Una brava ragazza non viene accusata d'essere una strega, neanche in un posto come Egdon!»

«Sciocchezze... Questo non dimostra proprio nulla,» disse Yeobright.«Oh, io non ci capisco niente in queste cose,» disse Sam tirandosi indietro da una discussione probabilmente

sgradevole; «e sarà il tempo a dirci che cosa quella ragazza sia veramente. Ma la ragione per cui sono venuto fin qui è che vorrei in prestito la corda più robusta che avete. Il secchio del capitano è caduto nel pozzo, e così a casa sua sono senz'acqua, e siccome oggi gli uomini non lavorano, penso che potremo tirarglielo fuori. Abbiamo già tre funi da carro, ma non arrivano sino in fondo.»

La signora Yeobright gli disse di prendere tutte le corde che trovava sotto la tettoia, e Sam andò a cercarle. Quando ripassò dinanzi alla porta, Clym si unì a lui e lo accompagnò sino al cancello.

«Questa signorina strega si tratterrà molto a Mistover?» chiese.«Credo di sì.»«È una vergogna che le abbiano fatto del male! Deve avere sofferto molto... più nello spirito che nel corpo.»«È stata proprio una cattiva azione... e contro una così bella ragazza poi! Lei dovrebbe conoscerla, signor

Yeobright, dato che viene di lontano, e ha più esperienza di noi.»«Credi che le piacerebbe far scuola ai bambini?» chiese Clym.Sam fece di no col capo. «Non mi sembra il tipo adatto,» rispose.«Oh, era una semplice idea. Bisognerebbe comunque vederla e parlarle... e la cosa non è facile, tra l'altro, visto

che la mia famiglia e la sua non sono in rapporti d'amicizia.»«Le dico io come può fare per vederla, signor Yeobright,» disse Sam. «Alle sei di questa sera andremo a casa

sua per cercar di ripescare il secchio e lei potrebbe venire a darci una mano. Saremo in cinque o sei, ma il pozzo è profondo, e uno in più potrebbe servire, se non le dispiace presentarsi in quel modo. La signorina si farà vedere certamente.»

«Ci penserò,» disse Yeobright; e così si separarono.

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Clym riflettè la lungo; ma in casa più nessuno parlò di Eustacia. Se questa romantica martire della superstizione e la malinconica maschera con cui aveva chiacchierato al chiaro di luna fossero la stessa persona continuava a essere per lui una domanda senza risposta.

PRIMO ATTO D'UN DRAMMA ANTICO QUANTO IL MONDO

Era un bel pomeriggio, e Yeobright fece una lunga passeggiata nella brughiera con sua madre. Quando giunsero in cima all'alta cresta che divide la valle di Blooms-End da quella vicina, si fermarono un momento a guardarsi attorno. Da una parte si vedeva la locanda della «Buona Donna» sul lato basso della brughiera, dall'altra a una certa distanza si levava Mistover Knap.

«Vuoi andare a trovare Thomasin?» chiese Clym.«Sì. Ma questa volta non è necessario che tu venga,» disse la madre.«Allora, mamma, a questo punto ci separiamo. Io vado a Mistover.»La signora Yeobright si voltò a guardarlo con aria interrogativa.«Vado ad aiutar gli uomini a tirar su il secchio dal pozzo del capitano,» continuò. «È così profondo, può darsi

che il mio aiuto sia utile. E poi mi piacerebbe vedere questa signorina Vyc... non tanto per la sua bellezza, quanto per un'altra ragione.

«Devi proprio andare?» chiese sua madre.«Credo di sì.»Detto questo, si separarono. «Come impedirglielo?» mormorò la madre di Clym malinconicamente, mentre il

figlio s'allontanava. «S'incontreranno certamente. Perché mai Sam doveva venire a raccontar quella storia proprio in casa mia?»

Seguì con lo sguardo la figura di Clym che si faceva sempre più piccola mentre saliva e scendeva lungo la strada tra le colline. «Se non fosse così facilmente infiammabile,» disse tra sè mentre lo osservava, «la cosa non avrebbe importanza. Ma come cammina svelto!»

Clym si muoveva in realtà velocemente tra i cespugli di ginestra, in linea diretta, come se fosse per lui questione di vita o di morte. Sua madre trasse un lungo sospiro e, rinunciando alla visita a Thomasin, s'avviò per tornare a casa. I vapori della sera incominciavano a circonfondere di nebbia i valloncelli, anche se le parti più alte erano ancora sfiorate dai raggi calanti del sole invernale che illuminava Clym nel suo avanzare, preceduto dalla propria ombra allungata, tra l'attenzione dei conigli e delle lepri selvatiche.

Avvicinandosi al terrapieno coperto di ginestra e al fossato che rendevano la casa del capitano simile a una fortezza, sentì un suono di voci da cui capì che le operazioni dovevano già esser cominciate. Giunto al cancello d'ingresso, si fermò a guardare dentro.

Una mezza dozzina d'uomini robusti stavano in fila tenendo una grossa corda calata nella profondità del pozzo. Fairway, con una fune più piccola intorno al corpo, legata a uno dei pilastri per prevenire un incidente, si sporgeva sull'apertura, tenendo con la mano destra la corda che stava abbassando.

«Silenzio, adesso,» disse Fairway.Tutti tacquero e Fairway impresse alla corda un movimento circolare come se facesse il burro. Dopo un minuto

si sentì un tonfo sordo echeggiare dal basso; il movimento elicoidale da lui impresso alla corda era arrivato al gancio attaccato in fondo.

«Tirate ora!» disse Fairway; e gli uomini che tenevano la corda incominciarono ad avvolgerla sulla ruota.«Si direbbe che si sia pescato qualcosa,» osservò uno di quelli che tiravano.«Allora continuate a tirare,» disse Fairway.Continuarono finchè si sentì qualcosa gocciolare con ritmo uguale nel pozzo, sempre più chiaramente

distinguibile a misura che il secchio saliva; e ben presto si vide che s'eran tirati su una cinquantina di metri di corda.Fairway accese allora una lanterna, la legò a un'altra corda, e incominciò a calarla nel pozzo accanto alla prima.

Clym s'avvicinò e guardò dentro. La lanterna illuminava, scendendo, strane foglie umide, che ignoravano il mutar delle stagioni, e curiose qualità di muschio sulle pareti; finchè la luce della lanterna illuminò la massa confusa della corda e del secchio ciondolante nell'aria umida e scura.

«L'abbiamo preso soltanto per l'orlo... piano, per carità!» disse Fairway.Tirarono su pian piano, finchè il secchio bagnato fu a due metri sotto di loro, come un amico sepolto e tornato

sulla terra. Tre o quattro mani si tesero, poi la corda diede uno strappo, la ruota si mise a girare rapidamente, due di quelli che tiravano caddero all'indietro, e si sentì qualcosa che sbatteva scendendo contro le pareti del pozzo, finchè giunse dal fondo un gran fracasso. Il secchio era caduto di nuovo.

«Maledetto secchio!» disse Fairway.«Calate di nuovo la corda,» disse Sam.«Sono rattrappito e storto come un corno di mucca, a furia di star chinato,» disse Fairway, raddrizzandosi e

stirandosi fino a far scricchiolare le giunture.«Riposati un momento, Timothy,» disse Yeobright. «Prenderò io il tuo posto.»

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Di nuovo abbassarono il gancio. Il suono che produsse sfiorando l'acqua in basso colpì le loro orecchie come lo schioccare d'un bacio; Yeobright allora s'inginocchiò e, sporgendosi sul pozzo, incominciò a far girare il gancio su se stesso, come aveva fatto Fairway.

«Legatelo con una corda... è pericoloso!» gridò una voce dolce e ansiosa dall'alto.Tutti si voltarono. Chi aveva parlato era una donna, che guardava gli uomini da una finestra del piano di sopra,

i cui vetri brillavano come infocati nella luce rossa del tramonto. Aveva le labbra aperte e un'espressione tra estatica e sconvolta.

Gli legarono una corda intorno alla vita e il lavoro continuò. Ricominciarono a tirare, ma il peso non era gran che e quando arrivò in cima videro ch'eran riusciti a pescare soltanto un rotolo di fune staccatosi dal secchio, e lo gettarono via. Humphrey prese il posto di Yeobright, e di nuovo il gancio venne abbassato.

Yeobright si tirò in disparte presso il rotolo di corda buttato via, riflettendo. Ora non aveva più nessun dubbio circa l'identita della voce della donna che aveva parlato e quella della malinconica maschera. «Quanta sollecitudine!» disse a se stesso.

Eustacia, ch'era arrossita vedendo l'effetto prodotto dalla sua esclamazione sul gruppo degli uomini, si ritirò dalla finestra e Yeobright, per quanto guardasse, non riuscì più a vederla. Infine quelli che lavoravano intorno al pozzo riuscirono a tirar su il secchio. Uno di loro andò a chiedere al capitano che cosa dovevano fare per aggiustare la carrucola del pozzo. Ma il capitano non c'era: fu Eustacia che comparve sulla soglia di casa e uscì fuori. I suoi modi erano ora tranquilli e pieni di dignità; nulla faceva più pensare all'intensità della sua voce quando aveva gridato che legassero Clym.

«Si potrà attinger acqua dal pozzo questa sera?» chiese.«No, signorina; il fondo del secchio è fracassato. E siccome ora non possiamo far altro, torneremo domani

mattina.»«E così staremo senz'acqua,» mormorò Eustacia, voltandosi.«Posso mandargliene da Blooms-End,» disse Clym, facendosi avanti e levandosi il cappello mentre gli uomini

si ritiravano.Yeobright e Eustacia si guardarono in faccia per un momento, come se entrambi pensassero ai pochi minuti

trascorsi insieme al chiaro di luna. I lineamenti statici della donna parvero raggiungere in quel momento un'espressione d'intenso e raffinato ardore: come se in un paio di secondi si passasse dall'abbagliante luce del meriggio al calmo splendore del tramonto.

«Grazie; ma non è necessario,» rispose.«Ma così resterà senz'acqua.»«Io dico senz'acqua,» rispose la ragazza arrossendo, e alzando le palpebre frangiate dalle lunghe ciglia come se

aprir gli occhi fosse per lei una greve fatica. «Ma mio nonno dice che ce n'è quanto basta. Ora le faccio vedere.»S'allontanò di alcuni metri e Glym la seguì. Quando giunse all'angolo del recinto, dove incominciavano i

gradini che portavano in cima al bastione, ella li salì con una leggerezza che sembrava strana dopo la lentezza con cui s'era avvicinata al pozzo. Si vide allora che il suo languore apparente non nasceva da mancanza di forza.

Clym salì i gradini dietro di lei, e notò un piccolo cerchio in cima al bastione dove l'erba era stata bruciata. «È cenere?» disse.

«Sì,» disse Eustacia. «Abbiamo fatto un falò il 5 novembre, e ne sono rimasti i segni.»Era il punto in cui aveva acceso il fuoco per attirare Wildeve.«Ecco l'unica acqua che abbiamo,» continuò, gettando una pietra nello stagno, che si apriva fuori del bastione

come il bianco d'un occhio senza pupilla. La pietra cadde con un tonfo, ma non apparve Wildeve all'estremità opposta, com'era invece accaduto una volta. «Mio nonno dice che per oltre vent'anni, viaggiando per mare, ha dovuto accontentarsi d'acqua assai peggiore di questa,» continuò, «e pensa quindi che possiamo servircene nei casi d'emergenza.»

«Veramente non ci sono impurità nell'acqua degli stagni in questa stagione dell'anno. Ha piovuto da poco, purificandoli.»

Ella scosse il capo. «Posso rassegnarmi a vivere in un deserto selvaggio, ma non mi rassegnerò mai a bere acqua stagnante, disse.

Clym getto un'occhiata al pozzo: gli uomini se n'erano andati a casa e non c'era più nessuno. «Andare a cercar acqua di sorgente sarebbe troppo lontano,» disse dopo un momento di silenzio. «Ma, visto che non le piace l'acqua di stagno, cercherò di tirarne su un po'.» Ritornò vicino al pozzo: «Sì, credo di poterlo fare servendomi di questa pentola.»

«Ma se non ho voluto dare agli uomini il fastidio di farlo, non posso in coscienza lasciarlo fare a lei.»«Per me non è un fastidio,» disse Clym.Legò la pentola al lungo rotolo di corda, la mise sulla ruota e la fece scendere, lasciandosi scorrere la corda tra

le mani. Ma dopo un momento si fermò.«Bisogna che fissi prima il capo, altrimenti corriamo il rischio di perdere tutto quanto,» disse a Eustacia che

s'era avvicinata. «Può tenere qui un momento, mentre lo faccio, o debbo chiamare la domestica?»«Posso tenere io,» disse Eustacia; e Clym, dopo averle dato la corda, si mise a cercarne l'estremità.«Ora posso lasciarla andare?» chiese la ragazza.«La lasci andare, ma non troppo,» disse Clym. «Vedrà che diventa molto più pesante.»

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Ma Eustacia aveva ormai cominciato a lasciarla scorrere.Mentre Clym stava legandola, ella gridò: «Non riesco più a fermarla!»Clym corse subito vicino a lei, ma non potè far altro che avvolgere la parte libera della corda intorno a un palo,

primache si fermasse con uno strattone. «Le ha fatto male?»«Sì,» ella rispose.«Molto?»«No; credo di no.» Aprì le mani. Una di esse sanguinava: la corda le aveva portato via la pelle. Eustacia

l'avvolse nel fazzoletto.«Doveva lasciarla andare,» disse Yeobright. «Perché ha continuato a stringerla?»«Lei mi aveva detto di tenerla... È la seconda volta oggi che sono ferita.»«Ah, sì, l'ho saputo. Arrossisco per i miei compaesani. È grave la ferita che ha ricevuto in chiesa, signorina

Vye?»C'era tanto calore di simpatia nel tono di Yeobright, che Eustacia tirò su lentamente la manica scoprendo il

bianco braccio rotondo. Un piccolo segno rosso era visibile sulla liscia superficie, come un rubino su un pezzo di marmo pario.

«Ecco,» diss'ella, indicando il punto col dito.«Che donna sciagurata!» disse Clym. «Il capitano Vye non la farà punire?»«È uscito di casa proprio per questo. Non sapevo che mi credessero una strega.»«È svenuta?» chiese Clym, guardando il piccolo segno rosso come se volesse baciarlo per farlo guarire.«Sì, ho preso una gran paura. Non andavo in chiesa da un pezzo. E ora non ci andrò per chissà quanto: forse

mai più. Dopo quel che è avvenuto, non me la sento d'affrontare gli sguardi della gente. È stata un'umiliazione terribile. Per diverse ore mi son sentita così infelice che avrei voluto esser morta, ma ora non me ne importa più nulla.»

«Sono venuto qui proprio per sgombrare la mente dei miei compaesani dall'ignoranza e dal pregiudizio,» disse Yeobright. «Non vorrebbe aiutarmi... a istruirli? Potremmo far loro un mucchio di bene.»

«No, la cosa non mi attira. Non amo molto il mio prossimo. A volte lo odio addirittura.»«Ma se conoscesse il mio piano forse lo troverebbe interessante. A che serve odiare la gente? Se proprio si

deve odiare qualcosa, meglio odiare ciò che l'ha resa com'è.»«La Natura, vuol dire? La odio già. Ma sarò lieta di sentire il suo piano, quando vuole.»Ormai la conversazione era giunta a un punto conclusivo e non potevano far altro che lasciarsi. Clym se ne rese

conto vedendo che Eustacia si lallontanava, come per por fine al colloquio; ma continuò a guardarla, come se avesse ancora qualcosa da dirle. Forse, se non fosse vissuto per tanto tempo a Parigi, non avrebbe avuto il coraggio di farlo.

«Noi ci siamo già incontrati,» disse, guardandola con un interesse maggiore del necessario.«Non ricordo,» disse Eustacia con tono guardingo.«Io invece ne sono convinto.»«Come vuole.»«Si sente molto sola qui?»«Non posso soffrire la brughiera, se non nella stagione in cui è tutt~ in fiore. Viverci è una vera tortura per

me.»«Dice davvero?» chiese Clym. «La brughiera è invece il luogo che più mi esalta, mi dà forza e al tempo stesso

mi calma. Preferirei vivere tra questi colli piuttosto che in qualsiasi altra parte del mondo.»«È un luogo che può piacere agli artisti; ma io non so dipingere.»«C'è a poca distanza una pietra druidica molto curiosa,» disse Clym gettando una pietra nella direzione

indicata. «Non va mai a vederla?»«Non conoscevo neppure l'esistenza di questa pietra druidica tanto curiosa, conosco invece quella dei

boulevard di Parigi.»Yeobright fissò pensosamente gli occhi al suolo. «È una cosa che esalta,» mormorò.«Certo,» disse Eustacia.«Anch'io un tempo desideravo la vita tumultuosa della città. Ma son bastati cinque anni in una grande

metropoli per guarirmi di questo desiderio.»«Vorrei poter fare anch'io la stessa cura! E ora, signor Yeobright, devo rientrare e fasciarmi la mano ferita.»Si separarono: e Eustacia scomparve nell'ombra sempre più fitta. Si sentiva colma di cose nuove. Dal vuoto del

suo passato pareva emergere in una vita appena all'inizio. Clym invece non si sarebbe reso conto per un pezzo dell'importanza che l'incontro aveva avuto per lui. Ora, mentre muoveva verso casa, sentiva soltanto vagamente che il suo piano era stato in un certo senso glorificato: una bella donna era entrata a farne parte.

Giunto a casa, salì nella stanza di cui voleva fare il proprio studio, e per tutta la sera si diede da fare a tirar fuori i libri dalle casse disponendoli negli scaffali. Da un'altra cassa tirò fuori una lampada e una latta di petrolio. Preparò la lampada, mise in ordine il tavolo e disse: «Ora, posso incominciare.»

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Il mattino dopo si alzò presto, lesse due ore prima di colazione, alla luce della lampada; poi continuò a leggere per tutto il mattino e tutto il pomeriggio. Soltanto quando il sole incominciò a tramontare si sentì gli occhi stanchi e s'abbandonò sulla sedia.

Dalla finestra della sua camera si vedeva il tratto davanti alla casa e la brughiera che si stendeva oltre la cinta. I bassi raggi del sole invernale gettavano l'ombra della casa sulla staccionata e il bordo d'erba della brughiera, arrivando sin nella valle dove i camini e le cime degli alberi spuntavano come lunghe antenne scure. Dopo aver lavorato a tavolino tutto il giorno, decise di fare un giro per le colline prima che fosse completamente scuro; e, uscendo subito, si diresse verso Mistover.

Un'ora e mezzo dopo era di nuovo dinanzi al cancello. Le imposte della casa erano chiuse e Christian Cantle, che per tutto il giorno aveva lavorato a portar concime nell'orto, se n'era andato a casa. Entrando, vide che sua madre, dopo averlo aspettato a lungo, aveva finito di mangiare.

«Dove sei stato, Clym?» chiese subito. «Perché non mi hai detto che uscivi a quest'ora?»«Sono stato nella brughiera.»«Scommetto che hai incontrato Eustacia Vye.»Clym tacque per un momento, poi disse: «Sì, l'ho incontrata,» come se vi fosse costretto soltanto dalla

necessità di non mentire.«Me lo immaginavo.»«Ma non era un appuntamento.»«No; questi incontri non sono mai appuntamenti.»«Sei forse in collera, mamma?»«Non posso sinceramente dire di non esserlo. In collera? No. Ma quando penso alle ragioni per cui tanti uomini

di belle promesse finiscono col deludere, non posso non sentirmi inquieta.»«Ti sono grato per il tuo sentimento, mamma; ma ti assicuro che, per quanto mi riguarda, non hai nulla da

temere.»«Quando penso a te e ai tuoi nuovi capricci,» disse la signora Yeobright con una certa enfasi, «non posso

sentirmi tranquilla come un anno fa. Non riesco a capire come un uomo abituato a frequentare le splendide dame di Parigi e altre città si lasci incantare così facilmente da una ragazza della brughiera. Perché non sei andato a passeggiare da un'altra parte?»

«Avevo studiato tutto il giorno.»«E va bene,» diss'ella allora con tono più sereno, «mi sono convinta che, se veramente sei arrivato a odiare il

mestiere che fai, potrai farti una buona posizione nella vita anche come maestro.»Yeobright non volle contraddirla, anche se difficilmente, secondo il suo piano, l'educazione dei giovani

avrebbe potuto diventare per lui un mezzo di avanzamento sociale. Non questo desiderava. Era ormai giunto all'età in cui un uomo si rende conto di quanto sia infelice in genere la condizione del genere umano; e la coscienza di questo fatto pone un potente freno a ogni ambizione. In Francia non è raro che un giovane, giunto a questo punto, si suicidi; in Inghilterra facciamo qualcosa di molto meglio, o di molto peggio, secondo i casi.

Sarebbe stato stranamente difficile ora scorgere l'affetto esistente tra il giovane e sua madre. Dell'affetto si può dire che meno è terreno meno lo si dimostra. Nella sua forma assolutamente indistruttibile raggiunge una profondità tale che ogni manifestazione esterna ne diventa penosa. Così era tra quei due. Chi avesse udito la conversazione svoltasi tra loro, avrebbe certamente detto: «Che freddezza!»

La teoria del figlio e il suo desiderio di dedicare il proprio avvenire all'insegnamento avevano profondamente colpito la signora Yeobright. E come avrebbe potuto essere altrimenti se il figlio era una parte di lei e i loro discorsi si svolgevano come tra la mano destra e la mano sinistra del medesimo corpo? Egli aveva disperato di poterla convincere col ragionamento; ed era rimasto sorpreso scoprendo d'esserci invece riuscito con una specie di magnetismo, superiore alle parole come le parole sono superiori agli urli.

Incominciava ora a rendersi conto che non tanto sarebbe stato difficile persuadere colei ch'era la sua migliore amica dei vantaggi rappresentati per lui da una povertà relativa, quanto giustificare a se stesso i suoi sforzi per convincerla. Sua madre aveva così evidentemente ragione da ogni normale punto di vista che Clym provava quasi un senso di disagio nel veder che poteva persuaderla del contrario.

Nonostante la sua limitatissima esperienza, la signora Yeobright aveva una singolare conoscenza della vita. Ci son persone che senza conoscere bene le cose di cui parlano, vedono tuttavia in modo chiaro i valori impliciti in esse. Il poeta Blacklock, cieco dalla nascita, sapeva descrivere con precisione oggetti che non vedeva; il professor Sanderson, cieco anch'egli, teneva ottime lezioni sul colore, e insegnava agli altri la teoria di esperienze ch'essi avevano ed egli no. Nel campo sociale le persone così dotate sono in genere donne; possono valutare un mondo che non hanno mai visto e forze di cui hanno soltanto sentito parlare. È quella che chiamiamo intuizione.

Che cos'era il mondo immenso per la signora Yeobright? Una moltitudine di esseri di cui poteva percepire, se non le essenze, le tendenze. Vedeva i gruppi sociali come da una certa distanza, come noi vediamo le folle che popolano le tele di Sallaert, di Van Alsloot e altri della stessa scuola: grandi masse di esseri umani, che si urtano, s'intersecano, si muovono in direzioni definite, ma i cui lineamenti non si possono distinguere a causa dell'ampiezza stessa della visione.

Si capiva che aveva avuto un'intensa vita interiore. Quasi si potevano leggere nei suoi gesti la sua filosofia della vita e i limiti che a questa filosofia avevano imposto le circostanze. Avevano una maestà fondamentale, pur

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essendo tutt'altro che maestosi, e una fondamentale sicurezza, anche se non eran sempre sicuri. Come il suo passo un tempo vivo ed elastico era stato appesantito dal tempo, così il suo orgoglio naturale non aveva potuto fiorire perché costretto dalle necessità della vita.

Un nuovo piccolo fatto destinato a influire sul destino di Clym si verificò alcuni giorni dopo. Si spianò un tumulo e Yeobright assistè all'operazione, tralasciando i suoi studi per diverse ore. Nel pomeriggio Christian ritornò da una gita fatta in quel posto e la signora Yeobright lo interrogò.

«Hanno scavato una buca, e hanno trovato oggetti che sembrano vasi da fiori capovolti, signora Yeoblight; e dentro questi vasi c'erano ossa vere. Se le sono portate a casa, ma io non vorrei dormire dove ci sono quelle ossa. È capitato tante volte che i morti tornino a prendersi le cose loro. Il signor Yeobright aveva preso un vaso pieno di ossa e stava per portarselo a casa - erano ossa vere, di scheletro - ma poi è andata diversamente. Sarà contenta di sapere, signora, che, dopo averci pensato su, ha dato via vaso e tutto; ed è stata una vera fortuna per lei, signora Yeobright, dati i tempi che corrono.

«L'ha dato via ?»«Sicuro. L'ha dato alla signorina Vye. Si direbbe che quella abbia un gusto da cannibale per queste cose da

cimitero.»«C'era anche la signorina Vye?»«E come no? Certo che c'era, sicuro.»Quando Clym arrivò a casa, poco dopo, sua madre disse, con un tono curioso: «Hai dato via il vaso che avevi

pensato di portarmi.»Yeobright non rispose; sentiva in lei troppo risentimento per confessarlo.Trascorsero così le prime settimane dell'anno. Yeobright studiava molto in casa, ma passeggiava anche a lungo

fuori, e le sue passeggiate si dirigevano sempre a un punto tra Mistover e il Rainbarrow.Arrivò il mese di marzo e la brughiera incominciò a mostrare i primi vaghi segni di risveglio dal torpore

invernale: un risveglio quasi felino, tanto era furtivo. Lo stagno fuori del bastione che chiudeva la casa di Eustacia, più che mai morto e desolato per chi lo osservasse muovendo e facendo chiasso, rivelava a chi lo guardava rimanendo immobile e zitto un'intensa animazione. La stagione aveva dato vita a un timido mondo animale. Girini e salamandre incominciavano a gorgogliare nell'acqua, o a correr sotto la superficie; piccoli rospi emettevano suoni simili a quelli di anitrini appena nati e s'avventuravano sino agli orli in gruppi di due o tre; in alto, api e libellule volavano qua e là nella luce sempre più intensa, e il loro ronzio s'avvicinava e allontanava come il suono d'un gong.

In una di queste sere Yeobright stava scendendo verso la valle di Blooms-End proprio da quello stagno, presso il quale era stato con un'altra persona in perfetto silenzio quanto bastava per sentire tutti questi minuscoli suoni della resurrezione della natura, anche se in realtà non li aveva uditi affatto. Scendeva rapidamente, con passo scattante. Prima di entrare in casa si fermò a riprender fiato. La luce di una finestra illuminata mostrava che il suo volto era infiammato e che i suoi occhi brillavano. Non mostrava però qualcosa che ancora indugiava sulle sue labbra come se vi fosse stato posto a sigillo. L'impressione era in lui così persistente e così viva che quasi non osava entrare per timore che sua madre dicesse: «Che cos'è quel segno rosso sulle tue labbra?»

Tuttavia, dopo un momento, si decise. Il tè era pronto, ed egli si sedette di fronte a sua madre. Ella non parlò molto; quanto a lui, ciò ch'era avvenuto e quanto era stato detto poco prima sulla collina non l'invogliava certo ad avviare un discorso qualsiasi. C'era qualcosa di minaccioso nel silenzio di sua madre, ma egli parve non farci caso. Sapeva perché era così taciturna, ma non poteva far nulla per indurla a cambiare atteggiamento. Questi lunghi silenzi eran diventati quasi un'abitudine tra loro, ormai. Alla fine Clym decise d'entrare senz' altro nel vivo dell'argomento.

«Sono cinque giorni ormai che mangiamo senza quasi scambiarci una parola. A che cosa serve, mamma?»«A niente,» ella rispose con voce addolorata. «Ma ne sai benissimo il perché.»«Credo che cambierai idea quando ti avrò detto tutto. Avevo appunto intenzione di parlarne e sono contento

che se ne presenti l'occasione. Si tratta naturalmente di Eustacia Vye. Sì, confesso d'averla vista spesso in questi ultimi tempi.»

«Sì, sì; e capisco che cosa significa. La cosa mi preoccupa, Clym. Stai sciupando la tua vita qui: e per causa sua. Se non fosse stato per quella donna, non avresti mai pensato di metterti a fare il maestro qui.»

Clym guardò sua madre con aria severa. «Sai benissimo che non è vero,» disse.«Sì, so che avevi deciso di farlo già prima di conoscerla; ma sarebbe rimasta un'intenzione. Era bellissimo

parlarne, ma assurdo farlo veramente. Pensavo che, dopo due o tre mesi, avresti capito la follia di un simile sacrificio e a quest'ora saresti stato di nuovo a Parigi o al lavoro di prima o a un altro. Capisco che il commercio dei diamanti possa non piacerti: riconosco che è insoddisfacente per un uomo come te, anche se avrebbe potuto far di te un milionario. Ma ora che vedo come t'inganni nei riguardi di questa ragazza, incomincio a chiedermi se hai ragione anche nel resto.»

«Perché dici che mi sbaglio nei suoi riguardi?»«È pigra, irrequieta, scontenta. E poi, quand'anche fosse la più brava ragazza del mondo, perché vuoi legarti

proprio in questo momento?»«Ci sono delle ragioni pratiche,» incominciò Clym, e poi fu lì lì per interrompersi, sopraffatto dal peso delle

obiezioni che si potevano sollevare contro quanto stava per dire. «Se mi metto a far scuola, una donna istruita sarebbe per me un aiuto inestimabile.»

«Come! Pensi veramente di sposarla?»

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«Sarebbe prematuro dichiararlo apertamente. Ma pensa quali sarebbero i vantaggi. Eustacia...»«Non pensare che sia ricca. Non ha un soldo.»«Ha un'ottima educazione e potrebbe far benissimo la direttrice di un collegio. Confesso candidamente che,

proprio per riguardo a te, ho cambiato un pochino i miei piani: e dovresti esserne soddisfatta. Non penso più d'impartire i rudimenti dell'istruzione alle classi inferiori. Posso far qualcosa di meglio. Posso metter su una buona scuola privata per i figli degli agricoltori e così, senza smettere di far scuola, prepararmi per gli esami. In questo modo, e con l'aiuto d'una moglie come lei...

«Oh, Clym!»«... potrò anche finir col diventare il direttore d'uno dei migliori collegi della regione.»Yeobright aveva pronunciato la parola «lei» con un ardore del tutto inopportuno conversando con una madre.

Nessun cuore materno, nel mondo intero, avrebbe potuto ascoltare senza irritarsi, in circostanze simili, tale manifestazione di sentimento nei riguardi di un'altra donna.

«Tu sei come accecato, Clym,» disse la signora Yeobright con calore. «Disgraziato fu il giorno in cui la vedesti per la prima volta. Il tuo progetto non è che un castello in aria che ti costruisci per assecondare la tua follia e per giustificare dinanzi alla tua coscienza l'assurda situazione in cui ti sei messo.»

«Questo non è vero, mamma,» rispose il giovane con fermezza.«Come puoi accusarmi di dir cose non vere quando non desidero che salvarti da dispiaceri futuri? Dovresti

vergognarti, Clym! E tutto per quella donna... quella civetta!»Clym arrossì violentemente e si alzò. E, posando la mano sulla spalla di sua madre, disse con un tono curioso,

tra la supplica e il comando: «Non voglio più ascoltarti. Potrei risponderti con parole che rimpiangeremmo poi entrambi.»

Sua madre schiuse le labbra per dire con impeto qualche altra verità ma, guardando il suo volto, vi lesse qualcosa che la convinse a tacere. Yeobright percorse due o tre volte la stanza a grandi passi, poi uscì di casa. Erano le undici quando rientrò, benchè non fosse uscito dal giardino. Sua madre era andata a letto. C'era una luce accesa sul tavolo e la cena pronta. Senz'aver voglia di mangiare, Clym sprangò le porte e salì al piano di sopra.

UN'ORA DI FELICITÀ E MOLTE ORE DI TRISTEZZA

Il giorno che seguì fu piuttosto malinconico a Blooms-End. Yeobright rimase chiuso nel suo studio, curvo sui libri aperti; ma riuscì a combinare ben poco. Deciso a non dimostrare alcun rancore nei confronti di sua madre, le aveva occasionalmente rivolto la parola, senza risentirsi per la brevità delle sue risposte. Sempre con lo stesso intento di tenere in piedi un simulacro di conversazione, verso le sette di sera le disse: «C'è un'eclissi di luna questa sera. Vado a vederla.» E, indossato il soprabito, uscì.

Dallo spiazzo dinanzi alla casa la luna bassa non era ancora visibile e Yeobright s'inerpicò in cima alla valle fino a esserne illuminato in pieno. Ma non si fermò e continuò a camminare in direzione del Rainbarrow.

Una mezz'ora dopo era in cima. Da un orizzonte all'altro il cielo era limpido e la luna toccava coi suoi raggi l'intera brughiera, anche se non si poteva dire che veramente l'illuminasse, tranne nei punti in cui sentieri o corsi d'acqua avevano messo allo scoperto le pietre bianche e la sabbia di quarzo luccicante, che si staccavano come strisce luminose su uno sfondo scuro. Dopo esser stato in piedi per un momento si chinò a tastare l'erica. Era asciutta e allora si lasciò cadere a terra, con la faccia rivolta alla luna, una piccola immagine della quale si rifletteva in ciascuno dei suoi occhi.

Era spesso venuto qui senza dirlo a sua madre; ma era la prima volta che le aveva detto apertamente dove andava, tacendone però lo scopo segreto. Soltanto tre mesi prima non avrebbe mai creduto di potersi abbassare a simile inganno. Aveva sperato, ritornando al paese nativo, di liberarsi dal peso irritante delle convenzioni sociali: e invece eccole anche qui. Più che mai desiderava vivere in un mondo in cui l'ambizione personale non fosse al centro d'ogni sforzo e d'ogni progresso: un mondo come forse era stato chissà quando l'argenteo globo che stava ora contemplando. Percorse con lo sguardo in tutta la sua ampiezza quel paesaggio lontano: la Baia degli Arcobaleni, l'oscuro Mare delle Crisi, l'Oceano delle Tempeste, il Lago dei Sogni, le ampie Pianure Murate e le meravigliose Montagne dell'Anello - finchè ebbe quasi la sensazione d'errare fisicamente in quelle plaghe sconosciute, trattenendosi sui concavi colli, percorrendone le pianure deserte, discendendo nelle sue valli e nelle profondità di vecchi mari, o risalendo sino agli orli dei suoi crateri.

Mentre stava osservando l'astro remoto, una macchia scura incominciò a formarsi sull'orlo inferiore: era incominciata l'eclissi. Era questo per lui un segnale prestabilito: chè del remoto fenomeno celeste s'era fatto nel mondo sublunare un mezzo di segnalazione per gl'innamorati. Vedendolo, Yeobright si scosse dalle sue fantasie, tornando a terra; si alzò e rimase in ascolto. Passarono diversi minuti, forse dieci, e l'ombra sulla luna s'allargò in modo sensibile. Sentì un fruscio alla sua sinistra, una figura avvolta in un mantello e col volto sollevato comparve alla base della montagnola, e Clym s'affrettò a discendere. Un momento dopo la figura era tra le sue braccia e le sue labbra incontravano quelle di lei.

«Eustacia mia!»«Clym, caro!»A tanto erano arrivati in meno di tre mesi.

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Rimasero a lungo senza parlare: il linguaggio era inadeguato al loro sentimento; le parole erano come strumenti arrugginiti d'una barbara epoca superata, che solo occasionalmente si potevano tollerare.

«Incominciavo a chiedermi perché non venivi,» disse Yeobright appena ella si fu sciolta dall'abbraccio.«Hai detto che m'avresti aspettata dieci minuti dopo il primo comparire dell'ombra sull'orlo della luna; e sono

passati appena adesso.»«Non importa: ora siamo qui.»Poi, tenendosi per mano, di nuovo tacquero, mentre l'ombra sul disco lunare si veniva sempre più allargando.«T'è sembrato lungo il tempo dall'ultima volta in cui ci siamo visti?» chiese Eustacia.«M'è sembrato triste.»«E non lungo? Ma tu lavori e non senti perciò la mia mancanza. Per me invece, che non so far nulla, è come

vivere sotto un'acqua stagnante.»«Avrei preferito annoiarmi, cara, piuttosto che passare il tempo come ho fatto.»«E come? Hai forse pensato che sarebbe meglio non amarmi?»«Non si può pensare una cosa simile e continuare ad amare. No, Eustacia!»«Per una donna non sarebbe possibile, ma per un uomo sì.»«Bene, qualunque cosa possa aver pensato, una cosa è certa: ti amo, al di là di ogni limite e di ogni definizione.

Ti amo fino all'ossessione: io che prima d'ora non avevo mai provato per le donne che una piacevole passeggera passione. Lascia che guardi bene il tuo volto illuminato dalla luna, soffermandomi su ogni linea e su ogni curva. Minime sono le variazioni tra questo volto e i volti che ho visto tante volte prima di conoscerti; e tuttavia, che differenza! La differenza che passa tra il tutto e il nulla. Lascia ch'io baci ancora la tua bocca! Così, così, e così. I tuoi occhi mi sembrano tristi, Eustacia.»

«No, è la mia espressione solita. Forse perché provo a volte una struggente pietà di me stessa e vorrei non esser nata.»

«Anche in questo momento?»«No. Ma so che non ci ameremo sempre così. Nulla può garantire la continuazione dell'amore. Evaporerà come

un'essenza: ecco perché ho tanta paura.»«Non devi aver paura.»«Ah, tu non sai. Tu hai visto più cose di me, sei stato in città e tra gente di cui ho soltanto sentito parlare, e sei

vissuto più a lungo. In una cosa però io ho più esperienza. Ho amato un altro uomo un tempo, e ora amo te.»«Per amor del cielo, non dir queste cose, Eustacia!»«Ma non credo che sarò io la prima a stancarmi. So come finirà il nostro amore: tua madre verrà a sapere dei

nostri incontri e farà di tutto per staccarti da me.»«Questo è impossibile. Sa già dei nostri incontri.»«E li disapprova.»«Questo non l'ho detto.»«Su, via! Ubbidiscile! Io sarò la tua rovina. Sei pazzo a fare all'amore con me. Baciami ancora una volta, e poi

vattene per sempre. Per sempre... hai sentito?... per sempre!»«No, Eustacia.»«È la tua unica possibilità di salvezza. Molti uomini son stati rovinati dall'amore.»«Sei esagerata, fantasiosa, testarda; e non vuoi capire. Oltre all'amore che ti porto, ho oggi una ragione di più

per vederti. Perché sebbene, diversamente da te, io pensi che il nostro amore può essere eterno, sono d'accordo con te nel sentire che non possiamo andare avanti così.»

«Ah, ecco tua madre. Sì, proprio così! Lo sapevo.»«Non devi aver paura. Lo sai che non voglio perderti. Ti voglio sempre vicina. Anche stasera farei di tutto per

non lasciarti. C'è un solo rimedio a questa sofferenza, mia cara: devi diventare mia moglie.»Ella trasalì; poi si sforzò di rispondere con calma: «I cinici dicono che il matrimonio guarisce dalle sofferenze

perché guarisce al tempo stesso dall'amore.»«Rispondimi piuttosto. Accetti di sposarmi... sia pure non immediatamente?»«Bisogna che ci pensi,» mormorò Eustacia. «Ma adesso parlami di Parigi. Esiste veramente un posto simile

sulla terra?»«Sì, ed è molto bello. Ma accetti d'essere mia?»«Non sarò di nessun altro... non ti basta questo?»«Per il momento sì.»«E ora parlami delle Tuileries, e del Louvre,» ella continuò cercando di sfuggirgli.«Odio parlare di Parigi! Eppure... ecco, ricordo una stanza piena di sole al Louvre, che sarebbe la tua dimora

ideale: la Galerie d'Apollon. Quasi tutte le finestre danno a est; e nelle prime ore del mattino, quando c'è il sole, è tutto un trionfo di splendide luci. I raggi si riflettono balzando dalle dorature agli stupendi scrigni intarsiati, dagli scrigni al vasellame d'oro e d'argento, dal vasellame ai gioielli e alle pietre preziose, da queste agli smalti: è tutto un incrociarsi, un intersecarsi di luci che abbagliano gli occhi. Ma ora parliamo del nostro matrimonio...»

«E Versailles?... La Galleria del re è una sala splendida e pomposa, non è vero?»

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«Sì. Ma perché stiamo a parlare di sale pompose? Certo ti piacerebbe vivere nel Piccolo Trianon, e potresti passeggiare nei giardini al chiaro di luna immaginando d'essere in un giardino inglese: è disegnato all'inglese, infatti.»

«Questo me lo renderebbe odioso!»«E allora potresti stare invece nel praticello dinanzi al Grand Palais. Ti sentiresti in un mondo pieno di

romantica storia.»E così continuò, poichè tutto era nuovo per lei, e le descrisse Fontainebleau, St. Cloud, il Bois, e molti altri

luoghi frequentati dai parigini. Finchè ella disse:«Quando andavi in questi posti?»«Alla domenica.»«Ah, ecco. Odio le domeniche inglesi. Come mi adatterei facilmente alle usanze francesi! Ci tornerai, caro

Clym?»Clym scosse il capo, guardando l'eclissi.«Se ci tornerai, io...» disse con tenerezza, posando il capo sul suo petto. «Se dici che ci tornerai, non ti faccio

più sospirare neanche un minuto e ti prometto subito di sposarti.»«È strano come tu e mia madre vi troviate d'accordo su questo punto!» disse Yeobright. «Ho giurato di non più

tornare a Parigi, Eustacia. Non è la città che mi dispiace; ma il lavoro che facevo.»«Potresti trovarne un altro.»«No. E poi questo turberebbe i miei piani. Non insistere, Eustacia. Prometti di sposarmi?»«Non posso dirtelo ancora.»«Via, non pensare a Parigi: non è un posto migliore degli altri. Promettimelo, tesoro!»«Sono certa che non realizzerai mai i tuoi progetti scolastici; e allora per me andrà benissimo; ti prometto

d'essere tua per sempre.»Con una dolce pressione della mano, Clym attirò il volto della donna verso il suo e la baciò.«Ah! Ma tu non sai che cosa troverai in me,» diss'ella.«A volte penso che in Eustacia Vye non ci sia per niente la stoffa d'una buona moglie. Ma ora andiamo... vedi

come il tempo scorre, scorre, continua a scorrere!» disse additando la luna per metà nascosta.«Sei troppo pessimista.»«No. Ma non voglio pensare al di là dell'ora presente. Il presente lo conosciamo. In questo momento siamo

insieme, e non sappiamo fino a quando potremo esserlo: l'ignoto mi fa sempre pensare a possibilità terribili, anche quando la ragione mi dice che potrei invece essere felice... Clym, il chiaro di luna attenuato dall'eclissi brilla sul tuo volto con uno strano insolito colore, disegnandone la forma come se fosse scolpita nell'oro. Significa che saresti nato per un destino migliore.»

«Tu sei ambiziosa, Eustacia... no, non proprio ambiziosa, ma amante del lusso. Penso che, per renderti felice, dovrei avere anch'io le stesse aspirazioni. E invece io sarei felice di vivere e di morire in un eremo come questo, pur di fare un buon lavoro.»

C'era qualcosa nel suo tono che faceva pensare a una certa sfiducia nelle sue possibilità d'innamorato, a un dubbio: quasi si chiedesse se si comportava onestamente verso quella donna i cui gusti s'accordavan coi suoi solo raramente e in ben pochi punti. Ella comprese il suo stato d'animo e a bassa voce, ansiosa di rassicurarlo, mormorò: «Cerca di capirmi, Clym: anche se mi piacerebbe andare a Parigi, ti amo per te stesso. Essere tua moglie e vivere a Parigi sarebbe per me il paradiso; ma preferirei vivere con te in un deserto piuttosto che non averti affatto. È una felicità per me in ogni modo, una felicità immensa. Forse la mia confessione è troppo sincera.»

«È la confessione d'una donna. E ora debbo lasciarti. T'accompagnerò un pezzo verso casa.»«Ma devi già andartene?» ella chiese. «Sì, vedo che nella clessidra la sabbia è quasi passata tutta, e l'eclissi va

sempre allungandosi. Non andartene ancora. Fermati finchè quest'ora sia finita, poi non ti tratterrò più. Andrai a casa e dormirai tranquillamente; io invece continuo a sospirare durante il sonno! Non mi sogni mai?»

«Non ricordo d'averti mai chiaramente sognata.»«Io vedo la tua faccia in tutti i miei sogni, e odo la tua voce in ogni suono. Preferirei che così non fosse. Il mio

sentimento è troppo intenso. Dicono che un amore simile non può durare. Deve durare, invece. Eppure ricordo che una volta vidi un ufficiale degli ussari passare a cavallo per la strada di Budmouth e, benchè mi fosse completamente estraneo e non mi rivolgesse mai la parola, l'amai fino a credere che sarei morta d'amore per lui... non morii invece, e alla fine smisi completamente di pensarci. Sarebbe una cosa terribile, Clym, se a un certo punto non ti amassi più!»

«Non dire cose assurde, ti prego. Quando vedremo arrivare un momento simile, diremo: "Sono sopravvissuto alla mia fede e alle mie aspirazioni", e morremo. Ecco, l'ora è finita: ora andiamo.»

Tenendosi per mano, s'avviarono lungo il sentiero verso Mistover. Quando furono vicini alla casa, egli disse: «Questa sera è troppo tardi perché vada a parlare a tuo nonno. Credi che si opporrà?»

«Gli parlerò io. Sono così abituata a esser l'unica padrona di me stessa che non m'è neanche venuto in mente di dover chiedere il consenso a lui.»

A malincuore si separarono, e Clym discese verso Blooms-End.A misura che s'allontanava dall'atmosfera incantata della sua fanciulla, si veniva posando sul suo volto l'ombra

d'una tristezza nuova. Si rendeva benissimo conto del dilemma in cui l'aveva posto l'amore. Sebbene Eustacia si dimostrasse pronta ad attendere per tutto il periodo d'un lungo e poco attraente fidanzamento ch'egli si fosse sistemato

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nella sua nuova occupazione, Clym pensava a volte ch'ella lo amasse più come un visitatore proveniente da un mondo pieno di gaiezza - quel mondo per cui era nata - che non come un uomo teso verso uno scopo opposto a quel recente passato che tanto interessava la ragazza. Spesso, durante i loro incontri, le sfuggiva una parola o un sospiro. E questo significava che, sebbene ella non ponesse come condizione il suo ritorno alla capitale francese, a questo segretamente aspirava sposandolo; ne veniva turbata così un'ora che sarebbe stata altrimenti piena di dolcezza. A questo doveva aggiungere il dissenso sempre più vivo tra lui e la madre. Ogni volta che una qualsiasi circostanza dimostrava in modo più evidente la delusione ch'egli le procurava, cercava sollievo in lunghe e malinconiche passeggiate; e il disagio creato in lui dalla situazione lo teneva sveglio per buona parte della notte. Se soltanto la signora Yeobright avesse capito quanto era solido e degno il suo proposito e quanto poco v'influisse il suo amore per Eustacia, certo l'avrebbe considerato in modo assai diverso!

Così, a misura che il suo occhio si veniva abituando al primo abbagliante splendore dell'amore e della bellezza, Yeobright incominciava a rendersi conto della difficile posizione in cui si trovava. A volte arrivava a desiderare di non aver mai incontrato Eustacia, anche se respingeva immediatamente questo desiderio come ingiusto e inumano. Tre erano le cose da salvare: la fiducia di sua madre in lui, il suo progetto di diventare maestro e la felicità di Eustacia. Appassionato com'era, non poteva rinunciare a nessuna di queste tre cose, anche se poteva sperar di salvarne al massimo due. Benchè il suo amore fosse puro come quello del Petrarca per la sua Laura, aveva trasformato in pesanti ceppi quella ch'era prima una semplice difficoltà. Una situazione già tutt'altro che facile quando l'avesse affrontata con tutto se stesso e con entusiasmo, s'era estremamente complicata dopo la comparsa di Eustacia. Quando sua madre stava per accettare una parte dei suoi piani, subito gliene imponeva un'altra a lei ancora più ingrata. Come l'avrebbe potuto sopportare?

ASPRE PAROLE, CUI SEGUE UNA DECISIONE GRAVE

Quando Yeobright non era con Eustacia, sgobbava sui libri; quando non studiava, era con lei. I loro incontri si svolgevano nella massima segretezza.

Ma un pomeriggio sua madre tornò a casa dopo esser stata tutto il mattino da Thomasin: e dall'espressione del suo volto, egli capì subito che c'era qualcosa di nuovo.

«Ho sentito una cosa per me incomprensibile,» disse con tono dolente. «Il capitano avrebbe detto alla "Buona Donna" che tu e Eustacia Vye siete fidanzati e avete intenzione di sposarvi.»

«È vero,» disse Yeobright. «Ma forse ci vorrà ancora un po' di tempo.»«Ne sono convinta. La porterai con te a Parigi, suppongo, disse col tono stanco di chi si sappia del tutto

impotente.»«Non ho intenzione di ritornare a Parigi.»«E allora che cosa farai dopo esserti sposato?»«Aprirò una scuola a Budmouth, come già ti ho detto.»«Incredibile! Ma se là ci sono maestri da vendere! Non hai nessuna qualifica speciale. Che possibilità credi che

ci siano per uno come te?»«Nessuna possibilità d'arricchire, certo. Ma col mio sistema educativo, altrettanto nuovo quanto buono, farò un

gran bene al mio prossimo.»«Sogni, nient'altro che sogni! Se ci fosse ancora qualche sistema da inventare, all'università l'avrebbero

scoperto da un pezzo.»«Non è vero, mamma. Non possono scoprirlo, perché gli insegnanti non vengono mai a contatto con quelli che

ne avrebbero bisogno; con quelli cioè che non hanno avuto una preparazione elementare. Il mio metodo consiste nell'instillare una conoscenza di grado superiore nelle menti incolte senza prima imbottirle di quelle nozioni da cui bisogna poi liberarle prima che incominci il vero studio.»

«Avrei forse anche potuto crederci, se tu fossi rimasto libero, senza impegni; ma questa donna... era un guaio anche se fosse stata una brava ragazza... ma dato che...»

«Eustacia è una brava ragazza.»«Questo lo dici tu. La figlia d'un direttore di banda di Corfù! Qual è stata la sua vita? Il cognome che porta non

è neanche il suo.»«È la nipote del capitano Vye e suo padre ha assunto il nome della moglie. Ed è una signora per istinto.»«Lo chiamano "capitano", ma chiunque può essere capitano.»«È stato nella Marina.»«Avrà navigato su qualche trabiccolo, si capisce. Ma perché non la sorveglia un po' di più? Una signora non

vagabonda come lei su e giù per la brughiera, di giorno e di notte. E non basta. C'è stato qualcosa un tempo tra lei e il marito di Thomasin... ne sono sicurissima.»

«Eustacia me ne ha parlato. Le ha fatto un po' la corte, un anno fa; non c'è niente di male. E questo me la fa apprezzare ancora di più.»

«Clym,» disse sua madre con fermezza, «purtroppo non ho nessuna prova contro di lei. Ma sono convinta che non può essere una buona moglie per te.»

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«Sei veramente esasperante, mamma,» disse Yeobright con violenza. «E pensare che proprio oggi avevo pensato di combinare un incontro tra voi. Ma tu non mi dai pace: cerchi di ostacolarmi in tutti i miei desideri.»

«Mi dispiace che mio figlio faccia un cattivo matrimonio! Vorrei esser morta piuttosto che vedere una cosa simile; è troppo per me... è il peggio che mi potesse capitare.» Si voltò verso la finestra: aveva il respiro rapido, le labbra schiuse, pallide e tremanti.

«Mamma,» disse Clym, «qualunque cosa tu faccia, io ti vorrò sempre bene, lo sai. Ma credo d'aver il diritto di dirti una cosa; alla mia età sono abbastanza cresciuto per sapere quel che più mi giova.»

La signora Yeobright rimase per un momento scossa e silenziosa, come se non sapesse dir altro. Poi rispose: «Quel che più ti giova? Pensi forse che ti giovi rovinare le tue prospettive future per una donna frivola e oziosa? Non capisci che, per il solo fatto di sceglierla, dimostri di non sapere quel che ti giova? Sei pronto a rinunciare al tuo raziocinio, a impegnarti anima e corpo... per compiacere a una donna.»

«Certo. E quella donna sei tu.»«Come puoi essere così impertinente?» disse la madre, volgendo nuovamente verso di lui la faccia lagrimosa.

«Non mi aspettavo che tu diventassi un figlio così snaturato, Clym.»«Si capisce,» diss'egli con tristezza. «Non sapevi con quale metro mi avresti misurato, e non sapevi quindi in

che misura avrei reagito.»«Mi rispondi male; pensi solamente a lei. La difendi in tutto.»«Questo dimostra che lo merita. Non ho mai potuto sopportare ciò che non è buono. E non penso a lei soltanto;

penso anche a te e a me stesso, e a tutto ciò che è bene. Ma quando una donna ne odia un'altra diventa senza pietà!»«Oh, Clym! Non attribuire a mia colpa quella che è la tua ostinazione nell'errore. Se volevi legarti a una donna

indegna, perché sei venuto a casa per farlo? Perché non l'hai fatto a Parigi?... Là è cosa normale. Sei tornato soltanto per rattristare questa povera vecchia, e per abbreviarmi la vita! Perché non te ne vai con quella che ami?»

Clym disse allora con voce rauca: «Tu sei mia madre. Dunque non dirò altro: soltanto mi scuso per aver creduto che questa fosse la mia casa. Non t'affliggerò più con la mia presenza: me ne vado.» E uscì, con gli occhi pieni di lagrime.

Era un pomeriggio soleggiato all'inizio dell'estate, e gli umidi valloncelli della brughiera erano passati dal bruno al verde. Yeobright andò sino all'orlo della conca che s'apriva sotto Mistover e il Rainbarrow. Calmo ormai, rimase a contemplare il paesaggio. Nelle vallette secondarie, tra le basse colline che davano varietà alle linee della valle, le nuove, giovani felci crescevano rigogliose, raggiungendo persino l'altezza d'un metro e mezzo o due metri. Discese per un tratto, si buttò a terra in un punto in cui sbucava un sentiero che veniva dal valloncello, e attese. Era qui che aveva promesso a Eustacia di portare sua madre nel pomeriggio, perché s'incontrassero e diventassero amiche. Ma il tentativo era fallito.

Si trovava in un nido di vivido verde. Benchè copiosissima, la vegetazione delle felci intorno a lui era del tutto uniforme: formava un boschetto di fogliame tagliato a macchina, un mondo di triangoli verdi dagli orli dentati, senza un solo fiore. L'aria era calda e umida, e il silenzio perfetto. Le uniche cose vive erano le lucertole, i grilli e le formiche. Si sarebbe potuto pensare d'esser tornati all'epoca carbonifera, quando le piante erano poche e tutte della famiglia delle felci; quando non c'eran gemme nè fiori, ma soltanto una monotona distesa di foglie, tra cui ancora non cantavano gli uccelli.

Era lì sdraiato da un po', immerso in malinconiche riflessioni, quando vide al disopra delle felci un cappello di seta bianca avvicinarsi da sinistra e capì subito che doveva esser quello dell'amata. Svegliandosi dall'apatia, il suo cuore fu invaso da una calda eccitazione e, balzando in piedi, disse forte: «Sapevo che sarebbe venuta.»

Per un momento la figura scomparve in un avvallamento, poi emerse intera dalla boscaglia.«Sei solo?» esclamò con aria delusa; ma che si trattasse d'una delusione superficiale lo dimostrarono il rossore

che le coprì le guance e il breve riso che si lasciò sfuggire con aria colpevole. «Dov'è tua madre?» chiese.«Non è venuta,» rispose Clym, mortificato.«Peccato non aver saputo che saresti venuto solo,» diss'ella, seria, «e che saremmo potuti stare insieme

tranquillamente. La gioia che non s'aspetta e quindi non si gusta prima è per metà sciupata; mentre l'attesa la raddoppia. Non credevo che ti avrei avuto tutto per me, e la realtà delle cose dura così poco.»

«Poco davvero.»«Povero Clym!» diss'ella, guardandolo in faccia con tenerezza. «Vedo che sei triste. A casa dev'esser capitato

qualcosa. Non importa... faremo come se niente fosse.»«Che cosa faremo, cara?» diss'egli.«Continueremo come abbiamo fatto sinora: vivremo da un giorno all'altro senza pensare a quello che verrà poi.

Tu invece non sai pensare ad altro, lo so... Ma non devi farlo... vero, Clym?»«Tu sei come tutte le donne: s'accontentano di fondare la propria vita sulle circostanze in cui si trovano a

vivere; mentre gli uomini vogliono crearsi un mondo a loro misura. Ascoltami, Eustacia. È un argomento di cui non posso più tardare a discutere. La saggezza del tuo carpe diem non mi soddisfa. Non si può più continuare a questo modo.»

«Ecco l'influenza di tua madre!»«È vero. Non devi pensare che ti ami meno se riconosco quest'influenza; è giusto che tu lo sappia.»

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«Sapevo che la mia felicità non poteva durare,» diss'ella muovendo appena le labbra; «era troppo intensa, troppo divoratrice.»

«C'è ancora speranza. Ho dinanzi a me almeno quarant'anni di lavoro; perché dovresti disperare? Siamo soltanto a una svolta difficile. Perché esser così restii a credere che un mutamento non possa portare al meglio?»

«Ah! Tu vedi le cose dal punto di vista filosofico. Bene, questi dolorosi e insormontabili ostacoli sono in un certo senso utili perché ci permettono di considerare con indifferenza le crudeli ironie cui ama indulgere il destino. So di persone che, raggiunta improvvisamente la felicità, sono morte per l'ansia di non vivere abbastanza per goderne. Ho provato anch'io ultimamente questa bizzarra inquietudine; ma ora voglio liberarmene. Andiamo.»

Clym prese la mano da cui ella aveva già sfilato il guanto per porgergliela - era una delle cose che più amavano, camminare tenendosi le mani nude - e la guidò attraverso le felci. Formavano un quadro incantevole di felicità amorosa per chi li avesse visti camminare nella brughiera sul finire di quel pomeriggio, col sole che tramontava alla loro destra, gettando le loro sottili ombre fantastiche, alte come pioppi, sull'erica e sulle felci. Eustacia procedeva con la testa capricciosamente gettata all'indietro; e c'era nei suoi occhi una lieta e voluttuosa aria di trionfo per aver saputo conquistare senza l'aiuto di nessuno un uomo a lei perfettamente complementare in qualità, aspetto ed età. Quanto al giovane, il pallore che aveva portato con sè da Parigi, e i segni incipienti del tempo e del pensiero, erano ora meno visibili sul suo volto che aveva riacquistato in parte, dopo il ritorno, il sano ed energico vigore originario. Continuarono ad andare avanti finchè giunsero all'estremità inferiore della brughiera, là dove diventava paludosa, trasformandosi in sterile landa.

«Qui dobbiamo separarci, Clym» disse Eustacia.Si fermarono per dirsi addio. Tutto dinanzi a loro era sullo stesso piano. Il sole, adagiato sulla linea

dell'orizzonte, gettava sulla terra fasci di luce attraverso nubi color lilla e arancione, disposte a strati sotto un cielo di tenue e pallido azzurro. Tutti gli oggetti scuri sulla terra volti verso il sole erano ricoperti da una specie di vapore violaceo, contro il quale brillavano stormi di sibilanti zanzare, levandosi in alto e danzando come scintille di fuoco.

«Oh, non posso sopportare di lasciarti!» esclamò Eustacia con un improvviso sussurro pieno d'angoscia. «Tua madre ti allontanerà da me; non mi giudicheranno onestamente, diranno che non sono una brava ragazza, e salterà fuori anche la storia della strega a peggiorare la mia reputazione.»

«Questo è impossibile. Nessuno osa parlare men che rispettosamente di te o di me.»«Oh, come vorrei essere sicura di non perderti mai... che nessuno potrà indurti ad abbandonarmi!»Clym rimase un momento in silenzio. Dominato dalla passione, decise di troncare ogni indugio.«Voglio che tu sia sicura di me, cara,» disse, stringendola tra le braccia. «Ci sposeremo subito.»«Oh, Clym!»«Sei d'accordo?»«Sì... se è possibile.»«È possibile, dato che siamo entrambi maggiorenni. E siccome in questi anni ho sempre lavorato, ho anche

messo da parte un po' di denaro; se t'accontenti di vivere in una casetta nella brughiera, finchè non troverò una casa a Budmouth per aprirci una scuola, potremo farlo con pochissima spesa.»

«E per quanto tempo dovremo vivere nella casetta, Clym?»«Circa sei mesi, finchè avrò finito la mia preparazione... Così non soffriremo più tanto. Naturalmente vivremo

molto appartati, e ci mostreremo in pubblico come marito e moglie soltanto quando avremo la casa a Budmouth: ho già scritto in questo senso. Credi che tuo nonno sarà d'accordo?»

«Credo di sì... a condizione che la cosa non duri più di sei mesi.»«Posso assicurartelo, se non capita qualche disgrazia.»«Se non capita qualche disgrazia,» ripetè Eustacia lentamente.«Il che è ben poco probabile. Ora fissiamo il giorno, tesoro.»Discussero per un momento, poi stabilirono la data. Si sarebbero sposati quindici giorni dopo.Finito ormai il colloquio, Eustacia se ne andò. Clym la guardò allontanarsi in direzione del sole. I raggi

luminosi l'avvolgevano sempre più, a misura che s'allontanava, e il fruscio delle sue vesti sui giunchi e sull'erba in fiore si faceva più fioco. Mentre la guardava si sentì come oppresso dal paesaggio disperatamente piatto che lo circondava, benchè fosse sensibilissimo alla bellezza di quel verde intatto della prima estate di cui s'adornava ora il più modesto filo d'erba. Qualcosa in quelle linee orizzontali faceva pensare un po' troppo all'arena della vita; gli dava il senso d'essere uguale e per nulla superiore a ogni cosa viva sotto il sole.

Eustacia non era più per lui una dea, ma semplicemente una donna: un essere per cui bisognava lottare, ch'era necessario sostenere, aiutare, difendere dalle calunnie. Ora, più calmo, avrebbe preferito un matrimonio meno affrettato; ma ormai il dado era tratto, e decise di mantenere la parola data. L'avvenire avrebbe dimostrato se Eustacia era una di quelle persone che amano con troppa passione per saper amare a lungo e profondamente.

YEOBRIGHT SE NE VA, E LA ROTTURA È COMPLETA

Per tutta la sera la madre di Yeobright sentì il figlio che si dava da fare al piano di sopra a preparare i bauli.

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Il mattino dopo, egli uscì di casa e di nuovo s'avviò attraverso la brughiera. L'attendeva una lunga giornata di cammino, alla ricerca d'una casa in cui portare Eustacia quando fosse diventata sua moglie. Un mese prima, per caso, aveva visto una casetta appartata ed evidentemente vuota, a circa due miglia oltre il villaggio di East Egdon: sei miglia di distanza in tutto. A quella volta si diresse.

Dalla sera prima il tempo era cambiato. Il tramonto giallo e pieno di vapori che aveva velato al suo sguardo la figura di Eustacia, preludeva a un cambiamento. Oggi era una di quelle giornate di giugno, non rare in Inghilterra, umide e ventose come se si fosse in novembre. Le fredde nubi si spostavano in massa, quasi fossero dipinte su uno schermo mobile. Il vento portava, da altre terre, banchi di vapori che a tratti, mentre Clym procedeva, si aprivano e chiudevano al suo passaggio.

Giunse infine ai margini d'un bosco di pini e di faggi, piantati nella brughiera l'anno stesso in cui egli era nato. Qui gli alberi, appesantiti dalle umide foglie nuove, soffrivano di più che durante i violenti venti invernali quando i rami, pressochè nudi, meglio potevano affrontare le tempeste. I giovani, umidi faggi erano sottoposti a dolorose mutilazioni, lividi, storpiature, lacerazioni violente da cui la linfa sarebbe poi gocciolata inutilmente per molti giorni, lasciandovi cicatrici visibili finchè non fossero diventati legna da ardere. Ciascun tronco tremava violentemente sino alla radice, dove si muoveva come un osso nel suo alveolo, e a ogni raffica di vento i rami esalavano suoni convulsi, come se soffrissero. In una macchia vicina un fringuello si provò a cantare; ma il vento gli soffiò sotto le penne arruffandole finchè gli si drizzarono intorno al codino, costringendolo a rinunciare al tentativo.

Ma, pochi metri a sinistra di Yeobright, nella brughiera aperta, la forza della tempesta pareva rompersi contro il suo volto impassibile. Le raffiche che flagellavano gli alberi facevano soltanto ondeggiare i giunchi e le eriche come a una leggera carezza. Egdon sembrava fatta apposta per questi momenti.

Era quasi mezzogiorno quando Yeobright giunse alla casa vuota. Isolata come quella del nonno di Eustacia, era però divisa dalla vicina brughiera da una cintura di pini che la circondava quasi completamente. Proseguì per un altro miglio ancora sino al villaggio in cui viveva il proprietario e, tornato con lui alla casa, prese gli accordi necessari: una stanza almeno sarebbe stata abitabile sin dal giorno seguente. Clym pensava di venirci a vivere da solo finchè Eustacia non si sarebbe unita a lui il giorno delle nozze.

Poi prese la via del ritorno sotto la leggera pioggia che aveva completamente trasformato il paesaggio. Le felci su cui il giorno prima s'era comodamente sdraiato, gocciavano umidità da ogni stelo, bagnandogli le gambe dentro i pantaloni, mentre le sfiorava passando; e la pelliccia dei conigli selvatici che vedeva saltellare dinanzi a sè era come rappresa in ciocche scure dall'umidità circostante.

Arrivò a casa bagnato e stanco dopo una camminata di dieci miglia. Il principio non era stato molto promettente, ma ormai aveva deciso e non si sarebbe lasciato distogliere dalla propria decisione. Passò la sera e il mattino seguente a preparare tutto per il trasloco. Ora che aveva deciso, meglio andarsene subito, evitando così nuovi dispiaceri a sua madre con qualche sguardo, gesto o parola.

Fece venire un mezzo e mandò via i bagagli verso le due. Doveva pensare ora a procurarsi un po' di mobilio che, usato provvisoriamente nella casetta, potesse servire, con l'aggiunta d'altro migliore, ad arredare la futura casa di Budmouth. Sapeva che avrebbe trovato quel che cercava al mercato di Anglebury, a poche miglia dal luogo da lui scelto come residenza, e là decise di passare la notte seguente.

Non gli rimaneva ora che accomiatarsi da sua madre. Quando scese le scale ella era seduta, come al solito, presso la finestra.

«Me ne vado, mamma,» disse, porgendole la mano.«L'ho immaginato, quando ho visto che preparavi i bagagli,» rispose la signora Yeobright con voce da cui si

sforzava d'escludere ogni fremito di commozione.«Ci lasciamo da amici, non è vero?»«Certamente, Clym.»«Mi sposerò il venticinque di questo mese.»«Sapevo che ti saresti sposato.»«E poi... e poi devi venire a trovarci. Vedrai che finirai col capirmi e che andrà tutto meglio di quel che pensi.»«Credo che difficilmente verrò a trovarvi.»«Allora non sarà per colpa mia, nè di Eustacia, mamma. Addio!»Le diede un bacio sulla guancia e se ne andò. Si sentiva profondamente infelice e ci vollero parecchie ore

perché riuscisse a dominare la propria pena. Sarebbe bastata una parola di più per provocare una rottura irreparabile; e a questo non bisognava arrivare.

Appena Yeobright se ne fu andato, il volto di sua madre perse la sua rigidezza esprimendo un dolore profondo. Dopo un po' pianse e le lagrime le diedero un certo sollievo. Per tutto il resto della giornata non fece che camminare su e giù per il sentiero del giardino, meccanicamente, come un automa. Scese la notte, ma le portò ben poco riposo. Il giorno dopo, per far qualcosa che, pur dandole dolore, la salvasse da quello stato d'inerzia, salì nella camera di suo figlio, e la rimise in ordine con le proprie mani, pensando che potesse tornarvi un giorno. Si occupò anche un poco dei suoi fiori, ma lo fece senza entusiasmo; ormai non l'interessavano più.

Fu un grande sollievo per lei quando, nelle prime ore del pomeriggio, vide arrivare inaspettatamente Thomasin. Non era la prima volta che si vedevano dopo il matrimonio; e, ora che gli antichi errori erano stati in qualche modo riparati, s'incontravano sempre con serenità e con piacere.

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L'obliqua lama di sole che l'accompagnò attraverso la soglia s'addiceva alla giovane sposa. La illuminava, come la sua presenza illuminava la brughiera. Veniva fatto, osservandola, d'avvicinare i suoi movimenti e il suo sguardo a quelli delle creature pennute che vivevano intorno alla sua casa. Tutti i paragoni e le similitudini che la riguardavano incominciavano e finivano con qualche uccello. C'era nei suoi movimenti la varietà dei loro voli. Quando rifletteva era un falchetto, librato nell'aria e sostenuto dal moto invisibile delle ali. Quando il vento soffiava forte, il suo corpo leggero era spinto contro gli alberi e le prode come quello d'un airone. Quand'era spaventata, balzava qua e là silenziosamente come un martin pescatore. Quand'era allegra saltellava come una rondine: e così era in questo momento.

«Ti vedo allegra, Tamsie,» disse La signora Yeobright, con un malinconico sorriso. «Come sta Damon?»«Benissimo.»«È buono con te, Thomasin?» chiese la signora Yeobright, scrutandola attentamente.«Molto buono.»«Sei sincera?»«Sì, zia. Te lo direi se non fosse buono.» Poi subito aggiunse, arrossendo e con una certa esitazione: «Solo

che... non so se debbo dirtelo, ma non so proprio come fare. Ho bisogno di qualche soldo, capisci, zia, per comperarmi certe cosette... e lui non mi dà niente. Mi spiace chiederglielo, ma forse non me ne dà perché non sa che ne ho bisogno. Credi che dovrei parlargliene, zia?»

«Certo. Non gli hai mai detto nulla?»«Finora, vedi, avevo una piccola somma,» disse Thomasin senza rispondere direttamente; «e i soldi non mi

servivano. Gliene ho parlato la settimana scorsa; ma sembra che... non se ne ricordi.»«E tu costringilo a ricordarsene. Sai benissimo che io ho uno scrignetto pieno di antiche ghinee, che mi ha

consegnato tuo zio perché le dividessi tra te e Clym quando lo credevo opportuno. Forse è venuto il momento di farlo. Le ghinee si possono cambiare senza difficoltà in moneta corrente.»

«Potrei avere la mia parte? Se non ti dispiace, naturalmente.»«L'avrai, se ti occorre. Prima però devi dire chiaramente a tuo marito che hai bisogno di denaro; e vedere che

cosa fa.»«Lo farò, zia... Ho saputo di Clym; certo sei addolorata. Per questo sono venuta a trovarti.»La signora Yeobright girò la testa, sforzandosi di non lasciar capire la sua angoscia; ma non ci riuscì e si mise a

piangere dicendo: «Oh, Thomasin, credi che mi odii davvero? Come può darmi tanto dolore? E pensare che in tutti questi anni son vissuta unicamente per lui!»

«Ma no che non ti odia, zia,» disse Thomasin, cercando di consolarla. «È soltanto innamorato di quella donna. Via, cerca di prender le cose con calma. Clym non è cattivo. E avrebbe potuto fare una scelta peggiore. Da parte di madre la signorina Vye è di ottima famiglia; e suo padre è stato un avventuriero romantico: una specie di Ulisse greco.»

«È inutile, Thomasin, è inutile. Capisco le tue intenzioni; ma non serve a niente discutere. Mi son detta e ridetta una quantità di volte tutto quello che si può sostenere pro e contro. Clym e io non ci siamo lasciati in collera: ma forse è anche peggio. Assai più di un litigio violento mi spezza il cuore la sua testarda ostinazione nel fare il proprio danno. Oh, Thomasin, e pensare ch'era così buono da piccolo: così affettuoso, così gentile!»

«Lo so.»«Non avrei mai creduto che mio figlio crescendo arrivasse a trattarmi in questo modo. Mi ha parlato come se

mi opponessi al suo matrimonio per offenderlo, per fargli del male. Come se io potessi desiderare qualcosa che non sia il suo bene!»

«Ci sono al mondo donne peggiori di Eustacia Vye.»«Ma ce ne sono anche di migliori: ecco la mia pena. È stato per lei, soltanto per lei, Thomasin, che tuo marito

s'è comportato in quel modo, ci giurerei!»«No, questo non è vero,» s'affrettò a dire Thomasin. «Damon l'aveva corteggiata un po' prima di conoscermi,

ma è stata una cosa superficiale, senza importanza.»«Non parliamone più, allora. A che serve frugare nel passato? Ma come possono esser ciechi i figli! Perché una

donna vede benissimo di lontano quel che un uomo non riesce a vedere neanche da vicino? Clym faccia pure ciò che vuole: non è più nulla per me. Ecco il destino della madre: sacrificare gli anni e gli affetti migliori per essere poi abbandonata e disprezzata!»

«Perché sei così severa? Pensa a quelle madri che i figli hanno disonorato agli occhi del mondo commettendo veri delitti, prima di sdegnarti tanto per la condotta di Clym.»

«Non farmi la predica, Thomasin: non lo posso sopportare. Si tratta di proporzioni, capisci; e dipende da quello che ci si aspetta; può darsi che quelle madri siano meno colpite perché forse prevedevano il peggio... Sono fatta male, Thomasin,» aggiunse, con un sorriso triste. «Certe vedove si difendono dalle ferite inferte loro dai figli dedicando il proprio affetto a un altro marito e facendosi una nuova vita. Ma io sono sempre stata una povera, debole creatura con un unico affetto: e non ho avuto nè la forza nè il coraggio di rifarmi una vita. Da quando mio marito ha esalato l'ultimo respiro, son rimasta sola e dolente, senza riuscire a consolarmi. Ero relativamente giovane a quel tempo e a quest'ora potrei essermi formata un'altra famiglia che mi avrebbe consolata dell'abbandono di questo mio primo figliuolo.»

«La tua condotta è stata più nobile.»«Tanto meno saggia quanto più nobile.»

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«Non pensarci più e calmati, cara zia. Non ti lascerò sola. Verrò a trovarti ogni giorno.»E per una settimana Thomasin mantenne fedelmente la promessa. Cercava di prendere il matrimonio alla

leggera; portava notizie dei preparativi, disse ch'era stata invitata. Ma la settimana dopo era un po' indisposta e non venne. Nulla s'era ancor fatto circa le ghinee, ma Thomasin non osava chiederle di nuovo perché non aveva ancora parlato col marito, secondo il consiglio della zia.

Un giorno, Wildeve se ne stava sulla porta della «Buona Donna». Oltre al sentiero in salita che portava attraverso la brughiera al Rainbarrow e a Mistover, c'era una strada che, partendo dalla via maestra poco distante, saliva a Mistover attraverso un dolce e serpeggiante declivio. Era l'unica via per cui si potesse arrivare con un veicolo alla casa del capitano. Un carro appartenente a un mercante della città vicina scese lungo questa strada e il giovane conducente si fermò all'osteria a bere un bicchiere.

«Venite da Mistover?» chiese Wildeve.«Sì. Sono andato a portare un mucchio di cose buone. Ci dev'essere un matrimonio,» rispose il giovane

affondando il volto nel bicchiere.Wildeve, che fino a quel momento non ne aveva saputo nulla, parve colpito. Si ritirò per un momento nel

vestibolo per nascondere la sua pena. Poi tornò fuori.«Volete dire che si sposa la signorina Vye?» chiese. «E come mai... si sposa così presto?»«Per la volontà di Dio e d'un giovanotto, suppongo.»«Il signor Yeobright?»«Sicuro. È tutta la primavera che le sta dietro.»«Credete che... sia molto innamorata di lui?»«Ne è pazza addirittura, se si deve credere a quel che mi ha detto la domestica. E il giovane Charley, lo

stalliere, è come fuori di sè e non capisce più niente. È innamorato di lei anche lui.»«Ma lei com'è? Allegra? Contenta? Sposarsi così giovane!»«Non è poi tanto giovane.»«No, non è tanto giovane.»Wildeve rientrò nella stanza vuota con una strana sensazione di dolore in mezzo al petto. Appoggiò il gomito

sul caminetto e il volto sulla mano. Quando Thomasin entrò nella stanza non le disse nulla. L'antico amore per Eustacia era rinato nel suo spirito, più vivo che mai ora ch'ella stava per diventare d'un altro.

Anelare alle cose difficili da conquistare e stancarsi di quelle che si hanno facilmente, sognare le cose lontane e sdegnare quelle vicine: era stato sempre il carattere di Wildeve. Ed è il carattere dell'uomo romantico. Anche se il suo ardore sentimentale non si elaborava in forme di vera poesia, era però di quel tipo: lo si sarebbe potuto definire il Rousseau di Egdon.

PRINCIPIO E FINE D'UNA GIORNATA

Giunse il mattino delle nozze. A giudicare dalle apparenze, nessuno avrebbe potuto pensare che quel giorno a Blooms-End ci s'interessasse di quanto avveniva a Mistover. Un silenzio profondo regnava intorno alla casa della madre di Clym, nè c'era maggior movimento all'interno. La signora Yeobright, che aveva declinato l'invito d'assistere alla cerimonia, stava facendo colazione nella vecchia stanza in diretta comunicazione col portico, gli occhi volti con indifferenza verso la porta aperta. Era la stanza in cui, soltanto sei mesi prima, s'era tenuta l'allegra festa di Natale a cui Eustacia era intervenuta in segreto, come estranea. L'unica cosa viva, entrata in quel momento, era un passerotto che, non spaventato da alcun movimento, fece saltellando il giro di tutta la stanza, cercò di uscire dalla finestra e si mise a svolazzare tra i vasi di fiori sul davanzale. Notandolo, la donna solitaria si alzò, liberò l'uccellino e mosse verso la porta. Aspettava Thomasin, che le aveva scritto la sera prima per dirle che aveva bisogno del denaro e che, se appena le era possibile, sarebbe venuta quel giorno.

Ma non a Thomasin pensava la signora Yeobright mentre guardava la brughiera piena di farfalle e di cicale il cui frinire l'avvolgeva da ogni parte come un rauco coro. Assisteva, come se fosse presente, al dramma familiare che si veniva preparando alla distanza di due o tre miglia di lì. Per respingerne la visione, si mise a passeggiare in giardino; ma i suoi occhi continuavano a tendersi nella direzione della parrocchia a cui apparteneva Mistover, trapassando con la fantasia i colli che gliene nascondevano la vista. Il mattino trascorse lentamente.

Suonarono le undici. Stavano celebrando il matrimonio in quel momento? Sì, certo. Immaginava la scena dinanzi alla porta della chiesa, a cui suo figlio si stava avvicinando con la sposa. Le sembrava di vedere il gruppetto di ragazzini accanto al cancello, all'arrivo del calesse tirato dal cavallino, in cui, secondo quanto aveva saputo da Thomasin, avrebbero compiuto il breve tragitto. Poi li vedeva entrare, avvicinarsi all'altare, inginocchiarsi: e la cerimonia continuava.

Si coprì il volto con le mani. «Sta commettendo un grave errore!» gemette. «Un giorno dovrà pentirsene e allora penserà a me!»

Mentre se ne stava così immobile, oppressa da neri presentimenti, il vecchio pendolo nell'interno della casa battè gemendo dodici colpi. E poco dopo giunsero al suo orecchio vaghi suoni provenienti dalle lontane colline. Il vento

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soffiava da quella parte e portava con sè il suono di campane lontane che risuonavano allegramente: uno, due, tre, quattro, cinque. I campanari di East Egdon annunciavano le nozze di Eustacia e di suo figlio.

«E così è finito,» mormorò. «Anche la mia vita finirà, presto o tardi. E perché poi dovrei prendermela? Le ragioni di affanno sono tante che, a considerarle bene tutte, non si dovrebbe far altro che piangere. Eppure a volte riusciamo anche a ridere!»

Verso sera venne Wildeve. Dopo il matrimonio di Thomasin, la signora Yeobright s'era comportata con lui con quella cordialità un po' forzata che finisce con lo stabilirsi tra quelli che si siano imparentati senza desiderarlo. Si respinge per pura stanchezza la visione di quel che sarebbe dovuto essere e la volontà mortificata s'acconcia meglio che può al fatto compiuto. Bisogna riconoscere che Wildeve s'era comportato con la massima cortesia nei riguardi della zia di sua moglie; ella non fu quindi sorpresa nel vederlo entrare.

«Thomasin non ha potuto venire, come aveva promesso,» rispose alla domanda ch'ella gli aveva rivolto con una certa ansia, sapendo che la nipote aveva bisogno di denaro. «Ieri sera il capitano è venuto a invitarla personalmente, insistendo perché assistesse alle nozze. E così, per non essere scortese, ha dovuto andarci. Sono venuti a prenderla col calesse, e la riaccompagneranno a casa.»

«Allora è fatta,» disse la signora Yeobright. «Si sono gìà stabiliti nella casa nuova?»«Non so. Non ho più avuto notizie da Mistover dopo che Thomasin è partita a quella volta.»«E perché non l'ha accompagnata?» disse la zia con una leggera sfumatura di rimprovero.«Non era possibile,» rispose Wildeve, arrossendo leggermente. «Non potevamo andarcene tutt'e due chiudendo

bottega, proprio oggi che la locanda è piena di gente perché c'è la fiera ad Anglebury. Mi pare che lei avesse qualcosa da dare a Thomasin: se crede, posso portargliela.»

La signora Yeobright esitò un momento, chiedendosi se Wildeve sapeva che si trattava di denaro. «È stata Thomasin a dirle di venire a prenderla?» chiese.

«Non proprio. Ha detto soltanto di sfuggita che doveva venire a ritirare qualcosa.»«Non mi sembra il caso di mandargliela. Se la potrà prendere quando verrà.»«Non credo che verrà tanto presto. Nelle sue condizioni non può più camminare tanto.» E aggiunse, con una

punta di sarcasmo: «È dunque una cosa tanto preziosa che non si fida d'affidarla a me?»«Ma no, è una sciocchezza.»«Si direbbe che dubiti della mia onestà,» diss'egli ridendo anche se il suo volto si copriva di quel rossore di

risentimento in lui così facile e frequente.«Niente affatto,» ribattè la zia con tono asciutto. «Non deve aversene a male se anch'io, come tutti quanti,

penso che certe cose debbano esser fatte da alcuni anzichè da altri.»«Come vuole, come vuole,» disse Wildeve con tono laconico. «Non stiamo a discutere. Me ne vado ora: non

posso lasciar tanto tempo la locanda in mano alla cameriera e al garzone.»Se ne andò, dopo aver salutato assai meno cortesemente che all'arrivo. Ma ormai la signora Yeobright lo

conosceva, e non fece caso alla maggiore o minore cordialità dei suoi modi.Quando Wildeve se ne fu andato, la signora Yeobright si chiese che cosa fare di quelle ghinee che non aveva

voluto affidargli. Le sembrava impossibile che Thomasin avesse mandato il marito a chiedergliele, quando la necessità di averle nasceva dalla difficoltà di ottener denaro da lui. Comunque, Thomasin ne aveva certamente bisogno, e sarebbe passata magari una settimana prima che potesse venire a Blooms-End. Portarle o mandarle il denaro alla locanda era un'imprudenza: Wildeve sarebbe stato quasi certamente presente o avrebbe comunque scoperto la cosa; e se, come la zia sospettava, non trattava la giovane moglie come questa avrebbe meritato, poteva anche, approfittando della sua timidezza, prenderle tutto quanto. Ma quella sera Thomasin era a Mistover e poteva fargliele avere all'insaputa del marito. Perché non approfittare dell'occasione?

C'era anche suo figlio là, e sposato ormai. Quale momento più opportuno per consegnargli la sua parte? La possibilità, che le si offriva in questo modo, di dimostrare al figlio, inviandogli questo dono, che non gli portava rancore, rallegrò il cuore della madre desolata.

Andò al piano di sopra, aperse un cassetto e ne trasse fuori uno scrignetto da cui rovesciò un mucchio di grosse monete lucenti tenute in serbo da anni. Erano cento in tutto ed ella le divise in due mucchietti di cinquanta ciascuno. Dopo averle chiuse in due sacchettini di tela, scese in giardino e chiamò Christian Cantle che stava ciondolando attorno, nella speranza che lo invitassero a pranzo, anche se non ne aveva in realtà alcun diritto. La signora Yeobright gli diede i due sacchetti di denaro, e lo incaricò di andare sino a Mistover e di consegnarli personalmente nelle mani di suo figlio e di Thomasin. Ripensandoci, credette opportuno dire a Christian che cosa contenevano i due sacchetti per fargli meglio comprendere l'importanza della sua missione. Christian se li mise in tasca, promise di far le cose per bene, e partì.

«Non occorre che tu ti affretti,» disse la signora Yeobright. «Meglio se arrivi quand'è già scuro: così nessuno ti noterà. Poi torna a cena qui, se non è troppo tardi.»

Erano quasi le nove quando Christian incominciò a salire la valle verso Mistover; ma, essendo una delle giornate più lunghe dell'anno, le prime ombre della sera avevano appena incominciato a oscurare il paesaggio. A un certo punto Christian udì un suono di voci e s'accorse che provenivano da un gruppo di uomini e di donne che attraversavano un avvallamento dinanzi a lui e di cui si scorgevan solo le teste.

Si fermò pensando al denaro che portava. Era troppo presto perché anche un tipo come Christian potesse temere seriamente di venir derubato; prese tuttavia una precauzione adottata sin da ragazzo quando aveva in tasca più di

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tre o quattro scellini: una precauzione simile a quella presa da Pitt del diamante quando aveva timori del genere. Si tolse le scarpe, slegò i sacchetti e vuotò il contenuto di uno di essi nella scarpa destra e dell'altro nella sinistra, disponendo le monete il meglio possibile sul fondo che costituiva in realtà uno spazioso ripostiglio, essendo la scarpa assai più larga del piede che conteneva. Poi, essendosele rimesse e riallacciate con cura, continuò per la sua strada: adesso era più tranquillo, anche se i piedi gli facevano male.

Il sentiero che seguiva lo portò verso quello percorso dal gruppo chiassoso e, avvicinandosi, vide con sollievo che si trattava di gente di Egdon, da lui conosciuta, a cui s'accompagnava Fairway, di Blooms-End.

«Ma guarda! Viene anche Christian?» disse Fairway, appena lo riconobbe. «Eppure non hai nè una moglie nè una fidanzata a cui regalare il taglio di stoffa, ch'io sappia.»

«Che cosa volete dire?» chiese Christian.«Parlo della lotteria. Quella che facciamo tutti gli anni. Vieni alla lotteria con noi?»«Non ne sapevo niente. È una partita a botte o qualche altro giuoco sanguinario? Non ho nessuna intenzione di

andarci, signor Fairway, non abbiatevene a male.»«Christian non sa quanto sia divertente, e certo se la spasserebbe,» disse una donna prosperosa. «Non c'è

proprio nessun pericolo, Christian. Si mette uno scellino per uno e si può vincere un bel taglio di stoffa per fare un vestito; e chi ce l'ha può regalarlo alla moglie o alla fidanzata.»

«Siccome non ce l'ho la cosa non m'interessa. Ma mi piacerebbe vedere, se non ci sono stregonerie, e se si può assistere senza cacciarsi in qualche imbroglio.»

«Non ci saranno nè imbrogli nè liti,» disse Timothy. «Se vuoi, puoi venire a vedere, Christian; credo che non ci sia proprio niente di male.»

«Non si farà mica qualcosa di sconveniente? Vedete, vicini, non vorrei dare un cattivo esempio a mio padre ch'è già così poco serio. Ma un taglio di stoffa per uno scellino, e senza imbrogli e stregonerie... vale la pena d'andarci a dare un'occhiata, e non ci metterei più di mezz'ora. Sì, vengo anch'io, se poi mi accompagnerete un pezzetto verso Mistover, dato che allora sarà buio e nessun altro va da quella parte.»

Uno o due promisero; e Christian, deviando dal suo cammino, girò a sinistra con gli altri verso la «Buona Donna».

Quando entrarono nella grande sala della locanda, ci trovarono una dozzina d'abitanti del vicinato, a cui s'aggiunsero altrettanti nuovi venuti. Quasi tutti erano seduti nella stanza su panche divise da bracciuoli di legno come quelle dei cori delle cattedrali; su ciascuno di questi stalli erano incise le iniziali di qualche illustre bevitore del tempo antico che aveva trascorso in esso gran parte dei suoi giorni e delle sue serate e le cui ceneri alcoolizzate giacevano ora nel cimitero vicino. Tra le coppe, sul tavolo dinanzi alla panca, c'era un pacco aperto contenente un pezzo di stoffa leggera - il taglio di vestito, come dicevano - che costituiva il premio della lotteria. In piedi, voltando le spalle al camino, Wildeve stava fumando un sigaro; e il banditore della lotteria, un merciaio proveniente da una città lontana, stava decantando i meriti della stoffa con cui si poteva fare un bel vestito da estate.

«Ora, signori» disse, quando i nuovi venuti s'avvicinarono al tavolo, «sono entrate cinque persone, e ne mancano ancora quattro per fare il numero necessario. A giudicar dalla faccia, i signori appena entrati sono abbastanza in gamba per non lasciarsi sfuggire quest'occasione veramente rara di render più belle le loro donne con una spesa così modesta.»

Fairway, Sam e gli altri posarono il loro scellino sul tavolo; l'uomo si volse allora a Christian.«No, signore,» disse Christian, tirandosi indietro con espressione impaurita. «Sono un poveretto e vorrei

soltanto guardare, se permette. Non so neanche come si fa. Se fossi sicuro di vincere, metterei lo scellino; altrimenti non posso.»

«Può esserne quasi sicuro,» disse il merciaio. «Anzi, ora che la vedo bene in faccia, mi sembra che abbia molte probabilità di vincere, anche se non posso proprio assicurarglielo.»

«Ne avrai almeno quanto noialtri,» disse Sam..«L'ultimo arrivato ha sempre fortuna,» disse un altro.«E poi non mi rovinerò mica per questo,» aggiunse Christian, incominciando a cedere.Alla fine Christian posò sul tavolo il suo scellino, il giuoco incominciò e tutti tirarono i dadi. Quando fu la

volta di Christian, questi prese il bussolotto con mano tremante, lo agitò con ansia e fece una coppia di sei. Tre degli altri avevano fatto coppie di valore più basso e il resto semplici punti.

«L'avevo detto che avrebbe vinto,» osservò tranquillamente il merciaio. «Ecco, signore: il premio è suo.»«Ah, ah, ah!» disse Fairway. «Il diavolo mi porti se non è la cosa più straordinaria che abbia mai visto!»«Mio?» chiese Christian, con un'espressione stupefatta negli occhi sporgenti. «Ma io... io non ho nè fidanzata

nè moglie nè vedova, e temo che farei ridere se prendessi quella stoffa, signor viaggiatore. Avevo tanta voglia di provare che non ci ho pensato! Ma non posso tenere roba da donna nella mia camera: sarebbe una sconvenienza!»

«Tienila: ti porterà fortuna» disse Fairway. «Chissà che non ti aiuti a conquistare qualche donna che non t'avrebbe degnato d'uno sguardo vedendoti a mani vuote.»

«Certo devi tenerla,» disse Wildeve, che aveva seguito distrattamente la scena a qualche distanza.La tavola venne allora sgombrata e gli uomini si misero a bere.«Ma che diamine!» disse Christian quasi tra sè. «Chi l'avrebbe detto che fossi tanto fortunato, e che dovessi

accorgermene solo adesso? Che cose curiose sono mai questi dadi: padroni di tutti e tuttavia ai miei ordini! Sono sicuro

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che d'ora in poi non avrò più paura di niente!» Toccò i dadi a uno a uno, affettuosamente. «Vede signore,» disse sottovoce e confidenzialmente a Wildeve alla sua sinistra, «se potessi servirmi di questo mio potere di moltiplicare il denaro, potrei fare un gran bene a una sua vicina parente, dato che porto con me roba che le appartiene, non crede?» E battè in terra il piede nella scarpa appesantita dalle monete.

«Che cosa vuoi dire?» chiese Wildeve.«È un segreto. Ma ora debbo andarmene.» Gettò un'occhiata ansiosa a Fairway.«Dove vai?» chiese Wildeve.«A Mistover Knap. Devo vedere la signora Thomasin che è là... ecco tutto.»«Ci vado anch'io a prendere mia moglie. Possiamo fare la strada insieme.»Wildeve rifflettè un momento, e un lampo d'improvvisa intuizione illuminò il suo sguardo. Dunque, era denaro

per sua moglie ciò che la signora Yeobright non aveva voluto affidargli. «Ha preferito affidarlo a costui,» disse tra sè. «Forse che quanto appartiene alla moglie non appartiene anche a suo marito?»

Ordinò al garzone di portargli il cappello e disse: «Sì, Christian, andiamo: sono pronto.»«Signor Wildeve,» disse Christian timidamente, mentre si muoveva per uscire, «le dispiacerebbe prestarmi

quelle cosette straordinarie che portano in sè la mia fortuna, perché possa esercitarmi un poco da solo?» E guardava con desiderio i dadi e il bussolotto posati sul camino.

«Ma certo,» disse Wildeve con indifferenza. «Li ha intagliati qualcuno con un coltello, e non valgono nulla.» Christian tornò indietro e se li mise in tasca senza farsi vedere da nessuno.

Wildeve aprì la porta e guardò fuori. Era una notte calda e piena di nubi. È buio come in bocca al lupo,» continuò. «Ma penso che troveremo ugualmente la strada.»

«Se dovessimo sperderci sarebbe un bel guaio,» disse Christian. «Non è meglio che ci prendiamo una lanterna?»

«Prendiamo una lanterna,» disse Wildeve. Si fece portare la lanterna e l'accese. Christian prese il suo taglio di stoffa e i due s'avviarono verso la collina.

Nella stanza gli uomini si misero a chiacchierare, finchè la loro attenzione non fu per un momento attirata all'interno del camino. Era un camino molto grande e, oltre al solito recesso, conteneva tra le sue sponde, come molti camini di Egdon, una nicchia interna in cui una persona poteva starsene senz'esser vista, quando il fuoco non l'illuminasse, come accadeva normalmente durante l'estate. Dalla nicchia spuntava soltanto un oggetto visibile alla luce delle candele che illuminavano il tavolo: una pipa di terracotta, di colore rossastro. Gli uomini si voltarono sentendo una voce dietro la pipa che chiedeva un po' di fuoco.

«Giuro che ho provato un vero spavento quand'ho sentito parlare,» disse Fairway porgendogli una candela. «Ma guarda un po'!... Il venditore d'ocra! Te ne stavi così zitto e tranquillo che nemmeno c'eravamo accorti che c'eri!»

«Non avevo niente da dire,» osservò Venn. Dopo qualche minuto s''alzò e se ne andò augurando a tutti la buona notte.

Intanto Wildeve e Christian s'erano allontanati tuffandosi nella brughiera.Era una notte calda, nebbiosa e stagnante, piena di tutti i grevi profumi della nuova vegetazione non ancora

disseccata dall'ardore del sole: tra tutti si distingueva in particolare l'odore della felce. La lanterna che Christian portava, facendola dondolare, sfiorava i rami frondosi, disturbando le falene e altri insetti alati, che si levavano in volo per posarsi poi sopra i vetri opachi.

«Dunque hai del denaro da consegnare alla signora Wildeve,» disse il compagno di Christian dopo un momento di silenzio. «Non ti sembra strano che non l'abbiano invece consegnato a me?»

«Dato che marito e moglie sono una sola carne, sarebbe stato lo stesso, direi,» rispose Christian. «Ma ho avuto ordini precisi di consegnare il denaro direttamente nelle mani della signora Wildeve; ed è meglio far le cose per bene.»

«Certo,» disse Wildeve. Era mortificato nel vedere che l'oggetto in questione era denaro e non, come aveva pensato durante la visita a Blooms-End, un qualche gingillo che poteva interessare soltanto le due donne. Evidentemente la signora Yeobright non lo stimava abbastanza degno di fiducia da affidargli ciò che apparteneva a sua moglie.

«Fa caldo questa sera, Christian!» disse, ansando, quando furono quasi ai piedi del Rainbarrow. «Fermiamoci un momento a riprender fiato, ti prego!»

Wildeve si buttò sulle morbide felci; e Christian, posando in terra la lanterna e il fagotto, s'accoccolò vicino a lui in una incomoda posizione, appoggiando quasi il mento sulle ginocchia. A un tratto infilò una mano in una tasca della giacca e incominciò a scuoter qualcosa.

«Che cos'hai lì dentro?» chiese Wildeve.«Soltanto i dadi, signore,» disse Christian, affrettandosi a tirar fuori la mano. «Che oggettini meravigliosi,

signor Wildeve! Non mi stancherei mai di questo giuoco. Le dispiace se li tiro fuori e li guardo un momento per vedere come son fatti? Non ho osato osservarli bene davanti agli altri, per paura che mi giudicassero maleducato.» Li tirò fuori e tenendoli nel cavo della mano si mise a esaminarli alla luce della lanterna. «Che queste cosette portino fortuna, e abbiano tanta forza e tanta potenza, non me lo sarei mai immaginato,» continuò, guardando i dadi affascinato: erano dadi fatti di legno, come quelli spesso usati in campagna, e i punti erano stati incisi sulle facce con un filo di ferro rovente.

«Tu pensi che valgono molto per esser così piccoli, non è vero?»

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«Sì. Crede che siano davvero i balocchi del diavolo, signor Wildeve? Allora non sarebbe un buon segno ch'io sia tanto fortunato.»

«Dovresti vincere un po' di denaro, ora che hai questi dadi. Qualsiasi donna ti sposerebbe se tu fossi ricco. Non lasciarti sfuggire la buona occasione, Christian. C'è chi nasce fortunato e chi no: come me, per esempio.»

«Ha mai conosciuto qualcuno nato fortunato, oltre a me?»«Oh, sì, certo. Ho sentito parlare d'un italiano che sedette al tavolo da giuoco con un solo luigi (corrispondente

alla nostra sterlina) in tasca. Giocò per ventiquattr'ore e vinse diecimila sterline, mandando in rovina il banco. Ci fu anche un altro che aveva perduto mille sterline e il giorno dopo andò dall'agente di cambio a vendere certi titoli che aveva, per poter pagare il debito. L'uomo a cui doveva il denaro l'accompagnò in una vettura di piazza; e per passare il tempo giocarono ai dadi chi doveva pagare la corsa. L'uomo ch'era stato rovinato vinse, e l'altro fu tentato a continuare il giuoco, e continuarono a giocare per tutto il tragitto. Quando il vetturino si fermò gli ordinarono di riportarli indietro: l'uomo che andava per vendere i titoli aveva riguadagnato le mille sterline.»

«Ah! Ah!... magnifico!» esclarnò Christian. «Racconti... racconti ancora!»«E poi ci fu quell'uomo di Londra ch'era un semplice cameriere al Circolo White. Incominciò a giocare prima

alcune mezze corone, poi sempre di più, finchè diventò ricchissimo, ottenne una carica in India e diventò governatore di Madras. Sua figlia sposò un membro del Parlamento e il Vescovo di Carlisle fece da padrino a uno dei suoi nipotini.»

«Magnifico! Magnifico!»«E ci fu anche un giovanotto americano che giocò tutto quel che aveva, sino all'ultimo dollaro. Poi giocò il suo

orologio con la catena, e perse anche quello; giocò il suo ombrello; perse di nuovo; giocò il cappello; perse di nuovo; giocò la giacca e rimase in maniche di camicia: perse di nuovo. Incominciò a togliersi i pantaloni, e allora uno tra i presenti gli diede qualcosa, ammirato del suo coraggio. E con questo qualcosa vinse. Riguadagnò la giacca, riguadagnò il cappello, riguadagnò l'ombrello, l'orologio, il denaro, e quando se ne andò era diventato un riccone.»

«Oh, troppo bello!... c'è addirittura da rimanere senza fiato! Vorrei provare a giocare un altro scellino con lei, signor Wildeve, dato che sono uno di questi fortunati; non c'è niente di male; e, anche se lei perde, non va in rovina.»

«Benissimo,» disse Wildeve, alzandosi. Scrutando attorno con la lanterna, trovò una grossa pietra piatta, che collocò tra sè e Christian, poi si sedette di nuovo. Aprirono lo sportellino della lanterna per aver più luce, dirigendone il raggio sulla pietra. Christian posò uno scellino sulla pietra, Wildeve ne posò un altro, e tirarono i dadi. Christian vinse. Giocarono due scellini. Christian vinse di nuovo.

«Giochiamo quattro scellini,» disse Wildeve. Giocarono quattro scellini e questa volta vinse Wildeve.«Sono piccoli incidenti che capitano anche ai più fortunati,» osservò.«Ma adesso io non ho più un soldo!» esclamò Christian, tutto eccitato. «Sono sicuro che, se potessi continuare

a giocare, riavrei tutto il mio denaro e più ancora. Se soltanto queste monete fossero mie!» E battè forte il piede in terra, facendo tintinnare le ghinee nascoste nella scarpa.

«Ma no! Non avrai mica messo nelle scarpe il denaro che ti ha dato la signora Yeobright?»«Sicuro. Per esser più sicuro che nessuno potesse prendermelo. Ma che cosa c'è di male se gioco il denaro

d'una donna sposata? Tanto, se vinco, terrò soltanto ciò che ho vinto, e le restituirò quello ch'è suo; e se vince l'altro, il denaro andrà lo stesso al legittimo proprietario.»

«Nessun male, certo.»Sin da quando erano usciti, Wildeve aveva continuato a rimuginare rabbiosamente sulla poca stima in cui era

tenuto dai parenti di sua moglie: ne era profondamente ferito. Sempre più vivo s'era fatto in lui il desiderio di vendicarsi, anche se non avrebbe saputo dire in che momento questo desiderio fosse nato in lui. Avrebbe dato alla signora Yeobright una lezione che gli sembrava ben meritata; le avrebbe dimostrato insomma, se poteva, che il marito di sua nipote era il custode più adatto del denaro che le apparteneva.

«E va bene, allora!» disse Christian, incominciando a slacciarsi una scarpa. «Ne sognerò per molte notti, immagino; ma giurerò sempre che non mi sento accapponar la pelle quando ci penso!»

Cacciò la mano nella scarpa e ne tirò fuori, bella calda, una delle preziose ghinee della povera Thomasin. Wildeve aveva già posato una sterlina sulla pietra. Ricominciarono a giocare. Wildeve vinse la prima, Christian ne arrischiò un'altra e questa volta vinse lui. Le sorti del giuoco erano incerte, ma in complesso favorevoli a Wildeve. Assorti intensamente nel giuoco non vedevano nulla all'infuori dei minuscoli oggetti che avevano direttamente sotto gli occhi; la pietra piatta, la lanterna aperta, i dadi e le poche foglie di felce illuminate erano tutto il loro mondo.

Alla fine Christian si mise decisamente a perdere; e a un certo punto si rese conto, con orrore, che tutte le cinquanta ghinee appartenenti a Thomasin erano passate nelle tasche dell'avversario.

«Non importa!... Non importa!» si mise a gemere; e disperato si mise a sciogliere l'altra scarpa per tirar fuori le altre cinquanta. «Il diavolo m'inforcherà col suo tridente e mi butterà nel fuoco per quello che ho fatto questa sera, lo so! Ma può darsi ancora che vinca, e allora potrò prendermi una moglie che mi tenga compagnia alla notte, e non avrò più paura di niente. Ecco, avanti, giochiamo!» Posò un'altra ghinea sulla pietra e di nuovo agitarono i dadi.

Passò un po' di tempo. Wildeve incominciava a essere eccitato quanto Christian. All'inizio del giuoco non aveva altro scopo che fare uno scherzo crudele alla signora Yeobright: vincere il denaro, più o meno onestamente, e consegnarlo poi con gesto sprezzante a Thomasin in presenza di sua zia, era quel che vagamente si proponeva. Ma gli uomini son pronti a dimenticare i loro scopi anche quando lavorano a realizzarli, e assai probabilmente, dopo aver intascato la ventesima ghinea, Wildeve non pensava ad altro che a vincere per sè. Non sapeva che si trattava ora del

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denaro non più di sua moglie, ma di Yeobright: Christian gliel'avrebbe detto soltanto più tardi, angosciato per la perdita subita.

Erano quasi le undici quando, gettando una specie d'urlo, Christian posò sulla pietra l'ultima lucente ghinea di Yeobright. In trenta secondi aveva seguito la sorte di tutte le altre.

Voltandosi, Christian si abbattè sulle felci straziato dal rimorso. «Oh, che cosa farò adesso, miserabile che non sono altro?» gemette. «Che cosa farò? Potrà il cielo aver misericordia della mia anima dannata?»

«Che cosa farai? Continuerai a vivere come prima.»«Non potrò continuare a vivere come prima! Morirò! Lei è un... un...»«Un uomo più furbo di te.»«Sì, un furbo! Un imbroglione!»«Come osi essere così villano, disgraziato?»«È lei un villano! S'è preso del denaro che non è suo. Metà delle ghinee sono del povero signor Clym.»«E come mai?»«Dovevo darne cinquanta per uno. Così ha detto la signora Yeobright.»«Oh?... Allora avrebbe fatto meglio a darle a sua moglie Eustacia. Ma ora sono mie.»Christian si rimise le scarpe e, con grevi sospiri che si sentivano a distanza, si alzò a fatica e s'allontanò

barcollando.Wildeve si preparò a chiudere la lanterna per tornarsene a casa: gli sembrava ormai troppo tardi per andare a

Mistover a prender la moglie: l'avrebbero riportata a casa col calesse del capitano. Mentre chiudeva lo sportellino, una figura emerse da un cespuglio vicino e s'avvicinò al punto illuminato: era il venditore d'ocra.

UN FATTO NUOVO CAMBIA IL CORSO DEGLI EVENTI

Wildeve alzò gli occhi e lo fissò. Venn lo osservò freddamente, poi, senza dire una parola, si sedette con aria decisa al posto dove prima era stato seduto Christian, cacciò la mano in tasca, tirò fuori una sterlina e la posò sulla pietra.

«Ci ha spiati da quel cespuglio?» disse Wildeve.Il venditore d'ocra annuì. «Metta giù la sua posta,» disse.«Oppure non ne ha il coraggio?»Il giuoco d'azzardo è un divertimento assai più facile da iniziare che da smettere quando si hanno le tasche

piene; e anche se Wildeve, in un momento di maggior calma, non avrebbe risposto all'invito, ora, eccitato dalla recente fortuna, si lasciò trascinare a riprendere il giuoco. Mise una delle ghinee sulla pietra accanto alla sterlina dell'altro. «La mia è una ghinea,»

disse.«Una ghinea che non è sua,» disse Venn con sarcasmo.«È mia,» rispose Wildeve con tono altero. «È di mia moglie, e quel che appartiene a lei appartiene anche a

me.»«Bene, incominciamo allora.» Venn agitò il bussolotto e fece otto, dieci e nove: ventisette punti in tutto.Questo incoraggiò Wildeve. Buttò i dadi: e fece quarantacinque.Il venditore d'ocra giocò un'altra sterlina contro la prima, puntata ora da Wildeve. Questa volta Wildeve fece

cinquantacinque punti, ma senza coppia.Con aria torva Venn tirò di nuovo, fece quattro assi e intascò la posta.«Avanti,» disse Wildeve con tono sprezzante. «Raddoppiamo la posta Puntò due delle ghinee di Thomasin e

l'altro le sue due sterline. Vinse di nuovo Venn. Puntarono ancora e il giuoco continuò come prima.Wildeve era un tipo nervoso, eccitabile; e il giuoco incominciava ad agitarlo e sconvolgerlo. Si muoveva

continuamente, si spostava, sbuffava; quasi si sentiva il battito del suo cuore. Venn teneva invece le labbra serrate, e i suoi occhi erano ridotti a due puntini di luce; sembrava che non respirasse neanche. Sarebbe potuto essere un arabo, o un automa; o una statua d'arenaria rossa, se non avesse di quando in quando mosso il braccio per agitare i dadi.

Il giuoco era incerto: ora vinceva l'uno ora l'altro, e nessuno poteva dirsi veramente in vantaggio. Passarono così circa venti minuti. La luce della candela aveva intanto attirato moscerini, falene e altre creature alate della notte che svolazzavano intorno alla lanterna, s'avventavano contro la fiamma, o venivano a sbattere sul volto dei due giocatori.

Ma nè l'uno nè l'altro ci badava minimamente: i loro occhi erano concentrati su quella piccola pietra piatta, per loro ampia e importante come un campo di battaglia. Ma a un certo punto le sorti del giuoco cambiarono; il venditore d'ocra continuava a vincere. Alla fine aveva intascato sessanta ghinee: le cinquanta di Thomasin e dieci di quelle di Clym. Wildeve era inquieto, frenetico, esasperato.

«"Riguadagnò la giacca,"» disse Venn maliziosamente.Un'altra ghinea andò a raggiungere le altre nella sua tasca.«"Riguadagnò il cappello,"» continuò Venn.«Oh! Oh!» disse Wildeve.

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«"Riguadagnò l'orologio, riguadagnò il denaro, e quando se ne andò dalla stanza era diventato un riccone,"» aggiunse Venn, via via che vincev,a le poste successive.

«Ancora cinque!» gridò Wildeve, buttando il denaro sulla pietra. «E non facciamo tre tiri: uno soltanto!»Il rosso automa di fronte a lui tacque, annuì e seguì il suo esempio. Wildeve gettò i dadi dopo averli scossi e

fece una coppia di sei e cinque punti. Battè le mani: «Questa volta ce l'ho fatta... evviva!»«Ma siamo in due a giocare, e finora ha tirato soltanto uno,» disse il venditore d'ocra, scuotendo i dadi. Gli

occhi dei due erano fissi con tanta intensità sulla pietra che sembrava addirittura di scorgerne i raggi, come di luce tra la nebbia.

Quando Venn alzò il cono, si vide che aveva fatto un tris di sei.Wildeve era furioso. Mentre il venditore d'ocra prendeva le monete, Wildeve afferro i dadi e il bussolotto e

gettò tutto quanto nel buio con una tremenda imprecazione. Poi si alzò e incominciò ad andare su e giù come un matto.«È finito, allora?» disse Venn.«No, no!» gridò Wildeve. «Voglio tentare ancora. Devo tentare!»«Ma che ne ha fatto dei dadi, mio caro?»«Li ho buttati via... in un momento di rabbia. Che sciocco! Via... mi aiuti a cercarli... li dobbiamo ritrovare.»Afferrando la lanterna, Wildeve si mise a cercare con ansia tra le felci e l'erba.«È poco probabile che li ritrovi,» disse Venn, seguendolo. «Perché e stato così stupido? Oh, ma ecco il

bussolotto. I dadi non possono essere lontani.»Wildeve diresse subito la luce sul punto in cui Venn aveva trovato il bussolotto e si mise a strappare l'erba a

destra e a sinistra. In cinque minuti trovarono uno dei dadi. Continuarono a cercare per un bel po', ma gli altri non riuscirono a trovarli.

«Non importa,» disse Wildeve; «giochiamo con un dado solo.»«D'accordo», disse Venn.Di nuovo sedettero, e ricominciarono a puntare una ghinea per volta; e la partita continuò vivacissima. Ma

evidentemente quella sera la Fortuna s'era innamorata del venditore d'ocra. Continuò a vincere finchè non ebbe guadagnato altre quattordici monete d'oro. Settantanove delle cento ghinee erano ormai sue, Wildeve ne aveva soltanto ventuno. I due giocatori offrivano ora uno spettacolo bizzarro. A parte i movimenti, si poteva seguire nei loro occhi il completo diorama delle vicende del giuoco. Una fiamma di candela in miniatura si rifletteva in ciascuna pupilla, e vi si sarebbero potuti distinguere gli stati d'animo di speranza e di disperazione, anche nel venditore d'ocra, che pur rimaneva impassibile, senza muovere un solo muscolo del volto. Wildeve giocava invece col furore della disperazione.

«Che cos'è questo?» esclamò a un tratto, sentendo un fruscio entrambi alzarono gli occhi a guardare.Si videro circondati da forme scure alte da un metro a un metro e mezzo, a pochi passi oltre la luce della

lanterna. Dopo averle osservate un momento, si accorsero che si trattava di cavallini, che tendevano il capo verso i giocatori, guardandoli attentamente.

«Passa via!» disse Wildeve; e i quaranta o cinquanta animali subito s'allontanarono al galoppo. Il giuoco ricominciò.

Passarono dieci minuti. Poi una grande falena con la testa di morto emerse dal buio attorno, girò due volte intorno alla candela, si avventò direttamente contro la fiamma, spegnendola di colpo. Wildeve aveva appena gettato i dadi ma non aveva ancora sollevato il bussolotto per vedere quanto aveva fatto; e ora era impossibile.

«Insetto infernale!» urlò. «E ora che cosa facciamo? Potrei aver fatto un sei... Ha un fiammifero?»«No,» disse Venn.«Christian ne aveva... Dove diavolo sarà andato? Christian!»Ma nessuno rispose al grido di Wildeve: soltanto gli aironi che avevano il nido in un punto più basso della

valle emisero un lugubre lamento. I due si guardarono attorno nel buio, senza alzarsi. Quando i loro occhi si furono abituati alla tenebra, videro piccoli punti di luce verdastra tra l'erba e le felci; luci che punteggiavano il fianco della collina come stelle di grandezza minore.

«Ah... le lucciole,» disse Wildeve. «Aspetti un momento. Possiamo continuare la partita.»Venn rimase fermo e il suo compagno andò qua e là finchè non ebbe raccolto tredici lucciole - quante potè

trovarne in quattro o cinque minuti - su una grossa foglia di digitale colta allo scopo. Vedendolo ritornare con le lucciole, il venditore d'ocra sbottò in una bassa risata di scherno. «Vuol proprio continuare, allora?» disse seccamente.

«Continuerò sino alla fine,» disse Wildeve, furioso. E, staccando le lucciole dalla foglia, le dispose con mano tremante sulla pietra, in cerchio, lasciando in mezzo uno spazio per il bussolotto dei dadi, su cui le tredici minuscole lampade gettavano una pallida luce fosforescente. La partita ricominciò. Era quella la stagione dell'anno in cui le lucciole emanano il massimo splendore, e la luce ch'esse fornivano serviva abbondantemente allo scopo: in notti simili basta infatti la luce di due o tre per leggere una lettera scritta a mano.

Assurdi apparivano in quell'ambiente i gesti dei due uomini. Tra la molle vegetazione ricca di linfa del valloncello in cui stavano, in quell'immota e deserta solitudine, il tintinnare delle ghinee, i colpi dei dadi contro le pareti del bussolotto, le esclamazioni agitate dei giocatori erano elementi estranei e intrusi.

Wildeve sollevò il cono, e l'unico dado dimostrò che anche questa volta gli era andata male.«Non gioco più: ha truccato i dadi,» urlò.«Ma erano i suoi; come ho fatto?» disse il venditore d'ocra.

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«Cambiamo giuoco: vince il punto più basso; forse così avrò più fortuna. Rifiuta?»«No, no... avanti,» disse Venn.«Oh, eccoli di nuovo... maledetti!» gridò Wildeve alzando gli occhi. I cavallini erano ritornati senza far rumore

e stavano come prima a guardarli con le orecchie diritte, osservando la scena coi loro timidi occhi, quasi si chiedessero che mai stessero a fare in quel luogo esseri umani e candele a quell'ora sconveniente.

«Bestie insopportabili... Chissà perché mi guardano in questo modo!» disse, e gettò una pietra che li disperse; poi continuarono come prima.

A Wildeve rimanevano ora soltanto dieci ghinee; e ciascuno ne puntò cinque. Wildeve fece tre; Venn due e raccolse le monete. L'altro afferrò il dado, e lo morse coi denti in un accesso di rabbia, come se volesse spezzarlo. «Non cedo ancora... ecco le ultime cinque!» gridò, gettandole sulla pietra. «Maledette lucciole... stanno spegnendosi! Perché non continuate a bruciare, stupide? Provi a pungerle con una spina.»

Toccò le lucciole con un bastoncello e le rivoltò dalla parte luminosa della coda.«C'è abbastanza luce. Getti pure,» disse Venn.Wildeve abbassò il bussolotto nel cerchio illuminato e guardò ansiosamente. Era un asso. «Bene!... L'avevo

detto che la sorte sarebbe cambiata.» Venn non disse nulla; ma la sua mano tremò leggermente.Fece asso anche lui.«Oh!» gridò Wildeve. «Maledizione!»Gettò il dado una seconda volta. Di nuovo asso. Con aria. preoccupata tirò anche Venn: il dado si spaccò in

due, mostrando le parti interne.«Non ho fatto nulla,» disse.«Mi sta bene... ho rotto il dado coi denti. Ecco... prenda il suo denaro. Niente è meno di uno.»«Non lo voglio.»«Se lo prenda, le dico... ha vinto!» E Wildeve gettò la posta contro il petto dell'avversario. Venn la raccolse, si

alzò, e se ne andò dal valloncello, mentre Wildeve rimaneva immobile, come stordito.Quando ritornò in sè, si alzò anche lui e, con la lanterna spenta in mano, si diresse verso la via maestra.

Quando la raggiunse, si fermò. Il silenzio notturno dominava la brughiera, tranne che in direzione di Mistover. Udì un leggero rumore di ruote, e a un tratto vide i due fanali d'una vettura scendere dalla collina. Si nascose dietro un cespuglio e aspettò.

Il veicolo gli passò davanti. Era una vettura d'affitto e, dietro il vetturino, vide due persone che conosceva molto bene. Erano Eustacia e Yeobright, che le cingeva i fianchi col braccio. Giunti in fondo alla discesa, svoltarono dirigendosi verso la casetta, a circa cinque miglia verso est, che Clym aveva affittato e ammobiliato per abitarvi provvisoriamente con Eustacia.

Wildeve dimenticò il denaro alla vista del suo amore perduto, il cui valore aumentava ai suoi occhi in progressione geometrica a ogni circostanza che gli faceva ricordare quanto fossero ormai definitivamente divisi. Traboccante di quella quintessenza d'infelicità di cui era capace, s'avviò nella direzione opposta verso la locanda.

Quasi nello stesso momento in cui Wildeve raggiungeva lo stradone, anche Venn ci arrivava, un centinaio di metri più avanti; e anch'egli, udendo lo stesso suono di ruote, attese che la vettura passasse. Quando vide chi c'era dentro parve deluso. Dopo averci pensato su qualche minuto, mentre la vettura s'allontanava, attraversò la strada e, per una scorciatoia, attraverso l'erica e i giunchi, arrivò a un punto in cui la strada svoltava salendo in collina. Ben presto fu di nuovo davanti alla vettura che procedeva ora a passo d'uomo. Venn fece un passo avanti perché lo vedessero.

Eustacia trasalì quando lo scorse alla luce dei fanali, e Clym istintivamente ritirò il braccio con cui le cingeva i fianchi. «Oh, Diggory!» disse. «Come mai passeggi qui tutto solo?»

«Chiedo scusa d'avervi fermati,» disse Venn. «Ma sto aspettando Thomasin: debbo consegnarle una cosa che le manda la signora Yeobright. Potete dirmi se è già andata a casa?»

«No. Ma partirà presto per Mistover. Può darsi che tu la incontri alla svolta.»Venn salutò con un inchino e tornò al punto di prima, là dove la strada secondaria di Mistover confluiva nello

stradone. E là rimase per circa mezz'ora finchè non vide la luce di altri due fanali scendere la collina. Era l'antiquato e mal ridotto calesse del capitano, guidato da Charley; dentro c'era Thomasin.

Quando furono alla svolta, il venditore d'ocra si fece avanti. «Perdonami se ti fermo, Thomasin,» disse. «Ma debbo consegnarti personalmente una cosa da parte della signora Yeobright.» Le porse un piccolo pacco: erano le cento ghinee che aveva appena vinte al giuoco, avvolte alla meglio in un pezzo di carta.

Appena rimessa dalla sorpresa, Thomasin prese il pacco. «Ecco fatto... ti auguro la buona notte,» disse Venn, e scomparve.

Nel suo desiderio di rimettere a posto le cose, il venditore d'ocra aveva consegnato a Thomasin non soltanto le cinquanta ghinee che le appartenevano di diritto, ma anche le cinquanta destinate a suo cugino Clym. Il suo errore si fondava sulle parole dette da Wildeve all'inizio del giuoco, quando aveva negato con sdegno che la ghinea da lui puntata non fosse sua. Venn non aveva capito che, a metà partita, il suo avversario aveva continuato a giocare col denaro appartenente a un'altra persona: e fu questo un errore che contribuì a provocare guai assai maggiori di quel che avrebbe potuto fare una perdita finanziaria tre volte più importante.

Ormai era notte avanzata; e Venn si tuffò più profondamente ancora nella brughiera, finchè giunse a un valloncello dove aveva sistemato il suo carrozzone, a non più di duecento metri dal luogo in cui s'era svolta la partita.

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Entrò nella sua dimora ambulante, accese la lanterna e, prima di chiudere la porta per la notte, si fermò a riflettere su quanto era avvenuto nelle ore precedenti. Mentre stava così meditando vide sorgere la prima luce dell'alba nella zona a nord-est del cielo che, in questa stagione, avendo il vento sgombrato le nuvole, era illuminata da un dolce chiarore benchè si fosse tra l'una e le due di notte. Completamente esausto, chiuse allora la porta e si buttò giù a dormire.

IV • LA PORTA CHIUSA

INCONTRO PRESSO LO STAGNO

Il sole di luglio splendeva sulla brughiera di Egdon e pareva che incendiasse, rendendola scarlatta, la rossa fioritura dell'erica. Era l'unica stagione dell'anno e l'unico momento della stagione in cui la brughiera assumeva un aspetto sfarzoso. Questo periodo di fioritura rappresentava la seconda, meridiana, divisione, nel ciclo dei soli mutamenti possibili in quel paesaggio; seguiva il periodo verde delle giovani felci, equivalente al mattino, e precedeva quello bruno scuro, quando campanule e felci assumevano le tinte rossastre della sera; per essere poi sostituito dai colori scuri del periodo invernale, corrispondente alla notte.

Nella loro casetta di Alderworth, al di là di East Egdon, Clym e Eustiacia vivevano felici in una monotonia per loro incantevole. Non vedevano neanche la brughiera, nè s'accorgevano dei mutamenti del tempo. Erano chiusi in una specie di nebbia luminosa, che impediva loro di cogliere qualsiasi colore non in armonia col loro sentimento, e che rivestiva di luce ogni cosa. Quando pioveva erano felici perché potevano senza rimorso starsene in casa tutto il giorno; quando il tempo era bello erano felici ugualmente perché stavano fuori insieme sulle colline. Erano come quelle coppie di stelle che girano l'una intorno all'altra e, a chi le guardi di lontano, sembrano una stella sola. La solitudine assoluta in cui vivevano rendeva più intenso lo scambio reciproco dei pensieri, e tuttavia qualcuno avrebbe potuto disapprovare la prodigalità folle con cui consumavano il sentimento che provavano l'un per l'altra. Per quel che riguardava se stesso, Yeobright non aveva questo timore; ma ricordando il discorso fatto un tempo da Eustacia sull'instabilità dell'amore - e che sembrava ella avesse ora dimenticato - lo sgomentava a volte il pensiero che la felicità del paradiso terrestre è per sua natura limitata.

Trascorse in questo modo tre o quattro settimane, Yeobright ricominciò seriamente i suoi studi. Studiava infaticabilmente per compensare il tempo perduto, poichè desiderava dedicarsi alla nuova professione col minor ritardo possibile.

Non dimentichiamo che Eustacia aveva sempre accarezzato il sogno di riuscire, una volta sposato Clym, a convincerlo a tornare a Parigi. Egli non aveva assolutamente voluto prometterglielo; ma avrebbe saputo resistere alle sue lusinghe e ai suoi argomenti? Era così convinta di riuscire nel suo intento che, parlando col nonno, aveva sempre accennato a Parigi e non a Budmouth. come loro residenza futura. Su questo sogno si fondavano tutte le sue speranze. Nelle quete e serene giornate seguite al matrimonio, quando sembrava che Yeobright non si saziasse di studiare le sue labbra, i suoi occhi, le linee del suo volto, aveva continuato a riflettere sull'argomento, anche quando sembrava intenta a ricambiare il suo sguardo e le sue carezze; e ora la comparsa dei libri, che annunciavano un avvenire così diverso da quello da lei sognato, la colpì ferendola dolorosamente. Sperava di poter un giorno, come padrona d'una bella casetta, sia pur piccina, nelle vicinanze d'un boulevard parigino, trascorrere le sue giornate almeno ai margini d'una gaia società mondana, cogliendo di tanto in tanto qualche passeggero baleno di quei piaceri cittadini ai quali si sentiva tanto portata. Ma Yeobright sembrava perseguire con sempre maggior fermezza progetti diametralmente opposti; quasi il matrimonio sviluppasse, anzichè attenuarle, le sue fantasie di giovane filantropo.

L'ansia di Eustacia si faceva sempre più forte; ma nei modi fermi di Clym c'era qualcosa che la faceva esitare prima di toccar l'argomento. Fu a questo punto che un incidente le venne in aiuto: si verificò una sera, circa sei settimane dopo il matrimonio, e ne fu causa l'errore commesso involontariamente da Venn nel consegnare a Thomasin le cinquanta ghinee destinate a Yeobright.

Due o tre giorni dopo aver ricevuto il denaro, Thomasin aveva mandato un biglietto alla zia per ringraziarla. Era rimasta stupita dell'entità della somma; ma siccome non s'erano mai fatte cifre, l'attribuì alla generosità del defunto zio. La zia le aveva severamente ordinato di non parlare al marito del dono ricevuto; e Wildeve, com'era ben naturale, non s'era sentito in dovere di raccontare alla moglie quanto era accaduto quella notte nella brughiera. Neanche Christian, dominato dal terrore, aveva aperto bocca sulla parte da lui rappresentata; e sperando che, in un modo o nell'altro, la somma fosse arrivata a destinazione, s'era limitato ad affermarlo, senza scendere ai particolari.

Passate quindi due o tre settimane, la signora Yeobright incominciò a chiedersi perché mai suo figlio non la ringraziasse del dono ricevuto; l'idea che questo silenzio fosse dovuto al rancore dava all'incertezza una sfumatura d'angoscia. Le sembrava impossibile; ma perché non scriveva, allora? Interrogò Christian e dalle sue risposte confuse avrebbe potuto capire ch'era capitato qualcosa, se una metà della sua storia non fosse stata corroborata dal biglietto di Thomasin.

Si trovava appunto in questo stato d'incertezza quando un mattino qualcuno le disse che la moglie di suo figlio era andata a Mistover a trovare il nonno. Decise allora di salire la collina, vedere Eustacia e chiederle se le ghinee di

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famiglia, - ch'erano per la signora Yeobright quel che i gioielli di famiglia sono per vedove più facoltose - eran state consegnate a Clym.

Quando Christian seppe dove andava, il suo affanno non ebbe limiti. Vedendo che stava per partire, non si potè trattenere più a lungo e, confessando d'aver giocato i soldi, le disse la verità fino al punto in cui la conosceva: e cioè che le ghinee erano rimaste a Wildeve.

«Come! Ha dunque intenzione di tenersele?» gridò la signora Yeobright.«Spero di no!» gemette Christian. «È un brav'uomo, e forse farà il suo dovere. Ha detto che lei avrebbe dovuto

dare la parte di Clym a Eustacia: può darsi che l'abbia fatto lui.»Appena ebbe ritrovata una certa calma, l'ipotesi di Christian le parve del tutto probabile: non poteva indursi a

credere che Wildeve intendesse veramente approfittar del denaro appartenente a suo figlio. Darlo a Eustacia poteva essere una via di mezzo in accordo col suo carattere. Ma non per questo era meno furiosa: che le ghinee fossero andate a finire proprio nelle mani di Wildeve, e che questi ne disponesse a modo suo, consegnando la parte di Clym alla moglie di Clym perché questa era stata un tempo la sua innamorata e forse lo era ancora, l'offendeva e l'addolorava al tempo stesso.

Per punirlo della sua condotta, licenziò immediatamente lo sciagurato Christian; ma poi, rendendosi conto che non avrebbe saputo come fare senza il suo aiuto, gli disse che, se voleva, poteva rimanere ancora per un po'. Poi s'affrettò ad andare da Eustacia, animata verso la nuora da un sentimento assai meno amichevole di quel che provava mezz'ora prima, quando aveva progettato la visita. Mentre allora intendeva semplicemente chiederle, su un piano di cordialità, se per caso il denaro fosse andato perduto, ora era invece decisa a chiederle se Wildeve le avesse dato privatamente quel denaro ch'era un sacro dono destinato a Clym.

Quando partì erano le due, e non tardò a incontrare Eustacia nei pressi dello stagno e del terrapieno che chiudevano la proprietà di suo nonno: stava là contemplando il paesaggio, pensando forse alle romantiche vicende di cui era stato un tempo testimone. Quando la signora Yeobright s'avvicinò, si limitò a guardarla freddamente, come se fosse un'estranea.

La prima a parlare fu la suocera. «Venivo a trovarti,» disse.«Davvero?» disse Eustacia, sorpresa; il rifiuto della signora Yeobright d'assistere alle nozze l'aveva

profondamente mortificata e offesa. «Non me l'aspettavo proprio.»«La mia venuta ha uno scopo pratico,» disse la suocera con tono più freddo. «Debbo farti una domanda... Hai

forse ricevuto un dono dal marito di Thomasin?»«Un dono?»«Sì, del denaro?»«Come? Del denaro dato personalmente a me?»«Sì, dato che sei stata tu a dirlo: dato personalmente a te.»«Del denaro in dono dal signor Wildeve? No... mai! Come osa far simili insinuazioni, signora?» Eustacia era

furente. Pensava che la suocera avesse saputo dei suoi antichi rapporti con Wildeve e che l'accusasse ora di ricever doni da lui: cosa disonorevole per una donna sposata.

«L'ho chiesto soltanto,» disse la signora Yeobright, «perché sono stata...»«Questa stima ha di me... Lo so che mi è sempre stata ostile, sin dal principio!» esclamò Eustacia.«No, penso semplicemente a Clym,» disse la signora Yeobright, con tono un po' troppo vibrante. «Come può

una madre non preoccuparsi per suo figlio?»«Vuol dire con questo che deve difenderlo contro di me?» gridò Eustacia piangendo di rabbia. «Che gli ho

fatto di male sposandolo? Che colpa ho mai commessa perché lei debba aver così cattiva opinione di me? Che diritto aveva di calunniarmi con lui? Io non le ho mai fatto niente.»

«Ho fatto soltanto quel che dovevo fare in simili circostanze,» disse la signora Yeobright con tono più dolce. «Avrei preferito non parlarne ora, ma mi hai costretta. E non mi vergogno di dirti sinceramente la verità. Ero fermamente convinta che Clym non avrebbe dovuto sposarti; e ho cercato quindi di dissuaderlo in tutti i modi. Ma ormai è fatta, e deprecare non serve a nulla; sono pronta ad accettarti come nuora.»

«Oh, è molto ragionevole,» mormorò Eustacia, con soffocato rancore. «Ma perché deve pensare che ci sia qualcosa tra me e il signor Wildeve? Ho anch'io la mia suscettibilità e non posso non sentirmi sdegnata; come lo sarebbe qualsiasi altra donna. Mi permetta di ricordarle che ho semplicemente acconsentito a sposare Clym; non l'ho costretto a sposarmi; e non voglio essere trattata come un'intrigante che bisogna sopportare per forza, dato ch'è entrata ormai a far parte della famiglia.»

«Oh!» disse la signora Yeobright, sforzandosi inutilmente di dominare la propria collera. «Non avrei mai creduto che la famiglia di mio figlio non fosse degna d'imparentarsi con quella dei Vye: ho sempre piuttosto pensato il contrario. A sentirti, si direbbe ch'è stata degnazione da parte tua.»

«Sicuro!» disse Eustacia con veemenza. «E se avessi saputo quello che so ora, e che un mese dopo il mio matrimonio sarei ancora stata qui; a vivere in questa brughiera selvaggia... ci avrei pensato due volte prima d'acconsentire.»

«Faresti meglio a non dir queste cose; sanno di falso lontano un miglio. Non credo che mio figlio abbia voluto ingannarti... so che non può averlo fatto, anche se non oserei dire lo stesso di te.»

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«Questo è troppo!» rispose la giovane con voce rauca, il volto scarlatto e gli occhi lampeggianti. «Come osa parlarmi in questo modo? Torno a ripetere che se avessi saputo che, dopo sposata, avrei condotto la vita che conduco oggi, avrei detto decisamente di no. Non mi lagno. Non ho mai detto a Clym una parola in questo senso; ma è vero. Spero perciò che in avvenire sarà un po' meno pronta ad accusarmi d'essermi fatta sposare a ogni costo. E, se lo ricordi, il male che mi fa oggi si ritorcerà contro di lei.»

«Ma che male ti faccio? Ti sembro tanto ostile?»«Ha fatto tutto quel che poteva per impedire a Clym di sposarmi; e ora m'accusa d'aver ricevuto segretamente

del denaro da un uomo che non è mio marito.»«Sono i fatti che m'hanno indotta a crederlo. Ma non ti ho mai criticata con nessuno.»«Ha detto male di me a Clym: ed era il peggio che potesse fare.»«Ho fatto il mio dovere.»«E io farò il mio.»«Gli farai odiare sua madre. È una cosa che capita spesso alle madri; e lo dovrò sopportare!»«Ho capito,» esclamò Eustacia, furente di collera e d'angoscia «Lei mi crede capace di qualsiasi bassezza. Non

si può immaginare nulla di peggio d'una moglie che incoraggia un innamorato e istiga il marito a odiare sua madre. E di questo lei m'accusa. Perché non viene a strapparlo dal mio fianco?»

«Perché tanta collera, mia cara?» fu pronta a ribattere la signora Yeobright con non minore violenza. «La collera non giova alla tua bellezza, e non vale la pena che tu te la prenda tanto con una povera donna che ha perduto suo figlio.»

«L'avrebbe ancora se fosse stata buona con me,» disse Eustacia mentre lagrime brucianti le scorrevano lungo le guance. «Ma la gelosia le ha fatto perdere la testa; e ha provocato una rottura che non patrà mai essere sanata.»

«Io non ho fatto nulla! Come osi parlarmi con tanta insolenza?»«È stata lei a volerlo: mi ha calunniata e m'ha fatto dire di mio marito cose che non avrei mai voluto dire. Ora

gli riferirà le mie parole e ci renderà infelici. Se ne vada! Non posso vedere in lei un'amica!»«Me ne vado, ma prima voglio chiarir bene una cosa. Mente chi dice che ho sospettato di te senz'averne le mie

buone ragioni. Mente chi dice che ho cercato d'impedire il matrimonio calunniandoti. E ora debbo anche sentirmi ingiuriare da te. Ma non credo che mio figlio potrà aver fortuna: troppo grande è stata la sua follia nel non voler dare ascolto ai consigli di sua madre. Tu non te ne rendi conto, Eustacia, ma cammini sull'orlo d'un precipizio. Mostrati a mio figlio quale ti sei mostrata a me oggi - come accadrà ben presto - e vedrai che può diventare duro come l'acciaio, anche se ora è con te tenero come un bambino.»

In preda a una profonda agitazione, la madre s'allontanò; ansando, Eustacia rimase a fissare le acque dello stagno.

CLYM RIESCE A CANTARE PUR NELL'AVVERSITÀ

Il risultato di questo malaugurato incontro fu che Eustacia, invece di passare il pomeriggio col nonno, s'affrettò a ritornare a casa da Clym, e arrivò tre ore prima del fissato.

Entrò col volto infiammato, gli occhi ancora lampeggianti per la collera recente. Yeobright la guardò con stupore: non l'aveva mai vista in uno stato neanche lontanamente simile a questo. Gli passò accanto e sarebbe salita al piano di sopra senza dir nulla, se Clym, preoccupato, non l'avesse immediatamente seguita.

«Che cosa c'è, Eustacia?» disse. In piedi sul tappeto dinanzi al camino della sua camera, ella guardava per terra, stringendo forte le mani, col cappello ancora in capo. Per un momento non rispose; poi disse a bassa voce:

«Ho visto tua madre; e non la rivedrò mai più!»Per Clym fu come se gli cadesse sulle spalle un macigno. Proprio quel mattino, quando Eustacia aveva deciso

di andare a trovare il nonno, Clym l'aveva espresso il desiderio ch'ella si spingesse fino a Blooms-End per chieder notizie di sua madre o che facesse quel che le sembrava più opportuno per favorire una riconciliazione. Era partita tutta allegra, dandogli ragione di sperare.

«E perché mai?» chiese.«Non posso dirtelo... non ricordo. So soltanto che ho parlato con tua madre. E che non ci parleremo mai più.»«Perché?»«Che c'entra Wildeve? Non voglio che si pensi male di me! Che umiliazione! Come ha osato chiedermi se

avevo ricevuto del denaro da lui, o se l'avevo incoraggiato, o che altro... non ho neanche capito bene che cosa!»«Come può averti chiesto una cosa simile?»«Eppure l'ha fatto.»«Allora avrà avuto qualche ragione per farlo. Non ha detto nient'altro?»«Non so ripeterti quel che ha detto. Ma ci siamo scambiate parole che non potranno mai esser perdonate!»«Oh, ma dev'esser stato un malinteso! Se vi foste spiegate meglio, tutto sarebbe stato chiarito.»«Non lo so. Il nostro incontro è avvenuto in circostanze poco favorevoli, dati i precedenti. Mi duole dirtelo,

Clym, ma la mia situazione qui è diventata insopportabile. Bisogna trovare un rimedio... promettimi che lo farai perché

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così non me la sento più d'andare avanti. Portami a Parigi e riprendi il tuo mestiere di prima, Clym! Non m'importa se in principio saremo poveri: purchè si sia a Parigi e non nella brughiera di Egdon!»

«Ma tu sai che ho deciso di non tornare più a Parigi,» disse Yeobright, sorpreso. «Ho detto forse qualcosa che abbia potuto farti pensare il contrario?»

«Non mi hai detto nulla, debbo riconoscerlo. Ma ci son cose a cui non si può fare a meno di pensare, e Parigi è per me una di queste. Non ho forse il diritto di dire la mia opinione, dato che sono tua moglie, la compagna della tua vita?»

«Ci son cose, vedi, fuori discussione; e pensavo che questa lo fosse: ti credevo d'accordo.»«Le tue parole mi rendono molto infelice, Clym» diss'ella a bassa voce; abbassò gli occhi e gli volse le spalle.La rivelazione di questa inattesa e segreta speranza nel cuore di Eustacia sconcertò suo marito. Per la prima

volta si rendeva conto delle vie indirette che una donna può seguire per ottenere quel che desidera. Ma la sua decisione era incrollabile, anche se era innamorato di Eustacia. Le sue parole lo indussero a impegnarsi più che mai nei suoi studi, per ottenere il più possibile risultati positivi su cui fondarsi per controbattere i suoi capricci.

Il giorno dopo il mistero delle ghinee fu risolto. Thomasin fece loro una rapida visita e consegnò a Clym con le proprie mani la parte che gli spettava. In quel momento Eustacia non c'era.

«Ora capisco che cos'ha voluto dire mia madre,» esclamò Clym. «Lo sai, Thomasin, che ha avuto una lite terribile con Eustacia?»

I rapporti di Thomasin col cugino erano ora un po' meno spontanei, un po' più formali di prima. Accade spesso che il matrimonio, distruggendo ogni riserva nei riguardi del coniuge, imponga maggior riserbo con gli altri. «Tua madre me l'ha detto,» rispose con voce tranquilla. «È venuta da me dopo aver visto Eustacia.»

«È avvenuta la cosa peggiore ch'io temessi. Era molto turbata la mamma quand'è venuta da te, Thomasin?»«Sì.»«Proprio molto?»«Sì.»Clym appoggiò il gomito al cancello del giardino e si coprì gli occhi con la mano.«Non ti preoccupare, Clym. Finiranno col riconciliarsi.»Egli scosse il capo. «No: hanno tutt'e due un carattere troppo impetuoso. Bene, sarà quel che sarà.»«Una cosa è positiva: le ghinee non sono perdute.»«Avrei preferito perderle due volte, purchè tutto questo non fosse avvenuto.»

Questo doloroso episodio convinse più che mai Yeobright della necessità di portare avanti rapidamente i suoi progetti scolastici. A questo scopo studiava spesso sino alle ore piccole.

Un mattino, dopo uno sforzo maggiore del solito, si svegliò con una strana sensazione agli occhi. Il sole batteva direttamente sulla persiana e, non appena volse lo sguardo da quella parte, un dolore acuto lo costrinse ad abbassar subito le palpebre. A ogni nuovo tentativo di guardarsi attorno avvertiva la stessa sensibilità dolorosa alla luce, mentre brucianti lagrime gli scorrevan lungo le guance. Per vestirsi, fu costretto a legarsi una benda sulla fronte, che dovette tenere per tutto il giorno. Eustacia si spaventò. Vedendo che il giorno dopo non stava meglio decisero di far venire il medico di Anglebury.

Questi arrivò verso sera e diagnosticò un'infiammazione acuta provocata dal troppo studio nelle ore notturne e dal fatto che aveva continuato ad affaticare gli occhi anche dopo un raffreddore di cui aveva sofferto qualche tempo prima, e che gli aveva momentaneamente indebolito la vista.

Benchè irritato di dover interrompere un lavoro ch'era così ansioso di portare a termine, Clym fu tuttavia costretto a curarsi. Dovette chiudersi in una stanza dove non entrava un filo di luce, e sarebbe stato profondamente infelice se Eustacia non gli avesse letto qualcosa di quando in quando alla fioca luce d'una lampada schermata. Sperava di superare al più presto il periodo peggiore; ma alla terza visita, il medico gli diede una notizia molto penosa: anche se, dopo forse un mese, avrebbe potuto uscire riparandosi gli occhi, per un pezzo ancora avrebbe dovuto rinunciare a riprendere il lavoro o a leggere caratteri stampati di qualsiasi genere.

Passò una settimana, ne passò un'altra, e nulla veniva ad alleviare la tristezza dei due giovani. Terribili visioni turbavano Eustacia che però si guardava bene dal riferirle al marito. E se fosse diventato cieco? O se almeno non avesse mai più recuperato vista sufficiente per svolgere un lavoro che gli permettesse di portarla via da quella solitaria dimora tra i colli? Il sogno d'una vita felice nella bella Parigi pareva, dopo questa disgrazia, più irrealizzabile che mai. Erano questi i pensieri che sempre più sovente occupavano la sua mente a misura che i giorni passavano e non si vedeva in Clym miglioramento alcuno; spesso, lasciandolo, ella usciva in giardino a piangere disperatamente.

A tutta prima Yeobright pensò d'avvertire sua madre; poi decise ch'era meglio di no. Se avesse saputo in che stato egli si trovava, sarebbe stata ancor più infelice; e d'altra parte conducevano una vita così appartata che difficilmente ella sarebbe venuta a sapere della sua sventura se non glielo mandavano a dire apposta. Sforzandosi di affrontare il guaio con la massima filosofia possibile, attese fino alla terza settimana quando, per la prima volta dopo l'attacco del male, potè finalmente uscire all'aria aperta. Il medico venne di nuovo a visitarlo e Clym insistè per sapere la verità; con dolorosa sorpresa si sentì dire che il giorno in cui avrebbe potuto riprendere i suoi studi era più incerto che mai: lo stato della sua vista era tale che, pur vedendo quanto bastava per andare attorno da solo, non poteva però concentrarsi a lungo su un determinato oggetto senza esporsi al pericolo d'un nuovo, violento attacco d'oftalmia.

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Pur dolorosamente colpito dalla notizia, Clym non s'abbandonò alla disperazione. Si sentì pervaso invece da una serena, quasi allegra fermezza. Non sarebbe diventato cieco: questo gli bastava. Essere costretto a vedere il mondo attraverso un paio di lenti affumicate per un periodo imprecisato era senza dubbio un guaio, e soprattutto gl'impediva di portare avanti i suoi piani; ma Yeobright era un vero stoico per tutto quel che riguardava unicamente la sua posizione sociale; e, se non fosse stato per Eustacia, sarebbe stato felice di condurre anche la vita più modesta purchè gli permettesse di svolgere i suoi progetti culturali. Nulla gl'impediva d'aprire una scuola serale nel villaggio; non si sentiva quindi troppo depresso.

Una sera al tramonto stava passeggiando al tepido sole in uno di quei tratti di Egdon che meglio conosceva, perché vicini alla sua vecchia casa. In uno dei valloncelli che aveva dinanzi vide un balenar d'acciaio lucente, e, andando avanti, vide confusamente che si trattava del falcetto d'un tale che stava tagliando la ginestra. L'uomo riconobbe Clym e Yeobright capì dalla voce che chi parlava era Humphrey.

Humphrey si disse dolente del male che aveva colpito Clym; e aggiunse: «Certo, se il suo fosse un lavoro materiale come il mio, potrebbe continuare a farlo lo stesso.»

«Sì, certo,» disse Yeobright, pensoso. «Quanto guadagni con queste fasane?»«Mezza corona ogni cento; e, quando le giornate son lunghe come queste, ne ricavo quanto mi basta per

vivere.»Yeobright ritornò ad Alderworth, immerso in riflessioni non del tutto sgradevoli. Quando arrivò a casa,

Eustacia lo chiamò dalla finestra aperta ed egli s'avvicinò.«Mi sento molto meglio, cara,» disse. «Se soltanto mia madre si riconciliasse con noi, sarei veramente felice.»«Temo che questo non avverrà mai,» diss'ella, guardando lontano coi suoi begli occhi tempestosi. «Ma come

puoi dire "mi sento molto meglio", se non è cambiato nulla?»«Mi sento meglio perché ho scoperto qualcosa che posso fare per guadagnarmi la vita, anche in questo

disgraziato periodo.»«E che cos'è?»«Posso lavorare a tagliar ginestra e giunchi.»«No, Clym!» diss'ella, mentre la vaga espressione di speranza comparsa prima sul suo volto svaniva

lasciandola più desolata che mai.«Sì, invece. È sciocco continuare a spendere il poco denaro che abbiamo quando posso contribuire alle spese

con un lavoro onesto. Lavorare all'aria aperta mi farà bene, e chissà che tra alcuni mesi non possa riprender gli studi!»«Ma mio nonno s'è spesso offerto di aiutarci, se ne abbiamo bisogno.»«Non ne abbiamo bisogno. Se lavoro a tagliar ginestra staremo benissimo.»«Sì, magari a paragone degli schiavi e degli ebrei in Egitto e altra gente del genere!» esclamò Eustacia, mentre

un'amara lagrima, ch'egli non vide, le scorreva sulla guancia. Il tono d'indifferenza con cui Clym aveva parlato le dimostrava com'egli accettasse senz'alcuna pena una soluzione che a lei appariva invece intollerabile.

Il giorno dopo Yeobright andò a casa di Humphrey, e si fece prestare da lui i gambali, i guanti, una pietra da affilare e un falcetto, da usare finchè non potesse comprarseli. Poi partì col suo nuovo collega e vecchio amico e, scelto un tratto in cui la ginestra cresceva più fitta, intraprese la nuova fatica. Come le ali di Rasselas, la sua vista, insufficiente per i suoi scopi più alti, gli bastava per questo tipo di lavoro; e subito si rese conto che, non appena il palmo delle sue mani si fosse fatto, con l'esercizio, più robusto, impedendo che vi si formassero vesciche, avrebbe lavorato senza fatica e con piacere.

Ora ogni giorno si alzava col sole, s'infilava i gambali e andava all'appuntamento con Humphrey. Lavorava di solito dalle quattro del mattino a mezzogiorno; poi, nelle ore più calde della giornata, andava a casa a fare un sonnellino; riprendeva poi il lavoro fino al crepuscolo, alle nove di sera.

Coi suoi indumenti di cuoio e con gli occhialoni ch'era costretto a portare era così diverso da quel ch'era stato quando viveva a Parigi, che anche il suo amico più intimo avrebbe potuto passargli accanto senza riconoscerlo. Era una macchia scura in una distesa di cespugli color verde oliva e niente di più. Se, quando non lavorava, lo deprimeva spesso il pensiero della posizione di Eustacia e della rottura con la madre, quand'era impegnato in pieno nella fatica si sentiva calmo e tranquillo.

La sua vita quotidiana aveva un carattere curiosamente microscopico, essendo il suo mondo limitato a un raggio di pochi metri dalla sua persona. Gli erano familiari gli animali striscianti e gli insetti alati, alla cui razza gli sembrava d'appartenere. Le api gli ronzavano intorno alle orecchie come se gli fossero amiche e s'attaccavano ai giunchi e ai fiori della ginestra in sì gran numero da piegare i rami a terra. Le strane farfalle color ambra che si vedono a Egdon e difficilmente altrove, fremevano al respiro delle sue labbra, gli si posavano sulla schiena china, scherzavano con la punta lucente del suo fal cetto, mentre lo muoveva su e giù. Tribù di cavallette color verde smeraldo gli saltellavano sui piedi, ricadendo goffamente sulla schiena, sulla testa o sui fianchi, secondo i casi, come acrobate inesperte: oppure, sotto le foglie di felce, corteggiavano rumorosamente altre cavallette silenziose di colore più modesto. Grosse mosche, ignare di dispense e moscheruole, e affatto selvatiche, gli ronzavano attorno senza sapere ch'era un uomo. Le bisce entravano e uscivano dai loro nidi tra le felci con la lucida pelle giallo azzurra: era infatti la stagione in cui, lasciando il vecchio involucro, mettono in mostra i loro colori più vivi. Nidiate di coniglietti uscivano dalle loro tane a riscaldarsi al sole sui monticelli di terra; e i caldi raggi solari, penetrando nel delicato tessuto delle loro orecchie, le rendevano rosse come fuoco e così trasparenti che vi si poteva scorgere il disegno delle vene. Nessuno di questi esseri aveva paura di lui.

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Questo monotono lavoro lo rendeva calmo e gli dava piacere di per sè. La limitazione forzata giustificava la modestia del suo lavoro agli occhi d'un uomo privo d'ambizione a cui però la coscienza avrebbe vietato di dedicarsi a una fatica così oscura quando fosse stato in pieno possesso delle proprie facoltà. Accadeva perciò che Yeobright, lavorando, si mettesse a canterellare tra sè e, quando doveva accompagnare Humphrey alla ricerca di rovi con cui legare le fascine, divertiva il compagno raccontandogli amene storielle su Parigi e i suoi abitanti; e il tempo passava in un baleno.

In uno di questi calmi pomeriggi, Eustacia s'avviò da sola verso il punto in cui Yeobright lavorava. Egli stava tagliando la ginestra con tutto il suo impegno: la lunga fila di fascine accanto a lui rappresentava la sua fatica della giornata. Non la vide avvicinarsi ed ella, facendosi vicino, sentì che cantava e ne fu urtata. Nel vederlo lì, povero infelice, intento a guadagnarsi il pane col sudore della fronte, aveva provato a tutta prima un impeto di pietà che le aveva fatto salire le lagrime agli occhi; ma sentirlo cantare, quasi fosse rassegnato a un'occupazione che, magari piacevole in se stessa, appariva degradante a una moglie istruita come lei, la ferì profondamente. Senz'accorgersi della sua presenza, egli continuò a cantare:

«Le point du jourÀ nos bosquets rend toute leur parure;Flore est plus belle à son retour;L'oiseau reprend doux chant d'amour;Tout célèbre dans la nature

Le point du jour.

Le point du jourCause parfois, cause douleur extrême;Que l'espace des nuits est courtPour le berger brûlant d'amour,Forcé de quitter ce qu'il aime

Au point du jour!»

Eustacia si rese conto con amarezza ch'egli non soffriva affatto della sua decaduta posizione sociale; e la bella orgogliosa chinò la testa e pianse disperatamente al pensiero di quel che significava per la sua vita lo stato d'animo di rassegnata accettazione del marito. Poi si fece avanti.

«Preferirei morir di fame piuttosto che fare un lavoro simile!» esclamò con passione. «E tu invece canti! Tornerò a vivere con mio nonno!»

«Eustacia! Non t'ho vista arrivare anche se avevo notato qualcosa che si muoveva» rispose Clym con dolcezza. Le si avvicinò, si tolse il grosso guanto di cuoio e le prese la mano. «Perché dici queste cose? È una canzoncina che m'ha colpito la fantasia quand'ero a Parigi e che s'applica ora alla mia vita con te. Il tuo amore è dunque morto perché non ho più l'aspetto d'un signore?»

«Non devi farmi certe domande, caro; altrimenti finirò davvero col non amarti più.»«Non voglio correre questo rischio!»«Eppure ti ostini a voler fare a modo tuo e non tieni nessun conto dei miei desideri quando ti prego

d'abbandonare questo indecoroso lavoro. Perché agisci in modo così contrario ai miei desideri? C'è qualcosa che ti spiace in me? Sono tua moglie; perché non mi dai retta?»

«Capisco dal tuo tono che cosa vuoi dire.»«Che tono?»«Quando dici: "Sono tua moglie", in verità vuoi dire: "Sono tua moglie, purtroppo!"»«Fai male a dir certe cose! Pur non essendo senza cuore, una donna può aver certe aspirazioni; e, se avessi

pensato "purtroppo", non l'avrei certo fatto con cattiveria, anche se in fondo sarei giustificata. Vedi che, se non altro, sono sincera. Ricordi che, prima di sposarti, t'ho avvertito che non avresti trovato in me la stoffa d'una buona moglie?»

«Ora vuoi farti beffe di me. Su questo punto almeno faresti meglio a tacere, perché tu sei ancora la mia regina, Eustacia, anche se forse non mi consideri più come il tuo re.»

«Sei mio marito. Non ti basta forse?»«No, se non sei soddisfatta d'esser mia moglie.»«Non posso risponderti. Ricordo d'averti detto che non ho un carattere facile.»«Sì, me ne sono accorto.»«Allora te ne sei accorto troppo presto! Un vero innamorato non se ne sarebbe reso conto; sei troppo severo

con me, Clym... Non mi piace sentirti parlare in questo modo.»«Ti ho sposata, comunque, e non rimpiango d'averlo fatto. Ma come sei fredda, oggi! Credevo che non ci fosse

al mondo cuore più ardente del tuo.»«Sì, temo che i nostri sentimenti si vadano raffreddando; me ne rendo conto quanto te,» diss'ella con un sospiro

dolente. «E pensare che soltanto due mesi fa ci amavamo follemente! Non eri mai stanco di contemplarmi, nè io di contemplare te. Chi avrebbe pensato che, dopo così poco tempo, i miei occhi non sarebbero più sembrati ai tuoi così

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lucenti, nè le mie labbra avrebbero trovato così dolci le tue? Due mesi soltanto... sembra impossibile! Eppure, non è che troppo vero!»

«Ma tu sospiri, cara, come se ti dispiacesse; e questo è in fondo un buon segno.»«No. Non sospiro per questo. Altre sono le cose che mi fanno sospirare, e farebbero sospirare qualsiasi altra

donna al mio posto.»«Sospiri forse perché pensi d'aver rovinato la tua vita, sposando con troppa fretta un disgraziato?»«Perché mi vuoi costringere a dir cose dure, Clym? Merito anch'io compassione, non meno di te. Non meno?...

Di più, direi. Perché tu puoi addirittura cantare! Mentre non accadrà mai che tu mi veda serena e tranquilla in un momento angoscioso come questo, sotto questa nube che oscura la nostra vita. Vorrei che tu mi credessi, caro: potrei piangere tanto da meravigliare e turbare anche uno spirito adattabile come il tuo. Capisco che tu possa essere indifferente al tuo destino; ma non arriveresti a cantare se tu avessi un briciolo di compassione per me. Buon Dio! Se io fossi un uomo nelle tue condizioni, imprecherei: altro che cantare!»

Yeobright le posò una mano sul braccio. «Non credere, inesperta fanciulla, ch'io non sappia, come te, ribellarmi alla maniera di Prometeo contro gli dei e contro il fato. Ho sentito e ho sofferto in questo senso più di quanto tu possa immaginare. Ma più vivo e più mi rendo conto che gli splendori mondani hanno in fondo ben poco valore e che non c'è quindi nulla di umiliante nella mia fatica di tagliatore di ginestra. Se apprezzo così poco quelli che son stimati i maggiori beni concessi all'uomo dalla fortuna, come posso dolermi troppo che questi beni mi siano negati? Canto quindi per passare il tempo. Come puoi rinfacciarmi questi pochi minuti di serenità? Non hai più ombra di tenerezza per me?»

«Ti voglio ancora bene, lo sai.»«Le tue parole non hanno più il calore d'un tempo. Si direbbe che tu abbia smesso d'amarmi da quando mi ha

colpito la sventura!»«Non posso più starti a sentire, Clym; temo che, continuando, finiremmo col dirci parole troppo amare,» ribattè

Eustacia con voce rotta. «È meglio che me ne torni a casa.»

EUSTACIA LOTTA CONTRO LO SCONFORTO

Pochi giorni dopo, verso la fine d'agosto, Eustacia e Yeobright stavano cenando nelle prime ore della sera.In quegli ultimi tempi Eustacia era caduta in una specie di apatia. I suoi begli occhi avevano un'espressione

desolata che, la meritasse ella o no, avrebbe suscitato un senso di pietà in chiunque l'avesse conosciuta nel pieno del suo amore per Clym. I sentimenti del marito e della moglie variavano, fino a un certo punto, inversamente alla loro posizione. Clym, il malato, era sereno e allegro; e cercava persino di confortare Eustacia, la quale mai, in tutta la sua vita, aveva avuto un momento di sofferenza fisica.

«Su, fatti animo, cara; presto andrà tutto bene. Può darsi che un giorno io ci veda come prima. E ti prometto solennemente che smetterò di tagliar ginestra appena sarò in grado di far qualcosa di meglio. Ma perché ora dovrei starmene in ozio tutta la giornata?»

«Ma fare il tagliatore di ginestra... non ti sembra terribile e assurdo? Un uomo come te che conosce il mondo, che sa parlare il francese e il tedesco e che sarebbe adatto a ben altro mestiere!»

«Ho l'impressione che quando tu mi hai visto e hai sentito parlare di me per la prima volta, io ti sia apparso avvolto in un'aureola dorata: un uomo che conosceva cose mirabili, che aveva condotto una vita brillante: un eroe, insomma, pieno di fascino, che non si poteva fare a meno di ammirare e di amare.»

«Sì, proprio così,» diss'ella singhiozzando.«E ora eccomi qui: un poveretto in giacca di cuoio.»«Non farti giuoco di me. Ora basta. Non voglio più esser depressa. Se non hai nulla in contrario, oggi esco. C'è

una festa - un ballo campestre, lo chiamano a Egdon - e vorrei andarci.«A ballare?»«E perché no? Tu non canti forse?»«Fa' come credi. Vuoi che venga a prenderti?»«Sì, se non torni troppo tardi dal lavoro. Ma non preoccuparti per me. So la strada per ritornare a casa, e la

brughiera non mi fa paura.»«Hai tanto bisogno d'allegria da affrontare tutta questa strada per andare a cercarla in una festa?»«Ti spiace che vada sola, ho capito! Non sarai geloso per caso, Clym?»«No. Ma verrei volentieri con te, se tu lo volessi; capisco però che, così stando le cose, forse mi vedi anche

troppo. Confesso che sarei stato più contento se non ti fosse venuto voglia di andarci. Dimmi pure che sono geloso; ma non ho forse ragione d'esserlo, mezzo cieco come sono, e con una moglie come te?»

«Non metterti in mente queste cose. Lascia che vada e non guastarmi tutto il piacere.»«Per nulla al mondo, cara mogliettina. Va' dunque, e fa' quel che credi. Chi potrebbe vietarti una distrazione?

Credo che tu sappia quanto ti amo; e dato che mi sopporti, ora che rappresento per te un peso, non posso che ringraziarti. Va', dunque, e divertiti. Io resterò qui, al mio posto. Non sarei gradito a una festa. Il mio falcetto e i miei guanti sono un po' come il sonaglio che san Lazzaro attaccò al lebbroso, per avvertire gli altri di togliersi dalla sua strada e non vedere uno spettacolo destinato a rattristarli.» Le diede un bacio, si mise i gambali e uscì.

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Quando se ne fu andato, ella appoggiò la testa sulle mani e disse tra sè: «Due vite rovinate: la sua e la mia. Ecco a che punto sono arrivata! Mi sembra d'impazzire!»

Si mise a pensare intensamente che cosa poteva fare per migliorare il suo stato, ma non vedeva soluzione alcuna. Se avessero saputo com'era ridotta, quanti da lei conosciuti un tempo a Budmouth avrebbero pensato: «Ma guarda com'è finita quella ragazza che si credeva superiore a tutti!» Già le pareva di sentirlo dire. La situazione in cui era venuta a trovarsi era così crudelmente diversa da quella che aveva sognato e sperato che, se il destino continuava ad accanirsi contro di lei, non vedeva altra via d'uscita che la morte.

A un tratto si scosse esclamando: «Ma io mi difenderò, reagirò! Nessuno saprà quanto soffro. Sarò amaramente allegra e ironicamente gaia e riderò di tutto! E intanto incomincerò coll'andare al ballo.»

Salì nella sua camera e si vestì con ogni cura. Chi avesse osservato la sua bellezza, sarebbe stato tratto a giustificare sino a un certo punto il suo stato d'animo. Lo spettacolo d'una donna simile sciupata in quel malinconico angolo ben poteva indurre chi parteggiasse, anche solo minimamente, per lei a riconoscere che non aveva tutti i torti a ribellarsi contro quel Potere Supremo che aveva condannato un essere umano di così squisita fattura a una vita in cui il suo fascino diventava non una benedizione ma una sventura.

Erano le cinque del pomeriggio quando uscì di casa pronta per la passeggiata. C'era nella sua figura quanto bastava per farle conquistare altri venti uomini. Lo stato d'animo di ribellione e di tristezza anche troppo visibile in lei quand'era in casa senza cappello era ora velato e attenuato dai suoi vestiti da passeggio, sempre vaghi e vaporosi, privi di linee nette e precise: il suo volto emergeva dai veli come da una nuvola, e non si riusciva a distinguere dove finisse il suo corpo e dove incominciassero gli abiti. Faceva ancora caldo, ed ella s'avviò lungo le colline soleggiate con passo tranquillo, avendo dinanzi a sè tutto il tempo possibile. A tratti scompariva, secondo il capriccio del sentiero, tra le foglie delle felci, che formavano ora minuscole foreste, anche se neanche uno dei loro rami avrebbe resistito all'inverno nè sarebbe rinverdito l'anno seguente.

Il luogo scelto per la festa campestre era una di quelle oasi verdi che si trovano a volte, anche se raramente, sugli altipiani della brughiera. I cespugli di giunchi e d'erica sembravano arrestarsi di colpo ai margini e l'erba era intatta. Un sentiero percorso dal bestiame sfiorava il prato, senza tuttavia emergere dal riparo delle felci, e Eustacia lo seguì per rendersi conto della composizione del gruppo prima di unirvisi. Le robuste note della banda di Egdon l'avevano guidata al punto giusto, e ora vide i musicisti, seduti in un carro azzurro con le ruote rosse, lustrato da sembrar nuovo e adorno di archi di canna a cui erano appesi mazzi di fronde e di fiori. Dinanzi al carro, quindici o venti coppie erano impegnate in un numero della contraddanza, mentre altri ballerini meno abili, non sempre pronti a mantenere il ritmo, piroettavano attorno per conto proprio.

I giovanotti portavano all'occhiello coccarde azzurre e bianche e, tutti accaldati, danzavano con le ragazze al cui volto l'eccitazione e il movimento davano un colorito ancor più vivo di quello dei molti nastri che portavano. Belle coi capelli lunghi, belle coi capelli corti, belle col ciuffo sulla fronte, belle con le trecce, continuavano a girare impegnate nella danza; e l'osservatore avrebbe potuto chiedersi come si fosse potuto mettere insieme un così bel gruppo di ragazze press'a poco uguali per età, tipo e statura, dato che la scelta era forzatamente limitata a due o tre villaggi. Sullo sfondo si vedeva un uomo felice che danzava da solo, con gli occhi chiusi, evidentemente dimentico d'ogni altra cosa. A qualche distanza, sotto un albero sfrondato, era acceso un fuoco su cui avevano appeso tre cuccume in fila. Su un tavolo lì vicino le donne più anziane stavano preparando il tè, ma, per quanto le guardasse, Eustacia non vide tra loro la moglie del mandriano che l'aveva invitata a venire, dicendole che sarebbe stata la benvenuta.

L'inaspettata assenza dell'unica persona del luogo che conosceva turbò notevolmente i piani di Eustacia. Non aveva il coraggio di farsi avanti pur sapendo benissimo che le donne le sarebbero venute festosamente incontro con una tazza di tè in mano, mostrandole il riguardo dovuto a una forestiera a loro tanto superiore per rango e istruzione. Dopo aver assistito non vista a due balli, decise di andare un po' più avanti, fino a una capanna dove avrebbe potuto prendere qualcosa per rifocillarsi, e di tornare poi a casa, al primo fresco della sera.

Così fece, infatti: e quando fu tornata al luogo della festa, dov'era costretta a passare per tornare ad Alderworth, il sole stava ormai tramontando. L'aria era così calma che la banda si sentiva da lontano; e le pareva che suonasse ora con ancor maggior vivacità di quando se n'era allontanata. Quando fu in cima alla collina il sole era completamente scomparso; ma questo non turbava nè Eustacia nè quelli che danzavano, perché stava sorgendo una tonda luna gialla, anche se i suoi raggi non avevano ancora offuscato quelli del tramonto. Il ballo continuava, ma altri forestieri erano arrivati e formavano circolo intorno a quelli che danzavano; Eustacia poteva quindi mescolarsi alla folla senz'essere riconosciuta.

Tutte le sensazioni, tutte le emozioni d'un intero villaggio, sparpagliate nel corso d'un anno, si concentravano qui in questa unica ora. I quaranta cuori delle coppie in movimento battevano con un ritmo quale non avevano più conosciuto da quando, dodici mesi prima, s'erano trovati insieme in un'occasione analoga: dominati da una gioia di vivere intimamente pagana, non adoravano in quel momento che se stessi.

Quanti di questi appassionati ma passeggeri abbracci fossero destinati a durare e perpetuarsi era probabilmente quanto si chiedevano alcuni di quelli che vi s'abbandonavano, e anche Eustacia che li stava osservando. Invidiava ora quei ballerini, e desiderava ardentemente la speranza e la felicità che l'incanto della danza sembrava creare in loro. Appassionata del ballo essa stessa, una delle sue speranze, quando aveva creduto di potersi trasferire a Parigi, era stata la possibilità di dedicarsi a questo divertimento preferito. Ma la speranza era purtroppo tramontata per sempre.

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Mentre guardava distrattamente le coppie fluttuare e ruotare nella luce sempre più viva della luna, sentì una voce dietro le sue spalle sussurrare improvvisamente il suo nome. Voltandosi, sorpresa, vide al suo fianco un uomo la cui presenza la fece immediatamente arrossire sino alla radice dei capelli.

Era Wildeve. Non l'aveva più guardato negli occhi da quando, il mattino delle nozze, s'era trovata in chiesa e l'aveva colto alla sprovvista sollevando il velo e avvicinandosi per firmare il registro come testimone. Ma non avrebbe saputo dire perché mai la sola sua vista bastasse a suscitare in lei un così vivo rossore.

Prima ch'ella potesse parlare, egli sussurrò: «Ti piace ancora ballare come una volta?»«Credo di sì,» diss'ella a bassa voce.«Vuoi ballare con me?»«Mi piacerebbe; ma non sembrerà sconveniente?»«Che c'è di strano se due parenti ballano insieme?»«Già, sicuro, siamo parenti... Forse non c'è niente di male.»«E poi, se non vuoi che ti vedano, tira giù il velo: anche se non è facile essere riconosciuti con questa luce. C'è

una folla di forestieri.»Ella abbassò il velo, accettando così tacitamente la proposta. Wildeve le diede il braccio e la condusse

all'esterno del cerchio in fondo alla figura della danza in cui entrarono. Dopo due minuti vi erano in pieno e risalivano la fila delle coppie. Dapprima Eustacia si disse che avrebbe fatto meglio a non accettare l'invito, ma a un certo punto incominciò a chiedersi perché non avrebbe dovuto farlo, dato ch'era venuta per divertirsi. Impegnata nei passi strisciati nelle giravolte cui li costringeva la loro nuova posizione di coppia di guida, sentiva i polsi batterle troppo forte per poter provare ancora preoccupazione o rimorso.

Mentre risalivano la fila delle venticinque coppie, scivolando tra l'una e l'altra, si sentiva come animata da una vitalità nuova. La pallida luce della luna dava un nuovo incanto alla scena. Esistono un grado e una tonalità di luce che tendono a turbare l'equilibrio dei sensi, e a sollecitare stati d'animo di pericoloso languore; aggiunta al movimento, questa luce rende il sentimento più vigoroso, mentre in proporzione inversa, la ragione sembra farsi insensibile e dormigliosa; e appunto questa luce il disco lunare riversava ora sui due. Tutte le ragazze ne sentivano gli effetti, ma più di tutte Eustacia. L'erba sotto i loro piedi fu ben presto calpesta e consumata; il terreno duro e battuto, visto di sbieco contro il chiaro di luna, splendeva come una tavola di legno ben levigata. Non c'era un filo d'aria; la bandiera sul carro dei musicanti pendeva floscia dall'asta e la sagoma dei suonatori si stagliava contro il cielo; solo a tratti le imboccature circolari del trombone, del flicorno e della cornetta balenavano come enormi occhi luminosi nell'ombra gettata dalle loro figure. I graziosi abitini delle ragazze parvero perdere i più vivi colori che avevano alla luce del giorno, diventando tutti più o meno d'un bianco vaporoso. Eustacia continuava a girare al braccio di Wildeve e sul suo volto di statua c'era un'espressione di rapimento; la sua anima aveva abbandonato e dimenticato il suo volto, rimasto vuoto e passivo, come sempre accade quando il sentimento ne supera le possibilità.

Com'era vicina a Wildeve! L'atterriva il pensarci. Sentiva l'ansito del suo respiro, come certo egli sentiva quello di lei. Come l'aveva trattato male! Eppure eccoli qui a ballare insieme con lo stesso ritmo. L'incanto della danza la vinse. Una linea netta divideva come una barriera tangibile quel che provava nel turbine del movimento e quel che provava fuori di esso. Appena aveva incominciato a danzare, subito aveva avuto l'impressione di cambiare atmosfera; a confronto del calore tropicale che sentiva ora, le sensazioni di prima eran simili a quelle che si possono provare nelle gelide regioni dell'Artico. Era come se, uscendo dagli affanni angosciosi della sua vita presente, fosse entrata in una stanza violentemente illuminata dopo aver camminato a lungo nel buio notturno d'un bosco. La presenza di Wildeve da sola l'avrebbe soltanto turbata: ma aggiunta alla danza, al chiaro di luna e alla segretezza, la rendeva felice. Se fosse la persona del giovane l'elemento principale in questa dolce mescolanza di sentimenti, o se fossero più importanti la danza e il paesaggio, era un punto su cui la stessa Eustacia non avrebbe saputo pronunciarsi con certezza.

Qualcuno incominciò a chiedersi: «Chi sono?», ma nessuno fece indagini indiscrete. Le cose sarebbero andate diversamente se Eustacia si fosse spesso trovata con le altre ragazze nelle loro passeggiate quotidiane. D'altra parte qui nessuno si preoccupava eccessivamente di lei; tutti erano impegnati a godere dell'occasione con la massima intensità possibile. Come il pianeta Mercurio circondato dallo splendore del tramonto, la sua stabile luce passava quasi inosservata nella gloria passeggera del momento.

Quanto a Wildeve, non è difficile indovinare i suoi sentimenti. Gli ostacoli erano per il suo amore un alimento determinante, e si trovava quindi in uno stato di squisita infelicità. Stringere tra le braccia come sua per cinque minuti la donna che apparteneva a un altro uomo per tutto il resto dell'anno era cosa che egli soprattutto sapeva apprezzare. Da tempo aveva ricominciato a sospirare per Eustacia; si può dire anzi che nel momento stesso in cui aveva firmato il registro con Thomasin, nel suo cuore era rinato l'antico affetto; e il matrimonio di Eustacia era esattamente quel che ci voleva per rendere inevitabile, in un uomo come lui, simile ritorno di sentimento.

Così, per ragioni diverse, quel ch'era per gli altri un semplice passatempo diventava per quei due un vertiginoso delirio. La danza aveva sferrato un attacco irresistibile contro quel poco rispetto per le convenzioni ch'essi possedevano, riportandoli su vie già battute, ora doppiamente irregolari. Fecero insieme tre balli; poi, affaticata dal movimento, Eustacia s'allontanò dal cerchio in cui era già rimasta troppo a lungo. Wildeve l'accompagnò a un monticello di terra a pochi metri di distanza, dov'ella sedette mentre il suo cavaliere rimaneva in piedi accanto a lei. Dal momento in cui le si era rivolto all'inizio della danza fino a ora non avevan scambiato una parola.

«La danza e la passeggiata t'hanno stancata?» chiese egli con tenerezza.

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«No, non molto.»«È strano che ci si sia incontrati proprio qui, dopo tanto tempo che non ci vediamo.»«Non ci siamo visti perché non volevamo vederci, penso.»«Sì. Ma sei stata tu a incominciare... non mantenendo la promessa.»«Ormai non serve a nulla parlarne. Da allora abbiamo altri legami: tu non meno di me.»«Ho saputo che tuo marito è ammalato; mi dispiace molto.»«Non è ammalato; ha solo un disturbo alla vista.»«Sì, capisco. Mi dolgo sinceramente della tua disgrazia. Il destino è stato crudele con te.»Per un momento ella tacque. «Lo sai che adesso lavora a tagliar ginestra?» chiese, con voce bassa e dolente.«Me l'hanno detto,» rispose Wildeve dopo un momento d'esitazione. «Quasi non volevo crederci.»«È vero, invece. Che pensi di me come moglie d'un tagliatore di ginestra?»«Penso quel che ho sempre pensato di te, Eustacia. Questo non ti degrada certo; sei tu piuttosto che nobiliti

l'occupazione di tuo marito.»«Vorrei poterla pensare come te.»«Credi che Yeobright guarirà?»«Lui lo crede. Ma io ne dubito.»«Sono stato molto sorpreso quando ho saputo che ha affittato una casa qui. Pensavo, come tutti, che dopo il

matrimonio ti avrebbe immediatamente portata a Parigi. "Che allegro, brillante avvenire le si apre dinanzi!" pensavo. Ci tornerà comunque, non appena la sua vista glielo permetta, non è vero?»

Poichè ella non rispondeva, la guardò più da vicino, e vide che stava quasi per piangere. Immagini d'un avvenire di cui non avrebbe mai goduto, un rinnovato senso d'amara delusione, il quadro del ridicolo in cui sarebbe apparsa agli occhi dei vicini, evocato dalle parole di Wildeve, avevano sopraffatto la forza d'animo di Eustacia.

Wildeve riuscì a fatica a dominare i suoi sentimenti troppo vivi, quando vide il silenzioso turbamento di lei. Finse però di non accorgersene, e presto ella riuscì a dominarsi.

«Pensavi di tornare a casa da sola?» chiese Wildeve.«Sì,» disse Eustacia. «Che cosa può capitar di male in questa brughiera a chi non ha nulla?»«Facendo una piccola deviazione posso accompagnarti per un buon tratto. Sarò felice di farti compagnia sino a

Throope Corner.» E, vedendo che Eustacia esitava, aggiunse: «Forse ti spiace farti vedere in mia compagnia dopo quanto è avvenuto l'estate scorsa?»

«Non mi spiace affatto,» rispose Eustacia con aria altera. «Scelgo la compagnia di chi voglio, e non m'importa di quel che possono dire gli zoticoni di Egdon.»

«E allora andiamo, se sei disposta a muoverti. Dobbiamo andare verso quel cespuglio d'agrifoglio nell'ombra scura che vedi laggiù.»

Eustacia si alzò e s'avviò accanto a lui nella direzione indicata, sfiorando con le vesti l'erica e le felci umide, lasciandosi dietro i rumori e le musiche della festa che continuava. La luna alta nel cielo diffondeva un argenteo splendore, ma la brughiera era impenetrabile alla sua luce; non si poteva non essere colpiti dal contrasto tra l'ampia zona di campagna e il bianco chiarore che inondava il cielo dal punto più alto sino ai suoi limiti estremi. A chi li avesse guardati dall'alto i due volti sarebbero apparsi, nella buia distesa, come due perle su un tavolo d'ebano.

Le irregolarità del sentiero non erano visibili, e Wildeve inciampava di quando in quando; mentre Eustacia doveva tenersi graziosamente in equilibrio ogni volta che un ciuffo d'erica o una radice di felce, spuntando dall'erba della stretta pista, le s'impigliava nei piedi. E sempre in questi casi una mano s'allungava a sostenerla, tenendola con forza finchè il terreno non fosse di nuovo piano, per ritrarsi poi a rispettosa distanza.

Camminarono quasi sempre in silenzio sino a Throope Corner: a pochi metri di lì incominciava un breve sentiero che portava alla casa di Eustacia. Gradatamente videro avanzare due figure umane che sembravano di sesso maschile.

Quando furono un po' più vicini Eustacia ruppe il silenzio dicendo: «Uno di quei due è mio marito. Aveva promesso di venirmi incontro.»

«E l'altro è il mio peggior nemico,» disse Wildeve.«Sembra Diggory Venn.»«Proprio lui, infatti.»«È un incontro spiacevole,» diss'ella, «ma io sono sempre sfortunata. Sa troppo di me; ma se ne sapesse un po'

di più si convincerebbe che quanto sa ora non ha importanza. Be', pazienza: dovrai consegnarmi a loro.»«Non mi sembra assolutamente consigliabile. Costui non ha certo dimenticato i nostri incontri al Rainbarrow; e

ora è con tuo marito. Chi dei due, vedendoci insieme, crederà che ci siamo incontrati alla festa per puro caso?»«E va bene,» diss'ella con tristezza. «Lasciami prima che ci raggiungano.»Wildeve la salutò con calore e scomparve tra i cespugli di ginestra, mentre Eustacia procedeva lentamente. Due

o tre minuti dopo incontrava il marito e il suo compagno.«Per questa sera il mio viaggio finisce qui, amico,» disse Yeobright appena la vide. «Torno indietro con mia

moglie. Buona notte.»«Buona notte, signor Yeobright,» disse Venn. «Le auguro di rimettersi presto.»

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Il chiaro di luna illuminava in pieno il volto di Venn mentre parlava, rivelandone a Eustacia l'espressione. Le parve che la guardasse con sospetto. Che l'acuto occhio di Venn avesse notato quel ch'era invece sfuggito alla debole vista di Yeobright, e cioè un uomo che s'allontanava dal fianco di Eustacia? Non era improbabile.

Se Eustacia avesse potuto seguire il venditore d'ocra avrebbe avuto ben presto una precisa conferma dei suoi dubbi. Non appena, dopo averle dato il braccio, Clym s'allontanò con lei dalla scena, l'uomo abbandonò la pista battuta verso East Egdon, che aveva seguito unicamente per accompagnare Clym nella passeggiata, dato che aveva di nuovo il suo carrozzone nelle vicinanze. A grandi passi superò il tratto della brughiera privo di strade press'a poco nella direzione seguita da Wildeve. Soltanto un uomo abituato a vagare di notte poteva scendere a quell'ora gli scoscesi pendii con la velocità di Venn, senza cadere a capofitto in qualche buca o rompersi una gamba cacciando il piede in una tana di coniglio selvatico. Ma Venn procedette senza farsi nulla, muovendo verso la locanda della «Buona Donna». Vi giunse dopo una mezz'oretta di cammino: nessuno che si trovasse a Throope Corner quando n'era partito avrebbe potuto arrivarci prima di lui.

La locanda isolata non era ancor chiusa, benchè non ci fosse nessuno: essendo i suoi clienti soprattutto i viaggiatori che passavano dinanzi all'osteria nel corso dei loro lunghi viaggi, e che ormai se n'erano andati. Venn entrò nella sala, ordinò un bicchiere di birra e chiese alla cameriera con tono indifferente se il signor Wildeve era in casa.

Thomasin era in una stanza interna e sentì la voce di Venn. Rararnente si faceva vedere nella sala quando c'erano clienti, chè non le piaceva la parte dell'ostessa; ma quella sera, dato che non c'era nessuno, venne fuori.

«Non è ancora tornato, Diggory,» disse cortesemente. «Anche se lo aspettavo più presto. È andato a East Egdon a comperare un cavallo.»

«Portava un cappello a larghe tese?»«Sì.»«Allora l'ho visto a Throope Corner che portava a casa una giumenta,» disse Venn con tono secco. «Una vera

bellezza, con il muso bianco e una criniera nera come la notte. Arriverà presto, senza dubbio.» Alzandosi e guardando per un momento il dolce e puro volto di Thomasin, su cui s'era posato come un velo di tristezza che non c'era l'ultima volta in cui l'aveva vista, osò aggiungere: «Sembra che Wildeve esca sovente alla sera.»

«Eh, sì,» disse Thomasin con tono di voluta gaiezza. «Sai come sono i mariti: fanno i monelli, ogni tanto. Vorrei che tu m'insegnassi un sistema per tenerlo in casa alla sera quando voglio.»

«Ci penserò,» disse Venn con lo stesso tono leggero che velava però qualcosa di profondamente serio. Poi fece il buffo inchino che gli era particolare e si mosse per andarsene. Thomasin gli porse la mano e, senza un sospiro, anche se avrebbe avuto ben ragione di sospirare, il venditore d'ocra se ne andò.

Quando, un quarto d'ora dopo, arrivò Wildeve, Thomasin gli disse semplicemente, con la timidezza da cui pareva continuamente dominata: «Dov'è il cavallo, Damon?»

«Oh, il cavallo: ho finito per non comperarlo. Volevano troppo.»«Ma qualcuno ti ha visto a Throope Corner mentre portavi a casa la giumenta: una bellezza con il muso bianco

e una criniera nera come la notte.»«Ah» disse Wildeve, fissandola; «chi te l'ha detto?»«Venn, il venditore d'ocra.»Sul volto di Wildeve si diffuse un'espressione singolarmente attenta. «Si tratta d'un errore: avrà visto qualcun

altro,» disse lentamente e con fermezza: s'era reso conto che Venn aveva ricominciato a spiarlo.

DOVE SI RICORRE ALLA FORZA

Quelle parole di Thomasin, che sembravano insignificanti e volevano invece dir tanto, continuarono a risuonare nelle orecchie di Diggory Venn: «Aiutami a tenerlo in casa la sera.»

Questa volta Venn era venuto nella brughiera di Egdon coll'intento semplicemente di attraversarla: non aveva più nulla a che fare con la famiglia Yeobright, e voleva occuparsi degli affari suoi. E invece eccolo di nuovo impegnato, come un tempo, a far di tutto per difendere e aiutare Thomasin.

Ora, seduto nel suo carrozzone, rifletteva. Dalle parole e dai modi di Thomasin aveva capito benissimo che Wildeve la trascurava. E per chi mai poteva trascurarla se non per Eustacia? Gli sembrava tuttavia impossibile che le cose fossero già arrivate a questo punto: che cioè Eustacia lo incoraggiasse in modo sistematico. Decise allora di sorvegliare attentamente la strada solitaria che portava, attraverso la valle, dall'abitazione di Wildeve alla casa di Clym ad Alderworth.

Questa volta, come s'è visto, non c'era stata da parte di Wildeve ombra di premeditazione; dopo il matrimonio di Eustacia non l'aveva più vista sino alla sera del ballo campestre. Ma che desiderasse riannodare i rapporti con lei lo dimostrava una romantica abitudine da lui presa recentemente: e che consisteva nell'uscir di casa quand'era buio e andar passeggiando sino ad Alderworth fermarsi un momento a contemplare la luna, le stelle e la casa di Eustacia e tornarsene poi indietro pian piano.

La sera dopo la festa, il venditore d'ocra, che stava di guardia, lo vide salire lungo il sentiero, appoggiarsi al cancello della casa di Clym, sospirare e tornare indietro. Evidentemente i rapporti di Wildeve con Eustacia erano più platonici che reali. Venn scese, precedendolo, e si fermò in un punto in cui il sentiero non era che un profondo solco tra

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l'erica; rimase misteriosamente chino verso terra per un momento, poi s'allontanò. Quando Wildeve arrivò a quel punto, s'impigliò col piede in qualcosa e cadde lungo disteso.

Non appena si fu ripreso dal colpo, si tirò su a sedere e rimase in ascolto. Non s'udiva nell'ombra altro suono che il calmo respiro del vento estivo. Cercando a tentoni l'ostacolo che l'aveva fatto cadere, vide che due ciuffi d'erica erano stati legati, attraverso il sentiero, in modo che formassero un cappio destinato a far cadere il passante. Wildeve strappò via la funicella che li legava e s'allontanò in fretta. Giunto a casa, vide che la funicella aveva un colore rossastro: proprio quel che s'aspettava.

Tra i molti difetti di Wildeve non c'era la paura fisica; ma questa specie di coup-de-Jarnac da parte d'uno che conosceva anche troppo bene, lo turbò profondamente. Non per questo però mutò abitudini. Due o tre notti dopo s'avviò di nuovo verso Alderworth lungo la valle, badando a tenersi fuori del sentiero. Il senso d'essere spiato, l'astuzia usata per ostacolare i suoi gusti errabondi, aggiungevano, finchè non si trattasse di pericoli reali, un sapore piccante a una passeggiata del tutto sentimentale. Pensava che Venn e la signora Yeobright fossero d'accordo e si sentiva quindi abbastanza giustificato nel combattere contro la loro coalizione.

Quella sera la brughiera appariva completamente deserta; e Wildeve dopo aver contemplato per qualche tempo, col sigaro in bocca, la casa di Eustacia, cedendo al fascino che esercitava su di lui il senso di un'avventura sentimentale clandestina, si lasciò tentare ad avvicinarsi alla finestra, non del tutto chiusa, e con la persiana abbassata solo a metà. Gettando un'occhiata nella stanza, vide che Eustacia era sola. Stette a contemplarla per un minuto, poi, tornando indietro nella brughiera, battè leggermente le felci, spaventando alcune falene che si alzarono in volo. Presane una, tornò presso la finestra e, tenendo la falena presso la fessura, aprì la mano. La falena volò direttamente verso la candela sul tavolo dinanzi a Eustacia, ci girò attorno due o tre volte, poi si gettò nella fiamma.

Eustacia trasalì. Era questo un ben noto segnale che Wildeve usava un tempo quando veniva segretamente a trovarla a Mistover. Capì subito ch'era lì fuori, ma, prima che avesse il tempo di decidere che cosa fare, suo marito entrò nella stanza scendendo dal piano di sopra. A questa inattesa coincidenza, il volto di Eustacia si fece scarlatto, e pieno d'insolita animazione.

«Che bel colorito hai, cara,» disse Yeobright, quando le fu abbastanza vicino per vederla. «Sei ancor più bella del solito.»

«Ho caldo,» disse Eustacia. «Vado fuori a prender aria un momento.»«Vuoi che venga con te?»«No. Vado soltanto sino al cancello.»Si alzò, ma prima che potesse uscir dalla stanza, si udì bussare con forza alla porta d'ingresso.«Vado io... vado io...» disse Eustacia con tono insolitamente vivo, e gettò una rapida occhiata alla finestra da

cui era entrata la falena; ma non vide nessuno.«È meglio che vada io, a quest'ora,» disse Clym: la precedette nel vestibolo mentre Eustacia aspettava,

nascondendo sotto le sue maniere sonnolente l'interna agitazione.Rimase in ascolto mentre Clym apriva la porta. Non s'udì suono alcuno di voci; e subito egli la chiuse e tornò

indietro, dicendo: «Non c'era nessuno. Che cosa sarà stato?»E per tutto il resto della sera non potè far altro che continuare a chiederselo, perché non n'ebbe alcuna

spiegazione, nè Eustacia gli disse nulla: il fatto ch'ella sapesse di che si trattava non faceva che rendere più misteriosa la circostanza.

Fuori intanto s'era svolto un piccolo dramma che aveva impedito a Eustacia di compromettersi almeno per quella sera. Mentre Wildeve stava preparando il segnale con la falena, un'altra persona era giunta, alle sue spalle, sino al cancello. Il nuovo venuto, che portava un fucile, si fermò a osservare quel che l'altro faceva presso la finestra, s'avvicinò alla casa, bussò alla porta, poi scomparve dietro l'angolo e oltre la siepe.

«Maledetto!» esclamò Wildeve. «È stato a spiarmi di nuovo.»Vedendo che i colpi battuti alla porta avevano reso inutile il suo segnale, si ritirò, uscì dal cancello e s'avviò

rapidamente giù per il sentiero senz'altro desiderio che d'allontanarsi inosservato. A metà della collina, il sentiero correva accanto a una macchia di stente piante d'agrifoglio, che spiccava nel buio generale come la pupilla d'un occhio nero. A questo punto udì un colpo di fucile e alcuni bossoli vuoti vennero a cadere tra le foglie vicino a lui.

Come credere che il colpo non gli fosse destinato? Wildeve si lanciò contro la macchia, battendo furiosamente i cespugli col bastone. L'attentato era questa volta assai più grave, e gli ci volle un po' per ritrovare la calma. Erano le prime avvisaglie di un'azione intimidatoria, che pareva tendere a fargli fisicamente del male. Il cappio sul sentiero gli era parso poco più d'uno scherzo grossolano di cui poteva compiacersi un ignorante come Venn; ora però vedeva superati i limiti che separano lo sgradevole dal pericoloso.

Anche maggior ragione avrebbe avuto di preoccuparsi, se avesse saputo quanto Venn faceva sul serio. Esasperato oltre misura nel vedere Wildeve davanti alla casa di Clym, il venditore d'ocra era pronto a fare qualunque cosa - che non fosse proprio sparargli addosso - per atterrire il giovane oste, costringendolo così a frenare i propri impulsi. Non gli veniva neanche in mente che non fosse lecito ricorrere a questi metodi violenti. In casi simili, pochi son quelli che abbiano simili scrupoli; e non sempre è un male. Dal processo di Strafford al sistema sbrigativo usato dal fattore Lynch contro i vagabondi della Virginia, molti furono i casi in cui la giustizia potè trionfare soltanto facendosi beffe della legge.

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A circa mezzo miglio dall'isolata dimora di Clym sorgeva un villaggio dove abitava uno dei due agenti di polizia che mantenevano l'ordine nella zona di Alderworth, e alla sua casa Wildeve immediatamente si diresse. La prima cosa che s'offrì al suo sguardo, non appena aprì la porta, fu il grosso bastone del poliziotto appeso a un chiodo, quasi ad assicurargli che questi aveva i mezzi per farsi rispettare. Ma quand'ebbe chiesto di lui, seppe dalla moglie che non era in casa. Disse che l'avrebbe aspettato.

Passarono i minuti e il poliziotto non arrivava. Da uno stato d'animo di sdegno furente Wildeve passò, calmandosi, a un inquieto senso d'insoddisfazione nei riguardi di se stesso, dell'ambiente, della moglie del poliziotto e di tutto quanto. S'alzò e uscì. In complesso l'incidente di quella sera aveva avuto l'effetto di raffreddare, se non di spegner del tutto, il sentimento illecito che provava per Eustacia, e per un pezzo non avrebbe più avuto voglia di vagabondare nottetempo nei pressi di Alderworth sperando d'ottener uno sguardo dalla sua bella.

Fin qui il venditore d'ocra aveva ottenuto un certo risultato nel frenare, sia pure con mezzi piuttosto violenti, la tendenza di Wildeve ad andare attorno di notte, e quella sera aveva bloccato all'inizio la possibilità d'un incontro tra Eustacia e l'antico innamorato. Non aveva previsto però che le sue azioni sarebbero servite soltanto a deviare, non a mutare la condotta di Wildeve. Dopo la faccenda delle ghinee, questi non poteva pretendere d'essere accolto da Clym come un ospite gradito; nulla gl'impediva però di andare a far visita a un parente di sua moglie, ed era ben deciso di vedere Eustacia. Bisognava però scegliere un'ora meno sconveniente delle dieci di sera. «Visto che non posso andarci di sera,» disse, «ci andrò di giorno.»

Intanto Venn, uscito dalla brughiera, era andato a far visita alla signora Yeobright con cui era in rapporti amichevoli da quand'ella aveva saputo quanto fosse stato provvidenziale il suo intervento per il recupero delle famose ghinee. Si chiese ora perché mai venisse a trovarla a ora così tarda, ma non si rifiutò di riceverlo.

Egli le portò notizie precise circa i disturbi di Clym, e il suo modo di vivere; poi, passando a parlare di Thomasin, accennò con garbo alla sua evidente tristezza. «Creda a me, signora,» disse; «sarebbe un gran bene per tutt'e due se lei andasse ogni tanto a trovarli, anche se in principio non sarà magari accolta con troppo entusiasmo.»

«Tanto Thomasin quanto mio figlio hanno voluto sposarsi contro la mia volontà; non posso quindi intervenire nella loro vita coniugale. I guai son stati loro a cercarseli.» La signora Yeobright si sforzava di parlare con tono severo; ma quel che aveva saputo delle condizioni di suo figlio l'aveva colpita e commossa più di quanto non volesse dimostrare.

«Le sue visite costringerebbero Wildeve a comportarsi meglio di quel che non sia incline a fare, e si eviterebbero forse molte infelicità.

«Che cosa vuoi dire con questo?»«Iersera ho visto una cosa che non m'è piaciuta. Vorrei che tra la casa di suo figlio e quella del signor Wildeve

ci fosse una distanza non di quattro o cinque, ma di cento miglia.»«Allora Wildeve se l'intendeva veramente con la moglie di Clym quando ha fatto tanto ammattire Thomasin!»«Speriamo che non se l'intendano anche ora.»«Ma la nostra speranza sarà probabilmente vana. Povero Clym! Povera Thomasin!»«Non è capitato nulla di grave finora. Ho anzi convinto Wildeve a badare ai fatti suoi.»«E come?»«Oh, non con le parole... con un mio piano che definisco il "sistema del silenzio".»«Speriamo che il tuo piano riesca.»«Riuscirà se lei mi aiuta, andando a trovare suo figlio e ridiventandogli amica. Potrà così constatare coi suoi

occhi come vanno le cose.»«Bene, visto che siamo arrivati a questo punto,» disse la signora Yeobright con tristezza, «ti confesserò che

pensavo appunto d'andare a trovarlo. Vorrei che fossimo di nuovo amici. Sono sposati ormai, io posso andarmene da un momento all'altro e mi piacerebbe morire in pace. È il mio unico figlio; e, se così son fatti i figli, non mi dolgo di non averne altri. Quanto a Thomasin, non ho mai riposto molte speranze in lei; e non mi ha quindi delusa. Le ho perdonato da un pezzo; come ora perdono a Clym. Andrò da lui.»

Mentre a Blooms-End si svolgeva questa conversazione tra il venditore d'ocra e la signora Yeobright, un'altra sullo stesso tema si teneva ad Alderworth.

Per tutto il giorno Clym s'era comportato come se fosse immerso in un pensiero così fisso e intenso che gl'impediva d'occuparsi delle cose esterne, e le sue parole rivelarono ora quale fosse questo pensiero. Poco dopo il misterioso colpo alla porta, entrò infatti in argomento: «Oggi mentre ero fuori, Eustacia, ho pensato che bisogna far qualcosa per sanare questo malaugurato dissidio tra mia madre e me. Ne soffro troppo.»

«E che cosa pensi di fare?» chiese Eustacia distrattamente, ancora dominata dall'eccitazione creata in lei dalla recente manovra di Wildeve per avvicinarla.

«Si direbbe che, qualunque cosa sia, quello ch'io penso di fare non t'interessi gran che,» disse Clym, con un certo risentimento.

«Ma no!» diss'ella, scuotendosi al rimprovero. «Stavo pensando ad altro.»«A che cosa?»«Pensavo a quella falena ch'è venuta a bruciarsi alla fiamma della mia candela,» disse lentamente. «Ma tu sai

che quanto dici m'interessa sempre.»

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«Bene, cara: ho pensato che debbo andare a trovarla...» E continuò con calore: «Son pronto a mortificare il mio orgoglio facendo il primo passo. L'avrei già fatto se non avessi avuto paura d'irritarla. Ma ora debbo decidermi: non si può continuare così.»

«Ma perché ti tormenti tanto? Non è tua la colpa.»«Mia madre è vecchia e sola, e io sono il suo unico figlio.«Ha Thomasin.»«Thomasin non è sua figlia; e, anche se lo fosse, non sarei ugualmente giustificato nel trascurarla. Ma questo

non c'entra. Ho deciso di andare da lei, e ti chiedo soltanto di far del tuo meglio per aiutarmi: di dimenticare cioè il passato; e s'ella si dimostra pronta a riconciliarsi con noi, di venirle incontro, accogliendola in casa nostra o accettando d'essere accolta nella sua.»

A tutta prima Eustacia strinse le labbra come se quanto le si proponeva fosse quel che meno desiderava al mondo. Ma, mentre pensava, le linee della sua bocca s'addolcirono un poco, anche se non del tutto; e alla fine disse: «Ti prometto che non creerò ostacoli; ma, dopo quanto è accaduto tra noi, non me la sento d'esser io a fare il primo passo.»

«Non mi hai mai detto con precisione che cos'è avvenuto.»«Non son riuscita a dirtelo allora, nè posso dirtelo adesso. In certi casi in soli cinque minuti, si condensa una

tale somma di rancore che non basta una vita intera a dissiparla; forse il nostro è uno di questi casi.» Tacque per un momento, poi aggiunse: «Se tu non fossi mai tornato al paese, Clym, sarebbe stata una vera fortuna per te!... Il tuo ritorno ha alterato il destino di...»

«Tre persone.»«Cinque,» pensò Eustacia; ma se lo tenne per sè.

PASSEGGIATA NELLA BRUGHIERA

Giovedì, 31 agosto, fu una di quelle giornate in cui nel tepore delle case si soffoca, e si gode invece d'ogni corrente d'aria fresca; quando il terreno arido si screpola, e i bambini spaventati dicono che c'è il «terremoto»; quando per il gran calore i raggi si staccano dalle ruote dei carri e delle vetture; e quando nuvoli d'insetti pungenti popolano l'aria, la terra, e ogni goccia d'acqua ancora esistente.

Nel giardino della signora Yeobright le piante delicate con le foglie larghe incominciavano a languire alle dieci del mattino; il rabarbaro si piegava alle undici e anche i cavoli, più robusti, a mezzogiorno erano appassiti.

Fu proprio in una giornata simile, verso le undici, che la signora Yeobright si accinse ad attraversare la brughiera per andare a casa di suo figlio, con lo scopo di riconciliarsi con lui e con Eustacia, come aveva detto al venditore d'ocra. Sperava d'esser già a buon punto del suo cammino quando il sole si fosse fatto troppo ardente, ma presto s'accorse che non era possibile. Il caldo aveva impresso il suo segno su tutta la brughiera; persino i campanellini violacei dell'erica erano diventati di color scuro sotto l'arido sole fiammeggiante dei giorni precedenti. Nei valloncelli sembrava d'essere in un forno e la sabbia quarzifera scoperta dei rigagnoli invernali trasformati in sentieri durante l'estate, sembrava indurita come cemento per la gran siccità.

In una giornata fresca, la signora Yeobright non avrebbe fatto una gran fatica ad arrivare sino ad Alderworth, ma il calore torrido rese la passeggiata molto pesante per una donna della sua età; quand'ebbe percorso tre miglia si disse che avrebbe fatto meglio a pregare Fairway d'accompagnarla almeno sino a un certo punto col calesse. Ma ormai la distanza per arrivare da Clym era pressochè uguale a quella che avrebbe dovuto percorrere per tornare a casa. Decise dunque d'andare avanti; intorno a lei l'aria palpitava in silenzio opprimendo la terra che sembrava sfinita. Alzando gli occhi per guardare il cielo sul suo capo, notò che all'azzurro chiaro della primavera e della prima estate, s'era sostituito un color violetto dai riflessi quasi metallici.

Incontrava di quando in quando piccoli mondi indipendenti di creature effimere che vivevano orgiasticamente la loro vita, alcune nell'aria, altre sul terreno e tra la vegetazione riarsa, altre ancora nell'acqua tepida e viscida d'uno stagno quasi prosciugato. Tutte le pozze d'acqua meno profonde s'erano ridotte a fango quasi vischioso in cui si potevan distintamente scorgere le forme, simili a larve, d'innumerevoli esseri senza nome che ne emergevano e vi si rituffavano folli di piacere. Non aliena dalla meditazione, ella si fermava a tratti sotto l'ombrello a riposare e a contemplar la loro allegria: una certa speranza circa il risultato della sua visita le sollevava lo spirito e le permetteva di soffermarsi a riflettere, tra l'uno e l'altro pensiero assillante, sulle cose infinitamente piccole che colpivano il suo sguardo.

La signora Yeobright non era mai stata a casa di suo figlio e ne ignorava quindi l'esatta ubicazione. Prese prima un sentiero, poi un altro, finchè s'accorse d'esser fuori strada. Tornò allora indietro e arrivò di nuovo a un punto piano, dove vide in lontananza un uomo intento al lavoro. Si diresse verso di lui e gli chiese la strada.

Il contadino le indicò con un gesto la direzione giusta e aggiunse: «Vede quell'uomo che taglia la ginestra in cima al sentiero?»

Aguzzando gli occhi, la signora Yeobright finalmente lo vide.«Bene, se lo segue, non può sbagliarsi. Va nello stesso posto, signora.»Seguì allora la figura che le era stata indicata: una macchia di color bruno scuro che quasi non si distingueva

dalla scena circostante, come non si distingue il verde bruco dalle foglie di cui si nutre. Quando camminava, il suo passo era più rapido di quello della signora Yeobright; ella riusciva però a mantenersi a uguale distanza da lui perché di

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quando in quando, giungendo a un boschetto di rovi, l'uomo si fermava. Arrivata a sua volta a uno di questi boschetti, trovò una dozzina di rami di rovo tagliati e disposti in fila accanto al sentiero: dovevano evidentemente servire a legar le fascine che intendeva raccogliere al ritorno.

L'essere silenzioso intento a questo lavoro appariva in quel momento insignificante come un insetto. Sembrava un semplice parassita della brughiera: con la sua quotidiana fatica ne punzecchiava la superficie come un tarlo una stoffa, unicamente preoccupato dei suoi prodotti, senz'altro interesse al mondo che felci, giunchi, ginestra, licheni e muschio.

L'uomo era così assorto nel suo lavoro che non girò neanche una volta la testa; e la sua figura coi gambali e i guanti divenne per lei un semplice segnale mobile che le indicava la via. A un tratto però la colpì nel suo passo qualcosa di familiare; e, osservandolo meglio, capì chi era, come il guardiano del re riconobbe Ahimaaz nella pianura lontana dal suo modo di camminare.

«Cammina come mio marito,» si disse; e improvvisamente si rese conto che il tagliatore di ginestra era suo figlio.

Ma non riusciva a convincersi di quest'incredibile realtà. Le avevano detto che Clym s'era messo a tagliar ginestra, ma aveva creduto che lo facesse di quando in quando per passare il tempo; vedeva ora invece che lo faceva sul serio: indossava gl'indumenti del mestiere e, a giudicare dal suo modo di muoversi, ne aveva assunto anche la mentalità. Foggiando intanto nella sua mente rapidi piani per togliere lui e Eustacia da questa situazione, continuò a seguirlo, ansando, e lo vide entrare in casa.

Accanto alla casetta di Clym c'era un monticello sulla cui cima si levava un boschetto di pini così alti nel cielo che, visti a distanza, i loro rami formavano come una macchia scura nell'aria al disopra della collina. Quando arrivò, la signora Yeobright era terribilmente agitata, stanca e sconvolta. Salì sul monticello e si sedette all'ombra degli alberi per ripigliar fiato e pensare al modo migliore per rivolgersi a Eustacia, in modo da non irritare quella donna sotto la cui apparente indolenza covavano passioni ancora più vigorose e vivaci delle sue.

Gli alberi sotto cui s'era seduta erano rovinati dalle intemperie, scabri e selvaggi, e per alcuni minuti ella smise di pensare al proprio tormento e alla propria stanchezza per osservarli. Nei nove alberi che formavano il boschetto non c'era un solo ramo che non fosse rotto, spuntato o deformato dalle intemperie a cui erano esposti in pieno. Apparivano alcuni arsi e spaccati come se fossero stati colpiti dal fulmine, i tronchi segnati dalle macchie nere del fuoco, mentre il suolo ai loro piedi era pieno di aghi di pino e di pignoli buttati giù dalle raffiche del vento. Quel punto era chiamato «Soffietto del diavolo», e bastava trovarvisi in una sera di marzo o di novembre per capire quanto il nome fosse giustificato. Anche in questo caldo pomeriggio, in cui non soffiava un alito di vento, gli alberi continuavano tuttavia a emettere un perpetuo gemito che si stentava a credere prodotto dall'aria.

Rimase là per una ventina di minuti, senza trovar la forza di scendere e avvicinarsi alla porta; la stanchezza fisica le aveva tolto ogni coraggio. Se non fosse stata una madre, sarebbe rifuggita dall'umiliazione di esser lei, più vecchia, a fare il primo passo. Ma ormai aveva deciso, e si preoccupava unicamente di comportarsi in modo da far comparire la sua visita a Eustacia come un atto non di viltà, ma di saggezza.

Dal punto elevato in cui si trovava, la donna sfinita poteva scorgere il tetto della casa e il giardino e tutto l'insieme della piccola dimora. Ma proprio nel momento in cui s'alzava per scendere, vide un altro uomo avvicinarsi al cancello: procedeva in modo curioso ed esitante, non come chi venisse per affari o perché invitato. Osservò la casa con interesse, poi le girò attorno e studiò la parte esterna del giardino, come se quello fosse stato il luogo natale di Shakespeare, la prigione di Maria Stuarda o il Castello di Hougomont. Dopo averne fatto due volte il giro, giunse al cancello ed entrò. La signora Yeobright ne fu dispiaciuta perché aveva sperato di trovare il figlio e sua moglie soli; poi, dopo averci riflettuto un momento, pensò che la presenza d'un conoscente poteva rendere meno imbarazzante la sua prima visita in quella casa, costringendo i discorsi nei limiti del generico, finchè non si fosse trovata più a suo agio in loro compagnia. Discese il monticello sino all'ingresso del giardino e guardò dentro.

C'era il gatto addormentato sulla nuda ghiaia del sentiero, come se non potesse sopportare di star sdraiato su tappeti, letti e coperte. Le malvarose avevano chinato il capo come ombrelli semi-chiusi: pareva che la linfa bollisse negli steli, e le foglie dalla superficie lucida riflettevano la luce come specchi di metallo. C'era, presso il cancello, un piccolo melo dai frutti primaticci, l'unico che prosperasse nel giardino a causa della poca umidità del suolo; e tra le mele cadute in terra ai suoi piedi le vespe s'ubriacavano di succo o entravano strisciando nelle minuscole caverne che avevano scavato esse stesse nei frutti prima d'essere inebriate dalla loro dolcezza. Presso la porta c'erano il falcetto di Clym e l'ultimo fascio di rami di rovo che gli aveva visto raccogliere; evidentemente li aveva buttati lì prima di entrare in casa.

UNA COINCIDENZA E SUE CONSEGUENZE

Da quando il venditore d'ocra s'era messo a spiarlo, turbando così i suoi pellegrinaggi notturni alla casa di Eustacia, Wildeve aveva deciso, come già s'è detto, d'andarla a trovare apertamente, di giorno, come si conviene a un parente. Durante il ballo al chiaro di luna, il fascino della donna l'aveva ripreso in pieno e ci sarebbe voluto da parte sua ben altro rigore morale per riuscire a tenersene lontano. In realtà non voleva altro che intrattenersi con lei e con suo marito, come usa, chiacchierare un poco e poi tornare a casa. Rimanendo esteriormente nei limiti più convenzionali,

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avrebbe potuto così soddisfare il suo più grande desiderio: vederla. Anzi, se c'era anche Clym, tanto meglio: chè, in sua assenza, Eustacia poteva temere - qualunque fosse il suo sentimento verso di lui di compromettere la propria dignità di moglie. Le donne son fatte così.

Decise dunque d'andarla a trovare; e il caso volle che il momento del suo arrivo coincidesse con quello della sosta della signora Yeobright sul monticello. Dopo aver gironzolato un po' intorno alla casa, come se volesse studiarla, bussò alla porta. Dopo pochi minuti, la chiave girò nella toppa, la porta si aprì e Eustacia se lo vide davanti.

Nessuno, osservando ora il suo contegno, avrebbe potuto immaginare ch'ella fosse quella medesima donna che aveva danzato con lui, soltanto la settimana prima, con tanta passione; a meno che, penetrando sotto la superficie, riuscisse a misurare la vera profondità di quell'acqua tranquilla.

«Sei arrivata a casa felicemente l'altra sera?» chiese Wildeve.«Sì,» rispose Eustacia con indifferenza.«E il giorno dopo non eri stanca? Temevo che tu ti fossi affaticata troppo.»«Ero un po' stanca infatti. Ma non occorre che tu parli così piano: nessuno ci sente. La servetta è andata a far

spese al villaggio.»«Clym non è in casa?»«Sì che c'è.»«Oh! Credevo che tu avessi chiuso la porta a chiave perché eri sola e avevi paura dei vagabondi.»«No... Guardalo qui mio marito.»Erano stati finora nel vestibolo. Chiudendo la porta d'ingresso e girando la chiave come prima, ella spalancò la

porta della stanza accanto, invitandolo a entrare. Quando Wildeve entrò, ebbe l'impressione che la stanza fosse vuota, ma quand'ebbe fatto alcuni passi trasalì. Sulla stuoia dinanzi al camino, Clym giaceva immerso nel sonno. Aveva accanto i gambali, le grosse scarpe, i guantoni di cuoio e la giacca senza maniche che metteva per lavorare.

«Puoi entrare: non lo disturbi,» diss'ella, seguendolo. «Chiudo a chiave la porta perché nessuno, entrando per caso, venga a disturbarlo, quand'io sto in giardino o al piano di sopra.»

«Perché dorme qui?» chiese Wildeve a bassa voce.«È molto stanco. È uscito di casa questa mattina alle quattro e mezzo e da allora non ha fatto che lavorare.

Taglia ginestra perché è l'unica cosa che può fare senza stancar troppo i suoi poveri occhi.» Eustacia non poteva fare a meno di notare con un senso di pena il contrasto evidente in quel momento tra l'aspetto dell'uomo addormentato e quello di Wildeve, tutto elegante in un vestito estivo nuovo e cappello chiaro. Continuò: «Tu non sai com'era diverso quando l'ho conosciuto, anche se in fondo è passato ben poco tempo. Aveva le mani bianche e morbide come le mie; guarda ora come sono scure e screpolate! La sua carnagione è per natura chiara: è stato il calore del sole a dare alla sua pelle lo stesso colorito scuro dei suoi abiti di cuoio.»

«Ma perché fa questo lavoro?» sussurrò Wildeve.«Perché non gli piace stare in ozio; anche se quel che guadagna non contribuisce molto al nostro bilancio. Dice

comunque che, quando si vive sul capitale, bisogna cercar di ridurre le spese guadagnando quel poco che si può.»«Il destino non è stato molto generoso con te, Eustacia Yeobright.»«No, non ho certo di che ringraziarlo.»«E neanche con lui; gli ha però concesso un grande dono.»«E quale?»Wildeve la guardò direttamente negli occhi.Per la prima volta in quella giornata Eustacia arrossì. «Dopo tutto sono un dono discutibile,» disse con calma.

«Credevo che tu accennassi al dono - ch'egli ha e io invece non posseggo - di sapersi accontentare.»«In certi casi, sapersi accontentare è un vantaggio; non capisco però come possa fare un mestiere simile.»«Perché non lo conosci. È pieno di entusiasmo per le idee e indifferente alle cose esteriori. Spesso mi fa

pensare all'apostolo Paolo.»«Sono lieto di sentire che ha tanta grandezza d'animo.»«Sì; sta di fatto però che Paolo sta bene nella Bibbia, ma non avrebbe avuto gran successo nella vita.»Avevano istintivamente abbassato la voce, anche se in principio non s'erano troppo preoccupati di non

svegliare Clym. «Se questo significa che il tuo matrimonio è un fallimento, sai di chi è la colpa,» disse Wildeve.«Il mio matrimonio non è un fallimento in se stesso,» rispose Eustacia con una certa petulanza. «È stato questo

disturbo alla vista di Clym che mi ha rovinata. Per quel che riguarda le mie aspirazioni mondane, non ho avuto certamente ciò che speravo; ma come potevo prevedere quel che sarebbe capitato?»

«A volte, Eustacia, penso che questo sia stato per te un giusto castigo. Eri mia, lo sai; e non ti avrei mai lasciata.»

«No, questo non è vero; e la colpa non è stata mia! Non potevi avere due donne; e, quando io non sospettavo di nulla, ti sei messo a corteggiarne un'altra, ricordatene. Sei stato leggero e crudele. Non mi sarei innamorata di un altro, se non fossi stato tu a incominciare.»

«Ma io non facevo sul serio,» ribattè Wildeve. «Era un semplice intermezzo. Capita agli uomini di avere un passeggero capriccio per un'altra donna nel corso d'un amore stabile che si riafferma poi più forte di prima. Son stati i tuoi modi ribelli che m'hanno spinto più avanti di quel che avrei voluto; e quando tu hai continuato a stuzzicarmi, ho finito addirittura con lo sposare un'altra.» Voltandosi a guardare Clym immerso nel sonno, mormorò: «Temo che tu non

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sappia apprezzare la fortuna che hai avuto, Clym... In una cosa almeno è più felice di me: sa che cosa significa decadere agli occhi del mondo, è afflitto da un'infermità fisica; ma ignora quanto si soffre nel perdere la donna che si ama.»

«Si rende conto della sua fortuna invece,» sussurrò Eustacia; «e sotto questo aspetto è un'ottima persona. Molte donne sarebbero felici d'avere un marito simile. Ma sono forse irragionevole se desidero quello che per me rappresenta la vita: e cioè la musica, la poesia, la passione, la battaglia, e tutto il tumulto e il fremito delle grandi arterie del mondo? Erano questi i miei sogni di ragazza; e non ho potuto realizzarli. E ho creduto che Clym potesse aiutarmi a farlo.»

«L'hai sposato solo per questo?»«Ti sbagli. L'ho sposato perché lo amavo; ma debbo riconoscere che lo amavo in parte proprio perché vedevo

in lui la promessa di quella vita migliore.»«Ed eccoti di nuovo desolata.»«Ma non voglio essere depressa,» ella gridò con collera. «Ho cercato di combattere la depressione andando a

quella festa e voglio continuare. Clym è così sereno che riesce a cantare; perché non posso esserlo anch'io?»Wildeve la guardò con occhio pensoso. «Certe cose è più facile dirle che farle; anche se, qualora io potessi,

t'incoraggerei senza dubbio in questa via. Ma siccome la vita, senza quell'unica cosa che ormai è impossibile, non ha più alcun valore per me, mi perdonerai se non son capace di farti coraggio.»

«Che cosa ti prende, Damon? Perché parli in questo modo?» chiese Eustacia, levando incontro ai suoi gli occhi pieni di ombre.

«C'è una cosa che non potrò mai dirti apertamente; e se tentassi di dirtela per enigmi, fingeresti forse di non capire.»

Eustacia tacque per un momento, poi disse: «Come sono strani oggi i nostri rapporti! Mi sembra che tu sia troppo reticente, Damon. Vuoi dire che mi ami ancora; e questo m'addolora perché non sono tanto felice nel matrimonio da respingerti, come forse dovrei, ora che me l'hai fatto capire. Ma ormai abbiamo detto anche troppo. Vuoi aspettare finchè mio marito si svegli?»

«L'avrei salutato volentieri, ma non è indispensabile. Se ti offende che non t'abbia dimenticata, hai fatto bene a dirlo; ma non mandarmi via.»

Ella non rispose e rimasero entrambi a guardare pensosamente Clym che dormiva il profondo sonno prodotto da una fatica fisica svolta in circostanze che non suscitano tensioni nervose.

«Come gl'invidio questo pacifico sonno, mio Dio!» disse Wildeve. «Non dormo così da quand'ero ragazzo... tanti e tanti anni fa.»

Mentre lo stavano osservando, si sentì aprire il cancello e qualcuno bussò alla porta. Eustacia andò alla finestra e guardò fuori.

La sua espressione mutò. Prima il suo volto si fece scarlatto, poi impallidì sino alle labbra.«Debbo andarmene?» chiese Wildeve, alzandosi.«Non so.»«Chi è?»«La signora Yeobright. Se ricordo ciò che mi ha detto quel giorno! Non riesco a capire la ragione della sua

visita: che intenzioni ha? E già sospetta dei nostri rapporti passati.»«Sono nelle tue mani. Se credi che sia meglio che non mi veda, andrò nell'altra stanza.»«Ebbene, sì; va'.»Wildeve si ritirò subito; ma era appena uscito che Eustacia lo raggiunse.«No,» disse, «non possiamo fare una cosa simile. Se entra, deve vederti; e può credere quel che vuole! Ma

come posso aprirle la porta quando so che mi odia, e non vuole veder me, ma suo figlio? Non le aprirò!»La signora Yeobright bussò più forte.«A furia di bussare finirà collo svegliarlo,» continuò Eustacia; «e allora sarà lui ad aprirle. Ah... ascolta.»Sentirono Clym muoversi nella stanza accanto, come disturbato dai colpi alla porta, e mormorare la parola

«mamma».«Bene... s'è svegliato... andrà ad aprire,» disse Eustacia con un respiro di sollievo. «Vieni da questa parte. Mia

suocera pensa già male di me ed è meglio che non ti veda. Ed eccomi costretta ad agire di nascosto, non perché faccia nulla di male, ma perché altri lo sospettano.»

L'accompagnava intanto alla porta che dava sul retro della casa, da cui partiva un vialetto che attraversava l'orto. «Una parola ancora, Damon,» disse mentre lo precedeva. «Questa è stata la tua prima visita qui; fa' che sia anche l'ultima. Ci siamo molto amati un tempo, ma ora non è più possibile. Addio.»

«Addio» disse Wildeve. «Ho ottenuto quel che volevo e me ne vado soddisfatto.«Che cosa?»«Vederti. Ti giuro sul mio onore che, venendo, non desideravo altro.»Wildeve baciò la mano della bella e scese in giardino; ella rimase a guardarlo mentre percorreva il sentierino,

varcava il cancello in fondo e s'avviava tra le felci che gli arrivavano sino alla cintola, finchè non fu più visibile. Soltanto quand'egli fu scomparso, ella rivolse la propria attenzione a quel che stava avvenendo nell'interno della casa.

Probabilmente, ella pensò, in quel momento del primo incontro, nè Clym nè sua madre desideravano la sua presenza: era di troppo, comunque. E, non avendo nessuna fretta d'incontrare la suocera, decise d'aspettare che Clym venisse a chiamarla. Uscì quindi di nuovo silenziosamente in giardino, dove rimase in attesa alcuni minuti finchè,

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vedendo che nessuno la cercava, girò intorno alla casa e si fermò tendendo l'orecchio per sentire se in salotto stavano parlando. Ma non udendo nulla, aprì la porta ed entrò. Con sua grande meraviglia, vide Clym nella stessa posizione in cui lei e Wildeve l'avevano lasciato. Evidentemente non s'era svegliato; i colpi alla porta avevano turbato il suo sonno facendolo sognare e mormorare quella parola, ma aveva continuato a dormire. Eustacia mosse subito verso la porta e, nonostante la sua riluttanza ad accogliere una donna che le aveva parlato con tanta durezza, tirò il paletto e guardò fuori.

Ma non vide nessuno. In terra, accanto allo stuoino, c'erano il falcetto di Clym e il fascio di rami di rovo che aveva portato a casa; di fronte a lei il sentiero vuoto, il cancello del giardino leggermente socchiuso; e, fuori del cancello, la grande valle piena d'erica violacea, che fremeva nel silenzio solare. La signora Yeobright non c'era più.

La madre di Clym stava intanto percorrendo un sentiero nascosto allo sguardo di Eustacia dal ciglio della collina. S'era avviata con passo svelto e deciso, come se fosse ora non meno ansiosa d'allontanarsi da quel luogo di quel ch'era stata prima desiderosa d'arrivarci. Teneva gli occhi fissi al suolo; e non poteva liberarsi da due immagini: il falcetto di Clym e i rami di rovo presso la porta, e un volto di donna dietro la finestra. Le sue labbra tremavano, diventando inverosimilmente sottili, mentre mormorava: «Questo è troppo... Clym, come hai potuto fare una cosa simile? Era in casa; e le ha permesso di chiudermi la porta in faccia!»

Ansiosa d'arrivare a un punto in cui dalla casa non potessero più vederla, era uscita dalla strada percorsa all'andata; e, mentre si guardava attorno per ritrovarla, vide un ragazzetto che raccoglieva le more in una valletta vicina. Era il piccolo Johnny Nunsuch, quello stesso che aveva alimentato il falò di Eustacia; con la tendenza naturale nei piccoli di gravitare intorno ai grandi, si mise a seguire la signora Yeobright, non appena la vide, e finì coll'accompagnarla trotterellandole accanto.

La signora Yeobright gli rivolse la parola come se fosse in una specie di stato ipnotico. «Siamo lontani da casa, bambino mio, e non ci arriveremo prima di sera.»

«Io arriverò prima,» disse il suo piccolo compagno. «Devo ancora giocare a birilli prima di cena, e noi ceniamo alle sei, quando il babbo viene a casa. Anche il suo babbo viene a casa alle sei?»

«No; non viene mai; e non viene neanche mio figlio, nè nessun altro.»«Perché è così triste? Ha visto un fantasma?»«Ho visto qualcosa di peggio: la faccia d'una donna che mi guardava dai vetri d'una finestra.»«È una cosa brutta?»«Oh, sì; è brutto vedere una donna che guarda dalla finestra una povera vecchia sfinita, e non la fa entrare in

casa.»«Una volta sono andato allo stagno di Throope a prender girini, e mi sono visto riflesso nell'acqua. Che paura

ho avuto!»«...Oh, se soltanto avessero accolto le mie offerte d'amicizia! Ma ormai non c'è più nulla da fare: non han

neanche voluto ricevermi! Dev'essere stata lei a metterlo contro di me. Come può essere così bella e avere un cuore così cattivo? Non avrei fatto una cosa simile neanche a una bestia in una giornata infocata come questa!»

«Che cosa dice?»«Non ci andrò mai più... mai più! Neanche se mi mandano a chiamare!»«Ma come parla! Sembra matta!»«No, non sono matta,» diss'ella, rendendosi ora conto della presenza del ragazzo e rivolgendosi a lui. «Molte

persone che hanno figli parlano come me. Anche tua madre, quando tu sarai cresciuto, parlerà così.»«Spero di no. È brutto dir cose senza senso.»«Sì, bambino mio: son cose senza senso, probabilmente. Ma tu non sei sfinito dal caldo?»«Sì. Ma non come lei.»«E come fai a saperlo?»«Ha la faccia tutta bianca e bagnata e tiene la testa giù come se le pesasse.»«Eh sì; sono sfinita dentro.»«Ma perché cammina in questo modo?» chiese il bambino, imitando l'atteggiamento e il modo di camminare di

un infermo.«Perché il fardello che debbo portare è troppo pesante per me.»Il ragazzino tacque per un momento riflettendo; e seguitarono ad andare avanti insieme per un quarto d'ora,

finchè la signora Yeobright, la cui stanchezza cresceva a ogni passo, disse: «Mi fermo qui un momento a riposare.»Quando si fu seduta, il bambino la guardò ben bene in faccia, poi disse: «Ma perché fa tanta fatica a respirare?

Sembra un agnello, quando lo spingono per forza e non ne può più. Respira sempre così?»«Non sempre.» La sua voce era ora così bassa che sembrava quasi un sussurro.«Vuol dormire qui? Vedo che ha già chiuso gli occhi.»«No. Non dormirò più molto fino a... fino a un giorno in cui spero di dormire molto, molto... a lungo. Sai se sia

asciutto lo stagno di Rimsmoor?»«Lo stagno di Rimsmoor è asciutto, ma quello di Oker no, perché è profondo e non si secca mai... è poco

lontano di qui.»«L'acqua è limpida?»«Sì, abbastanza... quando non l'intorbidano i cavallini entrandoci dentro.»

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«Allora, prendi questo, e corri più in fretta che puoi ad attingere la più limpida che trovi. Mi sento venir male.»Dal cestino di vimini che portava in mano tirò fuori un'antica tazza di porcellana senza manico; una della

mezza dozzina di tazze che conservava sin da quando era bambina e che aveva portato con sè per farne dono a Clym e Eustacia.

Il bambino corse via e tornò subito con l'acqua. La signora Yeobright tentò di bere, ma era così calda che provò un senso di nausea e la buttò via. Poi rimase lì seduta, immobile, con gli occhi chiusi.

Il ragazzino attese, giocando vicino a lei, prese diverse farfalline scure, di cui c'era abbondanza nei pressi, poi disse: «Non ho più voglia di star fermo. Quando si rimetterà a camminare?»

«Non lo so.»«Allora io me ne vado,» disse il bambino, evidentemente temendo che gli si chiedesse di far qualcosa che non

aveva voglia di fare. «Ha ancora bisogno di me?»La signora Yeobright non rispose.«Che cosa debbo dire alla mamma?» continuò il ragazzino.«Dille che hai visto una povera donna col cuore spezzato perché suo figlio l'ha cacciata.»Prima d'andarsene, egli la guardò con aria pensosa come se gli spiacesse lasciarla in quel modo. L'espressione

del suo volto faceva pensare a quella di chi stia esaminando un curioso vecchio manoscritto di cui non si ha la chiave per comprendere i caratteri. Non era tanto piccolo da non capire che avrebbe dovuto far qualcosa per aiutarla, nè abbastanza grande per non provare il terrore naturale dei fanciulli quando vedono i segni della sofferenza in quegli adulti che hanno sino a quel momento creduto invulnerabili, non capiva s'ella era causa o vittima di un dramma e se la sua angoscia meritava pietà o doveva far paura. Abbassò gli occhi e se ne andò senza dir altro. Dopo aver percorso mezzo miglio, aveva dimenticato tutto di lei: era semplicemente una donna che s'era fermata a riposare.

La signora Yeobright era come distrutta dalla fatica fisica e dal dolore: continuò tuttavia a trascinarsi avanti a brevi tappe con lunghi intervalli tra l'una e l'altra. Il sole, che stava ora tramontando, le batteva direttamente in faccia, come uno spietato incendiario che, col tizzone in mano, aspettasse il momento buono per bruciarla. Dopo la scomparsa del ragazzino non si vide più anima viva nell'ampio paesaggio, anche se le note rauche e intermittenti dei maschi delle cavallette che uscivano da ogni ciuffo d'erica bastavano a dimostrare che, mentre gli animali più grandi dormivano, tutto un mondo invisibile d'insetti s'agitava nella pienezza della vita.

In due ore raggiunse un pendio a circa tre quarti della strada da Alderworth a casa sua, dove il sentiero era invaso da una fioritura di timo, e si sedette su quella specie di tappeto profumato. Dinanzi a lei una colonia di formiche stava attraversando il sentiero faticando senza interruzione a trasportare grevi carichi. A guardarle, si aveva l'impressione d'osservare una via dall'alto d'una torre. Ricordò che da anni si verificava in quel punto lo stesso movimento di formiche: quelle d'un tempo eran certo le antenate delle formiche che passavano ora. S'allungò un po' per riposare meglio e la chiara zona a oriente del cielo diede sollievo ai suoi occhi come il timo la dava al suo capo. Mentre guardava, un airone si levò alto nel cielo da quella parte e volò ad ali aperte verso il sole. Era arrivato gocciolando dopo essersi tuffato in qualche stagno nei valloncelli e, mentre volava, gli orli e il disotto delle sue ali, delle sue cosce e del suo petto erano circonfusi dalla luce solare che li rendeva simili ad argento brunito. L'alto cielo dove si librava l'uccello sembrava un luogo libero e felice, lontano da ogni contatto con la sfera terrestre a cui ella era invece inchiodata; desiderò di potersi levare intatta dalla sua superficie e volare in alto come lui.

Ma era naturale che, essendo una madre, smettesse ben presto di preoccuparsi di se stessa. Se il pensiero che sorse allora in lei avesse lasciato una traccia nell'aria, come il cammino d'una meteora, lo si sarebbe visto andare nella direzione contraria a quella seguita dall'airone, muovendo verso est per posarsi sul tetto della casa di Clym.

TRAGICO INCONTRO DI DUE ESSERI UN TEMPO MOLTO VICINI

Clym s'era intanto svegliato dal suo sonno e, tirandosi su a sedere, s'era guardato attorno. Eustacia, seduta su una sedia accanto a lui, teneva un libro in mano, anche se da un bel po' non aveva letto neanche una parola.

«Che dormita!» disse Clym, passandosi la mano sugli occhi. «Ho fatto un sogno terribile: un sogno che non dimenticherò mai.»

«Me ne sono accorta che sognavi,» diss'ella.«Sì. Ho sognato mia madre. T'avevo condotta a casa sua per far la pace, e quando siamo arrivati là non

abbiamo potuto entrare, anche se lei continuava a gridare invocando aiuto. Ma non bisogna dar retta ai sogni. Che ora è, Eustacia?»

«Le due e mezzo.»«Così tardi? Non volevo rimaner tanto a casa. Quando avrò mangiato qualcosa, saranno le tre passate.»«Ann non è ancora tornata dal villaggio, e pensavo di lasciarti dormire fino al suo ritorno.»Clym s'avvicinò lalla finestra e guardò fuori. A un tratto disse, pensoso: «Le settimane passano, una dopo

l'altra, e mia madre non viene. Pensavo che si sarebbe fatta viva qua molto prima».Preoccupazione, rimorso, paura, risoluzione, si succedettero rapidamente negli espressivi occhi scuri di

Eustacia. Si trovava in una situazione spaventosamente difficile e, non avendo il coraggio d'affrontarla, preferì rimandare.

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«Visto che lei non viene, andrò io a Blooms-End,» continuò Clym, «e sarà meglio che ci vada da solo.» Tirò su i gambali e i guanti, poi li buttò via di nuovo e aggiunse: «Dato che oggi pranzeremo tardi, non tornerò a lavorare nella brughiera, ma farò qualcosa in giardino fino a sera; poi, quando sia un po' meno caldo, andrò a Blooms-End. Sono sicurissimo che appena dimostrerò di voler far pace con lei, mia madre dimenticherà tutto. Probabilmente tornerò a casa un po' tardi, perché ci vuole almeno un'ora e mezzo per andare e altrettanto per tornare. Non ti dispiace rimaner sola per una sera, cara? A che cosa pensi con quell'aria così smarrita?»

«Non posso dirtelo,» rispose Eustacia con tono grave. «Ma perché dobbiamo vivere in questo paese, Clym? Tutto va a rovescio qui.»

«Molto dipende da noi. Mi chiedo se Thomasin sarà stata a Blooms-End ultimamente: lo spero proprio. Anche se ora si muove meno, dato che aspetta un bambino tra un mese o due. Vorrei averci pensato prima. La povera mamma deve sentirsi davvero molto sola.»

«Non voglio che tu ci vada stasera.»«E perché?»«Temo che ti dica qualcosa di terribile contro di me.»«Mia madre non è vendicativa,» disse Clym, arrossendo leggermente.«Ti prego di non andare stasera,» ripetè Eustacia a voce bassa. «Se mi dai retta ti prometto che andrò io

domani a casa sua e farò la pace con lei e aspetterò che tu venga a prendermi.»«Perché vuoi farlo proprio adesso, quando ogni volta che te l'ho proposto, hai sempre rifiutato?»«Non posso spiegarmi meglio: ma vorrei vederla da sola prima che tu vada,» rispose Eustacia con una mossa

impaziente del capo e guardandolo con un'espressione ansiosa quale si può notare spesso in persone di carattere più vivace.

«Trovo molto strano che proprio quando decido di andar io, tu voglia fare ciò che t'avevo chiesto da tanto tempo. Se aspetto che tu vada domani, si sarà persa un'altra giornata; e so che non potrò riposare questa notte senz'averla vista. Voglio risolvere questa situazione incresciosa, e lo farò. Tu andrai a trovarla dopo: sarà lo stesso.»

«Posso venir con te almeno?»«È una passeggiata lunga e, se venissi anche tu, finiremmo col far troppo tardi. No, questa sera no, Eustacia.»«E allora fa' come vuoi,» rispose la donna con la calma di chi, pur desiderando evitare con un sforzo minimo

conseguenze sgradevoli, preferisce però lasciar che le cose vadano a modo loro piuttosto che lottare per dirigerne il corso.

Clym uscì allora nel giardino; e per tutto il resto del pomeriggio Eustacia rimase immersa in un pensoso languore che suo marito attribuì al caldo della giornata.

Quando fu sera, Clym partì. Benchè si fosse ancora in piena estate le giornate s'eran fatte più brevi e, quand'ebbe percorso un miglio, tutte le sfumature di colore della brughiera, violacee, brune, verdi, già s'eran fuse in una veste uniforme, senza varianti nè gradazioni, ravvivata soltanto da macchie bianche là dove i mucchietti di sabbia di quarzo scoperta indicavano l'ingresso a una tana di conigli o dove le pietre bianche d'un sentiero tracciavano come una riga sulle pendici dei colli. In quasi tutti gli isolati e stenti cespugli di rovo che crescevano qua e là, un falco notturno rivelava la sua presenza emettendo un suono ronzante simile a quello prodotto dalla ruota d'un mulino finchè aveva fiato, per poi fermarsi, sbattere le ali, volare intorno al cespuglio, posarvisi e, dopo un intervallo di silenzio e di ascolto, ricominciare il suono di prima. Ogni volta che Clym sfiorava qualcosa coi piedi, nugoli di zanzare si levavano nell'aria, quanto bastava perché sulle loro ali polverose si posasse la calda luce del tramonto, che sfiorava ora gli orli delle depressioni e degli avvallamenti senza però illuminarli nell'interno.

Yeobright procedeva in mezzo a questo paesaggio tranquillo, sostenuto dalla speranza che tutto presto si sarebbe accomodato. Dopo aver percorso tre miglia, giunse a un punto in cui lo colpì un'ondata di dolce profumo; si fermò allora per un momento a respirar con piacere quell'odore familiare. Era il punto in cui, quattro ore prima, sua madre s'era seduta esausta sul monticello coperto di timo. A un tratto gli parve di sentire un suono tra il respiro e il gemito.

Si guardò attorno per capire donde venisse; ma non vide altro che il profilo della collina stagliato contro il cielo in una linea ininterrotta. Fatti pochi passi però in direzione del suono, vide quasi ai suoi piedi una figura sdraiata in terra.

Neanche per un momento, mentre si chiedeva chi potesse essere, gli venne in mente che fosse una persona di famiglia. Capitava, in quella stagione, che i tagliatori di ginestra dormissero a volte fuori per risparmiare il lungo viaggio di andata e ritorno fino a casa; ma, ricordando il gemito, Clym guardò più attentamente e vide che si trattava d'una donna; e un senso d'angoscia lo colpì allora come un soffio d'aria gelida proveniente da una caverna sotterranea. Ma non fu veramente certo che quella donna fosse sua madre finchè, chinandosi, non ne vide il volto, pallido e con gli occhi chiusi.

Si sentì come mancare il fiato, e il grido d'angoscia che stava per sfuggirgli gli si congelò sulle labbra. Nell'attimo che passò prima che si rendesse conto che doveva far qualcosa, perdette completamente il senso del tempo e dello spazio; gli parve d'esser tornato indietro di tanti, tanti anni, quand'era ancora un fanciulletto, e veniva con sua madre in quel tratto della brughiera in ore simili a questa. Poi si riscosse; chinandosi ancora di più sentì che respirava ancora e che il respiro, benchè debole, era regolare, anche se turbato di quando in quando da una specie di rantolo.

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«Mamma! Che cos'hai? Stai male?... Non vorrai mica morire?» gridò premendo le labbra sul suo volto. «Sono io, il tuo Clym. Come mai sei qui? Che cosa ti è successo?»

Yeobright aveva completamente dimenticato la rottura prodotta nella loro vita dal suo amore per Eustacia; il presente si univa senza interruzioni a quel passato pieno di tenerezza in cui erano vissuti uniti, prima di dividersi. La madre mosse le labbra, parve che lo riconoscesse, ma non potè parlare; e allora Clym si chiese come fare a portarla via di lì, prima che cadesse la rugiada. Era piuttosto robusto e sua madre leggera. La prese tra le braccia, la sollevò un poco e disse: «Così ti fa male?»

Ella fece di no col capo, ed egli la sollevò; poi, lentamente, procedette col suo carico. L'aria s'era fatta fresca ormai; ma ogni volta che attraversava un pezzo di terreno sabbioso non coperto di vegetazione, dalla superficie del suolo si riverberava nel suo volto il calore di cui s'era impregnato durante il giorno. In principio non aveva pensato alla distanza che doveva superare per giungere a Blooms-End, ma, benchè si fosse riposato nel pomeriggio, incominciò ben presto a sentirsi sfinito. Continuò tuttavia ad andare avanti, come Enea col padre sulle spalle; i pipistrelli gli svolazzavano intorno al capo, le nottole gli sbattevano quasi le ali sul volto; non si vedeva un solo essere umano.

Era ancora a circa un miglio dalla casa, quando sua madre diede segni d'insofferenza, come se le braccia del figlio, portandola, le dessero fastidio. Sedendosi, egli l'adagiò allora sulle ginocchia e si guardò attorno. Il punto a cui erano arrivati, benchè lontano da ogni strada, non distava più d'un miglio dalle casette occupate da Fairway, Sam, Humphrey e i Cantle. Inoltre, a una cinquantina di metri di distanza, sorgeva una capanna, fatta di grosse zolle di terra e coperta da un sottile tetto di paglia, ora completamente abbandonata. Scorgendone la sagoma isolata, vi si diresse; e, appena giunto, adagiò con cura la donna sofferente presso l'ingresso, poi corse subito a tagliare col coltello che portava in tasca una bracciata delle felci più asciutte che potè trovare. Dopo averle allargate nella capanna, completamente aperta da un lato, vi depose la madre: corse poi con la massima velocità possibile verso la casa di Fairway.

Era passato un quarto d'ora, turbato soltanto dal respiro affannoso della donna, quando una serie di figure in moto animò la linea che divideva la brughiera dal cielo; e dopo pochi minuti ecco arrivare Clym accompagnato da Humphrey e Susan Nunsuch, Olly Dowden, che per caso si trovava in casa di Fairway, Christian e il nonno Cantle seguivano a breve distanza. Avevano portato una lanterna e dei fiammiferi, dell'acqua, un guanciale e quelle poche cose a cui avevan pensato nella fretta del momento. Sam fu subito rimandato indietro a prendere un po' d'acquavite, e un ragazzo arrivò col cavallino di Fairway che, inforcatolo, partì per andar a chiamare il medico più vicino: passando, si sarebbe fermato a casa di Wildeve per avvertire Thomasin che sua zia non stava bene.

Sam arrivò con l'acquavite e, alla luce della lanterna, ne fecero bere un po' alla poveretta che riprese coscienza quanto bastava per indicare a gesti che aveva qualcosa a un piede. Olly Dowden finalmente comprese quel che voleva dire e si mise a esaminare il piede indicato. Era gonfio e rosso. Mentre lo guardavano, il rosso si venne cambiando in violaceo: apparve al centro una macchia scarlatta, più piccola d'un pisello, e si vide che si trattava d'una goccia di sangue coagulatosi sulla pelle liscia della caviglia.

«Ho capito!» gridò Sam. «È stata morsicata da una vipera!»«Sì,» disse subito Clym. «Ricordo d'aver visto un segno del genere quand'ero bambino. Povera mamma!»«Fu mio padre a essere morsicato,» disse Sam. «C'è soltanto un rimedio in questi casi: strofinare il punto

morsicato col grasso di altre vipere; e questo grasso si può ottenere solo facendole friggere. Così lo curarono, ricordo.»«È un vecchio rimedio tradizionale,» disse Clym con diffidenza, «e dubito che serva a qualcosa. Ma, finchè

non arriva il medico, non so che altro potremmo fare.»«È un rimedio sicuro,» disse Olly Dowden, con enfasi. «Me ne sono sempre servita quando andavo attorno a

curar la gente.»«Allora dobbiamo pregare perché si faccia presto giorno, e si possan prendere le vipere,» disse Clym con tono

angosciato.«Vediamo che cosa si può fare,» disse Sam.Prese un ramo di nocciuolo che aveva usato come bastone da passeggio, lo spaccò in fondo, v'inserì un

sassolino, poi con la lanterna in mano, s'avviò nella brughiera. Clym aveva intanto acceso un fuocherello e spedito Susan Nunsuch a prendere una padella. Prima ch'ella tornasse arrivò Sam con tre vipere, una che ancora si arrotolava e srotolava nella fenditura del bastone, e altre due che ne pendevano, morte.

«Ho potuto soltanto prenderne una viva e fresca come occorre,» disse Sam. «Queste altre due le ho uccise oggi mentre lavoravo; ma siccome non muoiono finchè il sole non tramonta, la loro carne non dev'essere ancora troppo passata.»

La vipera guardava il gruppo di persone con un'espressione sinistra nel piccolo occhio nero e il bel disegno bruno e nero sul suo dorso sembrava vibrare di sdegno. La signora Yeobright, incontrando per caso lo sguardo del rettile, fu scossa da un lungo brivido e girò la testa.

«Guardate!» mormorò Christian Cantle. «Non credete, vicini, che qualcosa di quel vecchio serpente che, nel paradiso terrestre, diede la mela alla donna senza vestiti, viva ancora nelle vipere e nelle bisce? Guardate il suo occhio: non sembra forse una bacca nera piena di veleno? Speriamo che non porti male a noi tutti! È capitato a diversi qui d'essere stregati. Non ucciderò mai più una vipera.»

«Bene, è giusto aver paura delle cose, quando non se ne può fare a meno,» disse nonno Cantle. «Se avessi avuto un po' di paura quand'ero giovane, non mi sarei esposto a tanti pericoli.»

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«Mi sembra d'aver sentito qualcosa fuori della capanna,» disse Christian. «Chissà perché le disgrazie non capitano di giorno. Allora sì che uno potrebbe mostrare il proprio coraggio; e chi fosse bravo a scappare non dovrebbe chiedere misericordia alla prima vecchia strega che incontra.»

«Anche un ignorante come me saprebbe far qualcosa di meglio,» disse Sam.«Le disgrazie capitano quando meno ce le aspettiamo, si voglia o no. Se la signora Yeobright morisse, vicini,

credete che potrebbero accusarci di omicidio?»«No, non credo che potrebbero farlo,» disse Sam, «se noi risultassimo incensurati. Ma speriamo che se la

cavi.»«Se m'avessero morsicato anche dieci vipere, non per questo avrei smesso di lavorare un giorno,» disse nonno

Cantle. «Non sapete quanto coraggio ho quando mi metto sul serio. Ma questo è naturale in chi è stato soldato. Se sapeste quante cose ho dovuto sopportare! Ma tutto è sempre andato bene dopo che nel '4 sono entrato nella Territoriale.» Scosse il capo e sorrise all'immagine di se stesso in uniforme. «Quand'ero giovane ero sempre in prima fila in tutte le imprese più ardite!»

«Forse perché una volta mettevano in prima fila i più sciocchi,» disse Fairway mentre, inginocchiato accanto al fuoco, soffiava per alimentarlo.

«Dici sul serio, Timothy?» chiese nonno Cantle, avvicinandosi a Fairway con aria mortificata. «Possibile che uno si creda per anni chissà che e poi scopra che dopo tutto si sbaglia?»

«Via, perché pensare cose simili, nonno? Muovetevi, piuttosto, e andate a prendere un po' di legna. Come si fa a dire tante sciocchezze quando una creatura umana sta lottando tra la vita e la morte?»

«Sì, sì,» disse nonno Cantle con malinconica convinzione. «Questa è una brutta notte persino per quelli che non han nulla da rimproverarsi. E se anche sapessi suonare l'oboe e la viola, in questo momento non avrei voglia di mettermi a far musica.» Susan arrivò con la padella: la vipera viva fu uccisa e le teste dei tre rettili furon tagliate e buttate via. I resti, aperti in lunghezza vennero buttati nella padella che incominciò a sibilare e sfrigolare sul fuoco. Ben presto si vide un rivoletto d'olio limpido scorrere dai resti: Clym immerse nel liquido la cocca del fazzoletto e unse con questo la ferita.

UNA GROSSA FORTUNA E UNA SCIAGURA TREMENDA

Eustacia intanto, rimasta sola nella casetta di Alderworth, si sentiva molto depressa dalla piega che avevan preso le cose. Se Clym veniva a sapere che non aveva aperto la porta a sua madre, le conseguenze potevano essere per lei molto sgradevoli; ed ella esecrava le cose sgradevoli quasi quanto le terribili.

Le spiaceva sempre dover trascorrere la serata da sola; e più che mai questa sera, quando si sentiva sconvolta per quanto era avvenuto. Le due visite l'avevano riempita d'inquietudine. Il pensiero delle critiche che inevitabilmente le sarebbero state rivolte nel corso del colloquio tra Clym e sua madre le davano un senso di disagio e più ancora di dispetto: tanto che, nonostante il suo solito passivo fatalismo, arrivò quasi a desiderare d'aver aperto la porta. Aveva creduto che Clym si fosse svegliato, certo; e fin qui poteva onestamente giustificarsi; ma perché - le avrebbero chiesto - non aveva aperto subito, appena aveva udito bussare? Invece di riconoscersi degna di biasimo per quanto aveva fatto, preferiva però gettare la colpa di tutto quanto sulle spalle di quell'imprecisato, gigantesco Signore del Mondo, che l'aveva messa in quella situazione e che dominava il suo destino.

In questa stagione dell'anno era più piacevole passeggiare di notte che di giorno e, dopo la partenza di Clym, ella decise di muoversi in direzione di Blooms-End, sperando d'incontrarlo al ritorno. Giunta al cancello sentì un rumore di ruote e, voltandosi a guardare, vide arrivare il nonno nel suo calesse.

«Non posso fermarmi, grazie,» diss'egli rispondendo al suo saluto. «Sono diretto a East Egdon; ma ho fatto una puntata fin qui per darti la notizia. Hai già saputo della fortuna toccata a Wildeve?»

«No,» disse Eustacia senza capire.«Ha ereditato un patrimonio di undicimila sterline. Suo zio è morto nel Canada subito dopo aver saputo che

tutta la sua famiglia è perita, tornando in patria, nel naufragio della Cassiopea; e così l'erede è Wildeve, che non se l'aspettava assolutamente.»

Eustacia rimase immobile per un momento. «Quando l'ha saputo?» chiese.«Oh, deve averlo saputo nelle prime ore di questa mattina, perché a me l'hanno detto alle dieci, quando Charley

è tornato a casa. Che uomo fortunato! Sei proprio stata una sciocca, Eustacia!»«E perché?» diss'ella alzando gli occhi con calma apparente.«Perché non hai saputo tenertelo quando l'avevi.»«Come lo avevo?»«Da poco soltanto ho saputo quel che c'è stato tra voi; e certo prima mi sarei opposto in ogni modo. Ma se c'è

stato un momento in cui ve la intendevate, perché diavolo non sei rimasta con lui?»Eustacia non rispose ma dall'espressione del suo volto si capiva che, volendo, avrebbe avuto molte cose da dire

sull'argomento.«E come sta il tuo povero marito mezzo cieco?» continuò il vecchio. «Non che sia un cattivo tipo, dopo tutto.»«Sta benissimo.»

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«Va bene per quella sua cugina... come si chiama? E pensare che tu avresti potuto essere al suo posto, ragazza! Ora devo andare. Hai bisogno d'aiuto? Lo sai che quel ch'è mio è anche tuo.»

«Grazie, nonno, per il momento non abbiamo bisogno di nulla,» diss'ella con freddezza. «Clym lavora a tagliar ginestra, ma soprattutto per divertimento, dato che non può far altro.»

«E questo divertimento glielo pagano, non è vero? Tre scellini ogni cento fascine, a quanto ho sentito dire.»«Clym non ha bisogno di denaro,» diss'ella, arrossendo; «ma gli piace guadagnare qualche cosetta.»«Benissimo; buona notte.» E il capitano se n'andò col suo calesse.Appena il nonno fu scomparso, Eustacia s'avviò meccanicamente verso Blooms-End; ma ora non pensava più

alla suocera e a Clym. Wildeve, che tanto si lagnava del proprio destino, era stato invece prescelto e favorito e rimesso all'onor del mondo. Undicimila sterline! Dal punto di vista di Egdon era un uomo ricco. E anche agli occhi di Eustacia la grossa somma appariva sufficiente a soddisfare quelle esigenze che Clym, nei momenti di maggiore austerità, aveva stigmatizzato coi nomi di vanità e di lusso. Benchè non amasse il denaro per se stesso, ella amava però quel che il denaro poteva procurarle: e il nuovo ambiente che la sua immaginazione creava intorno a Wildeve, ne rendeva la figura straordinariamente interessante. Ricordava ora la sobria eleganza che aveva notato in lui al mattino: era probabilmente il suo vestito migliore; e l'aveva messo per venire da lei, incurante di sciuparlo tra i cespugli di rovo. E pensò anche al contegno che aveva avuto nei suoi riguardi.

«Adesso capisco,» disse tra sè, «perché rimpiange tanto di non avermi sposata: ora potrebbe darmi tutto ciò che desidero!»

Richiamando alla memoria ogni particolare del loro colloquio, i suoi sguardi e le sue parole - a cui aveva prima rivolto ben poca attenzione - le parve che vi si rivelasse la coscienza di quanto era avvenuto. «Se fosse un uomo capace di portar rancore, m'avrebbe annunciato la sua fortuna con tono di beffa; non ne ha neppur parlato invece per non umiliarmi nella mia disgrazia, limitandosi a farmi capire che mi ama ancora e che mi considera sempre superiore a lui.»

Non parlandole della fortuna avuta, Wildeve s'era comportato quel giorno nel modo più adatto per impressionare favorevolmente una donna come Eustacia. Delicatezza e buon gusto erano in realtà gli aspetti positivi della sua condotta con l'altro sesso. Aveva l'arte di sapere, a un certo momento, andare in collera, strapazzare e comportarsi con risentimento verso una donna e trattarla poi, un momento dopo, con tanto garbo squisito da togliere alla precedente negligenza ogni aspetto di scortesia, all'ingiuria ogni carattere d'insulto, da far apparire l'intrusione come un delicato riguardo, e la rovina del di lei onore come un eccesso di cavalleria. Quest'uomo, di cui oggi Eustacia non aveva voluto accettare l'ammirazione, di cui aveva a mala pena accolto e ricambiato il saluto, che aveva fatto uscire dalla porta di servizio, possedeva ora undicimila sterline: ed era un uomo istruito, con una professione, assistente un tempo d'un ingegnere civile.

Tanto era presa dal pensiero della fortuna di Wildeve che quasi dimenticava d'esser legata al destino di Clym; e, invece di continuare a camminare per incontrarlo, si sedette su una pietra. La turbò nelle sue fantasticherie il suono d'una voce dietro di lei; e, voltando la testa, si vide accanto l'antico innamorato e fortunato erede d'una grossa fortuna.

Rimase seduta, anche se l'espressione del suo sguardo avrebbe potuto rivelare, a uno che la conosceva bene come Wildeve, che stava appunto pensando a lui.

«Come mai sei qui?» disse con voce chiara e bassa. «Ti credevo a casa.»«Sono andato al villaggio dopo averti lasciata; e ora sono tornato: ecco tutto. Posso chiederti dove vai?»Eustacia accennò colla mano in direzione di Blooms-End «Vado incontro a mio marito. Temo d'aver creato un

grosso guaio mentre tu eri in casa mia oggi.»«E come?»«Non ho fatto entrare in casa la signora Yeobright.»«Spero che la colpa non sia stata mia.»«No, non è stata colpa tua,» diss'ella con calma.S'era intanto alzata; e, quasi senza volerlo, andarono avanti insieme, in silenzio, per due o tre minuti. Poi

Eustacia disse: «Dimenticavo di congratularmi con te.»«Per che cosa? Ah, sì: alludi alle undicimila sterline. Be', dal momento che non ho avuto qualcos'altro, devo

accontentarmi di questo.»«Mi sembra che la tua fortuna ti lasci indifferente. Perché non me n'hai parlato oggi quando sei venuto?»

chiese ella col tono di chi si senta trascurato. «L'ho saputo per puro caso.»«Intendevo dirtelo,» disse Wildeve. «Ma poi - voglio essere sincero - non l'ho fatto vedendoti in condizioni

così poco brillanti. Mi sarebbe parso una mancanza di tatto parlarti della mia fortuna dinanzi a tuo marito che dormiva esausto per la fatica d'un duro lavoro. E tuttavia, vedendoti accanto a lui, non ho potuto fare a meno di pensare che, sotto certi aspetti, è ancora lui il più fortunato.»

Con una sfumatura di malizia, Eustacia disse allora: «Dici davvero? Scambieresti la tua fortuna con me?»«Certo,» rispose Wildeve.«Ma, visto che questo è impossibile e assurdo, perché non cambiamo argomento?»«Bene, ti parlerò allora dei miei progetti per l'avvenire, se t'interessano. Investirò in modo permanente

novemila sterline, ne terrò mille liquide per le varie spese, e con quello che rimane viaggerò per un anno e più.»«Viaggerai? Che magnifica idea! E dove andrai?»

Page 111: La Brughiera

«Prima a Parigi, dove resterò per tutto l'inverno e parte della primavera. Poi andrò in Italia, in Grecia, in Egitto e in Palestina, prima che diventi troppo caldo. In estate andrò in America; dopo, non ho ancora deciso come, ma credo che andrò in Australia passando per l'India. A questo punto probabilmente incomincerò a essere stanco di viaggiare: ritornerò quindi a Parigi dove resterò finchè i mezzi me lo permettono.»

«Tornerai a Parigi,» mormorò Eustacia con una voce che sembrava un sospiro. Non aveva mai parlato con Wildeve del vivo desiderio creato in lei dai discorsi di Clym su Parigi; eppure egli sarebbe stato ora in grado di realizzarlo. «Pensi che Parigi sia bella?» chiese.

«Sì. Credo che sia la città più bella del mondo.»«Anch'io lo credo! E Thomasin verrà con te?»«Sì, se vuole. Ma forse preferirà restarsene a casa.»«E così tu viaggerai, mentre io rimarrò qui.»«È molto probabile. Ma di chi è la colpa?»«Non del tutto tua, lo riconosco,» s'affrettò a dire la ragazza.«Meno male. E se mai tu volessi rinfacciarmelo, pensa a una certa sera in cui mi hai promesso di venire al

Rainbarrow e non sei venuta. M'hai mandato una lettera invece; e nel leggerla ho sofferto quanto ti auguro di non soffrire mai. È stato questo a farmi decidere di sposare un'altra... Ma Thomasin è un'ottima donna e non debbo rimpiangere ciò che ho fatto.»

«Sì, la colpa è stata mia quella volta,» disse Eustacia. «Ma non era stata mia sempre. Riconosco d'essere un po' troppo impulsiva nei miei sentimenti. Oh, Damon, non rimproverarmi più... è troppo per me.»

Proseguirono in silenzio per altre due o tre miglia, finchè a un tratto Eustacia disse: «Ma questa non è più la tua strada, Wildeve.»

«Posso andare dove voglio questa sera. T'accompagnerò sino alla collina da cui si vede Blooms-End: è tardi ormai perché tu vada attorno da sola.»

«Non preoccupartene. Vado a spasso perché mi piace. Preferirei anzi che tu non m'accompagnassi più oltre. Che cosa direbbero se si venisse a sapere?»

«Bene, allora ti lascio.» Improvvisamente le prese la mano e, senza ch'ella se l'aspettasse, la baciò: era la prima volta dopo il suo matrimonio. «Che cos'è quella luce sulla collina?» s'affrettò ad aggiungere, come per togliere importanza al suo gesto.

Guardando, ella vide una luce tremula che usciva dal lato aperto d'una capanna a poca distanza. La capanna ch'ella aveva sempre visto deserta, sembrava ora abitata.

«Dal momento che sei venuto fin qui,» disse Eustacia, «vuoi accompagnarmi fin oltre la capanna? Pensavo che press'a poco a questo punto avrei incontrato Clym; ma, visto che non c'è, sarà meglio che vada subito a Blooms-End per trovarlo prima che parta.»

Insieme mossero verso la capanna e, quando furono più vicini, il fuoco acceso e la luce della lanterna rivelarono loro abbastanza chiaramente la figura d'una donna sdraiata e un gruppo di contadini e contadine che la circondavano. Eustacia non riconobbe nella donna la signora Yeobright, nè Glym tra quelli che le stavano accanto, finchè non fu più vicina. Strinse allora con la mano il braccio di Wildeve e gli fece cenno di spostarsi dal lato aperto della capanna per rientrare nell'ombra.

«Ho visto mio marito e sua madre,» sussurrò con voce agitata. «Che cos'è successo? Vuoi andare a informarti, per piacere?»

Wildeve la lasciò e s'accostò alla parete posteriore della capanna. Subito chiamò Eustacia con un cenno, ed ella lo raggiunse.

«È capitata una disgrazia,» disse Wildeve.Si sentiva di lì quel che dicevano nell'interno.«Non capisco dove potesse esser diretta,» disse Clym a qualuno. «Deve aver fatto un bel po' di strada; ma

anche quando, un momento fa, poteva parlare, non ha voluto dirmi dove andava. Come la trova? Me lo dica francamente, dottore.»

«La sua vita è in pericolo,» disse una voce che Eustacia riconobbe per quella dell'unico medico della zona. «L'ha morsicata una vipera: ma è stata soprattutto la fatica a ridurla in questo stato. Ho l'impressione che abbia camminato molto.»

«Le raccomandavo sempre di non muoversi troppo quand'è così caldo,» disse Clym, angosciato. «Abbiamo fatto bene a ungerla con grasso di vipera?»

«È un rimedio antico, usato dai cacciatori di vipere, credo,» rispose il dottore, «e citato come un unguento infallibile da Hoffmann, Mead, e anche dall'Abate Fontana. Era indubbiamente il meglio che si potesse fare; anche se penso che qualsiasi altro olio avrebbe avuto la stessa efficacia.»

«Venite! Venite subito!» disse una voce femminile piena d'ansia; e si sentirono Clym e il dottore accorrere al punto della capanna in cui giaceva la signora Yeobright.

«E questa chi è?» sussurrò Eustacia.«Era la voce di Thomasin,» disse Wildeve. «Si vede che sono andati a prenderla. Mi chiedo se non dovrei

entrare... ma forse sarebbe peggio.»

Page 112: La Brughiera

Seguì un lungo, assoluto silenzio nell'interno della capanna; e fu Clym a interromperlo dicendo, con voce piena d'angoscia: «Oh, dottore, che cosa capita?»

Il dottore non rispose subito; alla fine disse: «Sta peggiorando rapidamente. Il suo cuore era già malato e lo sforzo fisico le ha dato il colpo finale.»

Si sentì allora un pianger di donne, poi un attimo di sospensione, seguito da esclamazioni soffocate, poi uno strano suono come di singhiozzi, infine un doloroso silenzio.

«È finito,» disse il dottore.Qualcuno al fondo della capanna sussurrò: «La signora Yeobright è morta.»Quasi nello stesso momento, i due che osservavano, nascosti nell'ombra, videro un bambino infagottato in

vecchi abiti da adulto entrare dal lato aperto nella capanna. Era il figlio di Susan Nunsuch che, vedendolo, mosse verso di lui facendogli silenziosamente cenno d'andarsene.

«Ho da dirti una cosa, mamma,» gridò il bambino con la sua vocetta acuta. «Quella donna che dorme ha fatto un pezzo di strada con me oggi; mi ha detto di dire che l'avevo vista, e che lei era una donna col cuore spezzato perché suo figlio l'aveva cacciata; e poi sono venuto a casa.»

Si sentirono i singhiozzi soffocati d'un uomo, e Eustacia disse in un ansito: «Quello è Clym... Debbo andare da lui... Ma come posso? No: andiamocene.»

Quando si furono allontanati dalla capanna, disse con voce rauca: «La colpa è mia. E non potrà venirmene che male. Ma non è entrata in casa vostra dopo ch'io me ne sono andato?» chiese Wildeve.

«No; questo è stato il guaio! Che cosa debbo fare adesso?»«È meglio che non mi vedano: andrò subito a casa. Addio, Damon! Non posso più star con te, ora.»Si separarono; e giunta in cima alla collina, Eustacia si volse a guardare indietro. Una malinconica processione,

illuminata dalla lanterna, muoveva dalla capanna verso Blooms-End. Wildeve non si vedeva più.

V • LA SCOPERTA

«PERCHÈ È DATA LA LUCE ALL'INFELICE?»

Una sera, circa tre settimane dopo i funerali della signora Yeobright, quando l'argenteo volto della luna entrava con un fascio di raggi nell'interno della casa di Clym ad Alderworth, una donna ne uscì. S'appoggiò al cancello, come se volesse prendere un po' d'aria. La pallida luce lunare che rende belli anche i visi deformi, dava al suo volto, già bello, una bellezza divina.

Era lì da poco quando un uomo, passando in strada, le rivolse timidamente la parola. «Come sta questa sera, signora?»

«Sta meglio, anche se soffre ancora molto, Humphrey,» rispose Eustacia.«È ancora in delirio?»«No. Adesso ragiona perfettamente.»«Continua a parlare di sua madre, poveretto?» continuò Humphrey.«Ne parla ancora, ma sembra un po' meno esaltato,» diss'ella a voce bassa.«È stato proprio un guaio, signora, che il piccolo Johnny gli abbia riferito le ultime parole di sua madre.

Chiunque sarebbe rimasto sconvolto nel sentire che aveva detto d'aver il cuore spezzato perché suo figlio l'aveva cacciata.»

Eustacia non rispose; la si sentì trattenere il fiato, come se volesse parlare ma non potesse; e Humphrey, rifiutando il suo invito a entrare, s'allontanò.

Eustacia rientrò in casa e salì nella camera da letto dove la luce della lampada era velata. Pallido, spettrale, perfettamente sveglio, Clym si rigirava nel letto, gli occhi pieni di luce bruciante come se il fuoco delle pupille ne consumasse, ardendola, la sostanza.

«Sei tu, Eustacia?» disse, quand'ella si sedette accanto a lui.«Sì, Clym. Sono andata sino al cancello. C'è un magnifico chiaro di luna e non si muove una foglia.»«Magnifico, eh? Ma che cos'è la luna per un uomo come me? Brilli, brilli pure... io vorrei chiuder gli occhi per

sempre e non veder più la luce del giorno!... Non so da che parte guardare, Eustacia: i pensieri mi trafiggono come spade. Il pittore che voglia diventare immortale ritraendo l'immagine perfetta dell'infelicità, venga a fare il mio ritratto!»

«Perché dici questo?»«Non posso trovar pace perché penso che son stato io a ucciderla.»«Non è vero, Clym.»«Sì, è vero, invece: perché vuoi scusarmi? Mi sono comportato in modo orribile: non ho fatto nulla per

riconciliarmi con lei, e lei non ha potuto perdonarmi. E ora è morta! Se soltanto mi fossi deciso prima a far pace, e fossimo ridiventati amici, e poi fosse morta, soffrirei un po' meno. Invece io non sono andato da lei, e lei non è venuta

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da me, e non sapeva con quanta gioia sarebbe stata accolta: ecco quel che m'affligge. Quella sera non era più in sè e non ha capito che stavo andando da lei. Ma perché non è venuta da me? Lo desideravo tanto! Ma doveva andare altrimenti.»

Eustacia si lasciò sfuggire uno di quei sospiri simili a brividi che la scuotevano come venti apportatori di mali. Non aveva ancora confessato.

Ma Yeobright era troppo profondamente assorto nei propri rimorsi per badare a lei. Da quand'era ammalato, non faceva che parlare in questo modo. Il suo dolore s'era trasformato in disperazione quando il ragazzino che aveva raccolto le ultime parole della signora Yeobright - parole pronunciate con troppa amarezza in un momento di scoraggiamento e di sdegno - gliele aveva riferite. L'angoscia l'aveva allora sopraffatto, facendogli desiderare la morte, come un contadino troppo esposto ai raggi d'un sole spietato desidera l'ombra. Pietosa immagine d'un uomo travolto dall'essenza stessa del dolore, continuava ad accusarsi per non essere andato prima da sua madre: ormai non poteva più rimediare al suo errore; e insisteva nel dire che doveva esser stato un demone malvagio a traviarlo, facendogli dimenticare il proprio dovere: non toccava forse a lui andare a cercarla, s'ella non lo cercava? Continuava a chiedere a Eustacia se non aveva ragione d'accusarsi; e quand'ella, straziata internamente da un segreto che non aveva il coraggio di rivelare, dichiarava di non saperlo, diceva: «Ma tu non conoscevi il carattere di mia madre. Era sempre pronta a perdonare, se appena glielo si chiedeva; ma mi giudicava un bambino ostinato e questo la rendeva inflessibile. No, non inflessibile: soltanto orgogliosa e riservata... Capisco perché ha resistito così a lungo a star lontana. Mi aspettava. Chissà quante volte avrà detto con accento di dolore: "Ecco il compenso a tutti i sacrifici che ho affrontato per lui!" Non sono andato da lei! Quando ho deciso di andarci era troppo tardi. Se ci penso mi sembra d'impazzire!»

A volte era soltanto preda del rimorso, non attenuato neppure da una lagrima di semplice dolore; e si dibatteva allora negli attacchi della febbre provocata più dall'angoscia morale che da un male fisico. «Se soltanto potessi convincermi che non è morta credendo ch'io nutrissi rancore contro di lei,» disse un giorno quand'era in questo stato d'animo, «sarebbe per me una speranza di paradiso. Ma non posso convincermene.»

«Ti abbandoni un po' troppo a questa disperazione che ti distrugge,» gli disse Eustacia. «Non sei il primo uomo che perde sua madre.»

«Non per questo la mia perdita è meno grave. E, più ancora della sua morte, m'affliggono le circostanze in cui è avvenuta. Ho peccato contro di lei, e non posso più aver pace.»

«Ma anche lei ha peccato contro di te.»«No: lei no. Sono stato io il solo colpevole; che tutta la colpa ricada sul mio capo!» «Credo che dovresti pensarci due volte prima di dire una cosa simile,» ribattè Eustacia. «Un uomo solo ha il

diritto d'imprecare contro se stesso quanto vuole; ma uno che ha moglie non deve dimenticare che, così facendo, condanna due persone alla pena che invoca.»

«Son troppo disperato per capire queste tue sottigliezze» disse l'infelice. «Giorno e notte sento in me una voce che grida: "Sei stato tu a ucciderla." Può darsi che in quest'odio contro me stesso io sia ingiusto verso di te, mia povera moglie, lo riconosco. Perdonami, Eustacia, perché quasi non so quel che mi faccio.»

Eustacia avrebbe fatto qualunque cosa per non veder suo marito in questo stato, terribile per lei come la scena del processo per Giuda Iscariota. Le parole di Clym evocavano per lei lo spettro d'una donna sfinita nell'atto di bussare a una porta ch'ella si rifiutava di aprire: e non voleva vederla. A Yeobright invece faceva bene parlare apertamente dei propri rimorsi, perché tacendo soffriva infinitamente di più; e a volte rimaneva immerso così a lungo in un atteggiamento di tormentosa tensione, consumandosi a furia di rimuginar gli stessi pensieri, che bisognava assolutamente costringerlo a parlare ad alta voce, e a sfogare così almeno in parte la propria pena.

Eustacia era rientrata da poco dopo esser uscita a guardare il chiaro di luna quando un passo leggero s'avvicinò alla casa, e la domestica che stava al piano di sotto annunciò l'arrivo di Thomasin.

«Ah, Thomasin! Grazie per essere venuta,» disse Clym vedendola entrare nella camera. «Sono ancora qui, vedi. E in uno stato così pietoso che mi vergogno di farmi vedere da chiunque, e quasi anche da te.»

«Non ti devi vergognare di me, caro Clym,» s'affrettò a dire Thomasin, con quella sua dolce voce ch'era per chi soffriva come un soffio d'aria fresca in una cella senz'aria. «Nulla in te potrà mai urtarmi o indurmi ad andarmene. Son già venuta a trovarti, ma forse tu non ricordi.»

«Sì che me ne ricordo. Non deliro, Thomasin, e non ho mai delirato. Non credere a chi te lo dice. Sono soltanto spaventosamente infelice per ciò che ho fatto; ed è il rimorso, unito alla debolezza, che mi fa sembrare pazzo. Ma la mia ragione non è affatto sconvolta. Credi che, se fossi veramente pazzo, ricorderei con tanta precisione tutti i particolari della morte di mia madre? No, non ho questa fortuna. Per due mesi e mezzo, gli ultimi della sua vita, Thomasin, la mia povera mamma è vissuta sola, desolata e piangente per causa mia; e io non sono andato a trovarla, benchè abitassi solo a sei miglia di distanza. Per due mesi e mezzo: per settantacinque giorni ha visto sorgere e tramontare il sole in uno stato di solitudine e d'abbandono quale non si sarebbe meritato nemmeno un cane! Povera gente che non aveva parentela alcuna con lei se ne sarebbe occupata e sarebbe andata a trovarla se soltanto avesse saputo quanto era sola e malata; e io, ch'ero tutto per lei, mi sono invece comportato come una bestia. Se esiste una giustizia divina, dovrebbe colpirmi in questo momento. Mi ha reso quasi cieco, ma non basta. Se Dio mi colpisse ancora più gravemente, crederei in Lui per sempre!»

«Zitto, zitto! Non dir cose simili, Clym, ti prego!» implorò Thomasin, atterrita, tra le lagrime e i singhiozzi; mentre Eustacia, dall'altra parte della camera, si torceva sulla sedia, anche se il suo pallido volto rimaneva impassibile. Senza badare alla cugina, Clym continuò:

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«Ma io non sono neanche degno di ricevere la prova della condanna celeste. Tu credi, Thomasin, che m'abbia riconosciuto? Che non sia morta in quell'orribile equivoco, nella convinzione ch'io non l'avessi perdonata, anche se non so come avesse potuto farsi un'idea simile? Se soltanto tu potessi assicurarmelo! Tu che ne pensi, Eustacia? Rispondimi.»

«Credo di poterti assicurare che alla fine aveva capito,» disse Thomasin. Pallidissima, Eustacia non disse nulla.«Perché non è venuta da me? L'avrei accolta con gioia e le avrei dimostrato quanto l'amavo, malgrado tutto.

Ma non è venuta; e io non sono andato da lei, ed è morta nella brughiera come un animale respinto e cacciato, e nessuno ha potuto darle aiuto prima che fosse troppo tardi. Se tu l'avessi vista come l'ho vista io, Thomasin - una povera donna morente, al buio, sulla nuda terra, con nessuno accanto, convinta d'essere abbandonata da tutti, - ne saresti stata sconvolta: avrebbe sconvolto persino una bestia. E questa povera donna era mia madre! Come meravigliarsi se ha detto a quel bambino: "Hai visto una donna col cuore spezzato." In che stato doveva essere per dire una cosa simile! E di chi è la colpa se non mia? È terribile il solo pensarci, e vorrei essere punito più gravemente di quel che sono. Per quanto tempo sono rimasto, come dicono, fuori di me?»

«Per una settimana, credo.»«Poi sono diventato tranquillo.»«Sì, per quattro giorni.»«Ma ora non sono più tranquillo.»«Cerca di calmarti, ti prego; vedrai che ti sentirai subito meglio. Se soltanto tu potessi smettere di pensare a...»«Sì, sì,» diss'egli con impazienza. «Ma io non voglio sentirmi meglio. A che mi serve guarire? Sarebbe meglio

ch'io morissi, e sarebbe certamente meglio anche per Eustacia. Eustacia è qui?»«Sì.»«Non sarebbe meglio per te s'io morissi, Eustacia?»«Perché dici cose simili, Clym?»«Ma non è che una fantasia perché purtroppo continuerò a vivere. Già mi sento meglio. Per quanto tempo

ancora resterai alla locanda, Thomasin, ora che tuo marito ha ereditato tanto denaro?»«Probabilmente un mese o due finchè io sarò in queste condizioni. Non possiamo andarcene prima d'allora. Ci

vorrà ancora più d'un mese, credo.»«Già. Si capisce. Ma tu, cugina, supererai presto la tua prova: tra un mese tutto sarà passato e avrai una grande

consolazione; io non supererò mai il mio affanno invece, e non avrò consolazione alcuna!»«Sei ingiusto con te stesso, Clym. Posso assicurarti che la zia ti ha sempre voluto bene. E so che, se fosse

vissuta, avreste finito col far pace.»«Ma perché non ha voluto venire da me, anche se gliel'ho chiesto, prima di sposarmi? Se fosse venuta, o se io

fossi andato da lei, non sarebbe morta dicendo: "Sono una donna col cuore spezzato, cacciata da suo figlio." La mia porta le è sempre stata aperta: e se fosse venuta sarebbe stata bene accolta. Ma non è venuta.»

«Non dovresti parlare tanto, Clym,» disse Eustacia debolmente dall'altro lato della camera: la scena le stava diventando insopportabile.

«Lascia che parli io invece nel poco tempo in cui posso rimanere qui,» disse Thomasin, per tranquillizzarlo. «Mi sembra che tu veda le cose da un punto di vista soltanto, Clym. Quando ha detto quelle parole al ragazzino non l'avevi ancora trovata, non l'avevi presa tra le braccia; e forse le aveva dette in un momento di amarezza particolare. Era nel carattere della zia parlare così d'impulso. A volte lo faceva anche con me. Non è venuta, ma sono convinta che pensava di venire a trovarti. Credi forse che una madre possa vivere due o tre mesi senza un pensiero di perdono? Ha perdonato me: perché non avrebbe dovuto perdonare te?»

«Tu hai fatto del tuo meglio per riconciliarti con lei; io non ho fatto nulla invece. Io, che volevo insegnare agli uomini i più alti segreti per raggiungere la felicità, non ho saputo salvarmi da quella infelicità che anche i più semplici e incolti sanno

evitare.»«Come sei venuta, Thomasin?» disse Eustacia.«Damon mi ha portata sino in fondo al sentiero. È andato a East Egdon a sbrigare certi affari e tra poco passerà

a prendermi.»Dopo un momento udirono infatti un rumore di ruote. Era arrivato Wildeve che si fermò ad attendere fuori col

cavallo e il calesse.«Manda qualcuno a dirgli che scendo tra due minuti,» disse Thomasin.«Vado io,» disse Eustacia.Andò fuori. Wildeve era sceso dal calesse e stava davanti al cavallo quando Eustacia aprì la porta. Per un

momento non si volse, credendo che fosse Thomasin. Poi si voltò, ebbe un lieve sussulto e disse una sola parola: «E allora?»

«Non gliel'ho ancora detto,» rispose ella in un sussurro.«Allora non farlo finchè non sia guarito. Potrebbe essergli fatale. Anche tu del resto non stai bene.»«Sono una sciagurata... Oh, Damon,» disse, scoppiando in lagrime, «non... non so dirti quanto sono infelice!

Non posso più vivere in questo modo. Non posso parlare con nessuno di quello che mi tormenta... nessuno sa nulla all'infuori di te.»

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«Poveretta!» disse Wildeve, visibilmente commosso dalla sua pena, lasciandosi indurre a prenderle la mano. «È duro che tu ti trovi invischiata in un guaio simile, quando dopo tutto non hai fatto nulla per meritarlo. Non sei fatta per queste cose, Eustacia. Ma la colpa maggiore è mia se soltanto avessi potuto salvarti da tutto questo!»

«Dimmi che cosa debbo fare, Damon, ti prego. Stargli accanto, un'ora dopo l'altra, e sentire che s'accusa d'esser stato causa della morte di sua madre, e sapere che se c'è un colpevole, sono io, mi rende disperata e impotente. Non so assolutamente che cosa fare. Debbo dirglielo o no? Ecco la domanda che mi pongo continuamente. Vorrei dirglielo; ma ho paura. Se viene a saperlo, certamente mi ucciderà, perché nient'altro sarebbe proporzionato al suo dolore di oggi. "Guardati dalla collera dell'uomo paziente" è un detto che continua a suonarmi all'orecchio mentre lo guardo.»

«Allora aspetta che sia guarito, e affidati al caso. E anche quando glielo dirai, non dirgli tutto... penso che sarà meglio per lui.»

«Che cosa non dovrei dirgli?»Wildeve tacque per un momento. «Che in quel momento c'ero io in casa,» disse a bassa voce.«Si, è meglio che non lo sappia, visto quel che s'è detto di noi. È molto più facile commettere imprudenze che

giustificarle!»«Se dovesse morire...» mormorò Wildeve.«Non voglio pensarci. Neanche se lo odiassi, sarei così vile da desiderare una cosa simile per togliermi dai

guai. Ora torno da lui. Thomasin m'ha detto d'avvertirti che scenderà tra qualche minuto. Addio.»Rientrò in casa, e un momento dopo comparve Thomasin. Quand'ella si fu seduta nel calesse accanto al marito,

e il cavallo si mosse per andarsene, Wildeve alzò gli occhi verso le finestre della camera da letto. Dietro una di esse un pallido, tragico volto lo guardava allontanarsi: il volto di Eustacia.

UNA TRAGICA LUCE ILLUMINA UNA MENTE SCONVOLTA

Col passar del tempo, il dolore di Clym si attenuò, esaurendosi. Gli tornarono le forze e, un mese dopo la visita di Thomasin, lo si poteva vedere passeggiare nel giardino. Resistenza e disperazione, serenita e tristezza, i colori della salute e il pallore della morte si fondevano bizzarramente sul suo volto. Serbava ora un silenzio innaturale su tutto quel passato che si riferiva a sua madre; e, benchè sapesse che ci pensava ugualmente, Eustacia era anche troppo felice di non sentirlo più ritornare sull'argomento. Finchè la sua mente era sconvolta, aveva bisogno di parlare per dar sfogo ai propri sentimenti; ma ora che la ragione aveva ripreso il suo dominio, era diventato taciturno.

Una sera mentre se ne stava così in giardino, scavando distrattamente una radice con un pezzo di legno, una magra figura comparve all'angolo della casa e s'avvicinò.

«Oh, sei tu, Christian?» disse Clym. «Sono contento di vederti. Avrò presto bisogno di te: devi venire a Blooms-End ad aiutarmi a rimettere la casa in ordine. È ancora chiusa come l'ho lasciata?»

«Sì, signor Clym.»«Hai tirato fuori dalla terra le patate e gli altri tuberi?»«Sì, e senza che piovesse mai, grazie a Dio. Ma non sono venuto per dirle questo: sono venuto a darle una

notizia che è proprio l'opposto di quel ch'è accaduto ultimamente nella famiglia. Mi manda quel ricco signore che sta alla "Buona Donna" e che una volta chiamavamo oste, a dirle che la signora Wildeve è mamma d'una bella bambina, nata puntualmente all'una del pomeriggio, o qualche minuto prima o dopo; sembra che proprio per questo non abbiano lasciato subito l'osteria dopo l'eredità.

«Allora sta bene?»«Sì, signore. Il signor Wildeve è un po' deluso perché non è un maschio: così ho sentito dire in cucina, ma non

credevano ch'io sentissi.»«Ascoltami, Christian.»«Sì, signor Yeobright.»«Hai visto mia madre il giorno prima che morisse?»«No, non l'ho vista.»Yeobright parve deluso.«Ma l'ho vista proprio il mattino del giorno in cui è morta.»Il volto di Clym s'illuminò. «Ancora meglio,» disse.«Sì, ricordo che fu proprio in quel giorno; perché disse: "Vado da lui, Christian; non stare a portarmi la verdura

per pranzo."»«Da lui chi?»«Da lei, signor Clym; aveva deciso di venire a casa sua, capisce?»Yeobright guardò Christian con intensa sorpresa. «Perché non me l'hai mai detto?» chiese. «Sei proprio sicuro

che avesse deciso di venire a trovarmi?»«Certo. Non gliel'ho detto perché non ci siamo più visti in questi ultimi tempi. E siccome poi non c'è andata,

era inutile anche parlarne.»«E io che mi sono chiesto tante volte perché mai fosse nella brughiera in quella giornata così calda! E ti ha

detto perché veniva da me? Ci terrei molto a saperlo, Christian.»

Page 116: La Brughiera

«Sì, signor Clym. A me non l'ha detto, ma credo che l'abbia detto a diversi altri.»«Sai dirmi uno a cui ne abbia parlato?»«Uno c'è di sicuro, signore, ma spero che non vorrà fargli il mio nome, perché l'ho visto in posti molto strani,

specialmente quando sogno. Una notte dell'estate scorsa m'ha guardato con una faccia brutta come la guerra e la carestia, e son rimasto così male che per due giorni non son più riuscito neanche a pettinarmi. Se ne stava a metà del sentiero che porta a Mistover, signor Yeobright, ed ecco arrivare sua madre, tutta pallida...»

«Sì, ma quando?»«L'ho sognato l'estate scorsa.»«Ah! E chi è quell'uomo?»«Diggory, il venditore d'ocra. Venne a trovarla e rimase a chiacchierare con lei la sera prima che partisse per

venire a casa sua. Avevo appena finito il mio lavoro e non ero ancora andato a casa quando lo vidi entrare dal cancello.»«Debbo vedere Venn: perché non me l'hai detto prima?» chiese Clym con ansia. «Non capisco perché non sia

venuto a parlarmi.»«Il giorno dopo ha lasciato la brughiera di Egdon, e non poteva sapere che lei voleva vederlo.»«Christian,» disse Clym, «devi andare a cercare Venn. Ho altri impegni; altrimenti andrei io stesso a cercarlo.

Trovalo subito e digli che ho bisogno di parlargli.»«Sono bravissimo a trovar la gente di giorno,» disse Christian, guardando dubbioso il cielo che si veniva

oscurando, «ma di notte non valgo niente, signor Yeobright.»«Cercalo quando vuoi, purchè tu faccia presto. Portalo qui domani, se puoi.»Christian se ne andò. Il giorno dopo, Venn non si vide. Alla sera arrivò Christian, con l'aria stanchissima.

Aveva cercato tutto il giorno, ma non era riuscito a saper nulla di lui.«Continua a cercare domani senza trascurare nulla,» disse Yeobright. «E non tornare finchè non l'hai trovato.»Il giorno dopo Yeobright partì per la vecchia casa di Blooms-End che ormai gli apparteneva, come pure il

giardino. La sua malattia aveva finora impedito che si facessero i preparativi per il trasloco; ora doveva andare a vedere quel che conteneva, come amministratore della piccola proprietà di sua madre; e a questo scopo decise di trascorrervi la notte.

Partì per il suo viaggio, non con passo svelto o deciso, ma camminando lentamente come chi si sia appena svegliato da un sonno che l'ha lasciato intontito. Alle prime ore del pomeriggio raggiunse la valle. Il luogo e l'ora erano gli stessi di tante volte in cui, arrivando, aveva trovato sua madre ad attenderlo; e questo alimentava l'illusione di poterla vedere venirgli incontro anche ora. Il cancello era chiuso a chiave e le imposte serrate, come le aveva lasciate la sera dopo il funerale.

Aprì il cancello e vide che un ragno aveva già intessuto una larga tela che andava dalla porta all'architrave, come se non la si dovesse mai più riaprire. Quando fu entrato in casa ed ebbe spalancato le imposte, si accinse a esaminare il contenuto dei cassettoni e degli armadi, a bruciare le carte vecchie e a pensare al modo migliore di sistemare le stanze in modo che piacessero a Eustacia, in attesa di potere, - se mai avrebbe potuto, - realizzare l'antico progetto.

Mentre osservava le stanze, sempre più gli spiaceva pensare alle m-odifiche che, per accontentare i gusti di Eustacia, avrebbe dovuto apportare all'antico mobilio ereditato dai genitori e dai nonni. Il lungo e scuro pendolo di quercia, con l'immagine dell'Ascensione sul pannello e la Pesca miracolosa dei pesci alla base; la credenza d'angolo della nonna con lo sportello a vetri, attraverso cui si vedeva il vasellame di porcellana dipinta; la mensola; i vassoi di legno; la fontanina col rubinetto d'ottone appesa al muro... perché bandire questi venerabili oggetti?

Osservò che i fiori sulla finestra erano morti per mancanza d'acqua e li mise fuori, sul davanzale, perché li portassero via. Mentre stava facendo questo sentì un suono di passi sulla ghiaia del giardino e qualcuno bussò alla porta.

Yeobright aprì e vide Venn.«Buon giorno,» disse il venditore d'ocra. «È in casa la signora Yeobright?»Yeobright abbassò gli occhi. «Non hai visto Christian nè qualcun altro nel villaggio?» chiese.«No. Son stato via un pezzo e ritorno soltanto ora. Ero venuto qui il giorno prima di partire.»«E non hai saputo nulla?»«Nulla.»«Mia madre... è morta.»«Morta!» disse Venn con voce atona.«E vorrei essere morto anch'io.»Venn lo guardò per un momento, poi disse: «Se non vedessi la tua faccia, non potrei credere alle tue parole. Sei

stato ammalato?»«Sì, abbastanza.»«Chi poteva immaginare una cosa simile? Quando la lasciai un mese fa, si sarebbe detto che dovesse

incominciare per lei una nuova vita.»«E così fu infatti.»«Hai ragione, certo. Il dolore ti ha insegnato a vedere le cose nella loro giusta luce. Ma io parlavo della sua vita

qui. È morta troppo presto.»

Page 117: La Brughiera

«Forse perché io sono vissuto troppo a lungo. Ho avuto una terribile esperienza in questo mese, Diggory. Ma entra; desideravo molto vederti.»

Lo introdusse nella grande stanza in cui il Natale precedente s'era tenuta la festa; e insieme sedettero sulla panca dinanzi al camino. «Il focolare è spento, vedi,» disse Clym. «Quando quel ciocco mezzo bruciato e quelle ceneri erano accese, ella era viva! Nulla è ancora stato cambiato. Non riesco a combinare niente. Tiro avanti a fatica.»

«Ma com'è morta?» disse Venn.Yeobright gli raccontò brevemente com'erano andate le cose, poi continuò: «Dopo una disgrazia simile, più

niente mi sembrerà mai grave. Ti ho detto subito che dovevo chiederti una cosa, ma continuo a divagare come se fossi ubriaco. Voglio sapere che cosa ti ha detto mia madre l'ultima volta in cui l'hai vista. Se non sbaglio, avete parlato a lungo.»

«Più di mezz'ora.»«Di me?»«Sì. E fu probabilmente in seguito a quanto mi disse che partì per la brughiera. Aveva deciso di venire a

trovarti.»«Ma perché veniva a trovarmi se era tanto in collera con me? Non capisco.»«Io so che aveva perdonato.»«Ma, Diggory... perché una donna, che ha perdonato suo figlio, avrebbe dovuto dire, quando s'è sentita male

andando a casa sua, che aveva il cuore spezzato perché suo figlio l'aveva cacciata? Mi sembra impossibile!»«Io so soltanto che non era più in collera con te. Dava soltanto a se stessa la colpa di quanto era accaduto.

Gliel'ho sentito dire con le mie orecchie.»«A te ha detto che io non avevo colpa; e quasi contemporaneamente ha detto a un altro che le avevo spezzato il

cuore. Com'è possibile? Mia madre non era una donna volubile che cambiasse opinione da un momento all'altro senza ragione. Come può aver detto due cose tanto diverse una dopo l'altra, Venn?»

«Non saprei. Ma mi sembra strano, dato che aveva perdonato te e anche tua moglie, e voleva venir da voi a far la pace.»

«Ci voleva anche questo per rendere la situazione più incomprensibile che mai!... Oh Diggory, se noi, rimasti vivi, potessimo parlare con quelli che sono morti - solo una volta, per un minuto, anche attraverso un'inferriata di ferro, come si fa con quelli che sono in prigione - quante cose potremmo sapere. Quanti che ora camminano sorridendo, a testa alta, si nasconderebbero per la vergogna! E questo mistero... mi sarebbe chiarito subito. Ma la tomba s'è ormai richiusa su di lei; come potrò saperlo?»

Il suo compagno non rispose, perché in realtà non c'era nulla da rispondere; e quando, pochi minuti dopo, Venn se ne fu andato, Clym era passato dalla tetra monotonia del dolore all'agitazione d'una cocente incertezza.

Rimase in quello stato per tutto il pomeriggio. Una vicina venne a fargli il letto in una stanza, perché non dovesse andarsene e ritornare il giorno dopo; e, quando cercò di riposare in quella casa vuota, rimase sveglio, un'ora dopo l'altra, rimuginando sempre gli stessi pensieri. Trovare la soluzione di questo enigma di morte gli sembrava più importante che indagare sui massimi problemi della vita. Serbava nella memoria l'immagine della faccia d'un ragazzino entrato nella capanna in cui sua madre stava morendo. Il viso rotondo, gli occhi ansiosi, la vocetta stridula che aveva pronunciato quelle fatali parole s'erano incisi nel suo cervello, come scolpiti.

Forse, andando a trovare il ragazzino, ,avrebbe potuto sapere altri particolari; o forse non sarebbe servito a nulla. Interrogare un bambino, dopo sei mesi, non su fatti da lui vissuti e compresi, ma per arrivare a cose fuori della sua portata per la loro stessa natura, non sembrava promettere gran che; ma quando mancano le vie dirette e normali per venire a sapere una cosa, l'attenzione si volge incerta anche verso gli elementi più insignificanti. Del resto, non c'era altro da fare; dopo quest'ultimo tentativo avrebbe lasciato affondare l'enigma nell'abisso delle cose impossibili da scoprire.

Era quasi l'alba quando giunse a questa decisione, e subito si alzò. Chiuse a chiave la porta e s'avviò nella distesa verde che un po' più avanti si confondeva con la brughiera. Dinanzi alla staccionata bianca il sentiero si divideva in tre direzioni come una freccia a tre punte. La via a destra portava verso la «Buona Donna» quella di mezzo a Mistover Knap; quella a sinistra a un'altra parte di Mistover, oltre la collina, dove abitava il ragazzino. Avviandosi per quest'ultimo sentiero, Yeobright provò quel senso di freddo che molti ben conoscono, dovuto probabilmente all'aria fredda del mattino non ancora riscaldata dal sole. Ma nei giorni che seguirono pensò spesso a quel brivido, attribuendogli un significato particolare.

Quando Yeobright giunse alla capanna di Susan Nunsuch, la madre del ragazzino che cercava, vide che tutti dormivano ancora. Ma in questi villaggi dell'altipiano il passaggio dal letto a fuori è straordinariamente rapido e facile. Non esiste qui una solida divisione fatta di sbadigli e di pulizie a dividere l'umanità qual è di notte dall'umanità qual è di giorno. Yeobright battè alla finestra più alta, a cui poteva arrivare col bastone; e dopo pochi minuti vide scendere la donna.

Solo ora Clym ricordò ch'era stata proprio quella donna a comportarsi con Eustacia in modo così barbaro. E questo spiegava in parte la malagrazia con cui ora lo accolse. Il bambino era stato di nuovo ammalato; e Susan, come sempre dopo la notte in cui suo figlio aveva aiutato Eustacia a fare il falò, attribuiva i suoi mali all'influenza di quella che considerava una strega. Era uno di quei sentimenti che resistono, nascosti come talpe, sotto la superficie visibile

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della condotta; e forse aveva contribuito a tenerlo vivo il fatto che Eustacia aveva supplicato il capitano, deciso a denunciare Susan per averla bucata col ferro da calza in chiesa, a lasciar cadere la cosa: e il nonno le aveva dato retta.

Yeobright vinse tuttavia la ripugnanza perché se non altro Susan non era stata mai scortese con sua madre. Le chiese gentilmente notizie del ragazzo; ma la donna non parve rabbonita.

«Vorrei vederlo,» continuò Yeobright con qualche esitazione, «per chiedergli se ricorda qualcosa di quanto gli ha detto mia madre, oltre a quello che riferì quella sera.»

La donna lo guardò con una curiosa espressione critica che, per chi non fosse stato mezzo cieco, avrebbe voluto dire: «Perché vuoi sapere cose che ti renderanno più infelice ancora di quel che sei?»

Chiamò il ragazzo, invitò Clym a sedersi su uno sgabello, e disse: «Su, Johnny, di' al signor Yeobright tutto quello che riesci a ricordare.»

«Non hai dimenticato, vero, la passeggiata con la povera signora, quel giorno che faceva tanto caldo?» disse Clym.

«No,» disse il ragazzo.«E ricordi che cosa ti ha detto?»Il ragazzo ripetè esattamente le stesse parole che aveva pronunciato entrando nella capanna. Yeobright

appoggiò il gomito sul tavolo e si coprì il volto con la mano; la madre del ragazzino lo guardò con l'aria di chiedersi come potesse desiderare di soffrire ancora dopo aver già tanto sofferto.

«Andava ad Alderworth quando l'hai incontrata?»«No, non ci andava: veniva di là.»«Ma è impossibile.»«Sì; ha fatto un pezzo di strada con me. Anch'io venivo di là.»«Dove l'hai incontrata allora?»«A casa sua.»«Bada bene a non mentire: di' la verità!» disse Clym severamente.«Sì, signore; l'ho vista proprio davanti a casa sua.»Clym trasalì e Susan ebbe un sorriso cattivo che non abbellì certo il suo volto; sembrava volesse dire: «Adesso

ne sentiremo delle belle!»«E che cosa faceva davanti a casa mia?»«Prima andò a sedersi sotto gli alberi sul "Soffietto del Diavolo".»«Buon Dio! Ma io questo non lo sapevo!»«Perché non l'hai mai detto prima?» chiese Susan.«Non volevo che tu sapessi ch'ero andato così lontano, mamma. Raccoglievo le more e sono arrivato fin là

senz'accorgermene.»«E poi che cos'ha fatto?» chiese Yeobright.«Ha visto entrare uno in casa.»«Ero io: uno vestito da boscaiolo con un fascio di rami in mano.»«No, non era lei. Era un signore. Lei era già entrato.»«E chi era?»«Non lo so.»«Dimmi che cosa è successo poi.»«La povera signora è andata a bussare alla porta e la signora giovane coi capelli neri ha guardato fuori da una

finestra.»La madre del ragazzino si volse a Clym dicendo: «Questo non se l'aspettava, vero?»Yeobright non le badò, come se fosse stato di pietra. «Continua,» disse con voce rauca al ragazzo.«Quando vide la signora giovane guardar fuori dalla finestra, La signora vecchia bussò un'altra volta; poi,

siccome nessuno veniva, prese il falcetto e lo guardò, lo rimise in terra, tornò a guardare il fascio di rami; allora si voltò e venne verso di me, e respirava forte, così. Facemmo un pezzo di strada insieme, io e lei, e parlammo un poco, ma non molto, perché non aveva neanche fiato per respirare.»

«Oh,» mormorò Clym, a bassa voce, chinando il capo. «Vai avanti,» disse.«Non se la sentiva di parlare, e neanche di camminare; e aveva una faccia così strana!«Com'era la sua faccia?»«Come la sua adesso.»Anche la donna guardò Yeobright e vide che aveva il volto pallido, bagnato di sudore freddo. «Ha capito chi è

quella donna ora?» chiese con tono insinuante. «Che cosa pensa di lei?»«Silenzio!» gridò Clym, furioso. Poi, volgendosi al ragazzo: «E tu l'hai lasciata sola a morire?»«No,» intervenne subito la donna, rabbiosa: «Non l'ha lasciata sola a morire! È stata lei a mandarlo via. Mente

chi dice che l'ha abbandonata.»«Non preoccupatevi,» rispose Clym, con voce tremante. «Quel che il bambino ha fatto è un'inezia a confronto

di ciò che ha visto. La porta rimase chiusa, hai detto? Rimase chiusa, mentre lei guardava dalla finestra? Buon Dio del cielo!... Ma è mai possibile?»

Il bambino impaurito abbassò gli occhi dinanzi a lui.

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«Se ha detto così è vero,» rispose per lui la madre. «Johnny è un ragazzo timorato di Dio e non racconta bugie.»

«"Cacciata via da mio figlio!" No, madre mia, non è vero! Non sei stata cacciata via da tuo figlio, ma da sua... Abbiano tutte le assassine la pena che si meritano!»

Così dicendo, Yeobright uscì dalla casetta. Le pupille dei suoi occhi, fisse nel vuoto, avevano una luce di gelo; la sua bocca aveva assunto l'espressione di quella resa in modo più o meno immaginario negli studi di Edipo. In quello stato d'animo si potevano fare le cose più strane: non però nelle circostanze in cui si trovava. Invece d'avere dinanzi a sè il pallido volto di Eustacia e un'ignota figura maschile, vedeva soltanto il volto impassibile della brughiera che, avendo sfidato i disastrosi attacchi dei secoli, rendeva insignificante, col suo volto antico e segnato dal tempo, anche la più tormentosa angoscia d'un uomo singolo.

COME EUSTACIA SI VESTÌ IN UN NERO MATTINO

La coscienza d'una immensa forza impassibile in tutto ciò che lo circondava s'impose a Yeobright pur nella sua corsa folle verso Alderworth. Già una volta aveva sentito il paesaggio inanimato sopraffare la sua passione viva; ma tendeva allora ad attenuare un sentimento assai più dolce di quello che ora lo dominava. Gli era accaduto un giorno, dopo essersi separato da Eustacia nell'umida pianura tranquilla al di là delle colline.

Ora, respingendo ogni altro pensiero, continuò ad andare avanti, e ben presto arrivò dinanzi alla propria casa. Le persiane della camera di Eustacia erano ancora abbassate: non aveva l'abitudine d'alzarsi presto. L'unica creatura viva visibile era un tordo solitario che, sulla soglia di casa, stava mangiandosi una lumaca per colazione, e il battere del suo becco suonava forte nel generale silenzio; avvicinandosi alla porta però Clym s'accorse ch'era aperta; la ragazza che veniva ad aiutare Eustacia nei lavori domestici stava trafficando nell'interno della casa. Yeobright entrò e salì direttamente nella camera di sua moglie.

Il rumore da lui fatto all'arrivo doveva averla svegliata perché, quando aprì la porta, la vide in piedi dinanzi allo specchio in camicia da notte, l'estremità dei lunghi capelli in una mano, mentre con l'altra ne veniva attorcigliando la massa intorno al capo, preparandosi a vestirsi. Non era nelle sue abitudini esser la prima a rompere il silenzio, e lasciò quindi che Clym attraversasse la stanza senza neanche voltare il capo. Quando le fu dietro, vide il suo volto nello specchio. Era livido, stravolto, terribile. Invece di volgersi subito a lui stupita e spaventata, come anche una moglie poco espansiva come Eustacia avrebbe fatto se non fosse stata oppressa dal suo segreto, rimase immobile, guardandolo nello specchio. E, a misura che lo guardava, il roseo colorito che il caldo e il sonno avevano dato alle sue guance e al suo collo scomparve, sostituito dallo stesso mortale pallore che ricopriva il volto di lui. Era abbastanza vicino per notarlo, e questo l'indusse a dirle, con voce rauca:

«Dunque sai di che si tratta; te lo leggo in faccia.»Ella lasciò andare i capelli portandosi la mano al petto e la massa delle lunghe trecce, non più sostenuta, le si

rovesciò dal sommo del capo sulle spalle e sulla camicia da notte bianca. Ma non rispose.«Parla,» disse Yeobright con tono imperioso.Ma ella continuava a impallidire sempre più, e anche le sue labbra erano adesso bianche come il resto della

faccia. Finalmente disse: «Sì, Clym, parlerò. Perché sei tornato così presto? Posso far qualcosa per te?»«Sì, puoi ascoltarmi. Ma mi sembra che tu non stia bene.»«Perché?»«Basta guardarti in faccia, mia cara. O è la pallida luce del mattino che ti toglie ogni colore dal volto. Ora

voglio rivelarti un segreto. Ah! Ah!»«Oh, smettila: è terribile!»«Che cosa?»«Questo tuo modo di ridere.»«È terribile infatti. Tu hai tenuto la mia felicità nel cavo della mano, Eustacia, e l'hai buttata via, con diabolica

malvagità!»Indietreggiando dal tavolo di toeletta, ella s'allontanò alcuni passi da lui e lo guardò bene in faccia. «Ah! Tu

credi di spaventarmi,» disse con una breve risata. «Ma ti sembra lecito? Sono qui alla tua mercè, indifesa e sola...»«Ma senti: è straordinario!»«Che cosa vuoi dire?»«Dato che abbiamo tutto il tempo che vogliamo, te lo dirò, anche se lo sai benissimo. Trovo straordinario che

tu sia sola quando io non ci sono. Dov'è ora, dimmelo, quel tale ch'era con te il pomeriggio del trentun agosto? Sotto il letto? Nascosto nel camino?»

Un lungo brivido fece tremare la stoffa leggera della camicia da notte di Eustacia. «Non ho molta memoria per le date,» disse, «ma non ricordo che qui ci sia mai stato nessuno all'infuori di te.»

«Il giorno di cui parlo,» disse Yeobright, con voce che si faceva sempre più sonora e più dura, «fu quello in cui chiudesti la porta in faccia a mia madre, uccidendola. È troppo... troppo terribile!» S'appoggiò al fondo del letto per alcuni minuti, voltandole la schiena; poi, scuotendosi: «Dimmelo! Dimmelo subito! Hai capito?» gridò, precipitandosi su di lei e afferrandola per l'ampia manica.

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La violenza del suo tono penetrò oltre lo strato d'apparente timidezza che ricopre spesso i cuori più audaci e sprezzanti, giungendo a risvegliare l'intima forza della donna. Il suo volto, prima così pallido, si fece di fiamma.

«Che cosa vuoi fare?» disse a voce bassa, guardandolo con un sorriso orgoglioso. «Non penserai di farmi paura tenendomi in questo modo; non vorrei però che tu mi strappassi la manica.»

Invece di lasciarla andare, egli l'attirò più vicino a sè. «Raccontami tutto... tutti i particolari della morte di mia madre, disse in un rauco sussurro, ansando; «altrimenti io... io...»

«Clym,» rispose la donna lentamente, «credi forse ch'io non abbia la forza d'affrontare qualunque cosa tu abbia il coraggio di farmi? Ma prima di colpirmi, ascolta. Non otterrai nulla da me facendomi del male, neanche uccidendomi, come forse vuoi fare. Ma forse tu non desideri ch'io parli... tu vuoi soltanto uccidermi.»

«Ucciderti? È questo che t'aspetti?»«Sì.»«E perché?»«È il meno che tu possa fare per sfogare la tua collera dopo quanto hai sofferto.»«Ma io non t'ucciderò,» diss'egli con disprezzo, come se cambiasse improvvisamente proposito. «Ci ho anche

pensato per un momento; ma non lo farò. Farei di te una martire, mandandoti a tenerle compagnia; e io vorrei invece tenerti lontana da lei, se potessi, sino alla fine del mondo.»

«Quasi preferirei che tu mi uccidessi,» diss'ella con tetra amarezza. «Non ci tengo molto, te l'assicuro, alla parte che mi tocca rappresentare da qualche tempo in questo mondo. Non mi hai reso la vita facile, caro marito.»

«Hai chiuso la porta... l'hai guardata dalla finestra... c'era un uomo in casa con te... l'hai respinta, facendola morire. Sei un essere inumano... una traditrice... No, non ti toccherò... ma stammi lontana... e confessa tutto!»

«No, mai! Non ti dirò una parola, anche se potrei facilmente, parlando, dimostrare l'assurdità di parte delle tue accuse. Ma non parlerò! Quale donna, a cui rimanga un briciolo di dignità, si darebbe da fare a spazzar le ubbie dalla mente d'un pazzo, dopo un linguaggio quale tu hai usato con me? No, va' pure avanti, continua, insisti nei tuoi pensieri meschini, affonda, la testa nel fango. Non me ne importa più nulla.»

«Questo è veramente troppo... Eppure voglio risparmiarti.»«Bella carità!»«Smettila di punzecchiarmi, Eustacia, per l'amor del cielo! Non sperare di scoraggiarmi: otterrò quello che

voglio. Su, avanti, dimmi il suo nome!»«No, non lo dirò mai.»«Come e quando ti scrive? Dove metti le sue lettere? Quando v'incontrate? Già, le sue lettere! Mi dici come si

chiama?»«No.»«Allora lo scoprirò da me.» Il suo sguardo s'era posato su un tavolinetto su cui ella usava scrivere le sue lettere.

S'avvicinò: il cassetto era chiuso a chiave.«Aprilo!»«Non puoi pretenderlo. È mio.»Senza parlare, egli afferrò il tavolino e lo sbattè in terra con violenza. Il cassetto s'aprì e ne uscì un fascio di

lettere, sparpagliandosi.«Fermati!» disse Eustacia avanzando verso di lui con maggiore vivacità di quella che avesse mai dimostrato

prima.«No! Lasciami! Voglio vederle.»Gettando un'occhiata alle lettere sparpagliate in terra, Eustacia si tirò in disparte con aria indifferente; egli le

raccolse e si mise a esaminarle.Ma nessuna di esse si prestava neanche vagamente a un'interpretazione che non fosse più che innocente.

L'unica eccezione era una busta vuota indirizzata a lei nella calligrafia di Wildeve. Yeobright gliela fece vedere: Eustacia continuò a tacere.

«Forse che non sai più leggere? Guarda questa busta. Troveremo presto anche quello che conteneva. E sarò felice di sapere finalmente qual è il mestiere che mia moglie esercita in modo così raffinato e perfetto.»

«Come osi dirmi una cosa simile?» chiese ella, ansando.Clym continuò a cercare, ma non trovò altro. «Che cosa c'era in questa busta?» chiese.«Chiedilo a chi l'ha scritta. Sono forse il tuo cane perché tu mi parli con questo tono?»«Ah, tu osi sfidarmi? Osi resistermi? Rispondi. Non guardarmi con quegli occhi come se tu volessi stregarmi di

nuovo! Morrò piuttosto che lasciarmi incantare un'altra volta! Non vuoi rispondere?»«Non ti dirò più nulla, dopo queste tue parole, neanche se fossi innocente come una bambina in fasce.»«Mentre non lo sei.»«Non in senso assoluto,» ella rispose. «Non ho fatto quel che tu pensi; ma se, per essere considerata innocente,

bisogna non aver fatto mai niente di male, allora non posso essere perdonata. Ma non voglio fare appello alla tua coscienza.»

«E ancora ti ostini a resistere! Credo che, invece di odiarti, potrei aver pietà di te e compiangerti, se tu ti mostrassi pentita e confessassi tutto. Perdonarti non potrò mai. Non parlo del tuo amante: voglio concederti in questo le

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attenuanti del dubbio, perché riguarda soltanto la mia persona. Se tu avessi quasi ucciso me, se fossi stata tu a togliere volontariamente la vista a questi miei poveri occhi, potrei anche perdonarti. Ma dopo quello che hai fatto, no!»

«Basta adesso. Farò a meno della tua pietà. Ma avrei voluto evitarti di dir parole di cui dovrai poi pentirti.»«Ora me ne vado. Ti lascio.»«Non occorre che tu te ne vada; sarò io ad andarmene. Tanto vale che tu rimanga qui.»«Pensa a lei... ricorda com'era: quanta bontà si rivelava in ogni tratto del suo volto! Molte donne, nei momenti

di collera, hanno come una sfumatura di malvagità nella piega della bocca o nel fremito della guancia; ma in lei non c'era ombra di cattiveria, anche nei momenti peggiori. S'arrabbiava facilmente, ma altrettanto facilmente perdonava, e sotto il suo orgoglio si nascondeva la mite dolcezza d'un bambino. Ma a te che cosa importava? La odiavi, mentre lei incominciava ad amarti. Oh, se tu avessi capito quel ch'era bene anche per te non avresti portato me alla disperazione e lei all'angoscia e alla morte, comportandoti così crudelmente! Chi era l'uomo in tua compagnia che ti ha indotta ad aggiungere la crudeltà verso di lei al torto che già mi facevi? Forse Wildeve? Il marito della povera Thomasin? Che abisso di nequizia! Hai perso la voce ora, non è vero? Ed è naturale, vedendo che ho scoperto il tuo nobile inganno... Ma non hai pensato a tua madre in quel momento, Eustacia? Non hai sentito il dovere d'usare un minimo di bontà verso la mia, vedendola così stanca e sfinita? Il tuo cuore non ha avuto un palpito di pietà quando l'hai vista allontanarsi? Che occasione hai perduto di dare inizio a un nuovo periodo di concordia e di affetto! Perché non hai cacciato via lui invece, e non le hai aperto la porta, dicendo: "Da questo momento voglio essere una moglie onesta e una donna dabbene"? Così hai distrutto, definitivamente, la nostra ultima e già traballante possibilità di vivere felicemente insieme. Ora ella dorme per sempre: prenditi pure anche cento amanti; non potrai più farle alcun male.»

«Tu esageri spaventosamente,» diss'ella con voce debole e stanca; «ma non posso neanche tentare di difendermi: non ne vale la pena. Per me tu non sei più nulla ed è inutile ritornare sul passato. Mi hai crudelmente delusa; ma io non me ne sono mai lagnata. Certo tu hai sofferto per i tuoi errori e le tue disgrazie, ma io ne son stata completamente rovinata. Sposando te, mi sono abbassata agli occhi del mondo, son rimasta isolata. Era questo il tuo sogno? Chiudermi in una stamberga come questa e farmi vivere una vita da serva? M'hai ingannata: non con le parole, ma con le apparenze, più difficili da penetrare delle parole. Ma in fondo un posto vale l'altro per arrivare alla tomba dove troverò finalmente pace.» Le parole le morirono in gola e abbassò il capo con gesto di desolazione.

«Non capisco quello che vuoi dire. Sono io forse la causa del tuo peccato?» Eustacia rispose con un gesto tremante, come se volesse tendergli la mano. «E adesso ti metti a piangere e mi porgi la mano? Buon Dio! Come osi? Sarebbe colpa in me accettarla.» (Ella lasciò cadere la mano che gli aveva offerta, ma continuò a piangere.) «La prenderò allora, ma soltanto per il ricordo dei baci insulsi con cui l'ho coperta quando non sapevo chi fosse la donna che amavo. Come sono stato cieco! Perché non ho voluto credere a tutto il male che m'hanno detto di te?»

«Oh, oh, oh!» gridò Eustacia, finalmente vinta; e, scossa e soffocata dai singhiozzi, cadde in ginocchio. «Smettila, ti supplico! Sei implacabile: c'è un limite anche alla crudeltà! Ho cercato di resistere... ma tu mi distruggi. Ti chiedo pietà... non posso più sopportarlo... è inumano continuare in questo modo! Se io avessi... ucciso tua... madre con le mie mani... non meriterei d'essere straziata con tanta ferocia. Dio abbia pietà di questa povera infelice!... Mi hai battuta e vinta... ora basta, non colpirmi più... Ti dirò tutto: la prima volta che ha bussato alla porta, non le ho aperto apposta... ma... quando ha bussato la seconda volta... io... avrei certamente aperto... se non avessi creduto che saresti andato tu ad aprirle. Quando mi sono accorta che non eri andato, ho aperto, ma lei non c'era più. Ecco la mia colpa... verso di lei. Ma anche le persone migliori possono commettere errori a volte, non è vero?... Io lo credo almeno. Ora me ne vado... ti lascio per sempre!»

«Dimmi tutto, e avrò pietà di te. L'uomo con te era Wildeve?»«Non posso dirtelo,» gridò ella disperatamente tra i singhiozzi. «Non insistere più oltre... non posso. Ora me ne

vado. Non possiamo rimanere nella stessa casa.»«Non occorre che tu te ne vada: me ne andrò io. Tu puoi rimanere qui.»«No: mi vesto e me ne vado.»«E dove?»«Là donde sono venuta o altrove.»Si vestì rapidamente, mentre Yeobright continuava a passeggiare rabbiosamente avanti e indietro per la stanza.

Ben presto fu in ordine. Le sue piccole mani tremavano così forte mentre cercava di legarsi i nastri del cappello sotto il mento che non riusciva a fare il nodo e dopo un momento rinunciò al tentativo. Clym le s'avvicinò dicendo: «Lascia che ti aiuti.»

Assentendo in silenzio, ella sollevò il mento. Era forse la prima volta in tutta la sua vita che non pensava a esercitare il proprio fascino. Ma egli lo sentì ugualmente e distolse gli occhi da lei, per non lasciarsi tentare.

Ora il nodo era fatto; ed ella s'allontanò da lui. «Vuoi ancora andartene o preferisci che sia io a lasciarti?» chiese di nuovo.

«Preferisco andarmene.»«E va bene, allora: fa' come vuoi. Quando mi dirai chi era quell'uomo forse avrò pietà di te.»Ella si buttò lo scialle addosso e scese le scale; Clym rimase solo nella camera.Eustacia se n'era andata da poco, quando qualcuno bussò alla porta; e Yeobright disse: «Che cosa c'è?»Era la domestica che rispose: «La signora Wildeve ha mandato a dire che tanto la mamma quanto la bambina

stanno benissimo e che alla piccina hanno messo nome Eustacia Clementine.» Poi si ritirò.

Page 122: La Brughiera

«Che ironia!» disse Clym tra sè. «Ecco il mio disgraziato matrimonio perpetuato nel nome di quella bambina!»

AIUTI DA PARTE DI UNO QUASI DIMENTICATO

La direzione del cammino di Eustacia fu all'inizio vaga e incerta come quella d'un fiocco di lanugine portato dal vento. Non sapeva che cosa fare. Avrebbe voluto che fosse notte anzichè mattino, per poter soffrire senza che nessuno la vedesse. Dopo aver percorso diverse miglia, una dopo l'altra, tra le felci morenti e le umide ragnatele bianche, si diresse infine verso la casa di suo nonno. Ma trovò la porta chiusa e sbarrata. Meccanicamente girò dietro, dove c'era la scuderia e, gettando dentro un'occhiata, vide Charley.

«Non c'è il capitano Vye?» chiese.«No, signora,» disse il ragazzo tutto agitato nel vederla; «è andato a Weatherbury e non tornerà sino a stasera.

E la domestica è andata in vacanza. La casa è chiusa.»Charley non poteva vedere il volto di Eustacia che, sulla porta, voltava le spalle alla luce, perché la scuderia

era poco illuminata; ma lo colpì l'irrequietezza dei suoi modi. Ella si voltò, mosse verso il cancello e ben presto scomparve dietro il bastione.

Con aria preoccupata, Charley uscì allora pian piano dalla scuderia e, salendo in cima al bastione, guardò dall'altra parte. Eustacia era appoggiata al lato esterno, si copriva il volto con le mani e premeva la testa contro l'erica bagnata dalla rugiada. Sembrava del tutto indifferente al fatto che quel freddo e duro guanciale le rovinava con la sua umidità il cappello, la chioma e le vesti. Doveva esserle capitato qualcosa.

Eustacia era sempre stata per Charley - come Clym era stato per lei al primo incontro - una dolce e romantica visione, quasi irreale. Respinto dal suo aspetto superbo e dai suoi modi orgogliosi - tranne che in quell'unico momento di felicità, quando gli aveva permesso di tenerle la mano - non l'aveva mai considerata una donna, priva d'ali e terrena, soggetta alle condizioni familiari e alle seccature domestiche. I particolari intimi della sua vita poteva soltanto immaginarseli. Aveva sempre visto in lei una cosa dolce e mirabile, destinata a vivere in un'orbita di cui l'intera sua persona non era che un puntino insignificante; osservarla ora lì, come una creatura impotente e disperata contro un ruvido ammasso di terra umida, lo riempiva di meraviglia e d'orrore. Non potè frenarsi: con un salto la raggiunse, la toccò con un dito e disse con tenerezza: «Non si sente bene, signora? Che cosa posso fare per lei?»

Trasalendo, Eustacia disse: «Ah, Charley... mi hai seguita. Quando me ne sono andata via da questa casa nell'estate scorsa, non pensavi certo che sarei ritornata in questo stato!»

«No certamente, signora. Posso esserle d'aiuto?»«Temo di no. Vorrei poter entrare in casa. Mi gira la testa, ecco tutto.»«Si appoggi al mio braccio, signora, e l'accompagnerò sino al portico; poi cercherò di aprire la porta.»La sostenne sino al portico e, dopo averla fatta sedere, andò dietro la casa; con l'aiuto d'una scala a pioli

s'arrampicò sino a una finestra e, scendendo dall'interno, aprì la porta. Poi l'aiutò a entrare nella stanza, dove c'era un vecchio divano di pelle, ampio come l'interno d'una vettura da viaggio. Ella vi si sdraiò e Charley la coprì con un mantello trovato nel vestibolo.

«Vuole che le porti qualcosa da mangiare e da bere?» disse.«Ti ringrazio, Charley. Ma penso che il fuoco sarà spento.»«Posso accenderlo, signora.»Scomparve ed ella lo sentì spaccar legna e usare il soffietto. Presto tornò dicendo: «Ho acceso il fuoco in

cucina, e ora lo accenderò anche qui.»Accese il fuoco, mentre Eustacia lo guardava dal suo giaciglio con occhi sognanti. Quando il fuoco incominciò

a fiammeggiare, egli disse: «Vuole che spinga il divano davanti al fuoco, signora? È un mattino piuttosto freddo.»«Sì, se vuoi.»«Vuole che vada a prenderle qualcosa da mangiare?»«Sì, ti prego,» diss'ella languidamente.Quand'egli se ne fu andato ed ella non udì più che il suono attutito dei suoi movimenti in cucina, dimenticò

dove si trovava e dovette fare uno sforzo per ricordare che cosa significavano quei suoni. Dopo un intervallo che le parve brevissimo, perché i suoi pensieri erano occupati altrove, Charley arrivò con un vassoio: tè bollente e pane tostato, benchè fosse quasi ora di pranzo.

«Posalo sulla tavola,» diss'ella. «Mi alzo subito.»Egli ubbidì ritirandosi poi verso la porta; ma, vedendo ch'ella non si muoveva, tornò sui suoi passi.«Posso darglielo io, se non ha voglia d'alzarsi,» disse. Portò il vassoio dinanzi al divano, dove s'inginocchiò,

dicendo! «Ecco qui.»Eustacia si tirò su a sedere e si versò una tazza di tè. «Sei molto buono con me, Charley,» mormorò mentre

sorseggiava la bevanda calda.«E perché non dovrei esserlo,» diss'egli con timidezza, sforzandosi di non guardarla, benchè gli riuscisse

piuttosto difficile perché, in quella posizione, l'aveva proprio dinanzi agli occhi.«Lei è stata buona con me.»«E quando?»

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«Ha lasciato che le tenessi la mano, quand'era ancora ragazza e stava in questa casa.»«Ah, già. Ricordo. E perché mai l'ho fatto? Le idee mi si confondono. Fu la volta delle maschere, se non

sbaglio, no?»«Sì, ha voluto recitare al posto mio.»«Ora ricordo. Sì... e anche troppo bene.»Di nuovo apparve profondamente depressa; e Charley, vedendo che ormai non avrebbe più nè mangiato nè

bevuto, portò via il vassoio.Poi continuò a venire di tanto in tanto a vedere se il fuoco era acceso, a chiederle se aveva bisogno di qualcosa,

a dirle che il vento aveva cambiato direzione da sud a ovest, a proporre d'andarle a raccogliere un po' di more: ma a tutte le sue domande ella rispose negativamente o con indifferenza.

Rimase ancora per un po' sdraiata sul divano, poi si alzò e andò al piano di sopra. La stanza in cui aveva dormito prima di sposarsi era rimasta press'a poco come l'aveva lasciata e, ricordando quanto la sua situazione fosse mutata e infinitamente peggiorata da allora, di nuovo il suo volto assunse quell'espressione d'informe, imprecisa infelicità che aveva avuto al suo arrivo. Diede un'occhiata nella camera del nonno, in cui la fresca brezza autunnale entrava dalla finestra aperta. Il suo sguardo cadde su un oggetto che le era abbastanza familiare, benchè la colpisse ora con un significato nuovo.

Si trattava d'una coppia di pistole, appese a capo del letto del nonno, che le teneva sempre cariche in previsione di possibili incursioni di ladri, essendo la casa molto isolata. Eustacia le guardò a lungo, come se fossero la pagina d'un libro in cui leggeva qualcosa di nuovo e d'insolito. Poi, quasi avesse paura di se stessa, s'affrettò a discendere al piano di sotto, dove rimase profondamente immersa nei propri pensieri.

«Se soltanto avessi il coraggio di farlo!» disse tra sè. «Sarebbe un bene per me e per tutti quelli legati a me; e non danneggerebbe nessuno.»

Rimase immobile per circa dieci minuti, mentre pareva che l'idea prendesse forma dentro di lei; poi dal suo sguardo, non più vago e incerto, si capì che aveva deciso.

Salì le scale una seconda volta, con passo leggero e furtivo, ed entrò nella camera del nonno. I suoi occhi cercarono subito le pistole a capo del letto; ma le pistole non c'erano più.

L'impossibilità, creata dalla loro scomparsa, di attuare il suo proposito, colpì il suo cervello come un vuoto improvviso colpisce il corpo, e fu lì lì per svenire. Chi le aveva prese? C'era una sola persona in casa, oltre a lei. Eustacia si voltò istintivamente verso la finestra aperta che dava sul giardino sino al punto in cui finiva contro il terrapieno. In cima, abbastanza in alto perché potesse vedere quel che accadeva nella camera, stava Charley. Il suo sguardo era fisso su di lei con ansia affettuosa.

Eustacia scese allora le scale, s'avvicinò alla porta e gli fece cenno d'avvicinarsi.«Sei stato tu a portarle via?»«Sì, signora.»«E perché?»«Ho visto che le guardava troppo.»«E con questo?»«L'ho vista per tutta la mattina depressa, come se non avesse più voglia di vivere.»«E allora ?»«Non ho voluto lasciarle alla sua portata. Non mi piaceva come le guardava.»«Dove sono adesso?»«Chiuse a chiave in un posto sicuro.»«Dove?»«Nella scuderia.»«Dammele.»«No, signora.»«Ti rifiuti d'ubbidirmi?»«Sì. Le voglio troppo bene per dargliele.»Ella girò la testa e il suo viso, per la prima volta in quella giornata, perdette la sua immobilità di pietra, mentre

la bocca riprendeva la sua linea delicata, alterata dalla disperazione. Finalmente lo guardò di nuovo in faccia.«E perché non dovrei morire se lo desidero?» disse con voce tremante. «Ho rovinato la mia vita e sono stanca...

terribilmente stanca. E tu vuoi impedirmi di evadere. Perché, Charley? La morte è penosa soltanto per il dolore che si procura agli altri... e questo non è il mio caso, perché nessuno mi dedicherebbe un sospiro!»

«È l'angoscia che la fa parlare così! Vorrei veder morto e sepolto chi l'ha ridotta in questo stato, anche se non sta bene dire una cosa simile!»

«Basta, ora, Charley. Non dirai a nessuno quello che hai visto?»«Non lo dirò ad anima viva, se però lei mi promette di non pensarci più.»«Non aver paura. Il momento critico è passato. Te lo prometto.» Si volse, rientrò in casa, e tornò a sdraiarsi sul

divano.Verso la fine del pomeriggio tornò il nonno. Avrebbe voluto sottoporla a un serrato interrogatorio; ma,

guardandola in faccia, si trattenne.

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«Sì, è meglio non parlarne per ora,» diss'ella lentamente, rispondendo al suo sguardo. «Potresti farmi preparare la stanza per questa notte, nonno? Vengo di nuovo a star qui.»

Egli non le chiese il perché, nè per quale ragione avesse lasciato suo marito, ma ordinò che le preparassero la camera.

UNA VECCHIA SITUAZIONE RICREATA SENZA VOLERLO

Illimitata era la devozione di Charley per l'antica padrona. Tentare di dar sollievo alle sue pene era l'unico conforto ch'egli trovasse alle proprie. Continuamente si preoccupava dei suoi bisogni: aveva accolto il suo ritorno in quella casa con un senso di gratitudine e, pur continuando a imprecare contro la causa della di lei infelicità, ne benediceva in un certo senso il risultato. Forse ella sarebbe rimasta a vivere lì, pensava, e per lui sarebbe allora ricominciata la felicità di un tempo. Il suo unico timore era che pensasse di tornare ad Alderworth; e per questo i suoi occhi studiavano spesso, con tutta l'ansia dell'affetto, il volto di Eustacia, come avrebbero osservato la testolina d'un colombo selvatico, nel timore che meditasse la fuga. Avendole dato aiuto una volta, e avendola probabilmente salvata da un gesto irreparabile, si sentiva in un certo senso responsabile di lei.

Si dava dunque da fare a procurarle distrazioni gradevoli, portando a casa oggetti curiosi che trovava nella brughiera, come muschi di forma bizzarra, licheni rossi, teste di freccia di pietra usate dalle antiche tribù di Egdon, e cristalli sfaccettati scoperti nelle cave di quarzo. Metteva questi oggetti qua e là, dove potessero attirare la sua attenzione.

Passò una settimana senza che Eustacia uscisse di casa. Poi andò fuori, al riparo del bastione, e si mise a guardare col cannocchiale del nonno, come usava prima di sposarsi. Un giorno, al punto in cui la strada maestra attraversava la valle lontana, vide passare un grosso carro carico di mobili. Guardando con maggiore attenzione, vide che erano i suoi. Alla sera il nonno tornò a casa portando la notizia che quel giorno Yeobright s'era trasferito da Alderworth nella vecchia casa di Blooms-End. Un'altra volta, mentre stava così osservando, notò due donne che passeggiavano nella valle. Era una bella giornata limpida; e siccome non distavano più di mezzo miglio, potè vederle benissimo col cannocchiale. La donna che camminava davanti portava tra le braccia un fagottino bianco da cui pendeva una specie di drappo; e quando le due figure si voltarono e il sole le illuminò più direttamente, Eustacia vide che il fagotto era un bambino. Chiamò Charley e gli chiese se sapeva chi fossero, benchè già lo immaginasse.

«Sono la signora Wildeve e la governante,» disse Charley.«È la governante quella che porta il bambino?» disse Eustacia.«No, è la signora Wildeve che lo porta,» rispose, «la governante la segue senza portar nulla.»Quel giorno il ragazzo era di ottimo umore; si era ormai arrivati di nuovo al 5 novembre ed egli aveva un

progetto che credeva buono per distrarre la padrona dai pensieri in cui la vedeva sempre troppo profondamente immersa. Gli era parso che per ben due anni la sua padrona si fosse divertita ad accendere un falò sull'alto del bastione che dava sulla valle; quest'anno sembrava invece che si fosse completamente dimenticata della data e della vecchia abitudine. Anzichè ricordargliela, Charley pensò di prepararle segretamente un'allegra sorpresa, tanto più che l'ultima volta, essendo assente, non aveva potuto partecipare ai preparativi. In ogni momento di libertà si diede da fare a raccogliere tronchetti di ginestra, pezzi di radici e altro materiale sulle colline adiacenti, nascondendolo poi per evitare ch'ella per caso lo vedesse.

Alla sera, pareva che Eustacia non si fosse ancora resa conto della ricorrenza. Dopo aver studiato la valle attraverso il cannocchiale, s'era ritirata in casa non facendosi più vedere. Appena fu scuro, Charley si mise a costruire il falò, proprio in quello stesso punto del bastione scelto le altre volte da Eustacia.

Quando i falò tutt'intorno incominciarono ad accendersi, Charley diede fuoco anche al suo, sistemando il combustibile in modo che non occorresse curarlo per un po'. Tornò poi alla casa e continuò a girare intorno alla porta e alle finestre in attesa che, in un modo o nell'altro, ella s'accorgesse della sua iniziativa e venisse fuori ad ammirarla. Ma le imposte erano sbarrate, la porta continuava a rimanere chiusa, e sembrava che nessuno badasse all'opera sua. Non osando chiamarla, andò, dopo un po', ad alimentare il fuoco e così continuò per oltre mezz'ora. Soltanto quando vide che la sua provvista di combustibile era ormai molto diminuita mandò la domestica a pregare la signora Yeobright di aprire le finestre e guardar fuori.

Eustacia, che se ne stava pigramente oziando in salotto, balzò in piedi all'avvertimento e spalancò le finestre. Di fronte a lei, sul bastione, vide fiammeggiare il falò che subito mandò la sua luce rossa nella stanza, sopraffacendo il chiarore delle candele.

«Bravo Charley!» disse il capitano Vye dall'angolo del camino. «Spero però che non stia consumando la mia provvista di legna... Ah, stasera fa proprio un anno da quando incontrai per strada quel tale, Venn, che riportava a casa Thomasin Yeobright... sicuro! Chi avrebbe pensato allora che la ragazza avrebbe avuto tanta fortuna? Che sciocca sei stata, Eustacia! Tuo marito non t'ha ancora scritto?»

«No,» disse Eustacia, guardando vagamente il fuoco dalla finestra, immersa così profondamente nei suoi pensieri da non risentirsi neanche della grossolana insinuazione del nonno. Vedeva sul bastione la sagoma di Charley che continuava a smuovere e alimentare il fuoco; e la fantasia non potè fare a meno di evocare l'immagine di un'altra persona che il fuoco avrebbe potuto richiamare.

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Uscì dalla stanza, mise la sciarpa e il mantello e andò fuori. Giunta in cima al terrapieno, guardò dall'altra parte con ansia e parve delusa quando Charley le disse, tutto soddisfatto: «L'ho fatto apposta per lei, signora.»

«Grazie,» diss'ella brevemente. «Ma ora sarà meglio che tu lo spenga.»«Si spegnerà presto da solo,» disse Charley mortificato; «non è un peccato soffocarlo prima?»«Non so,» diss'ella con tono pensoso.Tacquero nel silenzio rotto solo dallo scoppiettare delle fiamme, finchè Charley, vedendo che Eustacia non

aveva voglia di parlare con lui, s'allontanò a malincuore.Ella rimase sotto il terrapieno, guardando il fuoco: voleva rientrare e tuttavia continuava a indugiare. Se la

situazione in cui era venuta a trovarsi non l'avesse indotta a tenere in poco conto tutte le cose onorate dagli dei e dagli uomini, probabilmente se ne sarebbe andata; ma era così disperata che poteva anche permettersi di rischiare. Aver perduto addolora meno che chiedersi se si sarebbe potuto vincere; e ora Eustacia poteva, come altre persone in posizioni analoghe, considerar le cose da un punto di vista esterno, osservare se stessa come uno spettatore disinteressato, e dirsi con amarezza che il destino era stato veramente crudele e beffardo con una povera donna come lei.

Mentre era là, intese un suono: il tonfo d'una pietra nell'acqua.Se la pietra l'avesse colpita in pieno petto, il suo cuore non si sarebbe messo a battere più follemente. Aveva

pensato alla possibilità d'una simile risposta al segnale dato involontariamente da Charley; ma non se l'aspettava ancora. Com'era stato pronto e rapido Wildeve! Ma come poteva credere ch'ella volesse veramente riprender con lui i rapporti d'un tempo? Era divisa tra l'impulso di andarsene subito e il desiderio di restare; e fu il desiderio a vincere. Si limitò tuttavia a rimanere immobile, senza neanche salire sul bastione per guardare dall'altra parte, senza muovere un solo muscolo della faccia, nè alzare gli occhi: se si fosse voltata, il fuoco le avrebbe illuminato il volto, e Wildeve poteva vederla dall'alto.

Si udì un secondo tonfo nello stagno.Perché continuava a rimanere dall'altra parte senza venire avanti? La curiosità la vinse: salì due o tre gradini e

gettò un'occhiata dall'altra parte del bastione.Wildeve era dinanzi a lei. S'era avvicinato dopo aver gettato la seconda pietra, e il fuoco illuminava ora

entrambi i loro volti dall'alto del bastione che li divideva.«Non sono stata io ad accendere il falò!» gridò subito Eustacia. «L'hanno acceso senza che io lo sapessi. No,

non ti avvicinare, ti prego!»«Perché non m'hai avvertito che stai di nuovo qui? Hai lasciato la tua casa. Perché? È stato forse per causa

mia?»«No; è perché non ho fatto entrare in casa sua madre.»«Non meriti d'esser punita così severamente, Eustacia. Mi accorgo che soffri: lo leggo nei tuoi occhi, nella tua

bocca, in tutta la tua persona, povera cara!» Con un passo superò il muretto del terrapieno. «Ti vedo troppo infelice!»«No; non è vero...»«Sei all'estremo delle tue forze. Quest'infelicità finirà coll'ucciderti, lo sento!»Alle sue parole, il respiro di Eustacia, solitamente calmo, era divenuto ansante. «Io... io...» incominciò; poi

scoppiò in singhiozzi, toccata da quegli inattesi accenti di pietà, sentimento che, applicato a se stessa, ella aveva quasi dimenticato.

Questo scoppio di pianto la colse così di sorpresa che non riusciva più a smettere; girò le spalle, piena di vergogna, anche se, pur voltandosi, non poteva nascondere il suo stato d'animo. Continuò a singhiozzare disperatamente; finchè, sfogatasi, si venne gradatamente calmando. Wildeve, che aveva dovuto fare uno sforzo per resistere all'impulso di prenderla tra le braccia, continuava a tacere.

«Non ti fa pena vedermi ridotta a piagnucolare?» chiese con un debole sussurro, mentre si asciugava gli occhi. «Perché non te ne sei andato? Era meglio se non mi vedevi in questo stato chissà come interpreterai il mio sfogo.»

«La tua pena mi rattrista come se fosse mia,» disse Wildeve con tono di commosso rispetto. «Quanto a interpretare... Credi che ce ne sia bisogno tra noi?»

«Non ti ho chiamato... non dimenticarlo, Damon; soffro, ma non ho voluto chiamarti! Come moglie, almeno, sono sempre stata onesta!»

«Ma io sono venuto lo stesso. Perdonami, Eustacia, tutto il male che ti ho fatto in questi ultimi due anni! Sempre più mi rendo conto d'esser stato la tua rovina.»

«Non tu sei stato la mia rovina; ma questo luogo in cui viviamo.»«Dici questo perché sei generosa. Ma la colpa è mia. Avrei dovuto far di più o non far niente del tutto.»«E come?»«Non avrei mai dovuto cercarti; oppure, avendoti conquistata, far di tutto per conservarti. Ora però non ho

alcun diritto di dir queste cose. Ti chiedo soltanto: che cosa posso fare per te? C'è al mondo qualcosa che possa renderti un po' meno infelice? Se c'è, la farò. Comandami, Eustacia, e ti accontenterò nei limiti delle mie possibilità; e non dimenticare che ora sono più ricco d'una volta. Son certo che qualcosa si potrà fare per migliorare la tua situazione! Fa pena veder una pianta così preziosa intristire in questo luogo selvaggio. Vuoi qualcosa che si possa comperare? Vuoi andare in qualche posto? Vuoi lasciare definitivamente questo paese? Dillo, e io farò di tutto per por fine a quelle lagrime di cui mi sento responsabile.»

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«Siamo sposati entrambi a un'altra persona,» diss'ella debolmente; «e un aiuto da parte tua sembrerebbe compromettente... dopo... dopo che...»

«Non si può impedire alle malelingue di dir quel che vogliono; ma non devi aver paura di nulla. Qualunque sia il mio sentimento, ti prometto sul mio onore che non te ne parlerò mai - nè mai te lo farò intendere in altro modo - finchè tu non mi dica che posso farlo. Conosco il mio dovere nei riguardi di Thomasin, come conosco il mio dovere verso di te, così ingiustamente maltrattata. Che cosa posso fare per aiutarti?»

«Aiutami ad andar via di qui.»«Dove vuoi andare?»«Ecco. Se tu mi aiutassi ad arrivare sino a Budmouth, penserei io al resto. Di là partono i vaporetti che

attraversano la Manica, e posso andare a Parigi, dove intendo vivere. Sì,» supplicò con ansia, «aiutami ad andare a Budmouth senza che lo sappiano nè mio nonno nè mio marito, poi me la sbrigherò da me.»

«Ma non posso lasciarti là sola.»«Non c'è nulla da temere. Conosco benissimo Budmouth.»«Vuoi che venga con te? Ora sono ricco e posso farlo.»Ella tacque.«Dimmi di sì, tesoro!»Ancora ella tacque.«Fammi sapere quando vuoi andare. Staremo ancora nella vecchia casa fino a dicembre; poi ci trasferiremo a

Casterbridge. Fino ad allora puoi disporre di me.»«Ci penserò,» diss'ella subito. «Non so se posso onestamente servirmi di te come d'un amico, o se debbo

considerarti un amante. Se voglio andare, e decido d'accettare la tua compagnia, ti farò il segnale una sera alle otto in punto: allora dovrai prepararti a venirmi a prendere quella sera stessa a mezzanotte col cavallo e il calesse, per portarmi al porto di Budmouth in tempo per il piroscafo del mattino.»

«Ogni sera alle otto guarderò dalla tua parte e il segnale non mi sfuggirà.»«Ora vattene, ti prego. Se decido di evadere in questo modo, ci vedremo soltanto più una volta, a meno che...

senta che non posso fare a meno di te. Ma ora non posso più resistere... vattene. Addio!»Wildeve risalì lentamente i gradini di terra e discese nel buio dall'altra parte; ma continuò a voltarsi indietro

finchè la sagoma del bastione non gli nascose completamente la figura di Eustacia.

THOMASIN DISCUTE CON SUO CUGINO CHE SI DECIDE A SCRIVERE UNA LETTERA

Yeobright viveva intanto a Blooms-End nella speranza che Eustacia tornasse da lui. Soltanto quel giorno aveva fatto trasportare i mobili, benchè vivesse nella nuova casa ormai da una settimana. Aveva ingannato il tempo facendo diversi lavori, spazzando le foglie morte dai viali del giardino, tagliando gli steli secchi nelle aiuole, e fissando al muro le piante rampicanti rovinate dai venti autunnali. Non che facesse questi lavoretti con molto gusto: gl'impedivano però d'abbandonarsi alla disperazione. E poi, era diventata come una religione per lui conservare in buono stato quel ch'era appartenuto a sua madre.

In tutto questo tempo aveva continuato ad aspettare Eustacia. Perché sapesse dove trovarlo, aveva fatto affiggere un cartello al cancello di Alderworth, con l'indirizzo a grandi caratteri della sua nuova residenza. A ogni fruscio di foglie si voltava, credendo d'aver udito il suono del suo passo. Il batter del becco d'un uccello in cerca di vermi nella terra delle aiuole lo faceva pensare alla sua mano sul paletto del cancello; e a sera, quando dolci e strani suoni gorgoglianti uscivano dalle buche del terreno, dagli steli vuoti, dalle foglie morte accartocciate e da altre fenditure in cui si possono insinuare i venti, i vermi e gli insetti, li scambiava per i sospiri di Eustacia, che attendeva fuori, ansiosa di riconciliarsi con lui.

Finora però aveva mantenuto la decisione presa di non invitarla a ritornare. La severità con cui l'aveva trattata era servita ad attenuare un poco l'intensità del suo dolore per la morte della madre, risuscitando in parte l'antica fiamma per la donna che l'aveva spodestata nel suo cuore. La violenza dei sentimenti provoca la violenza delle azioni che a sua volta placa, per reazione, i sentimenti che le hanno dato origine. Più rifletteva, più si calmava. Non che credesse sua moglie una povera innocente accusata a torto; ma, in quel triste mattino, non l'aveva forse assalita con troppa violenza, senza darle neppure il tempo di spiegarsi?

Caduto l'impeto della collera, era convinto che tra lei e Wildeve non ci fosse stato altro che un'amicizia un po' incauta; non poteva credere ch'ella si fosse veramente disonorata. E, ammesso questo, non era più costretto a dare del contegno di Eustacia verso sua madre l'interpretazione peggiore.

La sera del 5 novembre pensava a Eustacia più intensamente che mai. Gli echi d'un passato in cui avevano trascorso le giornate scambiandosi parole di tenerezza gli giungevano come il diffuso mormorio d'una spiaggia marina a miglia di distanza. «Ormai,» disse a se stesso, «avrebbe dovuto decidersi a venire da me e confessarmi sinceramente la natura dei suoi rapporti con Wildeve.»

Quella sera, invece di starsene a casa, decise di andare a trovare Thomasin e suo marito. Se si presentava l'opportunità, avrebbe accennato alla causa della rottura con Eustacia, tacendo tuttavia della presenza d'una terza persona il giorno in cui sua madre era stata respinta. Se Wildeve s'era trovato là per caso, senza propositi segreti,

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l'avrebbe detto apertamente. Se c'era andato invece con intenzioni men che oneste, si sarebbe certamente lasciato sfuggire, dato il suo carattere impulsivo, qualche parola da cui sarebbe stato facile capire fino a che punto Eustacia si fosse compromessa.

Ma, giunto a casa di sua cugina, trovò soltanto Thomasin; Wildeve muoveva infatti in quel momento verso il falò innocentemente acceso da Charley a Mistover. Thomasin fu, come sempre, lieta della visita di Clym, e lo condusse subito a vedere la bambina addormentata, velando con la mano la luce della candela per non svegliarla.

«Hai saputo, Tamsin, che Eustacia non sta più con me?» chiese Clym, quando si furono seduti accanto al camino.

«No,» disse Thomasin, colpita.«E neanche che ho lasciato Alderworth?»«No. Non ho notizie da Alderworth se non sei tu a portarmele. Che cos'è successo?»Con voce rotta dall'angoscia, Clym le raccontò allora della sua visita al figlioletto di Susan Nunsuch, di quel

che aveva saputo e di come aveva accusato Eustacia di spietata crudeltà. Di Wildeve naturalmente non fece parola.«E io non ne sapevo nulla!» mormorò Thomasin, addolorata. «Che cosa terribile! Come ha potuto... Oh,

Eustacia! Scommetto che quando hai saputo, sei corso subito da lei. Non sei stato troppo crudele?... Oppure è veramente cattiva come sembra?»

«Puoi essere troppo crudele contro chi ha ucciso tua madre?»«Credo di sì.»«E va bene, allora sono stato troppo crudele. Ma ora che cosa devo fare?»«Riconciliarti subito con lei, se è possibile sanare una rottura simile. Quasi vorrei che tu non me n'avessi

parlato. Cerca di far la pace. Non è impossibile dopo tutto, se entrambi lo desiderate.»«Non so se lo desideriamo entrambi,» disse Clym. «Non credi che, se lo desiderasse veramente, a quest'ora non

si sarebbe fatta viva?»«Anche tu non l'hai cercata; eppure mi sembra che tu lo desideri.»«È vero; ma mi chiedevo se fosse giusto o meno fare il primo passo dopo esser stato così gravemente offeso.

Vedendomi ora, Thomasin, non puoi immaginare in che stato m'ero ridotto; e quanto ho sofferto in questi ultimi giorni. Lasciar mia madre fuori della porta in quel modo! Potrò mai dimenticarlo? Mi sentirò mai di rivederla?»

«Forse Eustacia non pensava che la cosa avrebbe avuto conseguenze così terribili; forse non aveva veramente l'intenzione di lasciar la povera zia fuori dell'uscio.»

«È quel che m'ha detto infatti. Forse non voleva, ma purtroppo l'ha fatto.»«Credila pentita. Perdonale, mandala a chiamare.»«E se non viene?»«Allora si dimostrerà davvero colpevole, perché capace di serbare rancore. Ma non credo che lo farà.»«Bene, allora. Aspetterò ancora due o tre giorni... non più di tre, insomma; e se non viene prima lei, andrò io a

cercarla. Ma come mai Wildeve non è in casa questa sera? È forse partito?»«No,» disse Thomasin, arrossendo leggermente, «è soltanto uscito a far due passi.»«E perché non t'ha condotta con sè? È una bella serata. Un po' d'aria farebbe bene anche a te.»«Oh, io non ho voglia d'uscire; e poi, c'è la bambina.»«Già. Ma mi sarebbe piaciuto conoscere anche l'opinione di tuo marito sulla mia faccenda,» insistè Clym.«Io non starei a parlargliene,» fu pronta a rispondere Thomasin. «Non capisco a che servirebbe.»Suo cugino la guardò bene in faccia. Thomasin ignorava senza dubbio che suo marito c'entrasse in qualche

modo in quanto era accaduto in quel tragico pomeriggio; ma, a giudicare dalla sua espressione, si sarebbe detto che cercasse di nascondere qualche sospetto o qualche pensiero circa i teneri rapporti intercorsi un tempo, a quanto si diceva, tra Wildeve e Eustacia.

Ma come sincerarsene? Clym si alzò per andarsene, più perplesso di quand'era venuto.«Promettimi che le scriverai tra due o tre giorni,» disse la giovane con ansia. «Vorrei tanto che finisse questa

dolorosa separazione!»«Le scriverò,» disse Clym; «non me la sento più di vivere in questo modo.»Risalito a Blooms-End, prima di coricarsi le scrisse questa lettera:

Mia cara Eustacia, ti scrivo ubbidendo allo slancio del mio cuore, senza tener troppo conto della ragione. Vuoi tornare a vivere con me? Vieni, e non parleremo più del passato. Forse sono stato troppo severo con te; ma pensa, Eustacia, quanto ho sofferto! Tu non sai, e non potrai mai sapere, quanto mi sian costate quelle parole di collera che m'hai costretto a pronunciare. Ti prometto ora tutto quel che posso onestamente prometterti: e cioè che non ti rinfaccerò mai più le conseguenze della tua condotta. Dopo tutti i giuramenti che ci siamo scambiati, Eustacia, penso che non basterebbe la vita intera a mantenerli.

Torna, anche se hai qualcosa da rimproverarmi. Ho pensato a quanto devi aver sofferto il mattino in cui m'hai lasciato; so che il tuo dolore era sincero e credo che tu non debba più soffrire oltre. Il nostro amore deve continuare. A che ci servirebbero due cuori come i nostri, se non dovessimo più amarci? Non ti ho richiamata prima, Eustacia, perché non potevo convincermi che l'uomo ch'era con te non fosse un amante. Ma se tu vorrai spiegarmi sinceramente come sono andate le cose, sono certo che potrai dimostrarmi la tua onestà. Perché non sei ancora venuta? Credevi che non

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volessi ascoltarti? È impossibile, se ancora ricordi i baci e le promesse che ci scambiammo quest'estate alla luce della luna. Ritorna, e t'accoglierò con amore. Non posso più pensare male di te: desidero troppo giustificarti. Tuo marito, per sempre,

Clym

«Ecco, questa è fatta,» disse posando la lettera sulla scrivania. «Se prima di domani sera non s'è fatta viva, gliela manderò.»

Intanto, nella casa che Clym aveva appena lasciata, Thomasin sospirava piena d'inquietudine. La lealtà verso il marito l'aveva costretta a nascondere il sospetto che Wildeve avesse continuato ad aver rapporti con Eustacia anche dopo il matrimonio. Non aveva però elementi precisi per giudicare; e se Clym era suo cugino, Wildeve era suo marito e gli era più intimamente legata.

Quando, dopo un po' di tempo, Wildeve ritornò dalla passeggiata a Mistover, Thomasin disse: «Dove sei stato, Damon? Ero preoccupata; temevo addirittura che tu fossi caduto nel fiume. Non mi piace rimanere a casa sola.»

«Preoccupata?» diss'egli, toccandole la guancia con indifferenza, come se fosse una bestiolina domestica. «Non ti credevo un tipo che si preoccupa senza ragione. Forse si tratta d'un po' di superbia invece: ti secca continuare a viver qui, ora che siamo ricchi. Ma non è facile come sembra trovare una casa nuova; sarebbe stato più semplice se le nostre diecimila sterline fossero centomila; così invece bisogna far bene i calcoli e usare una certa prudenza.»

«No, non si tratta di questo. Non ho fretta di cambiar casa; preferirei aspettare ancora un anno se pensassi che il cambiamento potesse nuocere alla salute della bambina. Ma mi dispiace che tu te ne esca così alla sera. C'è qualcosa che ti tormenta, Damon, me ne accorgo... Hai l'aria triste, e guardi la brughiera come se fosse una prigione invece d'un posto libero e aperto in cui è così bello passeggiare.»

Egli la guardò con una sorpresa sfumata di compassione. «La brughiera di Egdon ti piace davvero?» chiese.«Mi piace perché ci sono nata; amo la sua vecchia faccia austera.»«Ma via! Non sai quello che ti piace.»«Lo so benissimo invece. Una cosa soltanto mi addolora.»«E che cosa?»«Che non mi porti mai a passeggiare con te nella brughiera. Perché ci vai se non ti piace?»Era una domanda semplicissima, ma egli ne rimase sconcertato e sedette prima di rispondere. «Mi vuoi dire

quand'è che ci vado?» chiese.«Certo,» rispose Thomasin in tono di trionfo. «Stasera, quando sei uscito, mi son chiesta dove andavi così

misteriosamente, senza dirmelo e, siccome la bambina s'era addormentata, ti son corsa dietro. Ho visto che ti sei fermato all'incrocio, hai dato un'occhiata ai falò, poi hai detto: "Al diavolo tutto! Ci vado!" e ti sei avviato per la via di sinistra. E io son rimasta a guardarti.»

Evidentemente a disagio, Wildeve disse, con sorriso forzato: «E poi? Hai fatto qualche scoperta interessante?»«Via, non andare in collera: non ti dirò più nulla,» rispose Thomasin. Sedette su uno sgabello ai suoi piedi e

alzò gli occhi a guardarlo.«Non far la sciocca,» diss'egli. «Perché t'interrompi? Ora che hai incominciato, tanto vale continuare. Che

cos'hai visto dunque? Parla!»«Non andare in collera, Damon!» mormorò Thomasin. «Non ho visto proprio nulla. Tu sei scomparso e, dopo

aver dato una occhiata ai falò, sono ritornata a casa.»«Forse non è la prima volta che mi spii. Hai qualche sospetto?»«Neanche per sogno! Non ho mai fatto prima una cosa simile e non l'avrei fatta neanche ora se non avessi

sentito certe voci sul tuo conto.»«Quali voci?» chiese Wildeve con impazienza.«Ho sentito dire... che t'hanno visto andare ad Alderworth di sera, e allora ho ricordato che...Alzandosi di colpo, Wildeve la guardò con rabbia. «Avanti,» disse, con un gesto imperioso della mano, «metti

fuori tutto adesso! Dimmi con precisione quel che hai sentito!»«Ho sentito dire che un tempo eri innamorato di Eustacia... nient'altro: voci sentite qua e là. Ma non voglio che

tu vada in collera!»Vedendo che Thomasin aveva gli occhi pieni di lagrime, Wildeve disse allora: «Calmati. Si tratta d'acqua

ormai passata. Non sono affatto in collera con te e non hai quindi ragione di piangere. Via, non parliamone più.»Non ne parlarono più; e non dispiacque a Thomasin avere una scusa per non dirgli della visita di Clym e non

riferirgli quel ch'egli le aveva raccontato.

LA SERA DEL SEI NOVEMBRE

Ora che aveva deciso di fuggire, si sarebbe detto a volte che Eustacia desiderasse che qualcosa venisse a impedirglielo. Soltanto una visita di Clym avrebbe potuto veramente farle mutare i suoi piani. Anche se aveva perduto ormai l'alone di cui l'aveva circonfuso quando l'amava, le veniva fatto di quando in quando di pensare a qualcuna delle sue semplici virtù; e sperava allora per un momento che ritornasse a lei. Riflettendoci però riteneva poco probabile che

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una rottura come quella che c'era stata tra loro potesse mai sanarsi; avrebbe dovuto continuare a vivere sola, come una povera donna spostata. E se prima si sentiva fuori posto soltanto nella brughiera, ora incominciava a pensare che si sarebbe sentita a disagio ovunque.

La sera del sei, la decisione di evadere riprese in lei nuova forza. Verso le quattro, fece su le poche cose che aveva portato con sè andandosene da Alderworth e alcuni altri oggetti che le appartenevano: un fagotto non troppo voluminoso che poteva benissimo portare da sè per due o tre miglia. Il cielo si veniva intanto oscurando: grosse nubi color fango s'abbassavano gonfie, come immense amache distese da un punto all'altro del cielo, e, col passar delle ore, si scatenò un vento di tempesta: però non pioveva ancora.

Non avendo ormai più nulla da fare Eustacia uscì di casa, e si mise a passeggiare per la collina, poco lontano dalla casa che stava per abbandonare. Così passeggiando, passò dinanzi alla capanna di Susan Nunsuch, situata un po' più in basso della casa di suo nonno. La porta era socchiusa e il riflesso del fuoco acceso illuminava la zona attorno. Quando vi passò davanti, Eustacia apparve come il personaggio di una fantasmagoria: una creatura fatta di luce circondata da una zona di tenebra; poi subito il buio la riassorbì.

In quell'attimo, una donna seduta nell'interno della capanna l'aveva vista e riconosciuta. Era Susan, intenta a preparare una bevanda calda per il suo bambino che, poco robusto in genere, era ora gravemente ammalato. Lasciò cadere il cucchiaio, alzò il pugno in direzione della figura scomparsa, poi continuò nel suo lavoro con gesti pensosi e distratti.

Alle otto, l'ora in cui aveva promesso che, se si decideva, avrebbe mandato il segnale a Wildeve, Eustacia, dopo essersi guardata intorno per vedere che non ci fosse nessuno, s'avvicinò alla catasta di fascine e ne tirò fuori un lungo ramo. Lo portò all'angolo del terrapieno, si voltò per assicurarsi che le imposte fossero tutte chiuse, accese un fiammifero e diede fuoco alla ginestra. Quando il ramo fu in fiamme, lo prese e lo agitò in aria al disopra della testa finchè non fu tutto consumato.

La consolò - se pur si può parlare di consolazione in uno stato d'animo come il suo - vedere, due o tre minuti dopo, un segnale luminoso analogo accendersi nei pressi della casa di Wildeve. Egli aveva promesso di guardare ogni sera a quell'ora verso Mistover, per sapere se ella aveva bisogno di lui, e questa prontezza nel rispondere le dimostrava che non aveva dimenticato la promessa. Quattro ore dopo, e cioè a mezzanotte, sarebbe venuto a prenderla per portarla a Budmouth, secondo l'accordo.

Eustacia rientrò in casa. Dopo cena, si ritirò subito e rimase in camera sua in attesa dell'ora di partire. Siccome era una serata buia e minacciosa, il capitano Vye non uscì per andare a far due chiacchiere in qualche casa vicina o all'osteria, come usava spesso in queste lunghe sere d'autunno, e rimase invece in salotto a sorseggiare la sua acquavite. Verso le dieci qualcuno bussò alla porta. Quando la domestica andò ad aprire, la luce della sua candela illuminò la figura di Fairway.

«Siccome dovevo venire da queste parti stasera,» disse, «il signor Yeobright m'ha pregato di portarvi questa lettera; l'ho messa nella fodera del cappello, e l'ho dimenticata. Solo mentre stavo chiudendo il cancello prima d'andare a letto me ne sono ricordato: e allora son corso qui subito a portarla.»

Consegnò la lettera e se ne andò. La ragazza la portò al capitano il quale vide ch'era diretta a Eustacia. La girò tra le mani: gli pareva che fosse la calligrafia di suo marito, ma non ne era sicuro. Decise tuttavia di dargliela subito, se era possibile, e la portò al piano di sopra; ma, giunto dinanzi alla sua porta e guardando dal buco della serratura, vide che la luce era spenta: in realtà, Eustacia s'era buttata vestita sul letto, per riposare e raccogliere le proprie forze prima della fuga imminente. Il nonno, credendo che dormisse, decise di non disturbarla: e, sceso di nuovo in salotto, posò la lettera sul caminetto coll'intento di dargliela il mattino dopo.

Alle undici andò di sopra anche lui, fumò per un po' di tempo nella sua camera, spense la luce alle undici e mezzo, poi, com'era da anni sua abitudine, tirò su la persiana prima di mettersi a letto; gli piaceva, appena apriva gli occhi al mattino, vedere l'asta con la banderuola davanti alla sua finestra, e sapere così da che parte tirava il vento. Ma s'era appena coricato quando vide, sorpreso, il palo verniciato di bianco dell'asta balenare improvvisamente come una striscia di fosforo tracciata nell'ombra della notte. Una spiegazione sola era possibile: qualcuno aveva acceso una luce in casa, illuminando così il palo. Siccome tutti erano già andati a dormire, il vecchio sentì il bisogno di scendere dal letto, aprire pian piano la finestra e guardare a destra e a sinistra. La stanza da letto di Eustacia era illuminata, ed era stata proprio la luce proveniente dalla sua camera a illuminare il palo. Chiedendosi perché mai si fosse svegliata, rimase per un momento indeciso dinanzi alla finestra; stava pensando di andare a prendere la lettera e infilargliela sotto la porta, quando udì un leggero fruscio di vesti contro la parete che divideva la sua camera dal corridoio.

Ne concluse che Eustacia, non potendo dormire, fosse andata a cercarsi un libro; e non ci avrebbe più pensato se non l'avesse sentita piangere mentre passava.

«Pensa a suo marito,» disse a se stesso. «Che sciocca! Chissà mai perché l'ha sposato. Vorrei sapere se la lettera è proprio sua.»

Si alzò, si gettò addosso il mantello, aprì la porta e disse: «Eustacia!» Ma nessuno rispose. «Eustacia,» ripetè a voce più alta, «c'è una lettera per te sul caminetto.»

Ma di nuovo nessuno rispose, all'infuori del vento che pareva accanirsi contro gli angoli della casa e le gocce di pioggia che sbattevano ai vetri delle finestre.

Uscì sul pianerottolo, e attese per circa cinque minuti: non la sentì ritornare. Rientrò a prendere un lume e si preparò a seguirla; prima però gettò un'occhiata nella sua camera. Vide, sulla coperta, l'impronta del suo corpo:

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evidentemente non era andata a letto; e, cosa anche più significativia, non aveva preso il candeliere. Il capitano incominciò ora a preoccuparsi; e, vestitosi in fretta, scese sino alla porta d'ingresso che aveva egli stesso chiuso e sbarrato e la trovò soltanto accostata. Eustacia era uscita: ma dove mai poteva andare a quell'ora? Seguirla era pressochè impossibile. Se la casa si fosse trovata su una strada ordinaria, due che fossero partiti ciascuno nella direzione opposta l'avrebbero certamente raggiunta; ma era impresa disperata cercare una persona nella brughiera, di notte; le direzioni che si potevan seguire per allontanarsi erano innumerevoli, come i meridiani che s'irradiano dal Polo. Non sapendo che cosa fare, tornò in salotto: turbato, vide che la lettera era ancora sul caminetto.

Alle undici e mezzo, sentendo che tutto in casa taceva, Eustacia aveva acceso la candela, indossato alcuni indumenti pesanti, preso il fagotto e, dopo aver spento la luce, aveva sceso le scale. Quando fu fuori, vide che aveva incominciato a piovere; mentre indugiava sulla porta, la pioggia si fece più violenta, come se minacciasse un vero acquazzone. Ma ormai aveva deciso, e non poteva tirarsi indietro per il cattivo tempo. Anche se avesse avuto la lettera di Clym, difficilmente a questo punto avrebbe cambiato idea. La tenebra notturna aveva un che di funereo; tutta la natura sembrava vestita a lutto. Le vette dei pini dietro la casa si levavano nel cielo come le torri e le guglie di un'abbazia. Non si vedeva nulla al disotto della linea dell'orizzonte, tranne una luce ancora accesa nella capanna di Susan Nunsuch.

Eustacia aprì l'ombrello e salì i gradini di terra del bastione: ora più nessuno poteva vederla. Girando intorno allo stagno, seguì il sentiero in direzione del Rainbarrow, inciampando di quando in quando in radici scoperte e contorte, cespugli di giunchi o umide masse gocciolanti di funghi carnosi, sparsi in questa stagione nella brughiera come il fegato e i polmoni putrefatti d'un enorme animale. Le nubi e la pioggia velavano la luna e le stelle sino a estinguerne la luce. Era una di quelle notti in cui il pensiero del viandante si sofferma istintivamente su visioni di disastri notturni quali narrano le cronache di tutto il mondo, su tutto ciò che di terribile e tenebroso esiste nella storia e nella leggenda: l'ultima piaga d'Egitto, la distruzione dell'esercito di Sennacherib, l'agonia nell'orto di Getsemani.

Finalmente Eustacia giunse al Rainbarrow e si fermò un momento a riflettere. Non si sarebbe potuto immaginare accordo più perfetto di quello tra il tumulto del suo spirito e il caos del mondo esterno. Di colpo si era resa conto d'una cosa: non aveva abbastanza denaro per intraprendere un lungo viaggio. Il suo spirito, negato a ogni considerazione pratica, dominato per tutto il giorno dall'incertezza e dal dubbio, aveva trascurato ogni necessaria precauzione; ora, rendendosene conto, sospirò con amarezza e a poco a poco la sua figura, prima eretta, si venne rannicchiando sotto l'ombrello, come se una mano uscita dalle profondità del Rainbarrow la stringesse, tirandola giù. Che fosse proprio il suo destino rimaner prigioniera di quel paese? Il denaro: mai ne aveva compreso il valore prima di quel momento. Anche per andarsene, ne aveva bisogno. Chiedere a Wildeve un aiuto finanziario senza permettergli d'accompagnarla era impossibile per una donna in cui rimanesse anche un solo briciolo d'orgoglio: e fuggire, andarsene come sua amante - benchè sapesse ch'egli l'amava - era una umiliazione.

Chiunque l'avesse vista in quel momento, avrebbe provato un senso di pietà; non tanto perché era esposta alle intemperie e isolata da ogni presenza umana che non fosse quella delle vecchie ossa nell'interno del tumulo, quanto per l'angoscia che rivelava il leggero vacillare della sua persona. Una estrema infelicità si rivelava in lei. Uscivano dalle sue labbra suoni assai simili a quelli prodotti dal gocciolare della pioggia dall'ombrello al cappotto, dal cappotto all'erica e dall'erica al suolo; e il pianto della natura pareva ripetersi nel pianto che le bagnava il volto. Sembrava che tutto quanto le era attorno cospirasse crudelmente per deprimerla, per spezzarle le ali; anche se poteva sperar d'arrivare a Budmouth, salire sul piroscafo e partire felicemente per un porto del continente, chissà quali e quante difficoltà e ostilità avrebbe poi dovuto affrontare. Disse alcune parole ad alta voce. Quando una donna, che non sia nè vecchia ne sorda nè pazza nè stramba, in un momento simile si mette a singhiozzare e a parlar da sola, la sua situazione dev'essere veramente grave.

«Devo andare? Devo veramente andare?» si chiedeva gemendo. «Non è abbastanza grande perché io diventi sua... non basta a soddisfare i miei desideri!... Se fosse un Saul o un Bonaparte... Ma infrangere i miei voti coniugali per lui... non è un buttarmi via?... Eppure non ho abbastanza denaro per andarmene da sola! E se anche potessi farlo, che consolazione ne avrei? Mi trascinerei da un giorno all'altro come quest'anno e l'anno prima e l'anno che verrà poi. Avrei tanto, tanto voluto essere una donna eccezionale, e il destino mi è stato avverso!... Ma io non merito questo destino!» gridò ribellandosi con frenetica amarezza. «Oh, perché ho aperto gli occhi in questo mondo così mal combinato? C'era in me la stoffa per far cose grandi: ma sono stata mortificata, ferita, distrutta da circostanze contro cui non potevo lottare! Il cielo è stato crudele a condannarmi a tali torture, quando io non ho fatto nulla, davvero nulla per meritarle!»

La luce lontana che Eustacia aveva casualmente osservato nell'uscir di casa proveniva, com'ella aveva intuito, dalla finestra della capanna di Susan Nunsuch. Eustacia non poteva però indovinare a quale occupazione fosse intenta la donna in quel momento. Vedendola passare nelle prime ore della sera, pochi minuti dopo che il bambino malato aveva detto: «Mamma, ho tanto male!» s'era convinta che la vicinanza di Eustacia avesse su suo figlio un'influenza malvagia.

Dopo aver finito i suoi lavori, non andò dunque a letto, come faceva di solito. Per combattere l'influsso maligno esercitato, secondo lei, dalla povera Eustacia, La madre del bambino si dedicò a una sinistra pratica magica, destinata a ridurre all'impotenza, all'atrofia e alla distruzione completa l'essere umano contro cui era diretta: una pratica assai diffusa in quell'epoca a Egdon, e non ancora completamente estinta neanche oggi.

Portandosi dietro la candela, andò in una stanza interna dove, tra altre cose, c'erano due grandi pignatte scure che contenevano complessivamente forse un quintale di miele liquido, prodotto dalle api nel corso dell'estate

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precedente. Su un ripiano al disopra delle pignatte stava una liscia e solida massa gialla di forma emisferica, fatta con la cera tolta dagli stessi alveari. Susan tirò giù il pezzo di cera e, tagliandone diverse fette sottili, le mise in un mestolo di ferro; poi tornò in cucina e posò il mestolo sulle ceneri ardenti del focolare. Appena la cera si fu ammorbidita impastò insieme i pezzi. A questo punto l'espressione del suo volto si fece più intensa. Incominciò a modellare la cera; e dal modo in cui la veniva manipolando si capiva che cercava di darle una forma determinata: e cioè una forma umana.

A furia di riscaldare e impastare, tagliare e torcere, smembrare e rimettere insieme, dopo un quarto d'ora aveva tirato fuori una forma abbastanza simile a quella d'una donna, e alta una ventina di centimetri. La posò sul tavolo perché si freddasse e indurisse. Poi prese la candela e salì al piano di sopra, dove stava il piccolo malato.

«Hai osservato, caro, che cosa aveva addosso oggi la signora Eustacia oltre il solito vestito nero?»«Un nastro rosso intorno al collo.»«E nient'altro?»«No... soltanto i sandali.»«Un nastro rosso, e i sandali,» disse la donna a se stessa.Frugando nei cassetti, riuscì a trovare un pezzetto di nastro rosso, che portò di sotto e legò intorno al collo

dell'immagine. Poi, prendendo l'inchiostro e una penna d'oca dal tavolino traballante presso la finestra, ne annerì i piedi fin dove probabilmente li coprivano le scarpe; e su ciascuna caviglia tracciò linee che s'incrociavano, come i legacci dei sandali usati in quel tempo. Passò infine un filo nero intorno alla parte superiore del capo, vagamente simile a una fascia portata per tenere a posto i capelli.

Tendendo il braccio per vederla meglio nel suo insieme, Susan contemplò la figurina con una soddisfazione in cui non c'era ombra di sorriso. Chiunque conoscesse gli abitanti di Egdon, vedendola, avrebbe pensato a Eustacia Yeobright.

Dal cestino da lavoro collocato presso la finestra la donna tolse allora una cartina di spilli, di quelli lunghi e gialli, con le teste tutte messe in fiLa, e incominciò a piantarli con gusto crudele in ogni parte della figura di cera. Ne piantò una cinquantina, nella testa, nelle spalle, nel tronco, persino nella pianta dei piedi, finchè tutta la figura ne fu coperta.

Poi s'avvicinò al camino, dove era bruciato un fuoco di torba; e benchè l'alto mucchio di cenere prodotto da questo fuoco apparisse esternamente nero e come spento, bastò che lo raschiasse con la paletta, perché mostrasse all'interno una massa rossa e ardente. Dall'angolo del camino prese alcuni pezzi nuovi di torba e li posò sulle braci ardenti, ravvivando così il fuoco. Poi, prendendo con le molle l'immagine di Eustacia da lei modellata, la tenne esposta al calore della fiamma finchè vide che incominciava a sciogliersi lentamente; e mentre era immersa in questa occupazione, un basso mormorio di parole usciva dalle sue labbra.

Era una strana filastrocca: il Padre Nostro recitato a rovescio, la formula usata di solito per chiedere aiuto alle forze diaboliche contro un nemico. Susan recitò per tre volte, lentamente, la lugubre cantilena, e; quand'ebbe finito, l'immagine era notevolmente rimpicciolita. Cadendo sul fuoco la cera fusa provocò una lunga fiammata che, lambendo la figura, ne consumò ancora la sostanza. Di quando in quando uno spillo cadeva insieme alla cera e si arroventava al calore della brace.

PIOGGIA, TENEBRA, E VIANDANTI ANSIOSI

Mentre l'immagine di Eustacia si stava sciogliendo sino a completamente dissolversi e l'originale di essa si trovava al Rainbarrow, piombata in un abisso di disperazione quale raramente una creatura così giovane arriva a conoscere, Yeobright attendeva solitario a Blooms-End. Aveva mantenuto la promessa fatta a Thomasin, mandando Fairway a portare la lettera a sua moglie, e ora attendeva con impazienza crescente un suono o un segno che ne annunciasse il ritorno. Pensava che, se Eustacia era ancora a Mistover, assai probabilmente gli avrebbe inviato, con il medesimo mezzo, una risposta quella sera stessa: anche se, per lasciarla libera e non far pressione su di lei, aveva detto a Fairway di non chiedere la risposta. Se gliela davano, doveva portargliela immediatamente; altrimenti andasse pure a casa senza ritornare, per quella sera, a Blooms-End.

Ma in fondo al cuore Clym sperava qualcosa di più. Forse Eustacia, invece di scrivergli, poteva agire d'impulso, com'era nel suo carattere, e chissà che non gli facesse la sorpresa d'arrivare inaspettata! Clym non poteva certo immaginare ch'ella aveva preso invece ben altra decisione.

Con sua grande pena, col passar delle ore si mise a piovere forte e si levò il vento: un vento furioso che faceva gemere e scricchiolare gli angoli della casa, sbattendo contro i vetri, come piselli, le gocce che cadevano dalle grondaie. Yeobright andava avanti e indietro nelle stanze vuote, cercando di eliminare gli strani rumori prodotti da porte e finestre, infilando pezzi di legno nelle cornici e nelle fessure e rimettendo a posto con le mani i pezzi di vetro allentati nelle inquadrature di piombo. Era una di quelle notti in cui s'allargano le crepe nei muri delle vecchie chiese e ricompaiono le antiche macchie sui soffitti dei palazzi in decadenza, allargandosi dall'ampiezza d'una mano a quella di diversi metri. La porticina nella staccionata dinanzi alla casa continuava ad aprirsi e chiudersi sbattendo; Clym correva a guardar fuori, pieno d'ansia; ma non c'era nessuno; era come se le forme invisibili dei morti venissero a trovarlo passando di lì.

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Tra le dieci e le undici, vedendo che non arrivavano nè Fairway nè altri, decise d'andare a riposare, e, nonostante la sua ansia, presto s'addormentò. Ma il suo sonno non era molto profondo, a causa dell'eccitazione provocata in lui dall'attesa, e si svegliò subito, quando, circa un'ora dopo, qualcuno bussò alla porta. S'alzò e guardò fuori della finestra. Pioveva ancora a dirotto e sembrava che tutta la distesa della brughiera dinanzi a lui emettesse un basso sibilo sotto la violenza dell'acquazzone. Nel buio fitto non si vedeva assolutamente nulla.

«Chi è?» gridò.Sentì un suono di passi leggeri nella veranda e una lamentosa voce femminile che diceva: «Oh, Clym, scendi e

fammi entrare!»Una grande agitazione lo prese. «Dev'essere Eustacia!» mormorò. Era venuta dunque, com'egli aveva sognato,

senz'avvertire.S'affrettò ad accendere un lume, si vestì e scese. Quando spalancò la porta, vide, alla luce della candela, una

donna avvolta in un pesante mantello che mosse verso di lui.«Thomasin!» esclamò con tono di delusione indescrivibile. «Come mai, Thomasin, in una notte come questa?

Dov'è Eustacia?»Era Thomasin infatti, bagnata, atterrita, ansante.«Eustacia? Non lo so, Clym; ma credo d'immaginarlo,» disse, profondamente turbata. «Lascia che entri a

riprendere fiato: ti spiegherò tutto. Stanno combinando un grosso guaio... mio marito e Eustacia!»«Che cosa dici?»«Temo che mio marito stia per lasciarmi o per fare qualche cosa di terribile: non so che cosa. Clym, non vuoi

andare a vedere? Non ho che te al mondo! Eustacia non è ancora tornata a casa?»«No.»Senza fermarsi a riprender fiato, ella si mise allora a raccontare: «Sono sicura che hanno deciso di scappare

insieme! Questa sera Damon è venuto a casa verso le otto e mezzo e ha detto, come se fosse una cosa naturalissima: "Devo partire per un viaggio, Tamsie." "E dove vai?" ho chiesto. "Per ora non posso dirtelo," ha risposto; "ma sarò di ritorno domani." Poi s'è messo a preparare le sue cose, senza più badare a me. Aspettavo di vederlo partire, e invece non partì; ma quando furono le dieci disse: "Sarà meglio che tu vada a dormire." Non sapevo che altro fare e così andai a letto. Credette allora probabilmente che mi fossi addormentata perché una mezz'ora dopo venne in camera e aprì il cofanetto di quercia in cui teniamo il denaro, quando ne abbiamo molto in casa, e tirò fuori un mazzetto di qualcosa che mi parvero biglietti di banca, benchè non sapessi che c'erano. Deve averli presi alla banca dov'è andato l'altro giorno. Ma che bisogno ha di tanto denaro se sta via solo un giorno? Quando se ne fu andato, pensai a Eustacia e ricordai che l'aveva vista la sera prima; sono sicura che si sono incontrati, Clym, perché l'ho seguito per un tratto; ma non ho voluto dirtelo quando sei venuto, perché tu non pensassi male di lui, tanto più che non credevo fosse una cosa seria. Non potevo più stare a letto: e così mi sono alzata e vestita e quando l'ho sentito andare nella scuderia, ho pensato di venire ad avvertirti. Sono scesa senza far rumore, e son corsa via.

«Allora quando sei uscita non era ancora partito?»«No. Caro cugino Clym, vuoi correr da lui e cercar di convincerlo a non andarsene? A me non dà retta, e mi

tiene a bada dicendo che va soltanto a fare un viaggetto e che tornerà domani, e così via; ma io non ci credo. Forse tu potresti persuaderlo.

«Vado subito,» disse Clym. «Oh, Eustacia!»Thomasin portava tra le braccia un grosso fagotto; e quando, dopo essersi seduta, lo aprì, si vide in esso, come

un nocciolo nel suo guscio, una piccola creatura, asciutta e calda, ignara del viaggio e del cattivo tempo. Thomasin diede un rapido bacio alla bambina, poi si mise a piangere, dicendo: «Ho portato con me la bimba, per paura che potesse capitarle qualcosa. Forse il freddo le farà male, ma non me la sentivo di lasciarla con Rachel!»

Clym s'affrettò a mettere due pezzi di legno sul fuoco, frugò tra le braci, non ancora del tutto spente, e col soffietto ravvivò la fiamma.

«Asciugati,» disse. «Vado a prendere un po' di legna.»«No, no... non perder tempo. Ci penso io al fuoco. Va' subito, ti prego!»Yeobright corse di sopra a finire di vestirsi. Intanto, qualcun altro bussò alla porta. Ma questa volta non ci si

poteva illudere che fosse Eustacia; i passi che s'erano sentiti erano lenti e pesanti. Credendo che fosse Fairway, magari con una risposta, Yeobright scese ad aprire la porta.

«Il capitano Vye?» disse alla figura gocciolante che trovò sulla soglia.«È qui mia nipote?» disse il capitano.«No.»«E dov'è allora?»«Non lo so.»«Ma lei dovrebbe saperlo: è suo marito.»«Soltanto di nome, evidentemente,» disse Clym con crescente agitazione. «Credo che voglia scappare questa

notte con Wildeve. Sto per andare a cercarla.»«È uscita di casa circa un'ora fa. Chi c'è qui?»«Thomasin, mia cugina.»

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Il capitano le rivolse un inchino, con aria preoccupata. «Spero che voglia solo scappare, e non faccia nulla di peggio,» disse.

«Di peggio? Che cosa può far di peggio, una moglie?»«M'hanno detto una cosa strana, vede. Prima di uscire per andare a cercarla, ho chiamato Charley, il mio

stalliere. L'altro giorno non avevo più trovato le mie pistole.»«Pistole?»«Allora m'aveva detto d'averle prese per pulirle. Ma ora mi confessò d'averle portate via perché aveva visto

Eustacia guardarle in un modo curioso; e gli aveva anche confessato d'aver avuto per un momento l'intenzione di togliersi la vita; gli aveva ordinato però di non dirlo a nessuno, promettendogli che non ci avrebbe più pensato. Non credo che avrà mai l'ardire di usarle, ma si capisce che cosa aveva in mente; e chi ha pensato una volta a togliersi la vita, può farlo di nuovo.

«Dove sono ora le pistole?»«Al sicuro. Non le troverà. Ma ci sono altri modi per togliersi la vita. Perché mai avete litigato? Perché è

fuggita di casa? Ho l'impressione che sia stata trattata molto male. Son sempre stato contrario a questo matrimonio, e ora i fatti mi danno ragione.»

«Viene con me?» disse Yeobright, senza raccogliere l'ultima frase del capitano. «Così, mentre camminiamo, potrò dirle le ragioni del nostro dissenso.»

«Per andare dove?»«A casa di Wildeve. Sono sicuro ch'è andata da lui.»A questo punto intervenne Thomasin, piangendo: «Ha detto che sarebbe partito per un brevissimo viaggio; ma,

se intendeva tornare subito, perché mai ha preso tanto denaro? Oh, Clym, che cosa pensi che accadrà? Temo che rimarrai presto senza padre, povera piccola mia!»

«Vado,» disse Yeobright, uscendo sulla veranda.«Verrei volentieri con lei,» disse il vecchio, incerto. «Ma incomincio a temere che le mie gambe non mi

porteranno per un pezzo in una notte come questa. Non sono più giovane come un tempo. Se le impediscono di scappare, tornerà certo da me, e sarà meglio che sia a casa per riceverla. Comunque, non me la sento di arrivare sino alla "Buona Donna" e quindi è inutile discutere. Vado subito a casa.»

«Forse è meglio,» disse Clym. «Thomasin, asciugati, e sistemati meglio che puoi.»Detto questo, chiuse la porta e s'allontanò in compagnia del capitano Vye, il quale però si separò da lui appena

fuori del cancello, prendendo la strada di mezzo per Mistover. Clym invece tagliò verso la strada di destra che portava alla locanda.

Rimasta sola, Thomasin si tolse il mantello, portò la bambina al piano di sopra e la posò sul letto di Clym, poi scese di nuovo in salotto dove aggiunse legna al fuoco e incominciò ad asciugarsi. Ben presto il camino fiammeggiante diede alla stanza un aspetto caldo e confortevole accresciuto dal contrasto col tuonare della tempesta esterna che faceva tremare i vetri delle finestre e s'infilava nel camino emettendo strani suoni cupi che sembravano il prologo d'una tragedia.

Ma il cuore di Thomasin non era in quella casa: ormai tranquilla sul conto della bambina, seguiva mentalmente il cammino di Clym. Dopo aver fantasticato così a lungo, cominciò a sentire l'intollerabile lentezza del tempo. Cercò di mantenersi calma. Ma a un certo punto non riuscì più a star ferma; le sembrava un'ironia, che metteva a dura prova la sua pazienza, pensare che Clym in quel momento non poteva ancora esser giunto alla locanda. Andò a veder la bambina, che dormiva profondamente; ma l'ossessionava il pensiero di quello che non vedeva, delle cose terribili che potevano intanto capitare. Un impulso la spinse a scendere, ad aprire la porta. Continuava a piovere e la luce della candela, cadendo sulle gocce più vicine, ne faceva tante piccole frecce lucenti che trafiggevano la folla delle gocce invisibili sullo sfondo. Uscir fuori era come immergersi in una massa d'acqua appena diluita dall'aria. Ma quanto più appariva difficile in quel momento ritornare a casa, tanto più lo desiderava: tutto era meglio che questo stato d'incertezza, di sospensione. «Sono arrivata qui benissimo,» disse; «perché non dovrei poter tornare? Non è giusto che io sia assente.»

Andò subito a prendere la bambina, l'avvolse bene, si rimise il mantello e, dopo aver coperto il fuoco di cenere per evitare ogni pericolo d'incendio, uscì fuori. Mise la chiave nel solito nascondiglio dietro l'imposta, poi si volse ad affrontare risolutamente l'universo di tenebra che s'apriva al di là della staccionata e, fatti pochi passi, vi s'immerse completamente. Ma la sua mente era a tal punto dominata da altri pensieri che nè la notte nè le intemperie l'atterrivano, anche se rendevano il suo cammino difficile e scomodo.

Risalendo la valletta di Blooms-End mosse lungo la costa ondulata della collina. Il vento che soffiava nella brughiera emetteva un sibilo acuto, come se fischiasse di gioia nel trovare una notte così adatta ai suoi gusti. A volte il sentiero la portava ad avvallamenti tra cespugli di alte felci gocciolanti, morte, benchè non ancora prostrate, che la chiudevano come in una pozza. Quand'erano più alte del solito, sollevava la bambina al disopra della testa, per salvarla dal gocciolio delle fronde. Più in alto, dove il vento era vivace e sostenuto, la pioggia muoveva orizzontalmente senza che se ne avvertisse la discesa: era quindi assolutamente impossibile immaginare a quale altezza uscisse dal seno delle nuvole. Difendersi qui era impossibile: pareva che ogni goccia la ferisse, come le frecce piantate nel corpo di san Sebastiano. Il pallido nebuloso chiarore che ne rivelava la presenza le permetteva di evitare le pozzanghere, anche se in un luogo un po' meno tenebroso della brughiera non sarebbe stato possibile distinguerle.

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Ma, nonostante tutto, Thomasin non era scontenta d'essersi decisa a muoversi. Non vedeva, come invece vedeva Eustacia, demoni nell'aria e spiriti malvagi in ogni cespuglio e in ogni ramo. Le gocce che le sferzavano il volto non erano scorpioni, ma banalissima pioggia; la grande massa della brughiera di Egdon non era un mostro, ma un terreno incolto, assolutamente impersonale. I timori che il luogo poteva ispirarle erano razionali, l'avversione per i suoi aspetti più sgradevoli, di carattere pratico. La landa le appariva in quel momento un posto battuto dalla pioggia e dal vento, dov'era malagevole procedere e in cui, se non si stava bene attenti, ci si poteva anche sperdere, prendendosi rnagari un raffreddore.

In casi simili, per chi conosca bene il sentiero, non è eccessivamente difficile seguirlo, perché lo si riconosce quasi coi piedi; ma se si fa tanto di perderlo, è impossibile ritrovarlo. Fu quanto accadde a Thomasin poichè la bambina che portava tra le braccia a volte le impediva di veder bene davanti a sè e la distraeva. Fu quando stava discendendo un pendio aperto a circa un terzo di strada da casa. Invece d'insistere, errando qua e là, nel disperato tentativo di ritrovare la pista appena segnata, continuò ad andare avanti, affidandosi alla propria conoscenza generale del luogo, appena superata da quella di Clym e dei cavallini selvatici.

Giunta finalmente in fondo a una valletta, incominciò a discernere tra la pioggia un vago, nebuloso chiarore che subito prese la forma rettangolare d'una porta aperta. Sapeva che in quel punto non c'erano case, e si rese conto ben presto di che porta si trattasse, osservandone l'altezza dal suolo.

«Dev'essere il carrozzone di Diggory Venn!» disse a se stessa.Quando si trovava nei dintorni, Venn sceglieva spesso infatti per collocarvi il suo carrozzone un posto

appartato nei pressi del Rainbarrow; e Thomasin comprese subito d'essere capitata per caso in questo suo misterioso rifugio. Si chiese se non poteva pregarlo d'aiutarla a ritrovare la strada; e, ansiosa com'era d'arrivare a casa al più presto, decise di farlo, pur sapendo ch'egli si sarebbe meravigliato nel vederla in quel posto e a quell'ora. Ma quando, presa questa decisione, s'avvicinò al carrozzone e guardò dentro, vide ch'era vuoto; anche se era senza dubbio quello del venditore d'ocra. Il fuoco era acceso nella stufetta, la lanterna appesa a un chiodo. Presso la porta il pavimento era bagnato appena di pioggia, non fradicio: la porta doveva essere stata aperta da poco.

Mentre se ne stava lì incerta, udì un suono di passi nel buio; e, voltandosi, vide la nota figura vestita di fustagno, rossastra dalla testa ai piedi, alla luce della lanterna i cui raggi la colpivano attraverso un velo di gocce di pioggia.

«Credevo che scendesse la collina,» disse l'uomo, senza vedere il suo volto. «Perché è tornata qui?»«Diggory?» disse Thomasin debolmente.«Chi è lei?» chiese Venn, sempre senza riconoscerla. «E perché piangeva così forte un momento fa?»«Oh, Diggory! Non mi riconosci?» diss'ella. «Ma si capisce, con tutta questa roba che ho addosso. Che cosa

vuoi dire? Non piangevo affatto e non ero qui un momento fa.Venn allora s'avvicinò sino a vederla in faccia.«Thomasin!» esclamò, colpito. «Ma guarda come ci dobbiamo incontrare! E col bambino! Dev'esser successo

qualcosa di terribile per farti uscire in una notte come questa!»Vedendo ch'ella non rispondeva subito, il giovane, senza chiedergliene il permesso, salì con un salto nel

carrozzone, la prese per un braccio e la tirò su dietro di sè.«Che cosa c'è?» chiese, quando furono dentro.«Ho perduto il sentiero venendo da Blooms-End e ho molta fretta di ritornare a casa. Aiutami a ritrovare la

strada subito! Sembra impossibile che, conoscendo così bene Egdon, mi sia smarrita: non riesco proprio a capire come sia andata. Aiutami, Diggory, ti prego.»

«Certo. Verrò con te. Ma non eri già qui un momento fa?»«Sono arrivata in questo momento.»«È strano. Cinque minuti fa dormivo, con la porta ben chiusa perché non piovesse dentro, quando mi svegliò il

fruscio d'un vestito di donna tra i cespugli (non ho il sonno molto pesante) e sentii un suono di pianto e di singhiozzi. Aprii la porta e misi fuori la lanterna e, proprio al punto estremo in cui arrivava la luce vidi una donna che, quando la luce la colpì, voltò la testa, poi corse giù per la collina. Tirai dentro la lanterna e la curiosità mi spinse a mettermi qualcosa addosso e a seguirla, ma non riuscii a ritrovarla. Ecco perché non ero qui quando sei arrivata; e, quando t'ho vista, ho creduto che tu fossi la donna di prima.»

«Sarà stata una contadina che tornava a casa.»«No, impossibile. È troppo tardi. E poi si capiva dal fruscio che la sua gonna non era di stoffa grossolana, ma

di seta.»«Allora non potevo esser io. Come vedi, il mio vestito non è di seta... Qui siamo sulla strada tra Mistover e

l'osteria?»«Beh, sì; non molto lontano, almeno.»«Allora capisco chi era! Diggory, debbo andare subito!»Prima ch'egli se ne rendesse conto, era saltata giù dal carrozzone; Venn staccò la lanterna dal chiodo e saltò giù

dietro di lei. «Dammi il fagottino,» disse. «È pesante e devi essere stanca.»Thomasin esitò per un attimo, poi diede la bambina a Venn. «Non stringerla troppo forte, Diggory,» disse, «e

non farle male al braccino; e coprile bene la faccia col cappuccio perché la pioggia non la bagni.»

Page 135: La Brughiera

«Sta' tranquilla,» si affrettò a rispondere Venn. «Non penserai mica ch'io possa far del male a qualcosa che ti appartiene?»

«Senza volerlo, intendevo dire,» disse Thomasin.«Il piccino è asciutto, ma tu sei tutta bagnata,» disse il venditore d'ocra quando, chiudendo la porta del

carrozzone e mettendovi un lucchetto, notò il cerchio descritto in terra dalle gocce cadute dal mantello della donna.Thomasin lo seguì mentre egli girava a destra e a sinistra per evitare i cespugli più grandi, fermandosi di

quando in quando e coprendo con la mano la lanterna, per verificare la posizione del Rainbarrow, che dovevano continuare a tenersi alle spalle per non sbagliar strada.

«Sei sicuro che la pioggia non la bagna?»«Sicurissimo. Posso chiederti quanti mesi ha il bambino?»«Il bambino!» disse Thomasin in tono di rimprovero. «Si capisce proprio che non l'hai vista in faccia. È una

bimba e ha quasi due mesi. Quanto c'è di qui all'osteria?»«Poco più d'un quarto di miglio.»«Non possiamo andare un po' più in fretta?»«Temevo che tu non potessi tenermi dietro.»«Ho tanta fretta d'arrivare. Ah, ecco una luce alla finestra!»«Non è alla finestra. Secondo me è il fanale d'un calesse.»«Oh!» disse Thomasin, disperata. «Dovevo arrivare prima. Dammi la piccola, Diggory... ora puoi tornare

indietro.»«No, non ti lascio,» disse Venn. «Tra noi e quella luce c'è un terreno paludoso, e se non ti porto fuori, ci

affonderai fino al collo.»«Ma la luce è alla locanda e davanti non c'è nessun terreno paludoso.»«No, la luce e più in basso della locanda di duecento o trecento metri.»«Non importa,» disse Thomasin, affannata. «Andiamo verso la luce e non verso la locanda.»«Sì,» rispose Venn, deviando per ubbidire ai suoi ordini; e, dopo un momento di silenzio, aggiunse: «Vorrei

che tu mi dicessi che cos'è successo. Credo d'averti dimostrato che ti puoi fidare di me.»«Ci son cose che non si possono... non si possono dire a... Ma l'angoscia la prese alla gola e non potè

proseguire.

VISIONI E SUONI RIUNISCONO I VIANDANTI

Dopo aver visto, alle otto, dalla collina, il segnale di Eustacia, Wildeve si preparò immediatamente ad aiutarla nella fuga e, possibilmente, ad andarsene con lei. Era alquanto turbato e il tono con cui disse a Thomasin che partiva era tale da suscitare i peggiori sospetti. Quand'ella se ne fu andata a letto, mise insieme i pochi indumenti che gli servivano e salì al piano di sopra dove tolse dal cofanetto una discreta somma in biglietti di banca, versatagli in anticipo sui beni di cui sarebbe venuto in possesso perché potesse affrontare le spese del trasloco.

Poi andò nella scuderia e nella rimessa per assicurarsi che cavallo, calesse e finimenti fossero in ordine per un lungo viaggio. Trascorse in questi preparativi circa mezz'ora e, quando rientrò in casa, era convinto che Thomasin dormisse. Aveva mandato via anche lo stalliere, dicendo che sarebbe partito alle tre o alle quattro del mattino; era anche questa un'ora insolita, ma meno strana che la mezzanotte, l'ora fissata da Eustacia perché il piroscafo partiva da Budmouth tra l'una e le due.

Tutto era silenzio attorno e ormai non poteva far altro che aspettare. Da quando aveva visto Eustacia l'ultima volta, era oppresso da un profondo senso d'angoscia. ma sperava che il denaro gli permettesse di risolvere in qualche modo la situazione. Pensava di poter mettere le cose a posto comportandosi con una certa generosità verso la giovane moglie, a cui aveva intestato metà del proprio patrimonio, e con cavalleresca devozione verso un'altra donna, diversa e superiore, al cui destino aveva deciso di legare il proprio. E, benchè fosse deciso a seguire alla lettera le istruzioni di Eustacia, accompagnarla cioè fin dove voleva e poi lasciarla, se questa era la sua volontà, il fascino ch'ella esercitava su di lui si faceva sempre più intenso, e il suo cuore batteva forte prevedendo che ogni residua resistenza sarebbe caduta dinanzi al vivo desiderio che entrambi provavano di affrontare la sorte insieme.

Senza permettersi però di soffermarsi troppo su queste congetture, pensieri e speranze, a mezzanotte meno venti scese di nuovo pian piano nella scuderia, mise i finimenti al cavallo e accese i fanali; poi, preso il cavallo per la briglia, lo portò col carro coperto fuori del cortile in un punto presso la strada maestra, a circa un quarto di miglio sotto la locanda.

Qui attese, presso un alto bastione di terra che lo riparava un po' dalla pioggia sferzante. Nei punti della strada illuminati dai fanali la poca ghiaia e i sassolini erano mossi e sbattuti rumorosamente dal vento che, dopo averli ammucchiati, si tuffava nella brughiera e s'allontanava nella tenebra ululando tra i cespugli. Soltanto un suono si udiva al disopra del fragore delle intemperie: il rombo d'una diga a dieci porte, che frenava, in direzione sud, un fiume scorrente nei prati al confine della brughiera.

Page 136: La Brughiera

Attese, perfettamente immobile, finchè gli parve che la mezzanotte fosse ormai passata. A un certo punto si chiese se Eustacia avrebbe osato avventurarsi giù dalla collina con un tempo simile; ma, conoscendo il suo carattere, si disse che sarebbe venuta ugualmente. «Povera cara!» mormorò. «È sfortunata anche in questo.»

Ma quando, avvicin,andosi al fanale, guardò l'ora, vide con sorpresa ch'era quasi mezzanotte e un quarto. Si disse allora che meglio sarebbe stato andarla a prendere a Mistover: non l'aveva fatto soltanto per non affaticare troppo il cavallo, pensando alla lunghissima strada che si doveva percorrere per arrivarci col calesse, e al tragitto relativamente breve lungo il sentiero che si poteva seguire a piedi lungo il fianco della collina.

In quel momento sentì un rumore di passi; ma, essendo il fanale girato dalla parte opposta, non vide chi s'avvicinava. I passi si fermarono per un momento, poi ripresero.

«Eustacia?» chiese Wildeve.La persona che camminava venne avanti, e la luce illuminò la figura di Clym, grondante pioggia, che Wildeve

riconobbe immediatamente. Yeobright invece non vide subito Wildeve che si trovava nella zona in ombra dietro il fanale.

Si fermò dubbioso, forse chiedendosi se quel veicolo in attesa avesse qualcosa a che fare con la fuga di sua moglie. Vedendo Clym, l'animo di Wildeve s'infiammò di colpo: in lui vide il nemico mortale, il rivale a cui doveva strappare Eustacia a tutti i costi. Rimase dunque in silenzio, sperando che Clym andasse avanti senza fermarsi a indagare.

Mentre entrambi attendevano, incerti, un suono sordo si fece sentire al disopra del fragore del temporale e del vento. Impossibile non riconoscerlo: era il tonfo d'un corpo che cadeva nel fiume vicino, evidentemente a poca distanza dalla diga.

Entrambi trasalirono. «Buon Dio! Non sarà mica lei?» gridò Clym.«Perché dovrebbe esser lei?» disse Wildeve, dimenticando, nel suo terrore, d'essersi tenuto prima nascosto.«Ah!... Sei tu, traditore!» gridò Yeobright. «Perché dovrebbe esser lei? Perché la settimana scorsa, se avesse

potuto farlo, si sarebbe tolta la vita. Non bisognava perderla d'occhio! Prendi uno dei fanali e vieni con me.»Yeobright afferrò il fanale dalla sua parte e corse via; senza stare a staccare l'altro, Wildeve lo seguì

immediatamente lungo il sentiero attraverso il prato che portava alla diga, dove giunse subito dopo Clym.La diga di Shadwater aveva alla base un largo bacino circolare, del diametro d'una quindicina di metri, in cui

l'acqua fluiva attraverso dieci enormi chiuse, alzate e abbassate per mezzo di un argano e d'una ruota dentata, secondo il solito sistema. I lati del bacino erano in muratura per impedire che l'acqua portasse via le sponde; ma la forza della corrente in inverno era tale da intaccare il muro che la frenava e farlo crollare nel bacino stesso. Clym giunse alle chiuse, scosse sino alle fondamenta dalla forza della corrente. Nel bacino sottostante non si scorgeva altro che la spuma delle onde. Salì sul ponticello di tavole al disopra della gora e, tenendosi alla ringhiera perché il vento non lo buttasse giù, passò sull'altra riva del fiume. Là, sporgendosi dal muro, abbassò il fanale, ma non vide che il vortice formato continuamente dalla corrente.

Wildeve era intanto arrivato dall'altra parte, e la luce mobile e intermittente della lampada di Yeobright permise al suo occhio di ex ingegnere di distinguere il corso tumultuoso delle varie correnti che uscivano dalle chiuse. In questo specchio di acqua agitato e sconvolto si vedeva una forma scura lentamente trascinata da una corrente secondaria.

«Amore mio!» esclamò Wildeve con angoscia; e, senza neanche togliersi il mantello, si gettò nelle acque vorticose.

Anche Yeobright poteva ora scorgere, sia pure in modo indistinto, il corpo fluttuante, capì, sentendo il tuffo di Wildeve, che c'era da salvare una vita, e stava per buttarsi nell'acqua anche lui. Poi, ripensandoci, appoggiò il fanale contro un palo per farlo star dritto e, correndo dalla parte bassa del bacino, dove non c'era muro, ci entrò, avanzando decisamente verso la parte più profonda. Quando si sentì mancare il fondo, si mise a nuotare e la corrente lo portò al centro del bacino, proprio là dove Wildeve si stava dibattendo.

Mentre tutti questi fatti si susseguivano rapidamente, Venn e Thomasin scendevano faticosamente l'ultimo tratto della brughiera in direzione della luce. Non abbastanza vicini al fiume per udire il tonfo, videro la luce del fanale spostarsi attraverso il prato. Appena giunsero vicino al cavallo e al calesse, Venn capì che doveva esser accaduto qualche guaio e corse dietro alla luce in movimento; camminando più in fretta di Thomasin, arrivò alla diga da solo.

Il fanale appoggiato al palo da Clym illuminava ancora l'acqua, e Diggory vide un corpo inanimato che galleggiava. Non potendo far nulla perché aveva le creaturina in braccio, corse indietro incontro a Thomasin.

«Prendi la bambina, ti prego, Thomasin,» disse in fretta. «Corri a casa, chiama lo stalliere e digli di mandar qui tutti gli uomini che può trovare. Qualcuno è caduto nel bacino della diga.»

Thomasin prese la bimba e si mise a correre. Quando giunse al calesse messo al riparo riconobbe il cavallo che, sebbene appena uscito dalla scuderia, se ne stava perfettamente immobile, come se si rendesse conto della disgrazia. Fu quasi sul punto di svenire e non avrebbe più potuto muovere un passo se la volontà di portare in salvo la sua creatura non le avesse dato una straordinaria padronanza di sè. Dominata da una terribile angoscia entrò in casa, mise la bambina al sicuro, svegliò il ragazzo e la domestica e corse a dare l'allarme alla casa più vicina.

Tornato sulle rive del laghetto, Diggory osservò che le tavole di legno usate per tappare l'alto delle chiuse erano state tolte. Ne trovò una sull'erba accanto e, prendendola sotto un braccio e con la sua lanterna in mano, entrò al fondo del bacino, come aveva fatto Clym. Quando sentì l'acqua farsi profonda, si distese sulla tavola di legno; così

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sostenuto, poteva stare facilmente a galla, tenendo la lanterna in alto con la mano libera. Spingendosi coi piedi, fece più volte il giro del bacino, risalendo ogni volta una delle correnti secondarie e facendosi poi riportare giù da quella centrale.

Dapprincipio non vide nulla. Poi, tra i vortici scintillanti e le bianche chiazze di schiuma, vide galleggiare un cappello da donna. Si mise allora a cercare sotto il muro di sinistra, quando a un tratto vide emergere qualcosa, proprio vicino a lui. Ma non era il corpo d'una donna, come s'era aspettato, bensì d'un uomo. Diggory prese tra i denti l'anello della lanterna, afferrò l'uomo galleggiante per il colletto e, sempre tenendosi alla tavola con l'altro braccio, entrò nella corrente più forte che riportò in basso, trascinandoli, lui, la tavola e l'uomo privo di sensi. Appena si accorse di toccare il fondo di ghiaia, piantò i piedi in terra e mosse a guado verso la riva. L'acqua gli arrivava ormai soltanto alla cintola: buttò la tavola e tentò di tirar fuori l'uomo. Ma non era cosa facile perché, come scoprì, alle gambe del disgraziato erano avvinghiate con forza le braccia d'un altro uomo, rimasto finora sotto la superficie dell'acqua.

Si sentì balzare il cuore sentendo un suono di passi correnti, e due uomini, svegliati da Thomasin, comparvero sull'orlo del bacino sopra di lui. Subito corsero dov'era Venn e lo aiutarono a tirar su i due apparentemente annegati, a separarli e ad adagiarli sull'erba. Venn ne illuminò il volto con la lanterna. Quello ch'era stato sopra era Yeobright; l'altro, completamente sommerso, Wildeve.

«Dobbiamo cercare ancora,» disse Venn. «C'è una donna nell'acqua. Andate a prendere una pertica.»Uno degli uomini andò al ponticello e strappò via la ringhiera. Diggory e gli altri due entrarono allora insieme

nell'acqua come prima e, con tutte le loro forze unite, scandagliarono il fondo sino al punto in cui verso il centro diventava troppo profondo. Venn non aveva sbagliato nel supporre che un corpo definitivamente affondato sarebbe andato a finire proprio in quel punto; erano quasi a metà strada quando incontrarono un ostacolo.

«Tirate,» disse Venn, e gli altri lavorarono con la pertica finchè non ebbero l'ingombro ai loro piedi.Venn scomparve allora sott'acqua e riemerse portando tra le braccia un insieme di vesti che racchiudevano la

forma inanimata d'una donna: tutto quel che rimaneva della disperata Eustacia.Giunti a riva, trovarono Thomasin curva, folle d'angoscia, sui due tirati fuori dall'acqua. Il cavallo e il carro

furono portati al punto più vicino della strada e non ci vollero che pochi minuti per collocarvi i tre corpi esanimi. Venn guidò il cavallo, prendendolo per la briglia e sostenendo Thomasin con un braccio, e i due li seguirono fino alla locanda.

La domestica, svegliata da Thomasin, s'era vestita in fretta e aveva acceso il fuoco, lasciando la governante a dormire in pace nella sua stanza sul dietro della casa. I corpi esanimi di Eustacia, Clym e Wildeve furono posati sul tappeto, coi piedi rivolti verso il fuoco; si somministrarono loro i primi soccorsi e lo stalliere fu immediatamente mandato a chiamare il medico. Pareva che in nessuno dei tre esistesse più un filo di vita. Ma a un tratto Thomasin, che aveva vinto l'intontimento dell'angoscia dandosi a un'attività frenetica, applicò una bottiglia di ammoniaca alle narici di Clym, dopo averlo fatto inutilmente con gli altri due. Egli emise un sospiro.

«Clym è vivo!» esclamò Thomasin.Ben presto lo si sentì respirare regolarmente, mentre la donna tentava ancora più e più volte di rianimare il

marito con lo stesso sistema; ma Wildeve non diede segno di vita. Purtroppo era chiaro che nè lui nè Eustacia erano in condizioni tali da poter essere scossi da odori stimolanti. Continuarono tuttavia a tentare sino all'arrivo del dottore che li fece portare tutti e tre, uno dopo l'altro, al piano di sopra e mettere in letti riscaldati.

Vedendo che non c'era più bisogno di lui, Venn se ne andò, senza rendersi ancora ben conto della spaventosa catastrofe che aveva colpito la famiglia a cui tanto s'interessava. Certo Thomasin sarebbe rimasta sconvolta e affranta dall'improvisa, rovinosa sventura. Non c'era più la ferma e sensata signora Yeobright a sostenere la dolce creatura in questa prova; e, checchè potesse pensare un osservatore spassionato della perdita d'un marito come Wildeve, ella sarebbe rimasta senza dubbio smarrita e disperata. Quanto a sè, non avendo il diritto di starle accanto a confortarla, non poteva rimanere più a lungo in quella casa in cui non era che un estraneo.

Tornò al suo carrozzone, attraverso la brughiera. Il fuoco non era ancora spento, e tutto era come l'aveva lasciato. Pensò allora ai suoi abiti, pesanti come piombo per il peso dell'acqua. Si cambiò, appese gli indumenti bagnati dinanzi al fuoco, poi si mise a letto. Ma come poteva dormire, ossessionato com'era dal pensiero dell'agitazione e dell'angoscia che regnavano nella casa da cui era appena uscito? Si disse che aveva fatto male ad andarsene; e, indossati abiti asciutti, chiuse la porta e di nuovo s'affrettò verso la locanda. Pioveva ancora a dirotto quando entrò nella cucina. Nel camino era acceso un bel fuoco fiammeggiante, intorno a cui si davano da fare due donne: una di esse era Olly Dowden.

«Come va?» chiese Venn in un sussurro.«Il signor Yeobright sta meglio; ma la signora Yeobright e il signor Wildeve sono bell'e morti. Il dottore dice

ch'erano morti prima che uscissero dall'acqua.»«Ah! È parso anche a me quando li ho tirati fuori. E la signora Wildeve?»«Sta come può stare in simili condizioni. Il dottore l'ha fatta mettere a letto perché era bagnata come se fosse

stata nell'acqua anche lei, poveretta. Ma neanche voi sembrate molto asciutto, amico.»«Oh, non è niente. Mi sono cambiato. M'ha di nuovo bagnato la pioggia mentre venivo qui.»«Mettetevi vicino al fuoco. La padrona ha detto di darvi quello che volete, ed è rimasta dispiaciuta quando le

hanno detto che eravate andato via.»Venn s'avvicinò al fuoco e rimase a contemplare le fiamme con aria assente. Mentre il vapore che usciva dai

suoi gambali saliva su per il camino col fumo, pensava a quelli ch'erano di sopra. Due erano cadaveri, uno era sfuggito

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per miracolo alla morsa della morte, un'altra stava male ed era vedova. L'ultima volta in cui s'era trattenuto presso quel camino era stato la sera della lotteria; allora Wildeve era vivo e stava benissimo; Thomasin sfaccendava sorridendo nella stanza accanto; Yeobright e Eustacia s'erano appena sposati, e la signora Yeobright viveva ancora a Blooms-End. Pareva in quel momento che tutti sarebbero vissuti felicemente per almeno vent'anni. E invece era lui l'unico, tra tutti quanti, la cui posizione non fosse molto mutata.

Mentre stava così meditando, sentì un passo scendere le scale. Era la governante che portava in mano un rotolo di carta bagnata. Era così intenta alla propria occupazione che quasi non vide Venn. Tolse da un cassetto alcuni pezzi di spago che tese attraverso il camino, legandone i capi agli alari, che aveva prima tirato avanti a questo scopo e, srotolando le carte bagnate, incominciò ad appenderle, puntandole una a una allo spago, come si appendono i panni a una corda dopo il bucato.

«Che cosa sono?» chiese Venn.«Sono i biglietti di banca del povero padrone,» rispose la ragazza. «Glieli hanno trovati in tasca mentre lo

svestivano.»«Allora si preparava ad andarsene per un pezzo?» disse Venn.«Questo non lo sapremo mai,» rispose la ragazza.Venn non aveva nessuna voglia d'andarsene: tutto ciò che gli era caro si trovava sotto quel tetto. E dato che più

nessuno ormai avrebbe dormito quella notte, poteva benissimo rimanere. Si ritirò quindi in quell'angolo del camino in cui usava sedersi un tempo e là rimase, osservando il vapore che saliva dalla doppia fila dei biglietti di banca, ondeggianti avanti e indietro alle correnti d'aria del camino finchè non furono più fradici ma di nuovo asciutti e fruscianti. La ragazza venne allora a staccarli e, messili insieme, li portò al piano di sopra. A un tratto comparve il medico con l'aria di chi non può più far nulla e uscì di casa, infilandosi i guanti; si sentì il suono degli zoccoli del suo cavallo che s'allontanava lungo la strada.

Alle quattro, qualcuno bussò piano alla porta. Era Charley, mandato dal capitano Vye a sentire se si avevano notizie di Eustacia. La ragazza che gli aprì lo guardò in faccia come se non sapesse che cosa rispondergli e lo introdusse dov'era Venn, dicendo al venditore d'ocra: «Vuol dirglielo lei, per piacere?»

Venn glielo disse. Charley emise soltanto un debole suono indistinto. Per un momento rimase immobile: poi scoppiò a dire con uno spasimo: «Posso vederla ancora una volta?»

«Credo di sì,» disse Diggory, serio. «Ma non faresti meglio a correr subito ad avvertire il capitano Vye?»«Sì, sì. Ma prima voglio vederla ancora una volta.»«La vedrai,» disse una voce bassa dietro di lui; e, voltandosi entrambi di colpo, videro al fioco chiarore una

forma magra, pallida, quasi spettrale, avvolta in una coperta, come Lazzaro appena risuscitato dalla tomba.Era Yeobright. Nè Venn nè Charley parlarono, e Clym continuò: «La vedrai. Ci sarà tempo a dirlo al capitano

quando sarà giorno. Anche tu vorresti vederla, non è vero, Diggory? È così bella.»Venn assentì alzandosi in piedi e con Charley seguì Clym fino ai piedi delle scale, dove si tolse le scarpe, lo

stesso fece Charley. Seguirono Yeobright fino al pianerottolo, dove c'era una candela accesa; Yeobright la prese in mano e con essa li guidò nella stanza accanto. Qui si avvicinò al letto e abbassò il lenzuolo.

Senza dire una parola, guardarono Eustacia, più bella, nella pace della morte, di quel che fosse mai stata in vita. La sua carnagione non era soltanto pallida, ma più che bianca, quasi di luce. La bocca finemente disegnata sembrava sorridere come se un senso di discrezione l'avesse appena indotta a tacere. La rigidezza della morte l'aveva colta in un momento di transizione tra la passione e la rassegnazione. I folti capelli neri, sciolti ora come nessuno di loro li aveva mai visti, le formavano una foresta intorno alla fronte. Quella maestà ch'era parsa eccessiva in una donna abitante in quella landa, aveva trovato finalmente uno sfondo degno.

Nessuno parlò finchè Clym, dopo averla ricoperta, si volse.«Ora venite qui,» disse.Li condusse in un'alcova nella stessa stanza dove, su un letto più piccolo, giaceva un'altra figura: quella di

Wildeve. Il suo volto era meno sereno e riposato di quello di Eustacia, ma lo illuminava la stessa luce di giovinezza; e chiunque lo vedesse, anche nutrendo per lui poca simpatia, non poteva fare a meno di sentire che avrebbe dovuto avere un destino migliore. L'unico segno lasciato in lui dalla recente lotta per la vita era visibile sulla punta delle dita, consunte e lacerate negli ultimi sforzi da lui compiuti per attaccarsi al muro della diga.

Yeobright s'era comportato con tanta calma, aveva detto così poche parole dopo esser ricomparso, che Venn lo credeva rassegnato. Soltanto quando, usciti dalla camera, si fermarono sul pianerottolo, si rivelò veramente il suo stato d'animo. Con un sorriso da folle, indicando col capo la stanza in cui giaceva Eustacia, disse: «Ecco la seconda donna che ho ucciso quest'anno. Sono stato io la causa della morte di mia madre; e ora sono io il principale responsabile della sua.»

«Ma come?» chiese Venn.«Le ho detto parole crudeli che l'han fatta andar via di casa. Quando mi son deciso a richiamarla, era troppo

tardi. Sono io che avrei dovuto affogarmi. Sarebbe stato un bene per tutti se il fiume m'avesse travolto portando invece lei a galla Ma io non posso morire. Quelli che avrebbero dovuto salvarsi son morti: e io vivo ancora!»

«Non devi accusarti in questo modo,» disse Venn. «Tanto varrebbe giudicare i genitori colpevoli d'un delitto compiuto dal figlio, perché senza i genitori quel figlio non sarebbe mai nato.»

Page 139: La Brughiera

«Sì, Venn, questo è vero; ma tu non sai tutto. Se Dio avesse voluto por fine alla mia vita, sarebbe stato misericordioso. Ma ormai mi sto abituando all'orrore della mia posizione. Dicono che a un certo punto si può, per la forza dell'abitudine, ridere anche del dolore più terribile. Presto capiterà anche a me!»

«Tu hai sempre agito a fin di bene,» disse Venn. «Perché dici parole così disperate?»«No, non disperate, soltanto senza speranza: e ciò che più m'affligge è che nessun uomo, nessuna legge potrà

punirmi per quel che ho fatto!»

VI • QUEL CHE ACCADDE DOPO

NONOSTANTE TUTTO LA VITA PROSEGUE

Per molte settimane e molti mesi si parlò, in tutta Egdon e oltre, della morte di Eustacia e di Wildeve. Tutto ciò che si sapeva del loro amore fu esagerato, deformato, elaborato e modificato finchè ben poco della realtà originaria rimase nella versione corrente. Ma la loro fine improvvisa non tolse dignità nè all'uno nè all'altra. La sventura che li aveva colpiti, concludendo misericordiosamente la loro follia con una catastrofe, li aveva salvati da una vita meschina e insignificante, che avrebbero dovuto trascinare attraverso lunghi anni di rughe, d'abbandono, di decadenza.

Diverso fu l'effetto della tragedia su quelli direttamente interessati. Per gli estranei non fu che un nuovo fatto di cronaca, simile a tanti altri già accaduti; ma per chi riceve il colpo non è una consolazione sapere che lo stesso colpo è già stato vibrato contro altri. Il lutto era stato così improvviso che la pena di Thomasin ne fu come attenuata; ma - cosa abbastanza irrazionale - la certezza della colpa del marito non diminuì il suo rimpianto. Parve anzi esaltare la sua figura agli occhi della giovane moglie, come le nuvole fan meglio risaltare l'arcobaleno.

Finito era però il terrore dell'ignoto; dissipati i vaghi timori d'un avvenire di moglie abbandonata. Il peggio, argomento prima di trepide congetture, era ora contenuto nei limiti, pur dolorosi, d'una ragionevole realtà. Le rimaneva il suo tesoro più caro, la piccola Eustacia. Il suo dolore era pieno d'umiltà, nè c'era sfida nel suo atteggiamento; e in simili casi anche lo spirito più sconvolto finisce col placarsi.

Se si fossero potute mettere sullo stesso piano, l'attuale tristezza di Thomasin e la serenità di Eustacia quand'era in vita sarebbero apparse pressochè identiche. Ma Thomasin era stata un tempo così gaia da far apparire tristezza quella che in un'atmosfera più cupa avrebbe potuto sembrare luce di gioia.

La primavera le diede una certa calma; l'estate la riportò alla serenità; al giunger dell'autunno incominciò a sentirsi consolata perché la sua piccina era sana e allegra, e cresceva ogni giorno in statura e intelligenza. Le sue condizioni materiali erano ottime. Wildeve era morto senza lasciar testamento e non aveva altri parenti all'infuori di lei e della bambina. Quando, fatti i conti e pagati i debiti, ella venne finalmente in possesso del patrimonio dello zio di suo marito, si vide che la somma da investire in favore suo e della figlia era di poco inferiore alle diecimila sterline.

Dove stabilirsi? Evidentemente a Blooms-End. Certo le vecchie stanze erano basse come la stiva d'una nave e, per farci entrare il grosso pendolo nuovo portato dalla locanda, fu necessario fare un buco nel pavimento e togliere i bei pomi d'ottone che sormontavano la cassa; ma, pur nei loro limiti, le stanze erano molte e abbellite per lei dai ricordi dell'infanzia. Clym fu lieto di darle in affitto la casa, riservandosi soltanto due stanze in cima alla scala di servizio, in cui viveva tranquillo, solitario e chiuso nei propri pensieri, completamente isolato da Thomasin e dalle tre domestiche ch'ella aveva creduto opportuno assumere ora ch'era ricca.

I dolori sofferti avevano alquanto mutato il suo aspetto esterno; ma il cambiamento era soprattutto interiore. Sembrava che il suo spirito si fosse inaridito. Non aveva amici e nessuno gli rimproverava nulla: forse proprio per questo si rimproverava così amaramente.

Pensava a volte d'esser stato trattato ingiustamente dalla fortuna, e arrivava persino a dire che il nascere impone all'uomo un pauroso dilemma e che, invece di aspirare a procedere gloriosamente nella vita, meglio sarebbe preoccuparsi di uscirne senza troppa vergogna. Ma questo suo stato d'animo non durò a lungo. Soltanto uno spirito rigidamente ascetico può continuare per un pezzo a sentirsi oggetto dell'ostilità, della beffa e della crudele persecuzione del destino. Gli esseri umani, nel loro sforzo generoso di costruire un'ipotesi che non degradi la Causa Prima, hanno sempre esitato a concepire un potere dominante di qualità morale inferiore alla propria; e, anche quando piangono lungo le acque di Babilonia, trovan modo di giustificare la forza arcana che ha provocato le loro lagrime.

Anche se respingeva le parole di conforto a lui rivolte, trovava sollievo, rimasto solo, nel poter seguire la propria inclinazione. Per uno con le sue modeste abitudini, la casa e le cento e venti sterline all'anno ereditate dalla madre erano più che sufficienti. I mezzi non dipendono dall'ammontare delle somme, ma dalla proporzione tra quanto si spende e quanto si possiede.

Nelle sue frequenti e solitarie passeggiate nella brughiera, il passato s'impadroniva di lui con la sua mano tenebrosa, costringendolo ad ascoltare la sua voce e la sua storia. Evocava allora nella fantasia gli antichi abitanti del luogo: dimenticate tribù di razza celtica si muovevano intorno a lui sulle piste appena tracciate: quasi gli pareva di vivere con questi esseri lontani, di guardarli in faccia, di vederli accanto ai tumuli sparsi attorno, intatti e perfetti come quand'eran stati costruiti. I barbari dal volto dipinto che avevano scelto in seguito i tratti della brughiera coltivabili

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erano, paragonati a quelli che avevano lasciato qui le loro tracce, come chi scriva sulla carta a paragone di chi scrive sulla pergamena. Da tempo l'aratro aveva distrutto i loro segni, mentre le opere di questi ancora esistevano, resistendo al tempo. Eppure erano vissuti tutti ignorando il diverso destino che attendeva le loro opere. E questo gli ricordava che fattori imprevisti influivano sull'evoluzione dell'immortalità.

Tornò l'inverno coi suoi venti, il gelo, i pettirossi domestici e lo splendore notturno delle stelle. L'anno prima Thomasin quasi non s'era resa conto del mutare delle stagioni; quest'anno invece il suo cuore era aperto alle influenze d'ogni genere. La vita di questa dolce cugina, della sua bambina e delle domestiche giungeva ai sensi di Clym solo in forma di suoni attraverso una tramezza di legno, mentre stava curvo su libri coi caratteri eccezionalmente grandi; ma il suo orecchio finì coll'abituarsi a questi rumori leggeri a tal punto che quasi vedeva le scene a cui s'accompagnavano. Un debole battito a ogni secondo evocava in lui l'immagine di Thomasin che faceva dondolare la culla, un ronzio come di nenia significava ch'ella stava cantando per addormentare la piccina; sentendo scricchiolare la ghiaia come sotto una mola, immaginava i grossi piedi di Humphrey, di Fairway o di Sam che attraversavano la cucina dal pavimento di pietra; un passo leggero e giovanile, un'allegra canzone in tono di falsetto annunciavano una visita di Nonno Cantle, una improvvisa interruzione nelle sue chiacchiere avvertiva che stava portandosi alle labbra un bicchiere di birra; agitazione e sbatter di porte significavano che si andava al mercato; che Thomasin, nonostante avesse ora la possibilità di vivere in modo più comodo e ricco, conduceva una vita estremamente modesta, con lo scopo di serbare ogni soldo per l'avvenire della figlioletta.

In un giorno d'estate Clym era in giardino, vicino alla finestra del salotto, aperta come al solito. Guardava i vasi sul davanzale che la cugina aveva rimesso in ordine, come ai tempi di sua madre. Sentì Thomasin, ch'era nella stanza, gettare un piccolo grido.

«Oh, mi hai spaventata!» disse a qualcuno ch'era entrato. «T'ho creduto il fantasma di te stesso.»Curioso, Clym fece alcuni passi e gettò un'occhiata dalla finestra. E, con meraviglia, vide nella stanza Diggory

Venn, non più rosso dalla testa ai piedi, ma con l'aspetto, nuovo in lui, d'una persona perfettamente normale; aveva la camicia bianca, un panciotto a fiori, un fazzoletto da collo a bolli azzurri e una giacca color verde bottiglia. Non c'era nulla di singolare nel suo aspetto tranne l'enorme differenza da quel ch'era stato un tempo. Il rosso e tutto quel che poteva far pensare al rosso era stato accuratamente escluso da ogni parte del suo vestiario; chè chi si sia appena liberato dal giogo d'un lavoro nulla teme quanto ciò che gli ricorda il mestiere col quale s'è arricchito.

Yeobright venne alla porta ed entrò.«Mi ha fatto paura!» disse Thomasin, guardando sorridendo prima l'uno e poi l'altro. «Non potevo credere che

fosse diventato bianco di sua volontà! M'è parsa una cosa sovrannaturale.»«Ho smesso di commerciare in ocra il Natale scorso,» disse Venn. «Ho visto che, coi miei guadagni, potevo

ormai comperare la fattoria con cinquanta mucche che aveva mio padre quand'era vivo. Avevo sempre pensato di riprendermela se cambiavo mestiere; e così ho fatto.»

«Ma come sei riuscito a ridiventare bianco, Diggory?»«Oh, lo sono diventato poco per volta.»«Così sei molto più bello.»Venn parve confuso; e Thomasin, rendendosi conto d'aver parlato con troppa avventatezza a un uomo che forse

era ancora innamorato di lei, arrossì leggermente. Clym non se n'accorse, e aggiunse, con tono bonario:«E con che cosa faremo paura alla bimba di Thomasin, adesso che sei ridiventato un essere umano?»«Suvvia, Diggory,» disse Thomasin; «fermati qui per il tè.»Venn fece l'atto di uscire per andarsene in cucina, ma Thomasin, continuando a cucire, s'affrettò ad aggiungere

amabilmente: «Ma no, resta qui con noi. E dov'è la tua fiattoria con le cinquanta mucche?»«A Stickleford... circa due miglia a destra di Alderworth, là dove incominciano i prati. Se Clym venisse

qualche volta a trovarmi mi farebbe molto piacere. Oggi non posso rimanere al tè, grazie, perché ho una faccenda da sistemare. Domani è Calendimaggio e quelli di Shadwater hanno combinato con alcuni vicini di piantare l'albero nella brughiera proprio dinanzi alla staccionata della vostra casa, dove c'è un bello spiazzo verde.» E indicò col gomito il prato dinanzi alla casa. «Ne ho parlato con Fairway» continuò, «e gli ho detto che prima dovevamo chiedere il permesso alla signora Wildeve.»

«Non potrei comunque impedirlo,» rispose Thomasin. «I nostri diritti di proprietà finiscono esattamente alla staccionata.»

«Ma potrebbe spiacerti veder una folla di gente che impazza intorno un palo proprio sotto il tuo naso.»«Non mi dispiace affatto.»Poco dopo Venn se ne andò e alla sera Yeobright si spinse passeggiando sino alla casetta di Fairway. Era una

bella serata primaverile, e le betulle che crescevano sul margine dell'immensa distesa deserta di Egdon avevan messo da poco le foglie nuove, delicate come ali di farfalla e diafane come ambra. Accanto alla casa di Fairway c'era una piazzetta aperta isolata dalla strada, e qui s'eran radunati tutti i giovani abitanti nel raggio d'un paio di miglia. Il grosso albero di maggio era appoggiato con un'estremità a un cavalletto e le donne si davano da fare ad adornarlo inghirlandandolo tutto di fiori di campo. Gli istinti dell'allegra Inghilterra sopravvivevano qui con vitalità eccezionale, e le usanze simboliche legate dalla tradizione a ogni stagione dell'anno a Egdon erano ancora una realtà. Questi villaggi isolati sono ancora, nel loro spirito, intimamente pagani; si direbbe che, in questi luoghi, il culto della natura,

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l'adorazione di sè, La sfrenata gaiezza, frammenti di riti teutonici rivolti a divinità di cui si sono dimenticati i nomi, siano in un modo o nell'altro sopravvissuti alle dottrine medievali.

Yeobright non volle disturbare i preparativi e tornò a casa. Il mattino dopo, quando Thomasin aprì le tende della finestra della sua camera, vide l'albero di maggio in mezzo al prato, con la cima svettante nel cielo: quasi fosse cresciuto nella notte, o meglio nelle prime ore del mattino, come la pianta di fagioli del Giovannino della favola. Spalancò la finestra per veder meglio le ghirlande e i mazzi che l'adornavano. Il dolce profumo dei fiori s'era già diffuso nell'aria attorno che, non inquinata da altri odori, portava alle sue labbra tutta la fragranza emanata da quella spirale fiorita. C'erano in cima cerchietti adorni di fiorellini; subito sotto, una zona di biancospino color del latte; poi una striscia di campanule azzurre, poi un'altra di primule, di serenella, di dafne, di narcisi gialli, e così via, sino in fondo. Thomasin osservò tutto quanto e fu lieta che la festa di maggio si svolgesse così vicino alla sua casa.

Nel pomeriggio la gente incominciò a radunarsi nello spiazzo verde e Yeobright, ch'era nella sua stanza, s'affacciò a guardare. Quasi subito Thomasin uscì dalla porta immediatamente sotto la sua finestra e, alzando gli occhi, vide il cugino. Era vestita di chiaro, come Yeobright non l'aveva più vista dopo la morte di Wildeve, diciotto mesi prima; mai, dopo il giorno delle nozze, era apparsa così graziosa.

«Come sei bella oggi, Thomasin!» disse. «È per la festa di maggio?»«Non proprio,» rispose Thomasin, arrossendo e abbassando gli occhi. Pur non facendoci troppo caso, Clym

ebbe l'impressione che ci fosse nei suoi modi qualcosa di strano. Possibile che si fosse vestita a colori chiari per lui?Ripensò alle ultime settimane, in cui avevano spesso lavorato insieme in giardino, come facevano un tempo, da

ragazzi, sotto gli occhi di sua madre. E se l'affetto di Thomasin per lui non fosse stato ora un semplice affetto di cugina, com'era stato un tempo? La sola possibilità d'una cosa simile lo turbava profondamente. Tutta la sua capacità d'amore, non esaurita quando Eustacia era viva, era scesa nella tomba con lei. La passione s'era impadronita di lui quand'era ormai troppo maturo, e noll gli era rimasto il vigore necessario per alimentarne un'altra come avrebbe potuto accadere a un uomo più giovane. E, anche se fosse stato ancora capace d'innamorarsi, il suo amore sarebbe stato una pianta dallo sviluppo lento e faticoso, destinata a rimanere stenta e malaticcia, come un uccellino nato in autunno.

Afflitto da questa nuova complicazione, quando, verso le cinque, arrivò la robusta banda di ottoni e si mise a suonare con tanta forza da far tremare la casa, Clym uscì dalla porta di servizio, attraversò il giardino, aprì il cancelletto nella siepe, e scomparve. Nonostante la migliore buona volontà, non se la sentiva quel giorno d'assistere all'allegria altrui.

Per quattr'ore nessuno lo vide. Quando tornò per lo stesso sentiero era già scuro e la rugiada s'era posata sull'erba e sui cespugli. L'allegra musica s'era taciuta; ma, essendo entrato in casa dalla porta di servizio, non poteva sapere se la festa era finita finchè non si fosse, passando nella parte della casa occupata da Thomasin, affacciato alla porta davanti. Thomasin era in piedi sotto il portico, sola.

Lo guardò con aria di rimprovero. «Te ne sei andato proprio quando la festa è incominciata, Clym,» disse.«Sì. Non ho avuto cuore di parteciparvi. Tu ci sei andata?»«No.»«Ma non t'eri vestita apposta?»«Sì, ma non potevo andarci da sola c'era tanta di quella gente. C'è ancora uno là fuori.»Yeobright aguzzò gli occhi per vedere nello spiazzo verde scuro al di là della staccionata e, accanto alla

sagoma nera dell'albero di maggio, scorse confusamente una figura che andava su e giù. «Chi è?» chiese.«Diggory Venn,» disse Thomasin.«Perché non l'hai fatto entrare, Tamsie? È stato sempre così gentile con te.»«Lo farò adesso,» diss'ella; e subito, d'impulso, uscì dal cancello e s'avvicinò a Venn presso l'albero.«Ah! Sei tu, Diggory Venn?»Da quel furbone che era, Venn finse di trasalire, come se non l'avesse vista arrivare. «Sì,» rispose.«Non vuoi entrare un momento?»«Ho paura che...»«Ti ho visto ballare tutta la sera con le più belle ragazze del vicinato. Stai qui per ripensare alle belle ore

trascorse?»«Può anche darsi,» disse Venn, dandosi un po' di arie. «Ma sto qui soprattutto per aspettare che spunti la luna.»«Vuoi ammirare l'albero al chiaro di luna?»«No. Voglio cercare un guanto che una ragazza ha lasciato cadere.»Thomasin rimase senza parole per la sorpresa. Che un uomo il quale doveva percorrere quattro o cinque miglia

per arrivare a casa, si trattenesse lì per una ragione simile, poteva significare una cosa sola: che provava un interesse straordinario per la proprietaria del guanto.

«Hai ballato con lei, Diggory?» chiese; e si sentiva dal suo tono come la scoperta avesse reso Venn molto più interessantc ai suoi occhi.

«No,» egli rispose con un sospiro.«Non vuoi entrare allora?»«Non questa sera, grazie.»«Vuoi che ti dia una lanterna per cercare il guanto?»«Oh, no; non è necessario, ti ringrazio. La luna sta ormai per spuntare.»

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Thomasin risalì sotto il portico. «Viene?» chiese Clym, ch'era rimasto ad attenderla dove l'aveva lasciato.«No, questa sera non vuole,» ella disse; e, passandogli dinanzi, entrò in casa; anche Clym si ritirò allora nelle

sue stanze.Quando Clym se ne fu andato, Thomasin salì pian piano le scale al buio e, dopo essersi fermata accanto alla

culla un momento, per assicurarsi che la bimba dormisse, s'avvicinò alla finestra, sollevò l'angolo della tendina bianca e guardò fuori. Venn c'era ancora. Vide il vago diffuso chiarore illuminare gradatamente la collina a levante, finchè di colpo l'orlo della luna esplose verso l'alto inondando la valle di luce. La figura di Diggory era ora distintamente visibile sul prato; muoveva avanti e indietro, curva, evidentemente cercando tra l'erba il prezioso oggetto perduto, camminando a zig zag, scrutando ogni tratto di terreno.

«Che cosa ridicola!» mormorò tra sè Thomasin, con tono che voleva essere ironico. «Come fa un uomo a preoccuparsi tanto del guanto d'una ragazza? E per di più un rispettabile fattore, e anche ricco, com'è ora. Una vera assurdità!»

Parve infine che Venn avesse trovato quel che cercava; si alzò e portò il guanto alle labbra. Poi, mettendolo nel taschino della giacca - il posto più vicino al cuore nell'abbigliamento d'un uomo moderno - risalì la valle in linea matematicamente diretta verso la sua lontana oasa tra i prati.

THOMASIN VA A PASSEGGIO IN UN PRATICELLO VERDE PRESSO LA STRADA ROMANA

Passarono diversi giorni in cui Clym quasi non vide Thomasin; e quiando s'incontrarono la trovò più silenziosa del solito. Alla fine le chiese a che mai pensasse così intensamente.

«Sono davvero perplessa,» ella rispose con candore. «Non riesco a capire di chi sia innamorato Diggory Venn. Nessuna delle ragazze che son venute alla festa di maggio è adatta per lui; eppure dev'essere una di quelle.»

Clym pensò per un momento chi mai poteva essere la prescelta da Venn; ma la cosa in fondo non l'interessava e continuò a lavorare in giardino.

Passò qualche tempo senza che il mistero fosse chiarito. Ma un pomeriggio Thomasin era di sopra e si stava preparando per uscire, quando, affacciandosi al pianerottolo, chiamò: «Rachel!» Rachel era una ragazza sui tredici anni che portava a spasso la bambina; chiamata, s'affrettò a salire.

«Hai visto in giro uno dei miei guanti nuovi, Rachel?» chiese Thomasin. «È il compagno di questo.»Rachel non rispose.«Perché non rispondi?» chiese la padrona.«Credo che si sia perduto, signora.»«Perduto? E chi può averlo perduto? Li ho messi soltanto una volta.»Rachel parve terribilmente turbata e alla fine si mise a piangere. «Mi scusi, signora, ma il giorno del

Calendimaggio non avevo guanti da mettermi e, vedendo i suoi sulla tavola, ho pensato di prenderli. Li ho tenuti con cura, ma, non so come, ne ho perduto uno. Qualcuno m'ha dato del denaro perché ne comprassi un altro paio uguale, ma io non ho ancora potuto andare a cercarlo.»

«E chi è questo qualcuno?»«Il signor Venn.»«Sapeva che il guanto era mio?»«Sì. Gliel'ho detto io.»Thomasin fu così sorpresa dalla spiegazione che dimenticò addirittura di rimproverare la ragazza, e questa se la

filò silenziosamente. Girò gli occhi per osservare lo spiazzo verde su cui avevano eretto l'albero di maggio. Riflettè per un momento, poi decise che quel pomeriggio, invece di uscire, sarebbe rimasta in casa a finire il bel vestitino nuovo di stoffa scozzese che stava facendo per la bambina secondo l'ultimo modello. Come riuscisse, lavorando indefessamente, a concludere così poco sarebbe stato un mistero per chi non sapesse come il recente episodio avesse deviato la sua attività dal piano manuale a quello mentale.

Il giorno dopo trascorse come al solito e Thomasin uscì, com'era sua abitudine, a fare una passeggiata nella brughiera in compagnia della piccola Eustacia, che aveva ora l'età in cui ancora non si capisce se certi piccoli personaggi decideranno di camminare con le mani o coi piedi; tentano di farlo in entrambi i modi e si trovano spesso in guai e difficoltà. Dopo aver portato la piccina in un posto tranquillo e solitario, Thomasin amava farla camminare un poco sull'erba tenera e sul timo che formavano come un morbido tappeto su cui poteva cadere senza pericolo quando perdeva l'equilibrio.

Una volta, mentre la stava così esercitando, china per togliere pezzetti di legno, steli di felci e altri ostacoli dal sentiero seguito dalla bambina, affinchè la sua passeggiata non finisse dinanzi a qualche insuperabile barriera alta pochi centimetri, trasalì accorgendosi che un uomo a cavallo le era giunto vicino. Il morbido tappeto naturale aveva attutito il rumore degli zoccoli del cavallo. Il cavaliere, ch'era Venn, la salutò agitando il cappello e inchinandosi galantemente.

«Restituiscimi il guanto, Diggory,» disse Thomasin, abituata ad affrontare direttamente l'argomento che le stava a cuore.

Venn scese subito da cavallo, si mise la mano nel taschino della giacca e le porse il guanto.«Grazie. Sei stato molto gentile a conservarlo.»

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«E tu sei molto gentile a dirmi questo.»«No. Son stata felice quando ho saputo che l'avevi tu. In mezzo a tanta gente indifferente, m'ha fatto piacere

sapere che qualcuno pensa a me.»«Se tu ricordassi i miei sentimenti d'una volta, non ti dovresti meravigliare.»«Via, via,» s'affrettò a rispondere Thomasin. «Gli uomini come te sono tipi così indipendenti.»«E come sono io?»«Non saprei spiegarlo con precisione» rispose Thomasin semplicemente; «sei uno che sa nascondere i suoi

sentimenti sotto un tono scherzoso, e li dimostra soltanto quand'è solo.»«E come fai a saperlo?» chiese Venn diplomaticamente.«Lo so,» rispose Thomasin, chinandosi per rimettere in piedi la bambina ch'era caduta.«Non si deve giudicar la gente in modo generico,» disse Venn. «E poi che cos'è il sentimento al giorno d'oggi?

Sono tanto impegnato nei miei affari, un po' per una cosa e un po' per l'altra, che i miei sentimenti più teneri si sono come evaporati. Ormai mi dedico corpo e anima a far denaro. È questo il mio unico sogno.»

«Vergogna, Diggory!» disse Thomasin in tono di rimprovero, e lo guardò bene in faccia, per capire se diceva sul serio o solo per stuzzicarla.

«Già, la cosa può sembrar strana,» disse Venn, col tono blando di chi si rassegni senza troppo sforzo a un difetto contro cui non se la sente più di lottare.

«E pensare che una volta ti trovavo così simpatico!»«Mi fa piacere sentirtelo dire, perché quel ch'è stato una volta può sempre ricominciare.» Qui Thomasin

arrossì. «Anche se adesso è un po' più difficile,» continuò Venn.«Perché?» ella chiese.«Perché tu sei più ricca d'una volta.»«Oh, no, ... non molto almeno. Ho messo quasi tutto in testa alla bambina, com'era mio dovere, tenendomi solo

quanto mi basta per vivere.»«Ne sono lieto» disse Venn con dolcezza e guardandola con la coda dell'occhio, «perché così potremo più

facilmente essere amici.»Thomasin arrossì di nuovo; poi, scambiate ancora poche parole cortesi, Venn risalì a cavallo e s'allontanò.La conversazione s'era svolta in un avvallamento della brughiera nei pressi dell'antica strada romana, luogo

frequentato normalmente da Thomasin. Il fatto di averci incontrato Venn quel giorno non la distolse dal frequentarlo come prima. E se Venn si astenesse o no dall'andarci perché ci aveva trovato Thomasin lo si potrà facilmente arguire da quel ch'ella fece circa due mesi dopo.

DISCORSO SERIO DI CLYM CON SUA CUGINA

In tutto questo periodo Yeobright aveva continuato a riflettere sui suoi doveri nei riguardi di Thomasin. Sarebbe stato un vero peccato, pensava, che una creatura tenera e dolce come sua cugina fosse condannata, così giovane, a veder decadere e sfiorire le proprie qualità e il proprio fascino in quel mondo di ginestra e di felci. Ma lo pensava con lo stato d'animo dell'economista, non dell'innamorato. La passione per Eustacia era stata il fulcro della sua vita e ben poco gli rimaneva da dare a un'altra donna. Meglio quindi non pensare a sposare Thomasin, neanche col semplice intento di renderla felice.

Ma questo non era tutto. Molti anni prima, sua madre aveva sperato che nascesse tra loro due un sentimento diverso dall'affetto tra cugini. Anche se non aveva mai espresso il proprio desiderio, era stato un sogno a lei caro: con gioia li avrebbe visti un giorno marito e moglie, se questo li avesse resi entrambi felici. Che cosa doveva fare quindi un figlio che venerava la memoria di sua madre come Yeobright? Chissà mai perché una fantasia dei genitori - i quali, mentre eran vivi, vi avrebbero facilmente rinunciato dopo mezz'ora di conversazione - deve venir sublimata dalla loro morte in una specie d'imperativo assoluto, dando, per quel che riguarda questi figli così scrupolosi, risultati che i genitori stessi, se fossero ancora vivi, sarebbero i primi a deplorare.

Se si fosse trattato soltanto del proprio avvenire, Yeobright non avrebbe esitato neanche un momento a proporre a Thomasin di sposarlo. Ma gli ripugnava pensarla legata a una parvenza d'innamorato, a un vuoto involucro, quale si sentiva ormai. Tre soltanto erano le attività a cui si dedicava ancora con passione: la quasi giornaliera passeggiata al cimitero in cui era sepolta sua madre; le altrettanto frequenti visite fatte di sera al camposanto più lontano che ospitava tra gli altri morti la sua Eustacia; e la preparazione a un mestiere che gli sembrava ormai l'unico capace di soddisfare le sue esigenze, quello di predicatore ambulante dell'undicesimo comandamento. Come avrebbe potuto rendere felice Thomasin un marito con simili gusti?

Decise tuttavia di farle la proposta, e di lasciar che fosse la cugina a decidere. E fu col senso piacevole di assolvere a un dovere che una sera scese da lei con questo scopo, mentre il sole stampava sulla valle la lunga ombra del tetto della casa, che aveva contemplato tante volte quando sua madre era viva.

Thomasin non era nella sua camera e la trovò in giardino. «Da un pezzo, Thomasin,» incominciò, «ho in cuore una cosa che riguarda l'avvenire di entrambi.»

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«E vuoi dirmelo proprio ora?» ella rispose pronta, arrossendo nell'incontrare il suo sguardo. «Aspetta un momento, Clym, lascia che parli prima io; può sembrar strano, ma anch'io da un pezzo ho qualcosa da dirti.»

«Parla, ti prego, Tamsie.»«Non c'è nessuno che ci senta?» continuò Thomasin gettando un'occhiata attorno e abbassando la voce. «Prima

però mi devi promettere una cosa: che non andrai in collera con me, e non mi dirai cose cattive anche se non sei d'accordo.»

Yeobright promise, ed ella continuò: «Voglio il tuo consiglio, perché tu sei un parente, direi anzi una specie di tutore, per me; non è vero, Clym?»

«Sì, credo; una specie di tutore. Sì, certo,» disse, un po' perplesso, non comprendendo dove voleva andar a finire.

«Penso di sposarmi,» diss'ella allora con tono incerto. «Ma non lo farò se tu non approvi. Perché non dici nulla?»

«Mi ha preso alla sprovvista. Ma la notizia mi rende felice. Certo che approvo, cara Tamsie. Ma chi è il fortunato? Non riesco a indovinarlo. Ah, ecco, ho capito... è il vecchio dottore! Non che sia poi tanto vecchio anche se l'ho chiamato così, per affetto. Avevo notato qualcosa, quand'è venuto a visitarti l'ultima volta!»

«No, no,» s'affrettò a rispondere Thomasin, «non è il dottore. È Venn.»Il volto di Clym si fece improvvisamente serio.«Ecco, vedi, Venn non ti va, e preferirei non avertene parlato!» esclamò allora Thomasin con una certa

vivacità. «Non volevo dirtelo infatti, ma continua a insistere, e io non so più che cosa fare.»Clym si volse a guardare verso la brughiera. «Non è che Venn non mi vada,» rispose infine. «È un uomo ,al

tempo stesso onestissimo e accorto. Ed è anche intelligente come dimostra il fatto ch'è riuscito quasi a convincerti. Ma, a voler essere sinceri, Thomasin, non è...»

«Degno di me, non è vero? È proprio quello che penso anch'io. Mi spiace d'avertene parlato, e non ci penserò più. Una cosa però debbo dirti: se mai dovrò sposare qualcuno, sarà lui!»

«E perché poi?» chiese Clym, astenendosi dal fare il minimo accenno alle proprie intenzioni che evidentemente ella non aveva neppure sospettato. «Potresti sposare un professionista, o qualcuno del genere, se tu andassi a vivere in città e conoscessi gente nuova.»

«Ma io non sono adatta alla vita di città: sono una semplice ragazza di campagna. Non vedi come sono rozza?»«Mi sei parsa un po' rozza, quando sono arrivato da Parigi, ma ora non più.»«Perché stai diventando anche tu un campagnolo. Oh, per nulla al mondo mi rassegnerei a vivere in una via di

città. Egdon non è certo un posto molto brillante; ma io ci sono abituata e non potrei essere felice altrove.»«Nemmeno io,» disse Clym.«E allora perché vuoi farmi sposare un cittadino? Qualunque cosa tu dica sono convinta che, se sposerò

qualcuno, sarà proprio Diggory. È l'uomo più buono che io abbia mai conosciuto, e non ti so dire quanto m'ha aiutata,» disse Thomasin con un principio di broncio.

«Sì, è vero,» disse Clym con tono obiettivo. «Sarei felice di poterti dire: sposalo. Ma non posso dimenticare qual era in proposito l'opinione di mia madre, e mi spiace andarle contro. Non ti sembra giusto fare quel poco che si può per rispettarla?»

«E va bene allora,» sospirò Thomasin. «Non parliamone più»«Ma tu non sei tenuta a obbedire ai miei desideri. Ho detto semplicemente la mia opinione.»«Io non voglio essere una ribelle,» diss'ella con tristezza. «Non dovevo pensare a lui... dovevo pensare alla mia

famiglia piuttosto. Ma vedi che cattivi istinti ci sono in me!» Le sue labbra tremavano, e girò il volto per nascondere una lacrima.

Benchè urtato da quello che gli sembrava un gusto assai discutibile da parte di Thomasin, Clym provò tuttavia un certo sollievo nel rendersi conto che lo sposarla era, per quel che riguardava se stesso, fuori questione. Nei giorni che seguirono la vide, dalla sua finestra, girare in giardino con aria sconsolata. Gli spiaceva che avesse scelto proprio Venn; ma gli spiaceva anche ostacolare la felicità di Venn che dopo tutto era uno dei migliori partiti di Egdon, tanto più ora che aveva cambiato mestiere. Non sapeva, insomma, che cosa fare.

La prima volta che s'incontrarono, ella gli disse di colpo: «Adesso è molto più rispettabile di allora!»«Chi? Ah, ho capito: Diggory Venn.»«La zia era contraria soltanto per via del suo mestiere.»«Forse, Thomasin; del resto io non so bene quello che pensava mia madre in proposito. Devi esser tu a

decidere usando il tuo giudizio.»«Ma tu penserai che ho mancato di riguardo alla memoria di tua madre.»«No, Thomasin. Penserò che tu ti sia convinta che, se vedesse ora Diggory, tua zia lo giudicherebbe un marito

adatto per te. Ecco il mio vero sentimento. Non chiedermi più consiglio, ma decidi come vuoi, Thomasin. E io sarò contento.»

Evidentemente Thomasin si convinse; perché, alcuni giorni dopo questa conversazione, mentre passeggiava in una parte della brughiera dove non era stato da un pezzo, Clym incontrò Humphrey, intento al lavoro.

«Son lieto di vedere che, a quanto sembra, la signora Wildeve e Venn si sono messi d'accordo,» gli disse Humphrey.

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«Ah, sì?» rispose Clym distrattamente.«Sicuro: ogni volta che, nelle belle giornate, lei va fuori con la bambina, lui fa in modo d'incontrarla, come per

caso. Ma non posso far a meno di pensare, signor Yeobright, che sua cugina avrebbe dovuto sposare lei. È un peccato accendere due fuochi quando se ne potrebbe accendere uno solo. Ma forse, se volesse, potrebbe ancora portargliela via.»

«Come avrei il coraggio di sposarmi ancora dopo aver spinto due donne alla morte? Non pensarci nemmeno, Humphrey. Dopo quanto è accaduto, mi sembrerebbe grottesco portare una donna in chiesa per sposarla. Come dice Giobbe: "Ho fatto un patto con i miei occhi; perché dovrei pensare a una donna?"»

«Ma no, signor Clym, non si metta in mente d'esser stato lei la causa della morte di quelle due. Non deve dire una cosa simile.»

«Non parliamone più allora,» disse Yeobright. «Comunque, Dio ha impresso su di me un marchio che stonerebbe in una scena d'amore. Ho soltanto due aspirazioni ormai: aprire una scuola serale, e fare il predicatore. Che cosa ne dici, Humphrey?»

«Verrò ad ascoltarla con entusiasmo.»«Grazie. È tutto quello che desidero.»Mentre Clym discendeva nella valle Thomasin arrivava dall'altra parte e s'incontrarono al cancello. «Indovini

che cosa debbo dirti, Clym?» ella chiese, voltandosi a guardarlo con aria maliziosa.«Credo di sì,» egli rispose.Ella lo guardò bene in faccia. «Sì, hai indovinato. Ho finito col decidermi. Ha tanto insistito che mi ha

convinta. Se non hai niente in contrario, ci sposeremo il venticinque del mese prossimo.»«Sei libera di far quello che credi, cara. Niente mi rallegra come il vederti nuovamente felice. Il mio sesso ti

deve un'ammenda per il trattamento che hai ricevuto in passato.»

TORNA LA GIOIA A BLOOMS-END E CLYM SCOPRE FINALMENTE LA PROPRIA VOCAZIONE

Chi fosse passato a Blooms-End verso le undici del mattino fissato per le nozze avrebbe osservato che, mentre la casa di Yeobright era relativamente tranquilla, nella casa più vicina, quella di Timothy Fairway, regnavano il chiasso e l'agitazione. Si sentiva soprattutto un vivace rumore di passi sul pavimento coperto di sabbia. Fuori c'era un uomo soltanto, che doveva essere in ritardo sull'appuntamento fissato perché mosse rapidamente verso la porta, tirò il paletto ed entrò senza far cerimonie.

Dentro, si svolgeva un'attività piuttosto insolita. C'erano tutti gli uomini che formavano la più importante combriccola di Egdon: Fairway, nonno Cantle, Humphrey, Christian, e due o tre tagliatori di ginestra. Faceva caldo ed erano tutti in maniche di camicia, tranne Christian a cui una specie di paura nervosa vietava di togliersi un indumento qualsiasi in una casa che non fosse la sua. Sulla robusta tavola di quercia in mezzo alla stanza c'era un mucchio di tela a righe che nonno Cantle teneva da una parte e Humphrey dall'altra, mentre Fairway, il volto teso e coperto di sudore per la fatica, ne veniva strofinando la superficie con qualcosa di giallo che teneva in mano.

«Preparate un materasso di piume, amici?» disse il nuovo venuto.«Sì, Sam,» disse nonno Cantle brevemente, troppo affaccendato per perdersi in parole inutili. «Debbo tirare un

po' più forte da questa parte, Timothy?»Fairway rispose e il lavoro continuò con non diminuito vigore. «Sarà un magnifico materasso, direi,» continuò

Sam, dopo un momento di silenzio. «Per chi è?»«È un regalo per la coppia che mette su casa,» disse Christian, che stava a guardare senza far nulla, sopraffatto

dall'importanza dell'operazione.«Ah, sicuro: un regalo prezioso.»«I piumini costano cari a quelli che non allevano oche, non è vero, signor Fairway?» disse Christian, come se

si rivolgesse a un essere onnisciente.«Sì,» disse questi, alzandosi, tergendosi il sudore dalla fronte e porgendo il pezzo di cera a Humphrey, perché

continuasse a strofinare lui. «Non che quei due ne abbiano bisogno, ma è bello mostrarsi cordiali con loro dopo tutto quanto hanno sofferto. L'ho fatto per le mie figliuole quando si sono sposate e in questi ultimi dodici mesi ho messo insieme piumino quanto basta per farne un altro. Ora mi sembra che la cera basti, amici. Piegate la risvolta in fuori, nonno Cantle, e io incomincerò a versar dentro le piume.»

Quando la fodera fu pronta, Fairway e Christian andarono a prendere grandi sacchetti di carta, colmi di piuma ma leggeri come palloncini, e incominciarono a rovesciarne dentro il contenuto. Mentre si vuotavano i sacchetti, penne e ciuffi di piumino si misero a volar per la stanza in quantità sempre maggiore, finchè, in seguito alla balordaggine di Christian che rovesciò fuori della fodera il contenuto d'un sacchetto, l'atmosfera della stanza fu piena di fiocchi giganteschi che avvolgevano quanti lavoravano come una tempesta di neve senza vento.

«Non ho mai visto un goffo peggiore di te, Christian,» disse nonno Cantle severamente. «A giudicare dal tuo poco spirito, sembreresti figlio d'uno che non sia mai uscito da Blooms-End in vita sua. Si vede che l'intelligenza d'un padre, che ha fatto anche il soldato, non è servita a formare il carattere del figlio. Per quel che riguarda Christian, avrei

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potuto benissimo starmene sempre a casa, senza vedere un bel nulla, come tutti voialtri. Mentre vi assicuro che per conto mio ho avuto un bel po' di coraggio!»

«Non mortificatemi così, padre; mi fate sentire un verme. Lo so che non ho mai combinato un gran che.»«Via, via. Non avvilirti, Christian; sei ancora in tempo a far meglio,» disse Fairway.«Si capisce che puoi far meglio,» fece eco nonno Cantle, come se fosse stato lui a dirlo per primo. «Chiunque

abbia un po' di coscienza deve o sposarsi o andar a fare il soldato. È un tradimento verso la patria non far nè una cosa nè l'altra. Io le ho fatte tutt'e due, grazie a Dio! È un vero buono a nulla chi non osa mettere uomini al mondo, nè ammazzarli...»

«Non ho mai avuto il coraggio di prendere un'arma in mano,» balbettò Christian. «E, quanto a sposarmi, confesso che ho chiesto qua e là, ma senza un gran risultato. Eppure ci sono case in cui ci starebbe benissimo un uomo - qualunque uomo sia - e che sono invece governate da una donna sola. Ma in fondo è stato un bene che non mi sia sposato; altrimenti chi sarebbe rimasto con mio padre, vicino, a tenerlo a freno, nei limiti che convengono alla sua età?»

«Certo, hai il tuo da fare, figlio mio,» disse nonno Cantle con malizia. «Se soltanto non avessi paura delle malattie, mi rimetterei domani in giro per il mondo! Ma settantun anni son molti per mettersi a viaggiare, anche se non sono poi tanti per chi se ne stia a casa... Sì, ho compiuto settantun anni al due di febbraio. Preferirei avere settantun ghinee che settantun anni, per diancine!» E, così dicendo, il vecchio sospirò.

«Non affliggetevi, nonno,» disse Fairway. «Mettete un altro po' di piume nel sacco e state di buon umore. Anche se il tronco è un po' contorto, ha molte foglie verdi. Farete ancora cose straordinarie.»

«Andrò da loro, Timothy... andrò dagli sposi!» disse nonno Cantle incoraggiato, agitandosi vivacemente. «Andrò stasera a far loro la serenata, che ne dite? Son molto bravo a cantare e saranno contenti. Andavano tutti pazzi nel '4 per sentirmi cantare "Là nel giardino di Cupido"; e poi so altre canzoni, anche più belle. Che ne direste se cantassi:

Ella chiamò il suo amatodall'alto della grata,"Oh, vieni a ripararti dall'umida rugiada."?

Son sicuro che ne avrebbero piacere! Ora che ci penso non ho più cantato sul serio dalla mezza estate dell'anno scorso quando alla "Buona Donna" abbiamo festeggiato la mietitura; ed è un vero peccato non far le cose che si sanno far così bene!»

«Certo, certo,» disse Fairway. «Ma ora diamo una scrollata al materasso. Ci abbiamo messo dentro settanta libbre di piuma e credo che sia il massimo che ne può contenere. Che ne direste ora di bere un goccio e mangiare un boccone? Christian, se ci arrivi, prendi quel che trovi nella dispensa, e io andrò in cantina a cercar qualcosa per bagnarci la bocca.»

Interruppero il lavoro per mettersi a mangiare in mezzo a un nuvolo di piume sopra, attorno e sotto a loro, mentre le originarie padrone s'affacciavano di quando in quanto alla porta, schiamazzando con risentimento alla vista dei loro antichi indumenti.

«Finiremo col soffiare qui dentro,» disse Fairway, quando, dopo essersi tolta una piuma di bocca, ne trovò diverse altre che galleggiavano nella coppa a cui bevevano a turno.

«Oh, io ne ho mandate giù diverse; e una aveva anche una punta piuttosto aguzza,» disse Sam tranquillamente dal suo angolo.

«Ohè... che cos'è questo? Sento un rumore di ruote,» esclamò nonno Cantle, balzando in piedi e correndo alla porta. «Sicuro, son loro che tornano: non li aspettavo per un'altra mezz'ora. Come si fa presto a sposarsi quando si è ben decisi a farlo!»

«Oh, sì, si fa proprio presto,» disse Fairway, come per ribadire il concetto.Alzandosi, s'avvicinò a nonno Cantle e anche gli altri vennero alla porta. Dopo un momento si vide passare una

vettura aperta in cui c'erano Venn e la signora Venn, Yeobright e un pezzo grosso parente di Venn, venuto da Budmouth per l'occasione. La vettura era stata presa a nolo nella città più vicina, senza badare al costo e alla distanza, perché, secondo Venn, non c'era nulla nella brughiera di Egdon degno d'una sposa come Thomasin; e la chiesa era troppo lontana per andarci a piedi in corteo.

Quando passò la vettura, gli uomini corsi fuori gridarono «evviva!» salutando con la mano; a ogni loro movimento piume e peluria si levavano fluttuando nell'aria dai loro capelli, dalle maniche, dalle pieghe dei vestiti, mentre i sigilli di nonno Cantle scintillavano allegramente al sole a ogni sua piroetta. Il cocchiere li guardò con aria arcigna: trattava tutti, persino gli sposi, con una certa aria di superiorità: chè, fossero poveri o ricchi, dovevano essere pagani per forza quegli esseri umani condannati a vivere in un posto sperduto come Egdon! Thomasin invece li guardò senz'ombra di superbia, agitando la mano vivacemente come l'ala d'un uccellino e chiedendo a Diggory, con le lagrime agli occhi, se non potevano fermarsi un momento a salutare questi cari vicini. Ma Venn rispose che non era necessario, dato ch'eran tutti invitati a casa la sera.

Dopo questo movimentato intervallo, gli uomini tornarono al lavoro e ben presto ebbero finito d'imbottire e cucire il materasso. Fairway mise allora i finimenti al cavallo, fece un bel pacco dell'ingombrante regalo, e partì col carro per la casa di Venn a Stickleford.

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Dopo la cerimonia, in cui naturalmente fece la parte del testimone, Yeobright tornò a casa con gli sposi, ma disse che non se la sentiva di partecipare alla festa e al ballo che avrebbero concluso la serata. Thomasin fu delusa.

«Vorrei poter rimanere senza deprimervi,» egli disse. «Ma mi sembrerebbe d'essere come un teschio a un banchetto.»

«Ma no, via.»«E, a parte questo, se tu volessi scusarmi, ti sarei veramente grato, cara. Capisco che può sembrar scortese da

parte mia. Ma, cara Thomasin, temo che soffrirei troppo nel trovarmi in compagnia: ecco la verità. Verrò sempre a trovarti nella tua nuova casa, lo sai: e la mia assenza questa sera non ha importanza.»

«Allora cedo. Fa' come preferisci.»Sollevato, Clym si ritirò nelle sue stanze all'ultimo piano e per tutto il pomeriggio lavorò a preparare la traccia

d'un sermone con cui intendeva dare inizio alla parte ancora realizzabile del progetto che aveva arrivando a Egdon, e a cui aveva continuato a pensare, sia pure modificandolo, attraverso la buona e la cattiva fortuna. Aveva riflettuto a lungo e meditato sulle proprie convinzioni, e non vedeva perché avrebbe dovuto cambiare i suoi propositi, anche se doveva notevolmente limitarli. A furia di stare all'aria aperta, la sua vista era notevolmente migliorata, non abbastanza però per permettergli di riprendere seriamente gli studi, come aveva sognato. Ma non se ne doleva troppo. Privo d'ambizione com'era, sentiva di poter ancora far molto, occupando tutto il proprio tempo e sfruttando tutte le proprie energie.

Giunse la sera; il rumore e il movimento crescevano al piano di sotto, e il cancello s'apriva sbattendo continuamente. La festa doveva incominciare presto e prima che fosse scuro gli ospiti erano arrivati tutti. Yeobright scese dalla scala di servizio e uscì nella brughiera per un sentiero diverso da quello che passava davanti alla casa: avrebbe passeggiato fuori finchè durava la festa; poi sarebbe ritornato per salutare Thomasin e suo marito prima che se ne andassero. Quasi senza rendersene conto, si diresse verso Mistover lungo il sentiero seguito in quel mattino terribile quando aveva saputo dal figlio di Susan l'inattesa, terribile verità.

Ma, invece di girare verso la capanna, salì su una piccola altura vicina di dove poteva dominare quella parte della brughiera ch'era stata un tempo il dominio di Eustacia. Mentre stava osservando la scena nella sempre più scarsa luce del crepuscolo, sentì arrivare qualcuno. Non vedendo chi era, l'avrebbe lasciato andare avanti senza dir nulla, se il viandante, ch'era Charley, riconoscendolo, non gli avesse rivolto la parola.

«Non ti vedo da un pezzo, Charley,» disse Yeobright. «Vieni spesso da queste parti?»«No,» rispose il ragazzo. «Raramente esco dal bastione.»«Non c'eri alla festa di Calendimaggio.»«No,» disse Charley, con lo stesso tono indifferente. «Queste cose non m'interessano più.»«Eri molto affezionato alla signorina Eustacia, non è vero?» chiese Yeobright con dolcezza. Eustacia gli aveva

parlato spesso del romantico,attaccamento di Charley per lei.«Si, molto. E vorrei...»«Sì?»«Vorrei, signor Yeobright, che lei mi desse qualcosa di suo... se non le dispiace.»«Non mi dispiace affatto; lo farò anzi con piacere, Charley. Sto pensando che cosa posso darti. Vieni con me a

casa e vedremo.»Insieme mossero verso Blooms-End. Quando giunsero dinanzi alla casa, era già scuro, le imposte erano chiuse

e non si vedeva dentro.«Passiamo dietro,» disse Clym. «Ora entro dalla porta di servizio.»I due girarono dietro la casa, salirono la scaletta a chiocciola al buio ed entrarono nel salotto di Clym all'ultimo

piano; Clym accese una candela e Charley entrò pian piano dietro di lui. Yeobright si mise a frugare nella scrivania e, tirato fuori un pacchetto di carta velina, lo aprì: due o tre ciocche ondulate di capelli neri come ala di corvo apparvero sulla carta bianca come rivoletti scuri. Ne scelse una ciocca, l'avvolse e la diede al ragazzo, i cui occhi s'eran riempiti di lagrime. Baciò il pacchetto, se lo mise nel taschino e disse con voce commossa: «Oh, signor Clym, com'è stato buono con me!»

«Ti accompagno un pezzetto,» disse Clym. E ridiscese le scale sentendo il suono della festa al piano di sotto. La stradetta che seguirono per girare intorno alla casa li portò vicino a una piccola finestra laterale, da cui la luce delle candele si riversava sui cespugli attorno. Siccome i cespugli la difendevano dagli sguardi indiscreti, a quella finestra non erano state abbassate le tendine, e da quell'angoletto appartato si poteva vedere tutto quel che avveniva nella stanza dove c'erano gli invitati, per quanto lo permettevano almeno i vetri resi verdastri dal tempo.

«Che cosa fanno, Charley?» chiese Clym. «Stasera mi sento di nuovo la vista debole e il vetro della finestra è appannato.»

Charley si asciugò gli occhi bagnati di pianto, e si fece più vicino alla finestra. «Il signor Venn sta pregando Christian di cantare,» rispose; «Christian si agita sulla sedia come se fosse atterrito, e suo padre s'è messo a cantare al posto suo.»

«Sì, sento la voce del vecchio,» disse Clym. «Dunque non ballano. C'è Thomasin? Vedo muover davanti alle candele una figura che mi sembra la sua.»

«Sì. Ha l'aria molto felice. È tutta rossa in faccia e ride per qualcosa che le ha detto Fairw,ay. Oh, ma guarda!»«Che cos'è successo? Ho sentito un rumore strano,» disse Clym.

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«Venn è così alto che ha battuto la testa contro una trave del soffitto mentre ci passava sotto saltellando. La signora Venn s'è presa paura e gli è corsa subito vicino; ecco che gli sta tastando la testa per vedere se s'è fatto un bernoccolo. E ora ridono di nuovo tutti, allegri come prima.»

«Ti sembra che qualcuno senta la mia mancanza?» chiese Clym.«No, affatto. Ora alzano il bicchiere e brindano alla salute di qualcuno.»«Non alla mia, suppongo.»«No, a quella del signore e della signora Venn; e lui sta facendo un bel discorso. Ecco... ora la signora Venn si

è alzata e va a vestirsi per partire, credo.»«Bene, nessuno ha pensato a me ed è giusto. È andata come doveva andare e Thomasin almeno è felice. Ma ora

dobbiamo allontanarci, perché presto gli invitati cominceranno a uscire.»Accompagnò per un pezzetto il ragazzo nel suo cammino attraverso la brughiera e quando, un quarto d'ora

dopo, tornò a casa solo, trovò Venn e Thomasin pronti per partire: gli ospiti se n'erano andati tutti durante la sua assenza. Gli sposi si sedettero nella vettura a quattro ruote che l'aiutante di Venn aveva portato da Stickleford per condurli a casa; la piccola Eustacia e la governante furono ben sistemate nella parte aperta dietro; e l'aiutante, su un vecchio cavallo un po' bolso, i cui zoccoli risuonavano come cimbali a ogni passo, li seguì a cavallo, come uno scudiero del secolo scorso.

«Ora sei di nuovo unico padrone in casa tua,» disse Thomasin chinandosi per dare la buona notte al cugino. «Ti sentirai un po' solo, Clym, dopo tutto il chiasso che abbiamo fatto.»

«Oh, non fa niente,» disse Clym sorridendo con un'ombra di tristezza. Calesse e cavallo partirono, scomparendo nell'ombra della notte, e Yeobright rientrò in casa. Non s'udiva alto suono all'infuori del ticchettio dell'orologio, perché non c'era nessuno: Christian, che ungeva da cuoco, domestico e giardiniere, dormiva a casa di suo padre. Yeobright sedette su una delle sedie rimaste vuote e rimase lungamente immerso nei suoi pensieri. Aveva dinanzi a sè la vecchia poltrona di sua madre; per tutta la sera su quella poltrona s'era seduta gente estranea, che nemmeno ricordava fosse stata sua. Ma Clym ne sentiva, come quasi sempre, la presenza viva. Comunque la ricordassero gli altri, nella sua memoria ella era una santa sublime, il cui splendore non poteva essere oscurato neppure dalla sua passione per Eustacia. Ma aveva una gran pena in cuore. Sua madre non aveva voluto dargli la sua benedizione il giorno delle nozze, quando il suo cuore era felice. E i fatti avevano dimostrato quanto fosse esatto il suo giudizio e giusta la sua disapprovazione. Avrebbe dovuto darle retta, per il bene di Eustacia ancora più che per il proprio. È stata mia la colpa,» sussurrò. «Madre, madre mia! Se soltanto potessi ricominciare la mia vita e soffrire per te quello che tu hai sofferto per me!»

Chi, la domenica dopo le nozze, fosse passato accanto al Rainbarrow, avrebbe visto uno spettacolo insolito. A guardar da lontano, si scorgeva semplicemente una figura immobile in piedi sulla montagnola, proprio come quando Eustacia, circa due anni e mezzo prima, era rimasta ferma su quella vetta solitaria. Ma ora era bel tempo e faceva caldo; soffiava una leggera brezza estiva, e si era nelle prime ore del pomeriggio anzichè nell'ombra del crepuscolo. E quelli che, salendo, s'avvicinavano al Rainbarrow, vedevano che la figura diritta al centro e stagliata contro il cielo non era sola. Sulle pendici della montagnola molti contadini e molte donne erano comodamente seduti o sdraiati. Ascoltavano le parole dell'uomo ch'era in mezzo a loro, e che faceva una predica, mentre distrattamente sradicavano pianticelle d'erica, strappavano foglie di felce o gettavano piccoli sassi giù per la china. Era questa la prima d'una serie di conferenze morali, o Sermoni della Montagna, che ogni domenica pomeriggio, finchè il tempo era bello, si sarebbero tenute in quel luogo stesso.

L'altura del Rainbarrow era stata scelta per due ragioni: in primo luogo, perché occupava una posizione centrale tra le capanne isolate dei dintorni; e in secondo luogo perché si poteva veder arrivare il predicatore da tutti i punti vicini, e poteva quindi essere un richiamo per quelli che desideravano ascoltarlo. L'oratore era a testa nuda, e ogni soffio di brezza sollevava e abbassava leggermente i suoi capelli, un po' radi per un uomo della sua età, dato che non aveva ancora trentatrè anni. Portava una visiera per difendere gli occhi dalla luce, e il suo volto era pensoso e solcato da rughe profonde; ma, nonostante questi segni esterni di decadenza, il tono della sua voce era ricco, musicale, vigoroso. Dichiarò che i suoi sermoni sarebbero stati a volte su argomenti secolari, a volte su argomenti religiosi, ma non mai di carattere dogmatico; e che avrebbe scelto i suoi testi da ogni genere di libri. Quel pomeriggio disse:

«E il re s'alzò per venirle incontro, e s'inchinò dinanzi a lei, e la fece sedere sul suo trono, e fece portare un seggio per la madre del re; ed ella sedette alla sua destra. Allora ella disse: "Voglio chiederti una piccola grazia; non dirmi di no, ti prego." E il re le disse: "Chiedi, madre mia: chè non ti negherò nulla."»

Yeobright aveva scoperto finalmente la propria vocazione: quella del predicatore ambulante, del conferenziere su argomenti di moralità indiscussa; e da quel giorno lavorò incessantemente in questo senso, non limitandosi a tener discorsi sul Rainbarrow e nei villaggi attorno, ma parlando anche, con tono più elevato, altrove: sui gradini e i balconi dei Municipi, nei mercati, agli incroci delle strade, sulle passeggiate e sui moli, sui parapetti dei ponti, nei fienili e nelle rimesse, e in ogni altro luogo simile nelle città e nei villaggi del vicino Vessex. Non s'impegnava a discutere credi e sistemi filosofici, trovando argomenti sufficienti per i suoi sermoni nelle opinioni e nella condotta della gente comune. Alcuni credevano in quel che diceva, altri no; alcuni giudicavano i suoi discorsi banali, altri criticavano la mancanza in lui d'una preparazione teologica; altri ancora osservavano che, non essendo in grado di far altro, data la sua vista

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difettosa, faceva benissimo a predicare. Ma ovunque lo accoglievano con gentilezza perché tutti conoscevano la storia della sua vita.