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La città della solitudine

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Una lunghissima lettera d'amore. A una sconosciuta.

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Una città… 5 giugno del corrente anno

Io la vedo camminare tutti i giorni lungo la strada che costeggia il fiume, sa, è così difficile al giorno d’oggi vedere un uomo distinto come lei camminare... camminare rapido, leggero, con la testa assorta e i pie-di che sembrano danzare con passi eleganti schivando gli ostacoli, mi chiedo ogni volta come fa a riconoscere gli ostacoli, lei, rapito dai pen-sieri, gli occhi rivolti al cielo, ai tetti, alle terrazze, senza però guardar-li, lei sembra un poeta che compone vagando, che intona i suoi can-ti senza suono, ma lei no, non vaga, lei sa dove andare, non le impor-ta dei marciapiede sconnessi, delle auto parcheggiate in mezzo, delle fiumane di turisti che a volte risalgono la strada in senso contrario, lei scansa la confusione con innata maestria, si nota la nobiltà dell’ani-mo suo che rifugge dall’accalcarsi di folle pecorecce, che ondeggiano al minimo richiamo e travolgono chi incauto va loro incontro, no io la capisco, certo si stupirà di ricevere questa lettera, che sciocca!, nean-che ho pensato che lei dall’olimpo delle sue meditazioni non immagi-na che qualcuno la ammiri nel suo andare, io vorrei parlarle ma temo di annoiarla, lei ha di certo molto da fare, la vedo sempre intento, pen-sa al suo lavoro, alla sua famiglia, come può una sconosciuta preten-dere di entrare nei suoi pensieri? Mi scusi allora se le parlo un poco di lei, di quell’agile figura che i miei occhi incontrano ogni giorno, dal lu-nedì al venerdì, e non sanno più fare a meno di quei secondi durante i quali sbuca dall’angolo di un palazzo e mi viene incontro... di solito qui, lungo il fiume si vede gente strana, poca e strana, le auto allonta-nano i passanti, quelle automobili che scorrono lente caotiche e strom-bazzanti di giorno, fulminee e arroganti di notte, e uccidono la strada ormai ridotta a una striscia fumigante e puzzolente, i palazzi anneriti perdono interi pezzi di facciata, le grondaie si sfondano e l’acqua scro-scia sul marciapiede, fra le spaccature delle pietre crescono le erbacce che nessuno toglie più.

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Questa è la mia città la nostra città, è un modo di viverla assieme a lei, che certo s’accorge del continuo disagio che si prova a percorrerla semplicemente camminando. Perdoni il mio sfogo, giù sul fiume cer-ti ragazze e ragazzi si drogano fra i rifiuti, un barbone si è costruito una baracca di lamiera e cartone, e sopra, poco più sopra, tutti passa-no, macchine, motorini, un rimbombo perpetuo, cattivo, molesto... lei penserà che sono pazza! ma a chi se non a lei posso rivolgermi... oggi l’ho trovata molto elegante, un abito di seta, mi pare, verdolino, adat-to alla stagione, ma è raro vederla in giacca e cravatta, eppure sta così bene, chissà se aveva un appuntamento importante, un impegno di la-voro, oppure... Sa, io sono romantica, la mia fantasia si sguinzaglia die-tro a lei, quando attraversa il ponte e scompare...

Ma ora mi scusi, io la importuno, l’ho aggredita con le mie sciocche considerazioni, non ho resistito al desiderio di farle sapere che esisto, alla pretesa di farmi in qualche modo sentire da lei, pur senza apparire, sa, non avrei mai il coraggio di mostrarmi, ho vergogna... basta, la pre-go, non stracci questa lettera, la tenga almeno un poco con sé.

una sconosciuta

11 giugno del corrente anno

Vede, non ho resistito, ho lasciato passare così pochi giorni... ah, io non volevo, ma poi, l’ho notato subito, si è tagliato la barba, for-se il caldo, doveva darle fastidio, e trovo che sta così bene coi baffi, ha il viso magro ma fresco, quasi non la riconoscevo da lontano, ma il suo passo è inconfondibile, e man mano che s’avvicinava, quel suo pullover giallo che spicca sui pantaloni bleu, chi altri poteva essere se non lei.

Sapesse cosa è successo stanotte, lei certo non può sapere niente, ancora non può esserci sul giornale, un urlo straziante, un putiferio, poi sirene su sirene, un inferno, una di quelle poverine, sa una negra, una coltellata al cuore, proprio dall’altra parte della strada, poco pri-ma del punto dove lei attraversa per raggiungere il ponte, una chiaz-za di sangue scuro, l’hanno lavata stamani presto quelli della net-tezza urbana, ma fino a poco prima c’erano i carabinieri, io pratica-

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mente non ho dormito, dai discorsi che ho sentito pensano sia stata un’altra prostituta, una slava forse, ma io... Preferisco non pensarci, piuttosto lei, chissà come ha reagito alla mia prima lettera, ho trema-to tutto il giorno dopo avergliela spedita e... già si sarà domandato come ho fatto ad avere il suo indirizzo, a sapere come si chiama, scu-si ma non posso rivelarglielo, lo considero un mio segreto professio-nale, devo dire che non ho notato in lei alcuna preoccupazione men-tre passava, sono contenta di non averla turbata, che lei faccia la sua strada come sempre senza guardarsi indietro, ma ho avuto il dubbio che non mi avesse letta, magari nemmeno ricevuta la lettera, certo con le poste questo può avvenire, e anche peggio, ma a così breve di-stanza mi sembra strano, preferisco attribuirlo alla sua sicurezza, a una consuetudine a essere ammirato che non la fa stupire di nulla, neanche di una sciocca che senza mostrarsi le scrive frasi senza sen-so, le comunica sensazioni che non possono interessarla, si compor-ta come una ragazzina innamorata, è la prima volta che adopero que-sta parola... non faccia caso alle mie farneticazioni, non riesco più a scrivere, mi confondo...

15 giugno del corrente anno

La mia ultima breve lettera sembra quasi averla spaventata; non l’avevo neanche firmata, si fa per dire... ma in questi ultimi due giorni l’ho visto circospetto, nervoso, eppure io non volevo disturbarla, forse mi sono lasciata andare un po’ troppo e lei mi ha sentito come un’in-trusa nella sua vita. Ah, tutto vorrei tranne che questo, mi raccoman-do stia tranquillo, non avrà fastidi da me, io voglio solo che lei sappia che esisto. Il suo viso corrucciato mi ha fatto tanta tenerezza, volgeva la testa in alto, a destra, a sinistra, amico mio lei non può vedermi, non se ne faccia un cruccio, cerchi di abituarsi a me, di considerarmi parte del suo paesaggio interiore, parte nascosta, invisibile, ma presente, e che vuole il suo bene, il suo successo, la sua felicità! Ora so che le mie lettere giungono a destinazione, so che le legge, non voglio che ne ab-bia timore, si rassicuri, la prego ancora.

Ha visto, sono tornati, stamani mentre lei passava, c’è stato un so-pralluogo, c’era il magistrato, non sanno che pesci prendere, l’ho sapu-

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to dal giornale, quella prostituta slava di cui parlava il giornale è stata scagionata. Vedesse che facce circolano di notte, non c’è da stupirsi se succedono certe cose. Ieri un travestito è stato scaricato da una mac-china in corsa, è rotolato giù, si è rialzato malconcio e ha cominciato a inveire, che gli avevano portato via i suoi guadagni, “piccolo brutto finocchietto”, ha detto proprio così, “finocchietto ladro, ti strapperei le budella”, aveva una vociona grossa, da uomo, ma una modulazio-ne donnesca, faceva impressione sentirlo, “spero ti inculi un negro e ti sfondi tutto”, era infuriato e pesto, sanguinava dal naso, quello do-veva averlo picchiato ben bene prima di scaraventarlo giù; non ho vi-sto che macchina era, si stava allontanando nel buio, sgommava a tut-ta velocità.

Sa che mi convince sempre di più con i baffi, somiglia a un attore, non ricordo quale, ma ce l’ho in mente, devo aver visto un vecchio film alla televisione, lei guarda le televisione, sì vero? Io adoro i vecchi film, magari li vede anche lei, quelli di Billy Wilder mi fanno impazzire, spe-ro che piacciano anche a lei, chissà, potremmo avere gli stessi gusti, mi farebbe tanto piacere, peccato non possa chiederglielo...

Io esco così poco, eppure fino a non molto tempo fa stavo sempre in giro, adoravo camminare per la città, vedere la gente per le strade, ma ora... ce n’è troppa in circolazione, sono sicura che è d’accordo, no, non si accigli, mi sorrida, la lascio, ora.

(E mi firmo) una sconosciuta

22 giugno...

Sono molto agitata! Non so come fare a dirglielo, cosa penserà di me?! Era da molto che ci pensavo, non trovavo il coraggio, e ora... non vorrei che quello che ho fatto compromettesse i nostri rapporti, ma forse lei se lo sarà già immaginato, e allora... tanto vale parlarne.

Oggi, per la prima volta, HO ASCOLTATO LA SUA VOCE! Ebbene sì, ero io muta al telefono quando lei ha risposto nel tardo pomeriggio, non speravo di udirla subito, al primo tentativo, immaginavo dentro di me che avrebbe risposto qualcun altro... una donna magari, e allo-ra... sa, non avrei parlato, magari le avrei provocato dei guai, una tele-

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fonata muta può insospettire. E invece, che miracolo, proprio lei, e la sua voce, mite, svagata, profonda, sa che ha superato la mia immagi-nazione?, sapevo che mi sarebbe piaciuta, ma non osavo sperare tanto. Non ha alzato il tono, neanche dopo aver capito che nessuno le avreb-be risposto, semplicemente ha ripetuto “pronto, pronto, ma chi è?”, con una intonazione blanda, comprensiva, saggia, io davvero non vor-rei pensare che lei abbia creduto... no, no, non ci voglio pensare.

È tanto che non le scrivo, sa, ci sono stati i carabinieri qui da noi, cercavano testimoni per il delitto della negra, una nigeriana pare, ma nessuno ha visto, cosa vuole con quel buio. Ma le colleghe, i travestiti, i drogati, che sempre si ritrovano lì, non hanno voluto parlare, paura, omertà, chi lo sa, certo è sconfortante che qualcuno ti muoia davanti agli occhi, in piena città, e il colpevole rimanga impunito. No, io non sono per la violenza, io non sono razzista, non do la colpa a quelle po-verette, ma sa, a lungo andare si ha paura, ci si sente sempre più debo-li, indifesi, negli stessi luoghi dove si è vissuti tanti anni gioiosamen-te, e allora si sta sulla difensiva, si comincia a pensare che ci vuole vigi-lanza, protezione, s’invecchia precocemente. E si rimane sempre più a lungo in casa, chiusi, ciechi.

Ah, per fortuna io posso guardare fuori, e vederla passare; ora mi sembra di nuovo tranquillo, forse sono riuscita a spiegarle ciò che vo-levo. Ma ora? Cosa succederà dopo la mia telefonata, aspetto con ansia domani, il suo passo, il suo sguardo, i suoi vestiti. Spero non sia adira-to con me, e mi abbia perdonata ancora. Ma che dico? Magari lei nem-meno ci ha pensato che potevo essere io al telefono! È una mia fissa-zione credere che lei ogni volta che le succede qualcosa di strano pensi a me. E poi succede tante volte una cosa del genere. Beh, comunque lo saprà dopo aver ricevuto questa lettera.

Mi fermo, anche se vorrei continuarle a scrivere tutta la sera.

la sua sconosciuta

5 luglio...

È una mattina di luglio... Ero molto triste, da più di una settimana non la vedevo passare, chissà, ho pensato, forse si è stufato di me, di

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questa insopportabile ficcanaso, rompiscatole, e ha cambiato percor-so. Temevo di non vederla mai più, già avevo immaginato come fare per incontrarla, appostarmi per strada, agli angoli delle vie vicino a casa sua. Mi confesso, non dovrei farlo, le diverrò ancor più odiosa, ep-pure devo perché a lei non posso nascondere i miei sentimenti. Dun-que avevo perso quasi le speranze, e oggi invece... Pochi minuti fa lei è comparso, fresco, abbronzato, raggiante, è certo stato in vacanza, dove? Vorrei saperlo ma non importa: ma ora è tornato, e so che non teme la mia presenza, la mia tenace curiosità.

Confesso ancora: ho provato a telefonarle, più volte; la sua voce, anche nel suono metallico della segreteria telefonica, è dolce, legger-mente gracchiante, sinuosa. Credevo non volesse rispondermi, e per questo ero ancora più abbattuta, non volevo assolutamente immagi-nare che la soluzione al suo essere sparito fosse così semplice. E inve-ce, invece...

Sa, in sua assenza sono successe ancora tante cose, brutti episo-di, brutti ceffi, e tanto, tanto rumore, quel rumore che sta in fondo alla città, la attraversa, la circonda, la possiede, e che non si può evi-tare, sfuggire, quel rumore che piano piano sembra portare alla pazzia sia chi vive fuori, nelle strade sciagurate, sia chi sta dentro, nell’ombra delle case, e fa finta di non sentire, di non avere orecchi, e gli occhi già sono chiusi, come le porte, che guai ad aprire una fessura, il male po-trebbe entrare, ciarlatani, imbroglioni, ladri, assassini. Per tutto que-sto avevo bisogno di lei, il suo esserci è una garanzia, la prova che fuo-ri si può respirare, anche se per pochi minuti, anche se il suo passo è più adatto alle grandi distanze, i grandi prati, le grandi spiagge, i gran-di monti...

Lei è come un eroe greco: ha i piedi belli e veloci.

la sconosciuta

10 luglio...

Il caldo si fa soffocante. Tutto, qui intorno sembra sciogliersi, i muri sono infuocati e c’è un tanfo dappertutto, un puzzo che entra in casa non appena si apre uno spiraglio. La città si decompone, non

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è soltanto la spazzatura, i cassonetti ricolmi al sole, lo sporco che infesta i marciapiedi, gli sterri, le rare aiuole aride e mangiucchia-te. E nemmeno l’umanità sudata e ribollita che circola per le strade. È l’odore caratteristico del cemento, dell’asfalto, imbevuti di traffi-co, che sputano a sera i loro veleni, dopo che di giorno la cappa afo-sa ristagna e schiaccia i miasmi, come una calotta in cui ci muoviamo freneticamente senza scampo. Lei esce, ciononostante. Ha il corag-gio, l’incoscienza, di andare al lavoro. Sì, lo so, rischio anch’io stando chiusa in casa, l’aria è la stessa, mefitica, non si può evitare. Ma lei lo vede quante macchine, camion, furgoni, rombanti, prepotenti, s’av-ventano su tutto quanto si muove e cerca di respirare? Li vede i bam-bini asfissiati dai gas, dai tubi di scappamento che gli tirano in faccia i fumi maleodoranti? E sono bambini anche i figli di coloro che guida-no quei mezzi diabolici. Gli stessi forse, assediati dai loro padri, dalle loro madri, che neanche se ne accorgono. Ci sarà un mutamento ge-netico nelle nuove generazioni, che gli consentirà di respirare, di as-similare il veleno, o sono destinati tutti a morire di inquinamento? E il chiasso ora non si ferma più. Qui, di notte, è un passaggio conti-nuo: vengono dalla periferia, dai piccoli comuni intorno, dalle cam-pagne. Sono giovani balordi, uomini di mezza età, padri di famiglia più stolti e disperati perfino dei propri figli. Cercano puttane, trave-stiti, droga, sono pronti alla violenza, a farla e a subirla.

Come fa lei a continuare a leggere le mie lettere? Lei forse non è così pessimista, o forse, pur accorgendosi di quello che la circonda, os-serva le cose con disincanto, ma con speranza. E io non posso far altro che irritarla con i miei sfoghi.

Devo cercare di essere meno catastrofica. Lo prometto: le racconte-rò qualche episodio divertente, o almeno curioso. Ne capitano anche a me, che è tutto dire. Il fatto è che quando m’accingo a scriverle, mi vie-ne voglia di comunicarle le mie pene, le mie fissazioni, le mie passio-ni, perché solo lei, penso, può capirle. E allora assumo quel tono dolen-te, lamentoso, da cui lei crederà che io sia una vecchia megera lagnosa. Forse lo sono davvero, ma anch’io ho vissuto, ho gioito, ho amato, ho scherzato; è che in questi momenti non riesco neanche più a ricordar-lo. Proverò a farlo, per lei, per farmi sentire viva.

sconosciuta