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La cura del bello DA VILLA BUONACCORSI ALLA CITTÀ IDEALE

La Cura del Bello

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In un giardino storico, di fronte a un paesaggio, a un tramonto, Philippe Daverio e Paolo Portoghesi raccontano l’emozione tra il bello artistico e il bello naturale!La ‘cura del bello’ vede e prevede la bellezza all’interno di un riconoscimento di idealità urbana. Una stagione marchigiana di chirurgia architettonica ed urbana, per asportare il brutto e realizzare la terapia del bello nei suoi rapporti col bene. Mettere ‘in scena’ a Villa Buonaccorsi nuove realizzazioni che sanano le ferite della spiaggia e della collina i n una tensione verso il perfetto e verso la perfezione.

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La cura del belloDA VILLA BUONACCORSI ALLA CITTÀ IDEALE

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‘Il passato, a ricordarsene, è più bello del presente, come il futuro a immaginarlo.’

(Giacomo Leopardi)

Sappiamo riconoscere subito la bellezza quando la incontriamo? Che

sentiamo dentro? Penso alla leggenda di Frine, ragazza greca, che con

la sua bellezza aveva destabilizzato Atene. La Bellezza è dunque caos? O

può essere definita con criteri oggettivi? Frine fu processata ed il suo difensore,

Iperide, per salvarla la spogliò dalle vesti davanti ai giudici. Fu prosciolta. Tutti

si inchinarono davanti alla Bellezza. È dunque così difficile e bisogna ricorrere

a gesti estremi per riconoscerla? E allora bisogna parlarne e riparlarne sino a

quando, un giorno, avvertiremo dentro quel nonsoché e (per dirla con parole

dantesche), ‘piena di stupore e lieta l’anima mia gustava di quel cibo che, saziando

di sé, di sé asseta’ (Purg. XXXI).

Pietro Lanari

presidente de La Città ideale

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‘La cura è realtà inerente all’essere.’

(Martin Heidegger)

Le Marche colpiscono felicemente il senso estetico per la particolarità e la

proporzione del paesaggio; producono un’impressione di gradimento per

le loro qualità.

Bello forse è ciò che arriva a farci pensare. Il brutto invece ci ingenera strane

emozioni, senza le quali noi non riusciamo a definire quello che è il bello. Una ca-

ratteristica del presente è quella di mischiare insieme il bello e il brutto. Le nostre

case, le nostre città ci inducono a meditare su come stia cambiando il concetto di

bello e come il concetto di bello sia un concetto che è sempre, necessariamente,

cambiato, mutato nel corso del tempo. Nel discorso sul bello e sul brutto c’è

un ineliminabile momento soggettivo da fare dialogare con le realizzazioni del

presente. Quando noi parliamo di bello e di brutto, partiamo da un piacere o da

un dispiacere individuale.

In questa attenzione nuova al personale concorrono preoccupazioni e valori in-

dividualistici. La cura di sé svolge un ruolo cruciale e di straordinario interesse in

questo momento storico in quanto afferma, forse per la prima volta, un’integrità

individuale autonoma, ormai separata dall’ambito collettivo e non ancora inclusa

in una visione matura dell’uomo presente a se stesso.

Lo stare bene, il ‘sentirsi bene’ non è solamente la mancanza di malattia e nean-

che un esercizio edonistico fine a se stesso, ma la segnalazione di un più generale

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stato di benessere immateriale sempre più inseguito, contro un impianto sociale

e culturale che genera un diffuso sentimento di angoscia.

La cura di sé soddisfa un bisogno di ‘stare bene’, che ricollega il corpo alla psiche.

L’alternativa al vuoto sta nel cercare argomentazioni ed incoraggiamenti per tornare

ad educare se stessi, per ricomporre un orizzonte valoriale e saper ritrovare il bello.

Immediatamente ci si interroga sul rapporto tra l’uomo e il bello, sulla difficoltà

delle implicazioni di carattere filosofico, estetico ed etico a cui esso rinvia. Una

valutazione intorno al bello come risoluzione dell’egotismo e del solipsismo del-

l’uomo contemporaneo.

Il bello come ricerca e richiamo perenne per l’uomo. ‘La bellezza delle cose esiste

nella mente che le contempla’. (David Hume) Il bello ci incalza sul piano materiale

attraverso la natura, le cose, le persone. In questo caso il bello non è quello este-

tizzante, ma il richiamo all’armonia e all’equilibrio.

La sorpresa e l’ammirazione per la bellezza possono spingerci ad indagare il sen-

so dell’esistenza. Lo stupore per la realtà ha generato l’impulso primigenio al

pensiero filosofico.

La realtà del bello è in grado di sorprenderci ed esercita su di noi un fascino arcano,

come se percepissimo qualcosa per la prima volta nel suo germogliare natale.

Sicuramente siamo disposti ad essere più vulnerabili nei confronti del bello che

comprendiamo; verso la bellezza della natura che invade la serenità, verso il fa-

scino di una veduta commovente o verso la grazia di un’opera d’arte che può

soccorrerci per scavalcare le barriere dello spazio e del tempo, oltre la razionalità

e la strumentalità delle cose. ‘La bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del

tempo sia vana’. (Oscar Wilde)

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La cura del bello

La cura del bello ci avvicina ad un ordine metafisico della nostra vita. Ognuno di

noi discerne il bello delle cose, lo sa cogliere e percepire. Oggi siamo chiamati a

riconoscerlo per evitare ciò che non lo è; a rifuggire ciò che si manifesta come

una disarmonia.

Il bello naturale possiede maggiore immediatezza rispetto al bello artistico,

che richiede una sua mediazione culturale. In un giardino storico, di fronte a

un paesaggio, a un tramonto, Philippe Daverio e Paolo Portoghesi raccontano

l’emozione tra il bello artistico e il bello naturale! Presentano nuove realizzazioni,

che sono tanto più belle quanto più riescono a darci un’emozione viva e vivace,

un’immediatezza che ci può ricordare l’emozione della bellezza naturale.

La cura del bello vede e prevede la bellezza all’interno di un riconoscimento di

idealità urbana. Una stagione di chirurgia architettonica ed urbana, per asportare

il brutto e realizzare la terapia del bello nei suoi rapporti col bene. In un contesto

di grandi trasformazioni, che vede l’affermarsi di una società dell’informazione e

di un’economia della conoscenza, la responsabilità ‘attiva’ del bello diventa deci-

siva. La pluralità di attori del paesaggio, portatori di altrettanti interessi, genera

nuovi passioni e la necessità di contemperarle in ampie esecuzioni estetiche,

segni riconoscibili di moderni riferimenti etici.

Mettere ‘in scena’ a Villa Buonaccorsi nuove realizzazioni che sanano le ferite del-

la spiaggia e della collina in una tensione verso il perfetto e verso la perfezione.

Lavori che contengono la dinamicità, la tensione verso una dimensione di com-

piutezza classica. Una serata per risarcire la nostra intrinseca ed insopprimibile

apprensione verso la bellezza.

Evio Hermas Ercoli

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La villa dei conti Buonaccorsi si trova nelle vicinanze del mare Adriatico, a

breve distanza dal centro storico di Potenza Picena, sulla sommità della

collina detta di Montesanto (112 metri s.l.m.). Fu la residenza estiva dei

conti Buonaccorsi, antica famiglia maceratese trasferitasi qui nel Quattrocento, il

cui stemma gentilizio è rappresentato da una tigre rampante maculata, moscata

d’oro in campo azzurro, con la testa in maestà, cioè rivolta a sinistra.

La villa si estende su una superficie di circa cinque ettari ed è probabile che non

sia stata edificata ex-novo ma si sia sviluppata attorno a un cinquecentesco pa-

lazzo di campagna.

Il primo documento relativo alla costruzione risale al 1585, ed è ricavato dal

catasto vecchio di Montesanto (Potenza Picena). Si fa riferimento a un palazzo

posto in una tenuta agricola che Filippo Buonaccorsi probabilmente eredita dal-

la famiglia del medico potentino Sebastiano Augeni, detto ‘Paparella’, autore di

svariate pubblicazioni. Lo stabile origiario è ancora ravvisabile in quella porzione

di edificio a pianta quadrangolare, posta ad est dell’odierno complesso. È certo

che esistesse in quel periodo anche un giardino, viste le note di spesa che ri-

guardano lavori di manutenzione per il verde. Per la villa invece, alcuni interventi

di inizio Settecento potrebbero essere attribuiti all’architetto romano Giovanni

Villa Buonaccorsi

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Battista Contini (Roma 1641-1723), allievo di Bernini, il quale ebbe contatti con

l’ambiente maceratese, in quanto fornì il progetto per la chiesa di San Filippo e

per il palazzo gentilizio dei Buonaccorsi a Macerata. Per quanto plausibile un suo

intervento sullo stabile, nessun documento giunto a noi ne parla.

L’intera struttura venne gradatamente ampliata nel corso degli anni, e la nomina

nel 1740 di Simone Buonaccorsi a Vice Legato di Ferrara ebbe un ruolo deter-

minante per i lavori che si succedettero dal 1745 sotto il coordinamento di un

personaggio rimasto all’ombra di Luigi Vanvitelli: il ‘capomastro’ Pietro Berna-

sconi. Ticinese, Bernasconi fu un fedele collaboratore di Vanvitelli, che seguì nelle

Marche e poi a Caserta, per i lavori della Reggia. Il suo principale contributo è rap-

presentato dall’aggancio del corpo finale della villa a sud-ovest e la conseguente

creazione di un cortile interno di raccordo, nonché del monumentale ingresso

segnato dal muro di recinzione mistilineo. In questi anni fu anche costruita una

nuova conduttura idrica, per permettere di arricchire il giardino di giochi d’acqua.

Il complesso subì alcuni rimaneggiamenti e qualche modifica nell’Ottocento. Nel

corso dell’ultimo secolo, l’unico intervento di una certa entità, fu la costruzione

delle nuove scuderie, nel 1907, in un luogo vicino al magazzino del grano.

Il giardino

Il giardino, vero vanto della villa, si sviluppa in cinque terrazze percorse e unite

da una grande scalinata centrale, esposte interamente a sud e protette dal fitto

boschetto, ambiente propizio per la fioritura degli agrumi (cedri, aranci, manda-

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rini, limoni), coltivati a centinaia a spalliera, ad alberello e in grandi vasi di coccio

dell’ultimo Ottocento. Si ritiene, per analogia, che questo spazio verde, creazione

dei primi decenni del Settecento, anche se la terrazza superiore è forse più antica,

fu disegnato da Andrea Vici (molto attivo nelle Marche), ma la sua data di nasci-

ta, 1744, lo esclude come ideatore.

La celebre studiosa Georgina Masson, visitando la villa verso la fine degli anni

Cinquanta, notò come questo spazio con le sue forme di impianto della vegeta-

zione, il ricco apparato scultoreo e i gruppi di automi, rappresentasse un modello

realistico di giardino settecentesco. ‘Il giardino Buonaccorsi è il perfetto esempio

del giardino delle Marche e, grazie alle amorevoli cure dei suoi proprietari, è so-

pravvissuto in condizioni eccellenti, per mostrarci come dovevano apparire gli altri’

(Italian Gardens, London, 1961).

La sequenza cronologica di formazione del giardino è solo ipotizzabile, poiché

mancano documenti precisi, ed è stata fin qui indagata soprattutto per quanto

concerne alcuni particolari elementi, come il corredo eccezionale di statue, che

nel complesso conta centoquarantanove pezzi, tutte databili intorno alla prima

metà del secolo XVIII. In parte provengono dalla bottega del vicentino Orazio

Marinali, il cui nome è riportato su alcuni basamenti. Essendo l’artigiano morto

nel 1720, si suppone che in quella data lo spazio verde fosse stato realizzato o,

al più, prefigurato.

La prima area è rettangolare, ma di dimensione trasversale ridotta rispetto ai

terrazzamenti successivi, fronteggia a est la parte originaria della villa, il corpo

quadrangolare con bastioni angolari decorativi risalente al XVI secolo. Al capo

opposto della terrazza, fronteggiata da cipressi in topiaria a guisa di arco, c’è una

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Villa Buonaccorsi

piccola chiesa settecentesca, barocca, intitolata a San Filippo Neri. Per posizione

e conformazione, questa zona, detta del ‘giardino segreto’, sembra precedere la

realizzazione dei successivi terrazzamenti e rappresenta forse l’originario giar-

dino del primo nucleo della villa. Contornato di statue di figure mitologiche di

dimensioni naturali, sono visibili ancora oggi piccoli ciottoli da cui un tempo fuo-

riuscivano simmetrici zampilli d’acqua, che formavano di fatto una galleria, in cui

poter passare senza bagnarsi.

Un’altra caratteristica potrebbe datare la realizzazione già nel XVII secolo è il ter-

razzamento ancora oggi dedicato ai fiori, il cui disegno è derivato da uno degli

schemi proposti in un trattato celebre: Flora ovvero cultura di fiori, del gesuita

e naturalista senese Giovanni Battista Ferrari (stampato in latino a Roma nel

1633, poi in italiano nel 1638). Le quattro aiuole intorno alla fontana centrale,

con statue delle quattro stagioni, del primo terrazzamento, hanno un disegno

particolare: cinte da una bassa siepe in bosso, contengono all’interno piccoli

compartimenti per fiori con forma stellare, esagonale, trapeziodale, quadrata,

disegnati da bordure in pietra e organizzati intorno a una guglia che segna il

centro di ogni aiuola.

Scendendo al livello inferiore, fra il primo e il secondo terrazzamento si incontra

un percorso, posto a quota intermedia, ornato con spalliere di agrumi lungo la

muratura di sostegno del piano superiore e di figure grottesche e nani sulla ba-

laustrata rivolta a valle. Ad est porta al berceau, che abbellisce il livello seguente,

mentre ad ovest conduce a una piccola grotta, chiamata ‘dei frati’; ambiente atto

a creare meraviglia perché, se si aziona una leva da una nicchia nascosta, appare

la testa di un diavolo. Nelle grottesche raffigurazioni umane delle sculture che

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Villa Buonaccorsi

ornano questo corridoio è ben visibile il gusto della burla, e qui più che altrove

il giardino mostra l’ambiguità tipica del Settecento: da un lato la severità delle

terrazze lineari, il rigore morale della forma, dall’altro il carattere gaio.

L’ampio secondo terrazzo è ornato da una sequenza di aiuole regolari con agrumi

in vaso posti agli angoli, mentre fontane e obelischi segnano l’asse trasversale

del livello. È inoltre chiuso ad est dalla galleria verde, il berceau di antica costitu-

zione ricoperto di edera, con finestre aperte verso il giardino.

Attraverso la scalinata centrale, costeggiata dalle figure di Arlecchino e Pulci-

nella si raggiunge il terzo livello, stretto e denominato ‘viale degli imperatori’,

per la presenza di statue con abiti antichi e la testa cinta da corone di alloro. Qui

maggiormente sopravvive il concetto rinascimentale: il viale è fiancheggiato da

statue di imperatori romani con sullo sfondo la dea Flora, oltre la quale si accede

a un magnifico bosco di quattro ettari. L’unico cambiamento rispetto al Settecen-

to è relativo alle statue degli imperatori che, oggi, non sono più dentro nicchie

verdi. Il loro stile, alquanto diverso da quello dei Pulcinella, dei saracini e delle

altre maschere che popolano il resto del giardino, fa supporre che provenissero

da un giardino più antico.

Queste prime tre terrazze non hanno subìto nel tempo sostanziali modifiche nella

loro struttura di impianto. È singolare il fatto che sia possibile fare un immediato

raffronto fra la realtà e l’immagine di una tela della seconda metà del Settecen-

to, forse attribuibile al pittore anconetano Francesco Foschi, il quale riprodusse

una serie di ville della regione. Mettendole a diretto confronto, si può notare una

chiara corrispondenza degli elementi tipologici e ornamentali: gli obelischi, le

fontane, i vasi di agrumi, la forma stellare, esagonale o quadrata delle bordure

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in pietra che delimitano le aiuole. In sostanza, tutti gli arredi del giardino hanno

ancora la stessa collocazione di due secoli fa.

Precedendo verso il quarto e quinto livello, si nota una ridotta presenza di statue

e decori. Sembrano avere avuto in passato un carattere di servizio; in particolare

il quarto terrazzamento, a cui si accede dopo aver attraversato un corridoio inter-

medio analogo a quello esistente tra il primo e secondo livello. Oggi è disegnato

con ampie aiuole rettangolari che forse replicano la regolare partizione di un orto

o un frutteto, ospitato in passato.

Il quinto terrazzamento, da cui si gode lo stupendo scenario della valle, è segnato

da lunghe e alte parallele di sempreverdi, soprattutto allori. Sembra mostrare i

caratteri di una ragnaia, la cui presenza potrebbe essere confermata dalla due

ampie peschiere, un altro elemento tipico di queste strutture per l’uccellagione.

L’ampliamento

Documenti vari, dell’inizio dell’Ottocento, indicano la presenza di altre figure ani-

mate nel giardino: uccelli, un cane, un cuculo e sedili in legno basculanti che azio-

navano spruzzi d’acqua. Il giardino fu ampliato dal conte Flavio Buonaccorsi e, alla

fine degli anni Sessanta del secolo, fu aggiunto al complesso il cosiddetto ‘giar-

dino dei tassi’, un vasto terrazzo quadrangolare situato all’estremità occidentale.

Nello stesso periodo fu sistemato a giardino all’inglese il bosco posto a oriente del

complesso, attraverso l’introduzione di percorsi sinuosi intervallati da statue che

portano a scoprire una grotta con laghetto e una montagnola belvedere.

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Villa Buonaccorsi

Le grotte

Il complesso presenta anche due grotte. La prima, chiamata ‘teatrino degli auto-

mi’, si trova al livello inferiore ed è costituita da una grotticella a emiciclo, rivesti-

ta di rocce calcaree spugnose e conchiglie, all’interno della quale ci sono giochi

idraulici e meccanici. Al centro della grotta si trova la figura policroma detta di

‘Cecco Birbo’, un cacciatore in abito settecentesco che suona una trombetta. Alle

sue spalle ci sono tre nicchie, in cui protetti da sportelli sono collocati gli automi:

alla sinistra un turco suonatore di tromba, a destra un Arlecchino con un tam-

buro. Al centro, invece, è raffigurata una fucina, forse quella di Vulcano, in cui

uomini (o ciclopi) battevano martelli su una incudine, scena derivata fedelmente

da un’incisione cinquecentesca di Giovanni Battista Aleotti.

Tutte le figure si muovevano, producendo suoni e schizzi d’acqua grazie ai radi

mantici posti in un corridoio dietro alla grotta, che insieme alla pressione idrauli-

ca concorrevano a dare suono e movimento alle figure. L’insieme costituisce uno

dei gruppi di automi più importanti d’Italia.

La seconda grotta, già citata, è detta la ‘grotta dei frati’ ed è collocata nella zona

occidentale del giardino, al di sotto di uno dei corpi aggiunti alla villa. Presen-

ta un lungo corridoio rivestito di rocce calcaree, in cui le figure di due monaci,

addossati alle pareti e scolpiti in scala quasi reale in atteggiamento estatico,

fiancheggiano una nicchia chiusa da uno sportello in legno. La scena religiosa si

trasforma in puro gioco, con la comparsa di un diavolo che schizza acqua.

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i progetti per le nuove marchee La citta ideale

Fra i progetti che fanno parte del piano ‘Rifare le Marche, la cura del bello’

vanno annoverati i due disegnati dall’architetto Paolo Portoghesi per la

società La Fortezza.

Il primo, a Senigallia nell’area della ex Sacelit, è intitolato il Borgo delle Torri ed

è stato definito dal Sindaco della città ‘il più grande progetto di trasformazione

urbana dopo l’ampliamento settecentesco’.

Di quel vecchio complesso industriale, il Borgo delle Torri manterrà solo la ex ci-

miniera, utilizzata come belvedere dal quale ammirare la città e la costa. Le opere

più importanti previste sono, a sud, una piazza ovale porticata a ridosso del mare,

adatta ad ospitare eventi di vario genere, sulla quale affacciano un polo museale

e un polo turistico caratterizzato da un albergo a cinque stelle con centro con-

gressi e cento camere ispirate alle atmosfere felliniane. Sulla piazza si trova anche

il centro dello shopping coronato da due torri circolari residenziali e dai due edifici

originali che costituivano il portale d’ingresso alla fabbrica, oggi recuperati. A

nord intorno ad un grande parco urbano, alberato e con percorsi d’acqua, sorgerà

un complesso abitativo e commerciale, caratterizzato da cinque torri che richia-

mano le antiche fortificazioni esistenti nelle Marche. Il complesso residenziale è

completamente aperto su logge che si affacciano sul grande parco centrale e dai

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piani alti delle torri si potrà ammirare la splendida costa di Senigallia.

‘Il mio rapporto con Senigallia ha radici antiche’, - ha detto Paolo Portoghesi, uno

dei più importanti architetti sulla scena internazionale e autore di opere notevoli

fra le quali Casa Baldi a Roma, il Palazzo Reale di Amman in Giordania, la Torre

di Shangai - , ‘per il futuro della città ho cercato attraverso questo mio progetto di

disegnare il profilo di un’area strategica rimasta a lungo sacrificata rispetto all’orga-

nismo urbano. Ho voluto richiamare come cifra architettonica la specificità di quegli

edifici storici esistenti nelle Marche pensati per la difesa ma dotati di una bellezza

gentile, realizzati cioè più per i cittadini che per difendersi dai nemici’.

L’altro progetto firmato Paolo Portoghesi si trova a Pietralacroce, bella e panora-

mica zona residenziale che, seppur vicinissima al centro di Ancona, è risparmiata

dai trambusti e tormenti del traffico cittadino. Qui l’architettura seriale di appar-

tamenti di alto livello, sfida l’arte attraverso forme sinuose, citazioni dei significati

naturali che caratterizzano il panorama circostante e qualità architettonica senza

compromessi. L’intervento consiste nella costruzione di dieci edifici residenziali

costituiti complessivamente da ottantanove unità immobiliari.

A questie due opere si affianca quella dei Cinque Camini di Potenza Picena: un

‘ciglio di terra in collina’ che scivola verso l’Adriatico lasciando alle spalle i dolci

rilievi e aprendo lo sguardo alla vista vista del mare. Un nucleo abitativo che

punta a ricreare dei castelli, simili agli insediamenti che, prima della nascita

delle attuali marine, hanno visto il progressivo avvicinamento dell’uomo delle

Marche mezzadrili alla fascia costiera, attraverso un percorso che, in qualche

caso, ha radici nella civiltà picena o romana e, in molti altri casi, nell’espansione

comunale del medioevo.

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Infine, alle opere de ‘La cura del bello’ si sono aggiunti due progetti di complessi

turistici direttamente sul mare, in territori incontaminati frequentati da turisti

italiani e internazionali. Entrambi sono arricchiti da piscine, centri benessere e

resort e puntano a creare luoghi unici con una way of life esclusiva e rilassante.

L’uno, ovvero Adamo ed Eva Resort, è già in fase di costruzione a Numana, fra

collina e mare in pieno Parco del Conero. Una perla tra verde e blu per vivere

immersi nella natura ma circondati dal comfort e dalla sicurezza grazie al beach

club e ai campi da tennis privati, allo store interno e alla security ventiquattro

ore su ventiquattro. Adamo ed Eva Resort è immerso in un magnifico parco di

dieci ettari a pochi metri dal mare. Qui è possibile comiciare la mattinata con un

rigenerante percorso vita nel giardino del resort o con una energizzante partita

a tennis, poi si può raggiungere la attrezzatissima fitness area in sella alla bici

elettrica e fare una nuotata nella piscina riscaldata o rilassarsi nel centro benes-

sere interno fra rigeneranti massaggi, sauna, bagno turco, idromassaggio dina-

mico, percorso kneipp, trattamenti estetici e consigli nutrizionali personalizzati.

Adamo ed Eva Resort interpreta un nuovo concetto abitativo in totale armonia

con se stessi e con la natura. Duecentoquarantasei villette da sogno con giardino

e piscina, per accogliere una, due o tre famiglie. Case intelligenti in linea con le

più evolute tendenze dell’abitare: domotica, climatizzazione, satellite e wi-fi.

L’altro progetto de ‘La cura del bello’ direttamente affacciato sul mare si chiama

La Città Ideale, sorgerà al posto dell’ex Santa Cristiana ed è destinato a ‘rivoluzio-

nare’ Marcelli e la riviera del Conero.

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I progetti per le nuove Marche e La Città Ideale

La Città ideale (ex Santa Cristiana)

Il progetto de la Città Ideale, prendendo il posto di un vecchio complesso anni

Settanta, è un esempio chiarissimo di cosa significhi il provocatorio motto ‘Rifare

le Marche’. La costruzione esistente, caratterizzata da una certa chiusura verso

l’esterno, viene sostituita da un disegno aperto, arioso, connotato da un ponte di

accesso che si estende fino alla spiaggia, in un continuo scambio ideale fra il mare

e ‘la cittadella’. Come in altri disegni delle architetture che cercano ‘La cura del

bello’, l’architettura de la Città Ideale si ispira alle torrette che hanno connotato la

storia del paesaggio lungo le due sponde dell’Adriatico.

Una zona viva tutto l’anno con un equilibrato mix di funzioni diverse dove vivere

sentendosi in vacanza tutto l’anno. La Città Ideale si sviluppa su una superficie di

55.000 m² fra aree verdi, campi da gioco e parcheggi privati esterni alla zona resi-

denziale. Quest’ultima è composta da centoquattordici unità immobiliari di lusso

disposte in cinquantadue edifici. All’interno sono previsti un hotel, un residence,

un ristorante e un’area dedicata allo shopping.

Le abitazioni saranno di due tipologie: ville bifamiliari con piscina privata e

appartamenti in mini condomini di tre piani con ingressi indipendenti. Ogni

corte sarà dotata di piscina comune. L’hotel di lusso ed il residence si esten-

deranno su una superficie di 12.000 m² e comprenderanno centocinquanta ca-

mere, una hall, una sala congressi ed un centro benessere con piscina. Al centro

dell’area, fra la grande piazza e il ponte d’accesso alla spiaggia, sorgerà il nuovo

ristorante con vista sul mare.

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A cura di: Evio Hermas Ercoli e Carlo Scheggia

Edizione: Esserci

Foto: Luigi Gasparroni

Grafica: Kryos

© 2010 - Tutti i diritti sono riservatiFinito di stampare nel mese di luglio 2010dalla Biemmegraf di Piediripa di Macerata

Bibliografia

I giardini all’italiana nelle Marche, G. Bonarelli, Modena, in rassegna marchigiana, anno IX

Italian Gardens, G. Masson, London 1961

Giardini delle Marche, F. Panzini, Milano 1998

I lieti colli, P. Merisio - C. Bo - E. Grifoni, Bergamo 1981

Antiche ville della provincia di Ancona, S. Giustini, Ancona 1985

Documenti relativi al ‘Giardino Buonaccorsi’ di Potenza Picena, L. Ciuffoni - F. Menichelli, atti del XXVIII convegno del centro di studi storici maceratesi, Macerata 1994

Civiltà e territorio, AA.VV., Ripatransone 1994