1
M M etti una sera a Nu- sco, in una bella serata di fine set- tembre. Nusco è un posto languida- mente evocativo. Per noi scalcagnati sovversivi degli anni 80, Nusco era il covo del "clan degli avellinesi", la cricca di potere che dalle montagne irpine dominava la vita politica italiana. Territori inespugnabili, do- ve il nemico di classe ave- va costruito un consenso monolitico. Ci torno dopo molti lunghi anni, grazie all’invito del- l’infaticabile Giovanni Ma- rino, responsabile dell’Ar- chivio storico della Came- ra del Lavoro di Avellino, che mette in piedi una se- rata di solidarietà e scam- bio tra terre accumunate dall'esperienza del terre- moto: l’Irpinia e la Bassa Modenese, due contesti to- talmente fuori fase, nel tempo e nello spazio. L’an- tefatto c’era già stato il 31 agosto, quando una dele- gazione di irpini era giunta, in pullman, presso la ten- dopoli di Cavezzo. Un in- contro breve e pudico. Po- che chiacchiere, qualche abbraccio, qualche amicizia che si intreccia e un contributo economi- co che dalle mani dei terremotati di 30 anni fa, passa nelle mani degli attendati di oggi. Una scena piena di dignità e lacrime trattenute a stento; tra gli irpini c’è qualcuno che quella notte maledetta ci lasciò la famiglia sotto le pietre. E adesso, stasera a Nusco, seconda puntata ideale di quell’incontro. Nusco - Cavezzo è una linea diret- ta anomala e bizzarra. Prima del sisma di maggio, i nuscani proba- bilmente ignoravano finanche l’e- sistenza di una cittadina chiamata Cavezzo; e nella Bassa, solo i più vecchi si ricordano vagamente di quando Nusco fu inglorioso centro di potere. Cos’hanno in comune questi posti? Niente. O meglio: "niente", fino a poco tempo fa. Da maggio hanno in comune una me- moria sismica. E forse il futuro ri- serva loro nuove inedite comunan- ze. Perchè l'Italia sfrangiata e inde- cifrabile di questi tempi, rivela, sot- to traccia, connessioni segrete che alludono al futuro. Appena arriviamo a Nusco, una prima sorpresa: in paese c'è una contemporanea iniziativa pubblica di sindaci della zona, che discuto- no di..petrolio. Pare che a Nusco ci sia il petrolio. Resto perplesso. Il pe- trolio? A Nusco? Il petrolio cambia la storia e la geografia dei luoghi. C'è il rischio che nasca una nuova dinastia reale, tipo i Saud, e tro- vandoci a Nusco so già qual'è la fa- miglia regnante in pectore. Me la rido, ma è una cosa seria: la Val d'Agri non è lontana da qui, ed ef- fettivamente il petrolio potrebbe es- serci davvero; magari una vena corre anche sotto la favolosa villa dei De Mita (di cui 25 anni fa sen- tivo tanto parlare e a cui mi piace- rebbe buttare un occhio..). Chissà perchè, continua a tornarmi in mente Don Ciriaco. Ho anche fan- tasticato su una sua irruzione pub- blica all'iniziativa di stasera - siamo qui, a venti metri dalla sua storica sezione. Ma poi mi rendo conto che quello di De Mita è solo un fan- tasma che aleggia stanco nell'aria, nei Tg provinciali, nel non detto e nella cattiva coscienza delle occa- sioni perse da queste terre; una me- moria del passato, un non-morto. E questa non è la Transilvania, qui stasera è pieno di gente bella e vi- va. Nel nobile Seminario Vescovile, al centro del paese, arrivano un cen- tinaio di persone. Molti di loro fa- cevano parte della delegazione giunta a Cavezzo il 31 agosto. Chiedono notizie dalla tendopoli, si informano sulla situazione. In sa- la c'è un'umanità varia. Cerco di metterli a fuoco uno per uno, pro- prio per capire meglio il senso profondo di questa iniziativa. Dal- la faccia e dai sorrisi si tratta di gen- te semplice e pulita; dall'età si in- tuisce che è la prima generazione che si è emancipata dalle fatiche della vecchia Italia appenninica e rurale - spesso grazie agli stravolgi- menti sociali indotti dal terremoto dell'80. I fili delle storie cominciano a di- panarsi lungo i 700 chilometri che dividono Nusco dall'Emilia: Fran- cesco ha fatto il manovale a Mode- na in gioventù e si ricorda ancora le estati dense d'afa ; Giuseppe è un poeta, serio, accreditato e pub- blicato, ma in quanto poeta (di questi tempi) si porta dietro un'au- ra di sconfitta nobile (e in quanto poeta di provincia è doppiamente predestinato a soccombere, un ka- mikaze della cultura, senza reden- zione o paradisi, neanche postumi, a premiare la sua vocazione). E poi ci sono Angela e Antonio, che so- no preoccupati, perchè hanno un figlio disoccupato che vive proprio a Modena, che, già prima del sisma di maggio, ha visto "terremotare" il mercato del lavoro in cui sperava di inserirsi. Pochissimi giovani: quelli del paese stanno seduti nella piaz- zetta, fuori, come un misterioso convitato di pietra sempre assente, ogni volta che si parla di futuro. Il dibattito comincia e fila via liscio, ricco e umanamente coinvolgente. Giovanni Marino gestisce tutto - in- terventi e audiovisivi -, come un di- rettore d'orchestra (mentre io pre- go silenziosamente che Dio ci conservi a lungo questi infaticabili agita- tori culturali, che sono il vero petrolio della pro- vincia italiana..). Il clima della serata, re- ca con sè qualcosa di ar- caico e di modernissi- mo: c'è il sapore antico di quella cosa che chia- mavamo "comunità" (che non era localismo, ma cultura popolare); eppure c'è anche la sen- sazione di essere in una specie di anno zero, in cui le vecchie ritualità (come quelle dei dibatti- ti "di sinistra") vengono sostituiti da un "altro" in gestazione. E la gente è informata, aperta, abi- tuata al viaggio, all'aper- tura mentale - un Italia che non considera più il suo ap- pennino come nicchia, protezione, culla clientelare e familista. Quindi: conclusioni e ricco buffet. Don Ciriaco non si è presentato. Continua a comparirmi la sua fac- cia da rapace nella testa - e sono l'unico, in mezzo a tutta questa gente. La mia mente funziona co- me un pastone del tg: tengo in vita un simulacro senza sostanza. All'uscita, due passi nel paese e mi libero di qualche curiosità; chiedo a Giovanni se è vero (come si dice- va tanti anni fa) che Nusco avesse il reddito procapite più alto dell'Ir- pinia. Lui mi risponde di no, asso- lutamente. Ha fatto il bancario tan- ti anni e conosce più segreti del prete. E anche i benefici dell'unica zona industriale sopravvissuta (quella della Ferrero), ricadono so- lo in parte su Nusco. Mi crolla qualche antico mito, circa la "tana del lupo". E della fedeltà dei nuscani a don Ciriaco, cosa è rimasto? Sopravvi- ve solo in forma residuale; a Nu- sco governa una giunta civica-PD, guidata dal nipote ribelle del vec- chio De Mita. E allora anche io mi metto a smon- tare qualche luogo comune. Mi chiedono delle strategie in campo nella ricostruzione modenese. Gli rispondo che non ne vedo alcuna ( ed è anche l'opinione dei comitati della Bassa). E questo non solo per- chè mancano i soldi. Ma soprattut- to per l'assenza di una grande in- telligenza collettiva in grado di di- rezionare i processi. A Modena il "Partitone" come sede di sintesi e direzione politica, non esiste più. E a Cavezzo, a Mirandola, a San Fe- lice (come in Irpinia) i sindaci e gli amministratori sono lasciati soli: e ai piani bassi degli assessorati, non si hanno le competenze, gli stru- menti, lo sguardo lungo, per pro- grammare autentiche strategie. Or- mai ci sono solo "amministratori" in campo, e quindi l'esperienza co- mune è di gestione ordinaria del- l'esistente; quando si presenta uno scenario "extra-ordinario" l'ammi- nistratore (per giunta senza soldi) può solo rappezzare qua e là, un tessuto lacerato, che non regge più alle nuove condizioni. Il PCI nella bassa modenese, prendeva le stes- se percentuali bulgare della DC ir- pina. E anche quello è un fantasma del passato, un pò più nobile e pu- lito, ma comunque lontano nel tempo. E la villa di De Mita? Non mi to- glierete anche quel mito? Ebbene si. Neanche quella è così favolosa; me la descrivono più pacchiana che suntuosa ( Toni Montana che incontra la sinistra di Base DC, per capirne lo stile). Mi passa la voglia di vederla. Continuiamo a deluderci, io e i miei amici irpini. Io ho perso il mi- to adolescenziale di Nusco "tana del lupo". E loro hanno conferma, dal mio racconto, di quanto già in- tuivano, circa la tenuta sociale e ci- vica della mitica Emilia Rossa - or- mai rosè.. Eppure una serata così bella e stra- na merita qualche conclusione. Negli anni 70 Nord e Sud uniti nel- la lotta fu una straordinaria parola d'ordine sindacale, che provava a tenere insieme meridionalismo e questione operaia. Negli anni 80, proprio qui, nella verde Irpinia, morì la Questione Meridionale. Aveva agitato il dibat- tito culturale per 100 anni e si spen- se sotto gli scandali (reali e inven- tati) di una ricostruzione abortita. Di recente è venuta a mancare an- che la Questione Settentrionale, che dal 90 aveva tenuto banco. Da Don Ciriaco al Trota, una parabola ma- linconica chiude un trentennio di contrapposizioni nord/sud. Oggi c'è lo spread, al centro di ogni agenda politica; non esiste più un "Nord" e un "Sud"; la crisi, demo- cratica ed equanime, livella le dif- ferenze territoriali, schiacciando tutti sotto lo stesso manto di dispe- razione. Le grandi costruzioni idea- li e le grandi parole d'ordine della nostra storia repubblicana e costi- tuzionale sono ormai carta straccia. E allora cosa resta? Restano le persone. Resta Antonio, col figlio disoccupato a Modena, Giuseppe il poeta , Angelo, Pietro, Claudia, Francesco, che un pome- riggio d'agosto vanno a Cavezzo, a portare aiuti e un abbraccio. In un’Italia perplessa e impaurita, sen- za più intellettuali, senza partiti, senza strategie e prospettive, re- stano in campo solo le mani pulite della gente per bene - e a loro ci dobbiamo affidare. Nord e Sud uniti dalla sfiga. Uniti loro malgrado - quasi. Uniti dalla crisi. Uniti dalla consapevolezza che o ci salviamo tutti o non si sal- va nessuno - nelle tendopoli dispe- rate della Bassa, nei paesini senza futuro dell'Appennino stanco, die- tro ai cancelli di fabbriche mezze chiuse; tra le vite di quei "clande- stini della storia" che o muoiono d'un colpo, schiacciati dalle cata- strofi (dai tufi antichi o dai capan- noni "moderni" che collassano) o muoiono un pò per volta, ogni giorno, schiacciati dai debiti, dalla disoccupazione, dalla fatica quoti- diana di tirare avanti. E allora, mentre percorriamo l'O- fantina deserta, faccio finta che tra Nusco e Modena si stenda una so- la lunga faglia; e che per una volta sia una faglia benevola, che non in- crespa la terra, ma solo le coscien- ze intorpidite e perplesse. Abbiamo bisogno di sommovi- menti intensi, a Sud come a Nord. 31 CORRI R Domenica 11 novembre 2012 Lo scrittore Giovanni Iozzoli, autore di “Terremotati”, racconta il suo ritorno in Irpinia, dal mito adolescenziale della "tana del lupo" alla tenuta sociale della mitica Emilia rossa, ormai rosè Quel legame tra Nusco e Cavezzo GIOVANNI IOZZOLI STORIA DEL TERRITORIO LA DOMENICA DEL CORRIERE L’incontro con lo scrittore Cavezzi a Nusco La tendopoli di Cavezzo La delegazione partita dall’Irpinia per Cavezzo, in Emilia “I terremotati” di Giovanni Iozzoli non è il soli- to libro sul terremoto dell’Irpinia. La cosiddetta elitès intellettuale irpina da qui a 30 anni non ha fatto altro che scriverne, parlarne, poetarci su in inutili dibattiti e riunioni da salotto senza mai smuovere nessuna coscienza e soprattutto non producendo niente di utile. Confesso pertanto che non ero attratto dall’idea di leggere l’enne- simo libro piagnisteo sul sisma ma il punto di vista crudo, lucido e obiettivo di Giovanni Ioz- zoli mi ha spinto a leggere tutto il suo roman- zo. “I terremotati” ripercorre le vicende di un me- talmeccanico irpino emigrato al nord, non più la visione distaccata e poeticamente astratta de- gli autoproclamati filosofi irpini ma quella dei “cafoni” ovvero il popolo irpino reale. Conside- rati cafoni dalle sopra citate elitès e da uno squal- lido e grigio capoluogo di provincia: “A quaran- tacinque minuti di corriera c’era Avellino, che chiamava- mo città anche se non se lo meritava, un cesso di paeso- ne pieno di cittadini poveri e altezzosi”. Il popolo reale era ben cosciente di essere sem- pre stato fottuto da tutti senza differenza alcuna, da ogni re e padrone del corso della storia, dai Borbone allo stato democratico. E’ il libro di tut- ti : “cristiani, cani, ciucci, signori e cafoni!” Scorrendo tra le righe del romano inizialmente emerge il ritratto dei paesi deturpati invasi dal- l’onda del progresso. Il prete in paranoia nelle prediche inutilmente invita i pochi fedeli a star lontani dai napoletani e dalla televisione che i- niziava a diffondere falsi modelli (i primi sinto- mi del berlusconismo). Dal ritratto di Iozzoli i placidi abitanti dell’Irpi- nia sembravano come vitelli lenti e ingenui ma forti e di sani principi e senza preavviso si vide- ro investiti da un’ondata di serpi che portarono quella scaltrezza e quella malizia propria delle città. In un paese ormai composto da cadaveri e da cutoliani che si aggirano come avvoltoi il prota- gonista ha una sorella che torna dopo qualche anno non ritrovano nient’altro che uno specchio in cui rivedersi non più giovane, sola, e sfiori- ta. Di fatto oggi, quella parte di Irpinia di cui si nar- ra non esiste più inghiottita dall’hin- terland avellinese cementificato dai Sibilia, dal grigio a- busivismo, dallo sporco e dall’ano- nimo. Queste righe ci restituiscono il senso di u- na comunità che fu, non sono altro che una car- tolina di un mondo che non potrebbe più esse- re. E man mano che si innalzavano i palazzi si can- cellavano tracce importanti di storia sostituen- dole con la bandiera dell’Avellino calcio, co- mandato da Don Sibilia, il massimo affarista nel mondo edile, colui che col pugno di ferro e con carisma sapeva veramente distribuire panem et circenses al popolo ignorante. L’80 corroborò la camorra che di fatto divenne quella che conosciamo oggi, passando da orga- nizzazione di microcriminalità poco organizza- ta e capillare a impero economico potentissimo. Né l’80 fu un fatto che riguardò soltanto il sud, tutta la politica italiana divenne gradualmente quella cosa viscida che conosciamo oggi e al- l’epoca –fa quasi tenerezza- c’era chi sperava in un grosso cambiamento grazie a Bettino Craxi e al P.S.I. mentre nel nord gli animi si infiamma- vano in nome di una razza superiore cosiddet- ta “padana” parafrasando in modo scorretto un giornalista della Gazzetta dello Sport. A 32 anni di distanza dal “grande cambiamen- to”, leggere questi racconti vuol dire compren- dere meglio chi e cosa eravamo. L’Irpinia martoriata di oggi in fondo è ancora verde, per chi può ricordarsela e per chi ha mo- do di leggere questo libro. Luigi Capone Nel libro di Iozzoli il senso della comunità che fu LE AREE INTERNE E IL PROGRESSO Iozzoli si racconta in Irpinia Pagina 31 terremoto Iozzoli x 11_hinterland 18 x 21 12/11/12 16.08 Pagina 1

La delegazione partita dall’Irpinia La tendopoli di Cavezzo Quel … · 2012. 11. 12. · tito culturale per 100 anni e si spen-se sotto gli scandali (reali e inven-tati) di una

  • Upload
    others

  • View
    7

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: La delegazione partita dall’Irpinia La tendopoli di Cavezzo Quel … · 2012. 11. 12. · tito culturale per 100 anni e si spen-se sotto gli scandali (reali e inven-tati) di una

MMetti una sera a Nu-sco, in una bellaserata di fine set-tembre. Nusco èun posto languida-mente evocativo.

Per noi scalcagnati sovversivi deglianni 80, Nusco era il covo del"clan degli avellinesi", la cricca dipotere che dalle montagne irpinedominava la vita politica italiana.Territori inespugnabili, do-ve il nemico di classe ave-va costruito un consensomonolitico.Ci torno dopo molti lunghianni, grazie all’invito del-l’infaticabile Giovanni Ma-rino, responsabile dell’Ar-chivio storico della Came-ra del Lavoro di Avellino,che mette in piedi una se-rata di solidarietà e scam-bio tra terre accumunatedall'esperienza del terre-moto: l’Irpinia e la BassaModenese, due contesti to-talmente fuori fase, neltempo e nello spazio. L’an-tefatto c’era già stato il 31agosto, quando una dele-gazione di irpini era giunta,in pullman, presso la ten-dopoli di Cavezzo. Un in-contro breve e pudico. Po-che chiacchiere, qualcheabbraccio, qualche amicizia che siintreccia e un contributo economi-co che dalle mani dei terremotati di30 anni fa, passa nelle mani degliattendati di oggi. Una scena pienadi dignità e lacrime trattenute astento; tra gli irpini c’è qualcunoche quella notte maledetta ci lasciòla famiglia sotto le pietre.E adesso, stasera a Nusco, secondapuntata ideale di quell’incontro.Nusco - Cavezzo è una linea diret-ta anomala e bizzarra. Prima delsisma di maggio, i nuscani proba-bilmente ignoravano finanche l’e-sistenza di una cittadina chiamataCavezzo; e nella Bassa, solo i piùvecchi si ricordano vagamente diquando Nusco fu inglorioso centrodi potere. Cos’hanno in comunequesti posti? Niente. O meglio:"niente", fino a poco tempo fa. Damaggio hanno in comune una me-moria sismica. E forse il futuro ri-

serva loro nuove inedite comunan-ze. Perchè l'Italia sfrangiata e inde-cifrabile di questi tempi, rivela, sot-to traccia, connessioni segrete chealludono al futuro.Appena arriviamo a Nusco, unaprima sorpresa: in paese c'è unacontemporanea iniziativa pubblicadi sindaci della zona, che discuto-no di..petrolio. Pare che a Nusco cisia il petrolio. Resto perplesso. Il pe-trolio? A Nusco? Il petrolio cambiala storia e la geografia dei luoghi.C'è il rischio che nasca una nuova

dinastia reale, tipo i Saud, e tro-vandoci a Nusco so già qual'è la fa-miglia regnante in pectore. Me larido, ma è una cosa seria: la Vald'Agri non è lontana da qui, ed ef-fettivamente il petrolio potrebbe es-serci davvero; magari una venacorre anche sotto la favolosa villadei De Mita (di cui 25 anni fa sen-tivo tanto parlare e a cui mi piace-rebbe buttare un occhio..). Chissàperchè, continua a tornarmi inmente Don Ciriaco. Ho anche fan-tasticato su una sua irruzione pub-blica all'iniziativa di stasera - siamoqui, a venti metri dalla sua storicasezione. Ma poi mi rendo contoche quello di De Mita è solo un fan-tasma che aleggia stanco nell'aria,nei Tg provinciali, nel non detto enella cattiva coscienza delle occa-sioni perse da queste terre; una me-moria del passato, un non-morto.E questa non è la Transilvania, qui

stasera è pieno di gente bella e vi-va. Nel nobile Seminario Vescovile, alcentro del paese, arrivano un cen-tinaio di persone. Molti di loro fa-cevano parte della delegazionegiunta a Cavezzo il 31 agosto.Chiedono notizie dalla tendopoli, siinformano sulla situazione. In sa-la c'è un'umanità varia. Cerco dimetterli a fuoco uno per uno, pro-prio per capire meglio il sensoprofondo di questa iniziativa. Dal-la faccia e dai sorrisi si tratta di gen-

te semplice e pulita; dall'età si in-tuisce che è la prima generazioneche si è emancipata dalle fatichedella vecchia Italia appenninica erurale - spesso grazie agli stravolgi-menti sociali indotti dal terremotodell'80.I fili delle storie cominciano a di-panarsi lungo i 700 chilometri chedividono Nusco dall'Emilia: Fran-cesco ha fatto il manovale a Mode-na in gioventù e si ricorda ancorale estati dense d'afa ; Giuseppe èun poeta, serio, accreditato e pub-blicato, ma in quanto poeta (diquesti tempi) si porta dietro un'au-ra di sconfitta nobile (e in quantopoeta di provincia è doppiamentepredestinato a soccombere, un ka-mikaze della cultura, senza reden-zione o paradisi, neanche postumi,a premiare la sua vocazione). E poici sono Angela e Antonio, che so-no preoccupati, perchè hanno un

figlio disoccupato che vive proprioa Modena, che, già prima del sismadi maggio, ha visto "terremotare" ilmercato del lavoro in cui sperava diinserirsi. Pochissimi giovani: quellidel paese stanno seduti nella piaz-zetta, fuori, come un misteriosoconvitato di pietra sempre assente,ogni volta che si parla di futuro.Il dibattito comincia e fila via liscio,ricco e umanamente coinvolgente.Giovanni Marino gestisce tutto - in-terventi e audiovisivi -, come un di-rettore d'orchestra (mentre io pre-

go silenziosamente cheDio ci conservi a lungoquesti infaticabili agita-tori culturali, che sono ilvero petrolio della pro-vincia italiana..).Il clima della serata, re-ca con sè qualcosa di ar-caico e di modernissi-mo: c'è il sapore anticodi quella cosa che chia-mavamo "comunità"(che non era localismo,ma cultura popolare);eppure c'è anche la sen-sazione di essere in unaspecie di anno zero, incui le vecchie ritualità(come quelle dei dibatti-ti "di sinistra") vengonosostituiti da un "altro" ingestazione. E la gente èinformata, aperta, abi-tuata al viaggio, all'aper-tura mentale - un Italia

che non considera più il suo ap-pennino come nicchia, protezione,culla clientelare e familista.Quindi: conclusioni e ricco buffet. Don Ciriaco non si è presentato.Continua a comparirmi la sua fac-cia da rapace nella testa - e sonol'unico, in mezzo a tutta questagente. La mia mente funziona co-me un pastone del tg: tengo in vitaun simulacro senza sostanza.All'uscita, due passi nel paese e milibero di qualche curiosità; chiedoa Giovanni se è vero (come si dice-va tanti anni fa) che Nusco avesseil reddito procapite più alto dell'Ir-pinia. Lui mi risponde di no, asso-lutamente. Ha fatto il bancario tan-ti anni e conosce più segreti delprete. E anche i benefici dell'unicazona industriale sopravvissuta(quella della Ferrero), ricadono so-lo in parte su Nusco. Mi crollaqualche antico mito, circa la "tana

del lupo".E della fedeltà dei nuscani a donCiriaco, cosa è rimasto? Sopravvi-ve solo in forma residuale; a Nu-sco governa una giunta civica-PD,guidata dal nipote ribelle del vec-chio De Mita.E allora anche io mi metto a smon-tare qualche luogo comune. Michiedono delle strategie in camponella ricostruzione modenese. Glirispondo che non ne vedo alcuna (ed è anche l'opinione dei comitatidella Bassa). E questo non solo per-chè mancano i soldi. Ma soprattut-to per l'assenza di una grande in-telligenza collettiva in grado di di-rezionare i processi. A Modena il"Partitone" come sede di sintesi edirezione politica, non esiste più. Ea Cavezzo, a Mirandola, a San Fe-lice (come in Irpinia) i sindaci e gliamministratori sono lasciati soli: eai piani bassi degli assessorati, nonsi hanno le competenze, gli stru-menti, lo sguardo lungo, per pro-grammare autentiche strategie. Or-mai ci sono solo "amministratori"in campo, e quindi l'esperienza co-mune è di gestione ordinaria del-l'esistente; quando si presenta unoscenario "extra-ordinario" l'ammi-nistratore (per giunta senza soldi)può solo rappezzare qua e là, untessuto lacerato, che non regge piùalle nuove condizioni. Il PCI nellabassa modenese, prendeva le stes-se percentuali bulgare della DC ir-pina. E anche quello è un fantasmadel passato, un pò più nobile e pu-lito, ma comunque lontano neltempo.E la villa di De Mita? Non mi to-glierete anche quel mito? Ebbenesi. Neanche quella è così favolosa;me la descrivono più pacchianache suntuosa ( Toni Montana cheincontra la sinistra di Base DC, percapirne lo stile). Mi passa la vogliadi vederla. Continuiamo a deluderci, io e imiei amici irpini. Io ho perso il mi-to adolescenziale di Nusco "tanadel lupo". E loro hanno conferma,dal mio racconto, di quanto già in-tuivano, circa la tenuta sociale e ci-vica della mitica Emilia Rossa - or-mai rosè..Eppure una serata così bella e stra-na merita qualche conclusione.Negli anni 70 Nord e Sud uniti nel-la lotta fu una straordinaria parolad'ordine sindacale, che provava a

tenere insieme meridionalismo equestione operaia. Negli anni 80, proprio qui, nellaverde Irpinia, morì la QuestioneMeridionale. Aveva agitato il dibat-tito culturale per 100 anni e si spen-se sotto gli scandali (reali e inven-tati) di una ricostruzione abortita.Di recente è venuta a mancare an-che la Questione Settentrionale, chedal 90 aveva tenuto banco. Da DonCiriaco al Trota, una parabola ma-linconica chiude un trentennio dicontrapposizioni nord/sud. Oggic'è lo spread, al centro di ogniagenda politica; non esiste più un"Nord" e un "Sud"; la crisi, demo-cratica ed equanime, livella le dif-ferenze territoriali, schiacciandotutti sotto lo stesso manto di dispe-razione. Le grandi costruzioni idea-li e le grandi parole d'ordine dellanostra storia repubblicana e costi-tuzionale sono ormai carta straccia.E allora cosa resta? Restano le persone. Resta Antonio,col figlio disoccupato a Modena,Giuseppe il poeta , Angelo, Pietro,Claudia, Francesco, che un pome-riggio d'agosto vanno a Cavezzo, aportare aiuti e un abbraccio. Inun’Italia perplessa e impaurita, sen-za più intellettuali, senza partiti,senza strategie e prospettive, re-stano in campo solo le mani pulitedella gente per bene - e a loro cidobbiamo affidare.Nord e Sud uniti dalla sfiga. Unitiloro malgrado - quasi. Uniti dallacrisi. Uniti dalla consapevolezzache o ci salviamo tutti o non si sal-va nessuno - nelle tendopoli dispe-rate della Bassa, nei paesini senzafuturo dell'Appennino stanco, die-tro ai cancelli di fabbriche mezzechiuse; tra le vite di quei "clande-stini della storia" che o muoionod'un colpo, schiacciati dalle cata-strofi (dai tufi antichi o dai capan-noni "moderni" che collassano) omuoiono un pò per volta, ognigiorno, schiacciati dai debiti, dalladisoccupazione, dalla fatica quoti-diana di tirare avanti. E allora, mentre percorriamo l'O-fantina deserta, faccio finta che traNusco e Modena si stenda una so-la lunga faglia; e che per una voltasia una faglia benevola, che non in-crespa la terra, ma solo le coscien-ze intorpidite e perplesse. Abbiamo bisogno di sommovi-menti intensi, a Sud come a Nord.

31CORRI R

Domenica 11 novembre 2012

Lo scrittore Giovanni Iozzoli, autore di “Terremotati”, racconta il suo ritorno in Irpinia, dal mitoadolescenziale della "tana del lupo" alla tenuta sociale della mitica Emilia rossa, ormai rosè

Quel legame tra Nusco e CavezzoGIOVANNI IOZZOLI

STORIA DEL TERRITORIO

LA DOMENICA DEL CORRIERE

L’incontro con lo scrittore Cavezzi a NuscoLa tendopoli di CavezzoLa delegazione partita dall’Irpinia per Cavezzo, in Emilia

“I terremotati” di Giovanni Iozzoli non è il soli-to libro sul terremoto dell’Irpinia. La cosiddettaelitès intellettuale irpina da qui a 30 anni nonha fatto altro che scriverne, parlarne, poetarci suin inutili dibattiti e riunioni da salotto senza maismuovere nessuna coscienza e soprattutto nonproducendo niente di utile. Confesso pertantoche non ero attratto dall’idea di leggere l’enne-simo libro piagnisteo sul sisma ma il punto divista crudo, lucido e obiettivo di Giovanni Ioz-zoli mi ha spinto a leggere tutto il suo roman-zo.“I terremotati” ripercorre le vicende di un me-talmeccanico irpino emigrato al nord, non piùla visione distaccata e poeticamente astratta de-gli autoproclamati filosofi irpini ma quella dei“cafoni” ovvero il popolo irpino reale. Conside-rati cafoni dalle sopra citate elitès e da uno squal-lido e grigio capoluogo di provincia: “A quaran-

tacinque minuti di corrierac’era Avellino, che chiamava-mo città anche se non se lomeritava, un cesso di paeso-ne pieno di cittadini poveri ealtezzosi”. Il popolo reale eraben cosciente di essere sem-pre stato fottuto da tutti senza differenza alcuna,da ogni re e padrone del corso della storia, daiBorbone allo stato democratico. E’ il libro di tut-ti : “cristiani, cani, ciucci, signori e cafoni!”Scorrendo tra le righe del romano inizialmenteemerge il ritratto dei paesi deturpati invasi dal-l’onda del progresso. Il prete in paranoia nelleprediche inutilmente invita i pochi fedeli a starlontani dai napoletani e dalla televisione che i-niziava a diffondere falsi modelli (i primi sinto-mi del berlusconismo). Dal ritratto di Iozzoli i placidi abitanti dell’Irpi-

nia sembravano come vitelli lenti e ingenui maforti e di sani principi e senza preavviso si vide-ro investiti da un’ondata di serpi che portaronoquella scaltrezza e quella malizia propria dellecittà.In un paese ormai composto da cadaveri e dacutoliani che si aggirano come avvoltoi il prota-gonista ha una sorella che torna dopo qualcheanno non ritrovano nient’altro che uno specchioin cui rivedersi non più giovane, sola, e sfiori-ta.Di fatto oggi, quella parte di Irpinia di cui si nar-

ra non esiste piùinghiottita dall’hin-terland avellinesecementificato daiSibilia, dal grigio a-busivismo, dallosporco e dall’ano-

nimo. Queste righe ci restituiscono il senso di u-na comunità che fu, non sono altro che una car-tolina di un mondo che non potrebbe più esse-re.E man mano che si innalzavano i palazzi si can-cellavano tracce importanti di storia sostituen-dole con la bandiera dell’Avellino calcio, co-mandato da Don Sibilia, il massimo affarista nelmondo edile, colui che col pugno di ferro e concarisma sapeva veramente distribuire panem etcircenses al popolo ignorante.L’80 corroborò la camorra che di fatto divenne

quella che conosciamo oggi, passando da orga-nizzazione di microcriminalità poco organizza-ta e capillare a impero economico potentissimo.Né l’80 fu un fatto che riguardò soltanto il sud,tutta la politica italiana divenne gradualmentequella cosa viscida che conosciamo oggi e al-l’epoca –fa quasi tenerezza- c’era chi sperava inun grosso cambiamento grazie a Bettino Craxi eal P.S.I. mentre nel nord gli animi si infiamma-vano in nome di una razza superiore cosiddet-ta “padana” parafrasando in modo scorretto ungiornalista della Gazzetta dello Sport.A 32 anni di distanza dal “grande cambiamen-to”, leggere questi racconti vuol dire compren-dere meglio chi e cosa eravamo.L’Irpinia martoriata di oggi in fondo è ancoraverde, per chi può ricordarsela e per chi ha mo-do di leggere questo libro.

Luigi Capone

Nel libro di Iozzoli il sensodella comunità che fu

LE AREE INTERNE E IL PROGRESSO

Iozzoli si racconta in Irpinia

Pagina 31 terremoto Iozzoli x 11_hinterland 18 x 21 12/11/12 16.08 Pagina 1