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A cura di Elena Golli Dicembre 2013 La filosofia del cibo

La Filosofia Del Cibo - Elena Golli

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A cura di Elena Golli

Dicembre 2013

La filosofia del cibo

Indice

LO SGUARDO DELL’ ANTROPOLOGIA SULL’ALIMENTAZIONE: EDUCARE ALLA

RESPONSABILITÀ AGROALIMENTARE IL CIBO QUALE MEZZO DI COMUNICAZIONE, CONOSCENZA, RELAZIONE E RISPETTO DELLA

DIVERSITÀ LE PRINCIPALI CORRENTI ANTROPOLOGICHE SULLA NUTRIZIONE: TESI A CONFRONTO

IL CIBO BUONO E IL CIBO CATTIVO: DUE PROSPETTIVE A CONFRONTO IL CIBO NELLA COSTRUZIONE DELLE RELAZIONI SOCIALI. APPROCCIO FUNZIONALISTA E

APPROCCIO STORICO A CONFRONTO IL CIBO O STATUS SOCIALE. APPROCCIO ECONOMICO-GLOBALE

IL CIBO DA AGRICOLTURA BIODINAMICA CHE COS’È L’AGRICOLTURA BIODINAMICA IL METODO BIODINAMICO L’EFFICACIA DELLA AGRICOLTURA BIODINAMICA LA VISIONE SPIRITUALE ANTROPOSOFICA DI RUDOLF STEINER BIBLIOGRAFIA

IL CIBO DA AGRICOLTURA BIOLOGICA CHE COS’È L’AGRICOLTURA BIOLOGICA L’EFFICACIA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA BIBLIOGRAFIA L’AGRICOLTURA BIOLOGICA SECONDO IL FILOSOFO GIAPPONESE MASANOBU FUKUOKA BIBLIOGRAFIA

IL CIBO VEGETARIANO IL VEGETARIANISMO LA FILOSOFIA VEGETARIANA DALL'ANTICA GRECIA AL MEDIOEVO L’ETÀ MODERNA L'OTTOCENTO E LA COSTITUZIONE DELLA VEGETARIAN SOCIETY IL XX SECOLO. LA RIVOLTA E LA FILOSOFIA VEGANA

LE RAGIONI DELLA SCELTA VEGETARIANA IL VEGANISMO ETICO

IL VEGETARIANISMO RELIGIOSO VEGETARIANISMO E SALUTE PSICOFISICA I VEGETARIANI CELEBRI BIBLIOGRAFIA

LA PSICOLOGIA DEL CIBO QUOTIDIANO: UNA RIFLESSIONE PER CONCLUDERE BIBLIOGRAFIA

China, Yunnan, Yuanyang, elderly woman and child in restaurant - Getty Images

LO SGUARDO DELL’ANTROPOLOGIA SULL’ALIMENTAZIONE: EDUCARE ALLA RESPONSABILITÀ AGROALIMENTARE eat-ing.net IL CIBO QUALE MEZZO DI COMUNICAZIONE, CONOSCENZA, RELAZIONE E RISPETTO DELLA DIVERSITÀ

Attraverso il cibo sottolineiamo le differenze tra etnie e la nostra appartenenza a un gruppo sociale, ma condividere cibo diverso è un modo per mescolare civiltà e favorire lo scambio culturale (Roberta Schira, Cucinoterapia)

Dopo un viaggio in luoghi lontani, dopo aver soggiornato per molto tempo in comunità, famiglie,

città con abitudini alimentari diverse, al ritorno i nostri amici o genitori ci chiedono spesso cosa abbiamo mangiato, come e con chi. Non bisogna andare per forza al di là del Pacifico per trovare cibi e pietanze diversi dalle nostre, basta solo muoversi in Europa. Viaggiare significa conoscere persone e popoli diversi e uno dei primi contatti è rappresentato dal cibo.

Sedersi – quando ci sono le sedie e i tavoli – insieme ad altre persone e assaggiare insieme a loro i piatti autoctoni sono azioni che ci introducono alle esperienze locali di vita collettiva. Questo aspetto, che sembra così banale e scontato nella nostra quotidianità, assume sfumature di divertimento, di paura e di difficile comprensione, quando ci troviamo in contesti diversi dai nostri.

Chi è stato all’estero e decide di mangiare in un ristorante, in una trattoria, o è invitato a condividere un pasto, per saper scegliere un determinato cibo, per sapersi relazionare con i propri commensali, per occuparsi adeguatamente degli indumenti e dell’igiene personale, per comprendere i precetti religiosi che ogni pasto può evocare, deve capire una grammatica fitta di regole che fa scaturire una serie di domande: Che cos’è ciò che c’è nel piatto? Cosa ci sarà scritto sul menù?; Se nel menù non ci fosse il cibo desiderato, devo chiederlo da solo? Dove mi dovrò sedere? Come? Posso sedermi vicino a uomini e donne, o è meglio stare vicino a persone del mio genere? Quale mano dovrò usare per prendere il cibo? Posso parlare mentre mangio, o è meglio stare in silenzio? Sono invitato a una festa religiosa? Come mi devo comportare, se a questa festa sono vietati alcuni cibi o le persone digiunano?

Tutte queste domande affollano la mente degli antropologi, quando vanno a lavorare sul campo per mesi o per anni, mentre cercano di imparare a comportarsi secondo le pratiche comuni delle comunità per esserne accettati.

È chiaro che i contesti dove si soggiorna possono presentare singole specificità e, risiedere a New York sarà sicuramente diverso dal risiedere in un piccolo paese lappone o in qualche isola della Melanesia.

Ma pur nella molteplicità delle situazioni, le domande che ricorrono sono spesso quelle proposte. Ciò che risulta chiaro, quando usciamo dalla nostra cultura, è che niente è scontato e bisogna imparare da capo regole e pratiche. LE PRINCIPALI CORRENTI ANTROPOLOGICHE SULLA NUTRIZIONE: TESI A CONFRONTO

Lo scambio culturale attraverso il cibo è la comprensione e il

rispetto dell’altro pur nella considerazione dell’evoluzione del costume e della società (Roberta Schira; Cucinoterapia)

Nel Novecento diversi antropologi si sono occupati di nutrizione contribuendo a svincolare la

nozione di “cibo” dalla sua mera accezione di “nutrimento”, inteso come soddisfacimento di un bisogno fisiologico, per evidenziarne la natura di costruzione culturale, elaborata dalle comunità umane nel corso dei secoli.

Ciò che mangiamo è il frutto della storia della specie umana, che ha imparato a usare il fuoco, a sperimentare tecniche di cottura, a riconoscere i cibi velenosi, a elaborare pietanze in modo articolato e a muoversi sul territorio, esportando gusti e ingredienti in luoghi diversi.

L’antropologia storica ci ricorda l’importanza delle cosiddette piante di civiltà, ossia le basi alimentari per lo sviluppo di culture complesse, come il grano in Europa e nel vicino Oriente, il mais in Messico, la patata nelle Ande e il riso in Asia.

L’evoluzione delle pratiche di alimentazione umana è un processo storico di lunga durata, in cui l’insieme delle conoscenze ed esperienze relative all’approvvigionamento (caccia, pesca, raccolta, allevamento, agricoltura ecc.) e alle prassi trasformative dei generi alimentari si accumula e si radica nelle prassi sociali umane nell’arco di generazioni.

Gli alimenti, così come i procedimenti che ne plasmano la commestibilità e la fruibilità, divengono così il fulcro di relazioni culturali estese, plasmate da dinamiche economiche, sociali e politiche interne a processi storici determinati. IL CIBO BUONO E IL CIBO CATTIVO: DUE PROSPETTIVE A CONFRONTO

Il cibo diventa metafora di ciò che è buono e di ciò che è cattivo (Roberta Schira, Cucinoterapia)

Alcuni studiosi analizzano il disgusto umano verso certi cibi e la preferenza verso altri quali

segni del primordiale timore di essere contaminati da organismi patogeni da un lato, e della paura di assumere le caratteristiche del cibo mangiato dall’altro.

La prima prospettiva ha una matrice igienico-sanitaria e si basa sul concetto moderno di malattia, per cui si mangiano determinati alimenti in base alle loro caratteristiche nutrizionali.

La seconda prospettiva, invece, si fonda sul pensiero magico-religioso di James Frazer, articolato, come si evince nello scritto Il ramo d’oro, in due leggi di magia simpatica: la legge della somiglianza e la legge del contatto. Sulla base della legge della somiglianza alcuni popoli decidono di eliminare dalla loro dieta i cibi che hanno caratteristiche simili. In forza della legge del contatto, invece, si afferma che, quando si entra in contatto con un determinato cibo, se ne assume l’essenza. Si pensi in particolar modo a quando si mangia la carne. Se ci si ciba di determinati animali, quindi, si potrebbero acquisire caratteristiche fisiche o mentali derivanti dalla loro carne, e pertanto occorre prestare cautela. IL CIBO NELLA COSTRUZIONE DELLE RELAZIONI SOCIALI. APPROCCIO FUNZIONALISTA E APPROCCIO STORICO A CONFRONTO

Ogni volta che mangiamo non abbiamo a che fare solo con un alimento, ma prima di tutto con il nostro cibo interiore, il nostro vissuto di mangiatori che hanno introiettato insieme al cibo tutte le rappresentazioni mitiche e simboliche della propria cultura, ceto, famiglia. (Roberta Schira, Cucinoterapia)

Grazie all’applicazione nelle ricerche del metodo etnografico di Bronislaw Malinowski, secondo cui occorre risiedere per molto tempo nelle comunità oggetto di studio, si è potuto contestualizzare il consumo alimentare all’interno delle collettività di appartenenza. Si è visto che il cibo non è soltanto una modalità di sostenersi biologicamente, ma è anche un atto rituale che, venendo incorporato in processi più ampi, permette di costruire relazioni sociali tendenti all’equilibrio e alla stabilità.

Tra gli abitanti delle isole Andamane, ad esempio, Alfred Reginald Radcliffe-Brown, ha notato che l’attività sociale più pregnante è proprio la ricerca del cibo, attraverso la quale emergono i sentimenti sociali più forti, che trovano la loro esplicitazione in cerimonie volte ad affermare l’aderenza dei singoli alla società di appartenenza. Il cibo, quindi, ha il ruolo sociale di catalizzatore di energie e di tensioni al fine di ristabilire l’equilibrio all’interno delle comunità.

L’approccio funzionalista dell’antropologia pone, pertanto, l’attenzione più sui processi di produzione, accaparramento e consumo del cibo, interessandosi alla natura delle istituzioni sociali, piuttosto che sul significato simbolico dell’alimentazione come fa, invece, l’approccio storico, il cui esponente di spicco è Claude Lévi-Strauss.

Il cibo serve soprattutto a soddisfare un appetito simbolico. L’interesse dello studioso per l’alimentazione emerge in testi come Il crudo e il cotto, Le buone maniere a tavola, dove sviluppa il tema della presenza, nelle culture, di tre categorie universali denominate il "triangolo culinario": il crudo, il cotto, il putrido.

Nei suoi lavori sui numerosi miti amerindiani, Lèvi-Strauss pone la sua attenzione sul fuoco: è l’elemento di trasformazione del cibo. Si tratta di un processo che fa emergere il passaggio dalla natura alla cultura; il cibo, cioè, da elemento naturale si trasforma in opera culturale dell’uomo.

Seguendo le orme del maestro, l’antropologa Mary Douglas ha lavorato sul significato simbolico dei cibi. Nel saggio Decifrare un pasto ha decodificato un pasto, preparato da massaie inglesi, mettendo in luce come il cibo sia un codice con cui sono espressi i rapporti sociali in esso concentrati: i diversi gradi gerarchici, le classi di potere e la divisione dei generi.

L’antropologa è partita dalle categorie cognitive del proprio interlocutore, per chiedersi perché in una determinata famiglia si utilizzino alcuni cibi piuttosto di altri, si mangi seguendo un determinato ordine, ci si sieda sempre al solito posto, si ceni sempre alla solita ora ecc. Successivamente ha descritto la sequenza dei pasti che si svolgono in una settimana: dalla prima colazione sino al bicchiere della sera, dal cibo del lunedì fino a quello della domenica.

Da questo studio è emerso che la catena, che unisce i singoli eventi, dà significato all’intera sequenza, segno che il significato di un pasto è da ricercarsi in un sistema di analogie ripetute. Ogni pasto, cioè, contiene qualcosa del significato di altri pasti: ogni pasto è un avvenimento sociale strutturato, che ne struttura altri secondo la propria immagine. Prima di riempire uno stomaco vuoto, dunque, il cibo deve nutrire una mente collettiva. IL CIBO O STATUS SOCIALE. APPROCCIO ECONOMICO-GLOBALE

Il cibo diventa strumento di rivendicazione di uno status sociale. È l’indicatore di appartenenza a un gruppo sicioeconomico. È uno strumento per sottolineare le differenze, separare Noi dagli Altri. (Roberta Schira, Cucinoterapia)

Lo studioso Marvin Harri ha mostrato come le proibizioni e le preferenze alimentari derivino

dall’intera organizzazione produttiva del cibo. In uno dei suoi lavori più noti, Buono da mangiare, ha affermato che le scelte alimentari sono determinate da un calcolo dei vantaggi e degli svantaggi conseguenti i rapporti con la struttura economica e il territorio. I vari regimi alimentari presenti nelle

culture sono quei regimi che si sono affermati, perché sono regimi più pratici ed economici, e perché vi sono condizioni climatiche e territoriali adatte. Ad esempio, le cucine che ricorrono all’uso di molta carne si sono affermate in culture con densità demografica minore, con spazi adatti all’allevamento o con tecnologie in grado di allevare in modo intensivo gli animali.

L’analisi di Marvin Harris, dunque, se da un lato ci ricorda il ruolo fondamentale che la materia riveste nella nostra vita sociale, dall’altro enfatizza, forse eccessivamente, una certa razionalità che soggiace alle logiche culturali: “il buono da mangiare è quello che è più conveniente mangiare”

Il concetto di potere, che è diventato parte dell’apparato teorico dell’antropologia contemporanea grazie al pensiero di Michel Foucault, è stato usato per analizzare gli schemi di comportamento legati al cibo: il potere esercitato dai paesi ricchi nei confronti di quelli poveri, il potere degli uomini sulle donne nella società e nella famiglia.

Proprio l’applicazione del concetto di potere nello studio degli schemi di comportamento legati al cibo ha portato Jack Goody a sostenere, nel suo Cooking, Cuisine and Class, che il cibo è uno strumento di rivendicazione sociale e di ostentazione dell’identità etnica, in una società industriale che ha sviluppato una cucina mondiale, slegata dai vincoli nazionali.

Nell’epoca delle globalizzazione del cibo, si tenta di trovare risposte ai bisogni di tutela delle diverse "cucine locali", che cercano affannosamente di mantenere spazi nei cambiamenti sociali legati ai gusti, attraverso le tutele politiche che gli stati pongono ai propri prodotti.

L’antropologia dell’alimentazione, quindi, sta studiando le varie tradizioni alimentari, l’uso delle biotecnologie legate al cibo per comprendere e governare i nuovi processi della cultura alimentare.

Cent'erbe - Giuliano Valsecchi

IL CIBO DA AGRICOLTURA BIODINAMICA it.wikipedia.org CHE COS’È L’AGRICOLTURA BIODINAMICA

L'agricoltura biodinamica è un metodo di coltura fondato sulla visione spirituale antroposofica del mondo elaborata dal filosofo ed esoterista Rudolf Steiner. Consiste in sistemi sostenibili per la produzione agricola, in particolare di cibo, che rispettano l'ecosistema terrestre, considerando come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa. Include l'idea di agricoltura biologica.[1][2]

Se alcune pratiche codificate nella biodinamica hanno una radice scientifica e una loro intrinseca utilità, ad esempio il "sovescio", ovvero l'interramento di particolari piante a scopo fertilizzante e la rotazione delle colture[3], altre risultano decisamente bizzarre e senz'altro più vicine alla magia che non all'agricoltura razionale. Ad esempio, una pratica ritenuta di fondamentale importanza consiste nello spruzzare il terreno con "preparati biodinamici", ottenuti da letame, polvere di quarzo o sostanze vegetali, in diluizione omeopatica[3].

In ragione di questi aspetti e di altri come ad esempio l'importanza attribuita alle forze cosmiche o il concetto di energia vitale, la biodinamica è oggi considerata una pseudoscienza[4].

Gli obiettivi della biodinamica, tuttavia, sono gli stessi dell'agricoltura tradizionale: mantenere la terra fertile; mantenere in buona salute le piante; accrescere la qualità dei prodotti[4]. Ciò che li differenzierebbe dall'agricoltura tradizionale sarebbe la qualità delle sostanze che sono utilizzate per raggiungere tali obbiettivi: sono del tutto naturali, non sono ammesse sostanze chimiche/tossiche, apportano vita.

IL METODO BIODINAMICO

Il metodo biodinamico considera ogni sostanza come un binomio di materia e forza vitale; più una sostanza è diluita (poco soluto in molto solvente), più avrebbe effetto sugli organismi con cui viene a contatto. Il principio è simile a quello che sta alla base dell'omeopatia. Le contestazioni sono, pertanto, le medesime, ovvero le leggi della chimica provano che il prodotto finale è così diluito da non contenere più neppure una molecola della sostanza di partenza[4].

Per migliorare la qualità del terreno, aumentandone la quantità di humus, e, allo stesso tempo, migliorare la qualità del raccolto, si impiegano delle sostanze di origine naturale, appositamente trattate, chiamate "preparati", che sono usati nel compostaggio. Esistono di due tipi: i preparati da spruzzo (500, 501, Fladen) e i preparati da cumulo (502, 503, 504, 505, 506, 507).

I preparati da cumulo sono aggiunti al cumulo di materiale da compostare, al fine di facilitarne la decomposizione in humus e terriccio. Steiner suggeriva che la precisa composizione, posizione, forma e manipolazione di una pila di composta fosse importante per raggiungere il risultato migliore. I preparati da cumulo sono sei e sono ottenuti a partire da erbe officinali: Achillea millefolium per 502, Matricaria chamomilla per 503, Urtica dioica per 504, Quercus robur per 505, Taraxacum officinalis per 506, Valeriana officinalis per 507. Ognuna di queste erbe è fatta compostare ovvero macerare in condizioni ambientali particolari, impiegando, come contenitori, parti di corpi di animali, perché, secondo la teoria delle forze vitali, ambiente e contenitore influenzano le caratteristiche del materiale prodotto.

I preparati da spruzzo sono invece tre, cornosilice (501), a base di quarzo macinato,

cornoletame, (500), a base di letame bovino e Fladen. Nei primi il contenitore per la preparazione è il corno del medesimo animale. Le corna vengono svuotate e riempite con quarzo o letame, e sotterrate per sei mesi. Trascorso questo periodo il preparato può essere conservato per molto tempo. Il cornosilice è spruzzato sulle piante e ne stimolerebbe la fruttificazione e i processi legati alla fotosintesi e alla luce. Il cornoletame è spruzzato sul suolo e ne aumenterebbe il contenuto in humus, agendo sullo sviluppo radicale e sulla nutrizione della pianta. Il Fladen si ottiene dinamizzando il letame fresco per un'ora con farina di roccia e gusci d'uovo, lasciandolo poi maturare/trasformare sotto terra per un certo periodo, infine viene spruzzato nel terreno al fine di migliorare la struttura e la fertilità del terreno stesso.

Tutti i preparati sono usati in piccolissime quantità. Il loro utilizzo, sembra rendere non necessaria l'irrigazione del terreno. Nel caso in cui, però, lo diventasse deve seguire un vero e proprio rituale: movimenti circolari, tempi definiti, ecc.. Nelle lavorazioni del terreno, nelle semine, nei trapianti, nelle potature, è data molta importanza alla posizione degli astri, soprattutto alle fasi lunari, seguendo un calendario appositamente realizzato. Lilly Kolisko e Maria Thun, seguaci di Steiner, infatti, hanno evidenziato l'esistenza di relazioni fra l'esito delle coltivazioni e la posizione della luna e dei pianeti al momento dell'operazione colturale svolta. Maria Thun pubblica ogni anno un calendario delle semine, basato su effemeridi diverse da quelle astrologiche, nel quale illustra l'esito degli ultimi studi e indica i momenti critici per il buon esito delle operazioni agricole.

Biodinamica è un marchio commerciale detenuto dalla Demeter International, associazione di coltivatori che si propone, attraverso un disciplinare, di mantenere i medesimi standard tra i coltivatori sia nella fase di produzione, sia in quella di trasformazione dei cibi. Ogni Stato ha la propria associazione Demeter che deve adeguarsi agli standard e ai protocolli dettati dalla Demeter International. Scopo del marchio è quello di proteggere sia i consumatori sia i produttori di cibo biodinamico. L’EFFICACIA DELLA AGRICOLTURA BIODINAMICA

Esistono alcuni studi favorevoli alla biodinamica che avrebbero confrontato i metodi di coltivazione biodinamica sia con altri metodi di coltivazione biologica, sia con quelli dell'agricoltura convenzionale.

Uno studio sugli effetti della preparazione biodinamica del compost ha appurato che questo, trattato in modo biodinamico, contiene il 65% in più di nitrati di quello non trattato. Vi sono inoltre significative differenze nella vita microbica, nella temperatura del compost, nella respirazione del biossido di carbonio[5].

Uno studio del 1993 ha confrontato la qualità del suolo e il rendimento economico tra coltivazioni biodinamiche e coltivazioni convenzionali in Nuova Zelanda. Lo studio riporta che "Le fattorie biodinamiche hanno dimostrato di avere suoli di più alta qualità biologica e fisica: materia organica in quantità significativamente maggiore, migliore struttura del suolo, minore densità di massa, più facile penetrabilità, e una crosta più sottile"[6].

Un ulteriore studio si è occupato di verificare se i preparati biodinamici avessero qualche effetto sulla coltivazione di lenticchia e frumento. Si è trovato che "in generale, il terreno e le coltivazioni trattate con preparati biodinamici mostravano poche differenze rispetto a quelle non trattate". Qualche cambiamento è stato osservato nella chimica dei composti azotati del suolo e dei semi, tuttavia questa differenza non avrebbe - secondo questo studio - nessun significato biologico. La conclusione dello studio nota che "ogni beneficio a corto termine delle preparazione biodinamiche rimane discutibile"[7].

Uno studio a lungo termine ha paragonato gli effetti sulla qualità del suolo e delle uve ottenute da vigneti biodinamici rispetto a vigneti coltivati seguendo metodi generali di coltivazione

biologica. Dopo i primi sei anni di studio, "non sono state trovate differenze nella qualità del suolo" tra le viti coltivate secondo l'uno o l'altro metodo di coltivazione. Nessuna differenza statisticamente significativa è emersa in termini di resa per pianta, numero di grappoli per pianta o peso di grappoli e singoli acini. In un caso, l'uva trattata biodinamicamente ha mostrato un grado Brix significativamente più alto e un numero notevolmente più alto di fenoli e antociani. Lo studio conclude che i preparati biodinamici "possono modificare" la struttura della vite e la sua chimica, ma non hanno nessun effetto a livello dei parametri del suolo e dei nutrienti misurati[8].

In un editoriale, Peter Treue argomentò che simili o del tutto analoghi risultati potevano essere ottenuti attraverso i principi standard dell'agricoltura biologica e che la biodinamica assomigliava all'alchimia o alla magia o alla geomanzia[9].

In un'analisi del 1994 Holger Kirchman conclude che le istruzioni di Steiner sono oscure e dogmatiche tali da non potere contribuire alla realizzazione di una agricoltura alternativa e sostenibile e che le affermazioni di Steiner non sono provabili poiché da esse non è formulabile alcuna chiara ipotesi scientifica. Kirchmann chiosa infine che laddove i metodi biodinamici sono stati testati scientificamente, i risultati non sono affatto convincenti[10].

Nel 2004 Linda Chalker-Scott notò che in molti studi comparativi tra la biodinamica e l'agricoltura tradizionale non si separano i metodi biodinamici da quelli dell'agricoltura biologica. Il termine biodinamica infatti non dovrebbe essere interscambiabile con quello di agricoltura biologica. Linda Chalker-Scott conclude che non c'è alcuna prova che la biodinamica accresca la qualità del cibo[11]. LA VISIONE SPIRITUALE ANTROPOSOFICA DI RUDOLF STEINER

L'antroposofia è definita dai suoi sostenitori come un percorso spirituale e filosofico, basato sugli insegnamenti di Rudolf Steiner. La parola antroposofia deriva dalle radici greche ànthropos (uomo) e sophìa (conoscenza). Il termine fu usato per la prima volta dal filosofo Robert Zimmermann in un'opera intitolata Antroposofia. Rudolf Steiner riprese questo termine per dare un nome al percorso di studio spirituale da lui proposto.[1] Steiner affermò: "la mia filosofia della libertà è la base epistemologica per la scienza spirituale orientata in senso antroposofico"[3][4].

L'antroposofia postula, quindi, l'esistenza di un mondo spirituale, intellettualmente comprensibile e accessibile ad una esperienza diretta attraverso la crescita e lo sviluppo interiore. Si propone d’investigare e descrivere questi fenomeni spirituali, non immediatamente percepibili, mediante una osservazione animica svolta attraverso il metodo scientifico.

L'antroposofia è oggi considerata, nel mondo accademico, una pseudoscienza[5], in quanto intende conoscere e studiare, mediante il metodo scientifico, enti che - secondo quasi tutti i sistemi metafisici contemporanei - non appartengono all'ordine delle realtà conoscibili scientificamente.

Steiner si interessò, nel corso della sua vita, di diversi temi. Negli ultimi anni si occupò di agricoltura, tenendo una serie di conferenze ed enunciando una serie di principi generali che successivamente sarebbero stati elaborati dai suoi seguaci, venendo, così, a precisare la dottrina biodinamica[4].

Le idee di Steiner si radicano nella cultura tedesca: da un lato nelle filosofie trascendenti di Fichte e Schelling, e nella fenomenologia di Hegel, dall'altro nelle opere poetiche e scientifiche di Goethe, sulle quali Steiner lavorò lungamente. Steiner fu anche profondamente influenzato da Franz Brentano e Wilhelm Dilthey.

Ne La filosofia della libertà (Die Philosophie der Freiheit), pubblicato nel 1894, Steiner espone il concetto di libero volere fondato sull'esperienza interiore del pensare puro libero dai sensi corporei. I suoi primi accenni all'antroposofia risalgono a questo periodo. Steiner affermò, infatti, che « l'antroposofia è una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale, che è nell'uomo, allo

spirituale che è nell'universo. Sorge nell'uomo una necessità del cuore, della vita, del sentimento, che può essere pienamente giustificata, se soddisfa questo bisogno interiore» [6].

Le riflessioni e gli studi di Steiner, volti alla ricerca spirituale e filosofica, interessarono soprattutto la Società Teosofica di cui divenne direttore della sezione tedesca ai primi del Novecento. Dal 1907, però, ci fu un allontanamento tra il gruppo che faceva capo a Steiner e che stava lavorando per costruire una via che tenesse conto delle pietre miliari della cultura occidentale, quali la cristianità e la scienza naturale, e la corrente principale della Società Teosofica, che era orientata verso l'Oriente e in particolare verso l'India.

Nel 1913 venne fondata la Società Antroposofica, dopo che Steiner ebbe lasciato la Società Teosofica in seguito a divergenze con la presidente Annie Besant, seguito dalla gran parte dei membri della sezione tedesca, di cui era stato fino ad allora segretario. In seguito lo seguirono anche membri di altre nazioni.

Steiner aveva ormai raggiunto una considerevole statura come maestro spirituale.[7] In numerosi lavori – ma soprattutto in Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori?[8] e ne La scienza occulta - Steiner descrive una via di sviluppo interiore che può mettere chiunque in grado di perseguire esperienze spirituali superiori. Ciò è possibile attraverso pratiche rigorose di autodisciplina morale e cognitiva. D'altronde lo sviluppo morale deve precedere lo sviluppo delle facoltà spirituali.

Dopo la prima guerra mondiale, il movimento antroposofico intraprese nuove direzioni. Furono realizzate scuole, centri per disabili, aziende agricole biodinamiche, cliniche mediche, centri di formazione artistica, tutti ispirate alla ricerca antroposofica.

Steiner morì nel 1925, ma l’attività antroposofica proseguì attraverso seminari, gruppi di formazione artistica, scuole, banche, aziende agricole, cliniche che fiorirono in tutto il mondo, ispirate dall'idea che il lavoro spirituale può essere portato avanti sistematicamente e metodicamente in armonia con gli impegni esteriori. Il Goetheanum continua ad essere il centro mondiale del movimento antroposofico

Steiner credeva nella possibilità di unire la chiarezza del pensiero scientifico moderno con la consapevolezza di un mondo spirituale che è presente in tutte le esperienze religiose e mistiche. Se la scienza si limita a teorie controllabili e verificabili, occorre intraprendere il cammino della "vita interiore" senza smarrire il rigore del pensiero scientifico, e recuperando lo studio dell'anima e dello spirito.

Nell'antroposofia l'attività artistica è considerata un ponte tra scienza e religione, tra realtà materiali e spirituali, capace di dare vita a forme di conoscenza superiore, il cui scopo è di raggiungere livelli di consapevolezza più alti tramite concentrazione, meditazione e contemplazione. In diversi scritti e in centinaia di conferenze Steiner descrisse numerosi esercizi sistematici con i quali realizzare tali fini.

L'antroposofia, benché apprezzi tutte le religioni e gli sviluppi culturali, mette in evidenza il pensiero esoterico occidentale (piuttosto che l'antico pensiero esoterico indù o buddista) come il più appropriato per le necessità contemporanee, e percepisce Cristo e la sua missione sulla Terra come avente un posto particolarmente importante nell'evoluzione umana, sebbene questi non siano visti nello stesso modo della corrente principale delle chiese cristiane.

Steiner metteva in evidenza che l'essere, che si manifesta nel Cristianesimo, si manifesta anche in tutte le fedi e religioni: è l'essere che unifica tutte le religioni e non l’espressione di una particolare fede religiosa. L'incarnazione del Cristo è una realtà storica e un punto unico e fondamentale nella storia umana.

L'uomo, quindi, è vissuto sulla Terra dalla creazione, poi si è trasformato, attraverso un certo numero di stadi, che inclusero l'emanazione di esseri inferiori come animali e piante, per raggiungere la forma attuale. Ogni cosa vivente, dunque, è evoluta dall'umanità. Ogni fenomeno, pertanto, può essere descritto da vari punti di vista, segno che occorre osservare ogni questione da varie prospettive.

L'essere umano è composto da corpo, anima e spirito. Il corpo contiene l'io fisico, le forze e i processi vitali, e le strutture fisiche della coscienza. L'anima si incarna in un corpo e poi fuori da esso di nuovo in una esistenza spirituale. Lo spirito congiunge le vite terrene tra di loro e con il mondo spirituale; questo spirito è eterno e creativo.

L'essere umano è costituito di sette livelli: quattro componenti stabili - corpo fisico, vita, coscienza, ego/io – e tre componenti spirituali - coscienza spirituale, vita spirituale e io spirituale.

L'io è un'entità complessa, poiché porta in sé la triade spirituale; agisce nell'anima e diviene anche l'essere cosciente. Se l'occhio riceve un'impressione luminosa, questa impressiona l'eterico e l'astrale e l'io ne prende coscienza. A livello della testa il corpo astrale, sotto l'influenza dell'io, riprende le forze eteriche che sono meno attive a questo livello. Le forze eteriche sono, quindi, utilizzate per il pensiero. I processi della coscienza del corpo astrale hanno, in effetti, le forze del corpo eterico, soprattutto a livello di sistema neurosensoriale, con la perdita di conoscenza. Una volta liberati, corpo astrale e io penetrano nelle entità spirituali che per loro mediazione rigenerano i corpi fisici e eterici durante il sonno.

La riflessione antroposofica di Rudolf Steiner anticipa il superamento da parte della filosofia continentale del XX secolo dell'idealismo cartesiano e del soggettivismo Kantiano, recuperando la concezione dell'essere umano di Goethe: entità naturale e soprannaturale; naturale, in quanto l'umanità è un prodotto della natura, soprannaturale, in quanto, attraverso il nostro potere concettuale, allarghiamo le possibilità della natura, permettendole di raggiungere, attraverso noi stessi, la capacità di riflessione, come accade nella filosofia, nell'arte e nella scienza.

Rudolf Steiner divenne uno dei primi filosofi europei a superare la spaccatura soggetto-oggetto che Cartesio e la fisica classica avevano impresso al pensiero occidentale per molti secoli.

Il suo lavoro filosofico fu ripreso alla metà del XX secolo da Owen Barfield, un filosofo del linguaggio dell'Università di Oxford e attraverso di lui influenzò il gruppo degli Inklings, che includeva scrittori come J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis.

A oggi nel mondo ci sono banche, compagnie, istituzioni caritatevoli e scuole che sviluppano nuove forme collaborative di lavoro, funzionanti sulla base delle idee sociali di Steiner. Un esempio è la Fondazione Rudolf Steiner (The Rudolf Steiner Foundation o RSF), costituita nel 1984, con un attivo nel 2004 stimato di 70 milioni di dollari. La RSF fornisce "innovativi servizi finanziari caritatevoli". Secondo le organizzazioni indipendenti Co-op America e Social Investment Forum Foundation, RSF è "una delle 10 migliori organizzazioni che esemplifica la costruzione di opportunità economiche e speranza per individui attraverso l'investimento di comunità". La prima banca fondata sulle idee di Steiner fu la Gemeinschaftsbank für Leihen und Schenken a Bochum, Germania; fu fondata nel 1974.

Steiner considerava i risultati della propria ricerca come aiuti per chi cerca di arrivare all'esperienza spirituale. Suggeriva, ad esempio, di concentrarsi su un oggetto come il seme, di controllare il pensiero, i sentimenti e la volontà, di essere aperti, tolleranti ed elastici per favorire lo sviluppo spirituale dell'individuo, senza interferire con le responsabilità individuali della vita esteriore.

Raccomandava, inoltre, di non trasformare il lavoro in una dottrina, perché sia la scienza, sia il mondo continuano ad evolvere, rendendo tutti i risultati superati dopo un certo tempo.

Gli scritti e le conferenze di Rudolf Steiner sono stati pubblicati in Italia nella prima metà del Novecento dall'editore Bocca, poi, dagli anni Sessanta del secolo scorso a oggi, dall'Editrice Antroposofica di Milano e da alcuni editori minori. Negli ultimi anni alle pubblicazioni di questa editrice storica si sono aggiunti i volumi pubblicati dalla Edizioni Archiati. BIBLIOGRAFIA Rudolf Steiner, Alimentazione per vivere sani, Archiati Edizioni – ISBN 9783867726054 Rudolf Steiner, Angeli all’opera, Archiati Edizioni - ISBN 9788896193563

Rudolf Steiner, Buddha e Cristo, Archiati Edizioni - ISBN 9783867726030 Rudolf Steiner, Chi è il figlio dell’uomo, Archiati Edizioni - ISBN 9788896193303 Rudolf Steiner, Cristo e l’anima umana, Archiati Edizioni - ISBN 3938650818 Rudolf Steiner, Da chi ho ereditato la mia anima?, Archiati Edizioni - ISBN 9788896193501 Rudolf Steiner, Gli uni per gli altri, Archiati Edizioni - ISBN 3937078770 Rudolf Steiner, Il bene c’è per tutti, Archiati Edizioni - ISBN 3938650699 Rudolf Steiner, Il fenomeno uomo, Archiati Edizioni - ISBN 9788896193037 Rudolf Steiner, Il pensiero nell’uomo e nel mondo, Archiati Edizioni - ISBN 3938650710 Rudolf Steiner, Il ritorno del Cristo oggi, Archiati Edizioni - ISBN 3938650001 Rudolf Steiner, Introduzione alla scienza dello spirito, Archiati Edizioni - ISBN 3937078347 Rudolf Steiner, La via dal sensibile al sovrasensibile, Archiati Edizioni - ISBN 393865001X Rudolf Steiner, L’uomo e la tecnica, Archiati Edizioni - ISBN 3938650532 Rudolf Steiner, Ma cos’è questo cristianesimo?, Archiati Edizioni - ISBN 9788896193730 Rudolf Steiner, Vivere con gli angeli e gli spiriti della natura, Archiati Edizioni - ISBN 9788896193150 Ahern, G. (1984): Sun at Midnight: the Rudolf Steiner movement and the Western esoteric tradition. Wellingborough: Aquarian Press Barnes, Henry, A Life for the Spirit: Rudolf Steiner in the Crosscurrents of Our Time, Steiner Books, 1997. Davy, John, Hope, Evolution and Change, Hawthorn Press. ISBN 0-9507062-7-2 Edelglass, S. et al., The Marriage of Sense and Thought, Lindisfarne Books. ISBN 0-940262-82-7 Forward, William and Blaxland-de Lange, Simon (eds.), Trumpet to the Morn (Golden Blade 2001), ISBN 0-9531600-3-3 Forward, William and Blaxland-de Lange, Simon (eds.), Working with Destiny II (Golden Blade 1998), ISBN 0-9531600-0-9 Gleich, Sigismund, The Sources of Inspiration of Anthroposophy, ISBN 0-904693-87-2 Goebel, Wolfgang and Glöckler, Michaela, A Guide to Child Health. Floris Books. ISBN 0-86315-390-9 Gulbekian, Sevak (ed.), The Future is Now: Anthroposophy at the New Millennium, ISBN 1-902636-09-0 Hauschka, Rudolf, At the Dawn of a New Age, ISBN 0-919924-25-5 Hindes, James H. (1995) Renewing Christianity. Edinburgh: Floris Books Klocek, Dennis, The Seer's Handbook: A Guide to Higher Perception, Steinerbooks 2006. ISBN 0-88010-548-8 König, Karl, The Human Soul, ISBN 0-86315-042-X Kühlewind, Georg, The Logos-Structure of the World: Language as a Model of Reality, ISBN 0-940262-48-7 Lievegoed, Bernard, The Battle for the Soul: The Working Together of Three Great Leaders of Humanity, ISBN 1-869890-64-7 Lievegoed, Bernard, Man on the Threshold. Hawthorn Press. ISBN 0-9507062-6-4 McDermott, Robert A., The Essential Steiner: Basic Writings of Rudolf Steiner, Harper, 1984. Murphy, Christine (ed.), Iscador: Mistletoe and Cancer Therapy. Lantern Books, 2005. ISBN 1-930051-76-X Nesfield-Cookson, B., Michael and the Two-Horned Beast: The Challenge of Evil Today in the Light of Rudolf Steiner's Science of the Spirit, ISBN 0-904693-98-8 Nesfield-Cookson, B., Rudolf Steiner's Vision of Love: spiritual science and the logic of the heart. Bristol: Rudolf Steiner Press

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Cent'erbe - Giuliano Valsecchi

IL CIBO DA AGRICOLTURA BIOLOGICA it.wikipedia.org CHE COS’È L’AGRICOLTURA BIOLOGICA

L'agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che considera l'intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo, favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell'ambiente in cui opera e limita o esclude l'utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM).

La parola "biologica" è in realtà un termine improprio: l'attività agricola, biologica o convenzionale, verte sempre su un processo di natura biologica attuato da un organismo vegetale, animale o microbico.

La differenza sostanziale tra agricoltura biologica e convenzionale consiste nel livello di energia ausiliaria introdotto nell'agrosistema. Nell'agricoltura convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia ausiliaria proveniente da processi industriali di tipo chimico, estrattivo, meccanico, ecc., al contrario, l'agricoltura biologica, pur essendo in parte basata su energia ausiliare proveniente dall'industria estrattiva e meccanica, reimpiega la materia sotto forma organica.

Una dicitura più appropriata sarebbe agricoltura organica, oppure agricoltura ecologica, in quanto questi termini mettono in evidenza i principali aspetti distintivi dell'agricoltura biologica, ovvero la conservazione della sostanza organica del terreno o l'intenzione originaria di trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale.

La filosofia sottesa a questo diverso modo di coltivare le piante e di allevare gli animali è legata sia all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o di concimi chimici di sintesi, sia, e ancor più, alla volontà di non determinare impatti negativi sull'ambiente a livello di inquinamento di acque, terreni e aria.

Nella pratica biologica sono centrali soprattutto gli aspetti agronomici quali la fertilità del terreno, salvaguardata mediante l'utilizzo di fertilizzanti organici, la pratica delle rotazioni colturali, le lavorazioni attente al miglioramento della struttura del suolo e della percentuale di sostanza organica, la lotta alle avversità delle piante mediante preparati vegetali, minerali e animali che non siano di sintesi chimica, privilegiando la lotta biologica. Gli animali sono allevati con tecniche che rispettano il loro benessere e nutriti con prodotti vegetali ottenuti secondo i principi dell'agricoltura biologica. Sono evitate, quindi, tecniche di forzatura della crescita, sono proibiti alcuni metodi industriali di gestione dell'allevamento, e per la cura delle eventuali malattie si utilizzano rimedi omeopatici e fitoterapici, limitando i medicinali allopatici ai casi previsti dai regolamenti. L’EFFICACIA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA L'agricoltura biologica in Europa è stata regolamentata per la prima volta a livello comunitario nel 1991 con il *Reg. (CEE) n° 2092/91 relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e all'indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari. Solo nel 1999 con il *Reg. (CE) n° 1804/99 sono state regolamentate anche le produzioni animali. Nel giugno del 2007 è stato adottato un nuovo regolamento CE per l'agricoltura biologica, Reg. (CE) n° 834/2007, che abroga i precedenti ed è relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici sia di origine vegetale che animale (compresa l'acquacoltura).

Gli alimenti biologici si sono dimostrati privi di residui da fitofarmaci nelle analisi condotte da Legambiente nell'ambito dello studio Pesticidi nel piatto 2007, ma non per questo maggiormente salubri[2].[3] Inoltre uno studio del 2005 ha dimostrato che le tracce di agrofarmaci contenuti nelle urine dei bambini scompaiono dopo pochi giorni di alimentazione biologica.[4] In generale, secondo le meta analisi svolte sulle centinaia di studi esistenti in tema, in particolare ad opera della Food Standards Agency[5] e dall'Agenzia Francese per la Sicurezza Alimentare, non è possibile concludere che esistano differenze rimarcabili in quanto ad apporti nutrizionali tra prodotti convenzionali e biologici[6]. Nella prassi quotidiana inoltre differenze qualitative presenti fra prodotti biologici e tradizionali tendono ad appiattirsi ulteriormente a causa delle richieste dell'industria di trasformazione e distribuzione che richiede omogeneità e qualità uniformi per tutte le tipologie di prodotto[2]. Anche una ricerca finanziata dall'Università di Stanford rileva che tra prodotti biologici e convenzionali non c'è differenza, se si considerano gli effetti sulla salute e inoltre i prodotti biologici non risultano più nutritivi. Lo studio riscontra una quantità di fitofarmaci superiore del 30% nei prodotti di agricoltura convenzionale, ma sostiene che questa percentuale non incide sulla salute dell'uomo.[7][8][9] Se è vero che il divieto di usare la maggior parte di prodotti agrochimici di sintesi riduce quella parte dell'impatto ambientale agricolo legata all'immissione di molecole tossiche nell'ambiente, è altresì vero che la produzione biologica ha mediamente rese inferiori del 20-45% rispetto a quella convenzionale e pertanto, per produrre le medesime quantità, sarebbe necessario mettere a coltura il 25-64% di terre in più[11]. Vi è inoltre la credenza che le pratiche di gestione biologiche consentano di ridurre la percolazione in falda di azoto o che aiutino lo sviluppo delle comunità microbiche del suolo; esistono, però, al riguardo dati controversi[13]. In tema di sostenibilità è stato osservato inoltre che l'agricoltura biologica è in grado di avvicinarsi, per molte colture, ai risultati di quella convenzionale solo se accoppiata ad una fertilizzazione del terreno. A causa della scarsità di animali allevati in modo biologico è attualmente consentito l'utilizzo anche di fertilizzanti certificati come biologici che di fatto però derivano da produzioni convenzionali. Questa pratica rende le rese dell'agricoltura biologica dipendenti dalla presenza di una forte agricoltura convenzionale, con risultati che non si potrebbero mantenere qualora l'agricoltura biologica, da fenomeno di nicchia, dovesse trasformarsi in un fenomeno globale[14]. In agricoltura biologica la scelta dei prodotti e delle molecole utilizzabili è decisa in base alla loro origine, che deve essere naturale. [15]. Questo consente di usare in agricoltura biologica prodotti naturali che presentano tossicità superiori rispetto a quelle di diversi prodotti di sintesi, come nel caso del rotenone, o il cui impatto ambientale è rilevante come nel caso del solfato di vinaccia, del nitrato del Cile o del verderame[16]. Vi sono inoltre alcune patologie che non sono, al momento, controllabili con sistemi biologici o per i quali vige la lotta obbligatoria[17] che consente di mantenere la certificazione biologica pur utilizzando prodotti chimici di sintesi per il controllo dell'insetto o della patologia. In taluni casi, l'impossibilità di usare diserbanti, rende necessario un maggior numero di lavorazioni meccaniche e per certe colture queste diventano onerose, sia economicamente, sia energeticamente, come nel caso del riso biologico[18]. Questi motivi rendono difficile la coltivazione biologica per molte specie agrarie, specialmente per il mais e per la soia. La maggior parte delle coltivazioni è, quindi confinata a specie di più facile gestione come l’olivo, ai pascoli e ai foraggi, che da soli costituiscono circa il 50% della superficie italiana a biologico[19]. L'agricoltura biologica in questi anni ha sollevato molto interesse nei consumatori soprattutto a causa di alcuni scandali alimentari (BSE e Diossina), pur rimanendo un mercato di nicchia, a causa

anche dei prezzi più alti rispetto ai corrispettivi prodotti convenzionali. In Italia, uno dei paesi leader nella produzione biologica europea, interessa circa il 6,9% della superficie agricola, di cui più del 50% rappresentato da pascoli e foraggere.[23] Tra i motivi che hanno spinto all'adozione di questo tipo di pratica agricola, oltre alle considerazioni di tenore ambientale, vi sono anche quelle di tenore imprenditoriale, in quanto i consumatori sono disposti a pagare di più per i prodotti biologici, o quelle legate alla disponibilità di finanziamenti dell'Unione europea per l'adozione di pratiche agricole eco-compatibili. Nonostante in Europa, Stati Uniti e Giappone tutte le principali catene distributive realizzino prodotti biologici a proprio marchio ed esistano catene di supermercati specializzati, in Italia, negli ultimi anni, la diffusione, nella grande distribuzione, dei prodotti biologici ha subito un rallentamento. L'esaurimento delle risorse dei Piani regionali di sviluppo - lo strumento con cui le Regioni "spendono" i finanziamenti europei per l'agricoltura - ha avuto la maggior responsabilità nella riduzione del numero delle aziende e delle superfici di vendita. Il fatto non deve essere inteso, però, come indice di crisi di mercato: il sistema di controllo è, infatti, stato lasciato ad aziende maggiormente interessate ai contributi europei, che han continuato a vendere i propri prodotti sul mercato convenzionale. Di conseguenza il volume di prodotti biologici commercializzati si è ridotto solo nel canale dei supermercati, mentre ha continuato a crescere nel canale dei negozi specializzati ed in quello delle vendite dirette degli agricoltori. Anche la quota di prodotti biologici utilizzati dalla ristorazione collettiva è in crescita: circa 1 milione di bambini mangiano cibo biologico a scuola, come previsto dalla legge n.488/1999, art.59 e da altre leggi regionali, ed alcune regioni, tra le quali Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche e Basilicata, erogano anche contributi alle amministrazioni locali che optano per i prodotti biologici. La legge regionale n.29/2002 dell'Emilia-Romagna impone inoltre l'uso esclusivo di prodotti biologici in nidi d'infanzia, scuole d'infanzia e scuole elementari, mentre dev'essere di produzione biologica almeno il 35% degli ingredienti utilizzati nelle altre refezioni. Gli organismi di controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole sono enti di certificazione[24] a cui la legge assegna il compito di verificare il rispetto dei regolamenti attuativi da parte delle aziende biologiche e concedere il proprio marchio da apporre alle etichette dei prodotti venduti dall'azienda associata. Tali organismi devono rispettare il principio di "terzietà": non intrattenendo altri rapporti commerciali o di consulenza con le aziende certificate; le Regioni e le Province a statuto speciale sono preposte al controllo di questo aspetto. Gli organismi di controllo effettuano ispezioni presso le aziende associate con cadenza almeno annuale, attraverso un sopralluogo in cui si controlla il rispetto delle normative e delle procedure, la tenuta dei registri e, se necessario, in presenza di sospette violazioni, si prelevano campioni da sottoporre ad analisi. BIBLIOGRAFIA Daclon Corrado Maria, Una nuova gestione del territorio rurale in Agricoltura, Rivista del Ministero Politiche Agricole e Forestali, n° 301, 2000 Draghetti Alfonso, Principi di fisiologia dell'azienda agricola, Ist. Edit. Agricolo, Bologna 1948 Fukuoka Masanobu, La rivoluzione del filo di paglia. Un'introduzione all'agricoltura naturale,Quaderni d'Ontignano, Libreria Editrice Fiorentina, 1980 Garofalo Francesco, Lezioni di agricoltura biologica, Ancona, 1981 National Research Council, Alternative Agriculture, National Academy Press, Washington, 1989 Nicolini Luigi, Agricoltura e dibattito ecologico, La Nuova Italia, Firenze, 1978.

Pfeiffer Ehrenfried, La fécondité de la terre. Méthode pour conserver ou rétablir la fertilité du sol, Triades, Paris, 1979 Pimentel David, Hall C.W. (editors), Food and natural resources, Academic Press, San Diego, 1989 Saltini Antonio L'orto dell'Eden Edagricole (1988) ISBN 88-206-3038-9 Saltini Antonio, Storia delle scienze agrarie, 4 voll., Edagricole, Bologna, 1984-89 Saltini Antonio, Le agricolture “biologiche”, avanguardia o devianza del progresso agronomico? Estr. da Rivista di storia dell'agricoltura, n° 2, 1995 Steiner Rudolf, Geisteswissenschaftliche Grundlagen zum Gedeihen der Landwirtschaft, Dornach, 1963 it.wikipedia.org L’AGRICOLTURA BIOLOGICA SECONDO IL FILOSOFO GIAPPONESE MASANOBU FUKUOKA

Un esempio di pratica biologica è l’applicazione della tecnica di agricoltura naturale del microbiologo taoista Fukuoka alla coltura del riso. È possibile coltivare il riso senza l’uso di concimi chimici, né di prodotti fitosanitari, né di lavorazioni del terreno, ma attraverso la sola sommersione del terreno per una settimana. Le rese possono raggiungere le 7,5 tonnellate per ettaro.[1]

Masanobu Fukuoka 福岡正信 (Fukuoka Masanobu,福岡正信?), nato il 2 febbraio1913 e deceduto il 16 agosto2008, è un botanico e filosofo giapponese, pioniere della agricoltura naturale o agricoltura del non fare, e autore di La rivoluzione del filo di paglia e di The Natural Way of Farming.

Istruitosi come microbiologo in Giappone, ha iniziato la sua carriera come scienziato del suolo, specializzandosi nelle patologie delle piante.

A 25 anni cominciò a mettere in dubbio i concetti della scienza dell'agricoltura. Lasciò, così il posto di ricercatore scientifico, e tornò nella fattoria della sua famiglia nella isola di Shikoku, nel Giappone del sud, per coltivare mandarini, iniziando a dedicarsi allo sviluppo di un sistema di agricoltura biologica ed ecocompatibile.

L'obiettivo della sua ricerca è stato di limitare il più possibile gli interventi dell'uomo, che ha il solo compito di accompagnare un processo gestito dalla natura.

Da un punto di vista filosofico, il metodo di Fukuoka si ispira al concetto del Mu, il “senza”, il “nessuno”, che è il nucleo dell’insegnamento del Buddhismo Zen. Per lo Zen l’Universo è in un costante flusso di cambiamento, in cui ogni cosa avviene spontaneamente. Per questo, si ritiene che il miglior modo di agire sia "senza” agire, lasciando libero il campo a quel "meccanismo di autoregolazione che può manifestarsi soltanto se non gli si fa violenza". Ciò vale anche per l'agricoltura che obbedisce a orologi interni ed esterni, atmosferici, e il cui vero motore è la Natura.

Il metodo di Fukuoka tenta di riprodurre, quanto più fedelmente possibile, le condizioni naturali. Il terreno non viene arato e la germinazione avviene direttamente in superficie, se necessario avendo preventivamente mescolato i semi con argilla e fertilizzante, perché questo consente di ridurre il numero di semi necessari. Nel terreno intatto, dove idealmente sono state fatte crescere piante poco invadenti, come il trifoglio, che fissano l'azoto e trattengono il terreno, impedendo lo sviluppo di infestanti, viene coltivata simultaneamente la coltivazione voluta. Animali antagonisti vengono introdotti per combattere infestazioni: ad esempio carpe, insettivori nelle coltivazioni di riso, o anatre per combattere le lumache. Al terreno deve essere restituito quanto più possibile ciò che ha prodotto, quindi l'agricoltore deve cogliere esclusivamente i frutti e lasciare sul campo tutti gli scarti e le rimanenze della coltivazione, che fungeranno da pacciamatura. Il terreno rimane sempre coperto, riducendo così l'impoverimento per erosione superficiale, e la parte aerea delle piante annuali, dopo il raccolto, deve essere utilizzata per una pacciamatura. Anche la mancanza di aratura, o comunque di aerazione artificiale del terreno, riduce la necessità di concimazione, in quanto i batteri che fissano

l'azoto nel terreno sono anaerobi. Questo metodo di coltivazione è realizzabile su piccola scala, ed è, quindi, adatto a piccoli

possedimenti. Richiede maggiore attenzione al dettaglio rispetto al lavoro intenso, esperienza e una notevole abilità. Il tempo totale di lavoro è notevolmente ridotto, fino all'80%, rispetto ad altri metodi. Secondo Fukuoka, il metodo di coltivazione ha prodotto in Giappone rendite, per ettaro, simili a quelle medie ottenute con tecniche che si avvalgono della chimica[1].

È stato fatto molto per adattare questo metodo alle condizioni europee. Va ricordato il contributo del coltivatore francese Marc Bonfils e della coltivatrice spagnola Emilia Hazelip, da cui nasce l'Agricoltura Sinergica. . BIBLIOGRAFIA The One-Straw Revolution: An Introduction to Natural Farming, ISBN 0878572201 La fattoria biologica, Mediterranee ISBN 8827201025 con Frédéric P. Métreaud, The Natural Way of Farming: The Theory and Practice of Green Philosophy, ISBN 0870406132 Masanobu Fukuoka et al.,The Road Back to Nature: Regaining the Paradise Lost, ISBN 0870406736 (a cura di Giannozzo Pucci) Lezioni italiane di Masanobu Fukuoka, Libreria Editrice Fiorentina, ISBN 9788889264324 La Rivoluzione di Dio della Natura e dell'Uomo, Libreria Editrice Fiorentina ISBN 9788865000236 Controllo di autoritàVIAF: 108413562LCCN: n80152790 it.wikipedia.org

Cent'erbe - Giuliano Valsecchi

IL CIBO VEGETARIANO it.wikipedia.org IL VEGETARIANISMO

Il vegetarianismo (da vegetariano, adattamento dell'inglese vegetarian[1][2][3]), o vegetarismo, nell'ambito della nutrizione umana, designa un insieme di diverse pratiche alimentari accomunate dalla rigorosa esclusione delle carni di qualsiasi animale[4][5].

Nel vegetarianismo si distinguono il latto-ovo-vegetarianismo, il latto-vegetarianismo, l’ovo-vegetarianismo, il vegetalismo o veganismo dietetico, il crudismo vegano e il fruttarismo. Coloro che seguono queste pratiche alimentari sono classificati comunemente come vegetariani[5][6].

Il termine italiano vegetarianismo deriva da vegetariano, neologismo diffusosi agli inizi del XX secolo[7] come adattamento dell'inglese vegetarian, a sua volta derivato da vegetable (che vive e cresce come una pianta), dall'antico francese vegetable (vivente, degno di vivere) con radice dal latino vegetus (sano, attivo, vigoroso)[8][9]. Di uso comune per indicare il vegetarianismo è anche la forma abbreviata vegetarismo, mentre il termine vegetarianesimo è di uso improprio, anche se a volte viene usato in ambito religioso per indicare pratiche alimentari differenti, ma comunque implicanti sempre l'astensione dal consumo di carni[10].

Nel vegetarianismo si possono distinguere diverse pratiche alimentari, che si producono in abitudini dietetiche che, sebbene possono essere anche molto differenti l'una dall'altra, sono tutte accomunate dalla rigorosa esclusione della carne di qualsiasi animale[4][5]:

latto-ovo-vegetarianismo: esclude gli alimenti che derivano dall’uccisione diretta di animali sia terrestri sia marini, quali carne, pesce, molluschi e crostacei; ammette qualunque alimento di origine vegetale, i prodotti animali indiretti, ovvero latte e derivati, uova e miele, oltre ad alghe[11], funghi (di cui fanno parte i lieviti) e batteri (come i fermenti lattici). Questo regime vegetariano è il più diffuso nei paesi occidentali[5], tanto che nel linguaggio comune la dieta associata è erroneamente indicata, per sineddoche, come dieta vegetariana;

latto-vegetarianismo: come il latto-ovo-vegetarianismo, ma esclude anche le uova[11]. È un modello dietetico frequente nella tradizione asiatico-indiana[5][6], di cui fanno parte le diete sattva o yogiche e altre di estrazione induista come la dieta vaishnava, tra i cui precetti è compresa l'astensione dai funghi[12][13];

ovo-vegetarianismo: come il latto-ovo-vegetarianismo, ma esclude anche latte e derivati; vegetalismo[14] o veganismo dietetico: esclude tutti gli alimenti di origine animale (carne,

pesce, molluschi e crostacei, latte e derivati, uova, miele e altri prodotti delle api[15][16]) e ammette qualunque alimento di origine vegetale, oltre ad alghe[11][17], funghi e batteri;

crudismo vegano: ammette esclusivamente cibi vegetali non sottoposti a trattamenti termici oltre i 40 °C (è ammessa l'essiccazione). Questo modello dietetico è composto prevalentemente da frutta, verdura, noci e semi, cereali e legumi germogliati[6][18]. È da distinguersi dal crudismo non vegano, in cui si utilizzano latticini non pastorizzati e perfino carne e pesce crudi[6];

fruttarismo: pratica alimentare a base di frutta, frutta secca e semi. Oltre alla frutta intesa come frutto dolce della pianta (mela, pesca, albicocca, ecc.), viene contemplato anche il consumo di ortaggi a frutto come pomodori, peperoni, zucchine e cetrioli[6]. Si basa sull’idea che la frutta sia il cibo elettivo per l'uomo[19][20][21].

Coloro che seguono queste pratiche alimentari sono classificati comunemente come

vegetariani[5][6], anche se all'interno di tale gruppo gli individui sono distinti in base al tipo specifico di dieta seguita (latto-ovo-vegetariani, latto-vegetariani, ovo-vegetariani, vegetaliani o vegani, crudisti vegani e fruttariani). Normalmente, i vegetariani che includono l'alimentazione in una più vasta scelta etica evitano anche alimenti che comprendono tra gli ingredienti ridotte quantità di cibi animali, per esempio prodotti da forno preparati con strutto, latte in polvere o uova, pasta all'uovo, brodo di carne.

La maggiore consapevolezza dei vegetariani su come seguire una dieta vegetariana equilibrata, grazie soprattutto alla facile reperibilità di informazioni e testi divulgativi, e una più adeguata informazione e preparazione tra la classe medica[22], nonché l'aumentata disponibilità sul mercato di nuovi prodotti per vegetariani (inclusi cibi "fortificati"[senza fonte]), hanno portato una maggior affermazione, validità e convenienza delle diete vegetariane[6].

Le diete vegetariane più diffuse sono basate su cereali, legumi, verdura e frutta (sia fresca che secca) e, in misura ridotta, comprendono latte, latticini e uova per coloro che ne fanno uso. Molti prodotti comunemente usati in una dieta vegetariana sono normalmente diffusi in tutto il mondo, ad esempio pasta, pane, riso, fagioli o piselli. Molti altri prodotti, non indispensabili ai fini dell'equilibrio della dieta, ma comunque solitamente usati nella preparazione dei pasti vegetariani, sono invece normalmente assenti in una classica dieta occidentale e appartengono ad altre tradizioni quali quelle dei paesi asiatici, arabi, centro e sud americani o dell'area mediterranea, configurando così le diete vegetariane come diete multietniche e senza barriere nazionali. Ad esempio, troviamo cereali come kamut, miglio e quinoa, preparazioni a base di cereali quali bulgur, cous-cous e seitan, soia e prodotti a base di soia (tofu, tempeh e proteine vegetali ristrutturate), alghe alimentari, semi oleaginosi di varia natura (anche sotto forma di crema, come il tahin), condimenti come shoyu, miso e tamari, dolcificanti come il malto. Prodotti a base vegetale, quali ad esempio hamburger, yogurt o latti vegetali, possono essere usati in sostituzione dei corrispettivi prodotti con carne, latte e uova.

I carboidrati, contenuti per la maggior parte nel regno vegetale, e in particolare quelli assimilabili nei cereali (e negli ortaggi e nella frutta per quelle diete vegetariane prive di cereali), costituiscono il principale componente di una dieta vegetariana e la maggiore fonte energetica[23], così come correttamente previsto nell'ambito di una dieta ben bilanciata[24][25]. Le diete vegetariane risultano generalmente adeguate nei livelli di proteine[26][27] e, in particolare le diete vegane, hanno tipicamente un contenuto medio di grassi, grassi saturi e colesterolo minore e un maggiore apporto di grassi polinsaturi[6][28][29][30][31][32]. Diversi studi hanno suggerito che i vegetariani (e soprattutto i vegani[33][34]) tendano ad avere livelli ematici di EPA e DHA inferiori ai non-vegetariani[35][36][37], anche se in uno studio più recente i livelli di EPA e DHA nei vegetariani sono risultati maggiori a quelli dei non-vegetariani e pressoché identici a chi consuma frequentemente pesce[38].

Le diete vegetariane risultano generalmente adeguate anche nei livelli di calcio (sebbene gli introiti di calcio dei vegani possono risultare al di sotto dei livelli raccomandati)[26] e vitamina D[39][40]; rispetto alle diete a base di prodotti animali, si presentano ricche in magnesio, potassio, vitamina B9, vitamina C e vitamina E[6][41] e, in particolare le diete vegane, hanno tipicamente un maggiore apporto di fitocomposti e fibra[6][23][28][30][31][32]. Sebbene gli adulti vegetariani presentino più bassi depositi di ferro rispetto ai non-vegetariani, i loro livelli sierici di ferritina si collocano usualmente all'interno del range di normalità[42][43][44][45][46][47]. Gli studi sull'adeguatezza dell'apporto di zinco tra i vegetariani occidentali hanno dato risultati contrastanti, in quanto alcuni studi riferiscono assunzioni di zinco congrue con le raccomandazioni[48], mentre altri studi hanno rilevato assunzioni di zinco significativamente ridotte[42][49]. Non c'è comunque riscontro di deficienze conclamate di zinco nei vegetariani dei paesi occidentali[6].

Poiché nessun cibo di origine vegetale può essere considerato una fonte affidabile di vitamina B12, i vegani e altri vegetariani stretti possono ottenere questa vitamina con l'uso di cibi addizionati quali latti vegetali, cereali per la colazione o prodotti a base di soia[6][50]. Poiché l'utilizzo costante di

tali prodotti può risultare poco pratico, medici e ricercatori che si occupano di nutrizione vegetariana consigliano l'uso (giornaliero o settimanale a seconda del prodotto scelto[51]) di un supplemento vitaminico di B12[50][52].

L'Academy of Nutrition and Dietetics (ex American Dietetic Association) sostiene che «le diete vegane, latto-vegetariane e latto-ovo-vegetariane ben pianificate sono appropriate per tutti gli stadi del ciclo vitale, inclusi gravidanza e allattamento. Le diete vegane, latto-vegetariane e latto-ovo-vegetariane correttamente strutturate soddisfano i fabbisogni nutrizionali dei bambini nella prima e seconda infanzia e degli adolescenti, e promuovono una crescita normale»[6]. Durante la gravidanza e l'allattamento è importante che la dieta delle madri vegane contenga delle fonti quotidiane e affidabili di vitamina B12 (cibi fortificati e/o integratore)[6][53][54][55], in quanto durante queste fasi della vita la B12 immagazzinata nell'organismo della donna è poco disponibile per il bambino[56][57]. La mancata assunzione di cibi fortificati e/o integratore di B12 da parte della madre durante la gravidanza e l'allattamento conduce a gravi effetti avversi sul bambino, quali arresto o regressione della crescita, ipotonia, atrofia cerebrale, anemia megaloblastica, riduzione delle capacità motorie e difetti neurologici permanenti[58][59][60][61][62]. Le diete vegetariane, grazie al loro elevato contenuto in carboidrati e basso contenuto in grassi, si configurano anche come diete ottimali per chi pratichi sport[63][64] e sono in grado di soddisfare anche il fabbisogno degli atleti agonisti[6][65]. LA FILOSOFIA VEGETARIANA

Le prime testimonianze attendibili di una pratica vegetariana risalgono all'incirca al VI secolo a.C. e sono associate alla nascita dei primi grandi movimenti religiosi: l'Induismo, in cui si trovano molti argomenti e pratiche a favore del vegetarianismo; lo Zoroastrismo, sorto nell'antica Persia (attuale Iran) e poi diffusosi e affermatosi in tutta l'Asia centrale e basato sugli insegnamenti del profeta Zoroastro (o Zarathustra), vegetariano e contrario ad ogni genere di azione violenta; il Giainismo, sorto in India e basato sugli insegnamenti di Mahavira, che proponeva ai fedeli un'alimentazione strettamente vegetariana; il Buddismo, nato anch'esso in India sotto la guida di Buddha, che esortava al rispetto per tutti gli esseri senzienti e alla difesa della vita[66]; il Taoismo, sviluppatosi in Cina grazie all'opera di Laozi, che considerava la natura come sacra, una concezione che favorì il diffondersi di abitudini vegetariane presso molti suoi seguaci. DALL'ANTICA GRECIA AL MEDIOEVO

La pratica vegetariana era una componente centrale anche nella corrente religiosa dell'orfismo[67], sorto in Grecia anch'esso intorno al VI secolo a.C. e incentrato sulla figura mitica di Orfeo, che nel suo rapporto con la natura e con la sua vicinanza al mondo animale presenta uno dei suoi aspetti più importanti[68]. Il vegetarianismo è presente nell'antica Grecia anche nel mito dell'età dell'oro: secondo le leggende il popolo umano delle origini viveva in una condizione di pace, benessere e abbondanza, si nutriva di soli vegetali. La caccia, l'allevamento e anche l'agricoltura erano sconosciuti e superflui, in quanto la terra produceva spontaneamente e in abbondanza tutto il cibo necessario ai suoi abitanti.

Pitagora (570-495 a.C. circa) è considerato l'iniziatore e l'emblema stesso del vegetarianismo dell'antica Grecia. Questa immagine del leggendario saggio greco è legata in primo luogo ai celebri versi delle Metamorfosi del poeta romano Ovidio, un testo scritto seicento anni dopo l'epoca in cui visse Pitagora: « Per primo si scagliò contro l'abitudine di cibarsi di animali, per primo lasciò uscire dalla sua dotta bocca parole come le seguenti [...]: «Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con cibi empi! Ci sono le messi, ci sono alberi stracarichi di frutti, ci sono turgidi grappoli d'uva sulle viti! Ci sono erbe dolci e tenere [...]. Avete a disposizione il latte e il miele profumato di timo. La terra nella

sua generosità vi propone in abbondanza blandi cibi e vi offre banchetti senza stragi e sangue [...]. Che enorme delitto è ingurgitare viscere altrui nelle proprie, far ingrassare il proprio corpo ingordo a spese di altri corpi, e vivere, noi animali, della morte di altri animali![69] »

I biografi e gli autori del mito pitagorico, fra cui lo stesso Ovidio, spiegano totalmente o in parte il vegetarianismo di Pitagora con la credenza nella metempsicosi[70]. Il Pitagora di Ovidio inoltre condanna anche il sacrificio rituale[71], ritenendo che la perversa dieta carnea, negazione della condizione felice dell'antica età dell'oro, sia nata col sacrificio cruento agli dèi. In tal modo, il vegetarianismo pitagorico si configura non soltanto come una scelta privata, ma anche come un rifiuto dai risvolti politici e sociali. Tuttavia, tra i seguaci di Pitagora solo coloro appartenenti alla cerchia più stretta praticavano regolarmente il vegetarianismo, mentre i discepoli della cerchia più esterna non avevano l'obbligo di rispettare la regola vegetariana[72].

Nella metempsicosi credeva anche Empedocle (490-430 a.C. circa), dedito anch'egli alla dieta pitagorica e ugualmente contrario al sacrificio animale. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per rispettare l'usanza che il vincitore sacrificasse un bue, fece fabbricare un bue di mirra, incenso e aromi e lo distribuì secondo rito[73]. Sebbene successivamente con Aristotele (384-322 a.C.) venga negata agli animali la ragione, il logos, instaurandosi un confine netto tra l'uomo e l'animale, non tutti i suoi discepoli concordavano con questa visione, e sembra che molti siano stati vegetariani. Tra questi, Teofrasto (371-287 a.C.), autore di un trattato sulla pietà, condanna il sacrificio cruento e il consumo di carne, affermando che uccidere un animale è ingiusto, perché lo si priva della vita[74]. Senocrate (396–314 a.C.) e probabilmente Polemone (350-270/269 a.C.), scolarchi dell'Accademia di Atene[75], e alcuni dei principali platonici e neoplatonici, tra i quali Plutarco (46-120 d.C.), Porfirio (232-309 d.C.), Apollonio di Tiana (2-98 d.C.) e Plotino (203/205–270 d.C.), sono altre figure importanti dell'antica Grecia dedite al vegetarianismo[76].

Plutarco, in polemica con Aristotele e con le idee degli stoici (Seneca a parte) secondo le quali non esisterebbe alcuna relazione di giustizia tra l'uomo e gli animali, nel suo dialogo Sull'intelligenza degli animali comincia con una condanna della caccia e della macellazione, in quanto fonte di insensibilità e crudeltà e quindi causa di un danno sociale, e presenta un gran numero di argomenti a favore della razionalità animale[77]. Nel saggio Del mangiar carne, invece, si concentra sull'orrore di quella che considera come un'inutile crudeltà, legata non alla povertà e alla necessità, ma all'arroganza della ricchezza. Infatti Plutarco afferma: « ma voi, uomini d’oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad aver sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza? Perché calunniate la terra, come se non fosse in grado di nutrirvi? [...] Non vi vergognate di mischiare i frutti coltivati al sangue delle uccisioni? Dite che sono selvatici i serpenti, le pantere e i leoni, mentre voi stessi uccidete altre vite, senza cedere affatto a tali animali quanto a crudeltà. Ma per loro il sangue è un cibo vitale, invece per voi è semplicemente una delizia del gusto[78]». Così anche nella celeberrima invettiva, che costituisce l'introduzione dello stesso saggio, asserisce: « Tu vuoi sapere secondo quale criterio Pitagora si astenesse dal mangiar carne, mentre io mi domando con stupore in quale circostanza e con quale disposizione spirituale l’uomo toccò per la prima volta con la bocca il sangue e sfiorò con le labbra la carne di un animale morto; e imbandendo mense di corpi morti e corrotti, diede altresì il nome di manicaretti e di delicatezze a quelle membra che poco prima muggivano e gridavano, si muovevano e vivevano. Come poté la vista tollerare il sangue di creature sgozzate, scorticate, smembrate, come riuscì l’olfatto a sopportarne il fetore? Come mai quella lordura non stornò il senso del gusto, che veniva a contatto con le piaghe di altre creature e che sorbiva umori e sieri essudati da ferite mortali? » Porfirio, nell'Astinenza degli animali, tratta il sacrificio degli animali e il consumo della carne come uno sviluppo del sacrificio umano e del cannibalismo, e riconosce una piena continuità fra uomo e animale, rivendicando per quest'ultimo non solo la ragione, ma anche un linguaggio, pur se l'essere umano non è in grado di comprenderlo.[79]». Fondamentalmente, afferma Porfirio, gli argomenti dell'uomo contro la ragione animale sono dovuti alla ghiottoneria.

Nel III secolo viene fondato nell'antica Persia il manicheismo, che presto si diffonde in tutto l'Impero romano e i cui iniziati non si cibavano né di carne né di uova e non bevevano vino. Era una forma di vegetarianismo che traeva origine dal loro sistema religioso, basato su una visione dualistica imperniata sul conflitto tra i due principi opposti: Luce e Tenebre[80]. L’ETÀ MODERNA

Più tardi, tra il XII e il XIV secolo, si diffonde in Europa il catarismo: la convinzione che tutto il mondo materiale era opera del Male comportava la negazione dell'atto sessuale – considerato come un'aberrazione, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè di una nuova prigionia per un altro spirito – e pertanto i catari rifiutavano ogni alimento originato da un atto sessuale (carne e uova, ma non il pesce, in quanto in epoca medievale non era ancora nota la genesi per riproduzione sessuale degli animali acquatici)[81].

La Gran Bretagna è considerata la patria del vegetarianismo moderno. Il primo paladino del vegetarianismo dell'isola britannica a suscitare l'attenzione è il cappellaio Roger Crab, che emerge sulla scena inglese durante la rivoluzione degli anni quaranta del Seicento. Crab, che aderì ad una forma di vegetarianismo stretto (ovvero seguiva, come venne definita in seguito, una dieta vegana), considerava il consumo di carne un lusso e causa del rialzo dei prezzi e dell’aggravamento della povertà[82].

Nella seconda metà del Seicento, durante l'espansione coloniale della potenza inglese e l'avvio dello sfruttamento degli schiavi neri per la produzione dello zucchero, si aggiungono al vegetarianismo nuovi argomenti legati al mutamento del contesto storico. Una figura emblematica di questa fase è lo scrittore inglese Thomas Tryon, che denuncia il comportamento dell'europeo cristiano definendolo un oppressore intollerante il cui lusso e i cui sprechi «non possono essere mantenuti se non principalmente grazie alla grande Oppressione degli Uomini e degli Animali[83]».

Nel Settecento il vegetarianismo inizia ad essere un argomento sostenuto e diffuso anche dai medici, in nome della salute e delle caratteristiche dell'anatomia e della fisiologia umana che, a partire dall'apparato digerente, dalla dentatura e dalle mani, dimostrerebbero la natura vegetariana dell'uomo. Tra i più noti medici e scienziati fautori del vegetarianismo nell'Europa di questo periodo troviamo in Svezia Linneo e i suoi discepoli, in Francia Louis Lémery e Philippe Hecquet, in Inghilterra Edward Tyson, John Arbuthnot (medico della famiglia reale inglese) e George Cheyne, in Italia Antonio Cocchi, la cui influenza ebbe dimensioni internazionali, che nel 1743 pubblicò Del vitto pitagorico per uso della medicina, destinato ad essere più volte ristampato e tradotto sia nel Settecento, sia nell'Ottocento e a suscitare un vivo dibattito, soprattutto tra i medici italiani dell'epoca[84].

In questo periodo Voltaire torna sulla questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarianismo in numerose opere, mentre in Inghilterra, soprattutto dalla fine del Settecento, si parla sempre più di vegetarianismo e si susseguono alcune pubblicazioni notabili. Nel 1791 esce il pamphlet The Cry of Nature, di John Oswald, in cui l'autore presenta una presa di posizione politica a favore del vegetarianismo, considerando il mutamento radicale del rapporto con gli animali e la natura un nodo politico essenziale per giungere alla fondazione di una società egualitaria[85]. Nel 1802 viene pubblicato An Essay on Abstinence from Animal Food, as a Moral Duty, di Joseph Ritson, un attacco frontale all'antropocentrismo[86]. Nel 1811 esce The Return to Nature, di John Frank Newton, una difesa basata su testimonianze di tipico medico ed etnologico del regime vegetariano e, un paio di anni più tardi, nel 1813, Percy Shelley pubblica Vindication of Natural Diet, in cui indica la dieta carnea come un simbolo del lusso che, insieme ad altri falsi bisogni indotti tra i poveri, ritiene sia all'origine dello sfruttamento del lavoro e delle disuguaglianze sociali[87].

L'OTTOCENTO E LA COSTITUZIONE DELLA VEGETARIAN SOCIETY

In Inghilterra il fermento del vegetarianismo nel panorama culturale del paese porterà, nella prima metà dell'Ottocento, alla nascita di un movimento vegetariano inglese e alla costituzione della Vegetarian Society, fondata il 30 settembre 1847 a Ramsgate. Nei decenni successivi sorsero altre società vegetariane anche in altri paesi: nel 1867 il teologo Eduard Baltzer fonda la prima società vegetariana della Germania, verso la fine dell'Ottocento viene fondata la Société Végétarienne de France, mentre l'Associazione Vegetariana Italiana sorgerà solo nella seconda metà del Novecento.

Negli Stati Uniti dell'Ottocento troviamo molte vegetariane nel nascente movimento per i diritti delle donne, tra queste ricordiamo: Harriet Beecher Stowe, conosciuta per il suo La capanna dello zio Tom, che nel 1896 pubblica un articolo sui diritti degli animali su Heart and Home, un periodico destinato al pubblico femminile; Margaret Fuller, che in Woman in the Nineteenth-Century afferma che l'integrazione della donna nella vita pubblica avrebbe portato ad una femminilizzazione della cultura, che avrebbe posto fine ad ogni forma di sofferenza, compresa l'uccisione degli animali per l'alimentazione umana; Elizabeth Stuart Phelps Ward, autrice di libri contro la vivisezione.

Una figura importante di questo periodo è l'inglese Henry Stephens Salt, vegetariano etico, instancabile difensore, attraverso numerose opere, di quelli che l'autore stesso comincia a chiamare animal rights (diritti animali). Salt vedeva anche una evidente contraddizione in chi dichiarava di battersi per la protezione degli animali continuando a seguire una dieta carnea.

Tra le figure celebri del vegetarianismo tra l'Ottocento e gli inizi del Novecento si distinguono tra gli altri: il poeta francese Alphonse de Lamartine che, pur avendo in seguito abbandonato questo regime alimentare dopo essere stato cresciuto vegetariano dalla madre, nelle sue opere continuò ad insistere sul tema della crudeltà dell'uccisione degli animali e della dieta carnea; il compositore tedesco Richard Wagner, autore anche di scritti contro la vivisezione, le cui idee, tuttavia, erano influenzate da un antisemitismo che lo condusse a incriminare il consumo di carne come il male che aveva contaminato la razza ariana; lo scrittore russo Lev Tolstoj, passato al vegetarianismo nel 1885, durante il suo periodo di profonda crisi spirituale che lo spinse ad adottare una posizione di difesa non violenta per gli oppressi; il politico indiano Gandhi che, trasferitosi a Londra a vent'anni per studiare legge, entrò presto in contatto con i membri della Vegetarian Society, di cui divenne prima socio e poi dirigente; il commediografo irlandese George Bernard Shaw, che diede un notevole contributo alla diffusione della causa vegetariana, battendosi anche contro la vivisezione e gli sport cruenti. Altre femministe inglesi di questo periodo furono vegetariane, come Charlotte Despard, leader della Woman's Freedom League. IL XX SECOLO. LA RIVOLTA E LA FILOSOFIA VEGANA

L'espansione internazionale del movimento vegetariano porta nel 1908 alla fondazione dell'International Vegetarian Union, mentre nel novembre del 1944 nasce in Inghilterra, a Londra, la Vegan Society, fondata da Donald Watson, che vedeva l'abbandono di latte, latticini e uova come una logica conseguenza della scelta vegetariana, dato il legame tra la produzione di questi alimenti e l'industria dell'allevamento. Durante gli anni sessanta il vegetarianismo sarà molto diffuso nel nascente movimento di rivolta giovanile antiautoritaria come una espressione del rifiuto della vita borghese e della scelta di una povertà volontaria vissuta come indipendenza mentale e frugalità salubre per il corpo e lo spirito

Nel 1975 viene pubblicato Liberazione animale, del filosofo australiano Peter Singer, la prima opera contemporanea sui diritti animali che conosce una vasta diffusione internazionale. Nell'opera Singer fornisce argomenti razionali contro il pregiudizio e la discriminazione di specie (specismo) e indica il vegetarianismo come un obbligo etico nel rispetto della vita degli animali. Il piacere del palato

offerto dalla carne animale all'uomo risulta irrilevante a fronte dei maltrattamenti subiti dall'animale nell'allevamento e della sua uccisione.

L'opera di Singer, nonostante le numerose critiche di cui è stato oggetto, ha tuttavia consentito l'avvio di un dibattito filosofico e pubblico sui diritti animali e, tra le opere più significative in questo campo, si inserisce I diritti animali, pubblicato qualche anno più tardi, nel 1983 dal filosofo statunitense Tom Regan che dimostra che la vita animale ha valore intrinseco e che quindi gli animali devono essere trattati non come mezzi, ma come fini. Il vegetarianismo, pertanto, si configura nella teoria di Regan come una doverosa e logica conseguenza del fatto di riconoscere il diritto di vivere all'animale.

Nel corso degli anni e tuttora molti altri pensatori si sono confrontati su questi temi e, nonostante la diversità degli approcci sostenuti, tutti concordano nel ritenere il vegetarianismo e, attualmente, in particolare il vegetarismo, una scelta morale obbligata.

Oggi il vegetarianismo si è consolidato come un fenomeno in genere socialmente meglio accettato e convenzionale, affiancato da una crescente diffusione di periodici dedicati, libri e siti internet e dalla nascita di numerose associazioni locali e nazionali, con una presenza di dimensioni crescenti sul mercato alimentare. LE RAGIONI DELLA SCELTA VEGETARIANA

Le ragioni che comunemente sono alla base di una scelta vegetariana includono motivazioni etiche di rispetto per la vita animale, principi religiosi, attenzione per la salute e preoccupazione per l'ambiente. Tali motivazioni non sono tutte necessariamente adottate insieme e, anche se spesso due o più di loro possono coesistere negli stessi soggetti, solitamente una prevale sulle altre. Inoltre, l'influenza delle diverse motivazioni può variare in relazione al sesso (ad esempio in Italia la scelta etica è più sentita tra le donne, mentre gran parte degli uomini scelgono di seguire un regime vegetariano per il benessere fisico e una maggiore attenzione per la salute), al paese (ad esempio in India la motivazione religiosa è quella prevalente), nonché in relazione allo specifico regime vegetariano: il latto-ovo-vegetarianismo e le sue varianti latto-vegetarianismo e ovo-vegetarianismo sono adottati per lo più per ragioni religiose e/o salutistiche, il vegetalismo principalmente per ragioni etiche di rispetto per la vita e la sofferenza degli animali, il crudismo vegano soprattutto per ragioni salutistiche, il fruttarismo per questioni religioso-spirituali.

Il vegetarianismo ispirato da ragioni etiche, praticato principalmente nelle forme di latto-ovo-vegetarianismo (e nelle sue varianti latto-vegetarianismo e ovo-vegetarianismo) e vegetalismo, benché abbia origini lontane nel tempo, solo negli ultimi decenni, come riflesso di un crescente sentimento di maggiore rispetto verso gli animali nei paesi sviluppati, ha conosciuto una maggiore diffusione.

Nel vegetarianismo etico si ritiene che l'individuo animale, in quanto, analogamente all'uomo, essere senziente – capace cioè di provare sensazioni di piacere e dolore – e dotato, secondo molti autori di filosofia dei diritti animali, degli interessi fondamentali alla libertà, alla serenità e alla vita, debba essere trattato con rispetto e giustizia. Viene pertanto rifiutato il consumo di ogni tipo di carne in quanto cibo ottenuto con lo sfruttamento dell'animale (oggi spesso cresciuto in condizioni di grave sofferenza nei diffusi centri di allevamento intensivo) e il ricorso alla violenza dell'uccisione.

Nel vegetarianismo etico il rispetto per l'animale spesso non è comunque limitato alla sola sfera alimentare, ma influenza più o meno profondamente anche gli altri aspetti dell'esistenza personale. Sebbene non vi siano criteri fissi e prestabiliti a cui tutti i vegetariani etici debbano aderire nella prassi quotidiana ed ogni soggetto si regoli nelle proprie scelte nel modo che ritiene più opportuno, nel vegetarianismo etico generalmente viene evitato l'uso e il consumo, per quanto possibile e praticabile, di prodotti derivanti da sfruttamento e uccisione degli animali. Pertanto, seppur l'aspetto alimentare rimane quello centrale, in molti casi un vegetariano etico indossa solo capi in fibre vegetali

e sintetiche ed evita l'acquisto di ogni capo con parti di origine animale (pelliccia, pelle, lana, seta e imbottiture in piuma), usa cosmetici e prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa non testati su animali, e in generale evita l'acquisto di altre merci con parti animali (come divani in pelle, tappeti in pelliccia, ornamenti in avorio, oggetti in osso, pennelli in pelo animale, ecc.).

Oltre alle scelte di consumo quotidiano, un vegetariano etico solitamente evita anche la pratica, la partecipazione e il sostegno ad attività che implicano un uso dell'animale e/o la sua uccisione, quali la sperimentazione su animali, caccia e pesca, spettacoli con animali come la corrida, il circo con animali o il rodeo, corse di cavalli, di cani o di altri animali, manifestazioni folcloristiche con uso di animali, zoo, acquari e strutture simili che detengono animali, commercio degli animali da compagnia e altre attività simili. IL VEGANISMO ETICO

Questi aspetti si rivelano particolarmente importanti e sentiti nel veganismo etico. Il veganismo etico è dettato da principi etici di rispetto per la vita animale e basato sul pensiero antispecista e su una filosofia non-violenta della vita, come esemplificato nella posizione di Gary L. Francione e altri filosofi. Nella pratica quotidiana, oltre a quanto già detto, un vegano etico rifiuta anche il consumo di latte e latticini, uova e miele (e altri prodotti delle api) e tende ad evitare quelle merci contenenti questi stessi ingredienti, che possono essere presenti in cosmetici e prodotti per l’igiene personale, mangimi per animali domestici e altri prodotti. IL VEGETARIANISMO RELIGIOSO Il vegetarianismo di natura religiosa ha radici antiche e risale ai primi grandi movimenti del VI secolo a.C.. Una pratica alimentare vegetariana è tuttora diffusa presso gli aderenti a quei culti che suggeriscono o prescrivono il divieto del consumo di carni (e in alcuni casi di ogni prodotto di origine animale) e l'adesione al vegetarianismo come pratica di salute spirituale, mentale e/o corporea o come parte di una più vasta etica biocentrica di armonia e rispetto verso tutte le altre forme di vita. In altri casi invece il vegetarianismo viene integrato nella propria condotta in coloro che seguono particolari dottrine spirituali o percorsi di ricerca interiore per una più completa armonia personale. VEGETARIANISMO E SALUTE PSICOFISICA

La crescente evidenza della relazione tra consumo di cibi animali – e in particolare di carni rosse (manzo, maiale, agnello e capra) e carni conservate (carni affumicate, stagionate o salate o con l'aggiunta di conservanti chimici) – e rischio di malattie croniche quali patologie cardiovascolari, cancro e diabete, la frequente diffusione di malattie virali e parassitarie presso gli animali allevati, il crescente uso di antibiotici e altri farmaci negli allevamenti, da una parte, e i numerosi studi sui benefici dei cibi vegetali in generale e sulle diete vegetariane in particolare, dall'altra, hanno fortemente contribuito negli ultimi decenni alla diffusione delle diete vegetariane presso le popolazioni dei paesi più ricchi. Più recentemente, inoltre, i rischi derivanti da un'eccessiva assunzione di grassi saturi, di cui sono ricchi latte, latticini e uova, la correlazione tra consumo di prodotti lattiero-caseari e coronaropatia e cancro al seno e la vasta diffusione dell'intolleranza al lattosio, hanno spostato l'attenzione anche verso le diete vegane.

Rispetto ai non-vegetariani, tra i vegetariani è stata osservata una minore incidenza per quanto riguarda alcune delle più diffuse patologie dei paesi ricchi: sovrappeso e obesità, cardiopatia ischemica, alcuni tipi di tumore (della prostata, del colon-retto, dello stomaco, della vescica, linfoma non Hodgkin e mieloma multiplo), ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo 2 e morbo di Alzheimer. I

vegetariani sono inoltre risultati soggetti ad un rischio minore anche per quanto riguarda appendicite acuta, artrite reumatoide, asma bronchiale, calcolosi biliare, cataratta, diverticolite, costipazione e calcolosi urinaria. Le diete vegetariane – e in particolare le diete vegane – sono inoltre state utilizzate con successo nel trattamento di alcune patologie: malattie cardiovascolari, tumore alla prostata, ipertensione, diabete mellito di tipo 2, artrite reumatoide, asma bronchiale, fibromialgia e malattie renali.

Alcuni studi hanno rilevato una più alta incidenza di disturbi del comportamento alimentare tra gli adolescenti vegetariani rispetto alla popolazione generale degli adolescenti, tuttavia secondo gli studiosi l'adozione di diete vegetariane non aumenta in alcun modo il rischio di sviluppare disordini alimentari[6][149], sebbene la scelta di una dieta vegetariana possa essere utilizzata per camuffare un preesistente disturbo del comportamento alimentare[150][151]. Per questo motivo le diete vegetariane sono in qualche modo più diffuse tra gli adolescenti con disturbi del comportamento alimentare[152][153][154].

Rispetto ai non-vegetariani, i vegetariani, e in particolare i vegani, sono anche risultati meno soggetti all'accumulo di inquinanti ambientali quali DDT, DDE e PCB, risultati significativamente inferiori sia nel latte materno di donne vegetariane[155][156][157][158], sia nelle concentrazioni plasmatiche e fecali dei vegetariani[159][160][161], inoltre si è constatato che più a lungo una persona segue una dieta vegana, più i livelli di diossine e PBDE tendono a scendere[162]. È stato osservato che le donne anziane (tra i sessanta e i settant'anni) vegetariane presentano valori di stress ossidativo del DNA significativamente ridotti rispetto a donne anziane non-vegetariane, e non dissimili dai valori di donne più giovani (20-30 anni)[163], inoltre si è ipotizzato che una dieta vegana possa avere un ruolo nel condizionare parametri genici atti a promuovere una maggiore protezione contro l'insorgenza di patologie e una maggiore durata della vita[164][165]. In due studi è stata osservata nei vegetariani anche una migliore qualità dell'umore (bassa frequenza di emozioni negative) rispetto ai non-vegetariani[166][167].

Mentre c'è evidenza che non vi sono differenze significative nella densità minerale ossea (BMD) tra latto-ovo-vegetariani e non-vegetariani[168], i dati sui vegani sono ancora scarsi: alcuni studi condotti in Asia (Cina e Thailandia) hanno rilevato valori minori di BMD rispetto ai non-vegetariani, ma si trattava di donne con apporti di proteine e calcio molto bassi, entrambi fattori di rischio per la salute ossea a lungo termine[169][170]. Comunque, mentre non vi sono differenze significative tra latto-ovo-vegetariani e non-vegetariani per quanto riguarda il rischio di fratture, in donne vegane con un apporto di calcio inferiore ai 525 mg/die è stata osservata una maggiore incidenza[171]. Secondo l'Academy of Nutrition and Dietetics i vegetariani, per favorire una buona salute ossea, devono assicurarsi l'assunzione di buoni apporti di calcio, magnesio e potassio (frutta e verdura), vitamina K (vegetali a foglia verde scuro), vitamina D (esposizione alla luce solare, prodotti fortificati o supplementi), un apporto adeguato ma non eccessivo di proteine, isoflavoni della soia e ridurre al contempo gli apporti di sodio[6].

Negli anni più recenti, insieme alla crescente attenzione della comunità umana per i problemi ambientali, le diete vegetariane hanno iniziato a diffondersi anche come una scelta ecologica consapevole.

Nella seconda metà del Novecento il consumo globale di carne è aumentato di 5 volte, passando da 45 milioni di tonnellate all'anno nel 1950 a 233 milioni di tonnellate all'anno nel 2000[172][173], e la FAO ha stimato che entro il 2050 si arriverà a 465 milioni di tonnellate[174]. Ciò ha causato naturalmente un aumento del numero di animali allevati: secondo le statistiche della FAO (2007), in tutto il mondo ogni anno vengono uccisi, per fini alimentari, circa 56 miliardi di animali, esclusi pesci e altri animali marini[175]. Questa crescita esplosiva della popolazione animale domestica degli ultimi decenni si è rivelata incompatibile con i ritmi naturali terrestri e ha inciso attraverso diversi modi sull'equilibrio della Terra.

Oggi la zootecnia globale è ritenuta un fattore centrale nell'uso di risorse alimentari e idriche, inquinamento delle acque, uso delle terre, deforestazione, degradazione del suolo ed emissioni di gas serra[174]. Nonostante spesso sia un fattore trascurato, anche il consumo degli animali marini incide in maniera significativa sull’equilibrio ambientale, e la pesca e l'acquacoltura sono ritenuti anch'essi responsabili di diversi problemi di natura ambientale[174]. L'insieme di questa situazione si ripercuote anche sulla fauna e sulla flora selvatica impoverendone la biodiversità[174]. Nel 2006 la FAO ha pubblicato quello che oggi è considerato il documento più noto e meglio documentato sul problema: Livestock's Long Shadow[174], un report scientifico di 390 pagine in cui viene accuratamente valutato l'impatto globale del settore zootecnico sui problemi ambientali. Nell'introduzione gli autori affermano: « Il settore dell'allevamento emerge come una delle prime due o tre più significative cause dei più gravi problemi ambientali, a tutti i livelli da locale a globale. [...] L'impatto è così rilevante che deve essere affrontato con urgenza[174]. »

Negli ultimi anni si è determinato un crescente interesse della comunità scientifica sull'influenza che il consumo di cibi animali può avere sull'ambiente, e diversi studi hanno evidenziato i vantaggi che è possibile ottenere sul piano ambientale con l'adozione di diete vegetariane. Uno studio del 2003 condotto da ricercatori della Cornell University di New York[176] ha constatato come «il sistema alimentare basato sul consumo di carne richiede più energia, terra e risorse idriche rispetto alla dieta latto-ovo-vegetariana». Ad un'analoga conclusione sono giunti dei ricercatori della Loma Linda University in uno studio del 2009[177], dove è stato rilevato che «[...] la dieta non-vegetariana richiede 2,9 volte più acqua, 2,5 volte più energia primaria, 13 volte più fertilizzanti e 1,4 volte più pesticidi rispetto alla dieta latto-ovo-vegetariana».

Nel 2012, nel corso della settimana mondiale dell'acqua, il SIWI (Stockholm International Water Institute) ha presentato un report in cui ha avvertito che «non ci sarà abbastanza acqua disponibile per produrre cibo per una popolazione di 9 miliardi di persone prevista per il 2050, se si continueranno a seguire le attuali tendenze verso la dieta comunemente adottata nei paesi occidentali», e proponendo una drastica riduzione del consumo di proteine animali fino ad arrivare ad una quota pari al 5% delle proteine totali assunte con la dieta. Gli scienziati, nella presentazione del report, hanno affermato che l'adozione di una dieta vegetariana può offrire la possibilità di aumentare la disponibilità di acqua per produrre più cibo[178][179].

Naturalmente, ad un minor consumo di cibi animali, corrisponde un minore impatto sull'ambiente. Per tale motivo una dieta vegana può essere considerata dal punto di vista ambientale la scelta alimentare più vantaggiosa. Ad esempio, per quanto riguarda le emissioni di gas serra, da uno studio del 2008 condotto dall'Institute for Ecological Economy Research di Berlino[180] e volto ad indagare l'impatto dell'agricoltura e dell'allevamento sull'effetto serra, emerge che, rispetto ad una dieta vegana, una dieta latto-ovo-vegetariana ha un impatto di quasi 4 volte superiore, e una dieta a base di cibi animali ha un impatto di circa 7,5 volte superiore[181].

Per quanto riguarda il consumo idrico, è stato osservato che la produzione di cibo per un giorno per una persona che segue una dieta a base di cibi animali necessita di 15 100 litri di acqua, 4500 per chi segue una dieta latto-ovo-vegetariana, mentre ne sono sufficienti solo 1100 per chi segue una dieta vegana: per persona, una dieta vegana richiede pertanto meno acqua nel corso di un anno rispetto a quanta ne occorre per una dieta a base di cibi animali per un solo mese[182].

Da un punto di vista più generale, uno studio del 2006 condotto da ricercatori italiani[183] e volto ad indagare tutti i possibili impatti ambientali derivanti da diete vegetariane e non-vegetariane, ha riscontrato che, rispetto ad una dieta vegana, una dieta latto-ovo-vegetariana ha un impatto 1,8 volte superiore e una dieta a base di cibi animali 2,7 volte superiore, in riferimento a modelli alimentari formulati con parametri dietetici equilibrati e quindi in via teorica, per quanto riguarda i risultati ottenuti dai ricercatori per la dieta a base di cibi animali tipicamente condotta da un italiano medio, questa risulta invece avere un impatto 6,7 volte maggiore rispetto ad una dieta vegana[184].

I VEGETARIANI CELEBRI

A partire da Pitagora, considerato l'iniziatore e l'emblema stesso del vegetarianismo, oltre ai già citati Plutarco, Porfirio, Voltaire, Richard Wagner, Lev Tolstoj, Gandhi, George Bernard Shaw, la storia ha offerto numerose testimonianze di celebri personaggi che aderirono ad una dieta vegetariana.

Tra i più citati dalla comunità vegetariana vi è Leonardo da Vinci[185], che così si pronunciò: « Se realmente sei, come ti descrivi, il re degli animali – direi piuttosto re delle bestie, essendo tu stesso la più grande! – perché non eviti di prenderti i loro figli per soddisfare il tuo palato, per amor del quale ti sei trasformato in una tomba per tutti gli animali? [...] Non produce forse la natura cibi semplici in abbondanza che possano sfamarti? E se non riesci ad accontentarti di tali cibi semplici, non puoi preparare infinite pietanze mescolando tra loro tali cibarie?[186]»

Tra gli altri vegetariani celebri della storia si possono ricordare Albert Einstein[187], Isaac Bashevis Singer[188] o Jiddu Krishnamurti, tra gli sportivi Carl Lewis (vegano)[189], Scott Jurek (vegano)[190], Bill Pearl[191], tra le celebrità dello spettacolo Paul McCartney[192], Moby (vegano)[193], Natalie Portman (vegana)[194], tra i politici Bill Clinton (vegano)[195][196][197], tra i nomi della scienza Margherita Hack[198], Umberto Veronesi[199].

Alcuni paesi vantano una lunga tradizione vegetariana, in particolare l'India, dove il 40% della popolazione è vegetariano[200]. Nei paesi più ricchi, invece, solo da qualche decennio si è maturato un interesse verso questo tipo di diete, e solo negli anni più recenti si può osservare una crescente diffusione delle diete vegetariane: ad esempio negli USA circa il 5% della popolazione adulta (circa dodici milioni di persone) segue in modo regolare una dieta latto-ovo-vegetariana e circa la metà è vegano[201], circa il 3% dei bambini e degli adolescenti tra gli 8 e i 18 anni è latto-ovo-vegetariano e quasi l'1% è vegano[202], inoltre molti consumatori riferiscono interesse nei confronti delle diete vegetariane[203]. Altri paesi occidentali presentano percentuali ancora maggiori, ad esempio la Germania, dove oltre il 7% della popolazione è vegetariano[204], o l'Italia, con il 6% di vegetariani (di cui l'1,1% di vegani)[205].

Il 1º ottobre si festeggia il World Vegetarian Day (giornata vegetariana mondiale)[206], mentre dal 1º al 7 ottobre si celebra l'International Vegetarian Week (settimana vegetariana internazionale)[207]. Il 1º novembre invece si festeggia il World Vegan Day (giornata vegana mondiale)[208]. Inoltre ogni anno in tutto il mondo si organizzano numerosi festival e manifestazioni varie sul vegetarianismo. Tra le più note manifestazioni in Europa vi è il Veggie Pride (orgoglio vegetariano) che, nato a Parigi il 13 ottobre 2001, ha luogo ogni anno il terzo sabato di maggio in Francia, e dal 2008 viene organizzato anche in Italia (la prima edizione si è tenuta a Roma e le successive a Milano)[209][210]. BIBLIOGRAFIA Jonathan Safran Foer, Se niente importa, Guanda, 2010. ISBN 978 8860881137. . Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora. Storia del vegetarianismo dall'antica Grecia a Internet, Roma, Carocci editore, 2008. ISBN 978-88-430-4574-7. . Peter Singer, Liberazione animale, Il Saggiatore, 2010. ISBN 978-885650180-3. . Tom Regan, Gabbie vuote, Edizioni Sonda, 2005. ISBN 88-7106-425-9. . Jeremy Rifkin, Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, Arnoldo Mondadori, 2001. ISBN 8804495219. Claus Leitzmann, Vegetariani. Fondamenti, vantaggi e rischi, Bruno Mondadori, 2002. ISBN 88-424-9584-0. . Melanie Joy, Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche, Edizioni Sonda, 2012.

Emanuela Barbero; Alessandro Cattelan; Annalaura Sagramora, La cucina etica, Edizioni Sonda, 2010. ISBN 978-88-7106-566-3. . Margherita Hack, Perché sono vegetariana, Edizioni dell'Altana, 2011. ISBN 978-88-86772-51-8. . it.wikipedia.org

Cavalieri - Archivio Storico Salani

PSICOLOGIA DEL CIBO QUOTIDIANO stateofmind.it

Il primo pasto è sempre semplice. Per Eva fu un morso di una mela, per un bambino è il latte materno. Tuttavia, con lo sviluppo delle prime esperienze alimentari e dei primi rapporti con l’ambiente esterno, inizia anche un processo di selezione che trascende il valore nutritivo del cibo stesso. In quanto onnivori, gli esseri umani avrebbero potenzialmente accesso ad una gamma pressoché infinta di alimenti, ma, in pratica, la scelta quotidiana è notevolmente ridotta. Questo avviene perché mangiamo più con la testa che con la bocca.

Una volta risolto il problema della sopravvivenza, le nostre abitudini alimentari sono fortemente influenzate dalle rappresentazioni mentali di quello che riteniamo commestibile. Per esempio, cavallette ed altri tipi di insetti hanno un valore nutritivo molto alto e sono apprezzate in certe culture africane e orientali, ma non nella nostra. Questo non dipende dal gusto (le avessimo mai assaggiate!, ma dal semplice fatto che per la maggioranza degli Italiani e dei popoli occidentali, questi animali appartengono alla categoria “insetto” e non a quella “cibo”.

La cultura ha una notevole influenza sulle nostre scelte alimentari, condizionando la disponibilità degli alimenti e le pratiche di consumo, ma non solo. Il comportamento alimentare si distingue per l’elevato valore simbolico, che non si esaurisce nella sua funzione nutrizionale, ma può essere considerato come atto di comunicazione e di espressione di Sé. In particolare, in alcuni studi di psicologia sociale è emerso come gli individui tendano a giudicare gli altri sulla base degli alimenti scelti, o che suppongono mangino, e che spesso tendano a scegliere un cibo per comunicare qualcosa di sé.

Si prenda, per esempio, il caso dei prodotti biologici che, in Italia, sono spesso più cari degli altri, a parità di prodotto. La scelta può dipendere da specifiche esigenze (per esempio, allergie a determinati pesticidi), ma anche essere l’espressione della propria identità, come persona salutista o attenta all’ambiente, nonché la manifestazione del proprio stile di vita alimentare.

Per queste ragioni, quando guardiamo quello che abbiamo nel piatto, dobbiamo considerare che la nostra scelta trascende sia il valore nutritivo che il gusto (non sempre, infatti, ci limitiamo a mangiare quello che ci piace). Mangiare è un processo psicologico, influenzato dalle norme esplicite ed implicite fornite dal contesto sociale in cui viviamo, e dai nostri atteggiamenti nei confronti del cibo. Può fornire informazioni su alcuni aspetti dell’identità della persona, ma anche agire come strumento di comunicazione di bisogni, conflitti ed espressione di Sé.

Solitamente, quando si pensa al rapporto tra psicologia ed alimentazione, il primo pensiero corre al contesto clinico e ai disturbi del comportamento alimentare.

Tuttavia, la psicologia sociale ci aiuta a comprendere la moltitudine di fenomeni che sono alla base delle scelte alimentari quotidiane, non patologiche. Da tempo viene utilizzata dall’industria alimentare per entrare in sintonia col mercato, ma, oggigiorno, è anche impiegata in chiave di prevenzione per migliorare il rapporto con il cibo sia sul piano fisiologico che su quello psicologico.

BIBLIOGRAFIA Conner, M., Armitage, C. J. (2002). La Psicologia a Tavola. Bologna: Il Mulino. Crumpacker, B. (2006). The sex life of food: When body and soul meet to eat. St. martin’s press: Thomas dunne books. Dittmar, H., Drury, J. (2000). Self-image – is it in the bag? A qualitative comparison between ordinary and excessive consumers.Journal of Economic Psychology, 21, 109-142. Montanari, M. (2011). Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo. Roma-Bari: Laterza. Olivero, N., Russo, V. (2009). Manuale di psicologia dei consumi. Milano: McGraw-Hill