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LA SFINGE Guaraldi Introduzione di Stefano Bolognini Selezione a cura di Angelo Mario Crisci, Magda C. Mantovani, Filippo Marinelli, Daniela Nobili, Irene Ruggiero - Prefazione di Mariella Schepisi SCRITTI SCELTI 1974-2001 Guaraldi

La meravigliosa avventura della psicoanalisi - GuaraldiLAB · 2017. 3. 12. · Il bipartito giogo. Il «dramma del bambino dotato» Giacomo Leopardi 1993 p. 103 Inconsci suggerimenti

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  • «Questo è il libro che Glauco Carloni, nella sua incessante attività dipsicoanalista, psichiatra, conferenziere, docente, pubblicista, viaggiatore,cinefilo, direttore editoriale, critico, polemista, rappresentante istituzionalee quant’altro, ha scritto, ma non ha mai “composto” in vita sua: troppoimpegnato a occuparsi di volta in volta del nuovo, di ciò che stradafacendo lo incuriosiva e lo appassionava, per potersi disporre a uncertosino lavoro di selezione e di riordino della sua vastissimaproduzione scienti f ica e cul turale» (Stefano Bolognini).Il frutto di un tale lavoro, a cui dopo la prematura scomparsa di Carlonisi sono dedicati i colleghi del Centro Psicoanalitico di Bologna, èoggi a disposizione dei moltissimi che lo hanno conosciuto e loricordano; di quanti, all’inizio della loro formazione come psicoanalisti,faranno tesoro di queste pagine in cui parla una delle voci più originalidella psicoanalisi italiana recente; ma anche di un pubblico più vasto,interessato e stimolato dalla molteplicità di spunti che il volume offre,nelle cinque sezioni in cui si articola.Si va dalle riflessioni, attualissime, sull’identità dello psichiatra allaluce delle mutate concezioni della malattia mentale e della sua cura(«Psicoanalisi e psichiatria») al mondo della fiaba e del mistero («Fiabae antropologia»); dai saggi su Giacomo Leopardi e su Luigi Pirandello– esempi di critica letteraria psicoanalitica o di «psicoanalisi applicata»– all’affettuosa analisi della personalità di Federico Fellini («Teatro,letteratura e cinema»), a temi più specificamente attinenti al lavoro chesi svolge nella stanza d’analisi: in particolare, l’atteggiamento e lostile dello psicoanalista («La tecnica psicoanalitica») e il suo percorsodi formazione («Nostalgia e vocazione terapeut ica»).Trasversalmente, e come in un gioco di incastri, il lettore ha l’opportunitàdi scoprire o rievocare la figura di Glauco Carloni uomo, studioso emaestro ricostruita attraverso il testo introduttivo di Stefano Bologninie le note dei curatori in apertura di ciascuna sezione.

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    Guaraldi

    Introduzione di Stefano BologniniSelezione a cura di Angelo Mario Crisci, Magda C. Mantovani, FilippoMarinelli, Daniela Nobili, Irene Ruggiero - Prefazione di Mariella Schepisi

    SCRITTI SCELTI 1974-2001

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  • GuaraldiLA SFINGE

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  • GLAUCO CARLONI

    LA MERAVIGLIOSA AVVENTURADELLA PSICOANALISI

    Scritti scelti 1974-2001

    Introduzione di Stefano Bolognini

    Selezione a cura diAngelo Mario Crisci, Magda C. Mantovani,

    Filippo Marinelli, Daniela Nobili, Irene Ruggiero

    Prefazione di Mariella Schepisi

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  • Prima edizione: settembre 2005

    © 2005 by Guaraldi s.r.l.Sede legale: piazza Ferrari 22, 47900 Rimini

    Redazione: via A. Grassi 13 (Rimini)Tel. 0541/790194 Fax 0541/791316

    www.guaraldi.ite-mail: [email protected]

    ISBN 88-8049-259-4

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  • Indice

    Prefazione di Mariella Schepisi p. 9

    Glauco Carloni: un ritrattoStefano Bolognini p. 13

    PSICOANALISI E PSICHIATRIA

    Il coraggio per dirlodi Magda C. Mantovani p. 29

    L’evoluzione del concetto di malattia mentale ei suoi risvolti in riferimento alla legge 180

    1982 p. 33

    L’identità dello psichiatra1982 p. 39

    Due sogni di uno psicoanalista attempato2000 p. 45

    FIABA E ANTROPOLOGIA

    Magia, mistero e meravigliadi Angelo Mario Crisci p. 57

    Fiabe1989 p. 63

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  • Psicoanalisi e antropologia1992 p. 79

    Introduzione a «L’enigma della Sfinge» di Géza Róheim1974 p. 91

    TEATRO, LETTERATURA E CINEMA

    Breve interludiodi Filippo Marinelli p. 99

    Il bipartito giogo. Il «dramma del bambino dotato»Giacomo Leopardi

    1993 p. 103

    Inconsci suggerimenti di un drammaturgo a deglisconosciuti professionisti della psiche

    2000 p. 111

    Fellini e il «pataca»1997 p. 121

    LA TECNICA PSICOANALITICA

    Lo stile «amoroso» di uno psicoanalistadi Daniela Nobili p. 139

    Tatto, contatto e tattica1984 p. 145

    Il sogno nella pratica psicoanalitica di oggidì1991 p. 161

    Lo stile materno1998 p. 173

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  • NOSTALGIA E VOCAZIONE TERAPEUTICA

    Alle origini di un percorsodi Irene Ruggiero p. 189

    Sofferenza psichica e vocazione terapeutica1982 p. 195

    Tragitti della nostalgia2001 p. 223

    E PER FINIRE…

    Il dono dell’Hilara1990 p. 239

    Introduzione a «Mussolini contro Freud»a cura di Piero Meldini

    1976 p. 249

    Appendice bio-bibliograficaa cura di Elena Carloni

    Cronologia degli scritti p. 263

    Bibliografia p. 273

    Indice dei nomi p. 287

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  • PrefazioneMariella Schepisi

    Con la pubblicazione di questo volume (preceduto, nel 2004,dalla riedizione di La mamma cattiva, di Glauco Carloni eDaniela Nobili) l’editore Guaraldi conferma un interesse per lacultura psicoanalitica che risale agli anni settanta, con la signifi-cativa e fortunata stagione della collana «La Sfinge» diretta pro-prio da Carloni.

    Al di là delle ovvie e legittime valenze di omaggio e celebra-tive, questa iniziativa ha il merito di presentare per la prima voltain forma organica una voce illustre all’interno di quella cheStefano Bolognini (Introduzione a Il sogno cento anni dopo) hadefinito «la ricchezza e l’elevata diversificazione delle linee evo-lutive della psicoanalisi italiana»: una linea, quella inaugurata daCarloni, decisamente ispirata – sul piano clinico e con tutte leconseguenti implicazioni epistemologiche – alla lezione diSándor Ferenczi e della sua filiazione successiva, a partire daBalint; una linea che pone in primo piano le peculiarissime qua-lità che l’analista deve possedere, come «mettersi nei panni del-l’altro senza confondervisi e senza perdere perciò d’obiettività(Lo stile materno), ben prima del diffuso interesse odierno, spes-so di stampo «riparativo», per la figura di Ferenczi.

    A conferma del giudizio espresso da Bolognini (ibid.) su unapsicoanalisi italiana «propensa ad accogliere e utilizzare in modofunzionale e mirato strumenti teorici e clinici di varia prove-nienza», il filone «ferencziano» risulta oggi coinvolto in intreccie reciproci attraversamenti sia con le ricerche sull’empatia psi-coanalitica (si veda lo stesso Bolognini) sia con l’impostazionegenericamente definibile come «relazionale», che enfatizza il«qui e ora» e il coinvolgimento personale dell’analista.

    Questo per sottolineare la grande attualità degli scritti diGlauco Carloni e dell’insegnamento che trasmettono. Viene dapensare che, nel pieno di un dibattito – di origine statunitense,ma assai vivace in Europa e anche da noi – sulla «crisi» delle psi-coterapie, sarebbe auspicabile, ed è effettivamente presente inpiù di un analista italiano delle ultime generazioni, un atteggia-

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  • mento di attenzione e di scambi con il mondo della ricerca scien-tifica (quale viene raccomandato, tra gli altri, da Morris N.Eagle), ma di valorizzazione, nel contempo, della preziosa speci-ficità di cui la psicoanalisi è portatrice: una posizione che si con-trapponga autorevolmente alle illusioni e alle confusioni di certipredicatori di un improbabile scientismo radicale, mettendoinvece l’accento, come fa Carloni, su quello che è più umano nel-l’essere umano: non solo le emozioni, ma i sogni, il senso delmistero, il mondo dei miti, l’attività simbolica, la poesia e l’arte,tutto ciò che ha origine nelle profondità del nostro inconscio edi cui proprio la psicoanalisi offre un insostituibile strumento dilettura, contribuendo in modo sempre più significativo alla pos-sibilità di comprendere e curare la sofferenza dei singoli e dellecomunità.

    Dei testi qui raccolti vengono, ovviamente, precisate le fonti(tutte comunque reperibili nella Cronologia completa degliscritti a cura di Elena Carloni), ma il criterio seguito dai curato-ri è tematico, non cronologico. Si tratta del libro che Carloniavrebbe scritto se ne avesse avuto il tempo, non semplicementedella documentazione di parte della sua attività.

    Il lavoro di cura svolto dai colleghi del Centro Psicoanaliticodi Bologna è stato portato a termine a livello editoriale con gran-de rispetto per lo stile anche linguisticamente così originale del-l’autore. Sono stati unificati nella Bibliografia finale, con alcuneintegrazioni, i riferimenti bibliografici che completavano quasitutti gli scrittti. Si è scelto di ridurre al minimo gli interventiredazionali di tipo «filologico» o quelli intesi ad attenuare unacerta occasionalità di alcuni testi che anzi proprio per questorisultano, pur «datati», moderni, godibili e stimolanti (si pensiper esempio alla lungimiranza di cui Carloni dà prova nel tratta-re il problema dei rapporti tra psicoanalisi e psichiatria).

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  • LA MERAVIGLIOSA AVVENTURADELLA PSICOANALISI

    Scritti scelti 1974-2001

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  • Glauco Carloni: un ritrattoStefano Bolognini

    Questo è il libro che Glauco Carloni, nella sua incessante atti-vità di psicoanalista, psichiatra, conferenziere, docente, pub-blicista, viaggiatore, cinefilo, direttore editoriale, critico,polemista, rappresentante istituzionale e quant’altro, ha scrit-to, ma non ha mai «composto» in vita sua: troppo impegnatoa occuparsi di volta in volta del nuovo, di ciò che stradafacendo lo incuriosiva e lo appassionava, per potersi disporrea un certosino lavoro di selezione e di riordino della suavastissima produzione scientifica e culturale.

    Così, su precisa richiesta dei colleghi del CentroPsicoanalitico di Bologna, e con il contributo decisivo diAngelo Mario Crisci, Magda C. Mantovani, Filippo Marinelli,Daniela Nobili e Irene Ruggiero, che hanno curato le diversesezioni di questo volume, e di Elena Carloni, che ha fornito ecatalogato tutto il materiale bibliografico, ho il compito di pre-sentare quest’opera, e soprattutto di presentare la figura delsuo autore rievocandolo, per quanti l’hanno conosciuto (esono tantissimi, perché Carloni era – per usare il linguaggiosportivo – un giocatore all around, a tutto campo, un intellet-tuale attivo su molti fronti ma anche un personaggio pubblico,noto e comunicativamente efficace), e tratteggiandone la figu-ra per i giovani che in futuro, accostandosi alla psicoanalisi ealle sue estensioni culturali, saranno attratti da questo scritto-re poliedrico, dallo stile inconfondibile, colto, elegante e auto-revole, animato da un impegno etico e scientifico di rara ener-gia, e soprattutto irriducibilmente curioso di fronte alla vita, intutte le sue manifestazioni naturali, scientifiche e artistiche.

    Glauco Carloni era nato il 23 luglio 1926 a Cingoli, in pro-vincia di Macerata, nel dolce paesaggio collinare delleMarche; e su quei colli ora riposa.

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  • Era figlio di un piccolo proprietario terriero del luogo, e lafiglia Elena mi ha riferito alcune notizie di storia familiarepreziose per intendere una delle principali passioni di Carloni(che esitò in parecchi suoi scritti, compreso quello su Felliniriportato in questo volume): il nonno paterno aprì un cinema,di cui era proprietario, a Cingoli alla fine degli anni venti.Imprenditorialmente parlando, l’iniziativa non andò a buonfine, perché il locale era troppo «lussuoso» (arredato come unteatro, pare, e di costosa gestione), ma evidentemente il con-tagio amoroso per la settima arte era ormai irreversibile, datoche di lì a poco tempo anche il padre di Carloni possedette egestì per alcuni anni un cinema a Cingoli.

    Ci piace, per conseguenza – e pensiamo di non essere lon-tani dal vero – rappresentarci il piccolo Glauco affascinato esognante all’impatto con le straordinarie esperienze narratedallo schermo, che potevano far viaggiare la sua mente dibambino di paese attraverso luoghi favolosi e storie lontane,in un’atmosfera incantata da Nuovo Cinema Paradiso.

    Sta di fatto che Carloni, formidabile cinefilo, fu nella suamaturità l’animatore di numerose rassegne culturali legate alcinema, e organizzò un «cineforum psicoanalitico» stabile (incollaborazione con la prestigiosa Cineteca di Bologna) che ètuttora attivo e che attira un vasto pubblico di appassionati,molto attenti alle brevi ma succose presentazioni fornite daglianalisti nel tradizionale quarto d’ora di inizio serata.

    Della sua infanzia sappiamo anche che per volontà dei geni-tori fu inizialmente costretto allo studio del pianoforte, studioche però non amava e che finì per abbandonare senza rim-pianti dopo pochi anni.

    Spirito libero, divenne invece un ballerino provetto (famo-si i suoi giri di valzer nelle serate di gala dei congressi inter-nazionali) e un risoluto calciatore; praticò lo sci, l’alpinismo,il tennis e il nuoto, nei quali sfogava con piacere la sua fortis-sima vitalità.

    I genitori, accortisi ben presto delle sue doti intellettualifuori dell’ordinario, gli consentirono di trasferirsi a Bolognaper il liceo, ospite di una zia paterna.

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  • Si iscrisse poi alla facoltà di Medicina (prima a Roma, peril caos disorganizzativo di un’Italia spaccata in due, nel ’44;poi di nuovo a Bologna).

    E qui, negli anni del dopoguerra, si situa un episodiocurioso che secondo me va pur citato nel tratteggiare la vitadi Carloni, in quanto almeno in parte rivelatore delle noncomuni capacità di osservazione della realtà delle quali egliindiscutibilmente disponeva.

    Era stato indetto, nel ’47 o ’48, un concorso-lotteria nazio-nale dall’eloquente denominazione di «Totalvoto»: in sostan-za, si trattava di indovinare il numero preciso di seggi che ivari partiti avrebbero conquistato alle elezioni, e nonostantel’enorme partecipazione popolare al concorso Carloni vinse amani basse con una previsione millimetrica.

    Laureatosi dunque a Bologna nel 1950, si specializzò inClinica delle malattie nervose e mentali praticando la neuro-chirurgia sotto la guida di Beniamino Guidetti che, divenutodi lì a poco cattedratico a Roma, gli propose di continuarecon lui nella capitale la carriera di neurochirurgo.

    Di fronte a tale bivio, Carloni fece una scelta fondamenta-le: declinò la prestigiosa offerta, optò per la psichiatria, edecise di intraprendere la via della formazione psicoanalitica,iniziando la sua analisi con Egon Molinari, medico triestino diorigine ungherese e allievo di Musatti nella rinascita della psi-coanalisi italiana del dopoguerra.

    Dopo aver lavorato all’Ospedale psichiatrico «Lolli» diImola, nel 1961 Carloni vinse il concorso all’Ospedale«Roncati» di Bologna, dove sarebbe diventato primario dellaSezione femminile.

    Iniziò lì, in parallelo con la sua carriera psicoanalitica, lasua opera di rifondazione e di proselitismo per una psichiatriadiversa, profondamente ispirata proprio alle concezioni psi-coanalitiche sulla genesi delle malattie mentali come tragicoprodotto dei disturbi dello sviluppo psichico individuale,indotti da una trasmissione relazionale e transgenerazionaledella patologia.

    Attorno a Carloni, confortati dalla sua autorevolezza e dalsuo entusiasmo, numerosi psichiatri intrapresero la formazio-

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  • ne psicoanalitica, giungendo a costituire in pochi anni ungruppo e un movimento tecnico-scientifico di importanzanazionale, collegato ad altri consimili sorti in altre realtà psi-chiatriche (Milano, Genova, Pavia, Venezia, Roma, Palermo)che sperimentavano l’introduzione delle prospettive psico-analitiche in ambito istituzionale.

    Devo qui aprire una parentesi storica di carattere genera-le, per chiarire un equivoco riguardante la psichiatria che si èprotratto a lungo presso l’opinione pubblica, e che tuttoragenera confusioni tra i non addetti ai lavori.

    L’iconografia popolare, negli anni tra il 1960 e il 1980, haparecchio semplificato la realtà psichiatrica italiana, raffigu-rando in maniera molto approssimativa all’interno di essa duecategorie di psichiatri: grosso modo i «tradizionalisti», carce-rieri, manicomiali, organicisti, fondamentalmente neurologidispensatori di elettroshock e di neurolettici pesanti; e gli«innovatori», liberatori, sostenitori di un principio politicooltre che tecnico, impegnati soprattutto ad abbattere i mani-comi e a restituire istituzionalmente e comportamentalmentedignità e libertà ai degenti.

    Questa raffigurazione «a due profili» della psichiatria ita-liana degli anni sessanta e settanta è un sostanziale falso stori-co: le psichiatrie italiane di quel periodo furono tre, e Carlonia Bologna, come De Martis a Pavia, Sacerdoti a Venezia e viavia altri autorevoli capiscuola in altre sedi, furono i punti diriferimento di una cultura della trasformazione che non siidentificava né con la vecchia psichiatria, né con l’«antipsi-chiatria» di stretta marca basagliana, meritevole per lo spiritoinnovativo, ma tutta protesa all’aspetto politico-comporta-mentale dell’approccio alla questione psichiatrica.

    Va anche chiarito che gli psicoanalisti italiani impegnatinelle istituzioni non si sognarono mai di contestare l’impiegomirato degli psicofarmaci (strumento necessario e preziosissi-mo nella cura di molte patologie gravi), né di rifiutare la tra-sformazione e – là dove era realisticamente possibile – il supe-ramento dei modelli istituzionali privi di funzioni terapeuti-che. Ritenevano però che tutto ciò non fosse sufficiente néper comprendere il senso della sofferenza psichica, né per

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  • trattarla adeguatamente, nemmeno sul piano depressivamen-te realistico della «gestione» di essa.

    Il ricordo dei miei primi due incontri con Glauco Carloniè connesso proprio con situazioni di studio sulla realtà psi-chiatrica.

    Nel 1975 Carloni prese parte a un convegno organizzato aVenezia dal Centro Psicoterapico Provinciale di palazzoBoldù, che Giorgio Sacerdoti, direttore dei Servizi psichiatri-ci veneziani, era riuscito a fondare tra mille difficoltà.

    La psicoterapia, allora come oggi, era duramente attacca-ta, da destra e da sinistra: per i tradizionalisti, era priva di uti-lità e di base scientifica «quantificabile»; per gli antipsichiatri,costituiva un inaccettabile privilegio destinato a pochi, e unasorta di diversione «borghese» rispetto all’impegno per l’ab-battimento delle istituzioni inteso come valore in sé.

    Per me, e per molti altri giovani psichiatri, il contributotecnico fornito «a braccio» da Carloni e da Sacerdoti a com-mento del materiale clinico presentato da colleghi del Centrorisultò illuminante: era possibile dare fondatamente un sensoumano e comprensibile a fatti, gesti e parole che così, a primavista, risultavano assolutamente folli e privi di significato.

    Mi resi conto, in quell’occasione, dell’importanza deglistrumenti psicoanalitici in vista non tanto di una irrealisticafantasia di guarigione totale degli psicotici cronici, quantopiuttosto di una profonda modificazione del modo di inten-dersi con essi, e di favorire condizioni assai migliori di vita edi relazione tra pazienti e curanti, tenendo conto anche dellepaure, dei limiti e dei bisogni di questi ultimi.

    La stima e la buona collaborazione tra Carloni e Sacerdotinon vennero mai meno, e questo consentì, come vedremo, larealizzazione di importanti sviluppi istituzionali da partedegli analisti emiliani e veneti, ormai uniti da una più chetrentennale tradizione di amicizia e di scambi.

    Parallelamente alla sua attività psichiatrica, Carloni portòavanti – sempre con l’impegno e con la bravura che gli erano,in un certo senso, inevitabili – anche quella universitaria equella psicoanalitica.

    Glauco Carloni: un ritratto

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  • Dopo aver insegnato all’Università di Trento nei primianni settanta, rientrò (accademicamente parlando) a Bologna,prima a Magistero, poi a Scienze della Formazione, e quindia Psicologia, come professore associato di Psicologia dinami-ca, risultando fino alla fine della sua carriera un docenteappassionato e appassionante. Ho raccolto molte testimo-nianze di giovani che avevano avuto occasione di seguire lesue lezioni, e direi che l’elemento costantemente riportato eraproprio la sua capacità di far rimanere vivide nella mentedegli ascoltatori le cose che proponeva loro.

    Queste persone, magari piuttosto vaghe e poco inclini alricordo in generale, ripetevano per filo e per segno quello chelui aveva detto, mostrando anche nella mimica e nella proso-dia la vivacità dell’impronta comunicativa del docente.

    Carloni era infatti un conferenziere eccezionale: parlatoreelegante ma non affettato, autorevole ma sempre capace diguizzi ironici e di fulminei lampi d’intesa anche con le partipiù primitive di ogni ascoltatore, aveva il dono di avvincere,dando però l’idea di non volerne approfittare per una sedut-tività narcisistica fine a se stessa.

    E di ciò il pubblico, che pure lo ammirava e che volentie-ri si abbandonava con piacere al temporaneo incantamento,pareva essere ben conscio, al punto di essergliene istintiva-mente grato.

    Il pubblico gli si affidava proprio perché di lui si fidava.Mi sto riferendo, come il lettore avrà inteso, anche a tutto

    quel settore delle attività «pubbliche» di Carloni che lo vede-va impegnato, al microfono e con interventi sulla stampa loca-le e nazionale, in modo sempre libero, efficace e colorito.

    Carloni accettava volentieri gli inviti a conferenze, dibat-titi, tavole rotonde, interviste, convinto che fosse necessariofar conoscere la psicoanalisi quanto più e quanto meglio sipotesse, essendo ancora troppi i fraintendimenti, le mistifi-cazioni, i timori irrazionali, le imposture e in generale l’i-gnoranza nei confronti di questo straordinario strumentoterapeutico.

    Così, sia che l’invito provenisse dalla Biblioteca comunaledi San Cesario sul Panaro, sia che gli fosse proposto un inter-

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  • vento televisivo, Carloni sosteneva che partecipare era oppor-tuno, purché fosse utile alla psicoanalisi.

    Nei limiti del possibile, aveva cura di mantenere unabuona disponibilità collaborativa anche verso i giornalisti,anche se le loro richieste erano a volte piuttosto inappropria-te e impossibili a soddisfarsi; come esempio di questo, citòuna volta, sorridendo, la domanda postagli telefonicamenteda un frettoloso cronista che, incaricato dal caporedattore disentire il parere dello psicoanalista su un tragico fatto appenaavvenuto, gli chiese: «Professore, il tale stamattina si è butta-to giù dalla Torre degli Asinelli. Perché?!?»

    A parte queste occorrenze «impossibili», che peraltroentravano subito a far parte del suo vastissimo e coloritopatrimonio aneddotico (Zucchini, suo grande amico e colla-boratore, lo definì sulla «Rivista di Psicoanalisi» «conoscitoreimpareggiabile di uomini e di storie»), Carloni non facevaalcuna fatica a rilasciare un’intervista o a scrivere un pezzogiornalistico in forma tale da essere pronto per la stampa cosìcom’era: la sua cultura letteraria era profondamente, direivisceralmente interiorizzata, e si trasfondeva per via naturalein una capacità di espressione di tono «alto», che però avevail raro dono di riuscire immancabilmente chiara per tutti.

    Carloni era un lettore onnivoro e continuo, tanto che parec-chi lo avevano incontrato per strada concentratissimo nellalettura di qualche articolo, mentre procedeva peraltro col suosolito passo svelto; cosa che invariabilmente lasciava l’osser-vatore piuttosto sconcertato.

    La sua cultura era profonda e decisamente ampia, deltutto orientata in senso umanistico. I suoi autori preferitierano Dante, Leopardi, Manzoni e Pirandello.

    Ricordava a memoria buona parte della Divina Commedia,ingaggiando spesso divertenti duelli mnemonici con gli amiciSpadoni e Zucchini, e citandone volentieri alcuni passaggicome appropriate associazioni a situazioni cliniche. ALeopardi lo legava indissolubilmente la conterraneità, oltre algrande amore per la sua poesia geniale e dolente. I Promessisposi, d’altro canto, erano un suo testo base, tanto che ne pos-

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  • sedeva e ne rileggeva periodicamente, da vero appassionato,le diverse stesure, con le varie fasi della «ripulitura» linguisti-ca operata dal Manzoni.

    Il rapporto con l’estetica letteraria di D’Annunzio era, a mioavviso, più complesso, e per certi versi più legato al sapore diun’epoca che non specificamente all’autore, di cui pureapprezzava alcune «immaginifiche» ed eleganti soluzioni poe-tiche. Beninteso: Carloni era un uomo assolutamente disincan-tato, capace di comprensiva ironia verso i miti, il «superomi-smo», le idealizzazioni e gli estetismi che avevano caratterizza-to lo stile e l’epoca del Vate; dal punto di vista culturale, politi-co e sociale il suo orientamento era assolutamente all’opposto,per non parlare poi degli aspetti personologici e relazionali,sostanzialmente tanto perversi in D’Annunzio quanto umani egenerosamente attenti all’altro in Carloni. Eppure, da alcunidettagli, non solo morfologici (come l’uso del «pizzetto», chelo accomunava anche a Italo Balbo e a Luigi Pirandello) bensìletterari, di ordine stilistico, trasparivano tracce di un’antica,infantile ammirazione dei modelli estetici propri dell’epocadannunziana: compresa, secondo me, anche una certa tensioneeroico-avventurosa che era avvertibile in lui, e che immaginoessere stata in sintonia con l’atmosfera di «conquista» così dif-fusa negli anni venti-trenta, atmosfera di cui la trasvolata atlan-tica di Balbo era stata uno degli emblemi popolari.

    Carloni, ad esempio, era un grande viaggiatore, per certiversi un esploratore. Visitò di anno in anno tutti i continenti,compresi Paesi politicamente rischiosi come lo Yemen e laLibia negli anni in cui il turismo era sospeso per ragioni disicurezza.

    Appassionato di arte, storia, fotografia, attento studioso diantropologia (Renzo Canestrari lo definì appropriatamente«uno psicoanalista-antropologo»), era attratto tanto dallo stu-dio delle antiche civiltà quanto dall’osservazione dell’attualitàsociale e culturale dei popoli; al ritorno, i suoi reportage diviaggio erano di notevole interesse, per l’inconsuetudine delsuo modo di osservare.

    In viaggio, la figlia Elena lo ricorda come piuttosto sparta-no nelle abitudini e spericolato: procedeva velocissimo con la

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  • roulotte sulle strade bianche, e nel deserto (dove si insabbiòpiù volte); si tuffava dagli scogli col mare in tempesta con ifigli, puntando verso il largo, e si divertì anche ad attraversa-re un torrente fangoso in piena nell’Africa centrale.

    Forse per un’istintiva valutazione dei rischi, gli andò sem-pre bene.

    Io ho un ricordo personale che mi è caro e che, pur nella suaminima portata, la dice lunga sul suo spirito avventuroso.

    Un paio d’anni prima della sua morte, quando (sapemmopoi) era già gravemente ammalato, e appariva comunque visi-bilmente indebolito sul piano fisico per una precedente ope-razione, ci trovammo in compagnia di vari colleghi a visitareuna casa medievale del nostro Appennino, di proprietà di unmio zio.

    Dalla cantina si dipartiva – cosa non rara in quel tipo dimanieri – una galleria scavata nel tufo che proseguiva poi inprofondità per una sessantina di metri, fino a un pozzo sot-terraneo: una tortuosa via di nascondiglio e di fuga, in caso diinvasione del castello, all’epoca delle eterne battaglie tra guel-fi e ghibellini.

    Alla luce delle candele, tutti sbirciavano con una sensazio-ne mista di attrazione e paura verso l’imbocco dell’antro, equando io, per scherzo, proposi la discesa, tutti si tiraronoindietro; tranne Carloni, che decise che quell’esplorazione sidoveva fare.

    A quel punto cercai di dissuaderlo: il tunnel era così bassoe stretto che lo si sarebbe dovuto percorrere faticosamentestando chini e piegati sulle ginocchia, senza la possibilità digirarsi e di tornare indietro prima della «stanza del pozzo»,che era davvero molto in là.

    Oltretutto, nella mia ultima discesa, che risaliva a parecchianni prima, in compagnia di amici, avevo trovato lungo il per-corso ragni, pipistrelli e perfino un serpente, innocuo ma pursempre di ostacolo in quel luogo; di più, ero preoccupato perle condizioni di Carloni.

    Ma non ci fu verso. Carloni non cedette, e volle a tutti icosti compiere l’impresa.

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  • E così ci inoltrammo, dato che lui, mio primo e apprezza-tissimo supervisore nel training, conservava un’ineliminabileautorevolezza cui non potevo oppormi più di tanto.

    Arrivò fino in fondo, e risalì con uno sforzo davvero allar-mante, data la sua ridotta capacità polmonare: ma era felice,una volta di più aveva sfidato l’ignoto e compiuto la sua occa-sionale impresa; insomma, quella sua segreta, personalissimaparentela caratterologica con gli «eroi» della sua infanzia siera manifestata ancora una volta, a poco tempo dalla sua fine.

    Pirandello, peraltro, faceva in lui da amatissimo contrap-peso a questo lato eroico, con la sua problematicità inquie-tante e articolata; e sul tavolino di fianco alla sua poltrona,nella stanza d’analisi, c’erano quasi sempre le rime di Catullo.

    La carriera psicoanalitica di Carloni fu straordinariamentedensa e «impegnata».

    Divenuto didatta nel 1969, fu tesoriere della SocietàPsicoanalitica Italiana dal 1970 al 1978, anno in cui ne diven-ne vicepresidente.

    Nel 1982 fu eletto presidente della Società, di cui orga-nizzò a Bologna il Congresso Nazionale del 1986 sul «Dolorementale».

    Dal 1990 al 1993 fu di nuovo vicepresidente della SPI, epoi presidente del Centro Psicoanalitico di Bologna.

    Senza citare in dettaglio tutte le sue innumerevoli iniziati-ve istituzionali, voglio ricordare qui la sua ultima «impresa»in ordine di tempo: la creazione in pochi mesi della SezioneVeneto-Emiliana dell’Istituto di Training della SPI, terzo poloformativo in Italia per i giovani psicoanalisti, dopo Roma eMilano.

    Con la consueta decisione, Carloni trascinò letteralmente icolleghi dello storico sodalizio veneto-emiliano, e «compose»la nuova scuola di psicoanalisi, che oggi prospera felicementesia dal lato didattico che da quello scientifico.

    Ma questa è storia recente.In mezzo, ci furono decenni di lavoro e di paziente costru-

    zione del Centro bolognese. Egon Molinari, scomparso nel2003, percepì immediatamente nell’allievo e poi collega

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  • Carloni il potenziale leader del gruppo emiliano e gli accordòfiducia sin dall’inizio, riservandosi in modo discreto il ruolo ele funzioni del genitore che con calma autorevolezza sorvegliala situazione nel suo insieme.

    Molinari era un uomo amabile, riservato, dedito in massi-ma parte al lavoro clinico e formativo, e restio per carattere aricoprire incarichi pubblici, che nel complesso non amava,così come non amava esporsi alle platee: preferiva di granlunga la riflessiva quiete della stanza d’analisi, o semmai ilcalore familiare del primo nucleo psicoanalitico veneto-emi-liano, che riceveva – con l’accogliente collaborazione anchegastronomica della moglie Tullia – nel salotto di casa sua.

    Proprio la radice familiare e culturale mitteleuropea diMolinari favorì certamente l’avvicinamento di GlaucoCarloni all’opera dell’amato pioniere psicoanalitico SándorFerenczi, geniale allievo di Freud, clinico e ricercatore creati-vo e tormentato, di cui i due capiscuola bolognesi curaronoper la Guaraldi una prima edizione italiana degli scritti; enegli anni ottanta e novanta Carloni divenne in Italia unasorta di rappresentante ufficiale del pensiero ferencziano,favorendone la conoscenza e rivalutandone le spesso frainte-se, fertili risorse.

    Formarono dunque per molti anni, Molinari e Carloni,una coppia istituzionale complementare, dai ruoli ben suddi-visi secondo le rispettive caratteristiche, un po’ come accadea volte in quelle piccole ditte di solido impianto in cui duefratelli, o un genitore e un figlio, hanno la fortuna di sapersiben assegnare i compiti e di funzionare in sinergia, stimando-si e potendo contare l’uno sulle capacità dell’altro.

    Il tempo ha concesso loro di godere di molte buone gior-nate comuni di semina, di laboriosa attesa e di buon raccolto,vedendo via via crescere la loro vivace comunità psicoanaliti-ca dal punto di vista sia numerico che scientifico.

    La loro scomparsa a breve distanza l’uno dall’altro (primaCarloni, poi il più anziano Molinari) ha lasciato un gran vuoto,che con molta fatica noi eredi stiamo tentando di colmare unpoco per volta con un impegno gruppale condiviso, ricordan-doci con gratitudine di quanto abbiamo ricevuto da loro.

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  • Molti di noi ritengono che il contributo scientifico di Carloniin campo strettamente psicoanalitico abbia raggiunto i suoivertici perlomeno in tre occasioni: quando Carloni si è dedi-cato allo studio dell’assetto stilistico e relazionale dell’anali-sta, come nel notissimo Tatto, contatto e tattica (1984), in cuiè massima l’attenzione alla costruzione dell’area interpsichicapiù adatta a favorire il lavoro psicoanalitico del paziente,tenendo conto dei bisogni delle sue parti più fragili; quandoha rivolto un’approfondita attenzione ai rapporti intercorren-ti tra la nostalgia, il lutto, le difese maniacali restaurative equelle depressive sane della riparazione; e quando si è dedi-cato a una rigorosa descrizione dei progressivi momenti dicrescita, veri e propri passaggi evolutivi naturali, dell’identitàdello psicoanalista (Identità personale e professionale dello psi-coanalista, pubblicato sulla «Rivista di Psicoanalisi» nel 1981e non incluso in questa raccolta per il suo carattere di scrittoistituzionale iper-specialistico), con un’acutezza e una chia-rezza concettuale tali da risultare tuttora insuperate nello spe-cifico, a più di vent’anni di distanza.

    Ho avuto la fortuna di avere Carloni come supervisore delmio primo caso di analisi per il training psicoanalitico, pro-babilmente in uno dei suoi periodi scientificamente piùfecondi, quando si accingeva ad accedere alla presidenzadella Società Psicoanalitica Italiana, e disponeva di grandienergie e di una particolare felicità creativa anche nel lavoroclinico. A quel tempo, era in contatto con molte figure emi-nenti della psicoanalisi internazionale, che spesso invitava aBologna per seminari e conferenze; passarono così per ilCentro bolognese Mme Spira, Arnaldo Rascovsky, BélaGrunberger, Meltzer, Brenman, Etchegoyen, Grinberg,Janine Chasseguet-Smirgel, Berenstein e molti altri, in un’at-mosfera stimolante di apertura al nuovo.

    Nella tranquilla dimensione della supervisione, Carloni midiede più volte un esempio dal vivo di come un grande anali-sta sa passare dall’insieme della narrazione al dettaglio signifi-cativo, dalla percezione dei «colori» emotivi riportati dalpaziente all’evidenziazione dell’assetto interno dell’analista allavoro, e soprattutto mi aiutò moltissimo ad acquisire una pro-

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  • gressiva consapevolezza delle condizioni favorevoli o sfavore-voli in cui l’incontro tra due persone inizialmente spaventate(o perlomeno piuttosto preoccupate…) può aprirsi a nuovisviluppi mentali, oppure arenarsi per chiusura del campo.

    Mi colpì, di lui, l’uso naturale di un linguaggio comune– utilizzato però con profonda pertinenza – nel tradurre inmodo umano e comprensibile ciò che io, da neofita, mi arra-battavo a voler trasfondere in un improbabile psicanalese,che finii così per abbandonare piuttosto presto.

    «Traduceva» e interpretava con una fluidità che era fruttodi un buon accordo interno tra il preconscio e il linguaggio.

    Mi accorsi però che le teorie e i concetti li conosceva ecco-me, e di tanto in tanto si concedeva qualche fine distinzionerelativa alle differenze tra concetti adiacenti o qualche rapidocollegamento con autori secondari all’epoca a me sconosciu-ti; ma quello che in realtà gli interessava principalmente eravedere cosa stava succedendo, seduta dopo seduta, nella cop-pia psicoanalitica al lavoro, e in quel senso la sua sensibilità ela sua intelligenza delle cose erano notevolissime.

    Tant’è vero che di tutte le immagini che di lui ho breve-mente rievocato in questo modesto e veloce ritratto «adacquerello», è quella del didatta psicoanalitico, meno nota eappariscente rispetto a quelle in qualche modo connesse alsuo ruolo pubblico, che nel mio mondo interno gode di mag-gior rilievo e che secondo me più gli rende giustizia, per comeera e per quel che consentiva agli altri di diventare.

    Meglio di me, che lo ebbi come supervisore, potrebberocertamente affermarlo i suoi pazienti e i suoi allievi diretti.

    Credo però che anche il lettore che entrerà nelle pagineche seguono potrà sperimentare, dopo poche battute, il sensodella convivenza mentale con un grande psicoanalista chenella vita ha amato prima di tutto curare ferite e dolori delmondo interno, anche se la varietà del mondo tutto lo hacomplessivamente affascinato, dagli Appennini alle Ande, eoltre ancora.

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  • PSICOANALISI E PSICHIATRIA

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  • IL CORAGGIO PER DIRLOdi Magda C. Mantovani

    Dell’interesse entusiasta e continuo di Glauco Carloni nelcampo della psichiatria non è facile parlare, se non ricordan-dolo all’opera, nel concreto, con i pazienti psichiatrici e conl’investimento istituzionale che non ha mai abbandonato,anche quando nel 1980 cessò, non senza proteste vibrate esacrosante denunce, il suo lavoro nell’istituzione medesimaper dedicarsi all’insegnamento universitario.

    Nei quasi trent’anni di attività psichiatrica ha dato il suocontributo fondamentale affinché l’istituzione di cui facevaparte divenisse, da luogo di custodia o poco più, un luogo dicura dei pazienti gravi che ne erano gli ospiti, ancorché invo-lontari, e talora ribelli all’ospitalità in modo, spesso soloapparentemente, irriducibile.

    A partire dagli anni sessanta i suoi sforzi e la sua attivitàfurono diretti anche alla «cura» dei suoi collaboratori, medi-ci e paramedici, consentendo loro di aprirsi a una disciplinafino ad allora non molto conosciuta in Italia (si pensi che latraduzione ufficiale in lingua italiana delle opere di SigmundFreud comparve tra il 1966 e il 1980) se non per qualchepubblicazione ancora frammentaria e, soprattutto, per ladivulgazione dei suoi principî nel Trattato di psicoanalisi diCesare Musatti (1950).

    Il fermento era nell’aria. In Italia Edoardo Weiss, CesareMusatti, Egon Molinari, Emilio Servadio, Giorgio Sacerdotie qualche altro già esercitavano la loro arte, ma erano pochie sparuti antesignani, sopravvissuti all’oscuramento politicodi cui la Società Psicoanalitica Italiana era stata vittimadurante il regime fascista.

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