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Tre interviste a testimoni diretti della presenza italiana in Libia realizzate dalla classe III B della scuola secondaria Marconi di Ceggia
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SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “GUGLIELMO MARCONI”
CEGGIA
Italia Draghicchio
Rino Boraso
Elena Rado
La mia vita in Libia 1893 - 1970
Classe Terza B
Anno scolastico 2012-2013
1
Introduzione
Presentiamo in questo lavoro le interviste a tre testimoni diretti della presenza
italiana in Libia:
- i coniugi Italia Draghicchio e Rino Boraso, nati entrambi in Libia da famiglie di
origine istriana e veneta;
- Elena Breda, nipote di Luigi Rado, partito da Ceggia con la famiglia nell’ottobre
del 1938 per il villaggio di Breveglieri ( oggi Al Khadra’, nei pressi Tarhuna) in
Libia.
Le loro radici e le loro vite sono intrecciate alla storia del nostro paese, Ceggia, e al
movimento migratorio verso il nord Africa che ha coinvolto moltissime famiglie italiane
nella prima metà del Novecento.
Le esperienze qui riportate ripercorrono un arco di tempo che va dagli inizi degli anni
Venti, quando venne avviata la colonizzazione della Libia, al 1970, quando gli italiani
dovettero forzatamente rimpatriare per volontà del governo di Gheddafi. Dai racconti
dei testimoni emerge anche il grande esodo del 1938, anno nel quale partirono, dalla
sola provincia di Venezia, 210 famiglie dirette ai villaggi della Tripolitania.
Questa ricerca costituisce un approfondimento di quanto già indagato nell'anno
scolastico 2011-2012 dalla precedente Classe 3^B, relativamente alla partecipazione di
28 giovani ciliensi alla guerra per la conquista della Libia del 1911-12. Inoltre dà conto di
una delle attività effettuate dall'attuale classe 3^B sul complesso tema dell'emigrazione,
in particolare quella dal Veneto Orientale nel Novecento.
In appendice: copia del fascicolo Il centro agricolo “Breveglieri” (Libia occidentale), edito
nel 1940 dall’Ente per la colonizzazione della Libia.
Annalisa Guiotto Docente di Lettere Classi 3^B a.s. 2011-2012 e 2012-2013
2
LA LIBIA NEL NOVECENTO
CRONOLOGIA
- 1911 – 1951: GUERRA ITALIA-LIBIA, COLONIZZAZIONE ITALIANA E SECONDA GUERRA MONDIALE
- 1951 - 1969: INDIPENDENZA E REGNO DI LIBIA
- 1969 - 2011: IL REGIME DI GHEDDAFI
- 2011 : GUERRA CIVILE
Tappe principali della colonizzazione italiana della Libia
(Intervento del prof. Daniele Ceschin al Convegno “Libia ieri e oggi” ( Centro di Documentazione “A.
Mori” - San Donà di Piave 24.11.2012)
La colonizzazione della Libia
Immediatamente dopo la conquista della Libia vengono organizzate tre importanti missioni tecniche
per esaminare le possibilità agricole della Tripolitania.
I rapporti sono cauti sulla possibilità di aprire la colonizzazione agli speculatori stranieri.
Viene suggerito l’affitto ai coloni italiani. Nel 1914 inizia ad essere attuato su piccola scala un piano di
colonizzazione nei pressi di Tripoli, poi subito interrotto dallo scoppio della Grande Guerra. Un totale di
40 lotti, per una superficie di circa 1.250 ettari.
La colonizzazione della Tripolitania ad opera di Giuseppe Volpi.
Nel 1922 inizia il primo vero piano organico di colonizzazione demografica della Tripolitania.
Viene creato un demanio pubblico incamerando tutte le terre incolte e confiscando le terre ai “Ribelli”.
In questo modo il demanio pubblico ammonta a circa 68000 ettari, una superficie quasi 20 volte
superiore a quella accatastata nei dieci anni precedenti.
La colonizzazione della Tripolitania
Il progetto di Volpi è basato sul modello francese in Tunisia, caratterizzato dall’intervento di capitali
privati. Terra a buon mercato concessa dallo Stato per essere valorizzata e poi frazionata in piccole
aziende unifamiliari. L’agricoltura è quindi controllata da grandi concessioni la cui dimensione media
raggiunge gli 86 ettari. Siamo ancora lontani dalla creazione della piccola proprietà per contadini senza
terra.
3
La colonizzazione della Libia. Il piano Balbo
La vera svolta avviene con il governatore Italo Balbo (1934/1940).
Vengono potenziati gli strumenti istituzionali esistenti, favorita la lottizzazione dei terreni da parte di
compagnie colonizzatrici, concesse terre gratuitamente e sostenute da un contributo del governo pari
al 30% dei costi. Con un piano del 1938, l’obiettivo è portare, a un ritmo di 20.000 persone l’anno, la
popolazione agricola italiana nella colonia a 500.000 unità entro l’inizio degli anni ’50.
La colonizzazione della Libia. Le premesse per il piano di trasferimento.
Vengono ampliati sette villaggi già esistenti.
Vengono creati quattro villaggi nuovi, due nei pressi di Tripoli e due nei pressi di Misurata, oltre a
quattro centri rurali, tre vicino a Bengasi e uno vicino a Derna.
Complessivamente i poderi sono 1.091. Nell’ottobre del 1938 avviene il primo grande trasferimento di
coloni: 1775 famiglie, 14.600 persone. Il Veneto fornisce il 57% dei coloni.
Il 1938 è un punto di svolta della colonizzazione demografica della Libia: in un solo anno arrivano un
numero di famiglie pari a quello degli 8 anni precedenti.
La seconda ondata del 1939.
All’inizio del 1939 la Libia diventa a tutti gli effetti una “Regione italiana” con le quattro province di
Tripoli, Misurata, Bengasi e Derna. Arrivano 1.358 famiglie, circa 12.000 coloni.
L’origine regionale non muta: i veneti sono il 62%, seguiti da siciliani e abruzzesi. Le richieste nel 1939,
data la mancanza di lavoro, sono circa 40.000: la maggior parte non possono essere neanche
esaminate. I criteri di selezione, in questa fase, sono meno rigidi. A volte sono dettati dall’affidabilità
politica, ma spesso è vero anche il contrario.
La colonizzazione della Libia. L’epilogo
Nel triennio successivo sono previsti nuovi trasferimenti e la
costituzione di 1.830 nuovi poderi.
Lo scoppio della guerra interrompe il piano di colonizzazione. La
Cirenaica diventa teatro di guerra e la popolazione colonica viene
evacuata (circa 30.000 persone).
Meno colpita la Tripolitania che all’inizio della guerra contava circa
40.000 persone tra coloni e concessionari e nel 1945 appena 15.000.
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1. ITALIA DRAGHICCHIO (Bengasi 1941)
Intervista del 20 marzo 2013
LE ORIGINI
Sono nata a Bengasi, in Libia, nel 1941.
I miei genitori sono nativi tutti e due di
Parenzo, in Istria.
Mio padre, Francesco Draghicchio, era
nato a Parenzo nel 1893. All’epoca
l’Istria, abitata da molti italiani,
apparteneva all’Austria. Mio padre
Francesco si era diplomato all’Istituto
Agrario di Parenzo, e lì in un primo
momento aveva anche lavorato. Nella
prima Guerra Mondiale aveva
combattuto quindi con l’esercito
austroungarico sulle montagne del
Carso. Finita la prima guerra mondiale,
l’Istria venne assegnata all’Italia.
Quando il movimento del fascismo ha cominciato a prendere piede, e dal socialismo è
diventato fascismo, lui era un uomo adulto, non ha voluto più stare lì e ha deciso di
emigrare in Cirenaica, se non sbaglio verso il 1928-30... E’ un po’ difficile ricordare con
precisione. Il governo di allora favoriva l’emigrazione in Libia. Una volta stabilitosi lì, con
un amico ha avviato una bella azienda agricola in società.
Prima del 1934 mio padre è stato raggiunto lì dai fratelli e dai genitori, e anche dalla
fidanzata Olimpia, che poi è diventata mia madre; si sono sposati e lì sono rimasti. La
mia prima sorella è nata nel 1934. Io sono nata nel 1941.
1. Francesco Draghicchio in divisa
dell'esercito austroungarico, 1914-1918
5
IL NOME
I miei genitori, anche se in Libia stavano bene, avevano sempre l’Italia nel cuore:
quando sono nata eravamo tre gemelle. Io sono stata chiamata Italia, alle mie sorelle,
che però non sono sopravvissute, diedero il nome di Romana e Vittoria, diceva mia
madre che i nomi li aveva suggeriti un ufficiale amico dei miei genitori.
2. La madre Olimpia con la prima figlia 3. Italia con, da sinistra, i fratelli Gioacchino, ( sul retro “febbraio 1936) . Giuseppina e Gregorio.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Non avevo ancora nove mesi, visto che era scoppiata la guerra, e gli Inglesi cercavano
di prendere il territorio libico che era una colonia italiana, ed eravamo in pericolo, con
mia mamma, che aveva già quattro figli, siamo andati profughi a Parenzo, nell’Istria per
essere precisi, dai parenti. Quando poi Parenzo venne assegnato alla Jugoslavia, siamo
venuti via e siamo andati nel campo profughi di Modena. Lì siamo stati un anno, non
ricordo di preciso, poi ci hanno trasferito nelle Marche, a Servigliano, vicino a Fermo. Lì
siamo rimasti circa tre anni. Mi ricordo che c’erano tanti bambini; a Fermo abitavano
due sorelle di mio padre, andavamo spesso a trovarle.
6
4. All'asilo di Modena , seconda da sx 5. Prima Comunione, Servigliano.
IL RIENTRO IN LIBIA
Finalmente, dopo tanti tentativi di mio padre, nel 1949, siamo tornati in Libia, a
Tripoli, dove lui nel frattempo si era stabilito: a causa della guerra aveva dovuto
abbandonare la sua azienda di Bengasi.
6. Con un'amica nella casa di Tripoli.
A Tripoli avevamo una casa italiana, bella, ma lì siamo stati poco; poi ci siamo trasferiti
in una casa fatta all’araba, bassa, col cortile interno e le stanze che vi si affacciavano, il
tetto piatto. Non era una bella casa, come in tante altre c’erano scarafaggi, mia madre
ne aveva il terrore e anch’io; spendemmo tantissimo in taniche di benzina che mia
madre svuotava nel vecchio pozzo infestato dagli scarafaggi per bruciarli. Poi ci siamo
trasferiti in una casa più bella.
7
7. Con familiari e amici nella casa di Tripoli.
PAESAGGI DI LIBIA
I luoghi intorno a Tripoli erano molto belli, tantissimi alberi da frutto, moltissimi erano
gli aranci, ricordo molto bene il mare, trascorrevamo molto tempo all’aperto. La sabbia
era finissima, e bollente… l’acqua trasparente.
LA SCUOLA
Ho fatto le elementari, la prima e la seconda nel Centro Raccolta Profughi di
Servigliano; poi dal 1949 gli altri tre anni a Tripoli , ho finito la quinta nel 1952 nella
Scuola Elementare di Porta Gargaresc sezione Croce Rossa; poi a Tripoli ho fatto tre anni
della Scuola professionale, corrisponderebbero alla terza media.
8. Pagella classe prima elementare
9. Con le compagne della scuola professionale, Tripoli
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A scuola si studiava italiano e arabo, era bellissima la scrittura araba, difficile ma bella.
Io ho imparato un po’ l’arabo egiziano, quello che si studiava a scuola, ma non il
dialetto locale, che era più usato. Ho studiato di più l’inglese, visto che per un periodo
ho lavorato nella base americana vicino a Tripoli.
Nelle banche, negli uffici postali, e in altri uffici moltissimi erano gli impiegati italiani, e
dunque dappertutto si parlava italiano.
LE AMICIZIE, IL TEMPO LIBERO, LA GIOVINEZZA
Avevo tante amiche, e in gruppi misti con fratelli, sorelle, amici, ci siamo molto
divertiti. Chiaccheravamo tanto, si facevano piccole gite, anche nelle campagne…, così
ho conosciuto quello che sarebbe diventato poi mio marito, Rino Boraso.
Negli anni ’50 il lungomare di Tripoli era affollatissimo, A sud, nell’entroterra, c’erano
i villaggi agricoli degli italiani, con campagne molto ben curate, tantissimi ortaggi,
patate, uliveti soprattutto, e molti vigneti.
Chi viveva lì era felice di starci, molti erano veneti, vivevano mantenendo le tradizioni
familiari, erano molto affiatati. Presso gli italiani lavoravano anche molti libici, e
andavano d’accordo. Gli italiani erano molto bravi nell’agricoltura e hanno insegnato
molto ai libici. Noi giovani di Tripoli il sabato o la domenica facevamo delle gite, anche in
queste campagne…
10. Italia con la sorella Giuseppina a Sabratha. 11. Con gli amici durante un'escursione.
9
I RAPPORTI CON L’ITALIA
Ricordo che c’era una fitta corrispondenza con le sorelle di mio padre che vivevano a
Vicenza e a Fermo, nelle Marche. Mia madre, che nel frattempo era rimasta vedova con
quattro figli, scriveva molto spesso a sua madre, mia nonna, che da Parenzo era andata
profuga a Grado: non aveva voluto rimanere sotto la Jugoslavia, e sentiva molto la
mancanza della figlia e dei nipoti lontani.
I RAPPORTI CON I LIBICI
In famiglia frequentavamo soprattutto italiani, ma anche libici, visto che mio fratello
giocava a calcio in una squadra locale, nella sua squadra c’erano italiani e arabi, e quindi
erano nate belle amicizie. I negozi che frequentavamo erano gestiti da libici e i rapporti
erano molto buoni. Loro parlavano arabo, ma anche italiano, noi italiano, e anche
arabo.
IL RIENTRO DEFINITIVO IN ITALIA
Dopo esserci sposati io e mio marito, nato anche lui in
Libia ma originario di Treviso, abbiamo pensato di tornare
a vivere in Italia, di stabilirci qui e, presi accordi con i
parenti di mio marito che erano rimasti a Treviso, siamo
rimpatriati nel 1964, io allora avevo 23 anni. Siamo stati
accolti molto bene, prima siamo stati ospitati dai parenti
di mio marito che poi, con un suo cugino, nel 1966 ha
avviato la pasticceria centrale qui a Ceggia. Ci siamo
trasferiti qui, e abbiamo gestito la pasticceria “Centrale”
per 35 anni, fino al 2001.
12. Italia e Rino
RAPPORTI CON LA TERRA D’ORIGINE
Dopo il nostro rientro in Italia, è stato difficile mantenere rapporti con i nostri amici in
Libia, e dal 1969, quando tutti gli italiani sono stati cacciati, impossibile. Tutti i miei
familiari hanno dovuto abbandonare ogni cosa, e rifarsi una vita in Italia. E’ stato molto
doloroso.
Noi, italiani emigrati e nati in Libia, cerchiamo di mantenere i rapporti fra noi,
condividiamo i nostri ricordi attraverso un’associazione, l’AIRLI, e una rivista come
l’OASI, che periodicamente organizzano raduni per rimpatriati dalla Libia. Dopo il 1969 i
10
rapporti fra Italia e Libia non sono stati facili, neppure tornarci per un viaggio è stato
semplice. Ora poi…
Ma ho una grande nostalgia di Tripoli, di quei luoghi così belli, dove ho vissuto una
giovinezza spensierata.
Ora finalmente è finita una brutta dittatura, gli italiani che lì avevano migliorato
l’economia, e certamente l’agricoltura, hanno perso tutto. Certo, Gheddafi non avrebbe
dovuto essere ucciso in quel modo, ma la rivolta è stata terribile. Oggi vedo i TG, leggo
le notizie, la situazione non mi sembra buona.
L’ESPERIENZA DI EMIGRAZIONE MIA E DELLA MIA FAMIGLIA
I miei genitori hanno certamente vissuto esperienze importanti, ma anche dolorose:
vivere da solo in Libia, durante la guerra, e non vedere la moglie e i figli che erano
profughi in Italia per otto anni non deve essere stato facile per mio padre!
Io mi sono sempre sentita italiana, anche quando ero in Libia, ma sento che anche la
Libia è il mio paese, lì ho vissuto la mia giovinezza.
Vivere, come ho fatto io, in molti luoghi, e vivere esperienze di emigrazione, credo
aiuti ad essere accoglienti e comprensivi, anche delle difficoltà degli altri.
13. Due vedute del centro storico di Tripoli.
Intervista di Ludovica Basso, Luca Cusin, Luca Fornasier, Jan Licciardello.
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2. RINO BORASO ( Tripoli 1934)
Intervista del 27 marzo 2013
LE MIE ORIGINI
Sono nato a Tripoli di Libia, preciso “di Libia” perché anche in Libano c'è una città che
si chiama Tripoli, il 14 ottobre 1934. Nessuno mi dà gli anni che dovrei avere (79), e
neppure io a dire il vero, è probabile che io sia più giovane di qualche anno! Io penso
che ci siano stati degli errori al momento della trascrizione in italiano di atti scritti in
arabo. Anche molti amici dicono che si sia trattato di un errore. So che sono andato via
da Tripoli quando avevo 5 anni ed era cominciata la guerra. Allora ero già orfano di
mamma.
LA FAMIGLIA DI ORIGINE
I miei genitori si trovavano lì perché nel 1922-23, quando
i coloni italiani sono andati a colonizzare la Libia, sono
partiti anche i miei nonni Fioravante e Luigia Pasin, con
cinque figli, tre maschi e due femmine, il più vecchio di
loro era mio padre, che aveva 12 anni. I nonni erano di
Oderzo, poi trasferitisi a San Biagio di Callalta, mia madre
di Monastier. Diceva mio padre che erano partiti perché
qui c’erano molte difficoltà nell’avere un lavoro, erano
una famiglia di contadini, e allora quando uscì la legge
che si poteva andare in Libia a lavorare la terra, la
famiglia di mio nonno è stata una delle prime a partire.
Arrivati lì hanno già trovata assegnata ad ogni famiglia
una casetta, un pezzetto di terra, una piccola stalla… Il
villaggio era a sei chilometri a sud di Tripoli, lì lo chiamavano “Collina Verde”. Come
dicevo, una volta lì, mio nonno Fioravante Boraso – lo chiamavano Fiorigi – e mia nonna
Luigia Pasin hanno trovato la casa e la terra assegnate.
Lì poi mio padre conoscerà la sua fidanzata, Gemma Tommasella, anche lei figlia di
emigrati provenienti da Monastier, che viveva a tre chilometri dal villaggio di mio padre.
Mio padre poi, crescendo, ha avviato un’impresa di muratori, mentre i nonni
continuavano a coltivare i campi.
1. Sul cavallino (foto Bragon Tripoli)
12
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Quando è cominciata la guerra, mio padre, pensando che lì ci fossero più pericoli - i
Francesi attaccavano la Libia dalla Tunisia, gli Inglesi dall’Egitto - a cinque anni mi ha
mandato in Italia insieme alla nonna. Siamo stati ospitati da una sorella di mio padre, a
Treviso, precisamente a Santa Maria della Rovere. Lì ho fatto la scuola elementare, un
po’ fuori Treviso, a Santa Maria della Rovere, ci sono rimasto fino a dodici anni, fino al
1946.
2. Prima Comunione, Treviso. 3. Pagella classe IV elementare, Treviso
I bambini che non avevano parenti, o nessuno che li potesse ospitare, andavano nelle
colonie, erano in fondo campi profughi, chi ci stava era dovuto fuggire dalla Libia.
7 APRILE 1944, IL BOMBARDAMENTO DI TREVISO
Del periodo della guerra ricordo la scuola: da Santa Maria della Rovere a Treviso
andavamo a piedi, quattro chilometri all’andata e quattro al ritorno.
Ricordo bene quel giorno del bombardamento di Treviso, noi abitavamo ,come ho
detto, fuori Treviso. Tutti scappavano cercando di allontanarsi dal centro. Ricordo bene
13
gli aerei che arrivavano, le bombe che scendevano. Con i miei zii anche noi siamo fuggiti
in campagna, da una famiglia di contadini nostri conoscenti. Mi ricordo che lì, dentro la
stalla dei vicini c’era un carro, nei giorni seguenti la notte venivamo caricati su questo
carro e portati in aperta campagna, lì si cercava di dormire.
IL RITORNO IN LIBIA, LA SCUOLA
Quando ero a Treviso e frequentavo la scuola elementare avevo tanti amici; finita la
guerra io e la nonna siamo ritornati in Libia, la nostra famiglia era lì.
Durante la guerra mio padre non aveva combattuto, era il figlio più grande, così era
rimasto in famiglia a lavorare. Raccontava che lì la situazione era molto brutta, la Libia
era stretta fra i Francesi dalla Tunisia e gli Inglesi dall’Egitto, fino a che è stata
conquistata.
Quando sono tornato lì ho continuato la scuola, fino a 15-16 anni, fino al terzo anno
dell’Istituto Tecnico per geometri, era una scuola dello Stato, molti andavano dai Fratelli
Cristiani, anche mia moglie. Era un istituto molto grande, eravamo misti, con noi c’erano
anche degli ebrei, degli arabi, loro parlavano bene l’italiano e noi imparavamo l’arabo.
Non c’era quell’odio fra noi italiani, che eravamo gli occupanti praticamente, e loro; si
cresceva insieme, eravamo amici. Il re Idris era una brava persona, cercava di
mantenere la pace: c’era molta fratellanza fra noi e loro. L’Istituto Tecnico era a Tripoli,
avevamo i professori che venivano dall’Italia, anche per fare gli esami di maturità.
IL LAVORO IN LIBIA
Io al terzo anno non ho più voluto continuare, allora mio padre – che aveva
un’impresa edile – mi ha detto: “Vieni a lavorare con noi”, così ho cominciato a
lavorare. Ricordo che nel settore delle costruzioni si facevano case nuove, abbiamo
lavorato in tanti cantieri, ricordo i lavori di restauro dell’ospedale di Tripoli.
IL TEMPO LIBERO: AMICI E CICLISMO
Eravamo tanti amici, compagnie con fratelli, sorelle, e altri, anche libici, i compagni di
scuola. Andavamo a vedere le partite di calcio, al cinema, c’erano cinque cinema a
Tripoli: l’Alahambra, l’Odeon…
Con questi ultimi ci si frequentava perché andavamo a scuola, ma le feste, i festini a
casa erano fra italiani.
14
Quando si poteva ci si incontrava alla sera, alla domenica facevamo delle festicciole in
una famiglia o nell’altra. Lì il tempo era sempre bello, non pioveva mai, forse un po’ a
gennaio; quando faceva freddo, la temperatura minima arrivava a 12°.
Quando facevo la scuola superiore ho cominciato a pratica uno sport che mi piaceva
molto: il ciclismo. Ho conservato alcune pagine di quotidiani dell’epoca che parlano
anche delle mie “imprese” sportive, il giro della Tripolitania del 1959… E quest’album
con foto di molte gare, e anche immagini di Fausto Coppi (mostra foto e giornali) ; alle
gare partecipavano italiani e arabi. Alle premiazioni partecipavano sempre le autorità
libiche.
10. Gare ciclistiche e premiazioni.
Io andavo abbastanza bene,…. Ci avevano squalificati, non ci avevano voluto far
correre, abbiamo dato forfait, questi giornali sono del ’59, pensa un po’. Ero capitano
della squadra del Centro Sportivo Tripolino. Qui c’è la premiazione con il Presidente del
corrispettivo del CONI ciclistico della Libia. In quest’album ho anche una foto con la mia
famiglia: ci sono io, mio padre, mio zio, la seconda moglie di mio padre, ho detto prima
che mia madre era morta.
10. Durante una gara (10. 1953) 11. Un ritaglio del "Corriere di Tripoli", 9.12.1959
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LEPTIS MAGNA
Ho visitato Leptis Magna, le rovine di questa grande città del tempo dei Romani, il
Foro. I ruderi erano tutti coperti di sabbia, il nostro Governo li scavò e il luogo divenne
un centro archeologico meraviglioso. Leptis Magna si trova a dieci chilometri da Homs,
sul mare, tutte queste città erano sul mare, a anche Misurata. Poi verso la Tunisia c’era
Sabratha, un’altra zona archeologica.
13. Negli scavi archeologici di Leptis Magna.
Verso l’interno della Libia, a 50-60 chilometri non c’era più nulla, c’erano i villaggi
italiani, uno si chiamava Crispi, uno Garibaldi, poi c’era il deserto, lì io non ci sono stato.
Il fratello di mia moglie andava nel deserto, andavano a cacciare le gazzelle nella zona di
confine fra le terre coltivate e il deserto. Lì erano stati piantati molti alberi dagli italiani,
erano state fatte strade. In quelle zone venivano molto usati come mezzi di trasporto i
dromedari. Io ho conosciuto bene l’area costiera, fino a Misurata.
RAPPORTI CON L’ITALIA
Quando vivevamo in Libia, eravamo sempre in contatto con i parenti in Italia: qui a
Treviso erano rimasti i fratelli di mio padre, quelli di mia madre erano emigrati e si
erano stabiliti a Latina. Io mia madre non l’ho conosciuta, avevo cinque anni e lei è
morta. Si è ammalata in Libia di broncopolmonite, è tornata in Italia, poi è morta. La
broncopolmonite non era curabile come adesso, lei è morta molto giovane, mio padre
non mi ha mai detto quanti anni avesse, venticinque forse… Ascoltavamo sempre le
12. In gita fuori Tripoli.
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notizie dell’Italia alla radio, a dire il vero sentivo nostalgia degli amici che avevo lasciato
a Treviso, quelli della scuola elementare, che ho ritrovato poi quando siamo tornati.
IL RIENTRO IN ITALIA
Sono tornato in Italia, a Treviso, dopo il matrimonio, nel 1964.
Con mio cugino pasticcere abbiamo avviato una pasticceria a Ceggia, ho imparato
anch’io il mestiere, ci siamo stabiliti qui a Ceggia, dove con mia moglie Italia abbiamo
gestito la pasticceria “Centrale” per 35 anni.
Mio padre invece è stato espulso dalla Libia nel
1969, quando poi gli italiani sono stati mandati via
da Gheddafi. Come ho detto prima, i rapporti fra i
lavoratori italiani e libici erano buoni, non ci sono
state violenze contro gli italiani. Molti degli operai
che lavoravano con mio padre nell’impresa di
costruzioni, quando lui dovette andarsene, si sono
messi a piangere: erano cresciuti con lui, avevano
cominciato a lavorare con lui a 15-16 anni, c’era un
uomo di 50 anni che piangeva, fu molto doloroso e
commovente.
Insieme con gli italiani molti imparavano un
mestiere: molti sono diventati bravi meccanici,
panettieri, avevano imparato da noi. Della mia vita in
Libia mi rimangono molti ricordi , e anche la lingua:
quando oggi incontro gli immigrati che parlano l'
arabo, qui in Italia, riesco a fare semplici domande senza difficoltà, e a conversare un
po' con loro.
Intervista di Luca Cusin, Tommaso Zago, Giacomo Borgolotto, Greta Moro, Matteo Pavanetto, Enrico
Bragato.
14. Il giorno del matrimonio. Tripoli, 19.5.1962.
17
CARTA DEI LUOGHI citati nelle interviste di Italia Draghicchio e Rino Boraso
1. Parenzo
2. Bengasi (Cirenaica)
3. Modena
4. Servigliano
5. Tripoli (Tripolitania)
6. Treviso
7. Ceggia
18
3. ELENA RADO (TRIPOLI 1948)
Intervista del 23 marzo 2013
LE MIE ORIGINI
Sono nata a Tripoli città nel 1948. Mio padre, Bruno Breda e mia madre Angelina
Rado, originaria di Ceggia, si erano conosciuti a Breveglieri, dove erano emigrati con le
famiglie nel 1938 per abitare nei poderi che lo Stato aveva assegnato.
I miei nonni, Maria Bergamo e Luigi Rado, avevano avuto dieci figli, uno era morto.
Mia madre mi diceva che erano stati costretti ad andarsene per sfamare i figli; nell’
ottobre del ’38, con altre sette famiglie di Ceggia, partirono per la Libia con tre figli
maschi, Attilio, Luigi e Fortunato, e tre femmine, Flavia e Antonietta, che adesso vivono
ad Aprilia, e Angelina, mia madre.
1. Famiglia Luigi Rado. Da sinistra in piedi i figli Attilio, Adele, Luigia, Antonietta, Luigi, Flavia, Olga, Fortunato, Angelina; seduti i genitori Maria Bergamo e Luigi Rado con la bisnonna. ( Ceggia, mese di settembre 1938, prima della partenza per la Tripolitania)
[...] Noi di Ceggia salimmo sul piroscafo
Toscana, dove trovammo altri con il numero
dello stesso villaggio con cui facemmo subito
amicizia. Il vecchio Rado aveva portato con
sé "el schiral" per pescare, altri una rete da
pesca.[...] (M. Manzatto, p.100)
19
Il nonno diceva che era stato il governo italiano in quel momento ad emigrare, perché
qui in Italia c’era fame, c’era miseria e perciò, avendo conquistato la Libia, cercò di
mandare in Libia tanti contadini per sfamarli. Mia madre raccontava che il nonno non
decise di partire, lui fu quasi obbligato ad andare, così lei diceva, io non ho ricordi di lui,
ero troppo piccola quando il nonno Luigi rientrò in Italia.
Mia madre, nel 1948, aveva due sorelle sposate a Tripoli, ha raggiunto la città in
pullman qualche giorno prima del parto, così io sono nata lì. A Tripoli c’era l’ospedale
grande. Dal nostro villaggio, Breveglieri sono 110 km... Allora si nasceva anche in casa,
mia mamma aveva avuto la fortuna di poter andare a Tripoli; al villaggio, al momento
del bisogno c’era l’ostetrica, il dottore non sempre c’era... Uno dei miei fratelli, il più
piccolo è nato a casa, a Breveglieri.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Allo scoppio della guerra i miei zii Fortunato, Luigi e Attilio – erano tutti sui vent’anni -
vennero arruolati e, poco dopo, furono fatti prigionieri: zio Fortunato in Egitto e zio Luigi
vicino a Bengasi, prigionieri degli Inglesi, furono mandati in un campo di
concentramento in Inghilterra. Attilio, invece, catturato dagli Americani, anche lui vicino
a Bengasi, viene trattenuto in Libia come autista di camion. Tutti e tre rientrarono a
vivere a Ceggia, fra il 1946 e il 1947. Durante la guerra, mia madre e sua sorella Flavia,
che erano le più giovani, trascorsero un periodo nelle colonie per i profughi di Rimini e
Gubbio.
IL RIENTRO DEL NONNO LUIGI RADO IN ITALIA
Nel 1950 il nonno Luigi rientrò a Ceggia, dove erano tornati i figli maschi. Io avevo due
anni quando il nonno partì, la mamma mi raccontava sempre che il nonno diceva: “Ti
metto dentro una borsa di paglia e ti porto in Italia con me”.
Mia madre Angelina a Breveglieri aveva conosciuto il suo futuro marito, mio padre
Bruno Breda.
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2. Mio padre Bruno Breda al lavoro nei campi.
Quando mio nonno Luigi Rado rientrò in Italia lasciò alla mia famiglia il podere di
Breveglieri segnato col n. 146, dove ho sempre abitato per tutto il periodo della mia vita
in Libia.
LA CASA A BREVEGLIERI
I miei genitori, come tutti quelli della loro generazione che erano emigrati lì, facevano i contadini: c’erano delle piante d’ulivo, mandorli, vigneti, orzo, frumento... Lavoravano dalla mattina alla sera. Ricordo che, quando i miei genitori e i miei nonni lavoravano nei campi, gli arabi che erano a fianco a loro gli dicevano: “Rumi”, cioè italiano, “tu lavori troppo!”
3. Mio nonno Giuseppe Breda nei campi a Breveglieri.
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La mia casa era fatta così: appena entravi c’era un arco grande con due archi laterali un po’ più bassi; entravi, c’era un gran salone con il caminetto e ai lati tre stanze da letto; dietro un cortile, chiuso da mura laterali che arrivavano ai magazzini per l’orzo, il grano, quello che si produceva, e la stalla. C’era il magazzino, e tenevamo animali da cortile, il maiale, le galline. Si mangiava quello che si produceva…
4. La mia casa a Breveglieri.
I RAPPORTI CON LA POPOLAZIONE LOCALE
A Breveglieri conoscevamo molti italiani, ma anche libici. Quando sono tornata in Libia
nel 2010, ho ritrovato un uomo molto anziano che ci aveva visto crescere, io quando ero
piccola giocavo sempre con i suoi figli.
Quando mi ha visto, si è alzato e mi ha detto: “Figlia mia, sei tornata!”, piangendo. Lo
stesso uomo ha detto a mia cognata: “Lo sai quante camicie mi ha cucito tua mamma?”.
C’erano ottimi rapporti con loro, poi con Gheddafi tutto andò in rovina.
5. Il piccolo Musbà, mio vicino di casa, con la nostra Cinquecento
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L’INFANZIA, LA SCUOLA
Della mia infanzia ricordo che noi bambini passavamo il tempo giocando e anche
lavorando, cominciavamo a lavorare aiutando i nostri genitori nei campi fin da piccoli,
come anche qui in Italia negli anni Cinquanta del resto. Eravamo sempre fuori, quando
avevo 8-9 anni la mamma mi chiamava per mangiare, ma io non avevo più fame perché
ero già stata dai vicini, che erano molto ospitali. Là si mangiava con le mani, solo noi
italiani mangiavamo con forchetta e coltello, a causa delle nostre tradizioni che
volevamo mantenere. Una cosa che ricordo molto bene è che in Libia c'erano molte
malattie, là solo il Signore poteva decidere se sopravvivevi o no. Io, grazie a Dio, la
prima febbre l'ho avuta due anni fa. Mi ero fatta gli anticorpi a mangiare la carne secca.
A Pasqua loro ammazzavano l'agnello ed il pezzo migliore lo offrivano sempre agli
italiani. Se tu, per qualsiasi motivo, non accettavi quello che loro ti offrivano, o non lo
mangiavi davanti a loro, si offendevano, per loro era una grandissima offesa.
Ho frequentato a Breveglieri la scuola italiana. C'erano maestri nelle elementari. I
villaggi avevano solo le scuole elementari, per le medie e le superiori dovevi andare a
Tripoli. Le classi avevano dai 23-24 alunni fino anche ai 30. I bambini arabi però non
andavano a scuola come noi italiani.
6. Due vedute del centro del Villaggio Breveglieri.
LA LINGUA
Nelle scuole italiane dovevi studiare anche la lingua libica, l'arabo, con un maestro, un
professore arabo. Ma noi a Breveglieri parlavamo una specie di dialetto arabo, in città a
Tripoli la lingua era diversa. Quando a casa ospito amici dalla Libia, come in questi
giorni, riesco ancora a parlarlo, ma non a scriverlo.
Qualche anno fa siamo ritornati in Libia: quando stavamo scendendo dall'aereo mi
tremavano le gambe e ho detto a mio marito: “Chissà se saprò ancora dire 'ciao' in
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arabo”. Dopo un giorno io già comunicavo benissimo in arabo con i miei vecchi
conoscenti.
Va anche detto che si usava molto parlare l'italiano, non il dialetto veneto, perché lì
c’erano tante famiglie venete ma anche abruzzesi, perciò non si poteva parlare il
dialetto, sennò non ci si capiva; e tantissimi libici parlavano in italiano.
Io, come molti altri, ho imparato a parlare il dialetto veneto una volta tornata a
Treviso; chi non mi conosce a volte nota che il mio accento non è proprio veneto.
L’ESPULSIONE DALLA LIBIA NEL 1970
Non vorrei mai ricordare quel fatto. Eravamo tutti spaventati, avevamo tutti tanta
paura quando avvenne il colpo di stato di Gheddafi il 1° settembre 1969. Nel nostro
villaggio subito non successe niente: agli italiani non fecero nulla, bastava che noi
continuassimo a fare i nostri lavori. Nel Luglio 1970 Gheddafi fece un discorso a
Misurata, dove ordinava agli italiani,
ed agli stranieri in generale, di
andarsene dalla Libia. Gli italiani erano
la maggioranza degli stranieri.
Questo creò un caos pazzesco.
Quello lì fu il decreto ufficiale di
espulsione. Ci fu un altro decreto di
espulsione pochi giorni dopo, e da lì
iniziò veramente il tutto.
Entro la fine di Agosto, cioè 45 giorni
dopo il decreto ufficiale, dovevamo
andarcene, ma in realtà gli ultimi vennero via a fine Settembre.
Dovevamo lasciare tutto là, raccogliere le valigie e a stento ti facevano portare anche
l'automobile. Rilasciarono, neanche a tutti, un pezzo di carta. Il governo italiano mandò
le navi, ne arrivavano 3-4 al giorno, che partivano da Napoli o da Siracusa . Fu un
momento molto difficile, e noi avevamo una certa paura ad abbandonare tutto in Libia
per venire qua in Italia.
Per fortuna non ci furono morti. Tanti ebrei furono invece ammazzati. I militari
portavano le donne ebree nei campi e le uccidevano. Noi italiani abbiamo veramente
passato dei momenti terribili. Controllavano se per caso avessimo dei soldi con noi,
perché non si potevano portare via denaro.
7. Veduta del porto di Tripoli
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IL RIENTRO IN ITALIA
Ero già sposata da tre anni, mi ero
sposata nel 1967, ma non avevo
bambini. Mai si pensava di venire in
Italia, in Libia si aveva un lavoro, la casa,
tutto, il benessere in tutti i sensi,
insomma. L'espulsione è stata
drammatica e veloce, in 24 ore, si può
dire.
Tutti nostri beni materiali sono rimasti
lì, e noi giovani, una volta arrivati in
Italia, ci siamo tirati su le maniche e
siamo andati avanti, ma per i nostri
genitori è stata particolarmente dura.
Siamo sbarcati a Napoli e subito ci hanno
messo in quarantena in un campo
profughi lì vicino, nei pressi di Caserta,
perché avevano paura che avessimo il
colera.
Il viaggio di ritorno è stato
drammatico. Siamo scesi dalla nave e
tutti quanti dicevano: “Che bello, siamo
arrivati in Italia, siamo al sicuro!”, invece
ci hanno messo in isolamento. Noi ci
siamo stati solo 48 ore, fortunatamente.
Poi ci hanno caricato su un treno di
bestiame, seduti per terra con la nostra
valigia e il nostro sacco, ognuno diretto
nella propria regione d'origine. Siamo
arrivati a Treviso, città di origine di mio
padre, e lì siamo stati accolti dalla
Questura, che ci ha fatto alloggiare in un
albergo prima di assegnarci, con fatica,
una casa provvisoria.
Siamo stati in albergo per venti giorni, ci
siamo uniti tra famiglie per vivere in una
casa sola, perché non c'erano tante case
quante erano invece le famiglie.
Successivamente mio marito, mio padre
e mio suocero hanno cominciato a
cercare un lavoro, e una casa in affitto,
ma quando ti sentivano dire che eri
profugo, tutte le porte erano chiuse.
Insomma, i primi anni è stata veramente
dura, lasciare il benessere e la sicurezza
per una grande incertezza… Anche per i
nostri genitori l’esperienza è stata
particolarmente dura, soprattutto dover
ripartire da zero a una certa età, e mio
padre ci ha rimesso la salute.
I RAPPORTI CON LA TERRA D’ORIGINE
Conservo ancora oggi buoni rapporti
con i miei conoscenti libici di Breveglieri,
vogliono ancora bene a me e a tutti gli
italiani che hanno conosciuto.
Apprezzano molto il lavoro fatto dai
nostri nonni e dai nostri genitori. Un
nostro amico libico dice: “L'italiano ha
piantato file d'alberi dritte senza il
metro, adesso che invece c'è il metro, è
tutto storto”.
Tutti abbiamo dei bei ricordi legati a
quella terra, e tutti noi la amiamo. Io
posso dire di non aver mai trovato un
cielo ed un mare uguali a quelli della
Libia. Quando sono arrivati i miei nonni e
i miei genitori in Libia non c'era niente,
dopo invece c'era di tutto. C'era frutta di
tutti i tipi, io mi ricordo che mia nonna
aveva delle pesche grandi ed anche
dolci, poi c'erano banane e datteri, mele
e tutto il resto.
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L’ESPERIENZA MIGRATORIA DELLA MIA FAMIGLIA
Secondo me l'emigrazione è un fatto positivo, perché c'è un arricchimento di tutti
quando le culture si incontrano. Noi, rientrati dalla Libia, oggi accettiamo meglio di altri
l'emigrazione perché l'abbiamo vissuta. Essendo stati in Libia per molti anni, adesso
abbiamo un modo diverso di guardare le cose che riguardano l'Italia, rispetto ad uno
nato e cresciuto qui. Si deve però ricordare che quando una persona va all'estero, deve
avere rispetto per i luoghi e le popolazioni native di quel posto. Io, anche se sono nata lì,
rispettavo la Libia e i libici.
I nostri vecchi, arrivati dall’Italia, in Libia avevano conservato le loro tradizioni, quindi
loro mangiavano all'italiana. Ma noi, di seconda generazione, mangiavamo di tutto.
Quanto al cibo, oggi, qui in Italia, la mia cucina è un misto fra quella ebrea, quella
italiana, e quella africana.
Intervista di Luca Cusin, Alberto Artico, Margherita Falcomer, Giulia Sorgon, Victoria Trevisan, Linda
Zanin, Greta Pasqualini, Giorgia Ballarin, Ihsane Oukhalak, Jan Licciardello.
Villaggio Breveglieri (oggi Al Khadra', nei pressi di Tarhuna)
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LE OTTO FAMIGLIE DI CEGGIA CHE NEL 1938 PARTIRONO PER LA LIBIA
Il 27 ottobre 1938 il parroco Don Angelo Folegot benedice le famiglie in partenza da Ceggia, per unirsi alle altre alla stazione ferroviaria di San Donà di Piave, dirette al porto di Genova, per partire il giorno seguente alla volta di Tripoli:
- Biason Simeone - Olivo Attilio - Zago fu Romano - Grandin Gregorio - Manzatto Antonio - Viotto Giacomo - Rado Luigi - Pasqual Giovanni Nei mesi successivi il “Bollettino parrocchiale” di Ceggia, riportava le lettere che i
coloni scrivevano al Parroco da Breveglieri. Alcuni passi:
[…] tutti i membri delle otto famiglie trasferite in Africa hanno fatto un ottimo viaggio e siamo stati
sistemati tutti da vicino e in ottime posizioni. Ci hanno dato locali signorili e ammobiliati; il vitto è
abbondante, il terreno buono, le arie finissime […]
Olivo Attilio , 6.11.1938
[…] Ora mi trovo nella mia nuova casa che ho trovata arredata di tutto. La posizione è ottima, costituita
da vaste colline, aria buona, acqua buonissima; la qualità del terreno promettente, purché Iddio mandi
a suo tempo la pioggia: […]
Biason Simeone, 15.11.1938
[…] Il terreno che lavoriamo da cinque mesi è in pieno rigoglio, il frumento è una meraviglia. Nel mio
podere sono stati già messi 450 olivi, 600 mandorli, 250 carrubi, 100 pini e cipressi, 100 piante da frutto
varie, 500 piante di legna da fuoco, 14000 viti… […]
Manzato Emilio, aprile 1939
(in F. Furlanetto M. Manzatto, F. Mariani, 2006)
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INDICE Introduzione ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag. 1 Tappe principali della colonizzazione italiana della Libia …………………………………………………………….. pag. 2 Italia Draghicchio ……………………………………………………………………………………………………………………….. pag. 5 Rino Boraso ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag. 11 Elena Breda ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag. 18 Le otto famiglie di Ceggia partite per la Libia nel 1938 ................................................................. pag. 26
FONTI UTILIZZATE
. A. Brancati T. Pagliarani, Tanti tempi, una storia 3, 2008 e altri manuali di storia per la Scuola
Secondaria di Primo Grado.
. F. Furlanetto, M. Manzatto, F. Mariani, La piazza di Ceggia. Itinerario storico di un cambiamento.
1912-2004. 2006
. A. Del Boca, Gli italiani in Libia, 1994
. Classe 3B, Memorie pubbliche e familiari del mio paese Ceggia 1901-1945. a.s. 2011-2012
. Articoli dalle riviste L’oasi, notiziario dell’Associazione ex allievi Lasalliani in Libia, e dell' AIRLI,
Associazione Italiana Rimpatriati Libia.
NOTA FINALE
Italia Draghicchio e Rino Boraso, residenti a Ceggia (Venezia), sono stati intervistati presso i locali del
Circolo NOI di Ceggia; Elena Breda, residente a Paese (Treviso), presso l’abitazione della famiglia Rado
Elvio. L’intervista è stata effettuata da gruppi di alunni, sulla base di alcune domande-guida preparate
in classe, dopo aver svolto nel corso dell’anno scolastico una serie di attività di approfondimento sulla
colonizzazione italiana della Libia, fra le quali anche la partecipazione al Convegno “Libia ieri e oggi”
organizzato dal Centro di Documentazione "A. Mori" a San Donà il 24.11.2012.
Le foto e i documenti riprodotti ci sono stati messi a disposizione dagli intervistati, da Daniela Rado e
da Elvio Rado di Ceggia.
Oltre al presente lavoro sono stati realizzati due cartelloni, contenenti la sintesi delle interviste e
alcune foto, per la mostra dei lavori delle scuole organizzata dal Centro Mori a San Donà di Piave in
occasione delle "Giornate della Storia 2013" (20-28 aprile 2013), aventi per tema “Veneto orientale: gli
emigranti”. Hanno realizzato i cartelloni le alunne Greta Moro, Ihasane Oukhalak, Giulia Sorgon,
Victoria Trevisan, Linda Zanin. Testi in arabo di Ihsane Oukhalak.
La riproduzione del fascicolo Il centro agricolo “Breveglieri” (Libia occidentale), edito nel 1940
dall’Ente per la colonizzazione della Libia, esposto alla mostra di cui sopra a cura di Maria Teresa
Ghiotto e Tiziana Trinco, è stata gentilmente autorizzata da Pia Regina Carniel e Armando Pivetta.
L’attività di ricerca è stata promossa e coordinata da Annalisa Guiotto, docente di Lettere della Classe
3^B. Ha collaborato la collega Elisa Vinci.
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Italia Draghicchio con, da sinistra, gli alunni Jan Licciardello, Ludovica Basso, Luca Cusin, Luca Fornasier (Ceggia, 20 marzo 2013)
Rino Boraso con gli alunni Matteo Pavanetto, Tommaso Zago, Giacomo Borgolotto, Enrico Bragato,
Luca Cusin, Greta Moro (Ceggia 27 marzo 2013)
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Elena Breda, al centro, con, da sinistra, gli alunni Luca Cusin, Alberto Artico, Margherita Falcomer, Giulia Sorgon, Victoria
Trevisan, Linda Zanin, Greta Pasqualini, Giorgia Ballarin, Ihsane Oukhalak, Jan Licciardello. Da sinistra Secondo Carniel,
Pierina Giacomel, Elvio Rado, Muftà Haruda, amico della famiglia di Elena Breda (nato a Tahruna, vive a Tripoli) e Armando
Pivetta (Ceggia, presso l’abitazione della famiglia Elvio Rado, 23 marzo 2013).
La sintesi delle interviste nei due cartelloni esposti alla mostra della "Settimana della Storia", San Donà di Piave 20-28 aprile 2013.