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INDICE
Introduzione
Capitolo 1 LA GUERRA CIVILE E LA PRIMA FASE DEL FRANCHISMO (1939-
1945)
1.1 La Guerra Civile
1.1.1 La situazione economica
1.1.2 L’emigrazione spagnola
1.2 L’agricoltura e la Riforma agraria prima del franchismo
1.3 L’industria
1.4 Il Settore terziario
1.5 Il Contesto socio-politico e l’internazionalizzazione del conflitto
1.6 L’oro di Mosca e la crisi monetaria
1.7 Le conseguenze economiche del conflitto
1.8 L’inizio del Franchismo
1.9 La struttura del nuovo Stato
1.10 La transizione post guerra
1.11 Il Nazional Sindacalismo spagnolo
1.12 El Instituto de Reforma Agraria
1.12.1 Colonizzazione agraria in Andalucia
1.12.2 Estraperlo (mercato nero)
1.13 Instituto Nacional de Industria (INI)
Capitolo 2 L’APERTURA AL SISTEMA INTERNAZIONEL E IL MIRACOLO
ECONOMICO (1945-1973)
2.1 La fine della guerra e l’isolamento della Spagna (1946-1953)
2.2 La ripresa industriale e i rapporti economici con la Francia
2.3 Il ceto dei tecnici e lo sviluppo economico
2.4 Il Piano di Stabilizzazione del 1959
2.4.1 La Pianificazione Indicativa dello Sviluppo
2.4.2 I Piano di sviluppo economico e sociale 1964-1967
2
2.4.3 II Piano di sviluppo economico e sociale 1968-1971
2.4.4 III Piano di sviluppo economico e sociale 1972-1975
2.5 I maggiori successi del Piano di Stabilizzazione
2.5.1 El Instituto Español de Emigración (IEE)
2.5.2 Il Turismo
2.6 Effetti nei vari settori
2.6.1 Agricoltura e IRYDA (Istituto di Riforma e Sviluppo Agrario)
2.6.2 L’Industrializzazione
2.6.3 Il settore dei Servizi
2.7 La crisi del 1973 e del 1979
2.8 L’opposizione al regime e la transizione democratica
Capitolo 3 LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA E L’ENTRATA NEGLI
ORGANISMI SOVRANAZIONALI (1973-2002)
3.1 Crisi Economica e Riconversione industriale
3.2 Le conseguenze territoriali della crisi industriale
3.3 La Spagna e la Comunità Economica Europea (CEE)
3.3.1 Una lunga negoziazione
3.3.2 Unione Doganale: l’industria come tema chiave
3.3.3 La Spagna e la Pac
3.3.4 I rapporti storici con l’America Latina
3.3.5 Gli effetti economici dell’ingresso nella CEE
3.4 L’entrata nell’Unione Europea (UE)
3.4.1 Commercio e investimenti diretti esteri
3.4.2 Il coordinamento delle politiche economiche
Conclusioni
Bibliografia
3
INTRODUZIONE
Il presente lavoro intende esplicare lo sviluppo economico vissuto dalla Spagna dall’inizio
della sua guerra civile fino all’entrata nella Unione Europea e la sua necessità di passare da
un’economia autarchica ad una progressiva integrazione nel sistema economico
internazionale. L’interesse verso la Spagna nasce dall’esperienza vissuta dallo scrivente in
Andalucia con il programma Erasmus LLP, presso la città di Almeria, durante l’anno
accademico 2012/2013.
In questa tesi lo sviluppo economico della Spagna viene suddiviso in tre capitoli, che studiano
differenti fasi dell’economia del paese dall’inizio dell’autarchia fino alla sua graduale e
difficile apertura verso gli scambi internazionali con l’entrata nei vari organismi
sovranazionali.
Nel primo capitolo viene presentata l’iniziale situazione economica della Spagna all’inizio del
1935 sviluppando le determinanti che portarono al conflitto del 1936, anno della guerra civile,
fino al 1939, termine del conflitto, con l’inizio del regime di Francisco Franco. Al seguito dei
tre anni di conflitto la Spagna ne uscirà praticamente azzerata in tutti i suoi settori,
principalmente in quello agrario e industriale, dovendo ricostruire da capo l’intero tessuto
sociale ed economico. La soluzione che diede il regime fu di inseguire l’autosufficienza del
sistema, attraverso un forte intervento pubblico in economia, ispirandosi inizialmente ai
modelli economici sviluppati durante il fascismo in Italia con la creazione di Istituti appositi
per i vari settori.
Si iniziò con una riforma agraria, volta a cancellare le riforme del periodo repubblicano-
socialista degli anni trenta, venne creato l’Istituto per la Colonizzazione Agraria (INC) con gli
obiettivi di redistribuire diversamente la terra (attraverso progetti di trasformazione dei
territori), creare nuove zone rurali in grado di soddisfare la domanda interna (obiettivo in
Italia perseguito con la bonifica integrale) e superare la conflittualità tra proprietari terrieri e
contadini. L’obiettivo di superare la lotta di classe fu perseguito con la creazione del
Sindacato Nazionale, che mutava l’esperienza del corporativismo italiano.
Per rilanciare l’industria, portata al collasso durante la guerra civile, si creò nel 1941 l’Istituto
Nazionale dell’Industria, con l’acronimo di INI (in Italia l’IRI venne istituito nel 1933). A
differenza dell’Istituto di ricostruzione Industriale italiano, l’INI ebbe numerosi problemi sia
durante i suoi primi anni di vita che durante il post guerra mondiale. La Spagna dopo il 1945
si trovò completamente esclusa da qualsiasi scambio commerciale con il resto del mondo
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(insieme con il Portogallo di Salazar, fu l’unico regime che nonostante avesse formalmente
appoggiato i Nazionalsocialisti tedeschi continuava a rimanere in carica nell’Europa
occidentale). All’interno del paese mancavano le risorse primarie per la realizzazione dei
progetti governativi, il Paese cercava di raggiungere la propria autosufficienza economica
senza materie prime disponibili, così numerosi progetti dell’INI si bloccarono in fase di
avviamento ed in molti casi non riuscirono proprio a partire.
Al termine di questa prima fase 1936-1945 la Spagna presentava un totale declino economico
e sociale, il regime di Franco ricercò l’autosufficienza economica praticando una politica
autarchica, obbligato anche dalla congiuntura internazionale caratterizzata dagli anni della
seconda guerra mondiale. La creazione di Istituti pubblici portò i risultati sperati. Inoltre, a
causa del razionamento alimentare, cresceva il mercato nero (fenomeno chiamato estraperlo)
e l’industria ostentava ad evolversi. L’opzione autarchica fu accantonata nel corso degli
cinquanta con un’iniziale apertura economica che riguardò principalmente il settore
industriale.
Nel secondo capitolo viene trattata proprio questa fase di cambio politico ed economico. La
prima fase va dal 1945-1953. Durante questo periodo non si registrano grandi manovre
economiche da parte del regime, proprio a causa dell’esclusione che la Spagna è costretta a
vivere. Gli Stati Uniti d’America spingevano gli altri paesi del blocco delle Nazioni Unite ad
evitare qualsiasi transazione economica con il paese di Franco (solo l’Argentina aiutò la
Spagna con l’invio di generi alimentari). Per il regime spagnolo fu chiaro l’estremo bisogno
di inserirsi nel contesto economico internazionale. L’isolamento stava trascinando la nazione
verso la bancarotta.
Iniziò allora una fase di trasformazione, almeno di immagine. Il partito mutò il nome in
Movimiento Nacional ma soprattutto nell’agosto del 1953 viene firmato a Roma il concordato
con la Santa Sede, in questo modo Franco si garantiva una propria legittimità internazionale.
Inizia una prima fase di accordi commerciali tra l’INI e la Francia, tali accordi riguardavano
principalmente due settori: quello petrolifero e quello energetico. La Francia attraverso
banche private finanziava determinati progetti in Spagna, co-finanziando anche imprese
pubbliche.
Nel 1955 la Spagna entra a far parte dell’ONU ed in seguito in virtù del contesto
internazionale (periodo della guerra fredda) gli Stati Uniti e la Spagna giungono al loro primo
incontro ufficiale nel 1959.
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Il secondo periodo trattato nel secondo capitolo va dal 1957 fino al 1975. Si tratta dell’unica
fase storica di Franco caratterizzata da un periodo di auge economico: la decade degli anni ’60
viene infatti definita Miracolo economico spagnolo.
Nel 1957 avviene il cambio definitivo nella politica economica del paese. I gruppi di potere
tradizionali spagnoli, in parte provenienti dalla falange, vengono sostituiti in tutti i ruoli
chiave dal primo governo tecnico della storia. Numerose critiche vennero e vengono tutt’ora
mosse a questa situazione, in particolar modo per l’affiliazione di alcuni esponenti all’Opus
Dei, ma durante gli anni sessanta la Spagna vive il miglior periodo economico dall’inizio del
‘900. La prima fase, periodo di pre-stabilizzazione, inizia un’apertura commerciale. Tuttavia,
la conseguente crescita delle importazioni aggrava notevolmente la bilancia dei pagamenti
spagnola, così nel 1959 vengono decise ulteriori ricette di politica economica: viene fissato un
nuovo cambio della peseta nei confronti del dollaro, si attuano politiche monetarie restrittive,
si punta ad una maggiore esportazione (al fine di migliorare la deficitaria bilancia dei
pagamenti) con una progressiva politica di riduzione dell’ interventismo statale nell’economia
ed inoltre si punta ad incentivare gli investimenti esteri nel Paese. Attraverso i Piani di
Sviluppo (vengono stilati tre piani: I Plan de Desarrollo 1964-1967, II Plan de Desarrollo
1968-1971 e III Plan de Desarrollo 1972-1975), viene programmata la crescita economica
della nazione, individuati i settori da sviluppare e quelli da potenziare, si punta alla creazione
di Poli di Sviluppo individuati in determinate aree e all’industrializzazione di nuove. Anche in
questo caso si riprende il modello italiano, in particolare la politica di programmazione
economica e l’intervento straordinario nel Mezzogiorno.
Viene creato l’Istituto Spagnolo per l’Emigrazione (IEE) che favorì notevolmente la Spagna
attraverso il meccanismo delle rimesse dei migranti e si puntò per la prima volta a livello
commerciale sul turismo, che fu uno dei fattori principali di tale sviluppo economico. Alla
fine di questo periodo la Spagna registrò una crescita costante con una media annua del 6.4%,
veniva superata solo dal Giappone, e fu la prima economia per livelli di crescita di tutta
l’Europa. La Spagna alla fine degli anni sessanta smetteva di essere un paese agricolo per
trasformarsi in un paese industriale dove anche il settore dei servizi mostrava una notevole
importanza con un aumento occupazionale del 10% rispetto gli anni cinquanta. Al contempo
però era anche aumentato il divario tra le regioni del sud e quelle del nord, la politica dei poli
di sviluppo aveva favorito determinate aree lasciandone altre in situazioni precarie.
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Tale periodo di crescita venne interrotto nel 1973 (in seguito nel 1979), anno del primo shock
dei prezzi del petrolio, cosa che portò in forte deficit la bilancia dei pagamenti e frenò
l’economia. Tale periodo fu particolarmente complesso per la Spagna perché accompagnato
anche dalla fase di transizione democratica: nel 1975 Franco morì all’età di 85 anni, dopo 39
passati a governare nel proprio paese e con lui se ne andava anche quel tipo di politica
autoritaria.
Il terzo ed ultimo capitolo riguarda la transizione democratica e la convergenza negli
organismi sovrannazionali europei, la CEE inizialmente ed in seguito la UE.
Le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 aggravarono notevolmente la bilancia dei pagamenti
della Spagna data la sua totale dipendenza dal petrolio. Nel corso della seconda metà degli
anni settanta inizia una fase di riconversione industriale che modifica la struttura del tessuto
economico del Paese. Determinati settori (siderurgico, navale e tessile) vengono smantellati o
si cerca di ridurre la loro produttività (i deficit di bilancio di numerose aziende non
permettevano più i continui interventi statali, perdita di competitività, le industrie dei paesi
maggiormente sviluppati vivevano una evoluzione in altri settori e iniziava una seria
concorrenza proveniente dai paesi in via di sviluppo). Per varie cause (la politica interna era
impegnata nel difficile passaggio verso la democrazia, problemi di carattere sindacale e del
lavoro) il Governo e l’imprenditoria dell’epoca non trovarono una soluzione per riconvertire
determinate industrie procedendo direttamente a licenziamenti di massa, cosa che generò
un’elevata disoccupazione.
Lo Stato provò con una nuova fase di industrializzazione puntando sullo sviluppo di aree
individuate secondo diversi criteri e con l’inserimento di nuovi settori (elettronica). Questa
soluzione funzionò solo in parte aggravando ulteriormente lo squilibrio regionale in Spagna.
Le principali città e i distretti industriali furono quelli che beneficiarono maggiormente di
questi fondi lasciando poco spazio alle PMI e a quelle zone di basso sviluppo.
L’entrata nella CEE avvenne nel 1986, al seguito di numerose trattative, la Spagna, insieme al
Portogallo, venne finalmente inserita nella Comunità Economica Europea. La prima richiesta
era stata fatta già negli anni settanta ma il paese non rispettava i principi democratici necessari
e venne quindi bocciata. Le trattative per tale ingresso durarono circa dieci anni, alcuni paesi
della CEE si opposero all’entrata della Spagna. Le trattative trovarono i principali problemi
nel settore della Politica Agraria Comunitaria (PAC). L’opposizione della Francia e dell’Italia
allungarono la transizione. La loro contrapposizione veniva spiegata con il rischio di
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sbilanciamento del mercato europeo. La Spagna poteva vantare una elevata competitività nei
prodotti agrari, la soluzione che venne adottata fu quella di dividere i prodotti per tipologia.
Dopo una decade caratterizzata da un’economia in continua fluttuazione l’ingresso della
Spagna nella Comunità Europea determinò un processo di liberalizzazione economica e di
cambio nelle regole di politica economica che, per regolamento europeo, risultavano essere
obbligatorie per i paesi membri. Nel 1989 la peseta entrava nel Sistema Monetario Europeo
(SME), venne la volta della firma del trattato di Maastricht nel 1992 e nel 1999 la Spagna
andò a sostituire la propria moneta per la moneta unica europea: l’€uro. I risultati del processo
di integrazione europeo furono positivi, dal momento che dal 1986 al 2001 la Spagna ebbe un
tasso di crescita del PIL maggiore della media europea.
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CAPITOLO 1
LA GUERRA CIVILE E LA PRIMA FASE DEL FRANCHISMO
Introduzione
Prima di iniziare ad analizzare il primo ventennio franchista è doverosa un’analisi dei tre anni
precedenti a tale periodo. La Guerra Civile 1936-1939, durante i tre anni di guerra i danni
riportati dalla Spagna furono innumerevoli, l’intero sistema economico da ricostruire, dal
primario al terziario, migliaia di morti, un paese dilaniato nelle fondamenta che nella sua
distruzione vide l’ascesa di Francisco Franco e della nuova dittatura militare.
Nel 1939 la Spagna era un paese decimato demograficamente, la fame e l’estremo bisogno di
generi primari erano la quotidianità di gran parte della popolazione. La soluzione che diede il
regime franchista alla povertà economica fu quello messo in pratica nell’Italia Mussoliniana e
consolidata nella Germania Hitleriana: l’Autarchia. Una politica economica basata sulla
ricerca dell’autosufficienza economica e dall’intervento dello Stato.
Il primo ventennio di Franco viene diviso in due sub periodi, il primo va dal 1939 al 1945,
periodo caratterizzato dalla II guerra mondiale, la fine degli altri Stati di estrema destra,
l’inizio dell’autarchia e l’isolamento che si trovò a vivere la Spagna. Mentre il secondo sub
periodo (trattato nel secondo capitolo) caratterizzato dalla congiuntura internazionale e
dall’iniziale apertura economica va dal 1945-1953.
L’interventismo di Stato si estese in gran parte della economia nazionale, vennero creati
diversi istituti economici pubblici seguendo prevalentemente il modello italiano. Si creò l’INI
l’Istituto nazionale dell’Industria nel 1941 per controllare e rinvigorire il settore industriale
portato all’estremo durante la guerra civile. Nel 1939 venne creato el Istituto Nacional de
Colonizacìon in seguito rinominato nel 1971 Istituto de Reforma y Desarrollo Agrario
(IRYDA) con la finalità di riformare socialmente ed economicamente il settore agrario, venne
la volta nel 1946 dell’Istituto Nacional de Estadìstica (INE) con l’obiettivo di elaborare e
perfezionare le statistiche demografiche, economiche e sociali.
Questa fase basata sull’autarchia coincise con gli anni della seconda guerra mondiale fu
caratterizzata dall’isolamento della Spagna dal resto del mondo e non portò i risultati sperati
obbligando il regime a modificare il proprio comportamento e la propria politica economica
verso la metà degli anni 40.
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1.1 Guerra Civile 1936-1939
Le cause che portarono al conflitto furono numerose, la Spagna veniva da decadi di sconfitte e
perdite territoriali, ad esempio quelle delle proprie colonie in America Centrale e delle
Filippine, ritrovandosi a possedere solo quelle del Nord Africa. Inoltre la seconda rivoluzione
industriale che non produsse effetti di lungo periodo e che la lasciò orfana di quello sviluppo
economico che invece fu elevato in Francia e in Inghilterra. Si può comunque affermare che tra
le cause vanno annoverati fattori quali lo scarso peso nella società della classe medio-bassa, il
forte disequilibrio della ricchezza, la mancanza di un tessuto sociale e istituzionale nel paese,
l’intera situazione economica che la vedeva sofferente in tutti i settori ma soprattutto il contesto
Europeo che proprio in quel periodo si faceva sempre più teso. Tutti questi fattori congiunti
portarono la Spagna alla guerra civile.
1.1.1 Situazione Economica
Come già accennato la situazione economica della Spagna era in un periodo di depressione
profonda che si protraeva da diversi anni, già nel primo semestre del 1936 si notavano gli
effetti, l’indice della produzione industriale passò dal 86,9 % nel 1935 al 76,9 nel marzo del
1936, un calo di 10 punti1.
Nel Febbraio del 1936 il numero dei disoccupati era di 843.972, quasi un decimo della
popolazione attiva, evidenziando la disoccupazione delle industrie agricole che
rappresentavano i due terzi del totale.2 Le relazioni economiche con l’estero, al seguito dei
mesi di pace anteriori al 1936 venivano visti come un periodo di sospensione dei pagamenti per
la Spagna, che come illustrato dal Boletìn Financiero pubblicato nel EL Debate l’11 Aprile
1936: la bilancia dei pagamenti è deficitaria e si metteva in conto che tale deficit nel corso del
tempo sarebbe solo che aumentato, la navigazione spagnola andava diminuendo cosi come il
suo commercio marittimo, le rimesse dei migranti andavano ad esaurirsi quasi completamente
e anche i rendimenti di capitale all’estero stavano terminando, l’unico punto di forza era ancora
la sua riserva aurea superata solo dagli Stati Uniti di America, la Francia e dall’Inghilterra.
1 L’indice fu il seguente: 1929, indice 100; 1930 98,6; 1931 93,2; 1932 88,4; 1933 84,4; 1934 85,5; 1935 86,9
gennaio, Asiaín, José Ángel Sánchez, Economìa y Finanzas en la Guerra Civil Española, Real Academia de la
Histora Madrid, Madrid 1999, p. 34 2 Moradiellos, Enrique, La España de Franco (1939-1975). Política y sociedad, Sintesis Madrid, pp. 70-74
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1.1.2 Emigrazione Spagnola
Uno dei dati maggiormente significati che vedevano per la Spagna una perdita di popolazione
attiva e allo stesso tempo una forma di piccola ricchezza (rimesse dei migranti), fu il processo
migratorio che iniziò nel 1868 che per la sua intensità fu più elevato che in altri paesi come
Germania, Belgio o Italia. Dal 1891 al 1936 3.680.184 persone emigrarono delle quali solo
2.663.850 rientrarono, ossia durante 45 anni si produsse una perdita di 944.344 abitanti3.
Come conseguenza del fenomeno migratorio, l’espansione demografica è lenta, aumentando
l’età media e i disequilibri tra i sessi. Dal punto di vista economico la migrazione ha permesso
di mantenere il mercato del lavoro con grande mobilità, senza pressioni della offerta fino agli
anni ’20 dove si produsse un cambio di segno accompagnato dal freno della crescita economica
la quale produsse un forte impatto nel mercato del lavoro con un aumento dei disoccupati.
1.2 Agricoltura e riforma agraria prima del Franchismo
La percentuale di popolazione attiva nel settore primario ha avuto prima del XX secolo valori
elevati, la maggior parte della popolazione attiva era impiegata in questo settore, circa il 67%.
Le ragioni erano varie: l’economia e la società erano principalmente agraria, gli altri due settori
risultavano avere uno scarso livello di sviluppo e l’impiego di macchine nel campo era ancora
relativamente scarso, quindi di fatto per lo svolgimento delle varie mansioni era richiesta
elevata mano d’opera. Ad inizio del secolo la popolazione attiva iniziò a diminuire a causa di
un eccesso di braccianti dovuto alla crisi della filoxera (un parassita dell’uva) nelle zone viticole
e a causa del progressivo impiego di macchinari nelle aree agrarie a base cerealicole. Inoltre
questa tendenza nello spopolamento della campagna si vide accompagnata alla domanda di
3 Alvaro Soto Camona, El Trabajo industrial en la España contemporánea, 1874-1936, Anthropos, 1989, p. 176.
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lavoro nelle are industriali di Madrid, Barcellona e Paesi Baschi e nelle opere pubbliche iniziate
durante il “governo” di Primo Rivera.
La situazione riguardante l’inizio degli anni 30 presentava un forte dislivello tra il nord ed il
sud. Al Nord un mini latifondismo che non permetteva alle piccole proprietà di avere sufficiente
produzione, a volte neanche per l’autoconsumo a causa delle dimensioni eccessivamente
piccole, mentre al Sud le terre erano lavorate da braccianti che non erano proprietari della stessa
dato che erano in mano ai grandi proprietari terrieri, e percepivano salari molto bassi venendo
retribuiti solo in determinati periodi dell’anno lasciando così numerosi contadini nella miseria
soprattutto nelle provincie dell’Andalusia e di Extremadura.
Cosi nel 1932, al fine di emarginare il fenomeno di tale discrepanza, il secondo governo di
Manuel Azaña Díaz, definito come primo biennio della seconda Repubblica Spagnola, o anche
biennio riformista (biennio socialista- azañista), approvò con Marcelino Domingo, membro del
Partito Repubblicano Radical Socialista e Ministro dell’Agricoltura, la legge per Riforma
Agraria. La riforma aveva tre obiettivi: il primo bloccare la disoccupazione dei braccianti
(inserendo i lavoratori nelle terre espropriate), il secondo una redistribuzione della terra
(espropriando le terre in mano ai grandi latifondisti) venne creata una lista con vari tipi di terre
espropriabili (domini giurisdizionali, le terre mal coltivate, quelle sistematicamente in affitto e
quelle che potevano essere bonificate), e terzo una razionalizzazione dell’economia agraria
(diminuendo la crescita di superfici a base cerealicole e restituendo ai nuclei rurali i beni comuni
per una forma di autoconsumo). Si cercò di raggiungere tali obiettivi attraverso la costituzione
dell’Istituto per la Riforma Agraria (IRA) e della Banca Nazionale di Credito Agricolo.
12
Dipendevano dall’IRA le giunte provinciali e le comunità di contadini, si concesse all’Istituto
un credito annuale di 50 milioni di pesetas e si progettò di occupare dai 60 mila ai 75 mila
contadini. Il meccanismo di attuazione era il seguente, le terre espropriate o confiscate
passavano di proprietà all’Istituto, che le trasferiva alle giunte provinciali che a loro volta le
consegnavano alle comunità di contadini. Nonostante questo, il passaggio risultò essere molto
lento, dopo un’iniziale espropriazione di terre latifondiste in Andalusia, Extremadura, nel sud
di La Mancha e nella provincia di Salamanca, a causa dell’eccessiva burocrazia dell’Istituto
della Riforma Agraria (IRA), dell’impedimento dei latifondisti che crearono “Asociación de
Propietarios de Fincas Rústicas” e delle Banche private che si opposero con forza a tale riforma.
Durante il secondo biennio della seconda Repubblicana Spagnola (definito come biennio nero,
o biennio conservatore) il governo Radical-Cedista, governo formato dal partito Repubblicano
Radicale di Alejandro Lerroux alleato con la destra cattolica CEDA e con il Partito Agrario nel
13
1935 bloccò la riforma agraria, vennero inoltre rese le terre inizialmente espropriate creando
così numerosi scioperi e proteste da parte dei contadini.
All’inizio del 1936 i rapporti tra latifondisti e contadini diventarono sempre più tesi portando
ad uno schieramento sempre più netto per i sostenitori dei Repubblicani e quelli della Falange.
1.3 L’industria
Durante l’inizio del XX secolo con il periodo della Restaurazione Borbonica (1874-1931), i
governi che si susseguirono portarono avanti una politica di risanamento delle finanze
pubbliche. La riduzione degli interessi sul debito, il controllo delle spese dello Stato e l’aumento
delle imposte generò un ciclo di nove anni 1900-1909 di surplus commerciale, cosa che non si
era mai vista nella storia recente della Spagna, in questo contesto l’industria spagnola mantiene
una crescita sostenuta, le motivazioni furono: una decolonizzazione delle terre oltreoceano con
un conseguente rientro di capitali, un aumento della borghesia spagnola che allo stesso tempo
aveva una mentalità più imprenditoriale, quindi un aumento negli investimenti nazionali, una
situazione politica internazionale che con la I Guerra Mondiale permise un aumento delle
esportazioni e l’arrivo di investimenti esteri, investimenti statali per opere pubbliche e aumenti
nelle vie di comunicazione, forti tariffe doganali che proteggevano il mercato interno e
un’espansione del mercato nazionale, tali fattori portarono alla creazione di grandi fabbriche
(automobilistiche, materiale ferroviario, petrolchimiche, farmaceutiche, materiale elettrico) e
ad una maggiore presenza di multinazionali; con la crisi del 1929 si arrestò tale periodo di
crescita.
Nel complesso i lavoratori che componevano il settore secondario passano da essere 1.208.084
nel 1860 ad 2.656.591 nel 1930. La sua importanza relativa alla popolazione attiva era del 31%
14
nel 1930 rispetto al 17,5% del 1860, dati in tendenza con quanto detto pocanzi con la crescita
che si è avuta a partire dal 1910.
Le regioni dove è maggiormente impiegata la classe operaia nel settore secondario sono:
Baleari, Catalunya, Paesi Baschi e Valencia, in alcune di queste regioni il numero di lavoratori
del secondario supera il numero di lavoratori del settore primario
Si nota una crescita notevole nel settore secondario nell’industria chimica, in quella
metallurgica e nell’industria del legno cosi come in quella del tessile, mentre in quella
mineraria, dell’alimentazione, della costruzione si ritrovano a vivere una crescita inferiore fino
a diminuire in quella della Confeccion (confezione tessile) vivendo una piena recessione. La
dimensione delle imprese è ridotta, predominano ancora le fabbriche e l’attività artigianale è
ancora abbondante nell’organizzazione produttiva.
In sostanza l’industria spagnola passa dall’inizio del XX secolo dalla sua concentrazione in
settori quali il tessile, il minerario e quello metallurgico ad un’espansione di altri settori come
quello chimico, concentrandosi soprattutto i determinate zone della nazione, portando così le
varie comunità e province a specializzarsi in determinati settori aumentando inoltre anche
l’autonomia di queste ultime.
15
1.4 Settore Terziario
Il settore terziario riunisce le attività che, a causa della diversità e della eterogeneità delle stesse,
mostrano uno sviluppo disuguale, è un settore fondamentale per poter analizzare e capire il
livello di sviluppo di un paese nella sua capacità di offrire servizi e migliorare il livello di vita
dei suoi abitanti. Si mostrano in alcune attività una perdita di occupazione, soprattutto in quelle
dedicate ai servizi personali, mentre quelle che soddisfano la domanda di beni e prodotti per
l’agricoltura e l’industria (trasporto e commercio), quelle che producono domanda e servizi per
l’individuo però dirette verso la società (libere professioni, intrattenimento, igiene…) e quelle
inerenti l’Amministrazione Pubblica.
I fattori che hanno contribuito all’incremento della occupazione terziaria sono state l’aumento
della rendita personale, i cambi tecnici che hanno portato ad uno sviluppo del commercio,
collegati anche al cambio del consumo e al processo di urbanizzazione che ha permesso la
creazione di questo tipo di attività. La Gran Bretagna nel 1930 era il paese che occupava il
maggior numero dei suoi lavoratori nel settore terziario, Stati Uniti e Germania li concentravano
soprattutto nell’industria lasciando al terziario il secondo posto per occupazione, mentre per
Italia, Francia e Spagna questo settore era quello che impiegava il minor numero di lavoratori,
il che indica lo stato differente di crescita rispetto ad altri paesi. Per quanto riguarda la Spagna,
tra il 1877 e il 1930 il numero dei lavoratori si duplicò in maniera diseguali tra i vari sotto-
settori, le libere professioni, il trasporto e le comunicazioni sono i rami che offrono una maggior
crescita, mentre l’Amministrazione pubblica, il commercio e l’esercito presentano una leggera
flessione rispetto alla media del periodo e i servizi domestici sono in recessione. Proprio questi
ultimi rappresentano le professioni che vedono occupate la maggior parte delle donne
lavoratrici, nel
1930 erano il
44,16%,
Nonostante in
questi 50 anni vi sia
stata una crescita
del settore non si
può affermare un
reale sviluppo dello
stesso, sia perché
16
bisogna tener presente numerose dinamiche che hanno portato a tale sviluppo, come appunto
un cambio nei commerci o lo stesso consumo che si è andato a modificare nel corso degli anni,
ma inoltre bisogna considerare che il settore terziario era presente prevalentemente in
determinate province spagnole quali Paesi Baschi, Madrid, Catalogna ripercorrendo la stessa
strada del settore secondario, lasciando quindi al sud del paese una situazione differente.
1.5 Contesto socio-politico e l’internazionalizzazione del conflitto
Al seguirsi di numerosi governi e una tentata rivoluzione nel 1934, la vittoria elettorale del
fronte Repubblicano nel febbraio del 1936 fu vista come una possibilità reale di cambiamento
nel paese con una maggiore redistribuzione di reddito personale, dato dall’appoggio della
sinistra, ma al contempo cresceva fortemente la sfiducia in molte frange della popolazione che
vedevano in tale vittoria un pericolo per le proprie tradizionali convinzioni sociali e religiose
per il pericolo della rivoluzione comunista che si avvicinava al paese. In questo contesto
entrambe le fazioni, sia quella di sinistra che quella di destra, iniziarono ad inasprire i propri
toni creando sempre di più un clima di tensione sociale tra la popolazione. Le divisioni erano
presenti anche nello stesso esercito, una parte fedele alla Repubblica e un’altra pronta per il
tentativo di golpe.
La guerra iniziò il 17 luglio del 1936, come già accennato i problemi che portarono a tale
guerra furono numerosi, non fu soltanto uno scontro tra fascisti e comunisti fu uno sviluppo di
numerosi governi succedutisi, riforme non portate al termine nel biennio 1931-1933 che
miravano ad un maggiore riequilibrio delle risorse e della ricchezza che vide nella classe
dirigente del tempo il primo oppositore, la società era ormai completamente divisa e la guerra
sembrava inevitabile.
Da un lato vi era “El glorioso Alzamiento Nacional” che contava dell’appoggio di: la maggior
parte dei generali dell’esercito di terra, della Guardia Civil, dei proprietari agrari, gli affiliati
ai partiti di destra, del gruppo cattolico e della Chiesta (si parlerà di crociata contro il
comunismo)
L’altro lato era il gruppo Repubblicano, a differenza dei nazionalisti, poteva contare sulle
principale regioni industrializzate di Spagna, delle risorse finanziarie (l’oro della Banca di
Spagna). Aveva l’appoggio di una parte dell’esercito di terra, dell’Aviazione, della Marina, de
la Guardia de Asalto, delle masse proletarie delle zone industriali, della piccola borghesia
urbana e dei braccianti del Sud della Spagna.
17
Fu una guerra ideologica tra fascismo e democrazia, tra comunismo e cristianesimo. Si
impiegarono tutti i mezzi di comunicazione per esaltare le proprie ragioni e demonizzare
quelle altrui. Una guerra che vide la lotta di classe tra proletariato e borghesi, tra grandi
proprietari terrieri e contadini.
Entrambe le fazioni cercano l’appoggio internazionale nella risoluzione del conflitto causa del
profondo stato di arretratezza economico e bellico in cui versava la Spagna. Così facendo
dovettero ricorrere a finanziare le proprie spese militari con l’indebitamento e con l’impiego
delle riserve del paese. La Comisaria del Plan de Desarollo stimò in 300.000 milioni di
pesetas le spese militari di entrambi gli eserciti, l’equivalente di sei volte il preventivo del pre-
guerra4.
Questa internazionalizzazione del conflitto portò la guerra a durare tre anni, è stimato che con
i mezzi che possedeva la Spagna in quel periodo il conflitto non sarebbe durato più di 6 mesi.
-Il fronte repubblicano ricevette un concreto appoggio militare dalla Francia e soprattutto
dall’Unione Sovietica, oltre che dalla partecipazione attiva di numerosi volontari stranieri, tra
cui antifascisti italiani inquadrati nelle Brigate internazionali. Inoltre ebbe l’appoggio del
Messico (appoggio più di forma che di sostanza)
-L’Italia fascista e la Germania nazista si schierarono, coerenti con le proprie ideologie, con i
nazionalisti nel nome di una cruzada (crociata), come lo stesso Franco la definì, contro la
barbarie bolscevica e per l’instaurazione di un ordine nuovo in Europa. Anche il Portogallo si
schierò con Franco (Oliveira Salazar, dittatore portoghese, inviò armi e circa 10.000 uomini)
Al termine del conflitto il numero dei morti fu di circa 650.000 persone, il tasso di natalità
diminuì notevolmente mentre aumentava il livello di mortalità.
A seconda di molti storici la guerra civile spagnola fu un esperimento della II guerra
mondiale, dove le fazioni partecipanti provarono diverse strategie di guerra e impiegarono
numerose armi che sarebbero state poi usate nel conflitto globale.
4 José Ángel Sánchez Asiaín, Economìa y Finanzas en la Guerra Civil Española, Real Academia de la Histora
Madrid, 1999, p. 92.
18
1.6 L’oro di Mosca e la crisi monetaria
Nell’ambito delle relazioni internazionali e degli appoggi che entrambe le fazioni stavano
portando avanti, uno degli eventi principali che hanno maggiormente segnato la storia della
Spagna e della sua credibilità economica internazionale fu sicuramente “l’oro di Mosca”.
Con questo termine ci si riferisce all’operazione di invio di 510 tonnellate in monete d’oro,
corrispondente al 72,6 delle riserve auree della Banca di Spagna, dal suo deposito a Madrid
verso l’Unione Sovietica e mai più riconsegnate. A pochi mesi dall’inizio della guerra civile
su decisione del governo spagnolo della II Repubblica, allora governato da Francisco Largo
Caballero e su iniziativa del Ministero dell’Economia e Finanza guidato da Juan Negrin, si
decise per l’invio delle proprie riserve auree con destinazione Mosca. La quarta parte restante
delle riserve della Banca Spagnola, circa 193 tonnellate di oro, fu trasportata e modificata in
valute verso la Francia, operazione che prende il nome di “oro di Parigi”.
La storia riguardante l’operazione “oro di Mosca”5 è piuttosto controversa e ancora non
completamente chiara, sia per le
motivazione che spinsero il governo
spagnolo nell’invio di tale portata
valutaria sia nella sua stessa espressione
che durante gli anni avvenire venne
spesso utilizzata a fini propagandistici
come campagna anti sovietica.
In sostanza la Spagna, che per le
statistiche internazionali rilasciate dal
Bank for International Settlements nel
maggio del 1936 veniva registrata come
la quarta potenza al mondo per le sue
riserve auree, si trovò nel pieno di una
guerra civile depredata del proprio oro.
Le conseguenze di tale scelta furono la
5 Si veda anche: Beevor Antony, La guerra civil española. Critica, Barcelona, 2005; Botella Pastor, Virgilio,
Entre memorias. Las finanzas del Gobierno republicano español en el exilio. Sevilla, Renacimiento, 2002,
Garcia de Cortaraz, Fernando, «Rusia es culpable». Los mitos de la historia de España. Barcelona, Planeta,
2003; Kowalsky, Daniel, La Unión Soviética y la guerra civil española: una revisión crítica. Barcelona, Crítica,
2003; Viñas, Ángel, El oro español en la Guerra Civil. Madrid, Instituto de Estudios Fiscales, 1976
19
crisi monetaria che la Spagna soffrì nel 19376, la moneta che veniva coniata subì un duro
colpo ripercuotendosi sulle imprese e sui consumi. La credibilità finanziaria del governo
rimaneva bloccata tra le affermazioni di stabilità da parte dello stesso e nella sfiducia generale
della popolazione. Il Decreto del Ministero delle Finanze del 3 ottobre 1936 che richiedeva a
tutti gli spagnoli la consegna di tutti i metalli preziosi in forma monetaria che possedevano
lanciò l’allarme tra la popolazione.
Senza una riserva aurea utile a colmare la continua svalutazione della moneta (inoltre la
creazione di una seconda moneta da parte del gruppo falangista che iniziava a circolare nelle
zone conquistate dai franchisti), con il commercio interno ed esterno in profonda crisi e con
l’industria orientata solo nella costruzione di armamenti si cominciarono ad emettere grandi
quantità di moneta cartacea senza alcuna copertura metallica incrementando così il
circolante7. Il 30 aprile 1938 si calcolò la cifra del cartaceo messo in circolazione nell’area
repubblicana per un numero di 12.754 milioni di pesetas, un incremento del 265,8% rispetto
ai 3.486 esistenti al 17 Luglio del 1936 mentre nella zona sublevada (zona franchista)
circolavano 2.650 milioni rispetto ai 2.000 del 19368.
Questa situazione portò una elevata inflazione nella zona repubblicana e ricerca di metallo
prezioso (oro e argento) da parte della popolazione in seguito ad una veloce e inesorabile
svalutazione della peseta. Mentre nella zona nazionalista i prezzi aumentarono del 40% nella
zona repubblicana arrivarono anche al 1500%, le monete metalliche sparirono dalla
circolazione e furono sostituite da enormi quantità di cartaceo, inoltre le corporazioni
municipali e altre istituzioni locali provarono a coprire il proprio fabbisogno finanziario
stampando dei propri buoni provvisori cosa che aggravò ulteriormente la crisi economica e
portò ad un vero e proprio caos, non solo economico finanziario ma anche burocratico e
legislativo.9 I Nazionalisti colsero l’occasione e rafforzarono la loro propaganda dichiarando
che l’inflazione era stata causata in maniera premeditata, così facendo si poté dare la colpa al
libero mercato proponendo come salvezza per la Spagna la nazionalizzazione di tutti i prezzi,
6José Santacreu Soler, La crisis monetaria española de 1937, Universidad de Alicante, 1986, p.22-23. e 48. 7 José Ángel Sánchez Asiaín, Economìa y Finanzas en la Guerra Civil Española, Real Academia de la Histora
Madrid, 1999, p. 113. 8 José Ángel Sánchez Asiaín, Economìa y Finanzas en la Guerra Civil Española, Real Academia de la Histora
Madrid, 1999, p. 170. 9 José Santacreu Soler, La crisis monetaria española de 1937, Universidad de Alicante, 1986, p. 66.
20
i cambi e la economia in generale, la salvezza era seguire una politica economica basata
sull’autarchia.
1.7 Le conseguenze economiche del conflitto
Analizzando i tre settori produttivi nel dettaglio10:
Primario: il prodotto del settore agrario fu inferiore a quello del 1935 durante la guerra,
passando dal 76,8% di quell’anno al 72% del 1940 secondo i dati rilasciati dal Consiglio di
Economia Nazionale. Anche se questi dati si riferiscono alla sola produzione del grano, la
cosa più probabile è che si produsse una diminuzione del PIL nell’anno 1936 per poi
aumentare leggermente nel 1937, senza raggiungere i livelli del 1935, tornò a cadere nel 1938
per poi avere un leggero recupero nel 1939 e di nuovo una diminuzione nel 1940. A causa
della guerra e di altri numerosi fattori il settore primario, fonte principale del PIL spagnolo,
per numerosi anni ha vissuto di una continua fluttuazione economica, (cosa che si ripercuoterà
anche negli anni avvenire con lo spopolamento delle campagne verso i centri urbani).
Secondario: per quanto riguarda l’industria la produzione mineraria e siderurgica del 1936 fu
dimezzata rispetto al 1935 per poi collassare durante il 1937 fino ad essere un terzo del livello
per-bellico. Il recuperò iniziò solo nel 1938 giungendo nel 1940 ad un livello inferiore rispetto
al 1935 solo del 15%. Stessa sorte toccò alla produzione di energia elettrica (congiunta ad una
diminuzione notevole del consumo) passando dai livelli del 1935 ad una diminuzione del
110% nel 1940.
Terziario: l’unico settore che non ha avuto un comportamento difforme al periodo pre-guerra
a causa del suo pessimo sviluppo e della sua cattiva mala gestione in decade passate.
10 José Ángel Sánchez Asiaín, Economìa y Finanzas en la Guerra Civil Española, Real Academia de la Histora
Madrid, 1999, p. 91-98.
21
Nel complesso esistono diverse stime riguardanti la diminuzione del PIL spagnolo durante la
guerra civile, prendendo un arco temporale che va dal 1935 al 1940, si va da un massimo del
28,5% fino ad un minimo del 11% a seconda del tipo di studi effettuato, purtroppo sia a causa
di una situazione già debilitata nei primi decenni del ‘900 ( si vedano i conflitti con gli Stati
Uniti di America, la perdita delle colonie, la rivoluzione industriale mancata) e della guerra in
seguito i dati riguardanti la Spagna sono molto conflittuali. Secondo Jose Angel Sanchez
Asiaìn: alla vista delle diverse informazioni si può affermare che il PIL diminuì nel 1936 di
un quarto rispetto i livelli del 1935, diminuzione che sarà già di un terzo nel 1937. A partire
del 1938 (anno in cui i Nazionalisti presero gran parte della Spagna) inizia un leggero
recupero e nel 1939 torna ad essere un 80% del periodo prebellico, livello che torna ad
elevarsi ulteriormente nel 1940.
In conclusione il paese smise di produrre durante i tre anni della guerra l’equivalente
approssimato al PIL di un anno normale come quello del 1935.
1.8 L’inizio del Franchismo
Dal momento in cui Franco11 tentò di arrivare al potere, il 1 di Ottobre del 1936, iniziò la
creazione di un nuovo Stato attraverso la propaganda e idee che non contemplavano ideologie
del bando Sublevado (Repubblicano)
Il nuovo Stato, una dittatura militare sostenuta dagli ambienti clerical-conservatori, concentra
tutti i poteri nella figura del Capo di Stato, il generale Franco. A livello ideologico il
franchismo, al contrario del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco, non nasce con
un preconcetto dello Stato basato su una determinata ideologia. Franco attua idee dei
falangisti, del conservatorismo antiparlamentare, del cattolicesimo tradizionale, la negazione
del riformismo repubblicano e dell’ideologia comunista.
Franco si presentò attraverso una forte propaganda personale come uomo della provvidenza,
incaricato di una missione divina che incarnava l’unità nazionale.
Le idee del nuovo Stato erano già presentate dal 18 Luglio 1936:
La Spagna è unita e centralizzata, nessun separatismo. Si impone un ferrea centralità
dove l’amministrazione locale viene subordinata alla centrale.
11 Si veda: Paul Preston, Francisco Franco, I ed Oscar Storia, Arnoldo Mondadori Editore, 1997
22
La Spagna è mossa da ideali Cattolico-Cristiani e quindi dalla dottrina della Chiesa
Cattolica e dal nazional-cattolicesimo falangista. La Chiesa qualifica la guerra come
una crociata contro il nemico comunista, Franco sarà nominato Caudillo di Spagna per
la grazia di Dio. In cambio la Chiesa riceve il controllo della morale, dei costumi e
della educazione del popolo imponendo una forte morale tradizionalista e
conservatrice.
La dottrina ufficiale del regime franchista si basava sui principi della Falange e dei requetés.
Questi principi si trasformarono negli anni ’50 nel Movimento Nazionale, che fu l’unico
partito riconosciuto dal regime (le motivazioni verranno spiegate in seguito)
1.9 Struttura del Nuovo Stato
Il nuovo regime politico si stabilì come un sistema totalitario senza costituzione e senza
libertà democratiche. Dal punto di vista della sua struttura il nuovo Stato era basato:
La figura del Capo dello Stato: Franco concentra tutto il potere, esecutivo e
legislativo. Ricevette il nome di Caudillo de España e fu considerato simbolo e
reincarnazione della volontà della nazione Spagnola. All’inizio il suo potere non ha
nessuna limitazione legale fino al 1967 (Ley Organica del Estado).
Aprile 1939 Francisco Franco è Capo di Stato, Presidente del Governo, Comandante
delle forze armate e Capo dell’unico partito consentito.
Il partito unico: FET del las JONS (la Falange) che dal 1945 sarà il promotore dei
contenuti dottrinali del regime franchista. Successivamente si nominerà Movimento
Nacional e sarà l’unico canale per la vita politica, tutte le altre formazioni politiche
sono proibite e sottomesse ad una ferrea repressione e persecuzione politica. La
direzione del partito è nelle mani di Franco o da una persona da lui designata.
Il Sindacalismo Verticale. I sindacati verticali vennero creati con la Ley de Unidad
Sindacal e la Ley de Bases de la Organizacion Sindacal del 1940. Sono divisi in tre
settori, quello Campesino (contadino), Artigianale-Industriale e Marittimo, il loro
congiunto formava la Organizacion Sindacal del Movimiento. L’affiliazione al
sindacato era obbligatoria. Il sindacato diventa uno strumento al servizio del regime
dove lo sciopero veniva proibito e il licenziamento libero permesso.
Creazione di Corti che avevano carattere consultivo e deliberante, aiutavano Franco
nell’elaborazione delle leggi. Furono create con la Ley de Cortes del 1942. I
rappresentanti delle corti, i procuratori, erano designati dal potere centrale.
23
A livello territoriale tutto il sistema politico-amministrativo si basava nel principio di unità di
potere e nel centralismo. Le province sono dirette dai governanti civili e militari nominati dal
governo. I sindaci delle città con più di 100.000 abitanti dal governo mentre le restanti per
governanti civili.
1.10 La transizione post guerra
Al termine del conflitto era necessario passare il più rapidamente possibile da un’economia di
guerra ad una economia di pace. Il 1° Aprile 1939 viene firmata una legge riguardante la
rapida smilitarizzazione dell’industria e la riconversione verso attività normali.
I nazionalisti erano coscienti degli innumerevoli compiti da svolgere per poter riconvertire
l’intero sistema economico alla normalità. Assorbire i restanti territori rimasti ai
Repubblicani, normalizzazione del sistema produttivo, l’unificazione delle due monete, la
creazione di un nuovo sistema monetario non collegato a riserve metalliche, e la creazione di
un sistema economico-nazionalista.
La legge del 1° Aprile 1939 riportava: «la grande attività industriale che il Paese ha dispiegato
per la fabbricazione di elementi di tutte le classi che la guerra ha richiesto, deve, al terminare
di questa, canalizzarsi nuovamente in fattori normali».
Veniva pianificata la loro demilitarizzazione e veniva stabilito una prima articolazione
riguardante l’organizzazione delle imprese, sulle attività da sviluppare e sopra il personale
della stessa mantenendo come punto di riferimento il ritorno alla normalità (in questa legge
veniva regolamentata anche la prelazione per il licenziamento del personale, iniziando dai
lavoratori diretti ai campi di concentramento). La trasformazione del tessuto imprenditoriale
si pianificò con urgenza stabilendo la data del 5 Aprile 1939, quattro giorni la fine della
guerra, per dare inizio alla stessa.
Il modello economico si strutturava su tre idee principali: il rifiuto del liberismo economico,
del marxismo e la difesa di un nazionalismo economico di tipo autarchico, in secondo luogo
la colonizzazione di terreni agrari e in terzo luogo, come strumento essenziale per lo sviluppo
del nazionalismo economico e del controllo sociale dei lavoratori (industriali e agrari) la
creazione di un sindacato obbligatorio per gli imprenditori e i lavoratori che portasse al
termine di conflitti sociali tra lotte di classe con la sostituzione di un regime di armonia
sociale
24
Si provò a risollevare la critica situazione economica e sociale attraverso la creazione di
istituti quali: Istituto Nacional de Prevision, el Istituto de Reforma Agraria, el Instituto
Nacional de Colonización, nel mese di aprile si creò la Comision de Reconstruccion in tutte le
provincie spagnole. I primi rimedi riguardanti i settori economici, vennero presi in concreto
dal Servicios Nacionales creati durante la guerra, però l’organo più importante venne
costituito nel settembre del 1941 el Instituto Nacional de Industria (INI)12
1.11 Il Nazional-Sindacalismo Spagnolo
Il Nazional-Sindacalismo fu la proposta politica e economica-sociale del regime spagnolo,
che si sviluppa in Spagna a partire del 1931 per mano di Ramiro Ledesma Ramos, fondatore
della Juntas de Ofesinva nacional Sindicalista (JONS), continua con la Falange spagnola di
José Antonio Primo de Rivera e termina con il regime del generale Franco.13 Gli aspetti
principali furono il rifiuto del liberismo economico per un modello misto basato nella
proprietà privata e pubblica, l’interventismo di Stato, che si faceva da garante nel terminare la
lotta di classe che per anni aveva caratterizzato la Spagna e infine la creazione di un sistema
di sindacalizzazione obbligatoria mista di tutti i soggetti economici, contadini e operai, tecnici
e imprenditori. Questa filosofia di pensiero iniziò con Primo Rivera agli inizi degli anni ’30 e
venne portata avanti con franco attraverso la fusione dei due partiti politici di destra di quegli
anni.
“El fenómeno del mundo-decía José Antonio Primo de Rivera en noviembre de 1935-es la
agonía del capitalismo. Pues bien, de la agonía del capitalismo no se sale sino por una
urgente desarticulación del propio capitalismo: el capitalismo rural, el capitalismo bancario
y el capitalismo industrial, el capitalismo hace que cada hombre sea un rival por el trozo de
pan. Y el liberalismo, que es el sistema capitalista en su forma política conduce a ese otro
resultado que la colectividad pierda la fe en un principio superior, en un destino común”14
Il regime spagnolo concedeva allo Stato la direzione e la pianificazione di tutte le attività
economiche pubbliche e private per subordinarle all’Interesse generale, definito dallo Stato,
inoltre avrebbe dovuto impedire le speculazioni riguardanti i prodotti assicurando un prezzo
12 José Ángel Sánchez Asiaín, Economìa y Finanzas en la Guerra Civil Española, Real Academia de la Histora
Madrid, 1999, p. 100. 13 Si veda: Saz Campos Ismael: Fascismo y franquismo. ED PUV, Valencia, 2004, p.266, anche dello stesso
autore “España contra España. Los nacionalismos franquistas”, Ed Marcial Pons, Madrid, 2003. 14 Discorso di José Anonio Primo de Rivera durante il Consejo Nacional de Falange, 17 novembre 1935
25
giusto, consegnando la plusvalenza “non al capitalista, non allo Stato, ma al produttore
inquadrato nei suoi Sindacati”15.
Questa dichiarazione che consegnava i benefici al produttore, integrato nel sindacato, si
convertì durante il franchismo nell’attribuzione della plusvalenza allo Stato che, come da
ideologia, avrebbe messo tali entrate al servizio della nazione.
Per quanto riguarda l’inquadramento dei lavoratori del settore agrario avvenne tramite le
organizzazioni sindacali: Hermandades de Labradores, Ganaderos y Artesanos (Confraternite
dei Lavoratori, Vincitori e Artigiani), spinti dal 1939 per la Delegacion Nacional de
Sindicatos e avviati con la Ley de Organizacion Sindical del 1941 e leggi successive. Le
Hermandades avevano come fine l’unione sociale dei lavoratori e allo stesso tempo gli
interessi economici dei distinti settori contadini promuovendo inoltre attività di servizio per la
comunità rurale. All’interno di tali confraternite vi erano iscritti, i proprietari agricoli, gli
imprenditori agricoli, i lavoratori del campo, e i produttori indipendenti. Il suo schema
organizzativo interno consisteva ina una Sezione Economica formata da piccoli agricoltori e
imprenditori agricoli, e una Sezione Sociale comprensiva i lavoratori del campo ed eventuali,
esclusi dall’amministrazione economica.
A differenza del modello italiano, dove il sindacato era basato su due distinti sindacati
fascisti, lavoratori e imprenditori, che si univano in una corporazione, quello spagnolo
prevedeva un solo sindacato dove si iscrivevano obbligatoriamente tutte le classi sociali. Così
facendo si andava a creare una concezione sociale e politica corporativa struttura attraverso
una nuova formula, la Organizacion Sindical española, un sindacato misto che raggruppava
obbligatoriamente tutti gli imprenditori e i lavoratori del paese e che era amministrato sotto il
controllo del Partito Unico, il Partito Falange e della JONS, unificava così tutti sotto il
vincolo comune dell’interesse nazionale che puntava allo sviluppo economico.
La filosofia politica del Sindacato Verticale è opera del Fuero del Trabajo, approvato nel
1938, durante la guerra civile. Al suo interno aveva tre elementi ideologici: della falange, del
fascismo italiano, e una terza ideologia meno legata al nazionalsocialismo e più vicina a
concezioni di giustizia sociale e cattolicesimo. Fu la prima legge fondamentale dell’epoca di
Franco, al fine di articolare il Sindacato Verticale vennero approvate la Ley De Unidad
Sindical del 1940 e la Ley de Bases de la Organizacion Sindical nel medesimo anno. Questa
legge organizzava il Sindacato Verticale come organizzazione obbligatoria di imprenditori,
15 Primo de Rivera, José Antonio: Obras Completas, ed. Vicesecretaria de Educación Popular, Madrid, 1945
26
lavoratori e contadini in tre livelli: Sindacatos y Hermandades Locales (Sindacati e
Confraternite Locali), Centrales Nacional-Sindicalistas (Centrali Nazional-Sindacaliste) e
Sindicatos Nacionales con 24 Sindacati, per terminare con la gerarchia con il Delegato
Nazionale dei Sindacati.
Al fine di raggiungere gli obiettivi preposti nella loro programmazione sociale vennero create
le Obras Sindicales (Opere Sindacali) tra il 1939 e il 1942 che richiesero circa il 50% dei costi
e degli investimenti dei Sindacati Verticali. Vennero create come veicolo per diffondere i
nuovi valori del Nazional-Sindacalismo attraverso la rieducazione ideologica e culturale dei
lavoratori, queste Opere Sindacali comprendevano i vari ambiti sociali: sanitario, di
formazione professionale, alloggi, architettura etc. Uno studio riguardante l’efficacia sociale
delle Obras Sindicales ha dimostrato la loro insufficienza, oltre che per la negativa politica
economica portata dal regime, anche per la scarsa libertà di azione che il Sindacato Verticale
e le Obras avevano nel muovere e nel far cooperare politiche assistenziali, ad esempio nel
1947 i lavoratori affiliati all’Opera Sanitaria del 18 Luglio erano 350.000 e raggiunsero nel
1953 le 586.000 unità nel contempo le case costruite da parte dell’Obra Sindical del Hogar tra
il 1942 e il 1951 furono 16.000. Per quanto riguarda la Formazione Professionale nel 1945
esistevano 45 scuole con 6.600 alunni, nel 1953 arrivarono ad essere 105 scuole e 22.000
alunni.
Il problema principale di questa politica Sindacale, iniziata con Primo Rivera e portata avanti
da Franco fu il tentativo di instaurare una cooperazione e collaborazione sociale attraverso la
repressione, così facendo non si permise mai una lotta di classe che vedeva il potere
economico e le decisioni sociali sempre in mano di piccoli gruppi imprenditoriali, sia nel
settore agrario che nel settore industriale.
1.12 El Instituto de Reforma Agraria
Anche il settore primario con l’inizio dell’autarchia visse una nuova fase economica.
Dimenticata ormai la prima riforma agraria risalente il 1932, si articolò un nuovo modello di
relazioni lavorative caratterizzato dalla direzione statale, dalla creazione di una nuova
struttura sindacale e la proibizione di qualsiasi forma di protesta verso il regime.
Venne creato l’Instituto Nacional de Colonizacìon (INC) il 18 ottobre 1939 come strumento
della nuova politica agraria franchista, dipendente dal Ministero dell’Agricoltura, il primo
passo fu quello di devolvere le terre fino a quel momento ridistribuite ai contadini con la
riforma del 1932 (obiettivo della Seconda repubblica), per cambiare in una politica di
27
colonizzazione basata nella trasformazione radicale delle aree rurali, si puntava ad un
aumento della produttività, che permettesse ai gruppi di contadini delle zone agricole di avere
una forma di autosufficienza. Per ciò che riguarda la devoluzione delle terre già nel 1938 si
creò il Servicio de Recuperacion Agricola, al quale aderirono i latifondisti, in realtà la
consegna di tale terre ebbe inizio già durante la guerra civile con l’occupazione dei
Falangistas, secondo le stime di un totale di 6,3 milioni di ettari redistribuiti durante la
Riforma Agraria solo mezzo milione vennero riconsegnati legalmente attraverso gli organi
preposti16.
Per raggiungere l’aumento della produttività vennero riconvertite ampie terre, passando da
zone aride a zone coltivabili (si seguì il modello italiano), bonificando paludi e fossati
portando quindi ad un cambio importante a gran parte del paesaggio rurale, questo avvenne
soprattutto in Andalucia e in Extremadura.
I criteri e la politica dell’Istituto furono stabiliti per la Ley de bases de Colonizacion de
Grandes Zonas Regables promulgata nel 1939 e per la legge del 25 novembre 1940
riguardante la Colonizzazione di Interesse Locale che permise all’Istituto di finanziare quei
progetti di trasformazione e bonifica dei territori. A queste due leggi si aggiunse nel 1942 un
decreto che autorizzava l’INC di acquistare le aziende agricole volontariamente offerte dai
suoi proprietari. Nel 1946 si autorizzava inoltre l’espropriazione, tramite indennizzo, di quelle
aziende agricole considerati di interesse sociale.
Il suo definitivo sviluppo arrivava nell’aprile del 1949 con la Ley de Colonizacìon y
Distribucìon de la Propriedad de las Zonas Regables nella quale si classificano le terre in17:
I. Terre Escluse
II. Terre di Riserva
III. Terre in Eccesso
Nelle aziende agricole incluse nel processo di espropriazione i proprietari avevano diritto a
una parte sopra queste ultime. I proprietari con meno di 30 ettari continuavano con la
proprietà di tutta la superficie, quelli tra i 30 e i 120 ettari se ne vedevano riservati 30 ed
16 Carreras, Xavier e Carlos Barciela López Albert, Estadísticas históricas de España: siglos XIX-XX, Volume 3,
Fundacion BBVA, Bilbao 1989 17 Casanova, Julián, República y Guerra Civil. Vol. 8 de la Historia de España, dirigida por Josep Fontana y
Ramón Villares. Barcelona, Crítica/Marcial Pons. 2007, p. 49.
28
infine quelli con un possedimento maggiore a 120 ettari poterono mantenere un quarto di tutta
la superficie.
In definitiva tutte le politiche di riconversione della terra, da terreni secchi a terreni bonificati
portarono un grande vantaggio principalmente ai grandi proprietari terrieri, in cambio di
perdere una parte dei loro possedimenti si vedevano riqualificate intere zone con fondi statali.
Pe quanto riguarda il lavoro, l’obiettivo principale della regolamentazione del lavoro agrario
fu quello di mantenere la forma di dipendenza che obbligava il contadino ad entrare
“disciplinatamente” in un mercato del lavoro controllato dai proprietari. Venne applicata una
“brutalità preventiva”18 che permettesse il controllo da parte dei proprietari terrieri. La
durissima repressione esercitata nelle zone rurali generò nei contadini un’assoluta incapacità
di poter muovere qualsiasi protesta e qualsiasi forma di libertà. Di conseguenza si poterono
stabilire regole del mercato del lavoro molto vantaggiose per gli imprenditori, mentre i
contadini ricevettero livelli salariali bassi e una condizione lavorativa pessima.
Nel 1939 si decretò il ritorno ai salari effettivi del 1936, i salari dei lavoratori conobbero
incrementi infinitesimali rispetto all’aumento generale dei prezzi al consumo nei primi 5 anni
post-guerra.
D’altra parte il governo franchista non poteva che appoggiare coloro che a loro volta avevano
appoggiato los falangistas durante la guerra civile, muovendo politiche il loro favore.
L’interventismo dello Stato, nel settore agrario si attuò in maniera completa, nel caso del
grano si realizzarono, attraverso il Servicio Nacional de Trigo, norme che puntavano ad una
maggiore espansione dei campi coltivabili per raggiungere l’autosufficienza del sistema.
Venivano inquadrate le superfici adatte alla coltivazione sia a livello nazionale che a livello
18 Guzman, Sevilla Eduardo, La evolucion del campesinado en España, Ediciones 62, Barcelona, 1979
29
locale, veniva requisito da parte dello Stato il prodotto (grano e cereali) a prezzi fissi
controllando tutta la produzione, la commercializzazione e il consumo dello stesso. I
produttori erano quindi costretti a vendere allo Stato ad un prezzo fisso e infine lo Stato
rivende il prodotto ad un prezzo tassato
A causa della carenza di alimenti e di altri beni essenziali, Franco si vide obbligato a
mantenere un regime di razionamento, attuando attraverso la consegna da parte della
popolazione dei “libretti” per ottenere ogni settimana una determinata quantità di prodotti, in
generale di bassa qualità, per la Comisaria de Abastos.
Il fallimento di tale politica è visibile, ad esempio, quando nell’autunno del 1940 si dovette
ricorrere al razionamento del tabacco mediante la creazione e la distribuzione, tra i
consumatori, di una “tessera del fumatore”. Il razionamento degli alimenti si mantenne per
più di dieci anni fino il 1950; el Istituto Nacional de Estadistica (INE) registrava 28.552.440
libretti di razionamento individuali effettivi, per una popolazione che veniva individuata per
una totale di 28.086.052 abitanti, vi erano più fumatori che abitanti19. Solo dopo il 1949 iniziò
un libero mercato di alimenti di prima necessità, quali burro, baccalà (1950), patate (aprile),
lenticchie (luglio), latte condensato (settembre) fino attendere il 1952 con il pane, olio e carne,
procedendo definitivamente alla soppressione del razionamento.
L’insufficienza e la bassa qualità degli alimenti, le difficoltà nel far coincidere domanda ed
offerta di beni di prima necessità, l’isolamento internazionale (soltanto l’Argentina nel 1947
tramite Evita Peròn inviò sostegno alimentare) furono elementi basilari per la determinazione
dei livelli di vita degli spagnoli durante il post guerra, nella decade degli anni ’40 il livello di
mortalità aumentò nuovamente a causa di numerosi casi di tifo e tubercolosi, a peggiorare la
situazione ci fu anche il triennio 1944-1947 denominato da un profondo periodo di siccità. A
seguito del conflitto e dei primi anni del franchismo il tessuto produttivo e l’economia erano
scarsamente migliorati e in questa situazione prendeva forza il fenomeno del estraperlo
(mercato nero).
1.12.1 Colonización agraria en Andalucía
Viene conosciuto come processo di colonizzazione agraria in Andalusia, quel processo di
insediamento, mosso dello Stato, di agricoltori in zone bonificate tramite l’Istituto di
19 Jordi Maluquer de Motes, La inflaciòn en España un indice de precios al consumo, 1830-2012, Banco de
España, 2013, p. 77.
30
Colonizzazione (INC). L’obiettivo, come già argomentato, era quello di bonificare e rendere
coltivabili zone fino a quel momento aride e prive di aree sottoposte a coltivazione.
Nella provincia di Jaén, del totale delle terre che furono “colonizzate”, appena un quarto
vennero qualificate come terre in eccesso (le terre che potevano andare ad un nuovo
insediamento da parte dei coloni), mentre il 40.1% vennero riservate ai vecchi proprietari e la
parte restante vennero dichiarate escluse da tale progetto.
Questa politica supponeva la creazione di tutti quei servizi necessari all’insediamento di
nuove comunità e contrastò molto con la realtà economica spagnola, dato che tali
insediamenti necessitavano prima di tutto di collegamenti per il trasporto e le comunicazioni e
durante la prima metà degli anni 40 le difficoltà di sviluppo della Spagna erano evidenti.
Si scelse in seguito per la creazione di nuovi paesi vicini a zone agricole, questa situazione
secondo alcuni autori creò un’ulteriore disagio al sud, consolidando la visione storica della
proprietà terriera perpetuando inoltre un isolamento con il resto della società. Questa politica
fallì come conseguenza della sua incapacità di assicurare uno sviluppo economico sostenibile
nel tempo lasciando le zone di nuovo insediamento di fatto in mano ai grandi proprietari
terrieri inoltre l’impossibilità di aumentare le dimensioni di terreni coltivabili e le dimensioni
stesse di numerosi paesi, comportò allo stesso tempo un’incapacità della crescita della
popolazione obbligando a livello storico le nuove generazione ad un’emigrazione forzata.
Quando nel 1975 finì la politica di nuovi insediamenti, in Andalusia vennero costruite: 101
nuovi nuclei di popolazione, con 8.622 nuovi alloggi più altre 448 disperse nel territorio;
proprio la provincia de Jaén, con 22 paesi, fu quella che concentrò maggiormente
l’interventismo statale, seconda fu Sevilla con 19.
Per quanto riguarda la provincia di Almeria i paesi di nuova costruzione furono concentrati
vicino la zona di Nijar: Atochares, Campohermoso, Puebloblanco, San Isidro,
1.12.2 Estraperlo
Il termine estraperlo20 o straperlo è usato in Spagna per riferirsi al commercio illegale di beni
esclusi da qualsiasi tipo di imposta o tassa da parte dello Stato, è un’attività illegale e viene
usato come sinonimo di mercato nero. L’origine del nome viene da uno scandalo di
20 Si veda: García Rodriguez Josè Carlos, El caso Strauss. El escándalo que precipitó el final de la II República,
Editorial Akrón, Astorga, León, 2008
31
corruzione politica avvenuto in Spagna durante la Seconda Republica Española, periodo i cui
il gioco d’azzardo risultava essere illegale, questo perchè venne introdotta nel mercato una
roulette elettrica di marca Straperlo sotto pagamento di tangenti ad alcuni esponenti
dell’allora governo Radical-Cedista.
Durante la decade degli anni quaranta tutti i vari fattori prima enunciati fecero crescere il
mercato nero in Spagna. L’eccessivo controllo statale nella produzione del settore primario
comportò nel corso degli anni un’occultamento della produzione da parte degli agricoltori che
commercializzavano fuori dal mercato ufficiale con ampi margini di guadagno. Nel 1943 a
Bilbao il prezzo del pane raggiunse l’800% rispetto il prezzo ufficiale, un 686% nel dicembre
del 1944 e un 600% nel dicembre del 1945, da analisi economiche della convergenza tra
domanda ed offerta risulta che la produzione ufficiale più quella del mercato nero fosse
inferiore a quella che vi sarebbe stata in mercato di non intervenzione21.
Da questa situazione, gli storici economici convergono che la causa fondamentale di questa
crisi agraria è radicata nel carattere nel regime e il suo vincolo alle potenze fasciste, con una
politica economica che cercava un’autosufficienza di impossibile arrivo. I maggiori
beneficiari furono invece i grandi proprietari terrieri che poterono arricchirsi con il mercato
nero e negli anni ’50 puntare a finanziare lo sviluppo del settore agrario e di quello
industriale.
1.13 Instituto Nacional de Industria (INI)
La politica industriale del primo franchismo, autarchia e interventismo, ostacolò e impedì le
operazione con l’estero da parte delle aziende spagnole, aumentando così la grave crisi che
ormai la Spagna viveva da diversi anni. Il periodo storico di questa Grande Depressione va
dal 1936 al 1950 andando controcorrente rispetto gli altri paesi europei che con la fine della
guerra videro una graduale ripresa della propria economia. La politica industriale seguita dal
regime spagnolo era anche frutto dell’isolamento che viveva con il terminare della seconda
guerra mondiale, cosi mentre in casa veniva seguita una politica di autarchia per giustificare il
proprio desiderio di autosufficienza, nel contesto internazionale la Spagna era ormai
boicottata da quasi tutti i paesi. Lo strumento chiave dello Stato per il raggiungimento del
proprio progetto di nazionalizzazione fu la creazione dell’Istituto Nacional de Industria (INI),
creato per legge il 25 Settembre del 1941, come cita l’articolo 1 con la missione di “attivare e
21 Carreras, Albert; Tafunell, Xavier, Historia económica de la España contemporánea (1789-2009), Critica,
2010 p.285.
32
finanziare, al servizio della nazione, la creazione e il risorgimento della nostra industria,
specialmente quelle che si pongono come fine principale la risoluzione dei problemi imposto
per le esigenze di difesa del paese o di quelle che si volgeranno verso il raggiungimento della
nostro autarchia economica”.
Le imprese di questa holding pubblica, qualificate come di “interesse nazionale”, ottennero un
trattamento di preferenza nella distribuzione di quote, crediti, licenze per l’importazione e
altri privilegi, soprattutto quelle appartenenti a quei settori considerati strategici per la difesa e
lo sviluppo della nazione (chimico, siderurgico, elettrico…).
Si seguì il modello italiano dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), creato nel 1933
per combattere gli effetti della crisi del 1929. Con questo tipo di politica protezionistica e
interventista da parte dello Stato, quello che è certo è che le imprese dell’INI, funzionarono al
margine delle imprese internazionale, con mercati riservati e “controllati”, senza preoccuparsi
dei costi opportunità o dei vantaggi competitivi22, in questo contesto durante le decadi future
la competitività delle industrie spagnole ne risentirà notevolmente rispetto le altre imprese
internazionali.
Il principale attore dell’INI fu Juan Antonio Suanzes Fernandez, un militare nazionalista in
stretta relazione con Franco che come Ministro dell’Industria e del Commercio nel prima
parte della dittatura franchista fu uno dei maggiori promotori dell’autarchia economica nel
postguerra spagnolo, fu presidente dell’INI dal 1941 al 1963.
Nonostante l’avvio di numerose imprese e la tentata nazionalizzazione del settore industriale
spagnolo, l’INI, cosi come la Spagna, aveva bisogno di investimenti esteri, di importazioni e
di maggiori relazioni con gli altri attori economici di quel periodo.
La mancanza di materie prime in Spagna era notevole, e nonostante si tentasse di dar via ad
un processo di industrializzazione del paese, la stessa nazione non possedeva risorse per poter
fronteggiare un simile sforzo, almeno nel breve periodo. Era quindi necessario ricorrere
all’assistenza, tecnica, commerciale e finanziaria delle imprese Europee e Statunitensi, in
sostanza per rincorrere la propria autosufficienza era necessario aiuto straniero occidentale.
Cosi dopo una prima fase di avviamento dell’autarchia industriale verso la metà degli anni
quaranta le cose iniziarono a mutare
22 Esther M. Sánchez Sánchez, Autarquía y asistencia exterior: las empresas francesas y el INI de Suanzes,
1941-1963, IX Congreso de la AEHE
33
Dalle dichiarazioni di Suanzes al diario Arriba venivano illustrate chiaramente le intenzioni
del governo: «I contributi di tecnica o di capitale straniero per potenziare la nostra industria
o la nostra economia in generale sono, non solo ben accolte, ma anche stimolate e
desiderate».23
L’INI, per quanto riguarda le relazioni estere, ottenne un canale di preferenza attraverso
licenze di importazione, autorizzazioni di investimento e denaro necessario per comprare i
prodotti e i servizi esteri. Questo aumento degli investimenti si vide nella decade degli anni
’50 che furono superiori a quella degli anni ’40. Per far ciò vi fu un notevole cambio di
politica economica a metà degli anni quaranta (anche il passaggio dai Falangista al
Movimiento Nacional fu proiettato in quest’ottica, questo passaggio verrà ripreso
successivamente). Nonostante questo mutamento ad una politica più liberale, nel 1957 si
manifestò un forte deficit commerciale e un’inflazione elevata, si tentò di risollevarla con il
Plan de Estabilización del 1959 e proprio in questo periodo l’INI dovette abbandonare
definitivamente l’idea di autosufficienza industriale e tecnologica, vennero le dimissioni di
Suanzes24 sostituito da José Sirvent Dargent.
23 Mendoza, Gomez Antonio, El fracaso de la autarquía: la política económica española y la posguerra mundial
(1945-1959), Espacio, Tiempo y Forma, Serie, H. Contemporanea, 1997, pp. 297-313
24 Per ulteriori approfondimenti riguardanti Suanzes Juan Antonio si veda: Ballestero Alfonso, Juan Antonio
Suanzes 1891-1977. La política industrial de la postguerra, León, LID Editorial empresarial. 1993; Martín-
Aceña Pablo y Comín Comín, Francisco, INI, 50 años de industrialización en España, Madrid, Espasa-Calpe,
1991.
34
CAPITOLO 2
L’APERTURA AL SISTEMA INTERNAZIONALE E IL MIRACOLO ECONOMICO
Il secondo periodo franchista va dal 1945 al 1959, durante questa fase inizia una prima
riconversione degli orientamenti politici nel tentativo di acquisire una legittimità
internazionale che porterà la Spagna ad entrare in diversi organi quali UNESCO, FAO e ONU
ma soprattutto al fine di essere inclusa negli scambi internazionali a causa del fallimento
dell’autarchia nei vari settori.
Con il passaggio al Nazional-Cattolicesimo la Spagna iniziò prendere parte a questi scambi
stringendo relazioni con numerosi paesi come Francia, USA, Italia etc…
L’abbandono dell’autarchia coincideva con questa apertura internazionale che iniziò a pesare
sui bilanci dello Stato: le importazioni a metà degli anni ’50 cominciarono ad essere notevoli
mentre le esportazioni erano ancora flebili, questa situazione portò ad un forte deficit nella
bilancia commerciale del paese e ad un’elevata inflazione. Le riserve di moneta degli altri
Stati stavano per esaurirsi e iniziava un lungo processo di indebitamento con l’estero.
Per far fronte a queste problematiche vi fu un cambio nella struttura governativa dando
maggior ruolo a tecnocrati e attraverso varie riforme il periodo 1959-1973 verrà denominato
“El milagro economico Español”.
2.1 La fine della guerra e l’isolamento della Spagna (1946-1953)
Con l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista inizia, nel settembre del 1939 la
II Guerra Mondiale, cinque mesi dopo la fine della guerra civile spagnola.
La possibilità di instaurare un nuovo impero spagnolo nel nord Africa portò Franco a
modificare il suo iniziale pensiero di non belligeranza durante il conflitto mondiale. Nell’
Ottobre del 1940, Hitler e Franco si incontrano per discutere dell’entrata in guerra della
Spagna, l’incontro durato 7 ore non porterà accordo, nel tentativo di convincere Franco, viene
incaricato Mussolini per fare da mediatore, ma anche con quest’ultimo la cosa non avrà
riscontro finale. L’unico momento storico di reale invio di truppe da parte della Spagna nel
conflitto è quando la Germania iniziò un’offensiva militare contro la Russia di Stalin, nella
stessa Spagna la colpa della guerra civile veniva additata al comunismo, così facendo Franco
autorizza la formazione di un gruppo di volontari, la Division Azul, da inviare in aiuto della
35
Germania, in questa maniera la Spagna partecipa alla guerra senza esservi mai entrata
formalmente. In due anni 47.000 spagnoli combatterono nel Fronte Azul.
La fine della seconda guerra mondiale segna anche la fine del nazionalsocialismo e del
fascismo in Germani e in Italia. Con la vittoria degli alleati la Spagna di Franco, insieme al
Portogallo di Salazar, rimane l’unico regime a sopravvivere nonostante l’appoggio dato alla
Germania Nazista di Hitler.
Nel 1946 l’Organizzazione delle Nazioni Unite, capeggiate dai paesi vittoriosi nel conflitto
globale, escludono la Spagna dal suo ingresso e inoltre consigliano agli altri paesi di rompere
qualsiasi rapporto con la Spagna (solo il Portogallo e qualche paese del Sud America si
rifiutano di seguire tali indicazioni). Conseguentemente tutti gli ambasciatori degli altri paesi
lasciano la Spagna, la Francia chiude la sua frontiera, Franco risulta così essere totalmente
isolato rispetto il mondo esteriore. Numerose furono le manifestazioni patriottiche organizzate
durante quegli anni per avvalorare il rispetto popolare al regime. In questo clima di
isolamento internazionale i due principali settori, agrario e industriale, come prima già
esplicato, ne risentirono profondamente obbligando così il Caudillo a modificare la sua
politica.
Dalla seconda metà degli anni quaranta i Falangisti perdono terreno nel governo a discapito
dei cattolici che sempre più con gli anni a venire diventarono protagonisti. La Falange
Espanola Tradicionalista cambia il nome del proprio partito in Movimiento Nacional inoltre il
saluto romano smette di essere il saluto nazionale. Il regime cerca di prendere distanza
dall’ideologia e dalla forza fascista per concentrare il cambio verso un movimento
maggiormente cattolico, dove le processioni, le funzioni religiose, gli esercizi spirituali si
celebrano consistentemente in tutto il paese. Per il regime è una necessità di politica interna
36
che viene vista come una riaffermazione di fronte all’isolamento esterno a cui è costretta,
sono gli anni del Nacional Cattolicesimo.
Al fine di rafforzare la propria legittimità, nel 1947 il governo indice un referendum
riguardante la Ley de Sucession, la Spagna si costituisce in regno anche senza Re, a Franco
viene riconosciuto il diritto di scegliere il proprio successore, la legge viene approvata per il
93% della popolazione.
Tutta questa serie di trasformazioni interne portano ad un cambio nel comportamento
internazionale da parte degli altri paesi, nel 1950 gli ambasciatori che 4 anni prima avevano
lasciato Madrid iniziarono a tornare dopo che l’ONU sospese le sanzioni contro la Spagna,
nell’agosto del 1953 viene firmato a Roma il concordato con la Santa Sede, in questo modo
Franco si garantiva l’appoggio della Chiesa e l’affermazione del proprio Stato.
Soltanto il mese successivo, la Spagna firma con gli
Stati Uniti d’America un trattato di cooperazione, in
cambio di aiuti economici da parte degli USA
vengono concesse autorizzazioni per l’insediamento
di quattro basi militari Nord Americane nella penisola
Iberica, per Franco questo risulta essere la sua più
grande operazione diplomatica, continuando a mantenere la sua egemonia politica e la sua
autorità nel proprio paese riesce ad ottenere il rispetto degli Stati Uniti, il riconoscimento
internazionale al regime termina nel 1955 con l’ingresso della Spagna nell’ONU. Il cambio
definitivo nei confronti di Franco avviene con l’incontro del 1959 a Madrid con il Presidente
americano Eisenhower.
Questo cambio di fronte negli anni cinquanta è portato avanti dall’estrema necessità di scambi
internazionale che aveva la Spagna con il resto del Mondo, dal suo profondo stato di
arretratezza e dal clima internazionale, che come il periodo ante guerra civile vedeva
surriscaldarsi i rapporti tra le grandi potenze mondiali in coincidenza con la guerra di Corea
(1950-1953). Non a caso la Spagna inizia a stringere accordi fondamentali per il proprio
sviluppo con gli Stati Uniti e la Francia in questo periodo, la guerra fredda avanzava e con
Franco si trovò il punto in comune: l’anticomunismo. All’interno dello Stato spagnolo la
repressione e il controllo erano sempre più forti e di concessioni democratiche non se ne
vedevano, il ventennio seguente rappresenterà il periodo di maggior crescita economica per la
37
Spagna attraverso una maggiore apertura internazionale e il definitivo consolidamento di
Franco.
2.2 La ripresa industriale e i rapporti economici con la Francia
La guerra civile e la seconda guerra mondiale avevano cambiato radicalmente le relazioni
internazionali della Spagna.
Le uniche nazioni che potevano effettivamente aiutare la Spagna erano le stesse vincitrici
della II guerra mondiale: la Francia, perché confinante e gli Stati Uniti. Entrambe le nazioni
consideravano la penisola iberica una “rete di grandi opportunità” di grande utilità nel medio-
lungo periodo.
Non entrando eccessivamente nei rapporti relazionali portati avanti dai due paesi, durante gli
anni, anche nella prima fase franchista, si erano strette conoscenze e una rete di collegamenti
tra l’INI e soggetti privati di varie industrie francesi. Così nel 1945 una delegazione di tecnici
francesi, presidiata dal Ministro della Produzione Industriale, Jean Chalopin, viaggiò fino alla
sede dell’Ini a Madrid, al fine di stabilire direttamente l’opportuno contatto per trattare di tutte
quelle questioni che l’Istituto considerava di interesse in relazione agli affari e le attività che
sono proprie, questo viaggio servì anche per visionare da parte di enti esteri la
documentazione interna del INI per poter mettere l’istituto in contatto con quelle industrie
francesi considerate le più importanti per contribuire all’industrializzazione del paese.
Negli anni ’50, uno degli episodi di collaborazione tra l’INI e la Francia fu il Protocollo
finanziario del 1953, nel quale un consorzio di banche francesi, sostenuto dalla Stato e
capeggiato dal Banque de Paris et des Pays-Bas (Paribas), concesse alla Spagna un credito di
15.000 milioni di franchi, a basso tasso di interesse e rimborsabili in un arco temporale dai 3
ai 7 anni. L’obiettivo era finanziare l’acquisto ad imprese francesi di beni destinati alla
costruzione di infrastrutture in Spagna. Il 60,7 % del credito servì a fermare società
dell’Istituto (il resto venne diretto verso RENFE) e si riparti in questa maniera: ENSIDESA
(6.500 milioni di franchi), ENHER (1.436), EN Elcano (524), EN de Autocamiones (221),
SEAT (120), EN Aluminio (200) e EN Industrialización de Residuos Agrícolas (114)
Tra i settori maggiormente coinvolti in questa collaborazione vi fu quello petrolifero. Nella
sua prima fase l’INI aveva dato luogo a numerosi investimenti al fine di trovare giacimenti
nella propria nazione, dopo numerosi tentativi la cosa non portò risultati e il presidente
dell’istituto Suanzes dovette ammettere il fallimento, in quegli anni il petrolio era una risorsa
molto rara e non era presenta in gran parte della Spagna. La cosa in realtà mosse
38
particolarmente l’ingegno degli spagnoli che avevano creato mezzi alternativi alle macchine
alimentate a petrolio; tra i casi più rilevanti vi fu el autopedal (piccolo mezzo a quattro ruote
spinto a pedali) e taxi che funzionavano a batterie ricaricabili.25
A metà degli anni ’50 Suazes propose due possibili orizzonti di collaborazione con le
industrie petrolifere francesi: la prospezione e l’esplorazione dei territori spagnoli e francesi
nel nord dell’Africa, e la creazione di una società mista franco-spagnola che si sarebbe
incaricata di gestire questo coordinamento e nella coordinazione di obiettivi futuri. L’interesse
dell’Istituto era concludere l’accordo prima del 26 dicembre 1958, anno della nuova legge
sugli Idrocarburi che nelle sue questioni aveva anche un aumento dell’iniziativa privata nel
settore petrolifero, cosa che avrebbe obbligato le imprese dell’Ini a concorrere con altre
imprese private e straniere nell’aggiudicazione dei permessi di esplorazione, d’altra parte
anche le aziende francesi erano interessate ad un simile accordo al fine di aumentare le
proprie quote di mercato anche in Spagna.
Dopo svariati anni di trattative l’INI e le imprese francesi firmarono i loro primi accordi di
collaborazione verso la fine degli anni cinquanta ed inizio dei sessanta. Tra questi importanti
furono quelli conclusi con IFP, il Bureau de Recherches de Pétrole (BRP) e la S.A. Française
de Recherches et d’Exploitation de Pétrole (SAFREP). L’IPF si impegnò ad assistere l’INI
nell’elaborazione di un inventario sopra le risorse petrolifere del territorio spagnolo come
contro parte vennero vendute a ENCASO licenze per la fabbricazione di acetone e metile (per
ENCASO non si trattò del primo accordo raggiunto con aziende francesi, già negli anni
quaranta vi furono i primi accordi). Nel 1959 l’INI raggiunse un accordo con BRP che
regolamentava la co-partecipazione nell’esplorazione di giacenze petrolifere nel Sahara
spagnolo e nel Sahara francese, due anni successivi raggiunse con la SAFREP accordi simili.
Durante gli ultimi anni di presidenza di Suazes l’Istituto concluse un accordo con la
Compagnie de Participations de Recherches et d'Exploitations Petrolières (Coparex) per la
conca di Guadalquivir, un altro con Compagnie Française des Pétroles (CFP) per effettuare
ricerche nei Pirinei. Inoltre varie aziende francesi e l’INI co-parteciparono nell’Empresa
Nacional de Petróleos de Aragón S.A. (ENPASA) e nella a Empresa Nacional de Petróleos de
25 Già nel 1941 Henry Ford presentò al mondo la prima macchina interamente realizzata con un materiale
plastico ottenuto dai semi di soia e di canapa, e alimentata da etanolo di canapa, la Hemp Boby Car. Si veda
anche: Bryan, Ford Richardson, Henry's lieutenants, Wayne State University Press, 1993; Maxwell,
James, Plastics in the automotive industry, Woodhead Publishing 1994
39
Navarra S.A. (ENPENSA) entrambe costituite nel 1960. Le ragioni di due imprese era
superare la limitazione della legge sugli Idrocarburi e delle limitazioni imposte all’epoca sulle
quote di capitale che potevano essere detenute da gruppi statali stranieri.
Altri settori coinvolti in questa collaborazione franco-spagnola furono quello dell’aviazione,
quello riguardante l’elettricità, attività minerarie e altri inerenti le materie prime.
L’impresa pubblica francese Electricité de France (EDF), creata nel 1946, si relazionò dai
suoi primi anni di funzionamento con i produttori spagnoli di energia elettrica (pubblici e
privati), con l’obiettivo di relazionarsi il più possibile negli scambi tra i due paesi. La Francia
necessitava importare energia elettrica durante l’inverno, periodo nel quale le sue riserve
idrauliche diminuivano a causa della stagione e vendere le sue eccedenze in estate, durante il
disgelo, periodo che coincideva con la siccità spagnola.
Negli anni ’50 e nei primi anni ’60 si sottoscrissero numerosi accordi tra EDF e le principale
aziende spagnole produttrici di energia elettrica, in questi accordi venne sottoscritto che la
Francia avrebbe ricevuto sempre energia (inverno) mentre la Spagna avrebbe pagato una parte
in energia (estate) e un’altra in valuta estera, che poi sarebbero state investite in acquisizioni
di beni da parte delle aziende francesi destinate alle infrastrutture spagnole.
In questo scambio entrambe le nazioni puntano a risultati positivi: la Spagna incrementa le
sue riserve di valuta estera e la Francia amplia il suo margine di esportazione.
Hidroeléctrica Moncabril concluse nel 1955 un accordo per somministrare energia invernale a
EDF (dal 15 novembre al 15 arile), in cambio riceve energia estiva (dal 1° giugno al 30
settembre) e in aggiunta valuta estera. L’anno seguente, Moncabril, in collaborazione con la
Empresa Nacional Hidroeléctrica del Ribagorzana (ENHER), la Empresa Nacional de
Electricidad S.A. (ENDESA) e ENCASO conclusero un accordo con EDF per il regolare
immagazzinamento in Francia di una parte dell’energia destinata in Spagna.26
26Esther M. Sánchez Sánchez, Autarquía y asistencia exterior: las empresas francesas y el INI de Suanzes, 1941-
1963, IX Congreso de la AEHE
40
41
2.3 Il ceto dei tecnici e lo sviluppo economico
L’economia negli anni 50 iniziò lentamente a crescere, presentando però numerosi problemi:
una forte inflazione, un deficit commerciale elevato, salari bassi ecc.; la Spagna e il Portogallo
erano i paesi più poveri dell’Europa Occidentale, questi motivi stavano spingendo il paese
verso la bancarotta. Era quindi necessario un cambio nella politica economica per permettere
al regime di sopravvivere. Nel 1957 si formò un nuovo governo che decise per una maggiore
liberalizzazione economica.
Per la prima volta nella storia europea, si andò a formare un governo tecnocratico, del quale
diversi elementi facenti parte dell’Opus Dei.
A livello storico questo episodio rappresenta tutt’ora fonte di discussione tra i rapporti
“controversi” tra Franco e la Chiesa, nel dettaglio vennero nominati alcuni specialisti ben
qualificati, che provenivano da banche e dal mondo universitario. Due di loro erano membri
dell’Opus Dei: Alberto Ullastres, docente di storia dell’economia nell’Università di Madrid,
fu nominato ministro del Commercio; Mariano Navarro Rubio, direttore amministrativo del
Banco Popular, fu chiamato al ministero delle Finanze. In seguito si aggiunsero Gregorio
Lopez Bravo, come ministro dell’Industria e Laureano Lopez Rodò, come ministro senza
portafogli e commissario generale del paino di sviluppo economico, questi due qualche anno
dopo, in epoche diverse, furono anche ministri degli Esteri.
I tecnocrati orientavano il proprio lavoro verso l’efficacia tecnica ed economica, lasciando
alle spalle i presupposti ideologici e politici del primo franchismo. Il cambio definitivo può
essere ravvisato quando dopo più di un decennio caratterizzato dall’INI e dalla presidenza di
Suazes, con le sue dimissioni nel 1963 si venne a creare una chiaro passaggio di consegne del
potere dei gruppi presenti al potere fino a quel momento, fu esattamente il momento in cui
López Rodó passò in prima linea nella politica economica nazionale, utilizzando i piani di
sviluppo come effettivo strumento di potere che gli permisero di situarsi come il nuovo uomo
forte della politica economica nazionale. Questo passaggio può anche essere visto come la
vittoria definitiva dei tecnocrati del Opus Dei sopra il gruppo che tradizionalmente aveva
guidato il governo, i nazionalisti della Falange.27
Nonostante le critiche, nella decade degli anni 60, attraverso il governo tecnocratico, la
Spagna visse un periodo di profonda trasformazione economica, culturale e di pensiero.
27 Si veda: Jose Luis Comellas “Historia de España contemporanea” Ediciones Rialp S.A, Madrid, 1988; Jensen
Geoffrey, Franco: Soldier, Commander, Dictator, Washington D.C.: Potomac Books, Inc., 2005. p. 110-111
42
Nel periodo di pre-stabilizzazione 1957-1958 vennero attuate diverse riforme economiche sia
sul piano interno, politiche fiscali che puntavano a maggiori entrate statali e politiche
monetarie che implicavano l’aumento del tasso di interesse per frenare l’inflazione; sul piano
esterno si puntò alla fine dei cambi multipli e ad una svalutazione della moneta.
Inoltre la Spagna entrava in diversi organismi economici sovrannazionali, nel 1958 nel Fondo
Monetario Internazionale (FMI) e un accordo di associazione con l’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nel 1958 con l’ingresso ufficiale in tale
organismo nel 1959.
Questo biennio di pre-stabilizzazione non sembrò portare effettivi risultati infatti l’inflazione
non diminuì e il deficit con l’estero andò aumentando.
43
2.4 El Plan de Estabilización de 1959
Dopo la disastrosa parentesi della politica economica autarchica e del fallimento delle
politiche economiche del biennio 1957-1958, fu chiaro che per la sua crescita economica la
Spagna aveva bisogno di maggiori contatti con l’estero, l’iniziale apertura la mercato estero
verso la metà degli anni 50 implicò una crescente domanda di importazioni di prodotti
(energetici e attrezzature), che portò la bilancia commerciale spagnola ad un elevato saldo
negativo mentre l’inflazione si situava a livelli molto elevati e le risorse finanziarie sempre
più scarse.
Per far fronte a simile situazione le autorità spagnole che, dopo il loro ingresso verso la fine
degli anni 50 in organismi economici sovrannazionali, potevano contare dell’aiuto tecnico e
economico degli organismi internazionali competenti (Fondo Monetario Internazionale e
OCSE) e dell’aiuto degli Stati Uniti d’America, pianificarono un progetto per terminare con
l’autarchia, liberalizzare l’economia spagnola (minore intervento statale) e permettere la sua
crescita. Questo progetto venne realizzato, dopo le misure adottate nel 1957, nel 1959
attraverso el Plan de Estabilización (Piano di Stabilizzazione). Il piano fu elaborato con la
partecipazione degli economisti Juan Sardà e Enrique Fuentes Quintan28a e fu approvato
tramite decreto legge il 21 Luglio del 1959 (l’approvazione venne portata avanti nonostante le
numerose critiche da parte di alcuni esponenti e vari ministri del governo). Gli obiettivi erano
l’introduzione della Spagna nel libero mercato attraverso una sua maggiore apertura con
l’estero.
Il piano prevedeva le seguenti politiche:
Scelta di un cambio stabile e fisso della peseta con altre valute (il cambio con il
dollaro passò da 1$-47 pesetas a 1$-60 Pts, quindi una forte svalutazione della propria
moneta)
Politica monetaria restrittiva (incremento dell’interesse, soppressione delle emissioni
di debito pignorabili, limiti alla crescita del credito bancario)
Abolizione del sistema di licenze per l’importazione e progressiva apertura agli
scambi internazionali
Riduzione della spesa pubblica e congelamento degli stipendi dei funzionari
Riduzione salariale per contrastare l’inflazione
Riduzione dell’interventismo statale nell’economia
28 Si veda Fusi Juan Pablo, El boom económico español. Cuadernos Historia 16, n°34, Barcelona, 1985
44
Promozione delle esportazioni
Stimolazione degli investimenti stranieri (esclusi settori quali: industria di guerra,
servizi pubblici e attività relazionate con l’informazione)
Per raggiungere tali obiettivi si andò a sviluppare la Pianificazione Indicativa, attraverso la
creazione de la Comisarìa del Plan de Desarrollo (amministrata da Lopez Rodo) si cercò di
copiare il modello italiano e in parte il modello francese. Si andarono a elaborare tre piani: I
Plan de Desarrollo (1964-1967), II Plan de Desarrollo (1968-1971) e III Plan de Desarrollo
(1972-1975). Questi piani si ponevano in essere l’obiettivo di programmare l’economia,
soprattutto l’industria, e la riqualificazione di zone di basso sviluppo ma con possibilità di
crescita. Lanciarono los Polos de Desarrollo (Poli di Sviluppo) e los Poligonos Industriales
(Poligoni Industriali) per accrescere l’industria e correggere i disequilibri regionali (Burgos,
Vigo, A Coruna, Valladolid, Zaragoza, Huelva, Sevilla). I piani erano formati da due parti,
una parte di tipo indicativo (le proiezioni di crescita), e l’altra di carattere vincolante per
l’amministrazione concentrata nel programma di investimenti pubblici, crediti, vantaggi
fiscali etc.
Processo di decisioni nel Piano di Sviluppo:
1) Programmazione delle direttrici generali del piano
2) Programmazione del piano di investimenti pubblici
-La programmazione delle direttrici generali del piano, teoricamente erano stabilite dal
Consiglio dei Ministri in base al progetto presentato dalla Commissione del Piano. Questo
progetto doveva essere elaborato tenendo in conto i distinti settori, in seguito doveva ricevere
l’approvazione del Consiglio dei Ministri, e passare al Consiglio dell’Economia Nazionale e
all’organizzazione sindacale per essere studiato ulteriormente. Ricevute le approvazioni dei due
organismi la Commissione del piano avrebbe dovuto ricevere una seconda approvazione da
parte del Consiglio dei Ministri per la sua approvazione finale. In funzione delle direttrici dello
sviluppo si sarebbe elaborato il Piano e il programma degli Investimenti Pubblici. In questa fase
la Commissione del Piano si incaricava di elaborare il Piano di Sviluppo con la partecipazione
dei distinti settori economici. Infine una volta elaborato tale Piano di Sviluppo doveva passare
per le approvazioni di diversi organismi quali: Il Ministero del Piano di Sviluppo, Il Consiglio
dei Ministri, il Consiglio Economico Nazionale, Organizzazione Sindacale e le Corti.
45
Secondo alcuni storici le direttrici generali del Piano non servivano da guida nell’assegnazione
delle risorse ne servivano nel processo di decisioni del programma, si trattava di principi molto
generali che avevano come obiettivo soddisfare l’opinione pubblica, avevano una funzione di
propaganda.
- Nella Programmazione del Piano degli Investimenti Pubblici (PIP) tre decisioni erano
fondamentali:
I. Il volume totale degli investimenti inclusi nel PIP
II. L’importo previsto per ogni settore, che rappresentano le priorità settoriali stabilite
III. L’assegnazione degli investimenti del settore per progetti e per la sua distribuzione
Il volume totale degli investimenti inclusi nel PIP, formalmente erano realizzati dalla
Ponencia de Financiacion (Presentazione del programma di finanziamento) nella quale
partecipavano membri rappresentativi del settore pubblico e privato, nella pratica le previsioni
erano realizzate da un piccolo gruppo formato da funzionari dell’Amministrazione dello
Stato. Si stabilivano le previsioni sopra l’evoluzione della crescita economica, evoluzioni
degli ingressi statali, evoluzioni dei costi corrispondenti, deducendo la capacita di
finanziamento degli investimenti pubblici.
I comitati verticali elaboravano studi della necessita di investimento di ogni settore, tali studi
passavano poi ad un comitato della Commissione del piano dove venivano scartati determinati
progetti. I primi tagli erano realizzati da un comitato di cui i membri dipendevano dal
Ministero delle Finanze e dalla Commissione del Piano, in seguito si stilavano i costi dei
programmi. Le previsioni riguardanti il volume totale degli investimenti del PIP si stabilivano
in base ai costi dei programmi settoriali proposti e in base alle previsioni di rientro e capacità
di avere un effetto moltiplicativo all’interno dell’economia e del settore pubblico nei 4 anni
del Piano. Il volume totale degli investimenti era di fatto un accordo tra il Ministero delle
Finanze e la Commissione del Piano, il primo aveva come obiettivo un incremento delle
risorse da destinare per gli investimenti, mentre il secondo organo era maggiormente
proiettato per un taglio della spesa pubblica.
Una delle critiche maggiori che vengono mosse ai Piani della decade dei sessanta, fu il fatto
che tali piani erano più di carattere personale che realmente basati su un concetto di società
essendo decisi da piccoli gruppi, politici e industriali, che proprio in quel periodo prendevano
la scena del potere all’interno dell’economia spagnola.
46
2.4.1 La Planificaciación Indicativa del Desarrollismo
Di pianificazione di un sistema economico si cominciò a parlare, in dottrina, a partire dalla
seconda metà dell’ottocento, sulla scia del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels.
Per vederne la prima applicazione concreta, tuttavia, occorre attendere gli anni
immediatamente successivi all'avvento del regime comunista in Unione Sovietica, vale a dire
gli anni venti di questo secolo. Da allora, infatti, il sistema economico sovietico è stato
guidato, sino al crollo del regime, sulla base di una serie di piani quinquennali. Stessa cosa è
accaduta, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ai paesi europei 'satelliti' (fino a
quando sono rimasti tali), alla Cina Popolare e a qualche altro paese del resto del mondo ad
economia collettivista. L'idea della guida dall'alto dell'economia di un paese non si è peraltro
arrestata all'universo comunista. Essa si è fatta strada, sempre nel secondo dopoguerra, anche
in quello capitalista, dove ha assunto le fattezze della 'programmazione indicativa', vale a dire
di un insieme di linee guida verso obiettivi predeterminati, perseguite dai vari governi con
misure dirette o incentivanti, senza in genere il vincolo dell'obbligatorietà per i vari soggetti
del sistema economico. Gli anni d'oro della programmazione indicativa non sono tuttavia stati
molti: dopo il periodo compreso tra la metà degli anni cinquanta e la metà degli anni settanta,
essa è infatti caduta largamente in disuso 29. Si sviluppo come concetto nella maggior parte
delle economie Europee, Germania, Italia, Portogallo, in Francia vide la luce alla fine degli
anni 40, per opera di Jean Monnet e si diffuse in differenti paesi. Non si trattò di un concetto
preceduto da uno sviluppo teorico al partire del quale di diede luogo alla applicazione pratica,
ma il contrario, il concetto nasce proprio dalla pratica. Si iniziò a teorizzare seriamente con
Perroux, Gruson, Meade, etc., quando l’esperienza pianificatrice già si era sviluppata da
tempo ed incluso stava già scemando. D’altra parte, l’idea generale di pianificazione, in un
contesto di economia controllata razionalmente nella quale si punta ad evitare i problemi che
le si vanno ad associare al funzionamento del libero mercato (crisi ricorrenti, disoccupazione
e disuguaglianze sociali, disequilibri con l’estero, etc.)30.
Importante è distinguere la differenza tra la natura prescrittiva di un piano e nella natura
indicativa del programma, secondo la teoria, il primo termine impone precetti, conformava
cioè le azione dei soggetti destinatari, il secondo individuava gli obiettivi da raggiungere
lasciando libertà sulle modalità operative di attuazione. In altre parole, per programma si
29 Si veda: Ugo Spirito, Dall’economia liberale al corporativismo, Messina-Milano, 1939 30 IX congreso de la AEHE Sesión: “Mercado y Estado: los planes de desarrollo durante el franquismo” Los
economistas españoles frente a la planificacion indicativa del desarollismo.
47
intendeva qualcosa di meno impegnato e di più circoscritto del piano. Inoltre, come già
enunciato, il termine pianificazione era proprio dei sistemi economici di tipo collettivistico e
il termine programmazione di quelli di tipo liberista (o capitalista, o concorrenziale). Un’altra
distinzione, utilizzata nella letteratura delle politiche sociali, era la seguente: con
pianificazione si intendeva l’intero processo concettuale e operativo del piano,
dall’individuazione del problema e degli obiettivi fino al controllo dei risultati; con
programmazione si indicava solamente una fase del piano, e precisamente quella che consiste
nello strutturarne gli aspetti organizzativi, cioè nel tradurre in programmi specifici i principi
generali e le linee politiche del piano stesso, dopo che queste sono state formulate.31
2.4.2 I Plan de Desarrollo Economico y Social 1964-1967
Le caratteristiche fondamentali del I Piano di Sviluppo furono:
I. Economico-Sociale: Questa caratteristica presenta vari criteri
a) Gli obiettivi sociali si presuppone verranno raggiunti con una crescita sostanziale
del reddito nazionale
b) La crescita del reddito deve basarsi con il massimo beneficio delle risorse senza
pesare ulteriormente alla generazione presente
c) I problemi che derivano dal processo di crescita devono essere intesi come una
concezione umana
d) I vantaggi derivanti dalla crescita del reddito nazionale devono materializzarsi
come criteri di massima razionalità, con il proposito di base che i fondi destinati
agli investimenti sociali devono far beneficiare il maggior numero di persone
II. Globale: Il Piano deve tenere in conto le relazioni generali e settoriali, facendo in mondo
che l’economia abbia una crescita armonica e coerente
III. Coordinamento: Il coordinamento delle attività del settore privato deve essere assicurata
da diversi fattori:
a) Il Mercato, è l’organo informatore, il meccanismo è il sistema dei prezzi. Per
beneficiare dei vantaggi del mercato dovranno essere evitate le ristrettezze dello
stesso.
b) Il Piano, informa rispetto al livello di domanda globale e settoriale, piani dei
consumatori, dal lato dell’offerta, dello Stato…Il piano ha anche l’obiettivo di
aiutare il settore privato come riduttore di incertezza.
31 Angelo Mari, La programmazione sociale: valori, metodi e contenuti, Maggioli Editore, 2012, p. 40-41
48
c) Il regime di attuazione concentrata, meccanismo attraverso del quale lo Stato attiva
determinate imprese con l’Amministrazione Pubblica per conseguire gli obiettivi
del Piano.
d) Indicativo per il settore privato, questo carattere implica il rispetto per l’iniziativa
privata, orientato con indicazioni generali e stimolato con determinati incentivi tali
da rendere attrattiva l’attività privata in accordo con gli obiettivi programmati.
e) Vincolante per il settore pubblico, questa caratteristica viene determinata dalla
necessità di coordinare i vari livelli e dei vari dipartimenti del settore con norme
ben precise e delineate, al fine di arrivare al conseguimento di una buona
amministrazione delle risorse.
f) Compiti collettivi, implica la partecipazione collettiva e democratica
nell’elaborazione della politica economica.
g) Processo continuo, la programmazione deve essere un processo vivo, che richiede
la continuazione e la pianificazione e la vigilanza nella sua attuazione. Inoltre un
processo di continuo adattamento alle circostanza che si vengono a creare
h) Quadriennali, il Piano dura la tempistica di quattro anni, corrispondente ad una
programmazione a medio periodo, nella sua elaborazione deve tenersi conto delle
variazioni congiunturali che toccheranno il Piano
Alla fine del I Piano di Sviluppo si raggiunsero gli obiettivi quantitativi stabiliti, superando
anche le aspettative: il PIL crebbe di un 6.2%, le importazioni scesero di un 9.2%, il consumo
privato aumentò di un 6.3% e le esportazioni, il cui obiettivo era una crescita del 10%,
raggiunsero un 10.4%. Nono stante questo la crescita non fu cosi armonica come prospettata,
49
le province più ricche rimasero tali e quelle più povere, Càceres, Granada, Jaen, Almeria e
Orense continuavano a vivere una difficile situazione economica.
2.4.3 II Plan de Desarrollo Economico y Social 1968-1971
Le caratteristiche presentate nel II Piano sono 22, per sintassi espositiva non verranno
analizzati tutti i punti nel dettaglio
I. Economico-Sociale, si distacca dalla posizione del I Piano dando un maggior risalto
all’aspetto sociale, puntando su un maggiore investimento di infrastrutture che
puntavano ad un migliore livello di vita con una redistribuzione maggiore del reddito
II. Globale e coordinato, il Piano punta a integrare maggiormente le relazioni
macroeconomiche, settoriali e regionali. Il settore pubblico deve adattarsi alla
funzione che il Piano le assegna
III. Selettivo, il Piano stabilirà quali settori hanno la priorità di sviluppo (agrario,
educazione e formazione personale, trasporti e comunicazioni, appartamenti e strutture
urbane
IV. Vincolante per il settore pubblico
V. Indicativo per il settore privato
VI. Programmazione finanziaria, obiettivo mantenere gli equilibri fondamentali a breve e
lungo periodo
VII. Sviluppo regionale, con l’obiettivo di redistribuire più uniformemente la popolazione,
decongestionare aree e incentivarne altre
VIII. Analisi della coerenza del Piano
IX. Congiuntura e Piano, analisi delle divergenze economiche che subisce il Piano
Rispetto il primo piano è maggiore l’attenzione all’aspetto sociale, inteso come qualità della
vita, istruzione, sanità il tutto per raggiungere una migliore qualità della vita del popolo
spagnolo. Vengono effettuate maggiori analisi cercando di tenere sotto controllo lo sviluppo
sia a livello macroeconomico sia a livello microeconomico. Un maggiore protagonismo al
settore pubblico nella direzione di tale sviluppo quando il settore privato risulta essere debole,
concentrando l’attenzione al settore energetico.
I risultati del II Piano furono i seguenti: il PIL aumentò di un 6.7%, le importazioni del 9.8%,
il consumo privato di un 5.3%, il consumo pubblico 5.4% e le esportazioni arrivarono al
11.8%
50
2.4.4 II Plan de Desarrollo Economico y Social 1972-1975
Ultimo Piano delle politiche di Sviluppo, rispetto agli altri due presenta sostanzialmente le
stesse caratteristiche. Rispetto ai primi due il carattere Economico-Sociale viene messo sullo
stesso piano, dando quindi la stessa importanza ad entrambi. Una visione dell’economia
maggiormente a lungo periodo, maggiore attenzione allo sviluppo regionale.
In questo Piano risulta essere interessante come viene fatto risaltare gli investimenti pubblici
per la redditività degli investimenti privati, e della necessità che entrambi i settori hanno della
loro cooperazione per lo sviluppo economico. Non si ebbero gli effetti desiderati causa del
fatto di una situazione internazionale sempre più tesa che sfociò con la crisi del 1973.
Gli obiettivi posti erano: una crescita del PIL di un 7%, le importazioni all’11%, il consumo
privato al 6.5%, il consumo pubblico al 5.3%, la formazione lorda di capitale al 9.7% e le
esportazioni al 10%. Alla fine del III Piano non si raggiunsero gli obiettivi preposti, il PIL
aumentò di un 5.9%, le importazioni al 9.7%, il consumo privato al 5.9%, il consumo
pubblico fu superiore e aumentò al 6.6%, la formazione lorda di capitale all’8%, e le
esportazioni scesero al 4.7%. Il non raggiungimento degli obiettivi di questo piano fu
condizionato dalla crisi del 1973 e dalla serie di rimedia strutturai che dovette adottare il
governo di Carrero Blanco.
2.5 I maggiori successi del Plan de Estabilización
2.5.1 El Instituto Español de Emigración (IEE)
Già nella decade degli anni ’50 si demarcava una sostanziale differenza tra la Spagna e
l’Europa industrializzata, paesi come Francia, Belgio, Regno Unito, Svizzera e Olanda
vivevano una nuova fase di sviluppo economico mentre la penisola Iberica iniziava
lentamente ad aprirsi al mondo degli scambi internazionali.
Durante questa decade si determinarono due notevoli emigrazioni, una interna e una esterna; i
lavoratori dei campi lasciavano la terra per spingersi verso centri urbani industrializzati, circa
2.720.988 persone secondo dati dell’INE si trasferirono nelle città in cerca di lavori
maggiormente retribuiti. Questo enorme flusso comportò notevoli disagi organizzati e sociali,
in primo luogo vi fu una forte speculazione edilizia accompagnata da un processo di creazione
51
di baraccopoli nelle periferie cittadine ma soprattutto questo spostamento in masso di forza
lavorativa dal settore primario al settore secondario creò le determinanti per un’elevata
disoccupazione.
La disoccupazione spinse verso l’estero circa 1.000.000-2.000.000 di spagnoli a cercare
lavoro nelle nazioni maggiormente industrializzate.
Questo flusso migratorio si intensificò a partire dai Piani di Stabilizzazione nell’anno 1959,
l’apertura verso il libero scambio e la riduzione dell’interventismo statale costrinse numerose
imprese a chiudere, aumentando quindi la disoccupazione (durante la fine degli anni ’50 il
governo è costretto a creare il sussidio di disoccupazione). Come già accennato, la situazione
nel resto d’Europa era differente, lo sviluppo che ebbero con la fine della seconda guerra
mondiale vide questi paesi avvantaggiati, le risorse arrivate con Il Piano Marshall e la buona
capacità organizzativa permise, soprattutto alla Repubblica Federale di Germania, di rientrare
nel pieno della propria economia nel giro di dieci-quindici anni fino al punto di necessitare di
mano d’opera straniera per raggiungere il proprio sviluppo.
Nella storia della Spagna l’emigrazione ha spesso rappresentato un problema sia per i suoi
flussi elevati sia per la continua perdita di popolazione attiva all’interno della nazione. Dopo
varie leggi create (Ley de Emigraciòn de 1924, decreto MOAS del 13 maggio 1938) nel 1951
venne creato Instituto Español de Emigración (IEE), per ciò che concerne la storia di questo
istituto non vi sono molti elementi che possono dare con una determinata certezza le origini
del progetto della sua nascita. Una delle piste più plausibili sembrerebbe inserirlo in una serie
di progetti del Dipartimento di politica migratoria e azione sociale dell’Istituto de Cultura
Hispanica (ICH) idealizzati da parte dell’avvocato Carlos Martì Bufill. Nel 1949 si elaborò un
documento riguardante la necessità di creare una Corporazione Ispano-Americana di
Emigrazione e Promozione, organismo destinato a fare dell’emigrazione spagnola una fattore
di collaborazione economica-sociale iberoamericana in favore dei migranti dei paesi
influenzati dall’emigrazione32.
Nel 1951 il ICH inviò al Governo un progetto di decreto per la costituzione dell’Istituto
Iberoamericano di Emigrazione, Bufill concepiva l’emigrazione non solo come un problema
sociale bensì come un problema socio-economico. L’emigrazione spagnola verso l’America
Latina è considerata come un vero «Piano Marshall» per l’economia spagnola.
32 Martì Bufill, Nuevas soluciones al problema migratorio, Cultura Hispanica, 1955, p.398.
52
«En su consecuencia, si la emigración favoreció en forma notoria el comercio exterior
deEspaña y la afluencia de remesas de fondos de ahorro y capitales y alcanzó cifras tan im-
portantes que en algunos casos llegó a la mitad del valor total de nuestras exportaciones,
nohay duda de que podremos hacer la afirmación categórica […] de que el auténtico
PlanMarshall para España está en Iberoamérica, que nos lo viene dispensando
generosamentedesde que los brazos españoles empezaron a contribuir a la creación de
riqueza americana.»33
Da un lato, le rimesse dei migranti rappresentano un’importante forma di entrata delle riserve
tanto desiderate dalla Spagna e dall’altro, questo fenomeno migratorio verso l’Europa e i
paesi di maggiore industrializzazione pose le basi per la possibilità di creazione di un dialogo
con i paesi sviluppati, soprattutto nell’ottica di una possibile entrata della Spagna nella
Comunità Economica Europea (CEE), proprio per questi motivi durante la seconda fase del
franchismo l’emigrazione è spinta da parte del governo spagnolo e addirittura controllata.
Così il 17 luglio del 1956 tramite Decreto Legge, venne creato el Instituto Español de
Emigración (IEE), per emancipare la questione migratoria, si dispose il suo vincolo sotto la
Presidenza in un primo momento, l’IEE si convertì cosi in un organismo incaricato di
elaborare e applicare una politica pubblica in materia di emigrazione adattata alle esigenze
dello sviluppo spagnolo. In primo luogo con la legge del 1956 si stabiliva che l’IEE
possedeva il monopolio della conoscenza scientifica della problematica migratoria, in
secondo luogo veniva definito come principale informatore del governo in merito la
legislazione migratoria, la gestione, la pianificazione e la canalizzazione dei flussi migratori
era il terzo ramo di competenza. L’IEE si incaricò di creare un registro centrale riguardante
l’emigrazione, centralizzando le domande di mano d’opera richieste dai paesi stranieri e la
conseguente accettazione delle domande provenienti dai lavoratori spagnoli.
Secondo le cifre ufficiali dell’IEE, tra il 1959 e il 1973 emigrarono verso il continente
Europeo 1.066.440 persone, a differenza delle emigrazioni precedenti, nella decade degli anni
’60 si ha un movimento migratorio rotatorio, la maggior parte dei migranti uscirono dal paese
con un contratto di lavoro stabilito tra l’Istituto e le autorità del paese ospitante per un periodo
33 Luís M. Calvo Salgado María José Fernández Vicente Axel Kreienbrink Carlos Sanz DíazGloria Sanz
Lafuente, Historia del Instituto Español de Emigración, La política migratoria exterior de España y el IEEdel
Franquismo a la Transición, Ministerio de Trabajo e Inmigración p. 43-44.
53
iniziale di un anno. Questa caratteristica permise un flusso di uscite e di ritorni annuali
aumentando così i rapporti tra la Spagna e i paesi recettori.
Lo spostamento medio annuale di questo periodo fu di circa 73.000 persone mentre quelli che
rientravano erano circa 38.800.
Dal grafico si notano 4 periodi, una prima fase riguardante 1961-1964 con un elevato flusso
migratorio, una seconda fase 1965-1968 periodo di riduzione dei migranti accompagnato da
un rientro degli stessi, una terza fase 1968-1973, e al finale 1973-1977 periodo nel quale
vanno quasi a terminare le uscite e aumentano i rientri a causa della situazione internazionale
condizionata dalla crisi del petrolio del 1973.
Queste fasi si relazionano con le tappe di crescita economica o di crisi dei paesi recettori, la
crisi economica del 1973 portò la disoccupazione a più di 4 milioni di lavoratori tra i nove
paesi della CEE.
Nonostante la creazione dell’Istituto e della regolamentazione migratoria i dati non tengono di
numerosi casi di emigrazione clandestina, attraverso reti con familiari già in loco o con
organizzazioni che gestivano il commercio illegale dell’emigrazione
Il grafico seguente presenta la divergenza tra i dati in possesso dalle autorità spagnole e quelli
dei paesi richiedenti lavoro. Come media emigrava un 51% in più delle persona controllate
dallo Stato spagnolo, anche nelle tappe prima analizzate si può osservare un andamento del
54
tutto simile, la differenza principale riguarda il 1960 quando i contatti dell’IEE con i paesi
europei non erano ancora forti e ben istaurati.
Inoltre bisognerebbe aggiungere anche tutti quei migranti che uscendo clandestinamente dal
paese non poterono regolarizzare la propria posizione lavorativa entrando a far parte di un
mercato nero del lavoro privo di diritti.
La regione maggiormente toccata da questa emigrazione fu l’Andalusia con circa il 30.4%
della popolazione emigrata. Nel 1970 emigrarono un andaluso su quattro per un totale di
1.611.791 persone, al contempo era anche la regione più densamente abitata (il 19% degli
spagnoli) Almeria e Cadiz sono le due province che ebbero il maggior numero di migranti
verso l’Europa. Da Almeria se ne andarono 6,4 persone ogni mille, e a Cadiz 5,4.
Alla fine di questa decade chiusa nel 1973 con l’inizio della crisi energetica e degli shock
petroliferi i dati diedero ragione alla politica voluta dal franchismo, le rimesse dei migranti
funzionarono proprio come forme di finanziamento per la Spagna e inviando forza lavoro
all’estero si riusciva a contenere la disoccupazione interna mantenendo anche un clima meno
teso nella nazione. Aumentarono le riserve inviate dai migranti migliorando quindi la
situazione deficitaria della Bilancia dei Pagamenti, andando a generare effetti positivi per il
55
consumo e gli investimenti all’interno del Paese. Nel 1965 le rimesse dei migranti risultavano
essere di 362 milioni di dollari e nel 1973 1.100 milioni di $.34
2.5.2 Il Turismo
Uno dei motori dello sviluppo economico durante la seconda fase franchista fu il turismo
straniero. L’entrata di riserve di moneta straniera da parte dei turisti, europei ed americani,
portò un notevole impulso al processo di modernizzazione del paese inoltre fu un processo di
notevole importanza a livello sociale. La vicinanza con gli altri Europei e non, permise alla
popolazione spagnola una maggiore apertura mentale su tematiche di difficile sviluppo nel
proprio paese, mettendoli di fronte alle effettive differenze sociali, culturali e morali che
avevano rispetto i turisti.
Nel 1959 viene firmato un accordo tra l’International Cooperation Administration (ICA) e
l’Ufficio spagnolo per le relazioni con il Nord America, in questo accordo la Spagna ricevette
un credito di 122,5 milioni di pts, credito che doveva essere diretto esclusivamente allo
sviluppo del settore turistico. Nel 1962 venne diretto verso la Spagna un secondo prestito di
200 milioni di pts a cui venne aggiunto un credito di 100.000 dollari gestito dall’ICA con
l’obiettivo di spingere il turismo dalla Spagna agli Stati Uniti. Ulteriore elemento di
cooperazione tra i due stati fu l’ingresso in Spagna da parte della multinazionale alberghiera
Hilton che proprio nella penisola iberica creò un nuovo modello di gestione di grande
affluenza alberghiera negli anni ’60.
Nel 1951 venne registrato il primo milione di turisti e gli incrementi avuti nel corso degli anni
furono di grande impatto: 2.522.402 nel 1955, 6.113.255 nel 1960, 14.251.428 nel 1965,
24.105.312 nel 1970 e 30.122.478 nel 1975. Secondo i dati ufficiali in 20 anni il numero dei
visitatori si moltiplicò 12 volte.35
Le entrate furono: 296,5 milioni di dollari registrati nel 1960 si moltiplicarono dieci volte nel
1973 toccando la cifra di 3.216,1 milioni. I turisti venivano attratti principalmente dai prezzi
bassi e molto competitivi che la Spagna aveva da offrire andando così a creare questo
fenomeno turistico di dimensione rilevante definito come turismo di massa.
34 Si veda: La emigración española a Francia en el periodo 1960-1977, Instituto Español de Emigración, 1981.
Carlos Barciela López, Albert e Carreras, Xavier, Estadísticas históricas de España: siglos XIX-XX, Volume 3,
Fundacion BBVA, 1989. 35 Esther M. Sànchez Sànchez- El auge del turismo europeo en la España de los años sesenta, Arbor, 2001,
p.204.
56
La regione capace di captare maggiormente questo desiderio esterno di turismo fu
l’Andalusia, si raggiunse l’incontro tra la domanda estera e offerta ufficiale attraverso una
forte propaganda del folklore spagnolo, quello del Sud. Obiettivo era lasciare il turista
impressionato da tutto ciò era tipico del luogo: le arene per le corride, las tapas, il flamenco
etc. Tale insistenza nella commercializzazione turistica dello stereotipo contribuì ad
accentuare l’immagine della Spagna all’estero, però allo stesso tempo fu anche la forma più
rapida e comoda per promuovere le vere ricchezze del territorio: sole e spiagge.
Con el Plan de Estabilización il turismo raggiunse il livello di industria prioritaria, per i
dirigenti tecnocrati non vi era alcun dubbio riguardo le sue possibilità di sviluppo. Durante i
vari Piani di Sviluppo diverse norme puntavano ad un maggior incremento del settore: nel I
Piano (1964-1967) i trasporti ricevettero il 25% degli investimenti pubblici e la costruzione di
alloggi per turisti il 19.5%. Nel giro di pochi anni si iniziarono a creare numerosi Istituti
pubblici e privati per formare specialisti nel settore turistico.
Nel 1962 si creò l’Istituto de Estudio Turisticos, nel 1963 la Escuela Oficial de Turismo de
Madrid, e scuole di specializzazione ripartite nelle capitali delle diverse province.
Lo Stato partecipò direttamente come imprenditore del settore attraverso diversi organismi: la
Administracion Turistica Española (ATE) incaricata della gestione di rotte turistiche, alberghi
e alloggi, l’INI attraverso le sue partecipate (ATESA, AVIACO, IBERIA, ENTURSA).
Mentre in un primo periodo gli investimenti privati esteri venivano vietati dal 1963 si legiferò
un’entrata iniziale di capitale straniero in tutte quelle attività relazionate con il settore
turistico, nel caso di investimenti che superassero il 50% del capitale di imprese nazionali
doveva esservi l’autorizzazione del Consiglio dei Ministri.
Nessun settore in Spagna era paragonabile alle entrate del settore turistico, per la sua
posizione mondiale la Spagna fu chiamata a incrementare la sua cooperazione bilaterale e
multilaterale in materia turistica, propri nella decade degli anni ’60 iniziò ad entrare in
organismi sovra nazionali turistici come l’Unione Internazionale di Organismi di Turismo
(UIOOT), la Commissione Europea di Turismo (CET), il Comitato di Turismo dell’OCSE.
2.6 Effetti nei vari settori
La decade degli anni ’60 viene definita in Spagna come la decade del Miracolo Economico, il
PIL aumentò con una media annua di quasi il 7%, secondo solo al Giappone, il reddito pro
capite nel periodo 1960-1970 aumentò in termini reali ad un livello medio annuo del 6,4% e
57
la crescita del PNL nello stesso periodo fu del 8,5%. La somma delle esportazione più le
importazioni come proporzione del PNL passò da un 16,7% nel 1960 ad un 32,2% nel 1970,
in definitiva l’economia inizia ad essere più aperta e integrata internazionalmente con un
aumento del benessere degli spagnoli.
La struttura produttiva rifletteva questa trasformazione economica. Il settore agrario passò da
rappresentare il 24% del PIL nel 1960 al 13% nel 1970. L’industria salì del 35-38% e i servizi
passarono da un 41% al 49%. L’occupazione aumento di un milione di persone, mentre fu
notevole l’emigrazione interna ed esterna la Spagna e diede impulso a questa crescita. La
popolazione attiva nel settore agrario passò da un 41,7% nel 1960 ad un 29% nel 1970; la
produttività spagnola vide una crescita annua del 6,2% tra il 1959 e il 1969 mentre la media
dell’Unione Europea era del 4,2%. Anche la situazione relativa alle esportazioni nette si
modificò strutturalmente, le importazioni si quintuplicarono mentre le esportazioni si
moltiplicarono per 3,4%. Il dato riguardante le esportazioni riflette in maniera chiara questo
cambiamento, l’acquisto di beni di capitale, materie prime e manifatturiere comprendevano
nel 1970 il 75% delle importazioni e più del 35% delle esportazioni riguardavano merce e
attrezzature per la produzione, ossia l’importazione di macchinari utili alla produzione nel
Paese aveva aumentato la capacità produttiva dello stesso quindi le esportazioni, per far ciò fu
quindi necessaria la politica industriale di quel periodo concentrata nei poli di Sviluppo e
nella Pianificazione Indicativa.
58
Al finale degli anni ’60 la Spagna
smetteva di essere un paese
tipicamente agrario dando vita ad
un processo di industrializzazione
che comportò un cambiamento
reale nella vita degli spagnoli,
nacque una classe media capace
di poter acquistare i suoi beni sia
primari che secondari, la società
si era convertita in una società
consumista.
Tra gli ulteriori fattori da segnalare va inserito la volontà del popolo spagnolo, con la sua
tenacia e il suo sforzo permise un simile sviluppo elevato, dato che era anche un loro
obiettivo, proprio questo fattore pone gli studiosi economici e quelli di scienze sociali in
discussione su quanto questa situazione potesse essere radicata nello spirito della Spagna di
quegli anni.
Infine il fattore principale, che permise una tale miglioria nei dati della Spagna fu il ritardo
relativo che viveva rispetto ai paesi maggiormente sviluppati, era evidente che i margini di
sviluppo raggiunti negli anni ’60 erano straordinari dato il dislivello tecnico disponibile e
l’applicazione ai processi produttivi, questo salto in avanti cosi lungo era facilitato proprio per
questo ritardo, come se il Paese avesse saltato una fase intermedia.
2.6.1 Agricoltura e IRYDA
Dopo un lento e difficile ritorno alla normalità nel post guerra, negli anni 50 il settore agrario
presenta un momento di recupero (reddito e livelli di produzione) questa fase termina verso la
fine degli anni ’50 entrando in crisi, non riuscendo a mantenere i livelli di crescita
dell’industria. Durante questi anni si produce una trasformazione fondamentale che portano
l’agricoltura a passare da modello tradizionale ad agricoltura di mercato. La popolazione
attiva nel campo come conseguenza dell’esodo rurale (settore industriale più attrattivo e
meccanizzazione del campo) passa da essere il 41% di occupati nei campi nel 1960 al 22%
nel 1975, questo esodo permette un aumento del reddito agrario ma anche un aumento delle
differenze inter regionali, nel 1970 Galicia, Extremadura, Aragòn, La Mancha e l’Andalucia
orientale avevano ancora il 40% della propria popolazione occupata nei campi, mentre Madrid
59
e la Cataluña avevano meno del 9% della popolazione attiva impiegata nel settore primario a
discapito degli operai che superavano il 50%.
Cambiò anche la distribuzione della terra, il Governo passo ad una politica di concentración
parcelaria (ricomposizione fondiaria), durante la decade degli anni ’50 e dei ’60 il Governo
più volte promosse leggi riguardanti la concentraciòn parcelaria. Si tratta di un’attività che
consiste nel raggruppare i possedimenti di un proprietario nel minor numero possibile, il fine
era migliorare la condizione del settore primario cercando aggiungere nuove tecniche di
coltivazione, cambiare il tipo di prodotto di determinate zone e inserire nuove tecniche
produttive che razionalizzassero il settore. Nella Spagna del secondo periodo franchista, per
iniziativa del Ministero di Agricoltura, venne presentato questo provvedimento la prima volta
il 20 Dicembre 1952 come prime ipotesi per seguire questa politica di ricomposizione. Con i
Piani di Sviluppo della decade degli anni ’60 vengono ripresi i punti salienti della politica da
seguire riguardante il settore agrario: aumentare il numero delle dimensioni dei terreni per
favorire una ricomposizione geografica del suolo agricolo, aumentare la produttività, e fornire
una maggiore informazione agli imprenditori agricoli per sfruttare vantaggi di mercato.
Vennero annoverate anche ulteriori misure riguardanti le dotazione di infrastrutture collettive
e individuali per un miglior sfruttamento del suolo, stabilirono linee di credito per poter
raggiungere una modernizzazione degli impianti, sviluppo dell’industria rurale, formazione
professionale etc. Nel I e nel II Piano di Sviluppo si compirono le previsioni e inoltre si
superarono, nel I Piano raggiunsero un 26,6% di margine in più rispetto le previsioni, nel II
Piano si raggiunse un 5% più del previsto, gli obiettivi del III Piano non vennero raggiunti,
arrivando ad un 68% delle previsioni complessive. Con il passaggio dall’Istituto di
Colonizzazione (INC) al nuovo Istituto de Reforma y Desarrollo Agrario (IRYDA) nel 1971,
obiettivo era l’urgenza di superare i criteri settoriali e attuare di forma più rapida e coordinata
le applicazioni della politica agraria spagnola per adattarsi alle nuove necessita del settore
venne promulgata la legge de Reforma y Desarrollo Agrario (LRYDA). Questa legge si
strutturò in 4 libri di testo: il primo conteneva norme organiche che regolamentavano il
funzionamento dell’IRYDA, il secondo di occupava di temi riguardanti le strutture agrarie
(acquisizioni, redistribuzione e regime delle terre possedute dall’Istituto), nel terzo, il più
grande, è presente la regolamentazione dell’Istituto nelle varie regioni o in zone determinate
da decreto, l’ultimo libro regolamenta le aziende agricole e lo sfruttamento agrario.
60
2.6.2 L’Industrializzazione
Il settore industriale è quello dove si producono le trasformazioni maggiori. Le imprese
spagnole sino al momento dei Piani di Stabilizzazione presentavano una competitività basata
quasi esclusivamente per i bassi costi, le statistiche di R&S, disponibili dal 1964 in poi,
mostravano chiaramente questa situazione di dipendenza e ritardo tecnologico della Spagna,
soltanto con l’apertura al mercato internazionale inizia un processo di accrescimento
industriale.
I Piani di Stabilizzazione segnano la fine del modello basato sull’autarchia, i Piani avevano
come obiettivo quello di sanare e progressivamente migliorare il sistema industriale spagnolo.
Con la liberalizzazione delle importazioni e con l’entrata del capitale straniero si poterono
migliorare le infrastrutture, compensare l’insufficiente capitalizzazione delle imprese, e
promuovere l’innovazione tecnica che permettesse un miglioramento nella produttività
puntando ad un aumento delle esportazioni nei mercati esteri. Gli incrementi del turismo e
delle rimesse dei migranti sono due fattori che maggiormente contribuirono alla
capitalizzazione e al finanziamento industriale. Sostanzialmente con la decade degli anni ’60
si puntò al cambio di un sistema basato sulle importazioni ad uno schema economicamente
più moderno.
Al fine di dare impulso al settore industriale promuovendo l’azione imprenditoriale privata si
stabilirono le regole che servivano ad orientare gli investimenti pubblici in maniera corretta
verso quei settori considerati fondamentali, vennero attuate tre tipi di azioni:
I. Acción Concertada e apertura di crediti, è un piano sottoscritto da imprese di un
settore industriale e la pubblica amministrazione, nel quale si fissarono di comune
accordo i diritti reciproci, le imprese si ripromettono di raggiungere determinati
obiettivi di produzione, investimenti e promozione sociale del lavoro, e lo Stato
concede a queste ultime determinati benefici fiscali, convenzioni, crediti privilegiati.
II. Polos de Desarrollo y polos de promociòn, zone geografiche relativamente ridotte
nelle quali si stimolò la localizzazione di attività industriali per promuovere l’attività
economica in un area geografica di maggiore grandezza. Vennero implementati in
Spagna tra il 1964 e il 1975, alle imprese che si insediavano in tali aree venivano
offerti sgravi fiscali, e aperture di credito.
III. Iniziale smantellamento dell’INI, gli investimenti pubblici canalizzati attraverso
l’Istituto iniziarono a perdere di importanza, smise di guidare il processo di
61
industrializzazione del Paese e le sue attività divennero secondarie rispetto l’iniziativa
privata, concentrando la propria azione in quei settori con bassa redditività.
Con il I e il II Piano di Sviluppo lo Stato promuove la crescita industriale nei nuclei urbani
della periferia interiore e esteriore ai centri di gravità, nel primo caso si fa riferimento ai Poli
di Zaragoza, Brugos, Vigo e La Coruña. Nel secondo caso si hanno i Poli di Sevilla e Huelva
(I Plan) e Granada, Cordoba e Oviedo (II Plan). Il Polo di Sviluppo o di Promozione, così si
denominano quelle città con attività industriali situate in province con basso livello di reddito
o città carenti di industrie, stimolarono gli investimenti attraverso incentivi e l’offerta di
terreno nei poligoni localizzati nel settore suburbano. Il III Piano sviluppò l’idea di
strutturazione del territorio applicato in due tipi di ambito speciale, uno regionale chiamato
Gran Area Industrial de Galizia che estendeva i benefici fiscali alle quattro province della
Galizia, e l’altro creando una partizione gerarchica del sistema urbano nazionale in 6 grandi
AAMM, 17 metropoli di equilibrio, città intermedie, altri nuclei urbani e contee commerciali.
I risultati di questa politica di azione decentralizzatrice non furono quelli sperati, la politica
dei Poli non riuscì a creare centri industriali capaci di essere promotori di crescita nella
propria regione, però permise che alcune città si convertirono in nuclei industriali con due tipi
di stabilimento, convenzionali (tessile, alimentari, materiale edile) per il mercato locale, e altri
diretti al mercato nazionale e internazionale (chimico, carta, metallurgico di trasformazione).
Quest’ultimo è il caso di Huelva e principalmente al nord con le periferie industriali di
Valladolid, Vigo, Zaragoza, Burgos, Miranda de Ebro, Vitoria-Pamplona. Alla fine di questo
tipo di politiche le zone maggiormente industrializzate rimasero quelle appena citate e le
periferie di Madrid, Catalogna e Paesi Baschi lasciando quindi un netto divario tra il sud del
paese e le altre zone
Tra il 1960 e il 1973 il settore industriale passa da avere un 31.8% di popolazione attiva nel
settore ad un 36.8%
I principali motori e responsabili del progresso industriale di questo periodo sono tre: il
settore automobilistico, il settore chimico e quello della gomma. Proprio l’industria
dell’automobile fu l’anima della moderna economia industriale, la SEAT, venne creata nel
1950 congiuntamente dall’INI per un 51%, dalla FIAT per un 7% e da sei banche per il 42%,
con la decade degli anni ’60 vide il suo periodo di auge economico Alla fine degli anni ’50
produceva solo 36.000 veicoli per anno e non aveva esportazioni, nel 1973 le fabbriche
spagnole producevano 700.000 veicoli, e più di un quinto erano destinati all’esportazione. Il
62
simbolo di questa decade è la SEAT 600, modello creato dalla FIAT. Nel 1946 le auto private
che circolavano in Spagna erano 72.000 nel 1966 erano già 1 milione
Questo cambio drastico nel settore fu dovuto anche al capitale straniero, che con la fine
dell’autarchia affluiva in grandi quantità. Nel 1960 si investirono 40 milioni di dollari, nel
1965 questa cifra passò a 322 milioni, e nel 1970 arrivò a 697 milioni di $. La fonte principale
di questi investimenti furono gli Stati Uniti d’America che contribuì con il 40% degli
investimenti, seconda fu la Svizzera con il 21% e la Germania Occidentale con l’11%. Questo
finanziamento estero diede una forte mano all’industria spagnola tradizionalmente priva di
capitali, diede accesso alla tecnologia avanzata vitale per una nazione che puntava ad un
rapido sviluppo, inoltre la Spagna investiva solo lo 0.34% del proprio PIL nel R&S, al
confronto del 2.7% della Gran Bretagna e del 1.5% della Germania Occidentale. Gli
investimenti esteri si concentrarono nei settori più dinamici della economia e nelle principali
imprese, il 40% delle 500 maggiori imprese spagnole presentano partecipazioni straniere,
partecipazioni che sono circa un ottavo del suo valore netto.
La presenza di tanto capitale straniero contribuì alla fisionomia dei settori industriali e dei
servizi, una serie di imprese moderne e dinamiche. Nonostante questa evoluzione storica,
rimasero predominanti le imprese di piccole o medie dimensioni, la media dei lavoratori per
l’industria aumentò dal 5.85% nel 1962 al 13.47% nel 1978, nel 1975 più dell’89% delle
imprese aveva meno di 50 lavoratori.36
Convergenza nello sviluppo regionale Italia-Spagna
I lavori di economisti storici come Perroux (1955), Myrdall (1957) e Hirchman (1958) posero
le basi sulle quali si elaborò, negli anni ’50, la teoria dello sviluppo polarizzato, il quale
orientò gran parte delle analisi e delle politiche di sviluppo regionale durante gli anni sessanta
e settanta. Questa interpretazione si ideò intorno al pensiero secondo il quale i meccanismi di
accumulazione di capitale conducono ad una dinamica di sviluppo diseguale nel territorio.
Soltanto in un cerchia di città di articolano processi di crescita e di cambio strutturale di
un’economia.
Perroux (1955; 1961) seguendo Schumpeter, stabilì la relazione tra cambio strutturale e di
spazio e innovazione. Lo sviluppo, che consiste nella comparsa e la scomparsa di prodotti, di
imprese e attività sarebbe il risultato dell’impatto settoriale e spaziale dell’introduzione di
36 Adrian Shubert, José Luis Gil Aristu Historia social de España (1800-1990), Nerea, 1991, p. 302,303,304.
63
innovazioni di processo, prodotto e organizzative. Intorno agli impianti (imprese, industrie,
aree, città) che incorporano queste nuove tecnologie di processi e di prodotti si vanno a
concentrare le attività moderne, si viene a determinare così un processo di differenziazione
cumulativa tra le nuove e le vecchie aree produttive. L’elemento centrale è l’impresa motrice,
che con la sua capacità innovatrice e la sua capacità di leadership nel settore esercita un
effetto propulsivo nelle altre imprese.
Questo meccanismo di sviluppo polarizzato, capace di portare un effetto moltiplicativo
nell’economia del luogo, viene meno in determinate aree, soprattutto quelle del Sud e quelle a
bassa industrializzazione. In questi casi, infatti, vengono inserite industrie mediane della
filiera produttiva, gli impianti sussidiari delle regioni periferiche si specializzano in funzione
del processo produttivo, così facendo i compiti riservati al lavoro locale non richiedono lavoro
specializzato o di qualità, nel lungo periodo si crea un effetto depressivo nelle qualifiche della
mano d’opera del luogo dove l’impresa viene inserita.
Le regioni che hanno visto un simile sviluppo a livello storico economico sono due: il
Mezzogiorno in Italia37 e l’Andalusia (in realtà è uno sviluppo che ha avuto luogo in tutto il
sud Europa). In queste regioni, inoltre, una volta ricevuti gli investimenti esteri si produce una
restrizione allo sviluppo del sistema produttivo, da un lato gli impianti esteri si trasformano in
elementi chiave per l’economia del territorio ma con scarso collegamento con il sistema
produttivo dello stesso, comprando quindi i prodotti intermedi ad altre imprese di altre regioni
o comunque localizzate al di fuori del distretto o del polo di sviluppo, l’impresa crea una
propria rete sociale. Questa politica di diffusione genera, a sua volta, intercambi territoriali di
fattori e prodotti, che riducano lo sviluppo potenziale delle aree meno sviluppate dato che il
processo di accumulazione dell’economia favorisce l’emigrazione della mano d’opera più
qualificata alle aree più sviluppate, i benefici generati localmente tenderanno a preferire nel
tempo l’attivo delle regioni più sviluppate. Oltre queste dinamiche ve ne sono molte altre, in
conclusione le politiche di diffusione industriale favoriscono il fortificarsi dello sviluppo per
gerarchia territoriale, non sempre creano poli di sviluppo causa del fatto che esistono fattori di
impulso iniziale che riducono la capacità di diffusione degli investimenti38 aumentando quindi
le differenze territoriali, soprattutto tra nord e sud.
37 Si veda anche: Zaganella, Marco, Programmazione senza sviluppo. Giuseppe Di Nardi e la politica economica
italiana nella prima Repubblica, Rubbettino, Roma 2013 38 Antonio Vázquez Barquero, Giuliano Conti, Convergencia y desarrollo regional en Italia y en España,
Universitat,de Barcelona, 1999, p. 318
64
Lo sviluppo capitalista, così ipotizzato, non portò i risultati sperati in tutti quei luoghi
pianificati come poli di sviluppo, fu spontaneo l’effetto propulsore in quelle regioni e località
dove i risultati economici, divisione del lavoro e grado di intervento dello Stato si trovavano
ad un livello intermedio tra i vecchi centri industriali e le regioni tradizionalmente agraria.
65
2.6.3 Il settore dei Servizi
Il processo di crescita e cambio strutturale della economia spagnola dei servizi ha
sperimentato un forte sviluppo, in virtù del quale si è situato come settore principale di attività
in relazione al lavoro e la produzione, avanzando più che l’industria e soprattutto rispetto
l’agricoltura. Questo sviluppo del settore si è prodotto nella decade degli anni ’60, il processo
di cambio strutturale della economia spagnola ha seguito modelli settoriale con una tendenza
simile a quelle dell’economia dell’OCSE, anche se con un importante ritardo temporale,
specialmente relativo al PIL per capita.
La decade del miracolo economico spagnolo e dello sviluppo del settore terziario si compie
esattamente la Legge di Engel. Questa legge è un’osservazione empirica realizzata da Ernst
Engel, osservò che la porzione del reddito di una famiglia che viene speso in alimentazione
66
diminuisce quando il reddito aumenta; la crescita dell’industria aumenta il livello generale dei
redditi che si traduce in un maggior consumo di servizi richiesti dalla società.
Le cause della crescita del settore terziario sono le seguenti:
Aumento del livello di vita che suppone un maggior consumo di servizi
L’industria favorì il processo di terziarizzazione (trasporti e finanza). A partire dagli
anni ’70 vi fu una mobilità della popolazione dall’industria al settore terziario.
Periodo d’oro per il turismo che incise nella crescita dei servizi come i trasporti, il
commercio e servizi alberghieri
Incremento dei servizi pubblici (sviluppo delle distinte amministrazioni)
Crescente incorporazione delle donne nel mondo del lavoro (15.85 nel 1950, 29.2%
nel 1977, 31.1% nel 1989)
Questo processo portò l’occupazione nel settore a passare dal 28,5% di occupati nel
1960 al quasi il 40% del 197039.
39 Clemente del Río Gómez, El sector de los servicios en la moderna evolucion de la economia Española, ICE,
settembre-ottobre 2000
67
68
2.7 La crisi del 1973 e del 1979
Al seguito di un decennio caratterizzato dal miracolo economico, all’inizio degli anni ’70 la
Spagna inizia a vivere una nuova fase storica caratterizzata dalla fine del franchismo verso
una difficile transizione democratica che permettesse l’ingresso del Paese nella Comunità
Economica Europea (CEE).
Il 6 ottobre del 1973, giorno del Yom Kipur o del Perdono, per gli ebrei, venne lanciata
un’offensiva da parte dei paesi arabi confinanti nei confronti di Israele (la Spagna riconosce lo
stato di Israele nel 1986). Al seguito di tre settimane di combattimenti, gli israeliani, che
contavano dell’appoggio degli Stati Uniti d’America e dei paesi dell’Europa Occidentale,
vinsero ristabilendo la loro egemonia. Questa breve guerra segna una fase molto importante
nella storia moderna e nei rapporti con il Medio Oriente.
I paesi arabi decisero di utilizzare il petrolio come arma economica e bloccarono l’invio di
merce ai paesi che appoggiarono Israele. I prezzi si triplicarono in poche settimane, aumento
che si susseguì durante gli anni. Fu la fine degli anni d’oro del miracolo economico, il sistema
iniziò a soffrire gli effetti della crisi del sistema monetario internazionale e la conseguente
pressione inflazionistica. Poche settimane dopo, il 20 dicembre 1973, moriva a Madrid Luis
69
Carrero Blanco presidente del Governo spagnolo e uomo di fiducia del generale Franco,
questo avvenimento significò l’inizio di un processo di transizione all’interno del regime
pieno di incertezza.
Questi due avvenimenti in sequenza andarono a determinare la traiettoria economica della
Spagna negli anni seguenti. Come già spiegato ampliamente negli anni 1960-1973 l’economia
spagnola ebbe il suo periodo di auge, maggiore che nelle altre economie europee. Questo
decennio di rapida crescita economica non si produsse senza problemi, alcuni di questi
andarono a convertirsi in costi nel momento in cui l’espansione cessò. Il più importante
derivava dagli effetti di incostanza politica dello Stato franchista che impose al processo di
crescita. Fino al 1973 il consumo energetico della Spagna era così suddiviso: 60% petrolio,
18% combustibile fossile, 17% energia idroelettrica, 3% energia nucleare e 2% gas naturale.40
Attraverso la concessione di vie privilegiate di credito, benefici fiscali e altri vantaggi a
determinati settori e imprese pubbliche e private, i vari Governi che si susseguirono
relazionarono gli investimenti industriali in funzione degli interessi politici o di particolari
aspettative che i vari soggetti economici ponevano in essere, non va assolutamente
dimenticato che il potere si esercitava senza controllo democratico e con una forte repressione
sociale. L’economia spagnola si presentò cosi, all’inizio degli anni ’70 con una struttura non
uniforme nella quale avevano un peso eccessivo attività che mai furono redditizie e che
iniziarono a diventare insostenibili sotto un profilo di costi
Il secondo importante problema fu la forte tendenza all’inflazione che obbligava ad adottare
politiche di aggiustamento in maniera periodica. L’aumento dei prezzi tornò ad essere alto
proprio con la crisi del petrolio del 1973 a causa della politica internazionale e a causa di
fattori interni, tra il 1970 e il 1973 i prezzi aumentarono in Spagna ad un ritmo superiore del
9% annuale.
In questo contesto di disequilibri strutturali e di forte inflazione si abbatte il notevole aumento
dei prezzi del petrolio. Il barile maggiormente consumato in Spagna, quello proveniente
dall’Arabia, passò da 3 a 11,70 $ tra l’ottobre del 1973 e gennaio del 1974. Due terzi del
consumo energetico spagnolo dipendevano dalle importazioni di greggio, il costo aumentò di
2.500 milioni di $, il che significava un incremento del deficit commerciale del 50% (il
cambio $-pts era 1:60 negli anni ’70, negli anni ’80 arrivò ad essere 1:70) Un simile impatto
40 Sudria Carles e J. Nadal Un factor determinante: la energía en La economía española en el siglo XX, Ariel,
Barcelona, 1994. p. 313 y sgtes.
70
nella bilancia commerciale e nei conti dello Stato andò a d avere notevoli effetti, nel breve
periodo implicò un impoverimento collettivo per trasferire risorse all’estero, un aumento delle
pressioni inflazionistiche e l’apparizione di alcune riforme fiscali. A livello di consumo tutto
ciò comportò un’alterazione delle condizione di produzione e rese inevitabile un
aggiustamento di carattere strutturale, tutto in un contesto internazionale di grande incertezza.
Tra le politiche che vennero adottate vi fu chiaramente un aumento del prezzo finale al settore
privato del greggio e dei suoi derivati cosa che portò ripercussioni depressive nelle varie
attività economiche, non soltanto nei trasporti ma in generale in quasi tutti i settori, l’energia
che veniva prodotta in Spagna veniva prodotta in centrali termiche che consumavano
combustibile.
L’ultimo Governo di Franco optò anche per assorbire parte dell’aumento dei costi del greggio
per evitare gravare eccessivamente alle imprese e al consumatore finale, cosi mentre i prezzi
di benzina e combustibile aumentavano di un 20% lo Stato nel frattempo diminuiva le sue
entrate di un 35%. La seconda decisione importante presa dal Governo fu quella di lasciare
una politica monetaria “sciolta” per evitare difficoltà di finanziamento alle imprese, si trattava
di una soluzione che aveva come obiettivo quello di sostenere la domanda interna prima di
sperimentare la perdita di domanda estera, questo perché a differenza della Spagna i paesi
europei avevano già preso decisioni politico economiche riguardanti la crisi facendo gravare
l’aumento dei prezzi ai consumatori finali riducendo l’offerta di moneta, questo implicò per la
Spagna la grave perdita di due fonti di finanziamento che nella decade degli anni ’60 furono
indispensabili: l’emigrazione con la rimessa dei migranti ( i lavoratori richiesti andavano
diminuendo fino quasi a sparire la domanda di lavoro estera), il turismo che scese di circa il
30% e le esportazioni quasi dell’8%.
Questa politica accomodante o compensatrice continuò anche dopo la morte di Franco (1975),
i suoi risultati furono, da un lato, un ritardo nel processo di aggiustamento, con il conseguente
mantenimento di tassi di crescita relativamente alti, però a costo di un aggravamento dei
disequilibri di fondo. Tra il 1973 e il 1976, il PIL spagnolo aumentò del 16%, mentre nei
principali paesi dell’Europa Occidentale fu solo del 5.5%, nel luglio del 1976 con l’arrivo di
Adolfo Suarez alla presidenza del Governo la situazione era molto delicata, l’inflazione si
aggirava intorno il 20%, il deficit della bilancia dei pagamenti superava i 4.000 milioni di $ e
il deficit dello Stato aumentava. Inoltre le politiche monetarie accomodanti non avevano
71
potuto evitare l’aumento della disoccupazione, più di mezzo milioni di persone erano
inoccupate, il triplo di tre anni precedenti
I mesi che seguirono furono i più intensi nella transizione politica. Questa situazione di
incertezza dal passaggio del regime franchista ad un governo democraticamente eletto
bloccarono le riforme economiche necessarie. Nel 1977 Suarez nominava uno dei più illustri
economisti del paese come vice presidente del governo, il professor Enrique Fuentes
Quintana, iniziava così una nuova fase di aggiustamento nei conti pubblici. Il ritorno
all’equilibrio esigeva, in primo luogo, tentare di bloccare la continua spirale inflazionistica
con il relativo aumento dei salari che erano alla base di queste fasi inflazionistiche. Lo Stato
doveva inoltre ridurre il deficit pubblico e il conseguente ricorso al debito pubblico per evitare
un indebitamento ulteriormente elevato. Per la prima volta negli ultimi 40 anni il Governo si
trovò a cercare una soluzione tramite un accordo con diversi organi, il passaggio ad un
sistema democratico sembrava inevitabile ma allo stesso il Movimento Nacional era ancora
l’unico partito al capo del tutto, si promosse una negoziazione multilaterale nella quale oltre
l’esecutivo del Governo parteciparono le forze politiche con le varie rappresentanze
parlamentari, i sindacati e le entità patronali, tale accordo, Pacto de la Moncloa, venne firmato
nell’ottobre 1977. Gli elementi fondamentali dell’accordo furono sostanzialmente due:
1) Un aggiustamento economico di corto raggio basato nel contenimento salariale, e una
politica monetaria restrittiva, riduzione del deficit pubblico e l’adozione di un cambio
flessibile per la peseta, con la conseguente svalutazione
2) L’introduzione di alcune riforme considerate indispensabili nel nuovo contesto
politico: modernizzazione del sistema fiscale, approvazione di un nuovo contesto
normativo per le relazioni lavorative e liberalizzazione del sistema finanziario.
Gli effetti stabilizzatori dei rimedi adottati si osservarono verso il 1978-1979: la svalutazione
fece tornare la bilancia del conto corrente in positivo, mentre le politiche monetarie restrittive
e le riduzioni salariali abbassarono l’inflazione dal 25% al 15%. Queste misure ebbero però
un effetto contrario alla crescita vissuta fino a quel momento, infatti nel 1979 si ebbe un PIL
inferiore.
Quando le politiche economiche adottate per la crisi del greggio del 1973 iniziarono ad avere
qualche effetto, l’economia mondiale e la Spagna dovettero correre di nuovo ai rimedi per la
seconda crisi petrolifera del 1979, questa volta la causa scatenante fu la rivoluzione in Iran
che pose fine allo Scià con l’insediamento di un regime religioso, fondamentalista sciita (il
72
nome completo dello stato iraniano è Repubblica Islamica dell’Iran). L’Iran era uno dei
principali produttori di greggio, e l’immediata guerra tra i paesi confinanti, Iraq e Iran, fece di
nuovo moltiplicare i costi. Da 12,70 $ per barile all’inizio del 1979 si passò ai 26 $ del 1980
fino ai 37 $ a barile alla fine dello stesso anno.
L’aumento smisurato dei prezzi creò di nuovo incertezza economica, l’inflazione smise di
ridursi e rimase stabile intorno al 15% annuale, mentre il deficit pubblico passò dal 1,7% a
quasi il 6% del PIL e la bilancia in conto corrente tornò ad essere negativa per 5.000 milioni
di dollari annuali. Il governo questa volta decise di far ripercuotere tali aumenti ai
consumatori, il prezzo del carburante passò da 8.300 a più di 20.000 pesetas per tonnellata.
L’economia spagnola tornò ad avere una fase negativa fino al 1982. In quel periodo era
presente un governo socialista e il recupero dell’economia continuò fino a raggiungere un
aumento del PIL del 3%.
L’economia spagnola ebbe durante la decade degli anni ’70 numerose fluttuazioni, dovute
non soltanto al clima internazionale ma anche ai disequilibri basici presenti nel Paese. Era
indispensabile una riconversione industriale che solo con l’arrivo del partito socialista al
potere si cerco di attuare, ma comunque in maniera molto timida rispetto i reali bisogni
incombenti. L’inflazione scese fino al 7% il che rimaneva lo stesso molto alta rispetto alla
media degli altri paesi europei, questa crisi creò seri problemi all’occupazione e al mondo del
lavoro, l’aggiustamento industriale necessario in Spagna e l’aumento continuo del greggio
portò ad avere circa 3 milioni di disoccupati un 22% della popolazione attiva. Solo con
l’aumento del PIL superiore al 3% si iniziò ad avere una riduzione della disoccupazione.
La crisi degli anni 1973-1985 fu una crisi di carattere mondiale, però ebbe in Spagna
caratteristiche specifiche che possono essere inquadrate nelle politiche attuate nella decade del
miracolo economico: una economia strutturalmente non uniforme creata da una crescita
sostenuta ma al contempo protetta nei confronti dell’esterno. Le politiche di aggiustamento
doverose di quel periodo vennero prese, forse, in ritardo a causa del clima di politica interna,
questo comportò costi maggiori nel tempo e una disoccupazione più elevata rispetto gli altri
paesi dell’Europa occidentale. Nel complesso però non va dimenticato che mentre il mondo
fuori diventava sempre più frenetico in Spagna vi era il passaggio da un regime autoritario
durato 39 anni ad una democrazia tanto attesa e sperata da parte della popolazione.
73
2.8 L’opposizione al regime e la transizione democratica
Durante il periodo franchista, sia la prima fase che la seconda fase, i metodi repressivi messi
in atto dal regime furono numerosi: controllo dell’informazione, proibizione degli scioperi e
di qualsiasi forma di protesta contro il Governo, società inquadrata e delineata secondo
parametri già predisposti etc.
Con la seconda fase del periodo franchista, però, iniziano a crescere all’interno della società
spagnola sentimenti sempre più ostili al regime e alla proibizione delle libertà.
Con gli anni ’50 una nuova generazione di spagnoli inizia ad andare all’università, sono una
generazione che non partecipò attivamente alla guerra civile, per lo più figli dei vincitori, e
soprattutto sono una generazione cresciuta sotto gli insegnamenti di Franco. In quegli anni
inizia una fase di iniziale apertura del mondo accademico che sempre più trovava stretta la
chiusura imposta dal potere, così inizia una prima lotta tra comunisti e il Sindacato Unico
degli Studenti (SEU), nel febbraio del 1956 vi è uno scontro a fuoco tra studenti dal quale uno
studente, falangista, risulta ferito gravemente. Immediata è la reazione del regime, decreta per
la prima volta, dal termine della guerra, lo Stato di Emergenza. Chiude l’Università, i
professori sono destituiti, circa cinquanta tra professori e studenti sono detenuti, questo
episodio segna il momento storico nel quale il regime inizia a perdere il controllo della
gioventù universitaria, da questo momento l’opposizione del mondo accademico al
franchismo non smetterà di crescere.
Nella primavera del 1962, nelle Asturie, viene indetto uno sciopero generale che paralizza
tutta la conca mineraria, in questo conflitto appaiono per la prima volta Commissioni di
operai, sindacati di ispirazione comunista che portano avanti una forte opposizione al regime
con l’appoggio dell’Unione Generale dei lavoratori e di altri piccoli sindacati. Questo
sciopero si estende anche in altri punti della Spagna, ma nei Paesi Baschi dove il governo
dichiara per la seconda volta in pochi anni lo Stato di Emergenza. L’opposizione alla dittatura
di Franco diviene sempre più forte.
Giugno del 1962, ottanta spagnoli si dirigono a Monaco di Baviera per partecipare al quarto
congresso del Movimento Europeo, in questo congresso si discusse anche della possibilità
dell’entrata della Spagna nella Comunità Economica Europea, proprio nel 1962 il Governo
tecnocratico, cercò di stabilire contatti con la CEE però la richiesta fu rifiutata perché la
Spagna con il suo sistema politico non rappresentava una nazione democratica in cui erano
vigenti diritti umani. Si raggiunse solo 1970 un accordo preferenziale nel quale si facilitarono
74
gli scambi di prodotti industriali tra la Spagna e la CEE. Gli spagnoli che parteciparono al
quarto congresso rappresentavano quasi tutti i partiti di opposizione, repubblicani e socialisti
questo episodio rappresenta la prima volta dalla guerra civile che esponenti di vari partiti di
opposizione della Spagna si riunirono pubblicamente. L’unico partito che resta escluso è il
partito Comunista (a causa della loro opposizione al movimento europeo e per le lotte interne
di natura ideologica).
Alla fine del congresso vennero stilate delle norme che la Spagna avrebbe dovuto seguire per
poter entrare a far parte di questa nuova comunità europea, ovviamente le norme si riferivano
all’apertura democratica che il paese doveva raggiungere e alla rinuncia di qualsiasi forma di
repressione violenta. Il regime, come alla fine degli anni ’40, reagì con manifestazioni
popolari nell’intento di garantirsi il rispetto in patria ed estero, dichiarando i partecipanti e
l’Europa nemici della Spagna.
Il malcontento popolare e l’aumento delle proteste contro Franco, portò il regime a creare nel
1963 un nuovo organo di repressione: il Tribunale di Ordine Pubblico (TOP). Da allora fino
alla morte di Franco migliaia di spagnoli vennero accusati di essere traditori della patria (il
caso più eclatante fu l’uccisione dell’esponente comunista Grimau condannato a morte e
giustiziato con l’accusa dei suoi delitti durante la guerra civile).
Nel 1964, anniversario dei 25 anni di pace, iniziano a vacillare anche i rapporti tra Stato e
Chiesa, per una serie di motivazioni, nuovi gruppi di sacerdoti che per ragioni morali e
spirituali si avvicinarono ai movimenti di sinistra, una corrente riformatrice che prendeva
piede nella Chiesa romana etc. La Chiesa Cattolica Romana inizia a prendere le distanze dal
regime spagnolo, e negli anni ’70 comincia a prepararsi per il futuro. Nel 1971 chiede
perdono per non aver saputo della forza repressiva adottata dalla dittatura e si svincola
totalmente dal potere politico, questo produsse numerose proteste anche dal mondo clericale
spagnolo e il regime reagì incarcerando vari sacerdoti nel carcere di Zamora.
La vera opposizione al regime si fa sentire in Catalunya e nei Paises Vascos, i movimenti
nazionalisti (regionali) prendono sempre più forza e puntano a combattere contro il potere
centralista della dittatura, e proprio questo sentimento diventa più vivo durante gli anni del
miracolo economico. Mentre in Catalunya prende piede un’opposizione più moderata che
vedeva partecipanti dai vari ceti sociali e dalle varie forze di sinistra viene a crearsi
l’Assemblea di Catalunya, il primo organismo unitario di opposizione al regime. Nei Paesi
Baschi la situazione era leggermente più complessa, il nazionalismo moderato rappresentato
75
dal Partido Nacionalista Vasco (PNV) mantiene vivo nell’esilio il governo Repubblicano,
però la situazione storica viene demarcata principalmente dal nazionalismo radicale. Nel 1958
viene fondata l’organizzazione indipendentista E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna), durante gli
anni ’60 questa organizzazione iniziò una serie di atti terroristici, nel 1969 colpirono il
comandante della polizia politica di San Sebastian. Questo avvenimento, insieme all’accusa di
altri tre omicidi da parte dell’E.T.A. portò al famoso Proceso de Burgos, questo processo fu
molto importante perché venne utilizzato in patria dal regime franchista come esempio della
pericolosità delle forze di opposizione e all’estero, ma anche in Spagna, si mossero
manifestazioni che richiedevano clemenza per gli accusati. Franco si vide obbligato a
cambiare la pena capitale verso gli accusati in ergastolo. I tentativi di reprimere il
nazionalismo Basco portarono l’effetto opposto, ETA crebbe sempre di più, aumentando il
suo consenso popolare.
Nel 1969 Francisco Franco, dopo 33 anni vissuti da comandante della patria, proclama il suo
successore: il principe Juan Carlos Alfonso Víctor María de Borbón y Borbón-Dos Sicilias
Nel frattempo verso la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 gli scontri tra polizia e popolo
universitario diventano sempre maggiori, fu evidente che il regime aveva perso il controllo
dell’Università.
Nel mondo del lavoro aumenta il numero di sindacati clandestini oppositori del Sindacato
Vertical del franchismo. All’inizio degli anni ’70 la conflittualità tra le fazioni aumenta e
anche se il diritto di sciopero non è riconosciuto dal regime, durante questi anni si producono
1.600 scioperi. La lotta dei sindacati clandestini trascende il carattere economico, richiede con
forza un’apertura alle libertà sindacali e politiche. Il regime anche in questo caso reagisce con
forza a tali disordini, incarcerando i dirigenti dei sindacati.
Il 9 giugno del 1973 viene nominato da parte di Franco (80 anni e malato di Parkinson) come
primo Ministro Luis Carrero Blanco, considerato il successore del franchismo, Franco tenne
per se le altre cariche di Capo dello Stato e Generalissimo degli Eserciti. Carrero giunge come
Presidente del Governo in un periodo complesso che vedeva il franchismo sempre più debole
ed inoltre il suo mandato coincideva con la crisi del petrolio del 1973.
Il 20 dicembre dello stesso anno Carrero Blanco fu vittima di un attentato nei pressi della sua
abitazione; all'uscita da una funzione religiosa da una chiesa poco distante da casa, mentre si
recava al palazzo del governo, la vettura su cui si trovava fu fatta saltare in aria da una carica
di esplosivo posta sotto il piano stradale. La macchina del ministro venne scaraventata in aria
76
ad un’altezza di oltre 30 metri da un’ingente carica di esplosivo. L'esplosione provocò la
distruzione delle facciate di due edifici, della citata chiesa e l'incendio di almeno trenta
autovetture nelle immediate vicinanze, nonché la morte istantanea dell'autista e dell'agente di
scorta di Carrero Blanco; la vettura fu scagliata in aria e scavalcò un palazzo per ricadere nel
cortile interno dello stesso e Blanco, rinvenuto agonizzante, morì in ospedale poco più tardi.
L'attentato, il cui nome in codice era Operación Ogro, fu rivendicato dall'organizzazione
indipendentista basca ETA
Con la morte di Carrero Blanco scompare l’unico uomo che sembrava rappresentare una
garanzia per il futuro del regime. Al suo posto, il 31 dicembre 1973, viene nominato Carlos
Arias Navarro, rimase al Governo fino al 1976 guidando tre governi, due franchisti e uno che
portò il Paese verso la transizione democratica
L’opposizione rappresentata dal partito Comunista, nel 1974 dichiarò a Ginevra l’intenzione
di voler creare una grande alleanza tra le forze politiche e sociali per raggiungere la fase
democratica della Spagna. Nasce una settimana dopo, la Giunta Democratica della Spagna
nella quale il partito Socialista e altre piccole forze non si uniscono.
Le ultime esecuzioni mediante garrota furono quelle di Salvador Puig Antich e Heinz Chez, il
2 marzo 1974, mentre le ultime fucilazioni furono quelle di Angel Otaegui Echeverría, José
Luis Sánchez-Bravo Sollas, Juan Paredes Manot, José Humberto Baena Alonso e Ramón
García Sanz, membri dei gruppi armati ETA e FRAP, avvenute il 27 settembre 1975, furono
le ultime esecuzioni capitali in Europa.
Il 20 novembre del 197541, all’età di 83 anni, Francisco Franco muore.
41 La data del 20 Novembre coincide con la morte di Jose Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange
spagnola e primo dittatore della Spagna
77
CAPITOLO 3
LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA E L’ENTRATA NEGLI ORGANISMI
SOVRANAZIONALI
Con la fine del regime inizia per la Spagna il processo di convergenza verso la Comunità
Economica Europea (CEE) ed in seguito verso l’Unione Europea (UE). In questa fase storica
il paese vive una trasformazione completa, sia sotto il punto di vista industriale, dovendo
procedere ad una riconversione di quei settori ormai in crisi e sia sotto il punto di vista
sociale, con l’arrivo della democrazia arriva anche la prima Costituzione spagnola (1978).
L’entrata negli organismi sovrannazionali porta al completamento di quelli che erano gli
obiettivi del Piano di Stabilizzazione, inserendo la Spagna, ormai democratica, in un mercato
comunitario e in un contesto globalizzato. Nonostante il raggiungimento dei parametri
democratici e di diritti umani richiesti dalla CEE la trattativa per l’ingresso del Paese è lunga
e complessa a causa di vari fattori tra i quali la contrapposizione di alcuni paesi membri.
Dopo anni di trattative e numerosi provvedimenti nel 1986 la Spagna si annette alla CEE.
Viene la volta dell’incorporamento allo SME, il Trattato di Maastricht e l’ingresso nella UE,
in questi anni la Spagna mostra una crescita maggiore degli altri paesi membri.
3.1 Crisi Economica e Riconversione industriale
Nell’anno 1975 si decretò la fine del processo prolungato e continuo di crescita industriale e
economica, iniziò così un decennio di crisi che pose in discussione il modello di sviluppo
adottato durante la decade degli anni ’60. La disoccupazione che nel 1970 era del 1.1% nel
1985 arrivò al 21.9% (16% industriale), il contributo dell’industria alla formazione del PIL
diminuì dal 40% nel 1970 al 35.7% nel 1985, la tassa media annuale di crescita passò dal
7.5% del 1970-75 al 1.3% del 1975-1985.
La crisi economica fu mondiale e ebbe la sua origine nel forte aumento dei prezzi del petrolio
negli anni 1973 e 1979, e l’aumento di alcune materie prime derivate che produssero un forte
aumento dei costi di produzione industriale e anche una contrazione della domanda interna.
Inoltre il sistema accusava di un aumento dell’inflazione, del deficit della bilancia dei
pagamenti, della disoccupazione etc. questi furono effetti che si ripercossero in tutto il mondo
occidentale. In particolar modo questa crisi fu particolarmente elevata nel settore industriale,
l'aumento dei costi energetici venne compensato con la diminuzione della produttività che
poteva essere assorbita solo con innovazioni tecnologiche e di gestione.
78
I settori sviluppati (pienamente occupati, dipendenti da fonti di energia petrolifera e di materie
prime) entrarono in profonda crisi, mentre emersero nuovi settori in ambito elettronico,
microelettronica, informatico e delle comunicazione che andarono a modificare
profondamente i processi produttivi (automatizzazione dei processi, informatica applica al
lavoro, robotica, tecniche di controllo del prodotto, automatismi etc.) riducendo la necessità di
mano d’opera, costi e permettendo localizzazioni differenti rispetto alle politiche dei Poli di
Sviluppo.
Le cause dell’elevata crisi spagnola vanno ricercate42:
1) La complicata situazione politica (nel 1975 muore il generale Franco) che ritardò le
scelte di politica economica necessarie al Paese, mentre nel resto dei paesi membri
dell’OCSE l’aumento dei prezzi del petrolio fu trasferito ai consumatori, in Spagna si
mantennero i prezzi bassi del combustibile mentre si attuava una politica economica
(fiscale e finanziaria) di espansione della domanda mentre la bilancia dei pagamenti
entrava in una situazione fortemente deficitaria. Il risultato fu una spirale inflazionaria
più alta che la media dell’OCSE, che si ripercosse con un aggravamento della crisi
posteriore.
2) La Spagna dipendeva fortemente dalla importazioni petrolifere, ciò comportò un
aumento più elevato dei prodotti rispetto agli altri paesi.
3) I costi dei salari ebbero forti aumenti come conseguenza della legalizzazione delle
organizzazioni sindacali che fino a quel momento presentavano salari particolarmente
bassi. Questo aumento dei salari e dei costi (Sicurezza Sociale) ebbe due conseguenze:
Si ripercosse direttamente sopra i prezzi collaborando alla forte crescita dell’inflazione
e la perdita di competitività; inoltre l’industria spagnola era specializzata in quei
settori che richiedevano un’elevata intensità di lavoro che basavano la loro
competitività nei suoi bassi costi dei salari, nel momento in cui i salari aumentarono si
perse questo vantaggio competitivo e gran parte dei settori sviluppati entrarono in
profonda crisi.
4) Fu mantenuto il licenziamento libero anche dopo la morte di Franco. Il risultato fu che
mentre negli altri paesi forme di sicurezza nei luoghi di lavoro permisero
licenziamenti (cassa integrazione guadagni nel caso italiano) con riaggiustamenti
dell’organizzazione lavorativa di alcune industrie, in Spagna non vi fu questo processo
42 Pedro Adiego Sancho y Javier Velilla Gil: 1975-1985: Crisis económica y reconversión industrial, sección de
El sector secundario en España, Geógrafos, 2002.
79
di riconversione automatico e le industrie colpite dalla crisi chiusero aumentando la
disoccupazione in maniera elevata.
5) La transizione politica che attraversò la Spagna fu di notevole importanza, l’azione
politica stava venendo prima dell’azione economica, così facendo molte politiche
vennero mosse in ritardo dato che si stava dando la priorità a questa transizione
democratica.
6) Iniziarono ad apparire paesi fortemente competitivi nelle attività industriali nelle quali
si era specializzata la Spagna, i paesi di nuova industrializzazione: Corea del Sud,
Taiwan, Singapore Hong Kong, Brasile e Messico che percorrevano la stessa strada
appena lasciata dalla Spagna, bassi costi lavorativi e poche garanzie per i lavoratori.
7) La situazione deficitaria delle strutture industriali aiutarono a incrementare la crisi:
- Forte presenza di concentrazione imprenditoriale
-Bassa produttività relativa del sistema industriale
-Obsolescenza tecnica
-Eccessiva dipendenza dall’estero (tecnica e finanziaria)
Tutti questi fattori portarono la Spagna ad avere una crisi più forte e lunga degli altri paesi. Le
imprese spagnole furono obbligate ad aumentare la produttività per ammortizzare i costi del
lavoro e nel frattempo cercare mercati esteri per compensare la contrazione di domanda
interna. Il risultato fu un elevato incremento delle esportazioni, specialmente delle DCTA
(Demanda y Contenido Tecnologico Alto) anche se il risultato favorevole fu opera della
riduzione di domanda interna che quindi implicava un minor numero di importazioni
migliorando così i conti della bilancia dei pagamenti.
3.2 La politica di Riconversione industriale
Lo Stato prima della crisi si concentrò nei seguenti obiettivi:
Mitigare gli effetti sociali e economici della crisi (soprattutto la disoccupazione)
Facilitare la modernizzazione delle imprese
Trovare una redistribuzione territoriale delle localizzazioni industriali che possa
riequilibrare il territorio rendendolo più uniforme
Favorire i fenomeni di industrializzazione endogena (iniziativa che cerca di far sorgere
un’industria amalgamata con il territorio dove si cerca di sfruttare al meglio le risorse
naturali e umane presenti)
80
Per raggiungere tali obiettivi si promulgò il Decreto Reale del 1981 che fu ampliato nel Libro
Bianco della Reindustrializzazione e la Legge del 1984 riguardante la Riconversione e la
Reindustrializzazione. In questa legislazione si trattavano rimedi finanziari (convenzioni,
crediti e garanzie), rimedi fiscali (bonifica del settore), rimedi lavorativi (ritiri anticipati,
creazione di fondi e promozione dell’occupazione) stimolazione dell’attività imprenditoriale e
sostituzione di settori orientati ad un sanamento finanziario delle imprese e all’aumento della
produttività.
Territorialmente si crearono una serie di aree promotrici alle quali andavano destinate tali
benefici per la riconversione o la sostituzione di settori in crisi:
Grandi Aree di Espansione Industriale (GAEI), già esistenti dal III Piano di Sviluppo,
che riguardavano: Andalusia, Castilla-Leon, Castilla La Mancha, Extremadura e la
Galizia
Zone di preferenza per la Localizzazione Industriale (ZPLI), localizzate nella valle del
Cinca, Canaria e Sagunto
Poligoni di Preferenza per la Localizzazione Industriale (PPLI) situati in 21 località di
Aragòn, Valencia, Murcia, Baleares e Melilla
Zone di Urgente Reindustrializzazione (ZUR) riguardavano le località che più delle
altre stavano vivendo la crisi con gravi conseguenze: Ferrol-Vigo, Asturie, Ria del
Nervion, Barcelona, Madrid, Bahia de Cadiz
I settori principalmente interessati da tali riforme furono quelli più sviluppati e in declino:
siderurgico, costruzione navale, tessile, e apparecchiature elettrodomestiche, inoltre cinque
grandi imprese vincolate con il capitale straniero: General Eléctrica Española, Westinghouse,
Asturiana de Zinc, Talbot y Eléctrica.
I risultati di queste politiche non furono quelli sperati, questo fu visibile soprattutto nelle zone
in declino, ossia quelle che necessitavano maggiormente del processo di nuova
Industrializzazione, questo perché i settori da rinnovare presentavano una struttura industriale
meno diversificata, trovando quindi difficoltà nel portare una nuova modalità per operare.
Questa serie di benefici, inoltre, rafforzò ulteriormente le differenze territoriali già esistenti:
Madrid e Barcelona ottennero il 40% dei progetti presentati, il 47% del nuovo lavoro generato
e il 54% degli investimenti realizzati.
I settori che ottennero più benefici erano quelli relazionati con l’agroalimentare, la
metallurgia, il tessile e la preparazione e la pelle, esattamente quelli che avevano meno
81
capacità di innovazione. Le piccole e medie imprese (PYME) ebbero poche occasione per
accedere a questi vantaggi che vennero dirottati principalmente verso le grandi fabbriche.
3.2. Le conseguenze territoriali della crisi industriale
La crisi industriale ebbe importanti ripercussioni nel settore industriale spagnolo e soprattutto
nella struttura industriale regionale:
1) La comparsa di regioni in declino industriale, zone dove i settori industriali
protagonisti nel miracolo economico iniziarono a presentare una contrazione della
propria domanda e quindi la riconversione produsse un’importante processo di
deindustrializzazione.
2) Si produsse un rafforzamento dei processi di diffusione industriale, rafforzando la
polarizzazione industriale nelle regioni centrali (a Madrid, Barcelona e Bilbao nel
1983 erano presenti il 77% delle sedi delle 500 imprese più importanti della Spagna)
dato che maggiormente erano presenti le industrie da riconvertire e allo stesso tempo
le industrie meno flessibili nella struttura e nel prodotto.
3) Una crescente concentrazione di spazi periferici, sia nelle regioni periferiche che in
quelle centrali, l’esito era aumentare la concentrazione imprenditoriale in determinate
zone per poterne trarre dei vantaggi competitivi, inoltre si poteva puntare su una
82
decentralizzazione della produzione dando a luogo ad una frammentazione del
processo produttivo che permettesse la ricerca di luoghi più idonei per ogni fase
produttiva, il risultato fu l’applicazione di una strategia multilivello che attraverso le
nuove tecnologie potesse garantire una maggiore specializzazione industriale.
Il risultato finale fu:
-L’industrializzazione delle aree periurbane delle grandi agglomerazioni industriali.
-Il rafforzamento industriale delle zone periferiche e semiperiferiche delle regioni centrali,
specialmente quelle zone inserite nel centro delle comunicazioni (valle del Ebro, Valladolid,
zone esteriori a Valencia nella comunità Valenciana)
-L’industrializzazione delle aree rurali, dove l’eccesso di mano d’opera del settore agrario
venne reinserito in un’industrializzazione dei prodotti agrari, dando luogo a una
localizzazione di industrie intensive, di scarso livello di investimenti, con carattere familiare e
con basso livello tecnologico.
83
3.3 La Spagna e la Comunità Economica Europea (CEE)
L’integrazione della Spagna nella Comunità Economica Europea del 1° Gennaio del 1986
costituisce il processo più completo e sistematico della liberalizzazione, apertura e
razionalizzazione dell’economia spagnola al seguito del Piano di Stabilizzazione del 1959.
Questo può affermarsi generalmente per tutti i settori ad eccezione dell’Agricoltura che
richiese circostanza diverse nel suo processo di liberalizzazione attraverso un cambio nel
sistema di regolamenti e di intervenzione.
La negoziazione per l’adesione del Paese nella CEE non fu facile né tanto meno rapida, si
sollecitò formalmente poco dopo le prime elezioni democratiche post franchiste del giugno
1977 ed iniziarono le prime negoziazioni all’inizio del 1979, quasi contemporaneamente
all’inizio del Sistema Monetario Europeo (SME), il meccanismo che contribuì a stabilizzare
le relazioni di cambio tra i paesi comunitari e ispirare un maggior rigore nelle politiche
monetarie, questo processo non si concluse fino alla firma del Trattato nel Parlamento
d’Oriente di Madrid il 12 giugno del 1985. Durante questi anni si ebbero ritardi e problemi
nel raggiungere le mete proposte per l’ingresso, la causa fondamentale era radicata nei
problemi interni della Comunità, a seguito a loro volta di problemi causati da alcune politiche
agricole promosse dalla CEE come la Politica Agraria Comune (PAC) e i suoi effetti
collaterali che intaccarono i Presupposti Comunitari tra i paesi membri. Si temeva che
l’ingresso di un paese della dimensioni della Spagna avrebbe fatto gravare ulteriormente tali
84
problemi interni, inoltre il timore di un’eccessiva concorrenza in alcuni settori temuta da
determinate nazioni, tutta questa serie di fattori posero le basi di una difficile transizione
all’interno della CEE per la Spagna.
La negoziazione si raggruppò in 18 capitoli: Unione Doganale; Agricoltura; Pesca; CECA;
EURATOM; Aspetti sociali; Diritto di istituzione e libera prestazione di servizi; Movimento
di capitali; Trasporti; Questione Economica e finanziaria; Fiscalità; Relazioni Estere;
Istituzioni; Brevetti; Canarie; Ceuta e Melilla; e Portogallo. Inoltre tutta una serie di sub
capitoli che componevano i blocchi principali di discussione.
3.3.1 Una lunga negoziazione43
La Comunità Economica Europea (l’attuale Unione Europea) costituisce un club con le sue
proprie regole, create nel tempo, le quali sono impossibili da cambiare per un paese candidato
a farne parte. Apparentemente si potrebbe pensare che più che una negoziazione bilaterale si
tratta di una vera imposizione di condizioni da parte dei paesi già esistenti. C’è da segnalare
che durante il processo di negoziazione si ebbe questa impressione. Sebbene sia una
negoziazione di adesione si concentra esclusivamente nella definizione di periodo transitori e
derogazioni temporali delle regole comunitarie, esistono margini sufficienti per poter parlare
di negoziazione di adesione più che adesione incondizionata.
Conviene risaltare alcuni aspetti che servirono per rafforzare la posizione spagnola e per poter
conseguire una Trattato equilibrato e prudente. In primo luogo, la inevitabile tendenza che
pose la posizione comunitaria contro l’ingresso della Spagna per un fatto di minimo comun
denominatore di interessi dei paesi membri considerati individualmente, si contrastò
combinando la negoziazione multilaterale (con la Commissione) con la bilaterale dei paesi
membri. Si combinarono anche due livelli: quello tecnico e politico, quest’ultimo
particolarmente importante nei momenti in cui si producevano dei ritardi nel processo di
negoziazione. Ai problemi già prima segnalati vanno anche aggiunti i dubbi comunitari di una
adesione «alla greca»; infatti, la Grecia (incorporata nel 1981) realizzò una negoziazione
relativamente rapida e con periodi di transizione corti e scarsi sotto il profilo cautelativo; il
risultato fu un elevato numero di incompletezze e dispute giuridiche nel Tribunale della
Comunità Autonoma un volta diventato paese membro. La questione spagnola costituì la
43 Badosa, Juan Pagés La adhesion de España a la CEE, in ICE 75 años de politica economica española, n.º 826,
Noviembre 2005
85
volontà di voler evitare questo tipo di problemi, per i quali erano necessari periodi transitori
adeguati e limitazioni settoriali più serrate che servivano a rafforzare la posizione
negoziatrice.
La Spagna si dotò di una organizzazione appropriata per fronteggiare con determinate
garanzie la negoziazione per l’adesione. Durante i primi governi democratici si creò un
Ministero specifico. In seguito passò ad essere una Segreteria di Stato per le relazioni con la
Comunità, fortemente specializzata e con esperti riconosciuti nei vari campi. Particolarmente
importante fu la creazione all’inizio del 1983 di una Task Force composta da undici esperti, la
quale venne dotata di amplia autorità per definire le posizioni della Spagna, negoziare con la
Commissione Bilaterale gli aspetti tecnici, fissare le priorità e risolvere ipotetici conflitti di
interesse all’interno della delegazione spagnola.
Il gruppo di esperti e la commissione negoziatrice si dividevano distinte categorie di pensiero
riguardo la negoziazione, da un lato, quelli che sostenevano di dare importanza
principalmente all’obiettivo di diventare membri e altri che sostenevano che l’adesione
doveva arrivare solo al seguito di un raggiungimento essenziale di determinate condizioni
tecniche sia in contesto economico che politico. Tutta questa serie di contrasti interni alla
ricerca di un equilibrio (chiamata «negociación hispano-española») lasciarono un’impronta
nel testo del Trattato.
3.3.2 Unione Doganale: l’industria come tema chiave
Per il suo peso nella formazione del PIL, la negoziazione riguardante il settore industriale
(unione doganale) era un tema chiave nell’esito economico della adesione. Rimaneva
comunque più facile la contrattazione in questo settore che in quello agrario, nel settore
industriale si trattava di inserire regole di carattere generale di fronte all’enorme casistica di
regole del settore primario.
La posizione iniziale dei negoziatori comunitari era di un periodo di transizione di 5 anni fino
alla liberalizzazione totale degli scambi e l’adottamento della Tariffa Esteriore Comune
(TEC) per la Spagna, preceduta da una importante decrescita delle tariffe spagnole più
elevate. Questa posizione spiega perché i paesi comunitari consideravano squilibrato a favore
della Spagna l’accordo del 1970, avrebbe sfruttato delle tariffe di importazione comunitarie
molto più elevate rispetto a quelle riguardanti l’esportazione dei prodotti spagnoli, questo per
l’esistenza in Spagna del ICGI (Impuesta de Compensacion de Gravamenes Interiores) che
supponevano un’importante protezione addizionale, e la Desgravacion Fiscal a la Exportacion
86
(DFE) che implicava una convanzione alle imprese esportatrici. Questi due ultimi aspetti si
risolsero con l’introduzione del Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), un’imposta neutrale dal
primo momento dell’adesione. Questo in realtà era un compromesso già preso dalla Spagna
con il GATT (WTO attuale) e si ritardò per farla coincidere con l’adesione alla CEE.
Questa serie di procedimenti segnano l’apertura totale della Spagna nei confronti del libero
mercato mondiale, accettando quindi il processo di globalizzazione. La Spagna offriva al resto
d’Europa un mercato industriale molto protetto a cambio di un’apertura dei mercati agricoli
europei. Il capitolo industriale si concluse rapidamente rispetto al settore agrario; l’Accordo
finale scartò l’idea di una decrescita delle tariffe doganali spagnole per un periodo transitorio
di 7 anni, periodo che comportò con il suo termine l’aggiunta di ulteriori capitoli al Trattato
(pesca e libera circolazione dei lavoratori per esempio). La Spagna raggiunse l’accordo totale
con la CEE e l’adottamento del TEC con otto riduzioni delle tariffe doganali prima
dell’adesione. Nello stesso periodo la CEE eliminava le sue tariffe (sensibilmente inferiori)
con la Spagna. Si ridussero le tariffe ogni 1° di Gennaio dal 1986 fino al 1993, secondo la
seguente sequenza: 10%; 12,5%; 15%; 15%; 12,5%; 12,5%; 12,5%; e 10%. La prima
riduzione 10 per 100, più moderata, venne giustificata con la coincidenza dell’entrata
dell’IVA e con l’eliminazione prima segnalata dell’ICGI.
Il tema spinoso delle tariffe decrescenti preliminari si risolse con la creazione, in maniera del
tutto eccezionale, di un contingente tariffario per l’importazione spagnola di automobili
comunitarie di tre anni di durata. Un settore come quello automobilistico, fortemente portato
all’esportazione, quindi competitivo, godeva di una tariffa doganale iniziale all’adesione del
36,7% (al quale andava sommato l’ICGI); la soluzione fu una riduzione della tariffa del 17%
per un volume moderato di automobili (40.000 il terzo anno). All’inizio del quarto anno,
1989, questa tariffa coincideva con quelle pattuiti nel Trattato, e la tariffa contingente sparì.
C’è da segnalare che questo lungo e duro processo di negoziazione, coincise con il processo
interno di riconversione industriale in Spagna (siderurgico, navale etc.) che richiese ingenti
investimenti pubblici.
3.3.3 La Spagna e la Pac
Alla vigilia dell’adesione nella CEE, la Spagna era un paese che aveva raggiungo nelle ultime
due decadi un’industrializzazione elevata (era il 10° paese al mondo) e i propri scambi con i
paesi comunitari riflettevano chiaramente questo fatto, solo un 16% delle esportazioni e un
6% delle importazioni avevano carattere agricolo nel 1984. Nonostante questo la Politica
87
Agraria Comune (PAC) creò numerosi problemi durante la trattativa per l’adesione. Anche
tecnicamente fu il più completo, non solo per la naturalità del settore, ma soprattutto per il
groviglio di interventi che caratterizzavano la PAC.
La PAC si basava su un trasferimento di risorse dalla generalità dei consumatori europei (che
devono sopportare, per il principio di preferenza comunitaria, prezzi più elevati rispetto quelli
internazionali) e collaboratori (che supportano con le loro imposte le sub convenzioni
necessarie per sostenere prezzi e aiuti) alla minoranza (3 o 5 % della popolazione attiva) che
sostentano gli agricoltori. I costi dell’interventismo statale in Spagna superavano quelli
ammessi dalla CEE, era necessario il passaggio da una politica di iinterventismo e
protezionistica spagnolo ad una comunitaria, comunque interventista e protetta ma di
dimensioni maggiori.
Anche in questo caso la transazione si basava nel dare alla Spagna del tempo per poter
implementare i meccanismi transitori posti come soluzione dei problemi, l’equilibrio delle
concessioni reciproche si concentrò principalmente nell’accettare limitazioni nel settore
spagnolo della frutta e verdura (settore molto competitivo per la Spagna) a cambio di
restrizioni temporali alle importazioni di prodotti latticini, carne di bovino e frumento tenero.
Per i prodotti ortofrutticoli si accettò un sistema a due fasi. La prima fase, di quattro anni, il
settore rimase praticamente escluso dall’incorporazione comunitaria. Questo periodo di stallo
venne chiamato verifica della convergenza; il secondo era il periodo della transizione, della
durata di sei anni, al quale si realizzava l’approssimazione dei prezzi e si raggiungeva il libero
commercio. Questa seconda fase fu quella più critica perché trovava nella Francia il primo
oppositore, questo perché il settore in questione era particolarmente importante in Spagna e la
sua competitività internazionale destava problemi per altri paesi comunitari, alla fine la
seconda tappa si concluse con la Spagna dentro le istituzioni comunitarie la quale diede una
importante capacità di rinegoziazione che venne utilizzata posteriormente per migliorare le
condizioni e ridurre la transizione.
Per mantenere il mercato libero, ma sotto il controllo europeo, l’introduzione di prodotti come
ad esempio quelli a base di latticini si dovette adottare la filosofia Europea della CEE, con
l’introduzione delle quote latte e per lo zucchero, questo per non scompensare il mercato,
rischiando di avere un eccesso di prodotto con un conseguente abbassamento del prezzo etc.
Limiti quantitativi analoghi si stabilirono anche in altre aree dove la competitività e la forte
capacità produttiva spagnola potesse destabilizzare il mercato (vino e olio).
88
3.3.4 I rapporti storici con l’America Latina
La Spagna decise di inserire nelle negoziazioni aspetti riguardanti le loro relazioni storiche
con l’America Latina. Decise di utilizzare in suo favore queste relazioni estere, facendo da
ponte con l’America del Sud, e inoltre la sua vicinanza con i paesi del Nord Africa. La CEE
d’altra parte aveva scarse relazioni con l’America Latina per diversi motivi:
La crisi economica degli anni ’70 provocò una forte recessione negli stati membri la
CEE che portò la Comunità ad adottare una serie di rimedi volti al protezionismo.
La Convenzione di Lomé (accordo di interscambio commerciale e cooperazione tra i
paesi dell’Unione Europea e i paesi dell’ACP, associazione di paesi formata da paesi
africani, esclusi quelli del nord, isole del Pacifico e dei Caraibi) e i Sistema
Generalizzato di preferenze dava priorità a relazioni con determinate nazioni,
attraverso trattamenti preferenziali.
L’indebitamento dei paesi Latino-Americani era tale da scoraggiare forme di
cooperazione e coesione economica.44
In questa fase storica la Spagna decise di dare priorità alla propria situazione interna (scambi
commerciali con i paesi del Sud America) stabilendo accordi con la CEE riguardanti la
politica estera. I vincoli tra la Spagna e i paesi latino Americani erano principalmente politici
più che economici, la cosa si tradusse in due dichiarazioni allegate nell’Atto conclusivo:
1) Dichiarazione Comune di Intenzioni relative allo sviluppo e l’intensificazione delle
relazioni con i paesi dell’America Latina, cosa che doveva essere comune nei dieci
Stati membri della CEE, oltre la Spagna e il Portogallo
2) Dichiarazione del Regno di Spagna sopra l’America Latina
Comunque, nell’Atto non vi era nessun compromesso per il quale attraverso l’ingresso della
Spagna, ugualmente per il Portogallo, si potesse produrre un cambio nelle relazioni
economiche della Comunità con l’America Latina, continuavano a rappresentare, in quadro
generale, relazioni con paesi del Terzo Mondo.
Posteriormente l’ingresso nella Comunità del 1986, per iniziativa spagnola nel Consiglio dei
Ministri dell’Aia, nello stesso anno, vennero portate proposte per aumentare le relazioni con
l’America Latina, tali proposte erano presenti nel documento titolato: Nuevas Orientaciones
44 Josè Angel Sotillo Lorenzo, America Latina en las negociaciones del ingreso de España en la Comunidad
Europea, Politica y Sociedad, n°4, 1989, p. 25-31
89
de la Comunidad Europea para las relaciones con América Latina. Negli anni novanta le
relazioni tra America Latina e UE si vanno ad intensificare, mantenendo una crescita costante
nelle negoziazioni commerciali ed economiche. Si firmarono gli accordi di terza generazione
nei quali si ponevano le basi per i principi democratici e dei diritti umani da adottare nei
suddetti paesi, l’UE iniziò una serie di cooperazioni che portarono ad un aumento notevole
del commercio, degli investimenti europei destinati ai paesi latino americani e di aiuti, senza
precedenti, destinati allo sviluppo.
Il Trattato dell’Unione Europea del 1992, e il Trattato de Asunciòn del 1991 con il quale si
viene a creare il MERCOSUR (mercato comune del Sud America), contribuiscono in maniera
decisiva, a partire del 1994 si ampliarono gli accordi di quarta generazione, soprattutto con el
Acuerdo Marco Interregional de Cooperación entre la Unión Europea y el MERCOSUR,
firmato il 15 dicembre del 1995, la situazione del Latino America ebbe una posizione sempre
più promettente nelle relazioni tra i due continenti.45
3.3.5 Gli effetti economici dell’ingresso nella CEE
L’entrata della Spagna nella Comunità Economica Europea è stata senza dubbio uno dei
principali motori della modernizzazione sperimentata dall’economia spagnola. L’integrazione
ha portato un processo di apertura che era iniziato verso la fine del 1959 fino a raggiungere
nel 1986 il raggiungimento del suo obiettivo. In termini di flussi commerciali, la somma delle
esportazioni e delle importazioni che nel 1986 rappresentava il 35.9% del PIL raggiunse il
62.2% nel 200. Un cambio di percentuale che rappresenta la transizione da un’economia
chiusa ad una inserita pienamente nel processo di integrazione europea, la variazione netta
dell’attivo e passivo con l’estero, in percentuale del PIL, passò dal 2.2% allo 0.7 nel 1986, gli
investimenti esteri diretti in Spagna passarono dal 1.4% al 6.6% del PIL mentre gli
investimenti diretti della Spagna nel resto del mondo aumentarono dallo 0.2% al 9.6% del
PIL.
45 Noemí B. Mellado, Cooperaciòn y conflicto en el Mercosur, capitolo 1 Mercosur convergencia y divergencias
90
91
92
3.4 L’entrata nell’Unione Europea (UE)
Uno degli eventi più importanti nel periodo costituzionale della Spagna fu l’integrazione del
paese nel 1986 nella CEE, questa integrazione comunitaria favorì lo sviluppo economico della
società spagnola e la sua convergenza con la UE.
L’Accordo Preferenziale per l’entrata nella CEE fu molto favorevole per la Spagna, le
esportazioni aumentarono da un 36% del 1970 a 49% nel 1984, mentre le importazioni
rimasero costanti intorno ad un 33%. Come già esplicato il processo di integrazione nella
CEE della Spagna (e del Portogallo) si concluse nel 1986, dopo una decade caratterizzata da
un’economia in continua fluttuazione l’ingresso della Spagna nella Comunità Europea fu un
processo di liberalizzazione economica e di cambio nelle regole di politica economica che,
per regolamento europeo, risultavano essere obbligatorie.
L’entrata della Spagna nella Unione Europea significò, infatti, aiuti finanziari e l’ingresso in
un grande mercato di sviluppo e con forte capacità di acquisto, però allo stesso tempo
significò anche un’apertura rapida dell’economia del Paese, una maggiore competitività
internazionale e l’adozione di politiche economiche poste come linee guida da parte
dell’organo sovrannazionale. Inoltre l’ingresso della Spagna nella Comunità Europea concise
con la firma dell’Atto Unico Europeo nel febbraio del 1986 (entrato in vigore nel 1987), con
quest’ultimo la Spagna dovette affrontare una doppia sfida, da un lato doveva completare i
requisiti richiesti per la liberalizzazione bilaterale stipulati con il Trattato di Adesione e
dall’altro avanzare con gli altri soci comunitari nella risultato finale del Mercato Unico
Europeo, con tempi piuttosto ristretti avendo come orizzonte temporale il 1993.
L’ingresso nel processo di integrazione europea, nella seconda metà degli anni ’80, coincise
con un cambio favorevole del ciclo economico, entrando in una fase di espansione generale
che facilitò l’avanzamento nel programma del Mercato Unico, di fatto questo programma fu
concepito come una grande politica di offerta che permettesse il rafforzamento della
competitività e la ristrutturazione del sistema produttivo europeo con il fine di migliorare la
dinamica economica e la creazione di lavoro.
La creazione di un Mercato Unico pose le basi per la creazione di un unico sistema monetario,
una Unione Economica e Monetaria nella UE, già prevista nell’Atto Unico. Nel Giugno del
1989 la peseta si incorporò allo SME iniziando cosi un cammino che porterà la Spagna ad
entrare nella Unione Economica e Monetaria (UEM). Così nel febbraio del 1992 con il
Trattato per la creazione della Unione Europea, firmato a Maastricht, si programmarono le
93
tappe del Piano Delors e promosse un’importante programma di convergenza
macroeconomica dei distinti paesi comunitari. Anche questa iniziativa fu determinante per la
Spagna che orientò la propria politica economica verso questa convergenza cosa che la rese
partecipe nella nascita della UEM il 1 Gennaio del 1999 andando a sostituire la propria
moneta con l’Euro (€) nel 2002, il cambio €-pts era 1 €-166.386 pts. Durante questi anni si
vive un vero e proprio cambio economico, politico e sociale a livello europeo, la riforma
istituzionale che impegnava la UE a convergere verso un’unità completa fu il Trattato di
Amsterdam (1997) che suppose uno sviluppo nella libera circolazione di persone, politica
sociale e lavoro, politica estera e della sicurezza comunitaria, politica interna e di giustizia.
Ulteriore trattato firmato dalla Spagna fu anche quello di Nizza (dicembre 2000 in vigore dal
2003 che modificava la nomina dei commissari del Parlamento Europeo e potenziando il
ruolo del Presidente di Commissione).
Sotto il profilo economico, a seguito dell’integrazione nella CEE e poi UE, la Spagna ha
vissuto un periodo di totale apertura economica, confrontando la propria economia con quella
mondiale, liberalizzando le transazioni economiche internazionali (spinte dal GATT poi
trasformato in WTO), producendo un enorme progresso tecnologico incidendo notevolmente
nelle strategie produttive e le relazioni lavorative delle imprese, questo ha rafforzato la
competitività delle imprese spagnole dando loro una maggiore competenza , inoltre con i
finanziamenti della UE il paese ha potuto beneficiare di un grande aiuto economico
modificando il sistema economico e sociale soprattutto nei seguenti ambiti: commercio e
investimenti esteri, crescita economica e la convergenza reale, la coordinazione delle politiche
economiche, il presupposto di coesione economica e sociale.
3.4.1 Commercio e investimenti diretti esteri
Il tasso di liberalizzazione del commercio della economia spagnola aumentò notevolmente,
passando da un 33% nel 1985 ad un 47% nel 2002, l’aumento del peso dei flussi commerciali
rispetto al PIL fu il risultato dell’apertura del mercato e degli scambi con i paesi comunitari
come conseguenza dell’integrazione della Spagna nel Mercato Unico Europeo. Così le
esportazioni spagnole dirette verso la UE passarono da un 52% del totale nel 1985 ad un 69%
nel 1990 fino a raggiungere un 71% nel 2002, mentre le importazioni erano il 37% del totale
nel 1985 divennero un 59% nel 1990 e nel 2002 raggiunsero il 64%, i principali soci
comunitari con i quali la Spagna ha relazioni commerciali sono la Francia, la Germania,
l’Italia, la Gran Bretagna e il Portogallo.
94
In questo nuovo contesto economico la Spagna diminuì le esportazioni verso gli Stati Uniti
d’America (poco più di un 4%) mentre aumentarono e migliorarono le posizioni relative nei
confronti dell’America Latina, Europa dell’Est e i paesi del Nord Africa.
Durante i primi anni di questa integrazione spagnola nella UE si ebbe un deterioramento della
bilancia commerciale a causa di un aumento delle importazioni rispetto le esportazioni questa
situazione si riaggiustò con l’inizio degli anni ’90, il deficit commerciale ebbe questo
andamento: 3,5% nel 1986, 7,2% 1989, 3,5% 1997, 6% 2002.
Il cambio che si produsse durante questi anni comportò un rinnovamento e una nuova
struttura settoriale dell’industria spagnola che si andava specializzando da settori più intensivi
in risorse primarie e mano d’opera ad altri con maggiore presenza di fattori tecnologici e una
domanda più dinamica, mettendosi quasi alla pari di altri paesi della UE. Questo cambio
comportò anche un aumento degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) nella economia spagnola
dal 4% nel quinquennio 1981-1985, passò ad una 24% nel 1986-1990, la Spagna poté così
sfruttare di questa intensa crescita di investimenti su scala internazionale. Dal 1996 la
situazione cambiò e i flussi di investimenti esteri (dalla Spagna all’estero) aumentarono
rispetto quelli in entrata, l’area di maggior destino era l’America Latina, nel 2002 gli IDE
ricevuti dalla Spagna, 3,2% del PIL, superarono gli IDE diretti all’estero, 2,7% del PIL.
Crescita e convergenza reale
La miglioria dell’economia spagnola può essere attribuita non solo ad una migliore
assegnazione delle risorse, ma anche ad una serie di effetti dinamici che incisero sopra la
potenzialità di crescita, provocando una aumento nella produttività dei fattori disponibili e
stimolando un incremento nella dotazione degli stessi. Le politiche economiche adottate nella
UE permisero all’economia
della Spagna una crescita
costante e sostenuta nel suo
processo di convergenza reale,
arrivando ad un livello di
reddito pro capite del 79,3%
della media comunitaria nel
1996.
95
Durante la seconda metà degli anni ’80 la Spagna visse un periodo analogo a quello della
decade degli anni ’60 avendo un livello di crescita del PIL maggiore che nella UE, questa fase
espansiva fu accompagnata, nei primi anni ’90 da una fase recessiva (fino al 1993), che toccò
sia la Spagna che l’Unione Europea nella sua totalità (fattori come la guerra del Golfo, la
riunificazione della Germania portarono a questa recessione). Nel 1995 nel cammino verso
l’Unione Economica e Monetaria, l’Europa aumentò la sua crescita economica e la Spagna
superò nuovamente la UE. La crescita economica della Spagna si basò principalmente
nell’aumento della produttività del lavoro e poco per la creazione di lavoro.
Nella fase 1985-1990 la Spagna ebbe un aumento nella creazione del lavoro maggiore rispetto
all’UE questa fase, come già accennato, vide poi una fase recessiva seguita da una fase di
espansione nel momento della convergenza verso la creazione della UEM. Dal 1995 uno dei
fattori di aumento del lavoro fu una maggiore flessibilità nelle relazioni lavorative
La fase di crescita continuata sperimentata dall’UE nel periodo 1995-2001 fu la conseguenza
del cambio delle condizioni di vita della sua popolazione mediante un incremento delle
rendite dei fattori produttivi e una maggiore distribuzione delle risorse del settore pubblico.
L’aumento delle rendite pro capite permise a sua volta un aumento dei livelli di consumo e
degli investimenti privati con una politica di spesa pubblica volta ad un rigore nei conti.
In sostanza le politiche che possono essere riconosciute come capaci di promuovere una
crescita dell’economia sono sostanzialmente tre: politica educativa e dello sviluppo scientifico
e tecnologico, politica di infrastrutture e la politica di stabilità macroeconomica e di
regolamentazione economica volta ad un equilibrio nei conti (anche se durante la fase 2007-
2016 questa politica di rigore è sottoposta a serie e dure critiche).
96
Nell’ottica di queste politiche il Trattato di Lisbona del 2000 ratificato nel 2002 a Barcellona
volge l’attenzione ad una strategia comunitaria che permetta una crescita della UE mediante
tre elementi basici: il completamento del Mercato Unico, promozione di una società più
tecnologica con maggiori risorse nella R&S e la modernizzazione del modello sociale
europeo.46
3.4.2 Il coordinamento delle politiche economiche
La coordinazione delle politiche economiche si articolò tra il 1992 e il 1997 con i Programmi
di Convergenza di ogni paese e posteriormente con il Patto di Stabilità e Crescita concordato
con il Consiglio Europeo di Dublino nel 1996, questo patto ispirò i successivi Programmi
nazionali di Stabilità a medio termine approvati annualmente dal 1998 per i paesi che si
integravano nella UEM. Il disegno di politica economica della UEM obbliga i paesi ad avere
una politica monetaria unica, decisa dalla Banca Centrale Europea (BCE) mentre le politiche
fiscali e strutturali rimangono di competenza degli Stati membri.
Il saldo finanziario della Spagna fu positivo, grazie alle riforme strutturali che
accompagnarono la realizzazione del Mercato Unico Europeo durante gli anni 1988-1992, il
saldo fu sicuramente più importante nelle Prospettive Finanziarie 1993-1999 che
intensificarono la politica strutturale della UE nel suo processo verso la creazione dell’€. Le
Prospettive Finanziarie del 2000-2006, approvate nel Consiglio Europeo di Berlino del 1999,
prepararono la strada per l’applicazione di regole in un contesto che richiedeva maggior rigore
generale nei conti dello Stato e nella sua capacità di spesa, si stipulò un limite di spesa del
1,27% del PNL comunitario), la Spagna comunque beneficiò di una simile situazione avendo
un saldo finanziario netto nel 2000 pari ad un 0,83% del PIL, una percentuale simile a quella
degli anni novanta, 0,85% del PIL nel periodo 1992-1994 e un 1,4% del PIL nel 1995-1997.
In conclusione, i cambi sperimentati in Spagna furono senza dubbio formidabili in confronto
all’Unione Europea, permettendo al paese nel suo processo di integrazione la recezione di
risorse che per anni furono nascoste e vietate, aumentando così la sua presenza nel mercato
Comunitario e nel processo di globalizzazione. La presenza della Spagna nell’UE ha
permesso al paese di essere preparato per il cambio nello scenario mondiale, e di avere un
maggior protagonismo nella politica estera comunitaria, soprattutto in relazione all’America
Latina e alla conca del Mediterraneo. L’entrata prima nella CEE poi nella UE è stato un
processo di enorme sviluppo per la penisola Iberica che fino al 1975 (anno della morte di
46 Josep M.ª Jordán Galduf, Balance de la Integraciòn de España en la Union Europea, ICE, dicembre 2003
97
Franco) sembrava impensabile per la sua situazione interna e quella relativa ai rapporti con il
resto d’Europa.
Uno dei punti deboli di queste politiche comunitarie ha mostrato come l’unico modo per poter
raggiungere determinati standard di PIL e di crescita economica fosse l’aumento della
produttività del lavoro, il che rileva il maggiore sforzo necessario da fare nella formazione di
capitale fisico, umano e tecnologico. Anche se all’inizio degli anni 2000 il pensiero di un
allineamento della politica monetaria con il resto d’Europa sembrava un’ottima soluzione per
disciplinare la politica economica della Spagna e la sua possibilità di entrare nei grandi
mercati finanziari del mondo negli ultimi anni, questi relativi alla crisi economica, si è
mostrata anche la sua profonda debolezza: la necessità di un paese di stampare la propria
moneta. Analizzando però la sola entrata del Paese nella UEM, dai dati è chiaro che la Spagna
beneficiò di questo nuovo contesto avendo una maggiore solidità nella crescita economica, un
sistema economico più delineato senza dover ricorrere ad una programmazione quinquennale
o quadriennale, ma soprattutto perché finalmente il Paese prendeva parte in maniera definitiva
ed attiva alle dinamiche del continente europeo.
98
CONCLUSIONI
Durante gli anni trenta mentre il resto del mondo si avvicinava al conflitto mondiale, la
Spagna lottava internamente fronteggiando le due posizioni che allo stesso tempo erano
presenti in Europa: fascismo e comunismo, e con esse le ideologie economiche che portavano
avanti.
Con la fine del conflitto bellico la fazione vincitrice si ispira alle politiche economiche che già
nell’Italia fascista stavano mostrando le loro crepe, la creazione continua di Istituti con
conseguente aumento della burocrazia, la ricerca dell’autosufficienza economica, l’autarchia
come dogma. In un contesto di totale isolamento come era quello che viveva la Spagna una
simile scelta non poteva portare a soluzioni reali per il sistema anzi rallentava ulteriormente la
sua possibilità di crescita.
Il settore agrario, e con esso il Sud del paese, è quello che risente maggiormente del primo
ventennio di Franco. Il totale controllo del mercato agrario andò avanti per circa tredici anni e
non ottenne assolutamente i risultati sperati. Il razionamento, il controllo dei prezzi e della
produzione, il continuo accentramento decisionale e di potere verso determinate cerchie di
proprietari terrieri, tutta questa serie di elementi rese quegli anni ulteriormente difficili per la
società aumentando un sistema di illegalità basato sul mercato nero dove a beneficiarne è
sempre una piccola parte della popolazione a discapito della comunità. Seppur la situazione
che si presentava in quegli anni risulta essere molto difficile, le politiche economiche adottate
per tale settore e per tale zona della Spagna risultarono essere tutte di breve periodo. Il caso
principale è l’Istituto per la Colonizzazione agricola che non riesce a proseguire nel suo
intento di evitare l’emigrazione dalla campagna verso i centri urbani (che in quel periodo non
erano pronti ad accogliere simili masse migratorie), lasciando così quelle che dovevano essere
le nuove città agrarie del Sud in un lento abbandono senza possibilità di sviluppo.
Di quattro decadi passate ad essere el Caudillo, Franco riesce solo negli anni sessanta a far
vivere alla Spagna un suo periodo di auge economico, tra l’altro con una crescita del PIL
maggiore che negli altri paesi europei. Tutta una serie di fattori portarono a tale crescita (il
profondo stato di arretratezza, una società ancora prevalentemente agricola, il settore
industriale ancora lento nel suo sviluppo) inoltre bisogna tener presente che in questa fase
storica il mercato del lavoro spagnolo era completamente controllato, il reddito pro capite era
relativamente basso rispetto alla media europea e si presentavano situazioni lavorative
discutibili sul piano del diritto sindacale e del lavoro. L’economia durante quel miracolo
99
economico stava recuperando decenni di isolamento internazionale, e nel momento in cui si
andarono a ridurre le barriere protezionistiche per le importazioni promuovendo anche gli
IDE nel paese, la Spagna poté avere accesso ad una conoscenza, strumentazione,
organizzazione lavorativa etc. alla quale era totalmente preclusa. Durante questo periodo
storico vengono messe in moto politiche economiche basate sulla pianificazione indicativa, lo
sviluppo di nuovi Poli industriali e il rafforzamento di altri portano i risultati sperati durante i
primi due Piani di Stabilizzazione ma aumentarono le differenze regionali tra Nord e Sud del
paese.
Allo stesso tempo c’è però da segnalare come la forza della Spagna sia stata quella di arrivare
ad un simile periodo di auge, dopo decenni passati nell’ombra, senza i finanziamenti del
Piano Marshall, ma solo con le proprie politiche e il proprio cambio politico strutturale. Il
caso dell’Istituto per l’Emigrazione (IEE) è forse l’esempio lampante di tale lungimiranza: si
riuscì a controllare la forte disoccupazione nel paese (causata da un’emigrazione massiccia
dalla campagna verso la città) e nel frattempo si metteva in moto un meccanismo di
finanziamento interno basato sulle rimesse dei migranti in grado da stimolare e aumentare i
consumi interni. Così come lo sviluppo del turismo, il Sud del paese riuscì ad attirare turisti e
a vendere a prezzi bassi ciò che effettivamente aveva: il sole, il mare e le tapas. Questo
fenomeno permise un forte aumento degli investimenti privati, sia spagnoli che esteri, in
grado di creare un’ulteriore settore lavorativo nel Sud del paese.
E’ proprio quando la Spagna smette di essere isolata economicamente che si registra il
momento cardine del cambio di pensiero nel Paese. Non è solo una questione di crescita del
PIL o di altri indicatori macroeconomici, ma principalmente conseguenza dello scambio di
conoscenza con il resto del mondo. La Spagna fino a quando non ha vissuto questa apertura
nei confronti degli altri paesi, aumentando le proprie relazioni e potendo vedere con i propri
occhi come si stavano sviluppando un’altra parte di cittadini europei, non poteva essere in
grado di elevare il proprio Paese perché preclusa da quelle conoscenze e coscienze
fondamentali per lo sviluppo. L’inserimento di altri modi di fare e pensare all’interno del
Paese hanno permesso questo salto in avanti mostrando l’arretratezza che il regime, con
l’ausilio di ambienti clerical-conservatori, stava forzando a vivere sia per ideologia che per
interessi economici di imprese nazionali.
In realtà è difficile capire esattamente cosa spinge Franco ad accettare la soluzione dei
tecnocrati mettendo definitivamente da parte i falangisti, così come risulta difficile
100
quantificare le pressioni che la Spagna ha subito durante gli anni da organismi sovranazionali
quali FMI, NATO, Banca Mondiale, OCSE etc…
Non bisogna dimenticare che il paese ha vissuto per decadi in un regime dove i concetti di
democrazia e di diritti umani erano totalmente assenti ma bisogna anche segnalare come il
contesto internazionale capitanato dagli Stati Uniti d’America per quasi 20 anni ha escluso
totalmente la Spagna. Il loro riavvicinamento, a parte manovre politiche come l’accordo con il
Vaticano del 1953 e l’incontro con il Presidente Eisenhower del 1959, è stato possibile solo
con l’insediamento di quattro basi americane nel suolo spagnolo durante la guerra fredda.
L’apertura economica è avvenuta nel momento in cui si è andato a congiungere
l’anticomunismo di due Stati.
Durante questi sessanta anni di storia si nota soprattutto il cambiamento delle politiche
economiche e del pensiero che ne è alla base. Da un’ideologia autarchica si passa ad un
corporativismo che intende superare la lotta di classe e vede nella programmazione
economica la propria strada, puntando ad una crescita del sistema in tutte le sue componenti:
consumi, investimenti, esportazioni estere e spesa pubblica. L’entrata nella CEE ed in seguito
nella UE mostra un’ulteriore cambio nella gestione dell’economia, la finanza e il libero
scambio di capitali prendono il sopravvento. Poi, con l’ingresso nello Sme e il processo di
unione monetaria, l’obiettivo della politica economica non consiste più nello sviluppo del
reddito pro capite, del consumo o nell’aumento dell’occupazione, ma nel controllo
dell’inflazione. Nonostante questo, i dati macroeconomici registrati fino all’inizio del nuovo
millennio sono favorevoli alla Spagna che per la seconda volta nel giro di quaranta anni vive
una crescita maggiore della media Europea.
Sullo sfondo di questo sviluppo resta una questione irrisolta, che si lega a doppio filo con la
questione secessionista all’interno della Spagna perché dal punto di vista economico in 39
anni di Francisco Franco determinate zone hanno sempre visto e vissuto un graduale sviluppo
a discapito del Sud del paese lasciato troppo spesso al suo destino.
A causa del suo recente passato la Spagna trova difficile il proprio riconoscimento sia come
popolo che come nazione unita, ma se una cosa emerge da questo lavoro è che soltanto
attraverso la cooperazione vi può essere una reale crescita, sia essa interna che esterna.
101
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