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LA “RIVOLUZIONE” EURO: QUALI IMPLICAZIONI PER IL FINANZIAMENTO DELLE P.M.I.? Profili economici 4

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LA “RIVOLUZIONE” EURO: QUALI IMPLICAZIONI PER

IL FINANZIAMENTO DELLE P.M.I.?

Profili economici 4

LA “RIVOLUZIONE” EURO:

QUALI IMPLICAZIONI

PER IL FINANZIAMENTO

DELLE P.M.I.?

Seminario 8 giugno 1998

E’ consentito l’utilizzo, anche parziale, del contenuto degli interventi riporta-ti, purché venga fatto riferimento alla fonte ed al Convegno.

Programma

- Saluto di apertura Giuseppe Zanini

Presidente C.C.I.A.A. di Treviso

- Attività e programmi camerali in tema di Euro e finanziamento delle imprese dott. Renato Chahinian

Segretario Generale C.C.I.A.A. di Treviso

- L’Euro: riflessi sull’intermediazione creditizia e sul finanziamento del- le P.M.I. prof. Roberto Cappelletto

Università Bocconi di Milano

- Il finanziamento degli investimenti nell’Euro prof. Ferruccio Bresolin

Università Ca’ Foscari di Venezia

Saluto del Presidente della Camera di Commercio Giuseppe Zanini

Sono lieto di aprire i lavori dell'incontro odierno porgendo il benvenu-to, mio personale e della Camera di Commercio, ai presenti.

Un saluto particolare ai relatori: il prof. Roberto Cappelletto dell’Università Bocconi di Milano, che ringrazio per aver accolto l'invi-to ad intervenire; il prof. Ferruccio Bresolin, la cui collaborazione ha re-so possibile l'organizzazione del seminario e, naturalmente, il dott. Re-nato Chahinian, Segretario Generale della Camera di Commercio al qua-le lascio il compito di illustrarci in dettaglio quanto l'ente sta facendo in tema di Euro e di finanziamento delle imprese.

Da parte mia vorrei solo ricordare come l'iniziativa odierna sia legata a doppio filo ad un programma più vasto ed articolato riguardante tanto la finanza d'impresa quanto l'introduzione della moneta unica.

In materia di finanza d'impresa l'impegno e l'attività della Camera han-no preso avvio da una ricerca specificamente dedicata ai "Problemi fi-nanziari e creditizi delle piccole e medie imprese locali”, i cui risultati sono già stati presentati in occasione di un convegno tenutosi lo scorso 15 dicembre e sono proseguiti con un seminario sull'impatto della recen-te riforma fiscale sulla finanza aziendale, seminario che si è svolto lo scorso 3 marzo.

A tale proposito evidenzio agli eventuali interessati che copia della ri-cerca così come copia degli atti del seminario sono a disposizione pres-so gli uffici camerali.

Per quanto invece riguarda la moneta unica, l'attenzione della Camera di Commercio si è concretizzata nella partecipazione ai lavori del Comi-tato provinciale per l'Euro e conseguentemente nella realizzazione degli interventi da questo promossi, interventi che hanno finora interessato la cittadinanza in generale, la scuola, la Pubblica amministrazione.

Specificamente rivolte alle imprese sono invece le iniziative di sensibi-lizzazione all'Euro svolte in collaborazione con le Associazioni di cate-goria e con il Centro Estero, con il quale è stato organizzato il conve-gno del 3 giugno scorso.

Ebbene, dato l'impegno in materia di finanza, da un lato, in materia di Euro, dall'altro, non poteva certo sfuggire l'importanza delle connessioni che esistono tra l'uno e l'altra.

E' ormai assodato che la partecipazione alla moneta unica produrrà un rilevante processo di cambiamento su tutti i mercati ed in particolare su quello monetario e finanziario.

Significativi saranno i costi tanto del sistema nel suo complesso, quan-9

to delle singole imprese. Altrettanto significative saranno le opportunità derivanti in generale da un

mercato finanziario europeo sicuramente più ampio e potenzialmente più efficiente e concorrenziale.

Tuttavia, affinché, dal punto di vista delle singole imprese, le opportunità possano superare, in qualità e quantità, i costi e i disagi iniziali, è non solo essenziale, ma direi addirittura inelusibile che ciascun operatore ripensi completamente la propria struttura finanziaria aprendola ad un rinnovato rapporto banca-impresa, nell'ambito del quale il credito a breve, oggi la principale fonte di finanziamento, come evidenziato dalla ricerca prima ci-tata, è destinato a cedere il passo a strumenti finanziari più sofisticati e cer-to più convenienti.

Si tratta di una sfida che ciascuna impresa è chiamata ad accogliere: le vie possibili sono molte. Ai relatori il compito di indicarci le principali o, me-glio ancora, le più efficaci.

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ATTIVITA’ E PROGRAMMI CAMERALI IN TEMA DI EURO E FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE

dott. RENATO CHAHINIAN Segretario Generale della C.C.I.A.A. di Treviso

L'incontro odierno rappresenta un'occasione, una tappa del lungo pro-gramma camerale, che deve accompagnare l'altrettanto lungo cammino della nostra economia - in particolare di quella delle nostre piccole e medie imprese - verso la moneta unica.

Dico lungo cammino, perché non si risolverà tutto nella fase transito-ria, come molte volte si legge sui giornali e come viene solitamente pro-spettato all'opinione pubblica, per cui ogni attenzione viene focalizzata solo sull'aspetto appariscente del passaggio alla nuova moneta e del fatto che questa è la moneta unica dei principali Paesi che sono i nostri mag-giori interlocutori economici. Ma le operazioni pratiche di conversione e tutti i problemi relativi agli arrotondamenti, ai nuovi tagli delle banco-note e così via, operazioni che vengono attualmente prospettate come gli unici problemi riguardanti la moneta unica, in realtà rappresentano solo un problema contingente, un problema, tutto sommato, anche di detta-glio.

Questo, infatti, è un problema che affrontiamo, generalmente, già oggi quando ci rechiamo all'estero e dobbiamo fare i conti con le nuove unità di moneta straniera che rappresentano comunque problemi risolvibili nell'arco di qualche giorno di adattamento. Il problema, invece, che sta dietro, quello che non si risolve facilmente, perché richiede un muta-mento di mentalità, una programmazione e, successivamente, anche del-le scelte concrete, riguarda il comportamento economico che dovremo adottare, in presenza di una moneta unica. Questo è il punto fondamen-tale . Un problema che riguarda non tanto la moneta in se stessa, ma tutti gli altri aspetti economici e finanziari che sono collegati ad essa ed al fatto che questa sia una moneta unica per i principali Paesi europei. Tali aspetti riguardano la bassa inflazione, l'assenza del cambio, l’esigenza di una maggiore trasparenza dei prezzi, il problema della concorrenza, che diventa più estesa ed aggressiva rispetto ad oggi (ancora in parte nomi-nale), i tassi di interesse più bassi, la spesa pubblica, che deve essere in diminuzione, e così via. Sono questi i problemi che, assieme a molti al-tri, si presenteranno, man mano che la nostra moneta unica sarà sempre più usata. Sono problemi che devono essere tenuti presenti per le nostre scelte individuali, ma, soprattutto, per le scelte collettive, che riguardano le imprese, gli enti pubblici o, addirittura, i governi, e così via.

Per questi motivi il cammino è lungo per gli operatori e, quindi, il pro-11

gramma camerale per lo sviluppo economico non può che essere a lunga scadenza, sensibilizzando sin d'ora gli imprenditori a tenere conto del nuo-vo quadro di riferimento che, appunto, si prefigurerà con l'avvio dell'Euro. Pertanto le iniziative che la Camera di commercio ha messo in atto non si fermano ad una semplice opera di divulgazione delle modalità con cui si approderà alla moneta unica, cosa che d'altra parte già stiamo facendo attra-verso il Comitato Provinciale per l'Euro, il quale adotterà tutta una serie di iniziative per divulgare tra la popolazione le principali modalità con cui verrà emessa la nuova moneta e come, in linea generale, tutti dovranno comportarsi. Ma, questa iniziativa di base verrà supportata da altre iniziati-ve parallele e anche conseguenti, per approfondire i principali problemi, so-prattutto, finanziari, ma non solo finanziari, come quelli economici e di mercato, che attenderanno le nostre imprese nei prossimi anni.

Già nel convegno di dicembre avevamo messo in risalto - senza parlare di Euro - soprattutto le esigenze di ricapitalizzazione e di diversificazione fi-nanziaria per le piccole e medie imprese, data la situazione attuale. Ovvia-mente queste esigenze, con l'introduzione dell'Euro, si presentano ancora più pressanti ed importanti.

L'incontro di oggi sarà invece finalizzato ad osservare e ad approfondire le principali politiche finanziarie che si possono adottare, soprattutto in connessione con l'introduzione della moneta unica. In futuro, comunque, continueremo ad approfondire alcuni temi finanziari per le imprese, sempre in rapporto all'introduzione della moneta unica. Però, si cercherà non solo di organizzare incontri per risolvere problematiche finanziarie, ma anche di organizzare, più concretamente delle iniziative, con le Associazioni ed i Consorzi Fidi a supporto delle stesse scelte finanziarie ed imprenditoriali, anche per quanto riguarda il rapporto banca-impresa.

Ecco. Ho riassunto brevemente la filosofia dei prossimi programmi came-rali in rapporto all'Euro, che per quanto ho evidenziato, coinvolgono buona parte della strategia, dell’Ente camerale a supporto della competitività del sistema delle piccole e medie imprese locali.

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IMPATTO DELL’EURO SULL’IMPRESA

prof. ROBERTO CAPPELLETTO Università di Udine - Università Bocconi

L’impatto dell’Euro sull’impresa Effetti di breve, effetti di medio termine

Affinché le imprese non arrivino impreparate all’appuntamento con l’Euro, è importante che prendano coscienza dell’impatto che la moneta unica avrà nella vita aziendale. Ciò consentirà loro di minimizzare i ri-schi e amplificare i vantaggi di cui potranno beneficiare.

Un utile approccio, nella ricostruzione del quadro complesso in cui le imprese saranno proiettate, può essere quello di distinguere effetti di breve (contestuali all’adozione della nuova moneta) ed effetti di medio termine (conseguenti all’entrata in regime della stessa). In questo capito-lo verranno analizzati i primi, focalizzando l’attenzione sulle conseguen-ze operative che si riflettono sulle diverse aree aziendali, nelle quali gli adeguamenti devono essere effettuati indipendentemente da possibili strategie che possono essere adottate per la transizione. Nel capitolo successivo si evidenziano le possibili implicazioni finanziarie che l’Euro potrà esprimere nei confronti delle imprese.

Gli effetti sull’operatività aziendale I primi significativi effetti dell’Euro sull’operatività aziendale sono

collocabili temporalmente nel quadriennio intercorrente tra la data di de-finizione dei paesi partecipanti, nel corso del 1998 e la piena entrata in uso della moneta nel 2002.

La soluzione alle problematiche operative, la determinazione dei costi e la pianificazione degli interventi necessari potrà avviarsi già nel corso del periodo transitorio che precede l’introduzione delle nuove bancono-te. Inoltre, in base al principio no compultion, no prohibition, nella fase B le imprese potranno scegliere se avviare l’utilizzo dell’Euro nelle transazioni aziendali, oppure continuare l’impiego delle monete nazio-nali. In tale scelta pesa la capacità della Pubblica Amministrazione e del sistema bancario di adeguare le rispettive organizzazioni per consentire alle imprese di pagare le imposte, i contributi, i relativi rimborsi in Euro e, infine, di svolgere ogni operazione bancaria indifferentemente nelle due monete sin dall’inizio del 1999.

Quindi, le imprese ubicate nei paesi ammessi all’UEM dovranno deci-dere quale moneta utilizzare come valuta gestionale e di conto. In pro-posito, è importante sottolineare che la scelta tra Lira o l’Euro non com-porterà l’eliminazione della moneta scartata. Infatti, quest’ultima nel pe-

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riodo transitorio verrà trattata come qualsiasi altra moneta straniera, poiché le imprese si troveranno ad operare in un mercato non omogeneo, dove sa-ranno presenti sia soggetti operanti in lire sia soggetti operanti in Euro. Cia-scuna impresa deve analizzare le proprie aree di attività (tesoreria, contabi-lità, fisco, previdenza, stipendi, fatturazioni...) e in base alle diverse esigen-ze scegliere la moneta di riferimento.

Di fatto, nel corso della fase B, alle imprese si dischiudono 3 strategie possibili: •transazione completa ed immediata; •transazione ritardata nel gennaio 2002; •adozione del “doppio binario”. Transazione completa ed immediata. Questa opzione implica la com-

pleta conversione delle attività aziendali che si traduce in: •fatturazione attiva in Euro o, al fine di rendere alla controparte più gra-

duale ed accettato il passaggio alla moneta unica, in Euro pari a Lire, cioè con doppia indicazione. Coerentemente anche i listini di prezzo dovranno recare la doppia indicazione; •fatturazione passiva, connessa a rapporti con paesi ammessi all’UEM, in

Euro (ma ciò dipende dal fornitore) o, dove necessario, in lire pari ad Euro quindi con doppia indicazione; •fatturazione nei confronti degli altri clienti esteri in Euro o in valuta del

paese di residenza di questi; •fatturazione tra società appartenenti ad un gruppo con sede in Italia pro-

gressivamente in Euro; •contabilità e bilancio direttamente in Euro; •pagamento di salari e stipendi in Lire, poiché nella fase b non circolano

fisicamente banconote e monete in Euro, ma per agevolare il passaggio, gli importi dovrebbero essere indicati anche in Euro. Tuttavia qualora il siste-ma bancario fosse pronto ad operare in Euro, l’accredito nel conto del di-pendente potrebbe avvenire nella nuova moneta europea; •pagamento delle imposte e tasse in Euro (Lire pari ad Euro se

l’Amministrazione pubblica non è ancora in grado di utilizzare la moneta unica).

Secondo l’analisi condotta dal Comitato Euro, istituito dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, questa opzione risulta la più efficiente per le imprese (soprattutto per quelle “aperte” verso l’estero) in quanto oltre ad essere propedeutica per la fase finale della rea-lizzazione dell’UEM, consente all’impresa di assumere la posizione di “innovatore” e di comunicare una forte distintività rispetto ai ritardatari.

Tale opzione implica il sostenimento anticipato dei costi organizzativi di adeguamento, ma deve essere anche rilevato che l’adozione tout court dell’Euro non sarebbe allo stato attuale possibile, trovando oggi forti vinco-

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li nel quadro normativo dei paesi coinvolti nell’Unione monetaria. Si pensi, per esempio, nel caso italiano agli articoli 2423 e 2327 del codice civile i quali, rispettivamente, impongono la tenuta della contabilità in Lire e la de-nominazione in Lire del capitale sociale.

Transazione ritardata al gennaio 2002. In questo caso le imprese conti-nuano ad operare in moneta nazionale, perciò la fatturazione attiva, la con-tabilità e il bilancio saranno espressi in Lire. In realtà questa opzione costi-tuisce un rinvio dello sforzo organizzativo di adeguamento, posto che al più tardi, entro il 2002, esse dovranno comunque essere pronte ad operare in Euro.

I vantaggi derivanti da questa strategia si riconducono di fatto all’adozione di un principio di continuità assoluta nell’ambito dell’attività contabile, nella rinuncia al sostenimento immediato dei costi di adegua-mento organizzativi, con l’opportunità di far tesoro dell’esperienza di quel-le aziende che, invece, hanno adottato la prima opzione. Tuttavia, l’impresa ha lo svantaggio di arrivare impreparata alla fase finale di realizzazione dell’UEM, anche se dovrà pur sempre gestire le transazioni con quelle con-troparti, che invece utilizzano l’Euro e che richiedono una fattura con la precisazione “Lire pari a Euro”.

Adozione del “doppio binario”. Questa strategia implica la doppia con-tabilizzazione in lire e in Euro, nonché un sistema di doppia fatturazione. Essa sconta un costo di impianto talmente elevato e una gestione così com-plessa da renderla senz’altro sconsigliabile, nonostante presenti un elevato grado di flessibilità che consente un pronto adeguamento a seconda che il partner operi in Euro o meno.

In conclusione la scelta dell’impresa si riduce a due alternative: nell’operare tout court in Euro o nel continuare ad adottare la moneta na-zionale, ma in entrambi i casi è necessario mantenere un elevato grado di flessibilità per tener conto delle diverse esigenze operative, in quanto le im-prese si troveranno ad operare in un contesto non omogeneo in cui alcuni operatori economici avranno convenienza ad optare per la prima opzione ed altri per la seconda. In particolare, una conversione anticipata potrebbe ri-sultare vantaggiosa per imprese che gestiscono ingenti operazioni di tesore-ria, che effettuano scambi transfrontalieri e che hanno società affiliate o controllate nei paesi partecipanti nell’Unione monetaria. Ciò faciliterebbe, ad esempio, la fatturazione, i trasferimenti e la gestione valutaria. Per que-sto talune società multinazionali hanno annunciato che intendono passare ad un ambiente operativo interno in Euro nel gennaio 1999. Esse terranno tutta la contabilità interna nella nuova valuta, ma conserveranno la capacità di utilizzare le monete nazionali nei rapporti con i piccoli fornitori, il gran-de pubblico e il personale, grazie all’uso di dispositivi di conversione ed all’aiuto del sistema bancario.

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La Phillips ha manifestato l’intenzione di tenere la contabilità interna in Euro a partire dal 1999. La società intende emettere fatture in Euro ed inco-raggiare i propri fornitori ad utilizzare tale moneta. I bilanci consolidati fi-no al 1999 saranno redatti in Fiorini, poi saranno convertiti in Euro in base ai tassi di conversione ufficiali. La stessa strada intende percorrere la FIAT. Con molta probabilità una transizione ritardata sarà adottata dalla maggior parte delle PMI e dalle imprese che operano prevalentemente sui mercati nazionali. Infatti, esse non avranno praticamente motivo di utilizzare l’Euro durante il periodo transitorio, poiché la maggior parte dei loro interlocutori continuerà ad utilizzare le denominazioni nazionali.

Proprio in virtù del principio no compultion, no prohibition, ogni impresa seguirà la strategia più conveniente e adatta alla propria realtà. Tuttavia è di fondamentale importanza affrontare per tempo i cambiamenti, perché tro-varsi impreparati può causare gravi danni alle imprese. Dovendo adattare la propria organizzazione in tempi ristretti, le imprese rischiano non solo di compiere scelte inefficienti e di sostenere costi più elevati, anche a causa della forte domanda di servizi che si avrà nella fase finale dell’introduzione dell’Euro, ma di essere spiazzate da quelle concorrenti.

Le aree che durante la fase B saranno maggiormente coinvolte dall’introduzione della moneta unica sono le seguenti: •area fisco e contabilità; •area tesoreria e finanza; •area sistemi informativi; •area marketing; •area legale. Aspetti contabili e fiscali L’introduzione dell’Euro cambia la moneta in cui sono redatti i bilanci e

produce rilevanti conseguenze pratiche per molte aziende. Nell’intento di offrire un aiuto alle imprese, alle autorità contabili nazionali e ai consulenti attivi in tutta Europa, la Commissione europea, in collaborazione con il Co-mitato delle direttive contabili e con la Federazione degli Esperti Contabili Europei, ha pubblicato un documento contenente importanti principi per la redazione dei bilanci. Essi non sono dotati, per ora, di alcun valore normati-vo, ma costituiscono le linee guida proposte per risolvere i problemi conta-bili derivanti dall’introduzione della moneta unica.

Per quanto riguarda l’Italia, vi è uno schema di legge che attribuisce al Governo una delega a disciplinare i criteri e i modi di introduzione dell’Euro fissando il principio della neutralità del passaggio da una unità di conto all’altra.

Altri organismi nazionali hanno realizzato importanti studi sull’argomento, quale ad esempio Confindustria in collaborazione con il

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Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica. Notoriamente la fase più critica per l’impresa è la fase B che rappresenta

il periodo di transizione verso la definitiva adozione della moneta unica e che segna l’inizio effettivo dell’Unione Economica e Monetaria. In questo arco temporale, il bilancio può essere redatto indifferentemente in valuta nazionale o in Euro, in ossequio al noto principio “nessun obbligo, nessun divieto”. Dal 2002, per il bilancio chiuso il 31/12/2001, è invece obbligato-ria la traduzione in Euro. Sarebbe quindi opportuno che la contabilità del penultimo esercizio del periodo transitorio fosse tenuta in Euro per disporre dei dati che verranno riportati come saldi iniziali nell’esercizio successivo, in cui l’Euro diventerà l’unica moneta in circolazione.

Il documento redatto dalla Commissione europea affronta alcune questio-ni importanti in tema di contabilità nel paragrafo 4 intitolato: Effetti dell’introduzione dell’Euro.

Un aspetto che viene trattato, in merito agli elementi monetari, riguarda le imprese che, al momento del passaggio dalla divisa nazionale all’Euro, hanno operazioni denominate in valuta estera comunitaria e il principio proposto può essere così riassunto: eventuali differenze di cambio emergen-ti dalla conversione in Euro delle valute partecipanti alla moneta unica do-vranno essere iscritte nel conto Profitti e Perdite il 31 dicembre 1998 e ve-nire calcolate in quel momento, anche se l’impresa non passa alla contabi-lità in Euro immediatamente.

Con questa indicazione si affrontano tre temi importanti: quello della con-versione monetaria, della realizzazione e del riconoscimento della differen-za di cambio.

Il documento della Commissione europea afferma, correttamente, che no-nostante la data ufficiale di entrata in vigore dell’Euro sia il 1° gennaio 19-99, è necessario che i conti annuali e consolidati che chiudono il 31 dicem-bre 1998 siano già convertiti in Euro, con l’effetto che eventuali differenze di cambio conseguenti alla conversione saranno imputate direttamente al bilancio 1998. Esse saranno dovute a cambi diversi fra Lire ed Euro e valu-ta del paese estero ed Euro.

A sostegno di tale procedura due motivazioni devono essere evidenziate: 1) l’evento economico consistente nella decisione dei tassi di conversione

fissi si verificherà nel 1998, perciò se ne dovrà tenere conto sotto il profilo contabile nell’esercizio corrispondente;

2) tali tassi rispecchiano la realtà economica al 31 dicembre 1998 poiché tutte le attività e passività denominate in una valuta partecipante all’UEM, che non sono state incassate o cedute prima di tale data, possono essere ce-dute o regolate solo ai tassi fissati;

Non utilizzare i tassi fissi di conversione come tassi di chiusura al 31 di-cembre 1998 significherebbe non rispettare il disposto dell’articolo 2423

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del codice civile, in base al quale “il bilancio deve essere redatto con chia-rezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patri-moniale e finanziaria della società e il risultato economico di esercizio”. Si-gnificherebbe, infatti, riconoscere le differenze di cambio tra le monete de-gli Stati membri partecipanti, nel 1999 o ancora più tardi. Tale differimen-to, durante il periodo di detenzione rimanente o dopo il regolamento o la vendita degli elementi sottostanti, potrebbe determinare variazioni impreve-dibili nel conto economico che ridurrebbero l’utilità dei bilanci, tanto più che le differenze di cambio sarebbero il risultato di oscillazioni passate ma verrebbero riconosciute in un anno nel quale, per definizione, i tassi non potranno variare. In sostanza se effettivamente i tassi fissi verranno intro-dotti il 31 dicembre 1998, non adottarli implicherebbe redarre bilanci che non rispecchiano la realtà economica e nemmeno il principio della pruden-za, poiché le differenze di cambio negative tra le monete dei paesi UEM verrebbe rinviato almeno fino al 1999.

Il quesito che sorge come conseguenza dell’applicazione nei conti annuali e consolidati relativi agli esercizi che terminano il 31 dicembre 1998 dei tassi fissi di conversione, concerne la natura da attribuire alle differenze di cambio che ne seguono.

Alle variazioni di valore delle attività e passività di bilancio registrabili in seguito alla definizione dei tassi di conversione e delle parità irrevocabili, può essere attribuita natura economica diversa a seconda che si tratti di atti-vità/passività monetarie (valori numerari) o attività/passività non moneta-rie.

Per la prima categoria di elementi patrimoniali, varie considerazioni por-tano a ritenere queste differenze come differenze di cambio realizzate.

Di fatto dopo l’introduzione dell’Euro, tra le varie unità monetarie nazio-nali partecipanti, esisteranno solo tassi di conversione, senza alcun rischio di cambio (ad eccezione del rischio di controparte). Tale differenza per de-finizione non potrà né aumentare né diminuire e pertanto può essere consi-derata realizzata.

Il documento della Commissione a tale proposito afferma che: • in ossequio al principio della prudenza, le perdite di cambio sulle atti-

vità e passività monetarie vanno riconosciute nell’esercizio; • lo stesso dovrebbe accadere per i profitti di cambio sulle passività

monetarie essendo essi definitivamente certi; • anche gli utili di cambio sulle attività monetarie andrebbero contabi-

lizzati immediatamente nonostante l’incasso di tali attività sia privo di cer-tezza. A questo proposito la Commissione europea osserva che la questione del rischio di credito non ha niente a che vedere con quella del riconosci-mento dei profitti di cambio rappresentano aspetti distinti e distintamente devono essere trattati. Si propone perciò di contabilizzare i profitti di cam-

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bio ed eventuali perdite su crediti dovranno essere previste mediante appo-site svalutazioni o accantonamenti.

Le differenze di cambio sono realizzate indipendentemente dal fatto che si riferiscano a elementi monetari a breve o a lungo termine, dato che i tassi di cambio saranno fissati sia per i primi sia per i secondi, e non influisce nem-meno la scelta dell’unità di conto (unità euro o unità monetaria nazionale). Inoltre, sarà realizzata anche ogni differenza di cambio tra l’ECU e le mo-nete partecipanti all’UEM, poiché l’Euro sostituirà l’ECU al tasso uno a u-no e quindi sarà automaticamente fissato anche il tasso di cambio tra l’ECU e le valute degli Stati membri. Invece nulla cambierà nelle relazioni tra le monete di un paese partecipante all’UEM e quelle dei paesi non aderenti. Le divise in oggetto continueranno a fluttuare tra loro e le differenze di cambio dovranno essere trattate come prima.

Al principio del riconoscimento immediato il documento prevede possibi-li eccezioni: • nel caso di imprese che differiscono il riconoscimento degli utili sulle

attività monetarie a lungo termine; • nel caso in cui le differenze di cambio fossero direttamente connesse

alla compensazione di proventi o spese future; • ove fossero ravvisabili i casi eccezionali in base ai quali, secondo

l’articolo 31 par. 2 della IV Direttiva, è consentito derogare ai principi ge-nerali sulla redazione dei conti annuali.

Stabilito dunque che, salvo i casi in deroga, la conversione delle poste monetarie denominate in valute comunitarie in Euro produrrà lo stesso ef-fetto dell’incasso o del pagamento dei crediti e dei debiti e cioè farà emer-gere utili o perdite su cambi definitivi, si tratta ora di stabilire la trattazione contabile, o meglio il loro ‘riconoscimento’.

In generale le differenze di cambio realizzate sugli elementi monetari so-no imputati a conto economico come voce ordinaria, poiché l’esposizione ai rischi di oscillazione delle divise fa parte della normale attività dell’impresa che opera in valuta estera. A tutti gli effetti le differenze rea-lizzate a seguito dell’introduzione dell’Euro sono uguali alle altre e quindi devono subire lo stesso trattamento contabile, andranno perciò contabilizza-te nel Conto economico.

Sul piano fiscale va sottolineato che le perdite sono deducibili se risultano da “elementi certi”. La conversione in Euro dei debiti e dei i crediti espressi in valute comunitarie determina con certezza l’utile e la perdita. “Pertanto, si deve ritenere che eventuali perdite da conversione siano deducibili anche se non ancora pienamente realizzate a seguito dell’incasso o pagamento del credito o debito”.

Osserva Piazza M., che le imprese che valutano le attività e passività mo-netarie in divisa al cambio di fine esercizio secondo l’art. 76 del Testo Uni-

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co, non dovrebbero incontrare particolari problemi in quanto gli utili o per-dite su cambi sarebbero stati imputati in ogni caso al Conto economico dell’esercizio 1998. Invece, per le imprese che, sulla base dell’art. 72 del Testo Unico, utilizzano il fondo rischi di cambio, potrebbero sorgere diffi-coltà soprattutto se, contrariamente a quanto auspicato dalla Commissione europea, non si adottassero già in sede di chiusura i tassi fissi di conversio-ne in Euro. In particolare: • Il fondo rischi è determinato utilizzando il cambio medio dell’ultimo

mese dell’esercizio, mentre il cambio da adottare il 1° gennaio 1999 sarà un tasso puntuale; potrebbero dunque emergere differenze di cambio non pre-viste nel bilancio. L’inconveniente sarà ovviato se le autorità italiane adot-teranno il cambio Euro già nel bilancio 1998, come suggerito dalla Com-missione; • in ogni caso le differenze di cambio al 31 dicembre 1998 fra le varie

valute europee e la Lira possono divergere da quelle ottenute convertendo la valuta in Euro e le Lire in Euro; • il fondo rischi è determinato tenendo conto dell’ammontare comples-

sivo dei debiti e dei crediti in valuta, quindi anche dei debiti e dei crediti in valuta diverse da quelle europee. In questo caso si possono presentare due situazioni. L’impresa potrebbe trovarsi ad accantonare, nel 1998, un fondo inferiore alle perdite che deriveranno dalla conversione in Euro delle poste espresse in valute comunitarie essendo tali perdite compensate (in sede di valutazione dei debiti e crediti a fine esercizio) dalla rivalutazione della po-sizione complessiva in valute extra-europee. Il bilancio 1999 presenterà al-lora perdite su cambi non coperte dal fondo. Questo inconveniente sarà evi-tato se il cambio fisso di conversione verrà adottato dal 1998, perché in tal caso le perdite sulle valute europee saranno considerate realizzate e imputa-te a Conto economico. Ma potrebbe verificarsi che la posizione complessi-va nelle valute comunitarie potrebbe aver subito una rivalutazione anziché una svalutazione. In tal caso emergerebbero utili su cambi nel 1998 o 199-9. La loro rilevazione in bilancio non contrasta con il principio prudenziale (sono definitivamente e effettivamente realizzate), ma potrebbe avere un impatto rilevate sia in termini di tassazione sia per il fatto di generare un reddito distribuibile anche se non ancora “monetizzato”; • l’art. 72 del Testo Unico non obbliga la rilevazione del fondo rischi su

cambi, perciò alcune imprese potrebbero non aver effettuato alcun accanto-namento. Sottolinea Piazza M. che, in un solo momento nel 1998 o 1999, potrebbero emergere perdite maturate in più esercizi.

L’Autore precisa che gli effetti saranno più o meno evidenti a seconda della stabilità della Lira rispetto alle altre valute europee nel periodo che ci separa dal 1° gennaio 1999. Per questo è auspicabile un intervento del legi-slatore per introdurre correttivi volti ad attenuare l’impatto della conversio-

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ne sia sul bilancio, sia sulla tassazione. In merito alle attività/passività non monetarie, sempre di imprese che

svolgono operazioni in valuta estera, la Commissione europea si limita ad affermare che tali elementi, eventualmente ad eccezione delle gestioni este-re, sono denominati nella moneta di conto e non generano dunque differen-ze di cambio. Ciò significa che l’emersione di una minusvalenza o plusva-lenza (che non avrà natura di utili o di perdite su cambi), relativamente ad una attività non monetaria, emergerà solo al momento del realizzo del bene.

Evidentemente si parte dall’assunto che l’investimento in attività reali co-pra l’impresa dal rischio di fluttuazione della moneta sia nel caso in cui l’investimento sia effettuato in Italia, sia nel caso in cui l’investimento sia effettuato all’estero. Ma, continua Piazza M., “l’assunto è vero solo nei casi in cui la svalutazione o rivalutazione di una valuta corrisponda esattamente al differenziale di inflazione esistente fra i due paesi (ossia il cambio reale sia rimasto immutato)”. Poiché non è questa la realtà accadrà o che l’applicazione del tasso fisso Euro ai valori espressi in Lire delle attività re-ali detenute all’estero produrrà valori nella moneta unica superiori a quelli reali o valori inferiori. Nel primo caso essi dovranno essere svalutati senza, però, diritto al riconoscimento fiscale della svalutazione. La minusvalenza sarà fiscalmente riconosciuta solo al momento dell’effettivo realizzo. Nel secondo caso, i valori non potranno essere rivalutati pena la violazione del criterio del “costo” che ispira la redazione dei bilanci ed emergerà, al mo-mento dell’effettivo realizzo, una plusvalenza imponibile.

Nello studio condotto da Confindustria si raccomanda che le differenze di cambio in discussione trovino uniforme trattamento fiscale in tutti i paesi europei aderenti all’UEM per impedire l’insorgere di alterazioni nei rappor-ti di competitività fra le imprese di tali paesi. Invece, si evidenzia l’opportunità di adottare un trattamento fiscale diverso a seconda della na-tura economica delle differenze di valore in questione che tenga conto dei riflessi immediati sulla situazione finanziaria delle imprese.

Dal documento emerge una seconda indicazione, in base alla quale: gli scarti di conversione risultanti dal consolidamento da parte di una impresa delle gestioni estere presenti in un paese dell’UEm, non potranno essere i-scritte nel conto economico.

Si individuano principalmente due metodi per la traduzione dei bilanci in valuta: il metodo del cambio di chiusura e il metodo del costo storico.

Con il primo metodo, il cambio di chiusura viene applicato a tutte le voci di Stato Patrimoniale e di Conto economico, oppure, per queste ultime, si adottano i cambi medi correnti nell’anno. Le poste di patrimonio netto (sia quelle di patrimonio netto iniziale che le successive variazioni incluso il ri-sultato di esercizio) sono iscritte ai cambi storici in essere alla data di cia-scuna operazione.

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Le variazioni che il valore del patrimonio netto di inizio periodo subisce per effetto del variare dei cambi (riscontrate dai cambi di chiusura), sono imputate direttamente a rettifica del patrimonio stesso iscrivendole in una voce apposita. Quindi esse non transitano nel conto economico, in quanto non sono il frutto di operazioni di esercizio. Tali complessive variazioni del capitale netto sono la sintesi di differenze elementari di valore delle attività/passività monetarie e non monetarie provocate dal variare dei cambi. Quin-di le variazioni rilevabili al 31 dicembre 1998 in seguito alla definizione dei tassi di conversione in Euro delle monete dei paesi aderenti all’UEM, non possono essere considerate, nel loro insieme, realizzate proprio perché rife-ribili globalmente ed unitariamente a tutte le attività/passività monetarie e non monetarie. Tali variazioni si manifestano indipendentemente dai risul-tati commerciali riportati o dalle attività di finanziamento svolte dalla ge-stione estera e, conseguentemente, esse sono imputabili direttamente a capi-tale netto, senza configurarsi prima come componenti di reddito iscrivibili nel conto economico.

A tale proposito nel documento si sottolinea che un metodo contabile ac-cettabile consiste nel riconoscere l’importo cumulativo delle differenze in questione come un profitto o una perdita nell’esercizio in cui avviene la cessione o la liquidazione della gestione estera interessata. Discostarsi da queste indicazioni, secondo la Commissione europea, significa presentare un conto economico non in grado di fornire un quadro fedele della situazio-ne dell’impresa.

Un altro metodo di conversione di bilanci di consociate estere è il c. d. metodo temporale o a cambi storici, in base al quale la gestione estera è considerata parte integrante della società controllante.

La Commissione europea osserva che le attività e passività per le quali il metodo prevede il mantenimento del cambio storico andrebbero prima con-vertite nella valuta della casa madre utilizzando il cambio storico e poi con-vertite in Euro applicando la parità fissa, analogamente alle attività non mo-netarie in genere. In tal modo il passaggio all’Euro non produrrà alcuna e-mersione di plusvalenze o minusvalenze.

Altro aspetto importante del documento della Commissione europea ri-guarda il trattamento contabile dei costi connessi alla transizione verso la moneta unica. L’orientamento proposto è così riassumibile: i costi che le imprese dovranno sostenere per il passaggio all’Euro dovranno essere contabilizzati nell’anno in cui avvengono e solo in casi eccezionali si po-tranno effettuare accantonamenti ad hoc.

L’introduzione della moneta unica impone l’attuazione di adattamenti e modifiche dei sistemi organizzativi aziendali, dei sistemi informativi (acquisti di software, consulenze, attività di formazione del personale ecc.) e dei distributori automatici. I costi in questione potrebbero risultare piutto-

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sto consistenti e ciò richiede l’individuazione dei criteri più appropriati da seguire per la loro imputazione a conto economico, al fine di perseguire contemporaneamente il duplice obiettivo di garantire l’integrità del capitale delle imprese e di evitare, senza infrangere la prima finalità, di esprimere risultati reddituali non rispondenti alle reali condizioni economiche delle imprese stesse.

Nel manuale proposto da Bruxelles per risolvere i problemi contabili in questione, i costi di transizione vengono assimilati ai costi ordinari e, in quanto tali, imputabili alle spese dell’esercizio in cui vengono sostenuti. Tuttavia se sono notevoli, occorre segnalarlo affinché se ne possa indivi-duare l’impatto sul Conto Economico dell’impresa.

Proprio l’entità dei costi di transizione potrebbe indurre a ripartirne l’imputazione a conto economico in più esercizi, ma una rigorosa interpre-tazione dell’articolo 2426 del Codice Civile rende impraticabile tale solu-zione. Infatti, la capitalizzazione potrebbe avvenire con l’attribuzione alla voce dell’attivo “spese d’impianto e ampliamento”, ma ciò potrebbe risulta-re difficile dovendosi prima rinvenire in tali spese un rapporto di causalità rispetto al miglioramento di qualche aspetto della “capacità” operativa dell’impresa. Dello stesso parere risulta la Commissione europea poiché prevede la possibilità di capitalizzare i costi in discussione “purché si tradu-cano in benefici futuri individuabili ad esempio in benefici per tutto il pe-riodo transitorio (fase B)”. Se tale relazione ‘costo-beneficio’ dovesse esse-re accertata “ i costi capitalizzati devono essere ammortizzati, in conformità delle regole normalmente applicate, nell’arco del periodo in cui sono eco-nomicamente utili

Si può quindi ritenere necessario un intervento specifico del legislatore che preveda, ad esempio, la possibilità di attribuire a conto economico le spese in questione, anche con valenza fiscale, in un tempo non superiore a tre anni, a partire da quello del loro sostenimento. Il regime applicabile do-vrebbe comunque essere reso omogeneo rispetto a quello degli altri paesi aderenti, al fine di non introdurre elementi in grado di alterare artificiosa-mente il confronto competitivo tra le imprese del mercato unico.

Un ultimo punto significativo che emerge dal documento redatto dalla Commissione europea sottolinea che le cifre comparative dei bilanci siano calcolate applicando il tasso fisso irreversibile del cambio, ovvero quello stabilito il 1° gennaio 1999.

Il quinto comma dell’articolo 2423-ter del Codice Civile, il quale recepi-sce l’articolo 4 della IV Direttiva CEE, recita che “per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente. Se le voci non sono compa-rabili, quelle relative all’esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilità e l’adattamento o l’impossibilità di questo devono essere se-

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gnalati e commentati nella nota integrativa.” Quindi, le imprese che passeranno a utilizzare l’unità Euro nel proprio bi-

lancio dovranno convertire nella stessa unità i dati di bilancio dell’esercizio precedente adottando i tassi fissi di conversione. Oltre a ciò il documento sottolinea che nella comparazione di bilanci espressi originariamente in valute diverse è necessario tenere presente dell’andamento storico del tas-so di cambio tra le due monete.

Nei paragrafi 92-93 del 4° titolo si affrontano due aspetti pratici che po-trebbero rendere problematica l’introduzione dell’Euro nella contabilità ri-spettivamente nel caso di esercizi non coincidenti con l’anno di calendario e di eventi che si manifestano dopo la chiusura dell’esercizio.

Nel primo tipo di imprese l’introduzione dell’Euro avverrà nel pieno cor-so dell’esercizio e per questo si ritiene che comunque si dovrebbe tenere conto della moneta unica nell’esercizio comprendente il 31 dicembre 1998. Se, invece l’esercizio termina alcuni mesi prima del 31 dicembre 1998 l’introduzione dell’Euro avverrà dopo la data di chiusura dell’esercizio. Se la stesura del bilancio avverrà dopo l’annuncio dei tassi fissi di conversio-ne, comunque l’azienda dovrà menzionare gli effetti della transizione verso la moneta unica sul bilancio relativo all’esercizio già concluso. Ciò è coe-rente con quanto disposto dall’articolo 2428 del Codice Civile, che richia-ma i contenuti dell’articolo 46 della IV Direttiva CEE, secondo il quale “dalla relazione (sulla gestione) devono comunque risultare (...) i fatti di ri-lievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio (...)”.

Le aziende che non svolgono operazioni in valuta estera dovranno conver-tire la propria contabilità in Euro. Non si tratta però, in questo caso, di una nuova misurazione delle attività e passività, bensì si esprimono queste ulti-me in una nuova moneta. Tale operazione di conversione, per definizione, non genera alcuna differenza di cambio. Invece, per le imprese localizzate negli Stati membri non partecipanti, gli effetti dell’introduzione dell’Euro saranno limitati. Dall’inizio della fase B le aziende che intrattengono rap-porti con i paesi aderenti all’UEM dovranno prepararsi a trattare operazioni espresse in unità Euro. Esse potranno avvertire indirettamente gli effetti dell’introduzione dell’Euro attraverso le loro controllate negli stati membri partecipanti.

In fine, il documento giunge anche alla conclusione che l’introduzione dell’Euro potrà essere trattato all’interno dell’attuale normativa europea (in particolare la IV Direttiva CEE sul diritto delle società e la VII direttiva sui conti consolidati) e che non sarà necessaria la formulazione a Bruxelles di altri testi legislativi. Spetterà agli Stati europei applicare i criteri contabili attualmente autorizzati per adattarsi ai cambiamenti dell’Euro.

Alcune riflessioni sulle problematiche fiscali concernenti le imprese

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italiane Con l’introduzione della moneta unica, viene meno il fattore cambio e

quindi un fattore monetario di incidenza sulla competitività comparata delle imprese e ciò costringe le stesse a confrontarsi unicamente sulle proprie a-bilità e sui prezzi praticati, espressi in Euro.

Tuttavia la definizione delle parità di cambio delle monete nazionali in Euro e di ciascuna di tali monete nelle altre, potrebbe introdurre qualche fattore monetario iniziale incidente sulla competitività delle imprese indu-striali italiane rispetto a quelle di altri paesi aderenti.

Con la traduzione in Euro dei valori relativi alle immobilizzazioni e alle rimanenze di magazzino esistenti al momento in cui verrà irrevocabilmente fissato il cambio nelle moneta unica, risulterà fissata la misura di importanti costi di produzione del prossimo futuro: ossia i costi per ammortamento delle immobilizzazioni (materiali e immateriali) ed i costi per materie e prodotti esistenti in magazzino. L’effetto distorsivo sulla competitività delle imprese si traduce nel rischio di sottostima del valore dei cespiti e delle gia-cenze di magazzino che si esplicherà a sua volta in sottostima dei relativi costi di produzione (ammortamenti, costi per prodotti e materie in magazzi-no). Tali costi potrebbero risultare più bassi di quelli delle altre imprese eu-ropee.

Infatti, il tasso di conversione che verrà fissato dalle autorità dell’Unione esprimerà un rapporto fra unità di Lire correnti ed Euro, mentre la contabi-lità in Italia è tenuta secondo il criterio dei costi storici, perciò i valori di bi-lancio (in specie le immobilizzazioni) sono espressi in unità di lire storiche, talora di anni relativamente lontani (fatte salve parziali rivalutazioni operate in base a leggi speciali). Tali valori esprimono un potere d’acquisto più ele-vato via via che si risale a cespiti di più antica formazione. Così, la sottosti-ma del valore dei cespiti che ne deriva sarà tanto più appariscente quanto più antichi sono i cespiti stessi.

Indiscutibilmente questo fenomeno riguarda tutte le imprese dei paesi eu-ropei, ma si presenta con una particolare intensità in Italia.

Il nostro paese ha registrato per molti anni un notevole differenziale di in-flazione rispetto ai maggiori paesi europei e, in particolare, ai propri partner commerciali (Francia e Germania). Si pensi che in 15 anni si è registrato in Italia un tasso di inflazione del 130%, assolutamente da non commisurare con quello di Francia e Germania. Quindi, a parità di altre condizioni, i va-lori in Euro dei beni delle imprese italiane risulterebbero più sottostimati ri-spetto a quelli delle imprese degli altri paesi partecipanti. Tale condizione risulta ancor più evidente a causa della diversa regolamentazione adottata in passato da ciascun paese europeo per l’allineamento dei valori di bilan-cio alla dinamica monetaria. Ciò è conseguenza di una opzione presente nell’articolo 33 della IV Direttiva CEE, comma 1, che consente agli Stati

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membri di autorizzare o imporre (fino ad ulteriore coordinamento) per tutte le società o per alcune categorie di società che le immobilizzazioni materia-li la cui utilizzazione è limitata nel tempo e le scorte possano essere valuta-te in base al valore di sostituzione; che le voci dei conti annuali compreso il patrimonio netto, possano essere valutate in base a metodi diversi destinati a tener conto dell’inflazione; in fine, che le immobilizzazioni materiali e le immobilizzazioni finanziarie possano essere rivalutate.

All’atto del recepimento della direttiva nella normativa nazionale, ciascun paese europeo ha adottato comportamenti differenziati riguardo al proble-ma dell’adeguamento dei valori di bilancio al fenomeno inflattivo. Più in particolare : •l’Italia (cfr. art. 1, c. 1 lett. C, L. 26/3/1990.69) e la Spagna hanno riser-

vato l’intera materia a leggi speciali; •il Belgio, la Francia, l’Olanda e la Gran Bretagna hanno usufruito della

possibilità di introdurre stabilmente nel proprio ordinamento criteri di valu-tazione diversi da quello del costo storico; •la Germania, la cui economia è storicamente caratterizzata da un basso

tasso di inflazione, non ha fatto ricorso alle possibilità ex art.33 IV Diretti-va CEE, né ricorre a leggi speciali di rivalutazione.

Per tutte queste ragioni, le imprese industriali italiane esprimerebbero nel prossimo futuro costi di produzione comparativamente inferiori a quelli delle imprese degli altri paesi, pur in presenza di ipotetiche uguali o peggio-ri condizioni di competitività legate alle loro capacità intrinseche.

Un possibile rimedio a tali inconvenienti consiste nell’aggiornamento del-la misura monetaria degli elementi attivi del bilancio. Si ravvisa, cioè, la necessità di valutare se esista l’opportunità di procedere ad un allineamento monetario dei valori di bilancio delle imprese italiane, prima della loro tra-duzione in Euro in base alle parità che verranno definitivamente stabilite. La Spagna è già intervenuta e si è preparata all’introduzione dell’Euro rial-lineando i valori contabili delle imprese. Naturalmente dovrebbe essere un’apposita legge nazionale a disciplinare l’operazione. Tuttavia, poiché l’intento è di mantenere integro l’apparato produttivo del paese, tale prov-vedimento legislativo non dovrebbe determinare oneri fiscali aggiuntivi per le imprese. Anzi, i maggiori valori che emergono dall’operazione di alline-amento, dovrebbero trovare una contropartita in una apposita voce di riser-va, la quale, fino a concorrenza del valore corrispondente alla rivalutazione del capitale proprio esistente, dovrebbe essere considerata estranea alla tas-sazione ai fini dell’imposta sui redditi. Alla parte eccedente tale somma, in-vece, dovrebbe applicarsi un regime di sospensione dell’imposta fino al momento della distribuzione o dell’utilizzo a copertura di perdite. Per la quota non assoggettabile ad imposte dirette si potrebbe accettare l’applicazione dell’imposta di registro sui conferimenti, in caso di sua di-

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stribuzione. Le argomentazioni sviluppate con più specifico riferimento agli immobi-

lizzi tecnici ed alle rimanenze di magazzino, possono essere utilmente este-se anche a valori di altre attività del bilancio d’esercizio, quali le immobi-lizzazioni monetarie costituenti partecipazioni in altre imprese. Per queste, infatti il processo di rivalutazione monetaria conseguirebbe a quello even-tualmente attuato nelle aziende sottostanti, per un necessario adeguamento alle nuove consistenze patrimoniali.

In fine, è opportuno sottolineare che la traduzione in Euro del capitale so-ciale e del valore nominale unitario delle azioni potrà far emergere esigenze di arrotondamenti. Anche in questo caso è necessario un intervento legisla-tivo che regolamenti tale conversione.

I sistemi informativi Attualmente si possono individuare tre accadimenti contestuali che pre-

sentano un forte impatto sui sistemi informativi sia su un piano tecnico che organizzativo: •l’Euro. La moneta unica europea è un fatto certo per l’Europa, per

l’Italia sufficientemente probabile, che richiede significativi oneri di ade-guamento dei sistemi informatici ma che al contempo offre nuove opportu-nità alle aziende, in relazione al settore di riferimento, ed una maggiore in-ternazionalizzazione degli affari.

•L’anno 2000. Si tratta, anche in questo caso, di un evento certo che richiede la revisione tecnica e capillare delle applicazioni informatiche in produzione per evitare il blocco elaborativo e la generazione di incon-sistenze diffuse.

•Data privacy. La nuova normativa in materia di data privacy regolamen-ta la gestione delle informazioni personali nelle aziende e comporta diversi adempimenti ad alto impatto sui sistemi informatici, alcuni dei quali defini-ti attualmente solo nei tratti generali.

Indubbiamente le modifiche conseguenti a questi aspetti devono essere re-alizzate senza indugio, eventualmente combinandole tra loro, cercando di realizzare un equilibrio tra tempi e costi. Se il processo adeguativo non vie-ne iniziato tempestivamente, tale obiettivo risulterà di difficile realizzazio-ne, poiché in questo caso il fattore costo rischierà di diventare rapidamente marginale.

Di per sé la sola introduzione dell’Euro avrà sui sistemi informativi azien-dali un impatto rilevante. La conversione delle monete può essere assimila-ta all’introduzione di una nuova lingua, perciò i sistemi che memorizzano e trasferiscono informazioni all’interno e all’esterno dell’impresa dovranno subire profonde modifiche soprattutto se non sono già adeguati ad un am-biente caratterizzato da una pluralità di valute. Naturalmente tutti i sistemi

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di tutte le imprese dovranno essere sottoposti a verifica e per questo il pro-blema delle disponibilità di risorse (hardware, software, ma soprattutto u-mane) risulta particolarmente delicato.

Qualsiasi sistema che gestisce importi monetari subirà gli impatti dell’introduzione dell’Euro quali: •Applicazioni transazionali: Contabilità (Contabilità Generale, Gestione

Crediti, Gestione Debiti, Contabilità Analitica, Gestione Commesse, Ge-stione Cespiti, Gestione Contratti), Logistica, Produzione, Gestione Paghe, Tesoreria, Commercio Elettronico (EDI); •Sistemi di gestione dell’informazione: (Applicazioni MIS, EIS, DSS; Da-

ta Warehause); •Applicazioni per PC: fogli di calcolo, applicativi e data base sviluppati

per l’utente finale; •Altri sistemi “periferici”: POS, Distributori automatici, Terminali per il

pagamento elettronico, Registratori di cassa, ecc. Nel processo di adeguamento, come primo passo, le imprese dovranno

sottoporre i propri sistemi ad un’analisi approfondita allo scopo di identifi-care gli interventi necessari. Si tratta di un processo piuttosto lungo che oc-corre pianificare con largo anticipo. In tal modo le imprese potrebbero tene-re conto degli adeguamenti dei programmi e dei sistemi nella pianificazione degli interventi di manutenzione ordinaria relativi ai prossimi anni.

La situazione attuale dei sistemi informativi aziendali è caratterizzata da alcune criticità, per la maggior parte imputabili allo sviluppo frazionato che questi hanno avuto nel corso degli anni. Probabilmente la difficoltà mag-giore, in quanto incidente sulle tempistiche di approccio alla soluzione del problema, deriva dalla mancanza di un inventario, sia dell’hardware, sia del software (ed in questo caso non solo delle applicazioni, ma anche degli ar-chivi) e di documentazione relativa ai programmi. Si aggiungano, poi, le difficoltà legate al fatto che le specifiche non sono note, così come non si conoscono le relazioni tra le diverse applicazioni. Si riscontra nelle aziende l’adozione di ambienti di sviluppo e di linguaggi antiquati ed eterogenei. Spesso molti programmi in uso sono elaborati in linguaggi di programma-zione obsoleti, come il COBOL o comunque particolarmente “ermetici” (quali ad esempio l’Assemblerà), a volte completamente privi di commenti e comunque già in condizioni normali molto complessi da modi-ficare, specialmente da persone differenti dagli autori delle stesse procedu-re.

In ogni caso è oggi difficile trovare programmatori qualificati che abbiano familiarità con questi linguaggi, tenuto conto del fatto che i corsi di forma-zione solitamente contemplano linguaggi più moderni.

Un problema che aggrava questa situazione nasce dalla consuetudine di apportare alle applicazioni originarie modifiche “d’emergenza” che poi di-

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ventano permanenti. Inoltre, lo sviluppo del parco di applicazioni aziendali spesso è stato frazionato nel tempo, il che comporta l’uso di linguaggi ed anche di “stili” di programmazione completamente differenti. E quando il sistema informativo è composto da diverse tipologie di applicazioni, per ciascuna di esse devono essere applicate strategie di adeguamento distinte. Tale eterogeneità rende l’operazione di modifica ancora più complessa.

Una ulteriore difficoltà d’intervento è, infine, apportata dallo sviluppo, ca-ratteristico di questi ultimi anni, della cosiddetta “informatica individuale”. La diffusione all’interno delle aziende di Personal Computer e di program-mi comuni e di semplice uso, ha fatto proliferare il numero di piccole appli-cazioni scritte direttamente dai singoli utenti (si veda per esempio il massic-cio uso di fogli di calcolo quali Excel o Lotus, che permettono di preparare facilmente grafici partendo da dati numerici), particolarmente complessi da censire.

In conclusione l’operazione di adeguamento sarà più complicata se: • si presenta elevata la complessità e scarsa la qualità dei sistemi e delle

elaborazioni (complessità funzionale e tecnica dei programmi, complessità sia dell’architettura tecnica, sia di quella delle applicazioni, elevata integra-zione con i sistemi di altre aziende, ad esempio attraverso EDI, ecc.); • se è ridotta la flessibilità (il sistema, ad esempio, non gestisce più va-

lute e non gestisce i decimali); • se è elevata la dimensione e la natura delle elaborazioni da effettuare

(elevati volumi di dati da convertire, numerosità di applicativi e di pro-grammi).

Di certo, per i sistemi informativi, sarà il periodo transitorio il momento più critico. Infatti, per un arco temporale di tre anni (corrispondente alla fa-se B), varrà il principio no prohibition, no compulsion, in cui i sistemi in-formativi dovranno essere pronti a gestire importi in moneta locale e/o in Euro, a seconda della strategia scelta dalla direzione. Nell’intento di offrire un servizio completo ai clienti, le imprese potrebbero decidere di adottare, come consigliato nel Libro Verde della Commissione europea, la doppia e-sposizione degli importi, servizio che richiede modifiche nelle stampe e nelle videate.

Alcuni aspetti specifici connessi all’introduzione dell’Euro riguardano: •gli importi con decimali. Gli importi in Euro dovranno essere espressi

con due decimali, mentre la lira verrà sempre espressa senza decimali. E’ quindi necessario modificare la struttura del file per accettare importi con decimali; •le norme in materia di arrotondamento; •gestione dei dati storici. I dati storici dovranno essere convertiti in Euro.

Le regole di conversione ed eventuali calcoli delle rivalutazioni dei valori di bilancio devono essere definite a livello europeo;

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•simbolo dell’Euro nelle periferiche e tra i caratteri di sistema. I simboli della moneta unica non è presente nelle tastiere, nelle periferiche, negli ATM e nei caratteri di sistema.

Si possono individuare cinque fattori critici, che a loro volta si trasforma-no in fattori di costo, nell’adeguamento dei sistemi informativi: •i tempi limitati; •risorse umane competenti; •capacità Main Frame; •capacità di disco; •conoscenza delle applicazioni da modificare. Volendo stilare una scala di priorità, si può sostenere che il fattore di

maggiore criticità è il primo, ossia il tempo disponibile per adeguare il si-stema informativo all’Euro e all’anno 2000. Tenuto conto che la maggior parte delle aziende dovrà rivedere completamente i propri sistemi e che le grandi applicazioni vengono normalmente lanciate durante i week end, i giorni disponibili per attuare le modifiche non sono poi molti. Ma se il pro-cesso adeguativo non viene iniziato tempestivamente si rischierà di vanifi-care qualsiasi iniziativa e quindi di compromettere seriamente l’operatività aziendale. Secondo un’indagine commissionata da Confindustria risulta che ben il 92,8% delle imprese non ha ancora realizzato alcun intervento di ade-guamento interno.

Le problematiche dell’Euro e dell’anno 2000 coinvolgono tutti i paesi Eu-ropei, si registrerà probabilmente una carenza di risorse umane competenti, giacché le risorse utilizzate attualmente nelle strutture aziendali dovranno seguire l’operatività quotidiana della stessa. Si aggiunga poi, come già ac-cennato, che le applicazioni sviluppate internamente spesso sono cresciute in modo stratificato, sovrapponendo vecchi programmi a nuove applicazio-ni. Nel tempo si è persa o non si è aggiornata la documentazione e ciò ren-de più difficile qualsiasi intervento di aggiornamento o adattamento.

La capacità di Main Frame e la capacità di disco rappresentano altri due fattori critici non di secondaria importanza. Generalmente il primo viene u-tilizzato al massimo della propria capacità elaborativa, perciò sarà necessa-rio affiancare all’operatività corrente un gruppo dedicato alla conversione e all’adattamento delle applicazioni in Euro. Per il secondo, invece, sarà ne-cessario effettuare un System test e un parallelo simulando l’operatività a-ziendale.

Gli impatti nel mondo della tecnologia dovuti all’Euro vengono spesso paragonati a quelli indotti dall’anno 2000, ma si tratta di problemi concet-tualmente diversi: si evidenzia, infatti, l’oggettività della soluzione del cambio di millennio e la soggettività delle soluzioni applicabili alla gestio-ne della moneta unica. Per risolvere il primo problema bisogna verificare tutti i casi in cui vi è riferimento ad una data e controllare che quest’ultimo

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contenga una data con 4 posizioni per la memorizzazione dell’anno (es gg/mm/aaaa). Invece, per quanto riguarda la moneta unica, vi è una pluralità di possibili interventi effettuabili sui sistemi, la maggior parte dei quali, a li-vello informatico, deve tener conto delle decisioni strategiche dell’azienda. Ad esempio la gestione della doppia valuta nel periodo di transizione non è un problema che impatta su tutte le imprese, ma solo su quelle che vogliono o devono adottare l’Euro come moneta scritturale prima del 1° gennaio 20-02.

Nella tabella 1 sono evidenziate le possibili soluzioni che le imprese pos-sono adottare in un ottica di transizione verso la moneta unica.

Con il ‘sistema multidivisa’ è possibile utilizzare contemporaneamente le due valute, ma comunque sarà necessario modificare la struttura degli im-porti per introdurre i decimali e modificare i criteri di arrotondamento. Og-gi l’arrotondamento è all’ultima cifra intera, con l’Euro alla seconda cifra decimale. Questa soluzione globale è molto flessibile e utile per i sistemi che anche in futuro tratteranno più valute, appare invece poco appropriata perché piuttosto onerosa, per gestire la fase transitoria di sistemi che tratta-no una sola moneta.

L’opzione ‘monovaluta con convertitore’ prevede la creazione di un algo-ritmo software (convertitore) di conversione degli importi da una valuta all’altra, ma la logica dei programmi ed i calcoli vengono eseguiti nella va-luta originaria. Questa soluzione è particolarmente adatta per gestire la fase transitoria, in quanto permette di colloquiare (modificando gli input e gli output) con più di una valuta lasciando inalterate le modalità di calcolo.

Con la ‘duplicazione delle applicazioni’ (clonazione) è possibile nel pe-riodo transitorio, mettere in esercizio accanto alla vecchia applicazione in Lire (quest’ultima verrà abbandonata con l’avvio della terza fase) quella i-dentica in Euro. Con questo sistema si dovranno gestire due diverse appli-cazioni, entrambe monovaluta e tra di esse sarà inoltre necessario introdurre opportuni algoritmi nei punti di contatto. Se da un lato attraverso questa so-luzione il sistema è già pronto per il 2002, dall’altro essa risulta onerosa per la fase transitoria.

Nel caso di pacchetti applicativi acquistati da fornitori di prodotti infor-matici è necessario verificare non solo che il sistema sia multivaluta, ma anche ottenere la certificazione che il pacchetto sia adatto a gestire l’introduzione dell’Euro e dell’anno 2000. Sarà comunque necessario veri-ficare l’integrazione con i sistemi interni ed eventualmente sostituire o a-dattare il parco programmi. E’ altresì importante tenere presente che spesso i tempi di installazione sono molto lunghi e quindi il sistema potrebbe non essere pronto nel 1999 (se l’impresa intende passare subito all’Euro).

Il processo di adeguamento dei sistemi informatici all’Euro deve tenere conto della grande quantità di software da trattare in un tempo relativamen-

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te breve, così come avviene per l’anno 2000. Dall’intervento adattivo anno 2000, è possibile mutuare una metodologia di lavoro che indica per grandi linee i passi da compiere anche durante l’intervento evolutivo Euro. Per quest’ultimo intervento i passi di lavoro vengono modulati (per importanza, estensione, e compattezza) prima di tutto in base agli obiettivi di business dell’azienda rispetto all’opportunità Euro. Per l’azienda è strategico creare un gruppo di lavoro per affrontare le problematiche legate alla moneta uni-ca che risponda direttamente alla Direzione Generale.

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Tabella 1. I possibili approcci adottabili dalle aziende. Fonte: Confindustria, gruppo di lavoro Sistemi Informativi.

Scelta vantaggi svantaggi

multidivisa (procedura unica)

Gestione totale Massima flessibilità e funzionalità Interessante per le aziende esportatrici

Duplicazione delle informazioni Risposta costosa per il solo periodo transitorio

mascheramento valuta (convertitori)

Si applica facilmente Si toglie rapidamente al termine del periodo transitorio Conversione uniforme Dipendenza limitata

Per applicazioni monova luta, crea problemi per identificare la valuta in cui si opera Risolve solo il periodo transitorio

nuovi pacchetti applicativi

Aggiorna il S. I. Risolve il problema Euro e Anno 2000

Tempi di applicazione elevati Collegamento con le procedure esistenti

clonazione (due procedure monovaluta)

La conversione avviene in modo graduale Impatto limitato solo ai cloni Il problema degli arroton damenti è limitato e più comprensibile per i clien ti /fornitori Il sistema è già pronto per il 2002

Gestione di due procedure Problemi complessi nella gestione dei movimenti incrociati Lire/Euro tra procedura Lire e procedu ra Euro Oneroso per gestire la fase transitoria

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Nello studio condotto da Confindustria si individuano le fasi del processo di manutenzione del software applicativo necessarie per realizzare le modifiche del sistema informativo aziendale ( tabella 2). Tabella 2. Fasi del processo di manutenzione del software applicativo. Fonte: Confindustria, gruppo di lavoro Sistemi Informativi

Inventario hard- ware

Individua le apparecchiature elettroniche (POS, casse..) inte- ressate dal problema della moneta unica europea sia in rela-zio- ne al periodo transitorio che al successivo regime monodivisa. Per ciascuna apparecchiatura definisce tempi e modalità di adeguamento.

Inventario appli- cativo

Individua le applicazioni presenti e classifica gli oggetti soft - ware disponibili in forma sorgente (es. pgm., copy-book, jcl, etc.), evidenziando quelli eventualmente mancanti o ridon-dan- ti. Presuppone la disponibilità del codice sorgente delle appli- cazioni da trattare.

Reverse docu- mentale

Per ogni applicazione fornisce, e riaggiorna al subentrare di variazioni, informazioni e diagrammi sulla struttura delle stes-se e l’evidenza dei flussi dati sia interni che interprocedurali. Pre- suppone la disponibilità del codice sorgente delle applicazioni

Analisi di impianto

Ricerca sistematica del software impattato a diversi livelli di gradualità al fine di conoscere l’entità del problema e la casi-sti- ca da affrontare. Presuppone la disponibilità di software in-ven- tariato, documentazione, criteri di analisi del problema, vinco-

Pianificazione Pianifica in dettaglio le risorse e gli interventi di manutenzio-ne e/o sostituzione riferiti alle applicazioni dell’intero sistema in- formativo eventualmente segmentato in più lotti software. Ri- chiede la conoscenza delle priorità stabilite dall’azienda anche in relazione ad altri progetti di adeguamento software e dei

Conversione data base

Pianifica in dettaglio i data base gestiti, e degli interventi per allineare alla nuova moneta i dati storici. Richiede la cono-scen- za delle priorità stabilite dall’azienda anche in relazione ad al-tri progetti di adeguamento software e dei vincoli tecnico/

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Gestione dei cambiamenti dei software

Predisposizione di una procedura idonea al controllo conti-nuo, durante tutta la durata dell’intervento, delle modifiche in cor-so d’opera riguardanti il software oggetto di adeguamento. Ri- chiede standard di comunicazione tra gruppi di lavoro ed assi-

Modifica del software

Manutenzione degli oggetti eseguita, secondo un piano di la- vori ed in base a strategie di intervento definite dall’azienda, con livelli di automazione più o meno elevati in relazione al grado di linearità presente nella so luzione tecnica individuata. Riapplicazione delle modifiche

Test del softwa-re

Verifica dei requisiti d’ambiente dei test sites e prova del soft- ware sia secondo criteri di equivalenza funzionale, sia secon-do un piano dei test elaborato con gli utenti che tenga conto delle nuove situazioni di contesto e dei nuovi casi gestiti dai pro grammi. Dimensionamento delle risorse elaborative, predi-spo-

Passaggio in produzione

Verifica dei requisiti di esercizio e delle condizioni generali previste dal planning delle attività. Migrazione in ambiente di produzione, secondo tempi e modalità pianificate, di lotti di software adeguati ed opportunamente testati.

Conversione dei tracciati per in terbancario e ter zi

Pianifica in dettaglio tutti i tracciati di comunicazione con l’esterno come l’interbancario o con realtà aziendali che uti-liz- zano informazioni gestite dal S.I. centrale. Spesso le informa zioni utilizzate dall’utente finale per fare statistiche particolari sfuggono alla conoscenza dei D.P. manager ma spesso non per

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Individuazione delle voci di costo

La modifica dei sistemi informativi rappresenta il principale costo per l’adeguamento all’Euro dell’organizzazione aziendale, poiché essi attra-versano trasversalmente la struttura dell’impresa. E’ possibile, perciò, che la transizione imponga alle aziende costi rilevanti e che una grossa percentuale del bilancio globale sarà destinata alla sostituzione della moneta anziché alle operazioni ordinarie di manutenzione e potenzia-mento. Sotto il profilo della concorrenza, ciò determinerà uno svantag-gio temporaneo nei confronti delle imprese extra-europee.

In ogni caso i progetti che si renderanno necessari per l’adeguamento del sistema informativo delle imprese industriali alla moneta unica, pos-sono essere classificati tra i progetti di manutenzione adeguativa, poiché i sistemi dovranno essere adattati alle condizioni imposte dal nuovo si-stema valutario. Per individuare le voci di costo collegate al progetto in discussione, si deve fare riferimento agli elementi necessari per realizza-re i progetti di conversione (quelli che nel precedente paragrafo sono stati indicati come critici).

Un primo fattore indispensabile si riconduce alle disponibilità di capa-cità progettuali da parte di risorse umane, sia per le attività di analisi sia per quelle di programmazione e testing del sistema. Tali capacità po-tranno essere acquisite all’esterno, dalle società informatiche fornitrici di tali prodotti/servizi, ma occorrerà comunque prevedere un coinvolgi-mento di alcune risorse interne all’azienda, esperte dei vari segmenti del sistema informativo, soprattutto per la fase di definizione dei requisiti/analisi funzionale. Servirà, poi, un adeguamento della capacità elabora-tiva dei sistemi informatici centrali e della capacità di disco, sia per le maggiori dimensioni delle Banche Dati indotte dal progetto di conver-sione, sia per la maggiore esigenza di spazio su disco dovuta alle attività di system test. Per poter valutare la fattibilità dei progetti di conversio-ne, sarà necessario disporre di tutta la documentazione tecnica dei pro-grammi da modificare, serviranno quindi informazioni su programmi sorgente, librerie, interfacce utente, ecc.

Nel complesso l’entità del costo dipende da molteplici fattori, ossia dalla portata della trasformazione che si intende realizzare, da quanta parte del sistema informativo è stata realizzata internamente in azienda e quanta invece è stata acquistata. Di quest’ultima importante è poi il li-vello di personalizzazione che è stato attuato. In fine, incide la misura in cui il sistema informativo è già predisposto in multidivisa.

Da un punto di vista strategico è opportuno che l’impresa effettui in-terventi che non siano “a perdere”, bensì siano dei passi coerenti verso

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la costruzione di un nuovo sistema informativo. Quindi il passaggio all’Euro deve essere visto non solo come un costo, ma come una grande op-portunità: quella di intervenire in un sistema informativo inadeguato e co-struito con tecniche superate, per realizzare un sistema nuovo con tecniche e strumenti aggiornati che metterà l’impresa in una situazione di vantaggio competitivo.

In conclusione, l’introduzione dell’Euro rappresenta una prova senz’altro impegnativa per il sistema industriale. Supereranno la sfida le imprese già sensibilizzate al problema, che hanno da tempo iniziato le attività prepara-torie, che dispongono di risorse finanziarie da investire e che hanno reperito le risorse umane necessarie. Si ritiene infatti che nella fase finale del perio-do transitorio vi saranno tensioni sui prezzi a causa di una forte richiesta di “esperti esterni”.

Area tesoreria e finanza Se l’introduzione dell’Euro nella fase transitoria implica per l’impresa il

sostenimento di costi (il centro di costo principale come appena visto è quello relativo ai sistemi informativi), nel caso della tesoreria aziendale e dell’area finanza si individuano essenzialmente vantaggi.

La tesoreria si occupa di due attività prevalenti: presidia i rischi finanziari sulla base delle indicazioni fornite dalla direzione aziendale (circa il livello di rischio desiderato e quello obiettivo) e fornisce un supporto in termini di servizio a tutti gli enti aziendali che entrano in contatto con il sistema ban-cario.

Questa sua missione viene realizzata mediante la gestione di tre aree, os-sia di quella relativa alla liquidità, all’indebitamento e alla valuta, attraver-so le quali presidia il rischio di liquidità (cash management), di tasso di in-teresse e di cambio.

In un’ottica di breve, l’introduzione della moneta unica e, in generale, il processo di convergenza che l’accompagna, senza dubbio impatteranno di-rettamente su tutte e tre le aree, ma un effetto più evidente ed immediato si avrà nella gestione valutaria.

Quest’ultima, in quanto finalizzata al presidio del rischio di cambio, risul-ta essere oggi particolarmente critica.

Allo stato attuale nessuna realtà aziendale si può ragionevolmente sentire esente da problematiche relative al rischio di cambio e alla sua gestione. Non lo sono le aziende esportatrici di prodotti e/o importatrici di materie e nemmeno le aziende che usano finanziarsi in divisa estera o investire le proprie eccedenze di liquidità nei mercati internazionali. Altresì non è im-mune dall’andamento dei tassi di cambio l’azienda che abbia un ciclo pro-duttivo interamente domestico e una contabilità interamente in Lire, perché sarà comunque soggetta ad una certa area dipendente dal potere di mercato

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della concorrenza internazionale, diretta o mediata che sia. Il rischio in questione nasce dall’incapacità di prevedere con certezza il

tasso di cambio futuro di una divisa estera e, dunque, dall’impossibilità di valutare l’impatto che avrà la variazione del tasso futuro rispetto al tasso at-tuale su transazioni e aspetti dell’attività aziendale legati a questa specifica valuta, quali; • flussi futuri di cassa; • attività/passività future; • utili/perdite future; • posizione concorrenziale futura ecc. Si individuano tradizionalmente quattro tipologie di rischio di cambio: • rischio transattivo; • rischio economico; • rischio competitivo; • Rischio traslativo.

Il rischio transattivo riguarda, tendenzialmente, il breve termine e consiste nel rischio che una specifica transazione commerciale riporti una perdita a seguito dell’andamento dei cambi di mercato. Nell’interpretazione più este-sa comprende le transazioni aziendali che siano già state definite con la controparte in tutti i loro aspetti e che non possono più essere modificati in modo consensuale. Si considerano, dunque, tutti gli ordini attivi e passivi già confermati. In conclusione, il presupposto del rischio in questione con-siste nell’esistenza di un intervallo di tempo tra la definizione delle condi-zioni contrattuali e la conclusione finanziaria della transazione, durante il quale il cambio di mercato può subire delle variazioni.

Il rischio economico ha un contenuto più esteso del precedente in quanto comprende gli effetti che una variazione del cambio di mercato può genera-re sul conto economico aziendale. Presenta manifestazioni piuttosto com-plesse, spesso di difficile identificazione e quantificazione come può essere l’impatto economico di una diminuzione del cambio di mercato sul prossi-mo listino prezzi in divisa se non sarà possibile aumentare i prezzi in misu-ra tale da recuperare la diminuzione del cambio di mercato. In questo caso, una variazione sin da oggi del cambio può determinare un effetto consisten-te per un orizzonte temporale molto lungo, a partire dai crediti e dagli ordi-ni in valuta non fatturati, fino alle vendite future in applicazione dell’attuale listino prezzi e addirittura del futuro listino.

La terza tipologia di rischio è talvolta sovrapponibile con il rischio econo-mico di medio termine, si compone della variazione dei rapporti competiti-vi, in seguito all’andamento dei cambi di mercato e alla diversa struttura per divisa dei costi e dei ricavi rispetto ai concorrenti. Questa tipologia di rischio è identificabile con sufficiente precisione solo quando il numero di concorrenti è molto ridotto, oppure la struttura dei costi/ricavi per divisa di

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molteplici concorrenti è essenzialmente univoca. Tuttavia, se non ricorrono queste condizioni, identificarlo è impresa decisamente non semplice, poi-ché si configura in un modo complesso e sfuggente.

Il rischio traslativo ha una valenza più contabile che gestionale ed è con-seguente alla traduzione di poste in divisa dello stato patrimoniale nella moneta di conto alla data di scadenza dell’esercizio. Il caso più frequente è quello di una partecipazione in una consociata estera. La casa madre, al momento della chiusura contabile, necessita del bilancio della consociata convertito nella propria valuta. Da tale operazione, a livello di casa madre, derivano utili o perdite di natura puramente contabile senza nessun effetto sui flussi di cassa. Essendo questo rischio peculiare delle società multina-zionali, non riveste alcun interesse per la maggior parte delle aziende italia-ne. Esse, invece, si confrontano giornalmente soprattutto con i primi due ti-pi di rischio.

A partire dalla fase B, queste componenti del rischio di cambio subiscono un forte ridimensionamento.

Dal momento in cui verranno annunciati i tassi di cambio sulla base dei quali si procederà alla realizzazione della moneta unica, o in ogni caso ver-ranno chiariti i meccanismi che presiedono alla loro formazione, di fatto il rischio di cambio tra le monete partecipanti verrà annullato o comunque fortemente limitato. La denominazione dei flussi aziendali in Marchi, piut-tosto che in Franchi o in Lire sarà allora, in termini di rischio, un fatto più formale che sostanziale. L’eliminazione, relativamente alle monete che fa-ranno parte dell’Euro, del rischio di cambio di natura transattiva è alla base di due importanti benefici per la tesoreria delle imprese e cioè: 1. la diminuzione dei costi di copertura; 2. l’aumento della capacità di autofinanziamento.

La diminuzione dei costi di copertura è intimamente legata alla scomparsa dei rischi valutari tra le monete partecipanti alla formazione dell’Euro. A-vere poste di credito o debito in Euro o nelle valute che di esso fanno parte sarà assolutamente equivalente, poiché in entrambi i casi non vi sarà rischio di cambio. I benefici in parola dovrebbero essere rilevanti, se si considera che le imprese appartenenti all’area comunitaria sono fortemente eurocen-triche, caratterizzate cioè da un’intensa attività d’acquisto e vendita all’interno dell’area stessa. Si aggiunga, inoltre, che i minori costi di coper-tura si sommano alla riduzione degli oneri per la conversione delle monete.

Nel complesso si realizza un ampliamento della potenziale area commer-ciale nella stessa valuta, accompagnata da una semplificazione della gestio-ne del rischio di cambio. Infatti, l’esposizione a tale rischio si limiterà so-stanzialmente alle valute extra-UEM, segnatamente Dollaro e Yen.

Per quanto riguarda invece l’incremento delle capacità di autofinanzia-mento va sicuramente ricordato che la possibilità di avere una stessa mone-

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ta, per acquisti e vendite attualmente denominati in monete diverse, porterà ad un incremento delle possibilità di pooling. In altre parole le imprese po-tranno, per esempio, procedere alla compensazione degli incassi provenien-ti dalla Germania ed i pagamenti destinati alla Francia, diminuendo così la necessità di ricorso al sistema bancario e conseguendo economie considere-voli di costo. Infatti l’UEM dovrebbe comportare una riduzione del numero dei conti bancari e dei saldi non disponibili grazie alla compensazione auto-matica delle posizioni debitorie e creditorie, operazioni che risultano parti-colarmente onerose per le piccole imprese. Proprio la possibilità di utilizza-re un sistema di cash pooling consentirebbe una migliore gestione dei flussi commerciali (incassi e pagamenti) e ridurrebbe conseguentemente il rischio di liquidità. In generale, le operazioni di cassa saranno semplificate perché ci saranno meno valute da gestire, si produrrà uno snellimento di lavoro in-terno per le pratiche amministrative e valutarie. Si conseguiranno risparmi sulle commissioni bancarie grazie alla riduzione delle transazioni in valuta estera.

Quindi di riflesso a beneficiare dell’UEM non sarà solo la gestione valu-taria, ma anche quella dei pagamenti.

L’integrazione monetaria consente di superare due delle più frequenti dif-ficoltà di natura operativa della tesoreria valutaria che generalmente le a-ziende incontrano: la frammentazione degli importi di incassi e pagamenti e l’imprecisione quantitativa delle previsioni di vendite e acquisti in valuta. Un numero elevato e un importo unitario modesto delle operazioni di incas-so e pagamento in divisa estera rendono particolarmente onerosa, se non impossibile, l’effettuazione di operazioni di copertura del rischio di cambio che si riferiscano a specifici incassi e pagamenti. L’incertezza quantitativa connessa ai futuri flussi in valuta quando supera il 20-30% degli importi, oltre a costituire un problema di tesoreria valutaria, rappresenta un serio vincolo all’efficacia della politica di gestione del rischio di cambio e gli ef-fetti negativi di una copertura effettuata su un importo errato possono esse-re molto pesanti. Si può ritenere allora che l’economia a cambi fissi se im-patta positivamente sul rischio transattivo a maggior ragione avrà un effetto positivo anche su quello economico.

In merito al rischio competitivo, tra le aziende localizzate in paesi aderen-ti all’UEM si creerà maggiore trasparenza nei rapporti concorrenziali. Non saranno più possibili svalutazioni delle monete, che falsano il gioco compe-titivo del mercato e, invece, sarà il miglioramento del rapporto qualità-prezzo di prodotti e servizi l’unica variabile su cui potranno puntare per o-perare con successo nel mercato europeo. Quindi, per le imprese che hanno come unico mercato di sbocco quello nazionale e i cui concorrenti sono pa-esi europei, il rischio competitivo si ridurrà; mentre quelle che operano all’estero non potranno più godere di posizioni di vantaggio rispetto ai con-

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correnti per effetto delle variazioni favorevoli del tasso di cambio. Naturalmente l’intensità degli effetti dell’eliminazione del rischio di cam-

bio nell’area UME dipenderà dal volume delle attività transfrontaliere in-trattenute dall’impresa.

Tuttavia deve essere evidenziato che da più parti si prospetta il rischio che in attesa delle decisioni finali sui paesi IN e sui tassi di cambio irrevocabili tra le diverse valute e l’Euro si possano manifestare instabilità nel mercato finanziario e valutario. Proprio per scongiurare tale eventualità, la fissazio-ne dei tassi fissi è stata anticipata al maggio del 1998. Con questa manovra il Consiglio Ecofin di Mondorf ha inteso ridurre il clima di incertezza e scetticismo circa l’effettiva partenza della moneta unica nei tempi e nei mo-di previsti, così da ridurre al minimo i rischi di attacchi speculativi. L’obiettivo è dunque quello di aumentare la credibilità del processo di uni-ficazione in corso. In realtà, tale rischio non è completamente arginato: solo nel 1999 tali parità entreranno in vigore e nei sette mesi che si frappongono tra tale data e l’annuncio dei tassi fissi, questi ultimi potrebbero essere rite-nuti poco credibili. In ogni caso l’anticipo manda un segnale forte circa la determinazione degli europei a portare a termine l’integrazione monetaria.

La tesoreria si occupa anche del presidio del rischio di tasso. A tale pro-posito si tenga presente che da oltre un anno è in atto il processo di conver-genza dei tassi di interesse sulla moneta nazionale verso quelli più bassi dei paesi più “virtuosi”. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 1999 la politica mone-taria sarà unica e comune a tutta l’UEM e a gestirla saranno la BCE e il SEBC, che si impegneranno per mantenere un unico sistema di tassi a livel-lo europeo in modo da garantire lo stesso trattamento a tutti i paesi, a parità di scadenza del titolo e di merito del debitore. Per l’Italia ciò implica una riduzione stabile dei tassi per il venire meno definitivamente del rischio connesso all’attesa di svalutazione.

La prospettiva di una stabile riduzione dei tassi genererà vantaggi consi-stenti per le imprese indebitate in Lire. L’anticipazione e la massimizzazio-ne dei benefici richiederà tuttavia una preventiva gestione asset liability e cioè:

1. una riduzione delle passività a tasso fisso con scadenza oltre il 1999 e la sostituzione delle stesse con passività scadenti prima di tale data o, in al-ternativa, con passività a tasso variabile: in tal modo il costo del passivo be-neficerà della riduzione dei tassi;

1. l’incremento degli investimenti di liquidità in attività a tasso fisso, sca-denti oltre il 1999, denominate in Lire o comunque nelle valute Euro carat-terizzate attualmente da tassi si interesse maggiori. L’abbassamento dei tas-si conseguente all’adozione dell’Euro determinerà infatti un accrescimento di valore di tali attività.

In conclusione, qualsiasi sia la scelta effettuata al 1° gennaio 1999 (Euro

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tout court, Lire, o doppio binario), già da tale data, le imprese cominceran-no a beneficiare, nella gestione di tesoreria degli effetti positivi della stabi-lità.

L’area marketing L’Euro rappresenta un fattore determinante per l’apertura dei mercati eu-

ropei poiché comporta l’eliminazione della barriera valutaria. Nell’UEM i costi transazionali tra paesi diminuiscono per effetto dell’eliminazione del rischio su cambi e quindi del relativo costo di copertura e delle commissio-ni valutarie. L’immediata conseguenza è la diminuzione delle barriere all’esportazione e il dischiudersi delle possibilità, anche per le PMI, di in-traprendere azioni di marketing internazionale.

Le minori barriere all’entrata e la maggiore trasparenza dei prezzi produ-cono un inasprimento della concorrenza e ciò richiede alle aziende di ri-spondere in modo efficace alla maggiore pressione competitiva. A tale sco-po l’impresa può decidere di assumere un atteggiamento difensivo oppure offensivo, ma ciò richiede la disponibilità di informazioni dettagliate sulla segmentazione della redditività (ad esempio di clienti, di prodotto, canali, valute). Infatti, se l’impresa sceglie la prima strategia, e quindi decide di mantenere la propria posizione sul mercato, è opportuno che conosca i clienti di maggiore redditività in modo da poter intraprendere azioni di mar-keting mirate alla conservazione degli stessi. Con la seconda alternativa, in-vece, affinché la scelta di ampliamento del proprio business risulti una stra-tegia vincente è opportuno che essa conosca i potenziali clienti di maggiore redditività, in modo da focalizzare le azioni di marketing su di essi. Ciò può significare indurre il numero di paesi in cui operare.

L’Euro crea un mercato di 370 milioni di consumatori e offre alle PMI l’opportunità di entrare in nuovi mercati. Tale cambiamento richiede alle aziende di aggiornare e modificare i propri prodotti e servizi in base alle e-sigenze dei consumatori europei. Per alcune aziende si presenta inoltre l’opportunità di creare nuovi prodotti e servizi direttamente connessi alla transizione all’Euro, tra cui: programmi software per la gestione della con-tabilità, servizi di consulenza aziendale, registratori di cassa, calcolatori, cambiavalute, ecc.

Sostanzialmente l’impresa deve monitorare le azioni dei concorrenti e va-lutare se il passaggio all’Euro comporterà cambiamenti nelle proprie strate-gie di marketing. Sono valutazioni che richiedono tempo e che dipenderan-no dalle modalità con cui si esprimerà la concorrenza; ma nel breve termine è sulle politiche di prezzo che si deve prestare la massima attenzione, poi-ché proprio sui prezzi la moneta unica manifesta effetti diretti e consistenti, data la necessaria conversione nella nuova valuta.

Entro il gennaio 2002 (al più tardi), le imprese dovranno esprimere i prez-

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zi in Euro. Per far questo non è sufficiente eseguire una moltiplicazione al tasso fisso di conversione: i prezzi devono infatti essere fissati ad un livello efficace sotto il profilo del marketing. I tassi di conversione fissati irrevoca-bilmente entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 1999 e verranno ap-plicati nel limite di sei cifre significative (ad es. 1 Euro = 1974,37 Lit). Tali tassi non possono essere ulteriormente arrotondati o troncati. Le somme convertite in Euro sulla base dei tassi citati saranno arrotondate al centesi-mo per eccesso o per difetto (ad es. 1,055 Euro diventerà 1,06 Euro). I va-lori convertiti da Euro in Lire saranno arrotondati alla Lira per difetto o per eccesso. Tale regola di arrotondamento rispetta raramente il principio della neutralità della conversione potendo generare in un incremento o un decre-mento di prezzo. Ciò produce alcuni problemi di natura strategica e compe-titiva legati alla fissazione del prezzo più conveniente per l’impresa.

Un esempio può chiarire il concetto. Se per esempio il tasso di conversio-ne è 1 Euro = 1,95021 marchi tedeschi, il prezzo di un prodotto, venduto oggi a 6 marchi, equivarrebbe a 3,07659 Euro e quindi, secondo le regole di arrotondamento, diventerebbe 3,08 Euro: si determinerebbe così una diffe-renza di 0,0341 Euro, pari ad un aumento dello 0,11%. Per motivi commer-ciali il rivenditore può assegnare al prodotto un prezzo di 3 Euro, riducen-dolo di 0.08 Euro. In questo caso, il prezzo finale del prodotto in Euro sarà più basso del 2,5% rispetto al prezzo originale. La variazione di prezzo ri-sulta, inoltre, percentualmente maggiore per gli articoli a basso costo.

Le imprese potrebbero approfittare della moneta unica per lanciare cam-pagne di marketing incentrate “sull’arrotondamento verso il basso” o per lo meno dimostrare che in media i prezzi non sono aumentati. Se la situazione competitiva e la forza di mercato lo consentono, l’impresa ha altresì l’opportunità di proiettare una parte dei costi della conversione sui propri clienti e sui consumatori finali.

Altro aspetto rilevante riguarda il fatto che l’applicazione della regola dell’arrotondamento difficilmente consente l’applicazione dei così detti “prezzi psicologici”, considerati un efficace strumento di marketing. Per continuare a praticare questa politica le aziende potrebbero essere costrette ad applicare rilevanti riduzioni di prezzo: ciò le potrebbe spingere a modifi-care la quantità di prodotto e le confezioni pur di mantenere lo stesso effet-to in termini di Euro (ad es 4,99 anziché 5).

Ulteriore questione sulla quale l’impresa deve soffermarsi riguarda quan-do e come introdurre la doppia indicazione di prezzo. Il dual pricing serve sia per abituare i consumatori alle operazioni in Euro, sia a tutelarli, in quanto renderà più difficile per le imprese occultare gli aumenti di prezzo. Al momento non esistono delle indicazioni legislative precise, ma si sugge-risce di iniziare tale pratica almeno sei mesi prima dell’introduzione delle banconote e delle monete Euro e mantenere la doppia indicazione dei prez-

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zi anche per i sei mesi successivi. Il dual pricing non viene considerato co-me un onere particolare per le aziende manifatturiere o per quelle che pro-ducono beni intermedi, ma particolare attenzione deve essere prestata ai produttori che indicano direttamente il prezzo di vendita al dettaglio sui prodotti (abbigliamento, libri , dischi, alimentari, ecc.). E’ evidentemente necessario modificare anche il materiale promozionale e di supporto alla vendita (cataloghi, listini prezzi, ecc.) e rendere visibile la data in cui l’impresa ha deciso di passare all’Euro insieme al periodo di dual pricing. Di certo l’impresa che si dimostra pronta all’utilizzo della doppia valuta po-trà posizionarsi come “innovatore” e comunicare una forte distintività ri-spetto ai ritardatari e migliorare così l’immagine aziendale.

Per l’impresa praticare la differenziazione di prezzo su più mercati che a-dottano la moneta unica diventa più difficile e meno praticabile data la maggiore facilità degli acquirenti di effettuare confronti internazionali. Tut-tavia politiche di prezzo saranno comunque possibili, non solo naturalmen-te tra mercati comunitari che adottano l’Euro e altri mercati, ma anche all’interno degli stessi paesi membri dell’UEM. Se ne descrivono breve-mente le motivazioni principali.

Innanzitutto, in alcuni settori i prodotti del “Made in Italy” vengono per-cepiti come prodotti di maggior pregio da un consumatore europeo rispetto ad un acquirente italiano. Quindi variazioni di prezzo necessarie ad un di-verso posizionamento di prodotti tra più mercati di area Euro potranno esi-stere, ma dovranno essere valutate con estrema attenzione per la facilità di confronti internazionali effettuabili in un mercato più trasparente e per evi-tare eventuali impatti negativi sulla credibilità e immagine dell’impresa.

Il secondo aspetto riguarda i diversi costi necessari per portare i prodotti sui diversi mercati di sbocco come spese di trasporto ed eventuali differen-ze di commissione dovuti agli intermediari di vendita. Si ritiene, tuttavia, che il mercato si muoverà verso la minimizzazione di tali differenze e la o-mogeneizzazione di costi e pratiche commerciali.

In conclusione la maggiore concorrenza, la trasparenza del mercato e l’impossibilità di recuperare competitività con la “leva cambio” stimolano le imprese a cercare una differenziazione su fattori diversi dal prezzo, foca-lizzandosi sul miglioramento della qualità di prodotto e di servizio. La maggiore trasparenza dei mercati porterà alla valorizzazione del potenziale competitivo effettivo e maggiore importanza assume quindi il rapporto qua-lità-prezzo dei prodotti offerti. Ci potrà essere un maggiore orientamento alla customer satisfaction tramite una migliore qualità del servizio. In so-stanza si troveranno in difficoltà le imprese che fondano le proprie strategie competitive nei mercati esteri sulle differenze dei tassi di cambio.

Aspetti legali: il principio della continuità dei contratti

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Qualunque problematica collegata al concetto “di continuità dei contrat-ti”, in seguito all’adozione della moneta europea, non può essere trattata se-paratamente dalla tematica relativa alla conversione monetaria, consistente nel passaggio delle valute nazionali all’Euro. Essa, secondo le regole del trattato di Maastricht, è strettamente collegata al processo di integrazione monetaria, che mira ad escludere una modifica del potere d’acquisto della moneta; di qui la conseguenza di una logica continuità nei rapporti contrat-tuali.

Il concetto di ‘conversione’ è importante perché presuppone, all’atto dell’introduzione dell’Euro, una nuova denominazione della moneta nazio-nale e non la sua estinzione allo scopo di introdurre una nuova divisa (l’Euro). Ciò implica che l’obbligazione contrattuale non viene mutata, ma solo ridenominata e questo attribuisce fondamento al principio della conti-nuità dei contratti.

Il tema della conversione e il problema degli effetti prodotti dall’introduzione della moneta unica sui contratti sono affrontati in due Re-golamenti: il primo si limita a disciplinare alcune conseguenze dell’introduzione dell’Euro, mentre il secondo definisce i meccanismi e le modalità attraverso cui si realizzerà la sua introduzione.

Il primo Regolamento, oltre a prevedere la convertibilità dell’ECU in EU-RO al tasso di 1 a 1 con contestuale sostituzione nei contratti del riferimen-to dell’ECU con quello della moneta europea, specifica all’articolo 3 che: “L’introduzione dell’Euro non avrà l’effetto di modificare alcuno dei termi-ni di uno strumento giuridico, né di sollevare o dispensare dall’adempimento di qualunque strumento giuridico, né di dare ad una parte il diritto di modificare o porre fine unilateralmente ad uno strumento giuri-dico.” Tuttavia ai contraenti è riconosciuta la facoltà di optare per una rego-lamentazione dei rapporti contrattuali, in deroga al principio della continui-tà, così, infatti, continua l’articolo “la presente disposizione non pregiudica eventuali accordi assunti dalle parti.”

Anche nel secondo Regolamento si possono individuare principi fonda-mentali cui ancorare la continuità dei contratti, in particolare quando dispo-ne che “l’Euro è (altresì) diviso nelle unità monetarie nazionali in base ai tassi di conversione” (art. 6.1) e afferma che “ove uno strumento giuridico faccia riferimento ad una unità monetaria nazionale, tale riferimento ha il medesimo valore di un riferimento all’unità Euro” (art. 6.2).

L’articolo 7 richiama esplicitamente il principio della continuità dichia-rando che: “La sostituzione dell’Euro alle monete degli stati membri non ha di per sé per effetto di alterare la denominazione degli strumenti giuridici in vigore alla data di tale sostituzione”. Il concetto viene ribadito negli articoli 8.1 e 8.2 laddove si prevede che, in fase transitoria, i contratti denominati nella valuta nazionale (intesa come espressione fisica dell’Euro) continue-

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ranno ad essere eseguiti nella valuta originariamente indicata, salva la fa-coltà delle parti di disporre diversamente.

Coerentemente al principio no compultion, no prohibition, della fase B, l’articolo 8.3 autorizza il debitore ad accreditare sul conto di un soggetto somme espresse tanto in Euro (intesa come moneta scritturale) quanto in valuta nazionale.

Il riconoscimento della facoltà di anticipare l’operatività in Euro eviden-zia una necessaria continuità nell’obbligazione contrattuale denominata in valuta nazionale e convertita in Euro anticipatamente.

L’intento del complesso delle disposizioni comunitarie è quello di impe-dire che l’introduzione della moneta unica possa essere pretestuosamente qualificata come “evento imprevedibile” o “grave alterazione delle condi-zioni contrattuali”, accezioni queste che nei diversi ordinamenti nazionali configurano fattispecie che consentono di interrompere il rapporto contrat-tuale.

In conclusione dal quadro giuridico esposto emerge che la moneta unica non scalfisce in alcun modo i termini del rapporto contrattuale e ciò giusti-fica la continuità nei rapporti contrattuali. Diventa, allora, superflua l’introduzione di clausole ad hoc volte a confermare la permanenza dell’obbligazione negli stessi termini originariamente pattuiti, nonostante il passaggio all’Euro.

Si giunge alle stesse conclusioni affrontando il tema della continuità alla luce della lex monetae e della lex obligationis.

Una obbligazione monetaria può essere qualificata sotto un duplice profi-lo, tenendo cioè presenti due distinti gruppi di regole:

- la lex monetae, la quale si riferisce espressamente alle regole sulla cui base si individua, nell’ambito di un rapporto giuridico, l’unità di conto e/o quella di pagamento, ove la stessa risulti diversa;

- la lex obligationis, che invece attiene alle norme disciplinanti gli aspetti del pagamento dopo l’individuazione della moneta in cui deve essere estin-ta l’obbligazione pecuniaria.

In relazione alla lex monetae si tratta di verificare se la conversione in u-nità Euro della moneta in cui è espressa l’obbligazione permette l’applicazione della regola della continuità dell’obbligazione pecuniaria (e dei relativi contratti che tali obbligazioni consentono).

A tale riguardo è necessario richiamare il principio nominalistico enun-ciato nel nostro ordinamento dal primo comma dell’articolo 1277 del Codi-ce Civile secondo il quale l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria avviene con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Ciò significa che il valore liberatorio della moneta a corso legale coincide con il suo valore nominale, cosicché l’obbligazione pecuniaria si estingue mediante la prestazione di tanta moneta il cui valore

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nominale corrisponda complessivamente al numero di unità monetarie og-getto dell’obbligazione. Si afferma dunque un principio di equivalenza nu-merica, in cui non rileva il valore effettivo, commerciale, della moneta. Il secondo comma dell’articolo, poi, tratta il caso di pagamento di obbligazio-ni denominate in una moneta non avente più corso legale (principio dell’efficacia liberatoria della moneta legale).

Tale disposizione stabilisce che la moneta non perisce, anche se sostituita, ma si rende necessario un ragguaglio tra il valore nominale della moneta fuori corso e quello della moneta legale nuova. Questo comma, facendo ri-ferimento all’aspetto della conversione monetaria, conferma la regola sopra enunciata che non viene meno nell’ipotesi di sostituzione di una moneta con un’altra.

Quindi anche applicando i principi di diritto monetario del nostro ordina-mento (principio nominalistico) deve concludersi che la conversione in Eu-ro ai tassi fissi delle valute nazionali e dell’ECU, non esplichi rilevanza sul-le obbligazioni pecuniarie assunte dalle parti.

Queste conclusioni si riferiscono ad aspetti concernenti l’individuazione della moneta come unità di conto (e/o di pagamento ove la stesa risulti dif-ferente), ma le disposizioni comunitarie sono finalizzate a ricomprendere nel concetto di continuità tutti gli elementi che afferiscono alle modalità di pagamento, dopo che sia stata individuata la moneta attraverso la quale pro-cedere all’estinzione dell’obbligazione sottostante (c. d. lex obligationis). Quindi, oltre alle regole legate alla lex monetae è necessario verificarne la validità di tale principio anche nell’ambito della lex obligationis.

La lex obligationis contempla aspetti connessi, ad esempio, ai tassi di in-teresse e a tutte le clausole che si riferiscono a parametri analoghi, di rile-vanza fondamentale nell’accertamento di un’effettiva continuità delle ob-bligazioni che in qualche aspetto risultano coinvolte dall’introduzione della moneta unica. Al fine di poter affermare il principio della continuità nei contratti e la permanenza dell’obbligazione contrattuale nei termini origina-ri, nonostante la conversione monetaria, deve essere chiaro che tale conver-sione non avrà ripercussione sugli elementi contrattuali sopra descritti.

In alcuni ordinamenti di Stati membri sono presenti norme che autorizza-no la risoluzione unilaterale o la rinegoziazione del contratto nel caso in cui si verifichi un eccezionale alterazione dei fattori economici che lo caratte-rizzano.

Si tratta a questo punto di verificare se l’introduzione dell’Euro possa, a fini giuridici, essere considerata un evento di tale specie. Se così fosse si potrebbe fare ricorso alla teoria dell’eccessiva onerosità che in Gran Breta-gna rientra nel principle of frustration, in Germania corrisponde al Wegfall der Gesaschaftsgrundlage, in Francia alla théorie de l’imprévision (in altri paesi esistono istituti similari che producono il medesimo effetto).

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Nell’ordinamento italiano, l’articolo 1467 del Codice Civile afferma che se la prestazione prevista nel contratto diventa “eccessivamente onerosa” a causa del sopraggiungere di “avvenimenti straordinari e imprevedibili”, è consentito richiedere la risoluzione del contratto o la sua modifica.

Non si ritiene che i rimedi offerti dalla norma giuridica possano essere ap-plicati nel caso in questione poiché l’intero processo di unificazione mone-taria non solo è ispirato a finalità di convergenza economica ma, soprattutto non rappresenta un evento straordinario e imprevedibile.

Quindi, anche nel campo della lex obligationis prevale l’affermazione del principio di continuità nelle obbligazioni contrattuali.

In conclusione, si può ritenere che per i contratti retti dalla legislazione di paesi UE, la regola della continuità è solo ribadita nell’art. 3 del primo Re-golamento, trovando la sua origine dispositiva negli ordinamenti nazionali: da ciò discende che la predisposizione di clausole che la ripetano appaia su-perflua nei contratti regolati da legislazioni di paesi UE. Nella relazione a detto articolo, allegata dalla Commissione nella proposta di Regolamento approvata a Bruxelles il 16 ottobre 1996 (explanatory memorandum), è e-spressamente precisato che la regola della continuità dei contratti sancita nel Regolamento presenta, nell’ambito dei paesi UE, un’efficacia ricogniti-va, proprio perché finalizzata a confermare quanto disposto dai singoli ordi-namenti.

Sta quindi prevalendo la convinzione che il principio in discussione si ap-plichi ope legis, e per questo le Associazioni bancarie europee ritengono che a rendere edotta la clientela delle conseguenze del changeover siano sufficienti clausole di informativa.

Tuttavia, il problema rimane aperto per i contratti stipulati tra paesi ade-renti all’UEM e i paesi terzi, i quali potrebbero pretendere il regolamento delle transazione nella moneta indicata dal contratto d’origine e non accet-tare la sua sostituzione con l’Euro.

Nel caso di contratti retti dalla legislazione di paesi non aderenti all’UE, il principio di continuità trova menzione nell’VIII considerando del primo Regolamento in cui si afferma che “l’esplicita conferma del principio di continuità contribuirà altresì al riconoscimento della continuità dei contratti nelle giurisdizioni dei paesi terzi”, con ciò evidentemente auspicando un’applicazione di detto principio anche al di fuori dell’ambito comunita-rio. Infatti il principio in questione non riveste portata extraterritoriale, ma il legislatore comunitario pone in luce la rilevanza che esso assume dinanzi alle giurisdizioni di Stati terzi.

In ordine alla vincolatività della moneta unica da parte di paesi terzi non aderenti all’UE si evidenzia nella dottrina più recente un orientamento vol-to a ritenere che i singoli Stati possono procedere alla sostituzione della propria valuta in qualsiasi momento in virtù del potere sovrano di cui godo-

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no nei confronti della stessa. Agli altri Stati, ivi compresi le autorità gover-native e i tribunali, è invece richiesto di riconoscere tale potere in nome di un principio di ordine pubblico internazionale, ciò dovrebbe impedire ai pa-esi extracomunitari di disconoscere gli effetti del changeover.

Studi di diritto comparato evidenziano che nella maggior parte dei sistemi giuridici commercialmente avanzati (in maggiore o minore misura) è gene-ralmente accettato il principio in base al quale il sopravvenire di eventi im-previsti possa portare un giudice a modificare un’obbligazione contrattuale assunta dalle parti ed, eventualmente, a sancirne l’estinzione, nel caso l’obbligazione sia diventata materialmente impossibile o sia stata trasfor-mata.

Quindi la prevedibilità dell’evento è avvertita come la condizione in gra-do di influire sull’obbligazione, al punto da rendere lecita la sua estinzione. In merito all’introduzione dell’Euro, il giudice dovrà valutare nel caso con-creto se le parti avessero previsto o meno un cambiamento così profondo come l’attuazione dell’UEM. Sembra, tuttavia, che vi sia un consenso gene-rale sul fatto che l’imprevedibilità dell’evento non possa essere invocata nel caso di contratti stipulati dopo la sottoscrizione del trattato di Maastricht del 1992. Eventualmente il dubbio permarrebbe per i contratti stipulati pri-ma di tale data e che scadono dopo il 1° gennaio 1999.

Anche se con diversa intensità, nei diversi sistemi giuridici si riconosce che l’evento imprevisto deve aver apportato un cambiamento sostanziale al contratto perché il giudice possa sancirne l’estinzione o la sua rinegoziazio-ne. Nel caso dell’introduzione della moneta unica l’elemento costituito dal-la valuta di denominazione deve essere fondamentale (come probabilmente in molti contratti contro la copertura del rischio di cambio o di interesse) e non soltanto accidentale (come semplice specificazione della modalità di effettuazione del pagamento).

In quest’ultimo caso, vale a dire nella generalità delle obbligazioni che consistono nel semplice pagamento di una somma di denaro, vi è una certa fiducia che tutte le maggiori giurisdizioni si limiterebbero a riconoscere il pagamento in Euro in sostituzione di quello nella valuta originaria, rideter-minandolo a un tasso di cambio fisso.

Quanto detto rafforza la convinzione che anche in merito a contratti disci-plinati da legislazioni di paesi extra-comunitari, non è necessaria alcuna clausola che ribadisca la continuità dei contratti. Tuttavia l’ABI ritiene che poiché a priori non è possibile escludere con certezza che singoli ordina-menti nazionali contengano in materia disposizioni diverse e possano per-tanto sorgere contestazioni in ordine all’automatica estensione del principio di continuità, può essere opportuno introdurre clausole che, riferite alle di-verse fattispecie, utilizzino una doppia dizione che consenta di valutarle co-me pattuizioni ricognitive, laddove l’ordinamento considerato si adegui alle

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regole di ordine pubblico internazionale sopra richiamate, ovvero come pat-tuizioni dispositive nelle altre ipotesi.

Cenni su alcuni aspetti critici

Nonostante le conclusioni sopra esposte esistono alcuni tipi di contratto in cui il principio della continuità non appare così scontato.

Un esempio sono le obbligazioni espresse in ECU, i titoli e prestiti a tasso fisso, a tasso variabile e i derivati finanziari.

• L’ECU

L’ECU è l’unità di conto della Comunità Europea ed è convenzionalmen-te basata sulla media ponderata dei corsi delle singole valute appartenenti allo SME. Per questa sua particolare composizione ogni movimento di una delle monete si ripercuote sul suo valore complessivo.

All’ECU non è stato riconosciuto lo status di moneta autonoma e legale, ma semplicemente quello di unità di conto. Le principali obiezioni frappo-ste alla qualificazione giuridica dell’ECU come moneta riguardano • alla necessità che la moneta sia espressione di un ordinamento statuale; • all’assenza di potere liberatorio inteso come obbligo di accettazione da

parte del creditore; •alla mancanza di materialità.” Tali aspetti sono stati esaminati essenzialmente con riferimento all’uso

pubblico dell’ECU stesso, ma anche alla sua espressione ‘privata’ è stata negata la natura di moneta legale, per assumere quella di “moneta fiducia-ria”. Ciò esclude l’idoneità dell’ECU a funzionare come strumento di paga-mento in assenza di una apposita convenzione tra le parti.

A dispetto della semplicità con cui il primo regolamento tratta il tema del-la conversione ECU in Euro, si affaccia la possibilità che il principio della continuità per le obbligazioni denominate in ECU possa venire meno.

L’ECU, per le caratteristiche sopra richiamate, è concettualmente diverso dalle valute degli stati membri e, con riguardo al tema della conversione in Euro, non può perciò operare il principio della lex monetae. Si tenga pre-sente, inoltre, che spesso la documentazione relativa a finanziamenti, titoli e obbligazioni in ECU prevede espressamente la possibilità che l’ECU ces-si di esistere prima del relativo rimborso, nel qual caso si attiva la risoluzio-ne del contratto o il rimborso anticipato (corrispondendo un importo teorico equivalente sulla base delle monete che costituiscono l’ECU). A questo punto il problema consiste nel verificare se l’introduzione dell’Euro implica o meno l’estinzione dell’ECU. Al di là dell’ipotesi che le parti abbiano vo-luto definire l’ECU privato, dalle disposizioni comunitarie, secondo Men-goni M., non emerge chiaramente il rapporto tra ECU ed Euro. L’articolo 109 L par. 4 del trattato non lascia trasparire chiaramente se è l’ECU a

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cambiare natura per assumere le vesti di una nuova moneta o se invece l’Euro rappresenti un concetto del tutto nuovo, nel qual caso viene meno il principio della continuità. Si tenga inoltre presente che non essendo al mo-mento noti i paesi che parteciperanno all’UEM da subito, prefigurando (ipotesi ritenuta legittima) che, almeno in una prima fase, questi potranno non essere tutti i paesi le cui monete compongono l’ECU paniere, la suc-cessione dell’Ecu nell’Euro non esprimerà una effettiva corrispondenza di contenuti.

In conclusione non si può escludere che la conversione dell’ECU in Euro possa indurre a manifestare contestazioni in merito alla continuità del con-tratto, nonostante le disposizioni degli articoli 2 e 3 del primo Regolamen-to.

Si prefigura allora la possibilità che per i contratti che contengono le clau-sole sopra esposte, indipendentemente dalle legislazione che li disciplinano, possono azionarle (si ricordi poi che lo stesso articolo 3 consente alle parti di derogare al principio della continuità). Invece per quei contratti assogget-tati alla legge di paesi extra-europei che non hanno riconosciuto la moneta unica, si potrebbero invocare l’anticipata risoluzione indipendentemente dalla presenza di tali disposizioni.

L’ABI, come altre associazioni di categoria, ha affrontato il tema della continuità e propone come traccia agli associati due clausole, una riferita a contratti con obbligazioni denominate in ECU paniere, mentre la seconda riguarda l’ECU paniere con clausola “effettivo”. Entrambe, al punto 2, spe-cificano che le parti prendono altresì atto e, per quanto occorra, convengo-no che la misura del tasso di interesse, ovvero le relative modalità di deter-minazione e le altre condizioni economiche previste nel presente contratto non subiranno modificazioni per effetto dell’adozione dell’EURO. Resta fermo, comunque, che la modifica della valuta, a seguito del processo di u-nificazione monetaria, non costituirà in nessuna ipotesi causa risolutiva del contratto. M. Mengoni, sottolinea che esse finiscono per assumere un valo-re dispositivo. Tenuto conto dell’incertezza che caratterizza il problema in questione solo i contratti “denominati e pagabili in ECU che abbiano sca-denza superiore al primo gennaio 1999, non corrono il rischio di essere im-pugnati, purché muniti di clausole del tipo suggerito dall’ABI,”. Attual-mente non sembra che della stessa sicurezza possano godere i contratti con uguali scadenza ma privi di tali regole contrattuali, ciò indipendentemente dell’ordinamento giuridico a cui sono assoggettati.

•Titoli e prestiti a tasso fisso Il VII considerando de l° Regolamento specifica che “in caso di strumenti

a tasso di interesse fisso, l’introduzione dell’Euro non modifica il tasso di interesse nominale dovuto dal debitore”.

Lo stesso concetto è ribadito al punto 6 delle Conclusioni della presidenza

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del consiglio europeo di Madrid del 15/16 dicembre 1995 sull’UEM e nel punto 10 dell’Allegato 1 della Commissione a tali Conclusioni, in cui si sottolinea che “nel caso dei titoli e prestiti a tasso fisso (...) la sostituzione delle monete nazionali con l’Euro (...) non influirà sul tasso di interesse no-minale pagabile dal debitore, salvo indicazione contraria del contratto”.

Tuttavia l’articolo 3 che esplicitamente afferma il principio della continui-tà dei contratti non offre alcuna tutela agli operatori in merito all’effetto che l’Euro avrà sul mercato dei tassi di interesse.

In generale i tassi di interesse oscillano in base alle variazione del tasso ufficiale di sconto (TUS). L’Autore osserva che con l’UEM il TUS sarà quello della Banca Centrale Europea il cui valore al momento non è preve-dibile. Nel caso in cui il tasso sarà significativamente più alto o più basso dell’attuale TUS di riferimento il principio di continuità avrà l’effetto di cristallizzare i titoli e i prestiti al tasso fisso su percentuali che potrebbero non rispecchiare più i valori di mercato e alterare il sinallagma originale e-sulando così dall’alea normale del contratto.

La parte lesa potrebbe allora appellarsi all’articolo 1467 del Codice Civi-le, ma i rimedi offerti dalla norma sono subordinati al sopravvenire di un evento “straordinario e imprevedibile” e l’integrazione monetaria non pre-senta queste caratteristiche. Eventualmente, l’articolo menzionato può ope-rare per quei contratti stipulati prima del 1992, data di adozione del Trattato di Maastricht.

Si tenga poi in considerazione che il principio di continuità dei contratti è contenuto in un regolamento comunitario. In generale il regolamento è l’atto comunitario più importante e più completo: è l’atto attraverso il quale la legislazione comunitaria, nell’esercizio delle competenze e nei limiti pre-visti dai trattati comunitari, si sostituisce e si sovrappone alla legislazione interna dei singoli Stati membri. Così recita l’articolo 189 del Trattato: “Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”. Contiene norme generali e astratte, le quali vanno osservate dagli Stati e da chiunque- indi-vidui, imprese ecc.- operi all’interno dell’area comunitaria.

Quindi, quando entrano in vigore i regolamenti relativi all’introduzione dell’Euro (il primo è già un testo normativo, il secondo lo sarà a partire dal 1° gennaio 1999), avranno efficacia immediata nell’ordinamento italiano, saranno gerarchicamente superiore alla legge ordinaria e, in ogni caso, spe-ciale rispetto all’articolo 1467 che si qualifica quale norma generale. Ciò implica che anche se la misura dei tassi originariamente stabilita risulta di-sallineata rispetto a quella del mercato al momento dell’Euro, ciò sarà irri-levante.

Se da un lato queste considerazione inducono ad escludere l’operatività dell’articolo 1467, dall’altro rimane il VII considerando del primo Regola-

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mento nel quale si afferma che il principio della libertà contrattuale deve essere rispettato. Quindi l’unica via perseguibile è “l’accordo tra le parti”.

Talvolta gli strumenti giuridici in questione contengono clausole che con-sentono la rinegoziazione dei termini del contratto o rimborsi anticipati (subordinati però al pagamento di una penale). Sono abbastanza diffuse quelle pattuizioni che permettono di intervenire sul tasso di interesse al ve-rificarsi di particolari eventi e, generalmente, si articolano in due punti: il primo riguarda il verificarsi di un evento che renda impossibile o illegale l’esecuzione della prestazione; il secondo, invece, richiede la rottura del si-nallagma, ossia la rottura dell’equilibrio economico esistente prima dell’irrompere dell’evento. L’integrazione monetaria difficilmente porterà conseguenze tali da rendere impossibile o illecita la prestazione (dovrebbero individuarsi gli estremi dell’usura). Nel secondo caso occorre distinguere tra prestiti e emissioni obbligazionarie precedenti o successiva al Trattato di Maastricht. In quest’ultima ipotesi non è sostenibile la condi-zione dell’imprevedibilità dell’evento.

In conclusione, per i contratti già stipulati la possibilità di rinegoziazione delle clausole che prevedono interessi a tasso fisso sono estremamente ri-dotte. Per quelli in fase di stipulazione è consigliabile l’introduzione di una clausola che preveda la modificabilità del tasso in caso di variazione del tasso di sconto superiore ad una determinata percentuale.

•Titoli e prestiti a tasso variabile Prestiti e titoli a tasso variabile si caratterizzano per un’alea più ampia ri-

spetto agli strumenti a tasso fisso. Se il tasso è variabile significa che per sua stessa natura è sensibile alle oscillazioni di mercato e perciò non do-vrebbe risentire particolarmente dell’impatto causato dall’introduzione dell’Euro. Per questo motivo le istituzioni comunitarie non si sono pronun-ciate sulla possibilità di modifica delle clausole di titoli e prestiti che preve-dono interessi a tasso variabile.

Nonostante ciò, si possono prevedere delle difficoltà in merito alla conti-nuità di tali contratti. Con l’introduzione della moneta unica la valuta na-zionale si trasformerà in Euro, ma il tasso di interesse dei prestiti e obbliga-zioni rimarrà indicizzato al tasso di riferimento originariamente stabilito. Potrebbero perciò verificarsi due diverse situazioni in grado di influire ne-gativamente sul sinallagma contrattuale.

Il tasso di riferimento, per effetto dell’introduzione dell’Euro, potrebbe subire una variazione eccezionale e imprevedibile rendendo la prestazione “eccessivamente onerosa”, ma potrebbe anche accadere che il tasso di rife-rimento non venga più calcolato. Nella prima ipotesi vale quanto già detto in merito al ruolo cogente dei regolamenti comunitari in relazione all’articolo 1467 del Codice Civile, con la precisazione che gli strumenti a tasso variabile ammettono un’alea ben maggiore di quelli a tasso fisso.

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Il secondo aspetto potrebbe essere risolto ricorrendo all’articolo 1346 se-condo il quale “l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, deter-minato o determinabile”. Nel caso in esame l’oggetto sarebbe indetermina-bile a causa dell’inderterminabilità degli interessi. Ne seguirebbe la nullità dell’intero contratto snaturato dal venire meno della clausola che regola una delle prestazioni fondamentali. Ma nel nostro ordinamento prevale il princi-pio di conservazione dei contratti, il quale suggerisce l’applicazione del 2° comma dell’articolo 1284 del Codice Civile, ossia “se le parti non hanno determinato la misura degli interessi, al saggio degli interessi legali (10%) si computano quelli convenzionali”.

Ma ancora una volta il principio della continuità dei contratti dovrebbe prevalere poiché dettato da una norma gerarchicamente sovraordinata a fronte della quale gli istituti relativi all’impossibilità sopravvenuta della prestazione e alla forza maggiore soccombono.

Utili indicazioni si possono trarre dalla prassi in materia di emissione di titoli di debito a tasso variabile, la quale contempla varie tipologie di clau-sole tendenti a garantire la determinabilità del tasso di interesse anche in mancanza della quotazione ufficiale. Esse suggeriscono di fare riferimento alla media dei tassi praticati da alcune banche. Quindi, una valida alternati-va è la sostituzione “pattizia” del tasso di riferimento (che non viene più calcolato) con la media rilevata.

In ogni caso, la rinegoziazione dei tassi è subordinata all’approvazione del creditore ed è, comunque, auspicabile un intervento del Consiglio che in fa-se di redazione della visione finale del regolamento disciplini la sostituzio-ne dei tassi di riferimento che venissero meno o che subissero trasformazio-ni sostanziali a seguito dell’introduzione dell’Euro.

•I derivati finanziari In relazione all’introduzione dell’Euro possono presentare problemi giuri-

dici più delicati i contratti derivati over the counter - poiché privi della stan-dardizzazione e delle garanzie offerte dai mercati regolamentati - di caratte-re finanziario. In particolare modifiche sostanziali potrebbero investire gli swap tra monete (domestic currency swap), quelli su tassi di interesse (interest rate swap) e quelli che combinano lo scambio tra monete e tassi di interesse (currency swap).

Questi contratti consentono di gestire i rischi originati dalle variazioni dei tassi di interesse e di cambio delle attività sottostanti. E’ d’uso distinguere, anche se la differenza non è sempre così netta come potrebbe sembrare, la stipulazione per finalità speculative o per finalità di copertura. Con l’introduzione dell’Euro problemi sorgono quando le valute di riferimento dei derivati hanno entrambe corso legale in uno Stato partecipante all’UEM. Nell’unico grande mercato monetario che verrà costituito, i rischi di cambio e di tasso (per la cui copertura i derivati vengono stipulati) scom-

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paiono; ma viene meno anche la possibilità di speculare, dato che i mercati monetari nazionali spariscono. Si ritiene perciò che la ratio economica del contratto venga irrimediabilmente compromessa. Infatti, in tutti i contratti su valute, l’eterogeneità delle divise e la flessibilità dei tassi di cambio non rientrano solo nell’oggetto del contratto, ma intervengono anche nella cau-sa.

Invece, verrebbe preservata sia la diversità delle monete e sia la variabilità dei tassi di cambio, qualora una sola delle due valute entri nell’Unione. In tal caso una delle divise coinvolte diventerebbe l’Euro.

Sottolineano Gioscia M. e Curran L., che il caso più discusso è quello dell’ipotesi di un contratto di scambio di valute e di tassi di interessi per due divise che partecipano all’Unione monetaria europea. Dal 1° gennaio 1999, le due valute nazionali saranno espressione non decimale della stessa moneta. Il rapporto di conversione per ciascuna valuta in Euro sarà annun-ciato molto probabilmente a maggio del 1998 ed entrerà in vigore l’anno successivo con l’introduzione della moneta unica e “il tasso di interesse per entrambe le valute avrà perso il suo “variabile”, che era collegato alle risor-se del rispettivo mercato monetario di riferimento. A tale data il mercato monetario centrale per i due Paesi sarà diventato lo stesso e riguarderà e-sclusivamente l’Euro. Come risultato di tale procedura, si verificherebbe, con tutta probabilità, una differenza tra i tassi prescelti contrattualmente che darà luogo a un saldo netto a favore di una delle parti; per ogni scadenza contrattuale successiva al changeover, tale saldo sarà dovuto dalla stessa parte all’altra in quella valuta diventata ormai l’unica valuta oggetto del ne-gozio. Il contratto così si trasformerebbe da un contratto di scambio di valu-ta e tassi di interesse in una sorta di rendita vitalizia”.

Alla luce dell’impatto dell’introduzione dell’Euro sui principi contrattua-listici la situazione risulta complessa tanto che alcuni osservatori sottolinea-no come l’applicazione del principio di continuità dopo il changeover possa produrre effetti iniqui. Per questo occorre valutare se i contratti in discus-sione possano essere considerati invalidi o suscettibili di risoluzione antici-pata su richiesta di una delle parti. Se il contratto è disciplinato dalla legge italiana, i rimedi offerti dalla legge non sembra possano essere applicati.

La risoluzione del contratto può essere invocata per eccessiva onerosità sopravvenuta e impossibilità sopravvenuta (l’inadempimento non attiene al-la tematica in esame).

L’articolo 1467, che considera il caso dell’eccessiva onerosità sopravve-nuta, non sembra possa essere fatto valere poiché non può essere applicato ai contratti aleatori per propria natura o per volontà delle parti. Si aggiunga poi, come più volte sottolineato, che l’UEM non può essere considerato un evento straordinario e imprevedibile.

Ferrarini G. osserva che in merito all’aleatorietà del contratto, nella prati-

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ca tutti i derivati contengono pattuizioni che definiscono il contratto come aleatorio ai sensi dell’articolo 1469 e pertanto esso risulta sottratto ai rimedi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.

Non può operare nemmeno la risoluzione per impossibilità sopravvenuta in virtù del principio nominalistico enunciato all’articolo 1279 c.c. Il sog-getto che abbia assunto debiti in valuta estera (espressamente escludendo qualsiasi altra valuta come mezzo di pagamento) può ancora adempiere nel-la moneta avente corso legale quando sia impossibilitato a procurarsi la va-luta oggetto del contratto. Tuttavia dubbi permangono se ciò possa valere anche per i contratti derivati, in cui la specifica valuta scambiata è da consi-derare assolutamente infungibile nell’ottica della volontà delle parti.

Nel caso specifico dello swap tra valute, in cui può prospettarsi il venire meno della causa, non sembra possibile invocare la nullità del contratto poiché la prevalente giurisprudenza italiana riconosce tale istituto solo per mancanza di causa ab origine. In questo caso, il difetto sopravvenuto della causa in corso di esecuzione del contratto, incidendo sul sinallagma funzio-nale del rapporto, al più potrebbe costituire un presupposto per l’ottenimento della risoluzione del contratto stesso.

In realtà nel caso in cui la ratio economica del contratto risulti compro-messa sembra difficilmente sostenibile il rimedio della risoluzione del con-tratto anche alla luce delle norme contenute nel primo regolamento. Non potendo, tuttavia, escludere a priori eventuali azioni legali esercitate da altri stati membri e tese a ottenere la risoluzione anticipata ovvero la cessazione anticipata degli effetti del contratto, è auspicabile, al fine di evitare i costi e gli inconvenienti di una eventuale contenzioso, pattuire una clausola che chiaramente esprima la volontà delle parti in merito alla sorte del contratto a seguito dell’introduzione dell’Euro.

Nel caso il contratto derivato sia disciplinato dall’ordinamento monetario e normativo di un paese terzo e poiché nella prassi la maggioranza dei con-tratti derivati sono disciplinati dalla legge inglese oppure da quella dello stato di New York, particolare attenzione deve essere attribuito all’istituto della c. d. frustration of the contract. Secondo tale principio una parte con-trattuale ha il diritto di considerare unilateralmente, i suoi obblighi contrat-tuali risolti laddove, a causa di eventi sopravvenuti sia diventato impossibi-le dare esecuzione al contratto, oppure il contratto risulti trasformato in un obbligo radicalmente diverso da quello sorto alla conclusione del contratto.

Se tale “causa sopravvenuta” fa venire meno per entrambe le parti il pre-supposto o lo stato di fatto che esse avevano previsto al momento della con-clusione, il contratto si estingue. Ciò sottintende che la prestazione contrat-tuale può essere oggettivamente eseguibile, ma l’estinzione può avvenire per il mutare di circostanze sociali economiche e giuridiche, tali da non ren-dere idonea la prestazione oggetto del contratto a soddisfare l’interesse che

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le parti avevano congiuntamente riversato nel contratto. In effetti, se la mo-tivazione che ha spinto a contrattare è una finalità di hadging o di trading, in entrambi i casi tale finalità viene sovvertita dalla definizione dei cambi fissi. Ricorrono dunque le condizioni per l’applicazione dell’istituto della frustration sia nella fase transitoria, in cui astrattamente le prestazioni sono ancora eseguibili, ma a maggior ragione nella fase C, in cui circolerà una sola moneta. Tuttavia, il principale fatto ostativo all’applicazione della fru-stration, consiste nella previsione in contratto dell’evento, quindi la pattui-zione privata può impedire l’applicazione di tale istituto giuridico.

Conclusioni

L’introduzione dell’Euro non è un’ipotesi, ma una realtà scandita da date certe e ormai vicine.

Affinché le imprese non siano colte impreparate dall’evento e non si tro-vino ad affrontare in modo traumatico la transizione all’UEM, è importante che programmino con sufficiente anticipo gli interventi necessari.

Per questo motivo la Commissione europea e l’AMUE sollecitano le a-ziende a elaborare un proprio ‘Progetto Euro’ ritagliato sulle esigenze, le dimensioni e le risorse dell’impresa. Ma il passaggio alla moneta unica non può essere affrontato in maniera frammentaria, bensì richiede un approccio basato sul principio della gestione dei progetti, in quanto riveste importanza strategica. Così i responsabili delle diverse attività non devono perseguire piani di transizioni indipendenti tra loro; occorre invece riunirli in un grup-po di lavoro incaricato di sviluppare un preciso piano di transizione per tut-ta l’impresa. E’ importante che il coordinatore del progetto sia un responsa-bile dotato di capacità decisionale e da una effettiva possibilità di predi-sporre i cambiamenti (nelle piccole imprese potrebbe coincidere con il pro-prietario o con chi lo assiste nelle diverse attività). L’attività del team si può articolare in più fasi.

Il gruppo di lavoro deve valutare dapprima le conseguenze operative per tutte le attività aziendali (contabilità, sistemi informativi, tesoreria...), nelle quali gli adeguamenti devono essere effettuati indipendentemente da possi-bili strategie che l’impresa può adottare per la transizione. In questa fase è necessario individuare eventuali strozzature per le quali sarà necessario ri-correre all’assistenza esterna. Potrebbe essere necessario costituire delle task-force specializzate, incaricate di analizzare le sfide specifiche che deve affrontare ciascun reparto.

La fase successiva consiste nello sviluppo si scenari di transizione (ad e-sempio introduzione rapida o ritardata dell’Euro), comprendenti un bilancio e un calendario d’azione. Definito il quadro generale del Progetto, si deve procedere alla formazione del personale e quindi all’introduzione degli ade-guamenti previsti.

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Di particolare importanza è l’informazione e la formazione del proprio personale. Al fine di realizzare una transizione ordinata e a basso costo, il personale deve essere pienamente informato sui piani dell’azienda e sulle conseguenze per il proprio ambito di competenza professionale. La forma-zione e la comunicazione, elementi fondamentali della strategia di transi-zione aziendale, devono concentrarsi sui seguenti aspetti.

Il compito più urgente consiste nell’informare in maniera esauriente il personale che opera nelle aree direttamente coinvolte dalla transizione, in particolar modo quello preposto nell’area tesoreria, contabilità e tecnologia dell’informazione, senza però trascurare quello attivo in altri campi. Per e-sempio, l’impresa che intende utilizzare la moneta unica durante il periodo transitorio deve iniziare presto a coinvolgere gli addetti al marketing. Entro il 1° gennaio 2002 al più tardi, tutti i dipendenti dovranno iniziare a lavora-re in Euro, occorre pertanto una formazione adeguata alle rispettive compe-tenze, in particolare il personale al contatto con il pubblico deve disporre della conoscenza necessaria per essere pronto alla data indicata ad effettua-re agevolmente i calcoli in Euro, a spiegare i nuovi prezzi nella nuova valu-ta e offrire chiarimenti sulle ridenominazioni dei contratti in essere.

L’impatto dell’Euro sull’impresa: effetti di medio periodo (cenni) Opportunità e nuove esigenze imposte dallo scenario Euro

Nel nuovo scenario in cui le imprese si troveranno ad operare con l’introduzione dell’Euro si possono evidenziare due aspetti che condizione-ranno l’attività d’impresa e, in ultima analisi, il ruolo svolto dalla funzione finanziaria e quindi dal sistema bancario. Si tratta di: • una maggiore pressione concorrenziale; • un nuovo orizzonte temporale come riferimento dell’attività economica. La progressiva apertura dei mercati ha consentito il diffondersi del pro-

cesso di internazionalizzazione delle imprese e ha prodotto un inasprimento delle pressioni competitive. Se a tale fenomeno si aggiunge quello della globalizzazione dei mercati, in atto ormai da alcuni anni, si può comprende-re come la sopravvivenza dell’ impresa dipenda, oggi più che mai, dalla sua capacità di essere competitiva. Non è rilevante che il suo raggio d’azione sia nazionale piuttosto che locale, poiché essa è comunque esposta alla con-correnza internazionale.

Il Mercato Unico Europeo, attuato attraverso la realizzazione della libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, è stato il primo passo verso il processo di integrale apertura dei mercati all’interno della Comunità Europea. Con esso si è voluto realizzare un unico grande spazio in cui l’attività economica si può svolgere liberamente, come se con-cernesse uno stesso grande Stato identificato da un’area territoriale delimi-tata non dai confini delle singole nazioni, ma da quelli dell’Unione Europe-

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a. Tuttavia, un tale obiettivo richiede l’eliminazione di ogni barriera depu-tata alla protezione delle imprese nazionali dalla concorrenza esterna e fi-nora è rimasto “operativo” un ostacolo alla libera concorrenza particolar-mente potente, quello di natura monetaria. In questo senso si ritiene che l’abbattimento della barriera del tasso di cambio - diretto risultato della cre-azione dell’Unione Economica e Monetaria - rappresenti il naturale com-pletamento del Mercato Unico Europeo.

L’introduzione dell’Euro renderà pienamente evidenti i benefici dell’unificazione del mercato interno, offrendo nuove possibilità di svilup-po a tutte le imprese. Infatti, se la totale eliminazione del rischio di cambio e degli oneri connessi alla sua copertura agevolerà le unità produttive che già intrattengono rapporti commerciali con i paesi comunitari, anche le im-prese che operano esclusivamente nel mercato nazionale, non dovendo as-sumere i suddetti rischi, potranno cominciare a pensare di estendere la pro-pria attività nell’area dell’UEM. Così, la fissazione dei tassi di cambio pri-ma, e l’introduzione dell’Euro poi, provocherà un aumento della concorren-za tra imprese sia nazionali che estere, e il mutamento del confronto com-petitivo stesso. La concorrenza, infatti, non potrà più basarsi sul ‘fattore cambio’ e non sarà più possibile recuperare competitività con le svalutazio-ni monetarie, così come è avvenuto nel 1992. Scompare, dunque, quella che viene definita la barriera implicita del tasso di cambio e necessariamente per le imprese il rafforzamento della propria competitività dipenderà dal miglioramento del rapporto prezzo-qualità dei prodotti, attraverso la ridu-zione dei costi di produzione e lo sviluppo dell’attività di ricerca, finalizza-ta alla realizzazione di prodotti sempre migliori e rispondenti alle esigenze del mercato. Si deve aggiungere, tuttavia, che da un lato è vero che l’integrazione economica e monetaria offrirà più opportunità di sviluppo al-le imprese - si tenga presente che esse verranno proiettate in un mercato po-tenziale di 370 mil. di consumatori - ma dall’altro penalizzerà quelle ineffi-cienti che comunque riescono a sopravvivere, a garantirsi una nicchia di mercato, grazie alla protezione della barriera valutaria. Un’analisi di settore dimostra che le imprese non esposte alla concorrenza internazionale godo-no oggi di un “premio” di redditività dietro al quale potrebbero celarsi sac-che di inefficienza e che risulta il frutto di posizioni indubbiamente difficili da sostenere in una prospettiva di vera Unione Europea.

Caduti i principali ostacoli alla libera concorrenza - non deve essere di-menticato che comunque rimangono diversità fiscali, infrastrutturali, di po-litica del lavoro, tra i diversi paesi che penalizzano le unità produttive di al-cune nazioni come quella italiana - l’impresa trova davanti a sé la necessità di diventare più competitiva in un mercato in cui la trasparenza e la stabilità dei prezzi sarà senz’altro maggiore di quella attuale.

UEM, infatti, significa non solo creazione di un unico vero mercato euro-

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peo, ma anche e soprattutto stabilità monetaria. Dopo tanti anni l’Italia per la prima volta si avvantaggia di un tasso di in-

flazione basso, stabile e legato al tasso di inflazione degli altri paesi più vir-tuosi. Una volta avviata l’UEM, ci sarà univocità nella politica monetaria destinata a perseguire l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Essa sarà condot-ta per tutti i paesi aderenti da un unico istituto: la BCE.

Ciò che più conta è che in un periodo di stabilità monetaria, la riduzione del costo del denaro incentiva gli investimenti di lungo periodo. Nel nostro paese le imprese sono sempre state scoraggiate ad adottare un’ottica di più ampio respiro per diversi motivi: • per la mancanza di una politica di sussidi fiscali; • per l’assenza di adeguate infrastrutture da parte della Pubblica Ammini-

strazione; • per l’elevato costo del denaro; • perché il “costo-opportunità” di un periodo di inflazione incentiva

l’attività a breve termine. Con l’UEM, sarà proprio quest’ultimo aspetto a venire meno. La stabilità

del metro monetario richiederà maggiori doti strategiche, esalterà il ruolo degli investimenti, obbligherà perciò l’impresa a cambiare l’orizzonte tem-porale di riferimento. Rappresenterà in definitiva un impegnativo banco di prova per l’impresa, la quale resterà sul mercato solo se sarà in grado di creare valore massimizzando i profitti di lungo periodo.

Sul piano economico, se sul fronte dei ricavi verrà meno l’effetto della ri-valutazione delle scorte, sul fronte dei costi operativi diventerà vitale una più attenta gestione del loro sviluppo perché minori saranno le possibilità di recuperare improvvisi incrementi quando prezzi e cambi sono stabili.

Tutto ciò implica che i risultati d’impresa saranno sempre meno funzione della dinamica dei prezzi e del tasso di cambio e sempre più legati alle ca-pacità imprenditoriali, perciò diventerà strategica l’attività di innovazione e di ricerca che ad essa si accompagna. Diventerà insostenibile il continuo ri-tocco dei listini in funzione del costo del ciclo produttivo d’esercizio e in particolare del costo del salario. Necessariamente le imprese dovranno di-menticare l’ottica di breve e spostarsi verso orizzonti temporali più ampi. L’Euro introduce stabilità e confrontabilità dei prezzi, non tanto dei costi di produzione. Quindi il prezzo di uno stesso prodotto potrà essere diverso so-lo se rispecchierà una qualità maggiore, se ingloberà un valore aggiunto su-periore.

Il futuro per l’impresa sarà indubbiamente caratterizzato da una maggiore pressione competitiva, ma anche da una maggiore stabilità monetaria: due condizioni che contemporaneamente obbligheranno (la prima) e favoriran-no (la seconda) l’attuazione di investimenti di lungo periodo, i quali do-vranno essere ancorati ad un chiaro disegno strategico.

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Nello ‘scenario Euro’ le parole chiave per l’impresa sembrano essere: progetto, business plan e, in ultima analisi, visione strategica. Ma tutto que-sto richiede dei cambiamenti nell’organizzazione, a partire dalla finanza d’impresa, la quale così com’è concepita oggi risulta inadeguata nel sup-portare il nuovo orientamento. Essa è attualmente una funzione legata all’attività amministrativa dell’azienda, focalizzata sul cash management ossia sulla gestione tattica degli incassi e pagamenti, ma avulsa dal concetto di strategia e di progetto di lungo periodo.

Invece, sottolinea Ferracci M., le imprese saranno sempre più votate allo studio di programmi di lungo periodo e questa necessità imporrà non solo una riduzione del cash flow che oggi risulta essere particolarmente buono, ma anche una maggiore necessità di capitale di rischio proprio per disporre delle risorse più idonee per spingere gli investimenti. Ma il volano degli in-vestimenti attrae verso di sé un altro aspetto: un nuovo modo di concepire il rapporto banca-impresa, non più orientato al breve termine ma imperniato sulla creazione di una vera e propria partnership.

Necessariamente il management dovrà essere dotato di nuove competen-ze, non solo finanziarie, ma anche di tipo tecnico e industriale. La stessa struttura organizzativa dovrà essere sempre meno verticistica e sempre più articolata orizzontalmente per progetti.

In conclusione, la progressiva realizzazione di un’area di libero scambio in Europa caratterizzata da una moneta unica e la contemporanea integra-zione dei principali mercati internazionali obbligherà il “sistema industria” italiano a confrontarsi con quelli delle principali economie mondiali. La competizione avverrà non solo per acquisire nuove quote sui mercati esteri, ma anche attraverso l’attività svolta nell’ambito nazionale. E’ quindi neces-sario che il sistema Italia affronti un processo di consolidamento che per-metta di renderlo competitivo nei confronti dei sistemi concorrenti.

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IL FINANZIAMENTO DEGLI INVESTIMENTI NELL’EURO

prof. FERRUCCIO BRESOLIN Università Ca’ Foscari di Venezia

Nei prossimi anni cittadini e imprese dell’Unione Europea si troveran-no dinanzi ad uno scenario del tutto nuovo, segnato dall’avvio dell’EURO quale ultima tappa di un processo di unificazione monetaria, nonché di completamento del Mercato Unico, iniziato con la firma del Trattato di Maastricht. Il nuovo scenario europeo è frutto di un intenso sforzo di convergenza (macro)-economica che, soprattutto in questi ulti-mi anni, ha impegnato tutti gli Stati membri. Si sono infatti conseguiti rilevanti progressi in termini di riduzione dei differenziali di inflazione, di deficit pubblico, dei tassi di interesse e si è inoltre raggiunta una so-stanziale stabilità dei tassi di cambio. Purtroppo simili successi non si sono realizzati sul fronte dell’occupazione, che anzi ha manifestato una preoccupante tendenza alla crescita (specialmente in Italia).

L’adozione dell’EURO rappresenta un evento di portata storica, sia per i delicati equilibri economici internazionali sia per il mondo imprendito-riale, il quale si troverà ad operare in un contesto nuovo, ricco di oppor-tunità ma anche di minacce per quanti non sapranno cogliere pienamen-te le tendenze in atto. Dal lato degli equilibri economici internazionali, si consideri che, complessivamente, i Paesi che aderiranno alla moneta unica rappresentano una quota consistente del PIL dei Paesi OCSE (circa il 40%) ed hanno un peso rilevante sul commercio internazionale (più del 20%). Non solo, ma il valore di mercato delle attività finanzia-rie (circa 24.000 miliardi di dollari tra azioni, obbligazioni pubbliche e private, prestiti bancari, al 1996) degli undici Paesi che hanno aderito all’EURO è quasi equivalente a quello degli USA (circa 26.000) e note-volmente superiore a quello del Giappone (circa 16.000).

Questo significa che l’EURO assumerà un ruolo significativo all’interno degli scambi internazionali, da cui deriverà una probabile re-distribuzione del “potere di signoraggio” tra USA (Dollaro), Europa (EURO) e Giappone (Yen), sempre che quest’ultimo sappia uscire dalla crisi in cui attualmente versa. Dal lato delle imprese la nascita dell’EURO comporterà notevoli benefici, ma indurrà altresì una serie di costi aggiuntivi di varia natura: nel complesso, stimolerà soprattutto nuovi comportamenti pena la marginalizzazione se non anche l’esclusione dal mercato.

Ma l’avvio della moneta unica rappresenta un evento che si inserisce in un contesto economico (e sociale, per la ricaduta dei suoi effetti) in

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continua evoluzione e caratterizzato da una crescente globalizzazione, sia del mercato reale che di quello finanziario. Un mercato reale globalizzato significa un mercato dove vengono progressivamente meno i tradizionali confini geografici nazionali e dove le barriere, di ogni ordine e grado, sem-brano affievolirsi. Cosicché l’organizzazione della produzione di merci e servizi avviene su scala mondiale, come sistema di specializzazione inte-grata su circuiti transnazionali di divisione del lavoro. Significa poi che il mercato, globale e globalizzante, è sempre più connotato da una situazione di ipercompetitività, all’interno della quale, le leadership sono molto più instabili, le forme organizzative e le strategie di mercato manifestano una costante evoluzione (alleanze, fusioni, acquisizioni), che a volte possono determinare il “fallimento" del mercato e delle politiche antitrust, nonché il ricorso a pratiche di concorrenza sleale (dumping sociale ed ambientale).

Ma la globalizzazione interessa anche il mercato finanziario, un mercato che in questi ultimi anni ha conosciuto, grazie ad una costante evoluzione verso un maggior grado di apertura e contendibilità, una trasformazione che per intensità ed importanza economica trova pochi altri esempi e, almeno nel nostro Paese, sembra ancora in una fase iniziale. Si assiste ad una cre-scente interdipendenza dei sistemi creditizi e finanziari, nell’ambito della quale l’elevata mobilità dei capitali ed il processo di innovazione possono tradursi in grandi opportunità di finanziamento dello sviluppo, ma anche in altrettante minacce nei casi in cui il sistema finanziario stesso non sia ade-guatamente consolidato ed efficiente. In questo contesto può essere letto anche un altro fenomeno, quello della finanziarizzazione dell’economia, che consiste nell’enorme e progressiva dilatazione della ricchezza finanzia-ria, rispetto a quella reale, nonché nella sua elevata mobilità e volatilità. Se-condo dati recenti il valore del mercato finanziario all’interno dei paesi O-CSE rappresenta più del 150% del PIL corrispondente. Se, dunque, questo processo diventa eccessivo e rapido, ed interessa Paesi caratterizzati da forti investimenti, realizzati attraverso l’indebitamento estero in un sistema fi-nanziario sostanzialmente fragile e relativamente arretrato, come nel caso del Sud-Est Asiatico, allora può essere fonte di crescenti rischi e, a volte, anche di indesiderate ricadute sulla produzione, sull’occupazione e sul ri-sparmio in generale.

Ecco allora che il contesto economico attuale è profondamente diverso da quello vigente anche solo alcuni anni fa: globalizzazione e finanziarizzazio-ne fanno da cornice ad altri processi, alcuni dei quali noti, ed in atto già da tempo, quali la terziarizzazione dell’economia, la deregolamentazione e la privatizzazione delle aziende di Stato (pur lenta), queste ultime conseguenti all’esigenza di una riduzione dell’intervento pubblico nell’economia. Altri processi sono invece meno noti, non tanto nella definizione quanto soprat-tutto negli effetti che oggi possono generare, si pensi ad esempio ai pericoli

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conseguenti a quella che è stata giustamente definita come la prima crisi fi-nanziaria dell’era globale. Se negli anni ’70 ed ’80 molti Paesi occidentali erano in difficoltà perché colpiti da gravi pressioni inflazionistiche, non meno gravi si prospettano i contraccolpi, sui profitti delle imprese (per non dire sulla loro stessa sopravvivenza), di una eventuale ondata deflazionisti-ca. Si pensi poi alla potenzialità, a volte destabilizzante in un mercato fi-nanziario fortemente integrato quale quello attuale, che possono avere tutti quei nuovi strumenti speculativi, frutto della recente ed intensa innovazione finanziaria, in mancanza di avanzati meccanismi di garanzia, trasparenza e sistemi di informazione.

Con la creazione della moneta unica si è realizzato un vero e proprio salto di qualità rispetto al sistema monetario precedente fondato sugli accordi di Bretton Woods. Ora però ai singoli Stati verranno a mancare due forme di autonomia, quella della politica monetaria e quella della politica dei cambi. Non solo, ma i vincoli posti dal Patto di stabilità e di crescita, volto a perpe-tuare una sana politica di risanamento delle finanze pubbliche nei Paesi a-derenti all’EURO, determineranno di fatto anche forti restrizioni nel grado di libertà della politica di bilancio. Ciò significa che se i singoli Paesi, quali il nostro, non adotteranno misure tendenti a ridurre alcune rigidità struttura-li e ad introdurre elementi di flessibilità e di mobilità, soprattutto nel merca-to del lavoro, che consentano di migliorare l’efficacia del Mercato Unico, allora vedranno compromettere la loro competitività. Allo stesso tempo si realizzerà un’integrazione che nella realtà sarà a “geometria variabile”, do-ve l’ampliamento delle asimmetrie tra Paesi di serie “A” e Paesi di serie “B” aggraveranno ulteriormente la situazione occupazionale in Europa.

Al fine di una crescita stabile ed equilibrata, un ruolo importante sarà poi giocato dalla struttura fiscale, con la moneta unica sarà importante avviare seriamente quel processo di armonizzazione fiscale e contrattuale a livello europeo più volte auspicato ma mai realizzato. Si dovranno eliminare quel-le situazioni in cui esiste una eccessiva concorrenza fiscale tra Stati che ge-nera distorsioni e fenomeni di evasione e che alla fine determina un pesante aggravio proprio su quei fattori, quali il lavoro, che risultano meno mobili e che quindi scontano questa penalizzazione in termini di un minor impiego. E’ stato evidenziato che, a livello europeo, circa tre-quattro punti percen-tuali dell’attuale disoccupazione sono da imputare proprio all’eccessivo ca-rico fiscale sul fattore lavoro.

Con l’EURO si accentua inoltre la questione della “credibilità” della poli-tica economica e questa assume particolare rilevanza proprio nel caso ita-liano, perché l’ammontare del suo debito pubblico può rappresentare un fat-tore di rischio e di incertezza per tutta la Comunità, essendo il 25% circa di quello dell’Unione Europea. E’ necessario allora un rientro dal debito in tempi ragionevolmente brevi, altrimenti si potrebbe verificare una crisi di

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fiducia nella politica italiana, dalla quale deriverebbe una fuga dai titoli ita-liani con conseguente innalzamento dei tassi di interesse che coinvolgereb-be tutto il sistema finanziario europeo. Il programma di convergenza verso il parametro del 60% del rapporto debito-PIL costituisce pertanto un indica-tore importante di questa credibilità, e non a caso all’atto della nostra am-missione all’EURO i partner europei hanno più volte posto l’accento su questo punto, avanzando parecchie perplessità sull’effettiva capacità di rientro non solo contabile, già di per sé un compito impegnativo, bensì in termini strutturali.

Nel complesso tutti gli elementi finora individuati indurranno nel sistema economico una serie di cambiamenti che interesserà sia la struttura che le strategie del mondo aziendale. Le imprese industriali, incluso quelle banca-rie, sempre più esposte ad una concorrenza che travalica i confini tradizio-nali degli Stati, dovranno affrontare le nuove sfide competitive abbando-nando l’illusione che qualsiasi inefficienza o concessione salariale ecceden-te la produttività, oppure qualsiasi indugio in settori obsoleti, possano esse-re in futuro compensati da una svalutazione del cambio. La competizione sarà sempre più di sistema, riguardante cioè non solo il processo produttivo, ma anche tutto ciò che è esterno all’impresa, e “istituzionale”, nel senso che le regole tenderanno sempre più ad omologarsi. Ciascuna impresa potrà es-sere competitiva solamente se altrettanto competitivo sarà il complesso tes-suto delle relazioni esterne all’azienda stessa. In particolare risulterà deter-minante non solo la fornitura di adeguati servizi reali e personali, ma anche una loro efficiente “messa in rete”, in modo tale che si generi un ambiente istituzionale, oltre che culturale, volto a favorire la nascita e lo sviluppo delle imprese: in questo senso “il territorio si fa fabbrica”. Nella misura in cui questo avviene si generano delle esternalità positive, delle economie e-sterne che incidono positivamente sulla produzione e sul costo complessivo del prodotto.

In futuro, dunque, ogni sistema risulterà fortemente penalizzato da qual-siasi, ancorché minimo, “differenziale di efficienza” nelle istituzioni e nelle “precondizioni” della crescita rispetto ai propri concorrenti. Inoltre la capa-cità competitiva di un paese avanzato si collocherà sempre più in settori scarsamente sensibili alla concorrenza di prezzo, ed emergerà con assoluta importanza il ruolo dei servizi, tanto quelli destinati alla vendita quanto quelli non rivolti direttamente al mercato. I primi (credito, produzione com-merciale, professioni, trasporti ed “utilities” in genere) incideranno in modo rilevante sui costi delle imprese che sono esposte alla concorrenza interna-zionale, sui salari dei lavoratori e in definitiva sui redditi e sui consumi di tutti i cittadini. I secondi (infrastrutture, istruzione, sanità, ordine pubblico, ecc.), in prevalenza prodotti dallo Stato, potranno incidere negativamente sulla competitività del sistema-paese se non risponderanno adeguatamente

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alle crescenti esigenze di maggiore qualità, efficienza ed efficacia. Alla base del nuovo modo di competere, si pone perciò la centralità delle

risorse umane e dell’innovazione, cosicché il nuovo paradigma tecno-economico della comunicazione e dell’informazione tecnologica deve esse-re integrato da quello della conoscenza, che di fatto costituirà il vero fattore strategico, ovvero la punta di diamante del vantaggio competitivo. L’elevazione delle competenze e soprattutto della conoscenza deve concer-nere non solo il personale dipendente ma anche quello dirigente, manager e imprenditori, al quale in prospettiva futura sarà sempre più richiesta una e-levata capacità di interpretazione e previsione delle tendenze, nonché di programmazione dell’attività economica in un orizzonte temporale medio-lungo.

La competitività di sistema comporta un maggiore orientamento all’organizzazione ed al mercato, piuttosto che alla tecnologia ed al prodot-to, come finora avvenuto, e presuppone altresì un deciso passaggio dalla burocratizzazione alla semplicità e razionalità, quali nuovi concetti per ge-stire la crescente interdipendenza all’interno del sistema. Interdipendenza che si manifesta chiaramente nei rapporti tra banca ed impresa, i quali si ca-ratterizzano per una progressiva collaborazione all’interno della catena del valore, ovvero nella filiera produttiva, riproponendo in chiave nuova e stra-tegica il rapporto tra collaborazione e competizione. E’ il caso dei distretti industriali e dei sistemi locali di impresa, nei quali si realizza una rilevante compenetrazione tra ambiente socio-istituzionale ed ambiente economico, tra forme di organizzazione (e di autorganizzazione) sociale e forme di or-ganizzazione produttiva, elementi che, nell’insieme, concorrono ad elevare al massimo grado le potenzialità del sistema territoriale, ovvero del milieu locale.

In un contesto globalizzato, con la nascita della moneta unica molti setto-ri, o comparti, della nostra economia si troveranno dinanzi ad un mercato ipercompetitivo che indurrà, tra l’altro, una notevole pressione verso una crescente trasparenza sul livello dei prezzi. In settori quali la distribuzione commerciale, i trasporti, la logistica, la finanza, le telecomunicazioni ed in generale tutte le public utilities (gas, elettricità, ecc.), l’ipercompetizione che si svilupperà indurrà un livellamento verso il basso dei prezzi e quindi l’incremento dei profitti sarà legato anche al volume delle vendite, il quale a sua volta esigerà un adatto assetto organizzativo e adeguati investimenti che assicurino una presenza stabile sul mercato.

In generale l’impatto del nuovo sistema monetario e del crescente proces-so di globalizzazione si distribuirà in maniera non uniforme sui vari settori e sulle imprese. Il settore creditizio italiano, privato progressivamente del velo di protezione di cui ha goduto in questi anni, che tanto ha contribuito in termini di inefficienza, si appresta ad affrontare una vera e propria rivo-

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luzione, data dalla sparizione delle entrate legate alle commissioni valuta-rie, dalla comparsa di nuovi intermediari e da un’elevata pressione concor-renziale che accentueranno un processo già in corso, ovvero quello della ri-duzione dei margini di intermediazione creditizia e finanziaria. Ecco allora la necessità per le banche di ricercare nuovi elementi di profittabilità, attra-verso un maggior orientamento ai servizi a più elevato valore aggiunto, ai servizi di gestione patrimoniale e di consulenza. Questo nuovo orientamen-to, per altro, non presuppone necessariamente la funzione di banca univer-sale (anche se l’aspetto dimensionale dovrà in molti casi essere riconsidera-to), anzi per certi aspetti è particolarmente adatto anche alla funzione della banca locale.

Dal lato delle imprese produttive, l’impatto della moneta unica dipenderà dal grado di apertura ai mercati internazionali, dall’esistenza o meno di re-lazioni con imprese a forte vocazione internazionale, dal livello di conten-dibilità del mercato, ecc.. Cosicché le imprese che risentiranno maggior-mente degli effetti dell’introduzione dell’EURO sono quelle con una mag-giore propensione all’export o all’import intracomunitario, quelle che in-trattengono rapporti di subfornitura con grosse imprese internazionalizzate, oppure quelle che finora operavano in mercati poco esposti alla concorren-za internazionale. Su questa base è facile osservare come il Nord-Est rap-presenti uno dei sistemi regionali che sarà maggiormente influenzato dal nuovo scenario europeo: presenta infatti un tessuto imprenditoriale con uno spiccato orientamento all’export, una quota rilevante del fatturato delle im-prese viene realizzata tramite vendite sui mercati esteri, i quali, d’altro can-to, costituiscono la principale fonte di approvvigionamento delle aziende stesse. Inoltre la maggiore intensità degli scambi commerciali del Nord-Est avviene con i Paesi dell’Unione Europea, in primis la Germania e la Fran-cia. A livello di impresa, saranno influenzate tutte le funzioni aziendali, dalla finanza e tesoreria alla logistica, dal marketing alla gestione del perso-nale, dall’area fiscale a quella legale: sarà cioè l’azienda intera ad essere coinvolta dalla nuova realtà monetaria.

Con la moneta unica verranno meno tutti i rischi legati alla variabilità del tasso di cambio, sicché per tutte le aziende che effettuano un’elevata mole di transazioni in valuta estera europea si ridurranno significativamente i co-sti di transazione relativi agli scambi che avvengono all’interno della nuova area valutaria. Le imprese potranno infatti realizzare cospicui risparmi (dell’ordine dell’1-2% sul totale delle vendite e degli acquisti effettuati, se-condo una recente indagine condotta sulla PMI), non essendo più necessa-rio l’acquisto di adeguati strumenti di “copertura”. Non solo ma, con l’EURO si verificherà sia una semplificazione amministrativa, in quanto le stesse imprese si troveranno a gestire un numero di valute minore, sia un ri-sparmio in termini di minori oneri finanziari, legato al venire meno delle

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commissioni bancarie sulle valute sostituite dall’EURO. Inoltre, soprattutto per le imprese italiane, la moneta unica tenderà ad eli-

minare il “rischio-paese”, il quale essendo incorporato nel valore dei tassi di interesse consentirà una loro diminuzione e quindi la possibilità di un fi-nanziamento degli investimenti a tassi inferiori a quelli attuali. Una even-tualità questa favorita anche dal fatto che all’interno della nuova area valu-taria si realizzerà un deciso incremento nella contendibilità dei mercati fi-nanziari, che indurrà l’intero settore creditizio a praticare migliori condizio-ni sul credito alle aziende. Il calo dei tassi di interesse andrà pertanto ad al-leggerire i bilanci delle aziende, bilanci che attualmente, in virtù anche di una certa erosione dei margini di profitto, scontano fortemente gli eccessivi oneri legati ad una struttura finanziaria fortemente orientata al debito, e per di più con una rilevante incidenza di quello a breve termine.

Se questi sono i principali vantaggi, connessi all’introduzione dell’EURO, sulle imprese, esistono tuttavia anche una serie di costi, che incideranno si-gnificativamente sui bilanci aziendali, e di effetti di lungo periodo che, se non correttamente interpretati, potranno avere un ulteriore impatto negativo sul sistema imprenditoriale. Dal lato dei costi si sottolineano soprattutto quelli legati all’introduzione ed alla gestione della nuova moneta. Essi sono sia di ordine contabile che tecnologico: i primi si riferiscono agli oneri di conversione derivanti dalla necessità di dover esprimere il bilancio in EU-RO; i secondi derivano invece dall’esigenza di adeguare e/o sostituire i si-stemi informatici relativi a tutte le aree aziendali, al fine di consentire l’esecuzione delle operazioni in EURO anziché in Lire (oppure in entrambe le valute per chi sceglie il cosiddetto “doppio binario”). A questi costi van-no per altro aggiunti quelli legati alla formazione del personale interno per la gestione di tutta l’attività in EURO, nonché quelli relativi a servizi di consulenza acquisiti all’esterno per tutte le implicazioni cui l’azienda stessa non può farvi fronte con le competenze proprie.

Ancora più importanti di questi costi, che hanno natura transitoria e si e-sauriscono una volta entrati a regime, sono poi le problematiche legate alla gestione dell’impresa nell’ambito di uno scenario del tutto nuovo rispetto al passato, le cui conseguenze possono influire pesantemente sui destini futuri delle aziende. In un sistema economico ipercompetitivo e dove l'impresa non potrà più contare su margini di competitività "gratuita" derivanti dalla svalutazione del cambio, l'efficienza, da sola, non sarà più sufficiente ad as-sicurare il mantenimento di posizioni di leadership. Sarà necessario svilup-pare anche altre strategie, connesse alla non-price competition, la cui ado-zione comporterà in molte imprese notevoli mutamenti di comportamento e di organizzazione. Questo significa prestare maggiore attenzione a fattori quali la qualità, la credibilità, l'affidabilità nei termini di consegna, l'ade-guatezza dei canali distributivi, l'assistenza post-vendita, ecc..

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L’incertezza e l’instabilità che negli ultimi decenni hanno caratterizzato il sistema economico, hanno richiesto alle imprese l’adozione piena del con-cetto di flessibilità totale, come capacità di adattamento (in tempo reale) al-le mutevoli quanto impreviste situazioni di mercato. Per anni il contesto macroeconomico italiano è stato caratterizzato da livelli di inflazione eleva-ti, da alti tassi di interesse, da un regime di cambi tendenzialmente volatile, fattori questi che hanno imposto alle imprese l'adozione di scelte e compor-tamenti fortemente orientati al breve se non al brevissimo termine. L'obiet-tivo era quello di gestire l'incertezza, di essere pronti dinanzi a mutamenti contingenti della domanda, la cui variabilità poteva per altro essere percepi-ta, allo stesso tempo, come punto di forza o di debolezza, essendo evidenti le differenze tra chi sapeva coglierne la tendenza e chi si lasciava invece sorprendere da essa.

Ora invece, con l’avvio dell’EURO, si apre la via ad un contesto macroe-conomico meno incerto, nel quale la politica monetaria verrà gestita a livel-lo europeo, da una Banca centrale seriamente impegnata nel contenimento delle pressioni inflazionistiche, e dove la politica di bilancio, pur di perti-nenza nazionale, non potrà deviare dai criteri stabiliti dal Patto di stabilità e di crescita in tema di sostenibilità della finanza pubblica. Criteri cui, per al-tro, dovranno attenersi anche i Paesi attualmente esclusi dal nuovo regime monetario se vorranno in un futuro prossimo farvi parte. Ecco allora che a livello macro incertezza ed instabilità sembrano diminuire per lasciare spa-zio ad uno scenario europeo caratterizzato da bassi livelli di inflazione, da ridotti tassi di interesse, e dall’assenza del rischio di cambio all’interno dell’Unione monetaria europea.

Di fronte a questo scenario per il sistema imprenditoriale italiano si pro-spetta una nuova sfida strategica: laddove vi era un orientamento alla flessi-bilità, tipica dell'assenza di progetti a lungo termine, si dovranno considera-re maggiormente l’adattabilità “strutturale” (dove l’adattabilità è frutto di un progetto) e quindi gli investimenti fissi, l’organizzazione manageriale, nonché la capacità di programmazione in un’ottica di medio lungo periodo. Sono inoltre necessari forti investimenti di risorse in conoscenza, capitale umano, ricerca e sviluppo, nelle tecnologie informatiche e dell’informazione, nonché nella creazione e/o partecipazione a reti transna-zionali di cooperazione e di comunicazione. Queste ultime, in particolare, assieme ad una maggiore cooperazione, al supporto delle associazioni di categoria, degli istituti per la ricerca, degli enti per la promozione commer-ciale, e delle istituzioni in generale, consentiranno alle imprese, soprattutto quelle medio-piccole, di colmare il deficit culturale e di “dimensione” ri-chiesto per intraprendere una strategia volta all’innovazione permanente, quale principale risposta competitiva alla crescente riduzione del ciclo di vita del prodotto. Una strategia, questa, che potrebbe rivelarsi un’arma vin-

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cente soprattutto per le imprese minori che operano con contratti di sub-fornitura, il cui vantaggio competitivo potrebbe essere messo in discussione da nuove spinte delocalizzative della committenza, verso paesi a più basso costo del lavoro, soprattutto dell’Est europeo la cui affidabilità è in futuro destinata a crescere in concomitanza della loro prossima partecipazione all’Unione Europa, o dalla concorrenza delle importazioni, rese vantaggio-se da un EURO forte, che in un mercato sempre più integrato potrebbe cau-sare un parziale effetto di spiazzamento del terzismo domestico

Nel complesso l’obiettivo della gestione dell’incertezza viene in parte so-stituito da quello che potremmo definire come “gestione e programmazione della stabilità”. Ma per fare ciò serve una decisa ripresa degli investimenti, ed una strategia di tipo “anticipativo”, una strategia d’attacco e non d’attesa (specialmente per un Paese come il nostro che parte già in ritardo). Gli in-vestimenti, rispetto al recente passato, troveranno condizioni particolarmen-te favorevoli in un mercato finanziario sempre più esteso, con tassi di inte-resse in fase declinante e con una maggiore disponibilità di strumenti finan-ziari. Inoltre essi potranno essere ulteriormente stimolati da una politica maggiormente in linea con la tendenza in atto a livello europeo in materia fiscale, una tendenza volta cioè a limitare gli effetti distorsivi della concor-renza fiscale, e da una decisa riduzione della pressione fiscale a carico delle imprese, tra le più elevate in assoluto ma, soprattutto, aumentata troppo ra-pidamente.

Positivo può apparire, nel complesso, l’effetto “leva” sugli investimenti provocato dalla liquidità disponibile a livello mondiale: Keynes sosteneva che è la liquidità e non il risparmio a finanziare gli investimenti. La crisi delle borse asiatiche e la conseguente fuga dei risparmi, il processo di ridu-zione del debito pubblico in atto in molti Paesi europei, la maggiore inte-grazione ed efficienza del mercato dei capitali, nonché, anche se per ora ri-mane solamente un’ipotesi, le grandi riserve valutarie in dollari detenute dalle banche centrali, una parte delle quali potrebbe essere gradualmente immessa sul mercato con una inevitabile svalutazione del dollaro, potrebbe-ro generare un’enorme massa di liquidità pronta a riversarsi su nuovi inve-stimenti. Infine una spinta agli investimenti potrebbe derivare anche da una positiva evoluzione delle aspettative degli imprenditori sul futuro, dalla lo-ro opinione sulle prospettive di crescita economica e dei profitti.

In questo scenario esistono tuttavia ancora dei fattori che possono ostaco-lare il processo di sviluppo. Il mercato interno in realtà non è completamen-te realizzato, le quattro libertà fondamentali non sembrano tutte pienamente assicurate. Nonostante la ratifica del Trattato di Shengen, sull’abolizione delle frontiere interne all’Unione Europea per consentire la libera circola-zione dei cittadini europei, la mobilità del fattore lavoro soffre ancora di al-cune inefficienze e rigidità legate al riconoscimento delle figure professio-

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nali. Inoltre, anche se il Trattato di Amsterdam ha fatto segnare qualche passo avanti, serve un ulteriore sforzo per la realizzazione di uno dei pila-stri del Trattato di Maastricht, ovvero quello relativo alla giustizia ed agli affari interni. Vi è poi l’esigenza di una crescente armonizzazione in tema di diritto fiscale, di diritto societario, di procedure legali ed amministrative, altrimenti la riduzione dei costi di transazione dovuti all’adozione della mo-neta unica sarebbe solo apparente, e questo non potrebbe non ripercuotersi negativamente anche sulla crescita occupazionale. E’ necessaria in generale una più diffusa “cultura del contratto” fondata sulla superiore certezza del diritto, rispetto alla prevalente cultura del “decreto” che caratterizza la legi-slazione italiana.

Nei prossimi anni lo sviluppo dipenderà dalla capacità del sistema istitu-zionale di dare una risposta a tutte queste esigenze. Nel caso specifico del sistema imprenditoriale italiano, la sfida dell’adattabilità “strutturale” dovrà essere affrontata prestando una maggiore attenzione alla struttura finanzia-ria e all’evoluzione del complesso rapporto banca-impresa, in linea con quell’interdipendenza strategica che in futuro caratterizzerà sempre più la competizione di sistema. Nonostante rappresentino la chiave del successo, specialmente di quello recente, della nostra economia nonché di quella eu-ropea, le piccole e medie imprese sono caratterizzate da una preoccupante fragilità finanziaria. Più volte ne sono stati evidenziati i caratteri peculiari: sottocapitalizzazione e vincoli finanziari posti allo sviluppo, derivanti da scarsità, cattiva qualità ed elevato costo del credito bancario, ma anche da distorsioni e penalizzazioni fiscali.

Il sistema fiscale italiano, consentendo la deduzione degli interessi passi-vi, ha avuto un ruolo non secondario nello squilibrio della struttura finan-ziaria delle imprese, ed in modo particolare di quelle minori le quali hanno manifestato una elevata domanda di credito. Tuttavia il deterioramento del loro equilibrio finanziario è dovuto non solo al massiccio ricorso al credito bancario per il finanziamento degli investimenti, ma anche alla qualità stes-sa di questo credito. E’ noto come nelle piccole e medie imprese, ben più che in quelle di maggiori dimensioni, si riscontri una forte posizione debi-toria di breve periodo rispetto a quella di più lungo termine, per altro meno costosa. Nonostante negli ultimi anni i debiti a breve delle piccole e medie imprese abbiano manifestato una tendenza alla diminuzione della loro quo-ta sul totale dei debiti, esiste ancora una carenza di passività a medio-lungo termine, che testimonia come in questo segmento esse subiscano un signifi-cativo razionamento del credito. Inoltre per un paradosso tutto italiano i tas-si di interesse a breve sono più alti di quelli a medio-lungo termine e l’accesso a questo tipo di credito, a causa dello scarso potere contrattuale della piccola e media impresa, avviene a livelli di tasso, che potremmo de-finire di top rate, notevolmente superiori al prime rate solitamente conces-

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so alla grande impresa. Ma la scarsa capitalizzazione delle nostre imprese minori è anche il risul-

tato di due ulteriori elementi, uno di tipo “istituzionale” ed uno più propria-mente culturale. Quello istituzionale è rappresentato dall’inefficiente strut-tura ed ampiezza del mercato dei capitali italiano, nonché dai vari “costi” che sono connessi alla quotazione. Quello culturale è legato alla figura tra-dizionale dell’imprenditore italiano, soprattutto di quello medio-piccolo, il quale denota uno scarso orientamento ad avvalersi di forme di partecipazio-ne al capitale di rischio e preferisce di gran lunga indebitarsi con le banche mantenendo saldamente nelle proprie mani il controllo dell’azienda.

In presenza di una competitività sempre più accentuata, le imprese minori, con un assetto finanziario fortemente sbilanciato, pur in un quadro di pro-spettive favorevoli per quanto riguarda i tassi di interesse, vedono ulterior-mente aggravarsi la situazione per la riduzione dei loro margini di autofi-nanziamento, dato il peso crescente del costo del lavoro e della pressione fiscale, e per il fatto che la caduta della domanda interna non sempre può essere compensata da un aumento delle esportazioni. In questa situazione si trovano soprattutto le piccole imprese subfornitrici che hanno visto cadere i loro margini di “cash flow”, strette nella morsa di una crescente competi-zione, anche straniera, e di una forte pressione esercitata dalle grandi im-prese committenti. Diversa è invece la situazione per alcune imprese minori che lavorano per il mercato finale in cui prevale la competizione di qualità rispetto a quella di prezzo.

Al fine di promuovere la ricapitalizzazione delle imprese esistono varie possibilità teoriche, in pratica però la gamma si restringe notevolmente (almeno nel contesto italiano). Così la via più tipica per la ricapitalizzazio-ne di un’azienda è la quotazione della stessa in un mercato regolamentato, opzione che in partenza è ristretta alle sole società per azioni. Va osservato, comunque, che la nascita di mercati regolamentati locali per le PMI è un’ipotesi a lungo caldeggiata nel nostro paese (si veda la procedura, tutto-ra in corso, di avvio del METIM), che attualmente, però, continua ad essere di difficile realizzazione. Per ora alle PMI resta perciò l’unica via dell’accesso alle Borse nazionali già esistenti. Ma indipendentemente da questo, la loro quotazione è un problema da inquadrare in una nuova politi-ca industriale, poiché il loro accesso al mercato dei capitali costituisce stru-mento di sviluppo.

E’ noto tuttavia che gli ostacoli al decollo di un mercato regolamentato per le imprese minori non sono esclusivamente di natura istituzionale, e non possono nemmeno essere circoscritti ai soli caratteri del mercato dei capitali nazionale. Nella realtà, e come già in parte sottolineato, tra i piccoli e medi imprenditori sono piuttosto diffuse le remore all’abbandono di una struttura di proprietà di tipo chiuso. Il timore è quello di perdere il controllo

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della loro azienda, per cui quando la ricapitalizzazione appare irrinunciabile ricorrono tradizionalmente al patrimonio familiare. Questo è un serbatoio da cui attingere in caso di necessità, serve da garanzia per prestiti, e permet-te all'imprenditore di decidere con piena libertà la politica di investimento. D’altra parte però si rivela assolutamente insufficiente in corrispondenza di elevati tassi di sviluppo dell’azienda, e le vicende della famiglia possono riflettersi nell'impresa provocando conflitti di interessi in grado di influire negativamente sull'andamento dell’attività.

Accanto alla questione della ricapitalizzazione, le imprese dovranno ri-considerare il rapporto con il sistema bancario, rapporto che comunque continuerà ad essere una opzione di evidente rilevanza. La struttura dell’indebitamento finanziario ed i caratteri della liquidità, sembrano infatti richiedere soluzioni gestionali più efficienti e mirate rispetto al passato, tra cui una superiore propensione al risk-management. A tal fine sembrano pe-rò opportune azioni di diffusione della cultura finanziaria aziendale, di va-sta portata in quanto a target e piuttosto mirate in relazione alle tematiche coinvolte. La domanda rivolta alle banche per la gestione dei rischi finan-ziari, sia di cambio che di interesse, è variabile tanto quanto sono volatili i mercati valutari e finanziari.

Questa esigenza è più pressante nel caso di una PMI, vista la ridotta di-mensione aziendale che non giustifica l'impiego di specifiche risorse (soprattutto umane) per l'approfondita valutazione delle correlazioni tra scelte operative e scelte finanziarie; spesso però è una domanda potenziale, inespressa, che andrebbe portata in superficie. L’aspetto più delicato della gestione finanziaria è del tipo make or buy. Normalmente nella PMI man-cano attitudini spiccatamente finanziarie tenuto conto del fatto che il know how del piccolo imprenditore è quasi esclusivamente tecnico e commercia-le: la scelta cruciale è perciò quella fra l'approntare le coperture finanziarie internamente all'azienda (“make”) o rivolgersi ad un intermediario specia-lizzato in tal senso (“buy”). Anche tenendo conto che una delle maggiori remore del piccolo imprenditore alla soluzione del tipo “buy” è la convin-zione che il rivolgersi all'esterno riduca il suo controllo sull’impresa, la nuova normativa bancaria prefigura buone prospettive per un approfondi-mento del rapporto banca-impresa. A questo scopo le banche hanno comin-ciato ad istituire nuclei operativi che forniscono complessi servizi di coper-tura finanziaria. Con questo strumento la banca supera la sua tradizionale posizione passiva di semplice servizio informativo per il cliente che ne fac-cia richiesta, a favore di un atteggiamento propositivo e continuativo. L’obiettivo è quello di intervenire tempestivamente per la copertura finan-ziaria del piccolo imprenditore evitando, da un lato, operazioni non redditi-zie per la banca e, dall'altro, operazioni troppo costose per l'impresa.

Nella misura in cui nelle piccole e piccolissime aziende il patrimonio

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personale-familiare dell'imprenditore è quasi coincidente con il patrimonio aziendale, lo sviluppo di un rapporto del tipo private banking è utile alla funzione finanziaria dell'azienda, soprattutto quando quest'ultima è costitui-ta in forma individuale o di società di persone (più in generale in tutti quei casi in cui l'azienda non gode di autonomia patrimoniale perfetta). Il private banking rappresenta normalmente un insieme di servizi a tutto campo, pre-suppone la fidelizzazione del piccolo imprenditore ed è caratterizzato da tre aspetti principali: la personalizzazione del servizio, l’uso di svariate tecno-logie finanziarie, la segmentazione per tipologia di clientela. La combina-zione di questi tre parametri può avvenire a qualsiasi livello e quindi la lo-gica di questo strumento può applicarsi non solo ad imprenditori con eleva-te dotazioni patrimoniali ma anche ad imprenditori con patrimoni relativa-mente ridotti. Può limitarsi in via esclusiva alla gestione patrimoniale (european style banking), oppure spingersi fino alla gestione fiscale (american style banking). Un rapporto banca-impresa del tipo “private ban-king”, soprattutto se inteso nella sua accezione più specialistica (ovvero di fornitura di una vasta gamma di servizi personalizzati), deve essere consi-derato separatamente dalla tradizionale offerta commerciale delle banche, anche perché può coinvolgere altri intermediari.

Questo tipo di rapporto banca-impresa è innovativo non solo perché è di tipo continuativo ma anche perché si inquadra nella generale attività di ban-ca universale. E' infatti necessario un legame più stringente ed esclusivo tra l'imprenditore e la banca, nel senso che il primo non fissi l'attenzione sol-tanto sulla quantità dell'assistenza bancaria e sia più attento ai differenziali di prezzo dei servizi richiesti, e la seconda non sia orientata ad una logica di prodotto ma ad una logica di mercato. Esso è poi particolarmente adatto an-che per il futuro sviluppo dei sistemi produttivi organizzati in forma distret-tuale e rappresenta un orientamento che in questo caso interessa anche la banca locale, da sempre votata al finanziamento della piccola e media im-presa. In tal senso tutte le banche a valenza locale devono attrezzarsi per fornire alle imprese del distretto, committenti e subfornitrici, il massimo di servizi in grado di agevolarne l’impatto con la globalizzazione e l’internazionalizzazione.

La banca locale diventa uno strumento essenziale all’interno della com-plessa rete di relazioni del distretto (cooperazione-competizione, reti di fi-ducia, ecc.), le quali per contro assicurano alla banca stessa un vantaggio informativo per estendere la propria rete di rapporti e per ridurre i costi di “monitoraggio” legati alla riduzione delle asimmetrie informative. Ancor più della grande banca, essa rappresenta il primo anello di una catena finan-ziaria che è fondamentale per quel processo di “lock-in” nel quale vi è un comune interesse a portare a termine uno specifico investimento. E questo avviene soprattutto nei rapporti di subfornitura nei quali si attiva uno stretto

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legame tra committente e fornitore, legame che vincola le parti, e quindi anche la banca, a non interrompere i flussi finanziari per non mettere in cri-si il progetto di investimento. Si forma così una specie di “capitale di fidu-cia” che va dalla banca locale alla media impresa committente fino all’ultimo subcontraente. In questo senso allora il “localismo” nel sistema bancario non significa essere piccoli, vuol dire invece conoscere il territorio e le peculiari esigenze della clientela, significa cioè svolgere una funzione.

In definitiva, se in futuro la parola chiave non sarà più solo “flessibilità”, come capacità di manovra sui costi variabili, ma anche “adattabilità” come capacità di gestire il capitale fisso e l’investimento durevole, la struttura fi-nanziaria dell’impresa, al pari di quella fisica, sarà inevitabilmente destina-ta a cambiare. I tratti di questo cambiamento possono essere così delineati: una maggiore presenza di indebitamento a lungo termine, rispetto a quello a breve, un crescente orientamento al capitale di rischio (favorito anche dalla recente riforma fiscale che ha introdotto l’IRAP e la Dit), nonché un supe-riore accesso a nuovi strumenti finanziari ed a servizi bancari a più elevato valore aggiunto. Questo consentirà di finanziare investimenti e progetti a più lunga scadenza e a redditività più differita, ossia quei progetti che assi-curano all’impresa uno sviluppo più duraturo e meno congiunturale.

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Indice

- Saluto di apertura Giuseppe Zanini

Presidente C.C.I.A.A. di Treviso pg. 9

- Attività e programmi camerali in tema di Euro e finanziamento delle imprese dott. Renato Chahinian

Segretario Generale C.C.I.A.A. di Treviso pg. 11

- Impatto dell’Euro sull’impresa prof. Roberto Cappelletto

Università Bocconi di Milano pg. 13

- Il finanziamento degli investimenti nell’Euro prof. Ferruccio Bresolin

Università Ca’ Foscari di Venezia pg. 63

Impaginato a cura del Centro stampa della Camera di Commercio di Treviso