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di Marco Lipari Consigliere di Stato La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi 21 OTTOBRE 2015

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di Marco Lipari Consigliere di Stato

La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi

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La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi *

di Marco Lipari Consigliere di Stato

Sommario: 1. La legge n. 124 e i suoi obiettivi. Deleghe e modifiche immediate della legge n.

241/1990. 2. Il favore per l’espansione della SCIA e della sua configurazione totalmente negoziale.

3. La “nuova” autotutela dell’art. 6: una nozione ampia? 4. I nuovi commi 3 e 4 dell’art. 19:

maggiore chiarezza sui poteri inibitori e correttivi dell’amministrazione? 5. Le differenze

principali tra la nuova e la vecchia normativa dei commi 3 e 4. 6. La suddivisione del comma 3 in

due periodi: la distinzione tra i poteri inibitori (totali) e i poteri conformativi (parziali). La

disciplina dei termini. 7. L’autotutela e la disciplina dell’art. 21-nonies: “Condizioni” e termini

dell’intervento successivo dell’amministrazione. 8. I poteri successivi incidenti sulla SCIA e la

decorrenza del termine di diciotto mesi. 9. Quale spazio per il potere di sospensione dell’attività

oggetto di SCIA? 10. L’ambito oggettivo di esercizio della autotutela e gli interessi sensibili. 11.

Scompare il riferimento al potere di “revoca” della SCIA. Il mutamento di fatto delle

“condizioni” per il conseguimento della SCIA. 12. Doverosità o discrezionalità dei provvedimenti

inibitori successivi? 13. Le conseguenze delle dichiarazioni mendaci rese in sede di presentazione

della SCIA: un quadro normativo confuso. 14. Il mancato coordinamento con il nuovo art. 21-

nonies e con l’art. 21. 15. Il termine per l’esercizio dei poteri di autotutela nel nuovo art. 21-nonies.

16. Il termine per l’esercizio dell’autotutela e la protezione dei terzi. 17. Le dichiarazioni false e

l’accertamento con sentenza passata in giudicato. 18. La disciplina derogatoria del comma 2-bis è

applicabile alla SCIA? 19. La fattispecie delineata dal comma 2-bis. 20. La “salvezza” delle

sanzioni previste dal TU 445/200. 21. Le possibili conseguenze della norma di salvezza del TU n.

445/2000 la necessità di una modifica normativa che renda chiaro e coerente il quadro

normativo. 22. La ricostruzione del sistema a legislazione vigente.

* Intervento al Seminario a porte chiuse sulla Legge Madia organizzato da federalismi, Osservatorio sui processi di governo e FormAP, tenutosi a Roma, il 7 ottobre 2015.

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1. La legge n. 124 e i suoi obiettivi. Deleghe e modifiche immediate della legge n.

241/1990

La legge n. 124/2015 persegue l’obiettivo ambizioso di riorganizzare profondamente le strutture

e le funzioni delle pubbliche amministrazioni, in tutte le loro articolazioni. In questo disegno si

collocano gli specifici interventi mirati a riformare, in alcuni aspetti ritenuti critici, la disciplina

generale del procedimento e dell’atto amministrativo, racchiusa nella legge n. 241/1990.

Le innovazioni comprendono correzioni “estetiche”, di mero perfezionamento tecnico delle

norme previgenti, insieme a modifiche sostanziali più rilevanti e a progetti di riassetto

complessivo di determinati settori.

Gli strumenti normativi utilizzati risultano diversificati. La tecnica preferita è quella della delega al

Governo, ritenuta più idonea per sistemare adeguatamente materie considerate di elevata

difficoltà (articoli 2, 4 e 5). Questo dato “formale” suggerisce una prima riflessione. La legge n.

241/1990 accelera la sua singolare parabola: nata e apprezzata come statuto chiaro e “leggero”

dell’atto e del procedimento, è diventata, ormai, un contenitore sempre più appesantito e

complicato di regole dettagliate dell’attività amministrativa.

La l. n. 124 prevede anche importanti innovazioni alla 241 operanti senza interposizione delle

deleghe legislative. Si tratta, in particolare, dell’art. 3 (che introduce il nuovo art. 17-bis,

riguardante il “silenzio tra pubbliche amministrazioni”) e dell’art. 6 (relativo, letteralmente, all’autotutela,

ma concernente, in concreto, la SCIA, l’annullamento e la sospensione d’ufficio).

L’opzione del doppio passo” voluta dal legislatore (modifiche immediatamente in vigore e

innovazioni rimandate all’attuazione delle deleghe) comporta qualche controindicazione. In

questo modo si alimenta il senso di instabilità e di incertezza del quadro normativo, aprendo

anche indesiderati problemi di diritto transitorio, coinvolgente ben tre fasi temporali diverse:

I) periodo anteriore alla legge n. 124/2015;

II) periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 124;

III) periodo conseguente all’emanazione dei decreti delegati e dei regolamenti governativi

previsti dalla stessa legge n. 124.

L’impropria frammentazione cronologica della riforma è evidente nella evoluzione della SCIA:

significativamente modificata dall’articolo 6 della legge n. 124, essa risulta destinata al completo e

radicale riassetto, per effetto della delega di cui all’art. 2.

Anche il nuovo istituto del “silenzio tra pubbliche amministrazioni” (art. 3) assume carattere effimero,

perché dovrà essere coordinato con la futura “conferenza di servizi”, definita attraverso

l’esercizio della delega di cui all’art. 5.

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2. Il favore per l’espansione della SCIA e della sua configurazione totalmente negoziale

Lo scopo perseguito dal legislatore sembra duplice:

a) favorire le attività dei soggetti privati, attraverso un rafforzamento degli istituti di

liberalizzazione e semplificazione, con il correlato ridimensionamento dei poteri di controllo

sanzionatori, inibitori e di autotutela delle amministrazioni competenti;

b) assicurare maggiore certezza interpretativa, mediante una migliore formulazione

delle regole riguardanti la SCIA, l’annullamento di ufficio e la sospensione.

Purtroppo, proprio l’esigenza di definire il quadro preciso delle regole in cui si colloca la SCIA

appare ancora largamente insoddisfatta. Anzi, per alcuni aspetti, l’assetto rivela ulteriori aspetti di

confusione.

Alcune delle persistenti ambiguità del testo legislativo derivano, probabilmente, dalla

impostazione generale con cui è affrontato il tema del controllo amministrativo sull’iniziativa

privata. Il legislatore degli ultimi anni continua a manifestare una totale fiducia nell’istituto della

SCIA, considerato come l’espressione più avanzata ed efficace delle politiche di liberalizzazione

delle attività private soggette alla verifica pubblica. Si ritiene che questa figura attui il massimo

“alleggerimento” degli oneri burocratici imposti ai privati, senza sacrificare eccessivamente gli

interessi generali perseguiti attraverso le verifiche spettanti alle amministrazioni.

Altrettanto evidente e diffusa appare la convinzione secondo cui la SCIA, per realizzare la sua

missione liberalizzatrice, deve essere modellata secondo paradigmi totalmente “privatistici”. Va

abbandonata, quindi, ogni diversa suggestione ricostruttiva imperniata sullo schema del silenzio-

assenso “semplificato”, o dell’autorizzazione tacita.

Anche la legge n. 124/2015 sembra preoccuparsi essenzialmente del valore “simbolico” attribuito

alla affermata espansione della SCIA e alla sua esplicita configurazione generale in termini

negoziali. In questo modo risulta trascurata una chiara regolamentazione della figura e del suo

concreto funzionamento nella realtà quotidiana. Anzi, il rifiuto pregiudiziale di ogni possibile

“contaminazione”, anche solo indiretta o marginale, con il regime dell’autorizzazione tacita, ha

condotto alla formazione di una disciplina densa di lacune e antinomie.

L’art. 6 si colloca in questa linea di evoluzione dell’ordinamento, introducendo alcuni elementi di

novità: ma il favore crescente per la SCIA non si accompagna sempre alla nitidezza delle regole e

alla crescita della loro efficacia.

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3. La “nuova” autotutela dell’art. 6: una nozione ampia?

L’art. 6 utilizza una rubrica generale e ampia, particolarmente impegnativa sotto il profilo

concettuale: “autotutela amministrativa”.

Molto opportunamente, la legge n. 241/1990 (come modificata dalla legge n. 15/2005) aveva

preferito evitare una definizione e una regolamentazione generale dell’autotutela, concentrandosi

sulla disciplina di singoli istituti ascritti generalmente a tale nozione (revoca, annullamento

d’ufficio, sospensione). All’interno della legge n. 241 l’espressione è utilizzata, in modo indiretto e

pleonastico, nell’ambito dell’art. 20, al solo scopo di “colorare” il richiamo esplicito alle

disposizioni in materia di revoca e di annullamento di ufficio di cui agli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

Analogo riferimento alle due disposizioni era contenuto nell’art. 19, comma 3, prima delle

innovazioni portate dalla legge n. 124/2015.

Anche la rubrica dell’art. 6 dovrebbe presentare una valenza essenzialmente descrittiva. Tuttavia,

un certo rilievo precettivo potrebbe riguardare la possibile incidenza della formula sulla

qualificazione dei “poteri ordinari” dell’amministrazione destinataria della SCIA, anche ai fini del

computo dei termini per l’esercizio dei poteri “successivi” [vedi infra].

Passando al contenuto dell’articolo 6, gli interventi modificativi riguardano, in particolare:

1) la riformulazione integrale dei commi 3 e 4 dell’art. 19, in materia di SCIA, concernenti i poteri

inibitori e conformativi attribuiti all’amministrazione destinataria della segnalazione;

2) l’abrogazione del comma 2 dell’art. 21, concernente le disposizioni sanzionatorie applicabili alle

attività svolte in assenza della SCIA o in difformità dal titolo;

3) la correzione del comma 1 dello stesso art. 21, relativo al contenuto delle dichiarazioni che

deve rendere l’autore della SCIA (la formula obsoleta “denuncia” è sostituita dalla più corretta

parola “segnalazione”, in coerenza con la nuova configurazione sostanziale della SCIA);

4) la complessa modifica dell’art. 21-nonies, in materia di annullamento di ufficio dell’atto

amministrativo, attraverso la rivoluzionaria previsione di un termine finale per l’esercizio del

potere di autotutela, accompagnato, però, da una importante deroga, riferita ai casi di false

dichiarazioni del destinatario dell’atto ampliativo;

5) l’introduzione di un termine finale anche per la durata della sospensione dell’efficacia del

provvedimento (art. 21-quater, comma 2), coerente con la nuova normativa dell’annullamento

d’ufficio;

6) l’abrogazione espressa di una controversa ipotesi tipica di annullamento d’ufficio (art. 1,

comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311), della quale, peraltro, era essai dubbia la

permanente vigenza in seguito alla introduzione dell’art. 21-nonies.

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4. I nuovi commi 3 e 4 dell’art. 19: maggiore chiarezza sui poteri inibitori e correttivi

dell’amministrazione?

La prima innovazione operante sull’art. 19, in materia di SCIA, riguarda la completa

riformulazione dei commi 3 e 4. Sono riscritte, quindi, proprio le disposizioni pertinenti la

disciplina dei poteri attribuiti alla amministrazione competente, in seguito alla presentazione della

SCIA.

La scarsa chiarezza della normativa previgente rendeva certamente necessaria una accurata

revisione delle regole. Il confronto, non agevole, tra la vecchia e la nuova disciplina, tuttavia,

evidenzia che solo alcuni dei dubbi interpretativi precedenti sembrano risolti, mentre altri

interrogativi restano aperti, se non addirittura aggravati.

Una considerazione preliminare deriva dalla scelta concettuale del legislatore, compiuta nella

rubrica dell’art. 6, che inquadra nel paradigma generico della “autotutela” anche la disciplina del

nuovo comma 3 dell’art. 19, riguardante i poteri dell’amministrazione esercitabili a ridosso della

presentazione della SCIA, entro il breve termine, ordinario e fisiologico, di sessanta giorni.

È evidente che nel termine di sessanta giorni i poteri dell’amministrazione di cui all’art. 19, co. 3,

non sono in alcun modo assoggettabili alla rigorosa disciplina dell’annullamento d’ufficio, di cui

all’art. 21-nonies: del resto, tale articolo è richiamato solo dal successivo comma 4, in relazione ai

poteri dell’amministrazione esercitabili dopo il decorso dei sessanta giorni.

Tuttavia, deve essere approfondita la considerazione sistematica secondo cui anche la funzione di

controllo “tempestivo”, svolta dall’amministrazione nel termine di sessanta giorni dalla

presentazione della SCIA, opera su un titolo (negoziale) già efficace. In sostanza, il richiamo

espresso alla nozione di autotutela costituisce un ulteriore argomento in favore della già

consolidata tesi “privatistica ” della SCIA, che suggerisce di dosare con la massima ponderazione

l’esercizio dei poteri repressivi e correttivi dell’amministrazione.

5. Le differenze principali tra la nuova e la vecchia normativa dei commi 3 e 4

In sintesi, le innovazioni principali della disciplina, desumibili dal confronto tra la nuova e la

vecchia normativa dei commi 3 e 4 possono essere illustrate in questo modo:

a) Nel comma 3 si distinguono più nettamente i poteri inibitori della PA da quelli

meramente conformativi dell’attività privata e della segnalazione;

b) Si elimina ogni riferimento specifico alle conseguenze derivanti dalla falsità delle

dichiarazioni rese in sede di presentazione della SCIA;

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c) Nel comma 4, i poteri dell’amministrazione di agire dopo il decorso dei sessanta giorni

sono ricondotti alle sole “condizioni” previste dall’art. 21-nonies e non all’articolo nel suo

complesso;

d) Scompare, peraltro, ogni rinvio al potere di adottare determinazioni ai sensi dell’art. 21-

quinquies, in materia di revoca;

e) È soppresso, poi, ogni richiamo puntuale ai poteri “successivi” della PA nelle materie

“sensibili” (pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la

salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale).

6. La suddivisione del comma 3 in due periodi: la distinzione tra i poteri inibitori (totali)

e i poteri conformativi (parziali). La disciplina dei termini

La prima modifica riguarda la suddivisione in due periodi dei poteri dell’amministrazione, in tal

modo rafforzando la distinzione tra:

a) il potere più forte e radicale di disporre la cessazione dell’attività in carenza dei

presupposti;

b) il potere, più blando, di imporre la conformazione dell’attività alle condizioni

legali prescritte.

In sé considerata, la maggiore articolazione dei poteri è senz’altro positiva. In

concreto, però, la scelta compiuta dal legislatore non è particolarmente felice, per

almeno due ragioni.

1) Anzitutto, mentre il termine per disporre la cessazione dell’attività è ancora

sottoposto esplicitamente al termine di sessanta giorni, quello di conformazione è

privo di un termine finale. Solo attraverso la lettura coordinata con il successivo

comma 4 si potrebbe ritenere che anche il potere di imporre correzioni all’attività del

privato resti assoggettato allo stesso termine di sessanta giorni.

2) La nuova attuale stesura dell’articolato non afferma con chiarezza che il

potere di “correzione” debba essere esercitato con priorità rispetto a quello di

inibizione, come era stabilito esplicitamente nella precedente versione dell’art. 19. È

vero che questo stesso esito può essere raggiunto, forse, attraverso l’applicazione del

principio generale di proporzionalità secondo cui si deve ordinare la cessazione

dell’attività solo quando sia impossibile la conformazione. Tuttavia, resta criticabile la

scelta di abbandonare la più precisa e inequivoca dizione della vecchia disposizione.

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Si potrebbe osservare che, poi, la formula attuale, nella parte in cui disciplina il “potere

correttivo” dell’amministrazione resta ancora piuttosto grossolana e atecnica. Si sconta, del resto,

la difficoltà di distinguere esattamente tra modifiche attinenti al “titolo” della SCIA e correzioni

riferite all’attività considerata nella sua materialità.

7. L’autotutela e la disciplina dell’art. 21-nonies: “Condizioni” e termini dell’intervento

successivo dell’amministrazione

Il nuovo comma 4 dell’art. 19 intende chiarire meglio il controverso rapporto della SCIA con

l’annullamento di ufficio, definendo le modalità attraverso cui l’amministrazione può incidere

sull’attività del privato, dopo il decorso di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA.

Ancora una volta, però, il linguaggio utilizzato del legislatore non è tra i più eleganti, anche

perché la previsione di rinvii interni così “concentrati” in poche frasi, rende difficile la lettura di

una norma di “semplificazione”.

La disposizione intende visibilmente suffragare ulteriormente la tesi “privatistica” della SCIA. Il

richiamo al 21-nonies è effettuato al solo scopo, garantista, di chiarire l’ambito entro cui

l’amministrazione può intervenire sul rapporto dopo il decorso del termine di sessanta giorni,

previsto per l’esercizio fisiologico dei poteri di controllo sulla dichiarazione.

Il richiamo all’art. 21 - nonies riguarda solo le “condizioni” previste da tale norma: interesse pubblico

e motivazione. La formula linguistica adoperata dalla norma non è tra le più precise.

Infatti, nell’art. 21-nonies manca un riferimento esplicito alle “condizioni” che giustificano

l’adozione del provvedimento di autotutela.

Si dovrebbe ritenere che la formula intenda richiamare la presenza di tutti i presupposti che

consentirebbero di adottare il provvedimento di annullamento di ufficio. In particolare, occorre

una valutazione dell’interesse pubblico specifico alla inibizione dell’attività.

Con qualche sforzo di interpretazione sistematica e coordinata, poi, si dovrebbe ritenere che il

potere di inibizione debba esercitarsi negli stessi confini temporali del termine ragionevole e,

comunque, non oltre i diciotto mesi.

8. I poteri successivi incidenti sulla SCIA e la decorrenza del termine di diciotto mesi.

La scelta insistita di abbandono di ogni connotazione “provvedimentale” della SCIA determina,

però, notevoli incertezze in ordine alla decorrenza del termine di diciotto mesi.

Resta aperto, però, il problema della decorrenza del termine di 18 mesi, che, nel caso della SCIA

non è affatto chiaro. La soluzione più logica dovrebbe essere che detto termine decorre dal

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momento in cui si sono consolidati gli effetti della SCIA: ossia, quando è trascorso il periodo di

due mesi dalla presentazione della segnalazione, senza che l’amministrazione abbia adottato

motivate determinazioni di inibizione o conformazione.

Questo esito ricostruttivo, però, non è scontato. Secondo la legge n. 124/2015, anche l’intervento

“tempestivo” dell’amministrazione, effettuato nell’arco dei sessanta giorni dalla presentazione

della SCIA, deve qualificarsi come atto di autotutela, incidente su un titolo già efficace. Per cui, a

stretto rigore, anche il termine di diciotto mesi andrebbe computato dalla formazione del titolo,

vale a dire dalla data di presentazione della SCIA.

In ogni caso, ci si deve chiedere se l’eventuale determinazione espressa con cui l’amministrazione,

all’esito dei controlli, affermi la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività privata,

intervenuta prima della scadenza del termine di sessanta giorni, possa far decorrere il termine di

diciotto mesi.

9. Quale spazio per il potere di sospensione dell’attività oggetto di SCIA?

Qualche dubbio potrebbe essere sollevato in relazione al permanente mancato richiamo alla

disciplina (alle condizioni) dell’art. 21-quater (sospensione). La norma riguarda la temporanea

sospensione di efficacia di un atto, che, in questo caso manca. Ciò potrebbe condurre, sul piano

letterale ad affermare l’inapplicabilità del potere di disporre la “sospensione” dell’attività, in attesa

degli accertamenti opportuni.

Ci si potrebbe chiedere, però, se tra i provvedimenti di cui all’art. 19, comma 3, sia da

considerare, implicitamente, anche quello che sospende temporaneamente l’attività in attesa della

conclusione degli accertamenti definitivi.

La norma non lo chiarisce e sono possibili entrambe le tesi interpretative alternative:

a) come potere generale inibitorio, purché adeguatamente motivato, quello sospensivo è

compreso in quello diretto a imporre la cessazione dell’attività;

b) a tutela delle aspettative del privato, fino a quando non è conclusa la verifica successiva,

l’interessato ha comunque diritto di proseguire l’attività e l’amministrazione non ha il potere di

impedire la prosecuzione dell’attività.

Anche questo aspetto dubbio, quindi, potrebbe essere considerato in occasione del riassetto della

normativa in materia di SCIA.

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10. L’ambito oggettivo di esercizio della autotutela e gli interessi sensibili

Il confronto con la precedente disciplina evidenzia, poi, qualche ulteriore dubbio applicativo.

Secondo la previgente formulazione del comma 4, infatti, la norma sembrava circoscrivere lo

spazio di intervento dell’amministrazione oltre i sessanta giorni solo in presenza di un vulnus grave

a interessi sensibili, espressamente menzionati (pericolo di un danno per il patrimonio artistico e

culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale).

Per un probabile difetto di coordinamento, peraltro, il riferimento ad un generale potere di

intervento successivo, secondo la disciplina dell’art. 21-nonies, era comunque ammesso.

Ora, invece, il potere di intervento correttivo e inibitorio è chiaramente ammesso in tutti i casi,

sia pure nel rispetto del nuovo termine generale di tre anni e delle condizioni rigorose previste dal

21-nonies.

Pertanto, sotto un aspetto tutt’altro che trascurabile, la normativa della 124 sembra allargare il

potere dell’amministrazione di intervenire successivamente.

D’altro canto, per questi interessi sensibili non sembra previsto alcun trattamento di favore, forse

anche sulla considerazione che delle due l’una: o l’interesse pubblico protetto è forte e allora

proprio il ricorso alla SCIA non è giustificato; oppure, una volta operata la scelta in favore della

SCIA non vi è motivo per dettare una normativa diversa in ordine ai poteri successivi

dell’amministrazione.

11. Scompare il riferimento al potere di “revoca” della SCIA. Il mutamento di fatto delle

“condizioni” per il conseguimento della SCIA.

Nel nuovo comma 4 dell’art. 19 scompare il precedente riferimento esplicito alla possibilità di

intervenire, successivamente alla scadenza del termine di sessanta giorni, con l’esercizio del potere

di revoca, previsto dall’art. 21-quinquies.

La spiegazione potrebbe essere, genericamente, quella di escludere dalla SCIA ogni valutazione

discrezionale di interesse pubblico: l’accertamento sulla sussistenza dei presupposti dovrebbe

avere carattere meramente vincolato, per cui nessuno spazio potrebbe residuare per la revoca, che

presuppone la rilevanza determinante di apprezzamenti discrezionali.

Ci si dimentica, però, che la revoca potrebbe essere fondata anche da meri mutamenti successivi

della situazione di fatto, senza una rivalutazione meramente discrezionale degli interessi pubblici

coinvolti

La conseguenza dell’innovazione legislativa potrebbe essere quella che, trascorsi i sessanta giorni,

nessun mutamento della situazione di fatto potrebbe giustificare l’esercizio di nuovi poteri di

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intervento da parte dell’amministrazione, a meno che essi non determino una “illegittimità

sopravvenuta” della SCIA, autorizzando l’esercizio dei poteri di annullamento di ufficio.

Di contro, però, sarebbe praticabile anche una diversa soluzione ermeneutica secondo la quale la

SCIA, una volta cambiate le condizioni oggettive, non sarebbe più aggiornata alla concreta

situazione e, pertanto, l’amministrazione avrebbe i potere-dovere di intervenire. A meno che non

si voglia dire che il mutamento di fatto potrebbe rilevare solo se incidente sui presupposti

originari di legittimità della SCIA.

D’altro canto, è bene evidenziare che nel nuovo quadro normativo la revoca, diversamente

dall’annullamento di ufficio, non è soggetta ad alcun termine perentorio specifico. Ne potrebbe

scaturire la conseguenza secondo cui il potere discrezionale di revoca avrebbe uno spazio

maggiore dell’annullamento di ufficio, sia pure compensato, in parte, dalla cogenza dell’obbligo di

indennizzo.

In definitiva, quindi, il problema del successivo mutamento delle condizioni che legittimano la

SCIA, una volta caduto il riferimento all’istituto della revoca, resta privo di una esplicita soluzione

normativa.

12. Doverosità o discrezionalità dei provvedimenti inibitori successivi?

Un altro possibile dubbio interpretativo riguarda la dizione prescelta dal nuovo comma 4 dell’art.

19, che sembra adesso imporre l’adozione dei provvedimenti inibitori, in presenza delle condizioni

di cui all’art. 21 nonies. La vecchia formulazione si limitava a fare “salvo il potere dell'amministrazione

competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, nei

casi di cui al comma 4 del presente articolo”. Il rinvio operato dalla disposizione, seppure considerato

inadeguato da molti interpreti, non sembrava lasciare dubbi sul carattere discrezionale

dell’intervento successivo dell’amministrazione.

La nuova formula adottata dall’articolo 19, comma 4, (“l'amministrazione competente adotta

comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-

nonies”) non è molto chiara.

L’espressione “adotta comunque”, confrontata con la vecchia dizione del 19 comma 3, potrebbe

significare che non si tratti di una “facoltà” discrezionale, ma di un vero e proprio dovere

dell’amministrazione.

D’altro canto, il richiamo alle “condizioni” dell’art. 21-nonies non risolve i dubbi interpretativi. Tra

tali “condizioni” si può certamente annoverare il requisito dell’interesse pubblico. Ma non è

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affatto certo che esso costituisca una “condizione” anche il carattere discrezionale e non

doveroso dell’intervento successivo dell’amministrazione.

È certamente vero che, in linea generale, i “poteri” dell’amministrazione hanno sempre carattere

funzionale e contenuto doveroso, così come è evidente che l’accertamento del requisito

dell’interesse pubblico ha, di per sé, un elevato tasso di discrezionalità. Se ne dovrebbe dedurre che,

in ultima analisi, prevarrà la tesi secondo cui l’obbligo di intervento dell’amministrazione andrà

sempre ricondotto ai parametri della discrezionalità amministrativa.

Tuttavia sarebbe stato auspicabile una più chiara enunciazione dei presupposti dell’intervento.

13. Le conseguenze delle dichiarazioni mendaci rese in sede di presentazione della SCIA:

un quadro normativo confuso

Un nodo interpretativo piuttosto complesso riguarda le conseguenze derivanti dalla falsità delle

dichiarazioni che accompagnano la SCIA.

Infatti, la riformulazione sell’art. 19 comma 3 sembra ricondurre questa eventualità alla disciplina

generale dell’autotutela. Al contrario, l’art. 21, comma 1 e l’art. 21 nonies risultano indirizzati a

stabilire effetti decisamente più penalizzanti per l’autore della dichiarazione.

È opportuno riassumere i dati normativi rilevanti.

Dal nuovo art. 19, comma 3, per effetto della riformulazione disposta dalla legge n. 124/2015,

scompare l’originario periodo in forza del quale: “In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e

dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui

al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28

dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo”.

Secondo la vecchia formulazione, ora abrogata, vi era, quindi, una sorta di exceptio doli generalis: la

falsità della segnalazione consentiva all’amministrazione di inibire sempre le attività del privato,

senza limiti di tempo e, senza passare attraverso le strettoie procedimentali e sostanziali dell’art. 21-

nonies.

Va precisato che la norma richiamava sia i poteri inibitori sia quelli conformativi. Tuttavia, i

poteri di correzione e sanatoria risultavano preclusi dalla previsione dell’articolo 21, comma 1: “in

caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti

a legge”.

Dunque, nel caso di false dichiarazioni, le conseguenze previste per l’autore della SCIA

risultavano estremamente penalizzanti:

in qualsiasi tempo l’attività può essere privata del suo titolo legittimante;

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non vi è nessuno spazio per la sanatoria.

L’unico filo di “speranza” per il titolare della SCIA poteva derivare, forse, dalla ipotizzabile

facoltatività dell’intervento repressivo dell’amministrazione derivante dall’uso della formula “può”.

Ma anche tale tesi interpretativa, tutt’altro che scontata, risultava di fatto vanificata dalla prevista

salvezza del T.U. 445/2000, che aggravava ulteriormente la posizione dell’autore della

dichiarazione falsa resa in caso di SCIA.

Infatti, secondo il T.U. n. 445/2000, in caso di accertata mendacia delle dichiarazioni si verifica la

conseguenza sostanzialmente automatica della “perdita del beneficio” ottenuto dall’interessato

(art. 75: “1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga

la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al

provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.”)

L’eliminazione della previsione contenuta nel vecchio art. 19, quindi, se considerata isolatamente,

intenderebbe salvaguardare in modo pieno l’esigenza di stabilità del rapporto derivante dalla

SCIA, dopo il decorso del termine di sessanta giorni previsto per l’esercizio dei poteri ordinari di

controllo. In mancanza di una regola apposita, la falsità delle dichiarazioni assumerebbe rilievo, ai

fini dell’intervento successivo dell’amministrazione solo attraverso il percorso ordinario delineato

dall’autotutela di cui all’art. 21-nonies.

14. Il mancato coordinamento con il nuovo art. 21-nonies e con l’art. 21

Tuttavia, l’innovazione derivante dalla abrogazione parziale dell’articolo 19, comma 3, deve essere

coordinata con l’art. 21, comma 1, e con il nuovo art. 21-nonies. Entrambe le disposizioni

derivano dalla stessa legge n. 124/2015 e dettano una disciplina di segno decisamente opposto

rispetto all’intento di “stabilizzazione” della SCIA, dopo il decorso di un termine ragionevole,

perseguito dalla citata modifica dell’art. 19, comma 3.

In forza dell’art. 21, comma 1:

“1. Con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei

presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa

la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il

dichiarante è punito con la sanzione prevista dall'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più

grave reato.”

Anche questa disposizione presenta un significato piuttosto incerto, in ordine alla individuazione

degli effetti derivanti dalla accertata falsità delle dichiarazioni e delle attestazioni. La lettura più

plausibile della disposizione è che, in caso di accertamento del mendacio o della falsità, se non è

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ammessa la sanatoria o la conformazione dell’attività, diventa sempre doverosa l’inibizione

dell’attività.

Nell’ambito dell’art. 21, comma 1, manca qualsiasi riferimento alle “condizioni” dell’art. 21-nonies.

Dunque, il potere-dovere dell’amministrazione risulta del tutto svincolato svincolato non solo al

limite temporale dei 18 mesi, ma anche dalle regole procedimentali e sostanziali dell’annullamento

di ufficio.

A stretto rigore, poi, la norma racchiusa nell’art. 21 sembra collegare la conseguenza della

cessazione dell’attività alla circostanza, in sé considerata, dell’accertata falsità della dichiarazione

che accompagna la segnalazione, senza richiedere l’effettiva incidenza causale sul titolo

conseguito attraverso la SCIA. Si utilizza una formulazione diversa, pertanto, da quella ora

introdotta nell’art. 21-nonies, la quale enuncia in modo più puntuale il rapporto di necessaria

derivazione tra la dichiarazione falsa e il conseguimento del beneficio: “provvedimenti conseguiti sulla

base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o

mendaci”.

In concreto, la differenza tra le due locuzioni, contenute, rispettivamente, nell’art. 21 e nell’art.

21-nonies potrebbe avere rilievo marginale, poiché le dichiarazioni e le attestazioni riguardano, in

fondo, proprio i presupposti sostanziali della SCIA. È dunque difficile ipotizzare dei casi in cui le

dichiarazioni mendaci non abbiano attinenza con il titolo richiesto dall’interessato. Senza dire,

poi, che potrebbero sempre operare i principi generali elaborati dalla teoria del “falso innocuo”,

privo di concreta lesività del rapporto amministrativo controverso.

Va segnalato, però, l’evidente difetto di coordinamento con l’art. 21-nonies, che dovrà essere

attentamente risolto in occasione della stesura del decreto delegato in materia di SCIA.

Va sottolineato, al riguardo, che la legge n. 124/2015 non si è semplicemente “dimenticata”

dell’art. 21, comma 1: al contrario, la piccola modifica apportata alla disposizione ne ha

consolidato e rafforzato la vigenza. Ma la preoccupazione (in sé condivisibile, ma di sapore

dogmatico) di sostituire la parola “denuncia” con il più corretto vocabolo “segnalazione” ha fatto

perdere di vista il significato sostanziale della disposizione, che avrebbe dovuto essere modificata

non per i suoi difetti estetici, ma per il suo contenuto palesemente contraddittorio con la riforma.

15. Il termine per l’esercizio dei poteri di autotutela nel nuovo art. 21-nonies

Il nuovo art. 21-nonies, comma 2-bis, introdotto dall’art. 6 della legge n. 124/2015, contiene, a sua

volta, una specifica disposizione riguardante l’ipotesi delle dichiarazioni mendaci, caratterizzata da

una più severa incidenza sulla posizione giuridica del dichiarante. Anche tale norma appare in

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netto contrasto con la disposta riformulazione dell’art. 19, comma 3. Non solo, ma detta

disposizione contiene al proprio interno, a sua volta, una inspiegabile contraddizione, che

aumenta ancora l’incertezza del quadro normativo.

Per analizzarne l’esatto significato e il rapporto con la disciplina della SCIA racchiusa negli articoli

19 e 21, è opportuno ricordare che la legge n. 124 ha introdotto la regola secondo cui il termine

ragionevole, per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio, non può superare, comunque, il

limite temporale di diciotto mesi.

Sembra corretta l’interpretazione secondo cui il termine di diciotto mesi è quello massimo

insuperabile, ma non si può escludere che, in concreto, alla luce delle circostanze della singola

fattispecie il termine ragionevole possa essere ritenuto ancora più breve. Insomma, la barriera

cronologica dei diciotto mesi opera “unidirezionalmente”. È probabile, però, che in una

prospettiva di semplificazione e omogeneità interpretativa, la giurisprudenza tenderà

generalmente a considerare sempre legittimi gli annullamenti di ufficio disposti entro tale termine.

16. Il termine per l’esercizio dell’autotutela e la protezione dei terzi

Un complesso nodo interpretativo potrebbe derivare dal non facile coordinamento del termine di

diciotto mesi con la tutela dei terzi che si ritengano lesi dalla SCIA.

Anzitutto, la disciplina positiva non chiarisce entro quali termini (e con quale decorrenza)

l’interessato possa far valere la propria pretesa all’attivazione dei poteri di controllo

dell’amministrazione. Esigenze di giustizia sostanziale dovrebbero portare alla conclusione

secondo cui l’interessato può chiedere l’esercizio dei poteri di controllo a partire dal momento in

cui ottiene la conoscenza effettiva della SCIA, o, eventualmente da quando l’attività segnalata è

effettivamente iniziata.

Quindi, la richiesta potrebbe avvenire, legittimamente, anche dopo il decorso dei termini di

sessanta giorni dalla presentazione della SCIA. Ma non è affatto chiaro se la potestà

dell’amministrazione di intervenire resti intatta anche oltre il termine di diciotto mesi dalla

presentazione della SCIA.

Il quadro delle difficoltà applicative delle norme sui termini, poi, potrebbe ulteriormente

complicarsi nel caso in cui l’amministrazione, sollecitata dal terzo, assuma una determinazione

favorevole al presentatore della SCIA.

L’adozione di tale atto confermativo della SCIA iniziale potrebbe essere oggetto di annullamento

d’ufficio nell’ulteriore termine di diciotto mesi, giustificando l’adozione di provvedimenti

successivi inibitori o conformativi?

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È evidente che occorrerebbe definire in modo più puntuale le modalità di esercizio delle facoltà

spettanti al privato e i conseguenti poteri delle amministrazioni competenti, in modo da

individuare soluzioni chiare ed equlibrate, anche a costo di abbandonare la “purezza” della

costruzione totalmente negoziale della SCIA.

17. Le dichiarazioni false e l’accertamento con sentenza passata in giudicato

Il limite temporale stabilito dal nuovo art. 21-nonies in soli diciotto mesi è probabilmente assai

breve, in relazione alla nostra tradizione amministrativa. Si comprende, allora, la necessità di

individuare alcune deroghe, anche considerando che, in non pochi casi, l’esigenza di ripristino

della legalità violata appare decisamente prevalente, nonostante il tempo trascorso.

Al momento, però, il legislatore ha stabilito di introdurre un’unica specifica eccezione al limite dei

diciotto mesi, correlata alla sostanziale falsità dei documenti e delle dichiarazioni su cui si basa il

provvedimento illegittimo.

Secondo il nuovo comma 2-bis, “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false

rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per

effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati

dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva

l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.”

La formula utilizzata dal legislatore è piuttosto contorta e propone numerosi interrogativi, legati,

come si è detto, alla intima contraddizione interna della regola e alla sua antiteticità rispetto alla

nuova versione dell’art. 19, comma 3.

Intanto, l’espressione “provvedimenti conseguiti”, alquanto insolita, fa pensare che l’ambito

applicativo della norma sia costituito solo dai provvedimenti “ampliativi” favorevoli, ottenuti,

almeno nella maggior parte dei casi, a istanza di parte.

La ragione di tale limitazione alla possibilità di intervenire in autotutela anche dopo il decorso di

18 mesi (ma sempre nel rispetto del termine ragionevole e della altre condizioni previste dalla

norma) appare davvero inspiegabile. La falsità dei presupposti dovrebbe giustificare, a fortiori,

l’annullamento dei provvedimenti sfavorevoli al privato, anche prescindendo dalla circostanza che si

tratti di atti ampliativi a istanza dell’interessato.

Anzi, bisognerebbe interrogarsi, in una prospettiva più ampia, sulla stessa razionalità della portata

del rigido limite temporale dei diciotto mesi fissato dal comma 2: che senso ha fissare la soglia dei

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diciotto mesi quando l’annullamento d’ufficio potrebbe essere diretto a meglio tutelare le ragioni

del privato e del suo affidamento?

Questa considerazione potrebbe riannodarsi al delicato tema della compatibilità della disposizione

con la disciplina riguardante i provvedimenti affetti da illegittimità comunitaria. Risulta evidente

che, in tali eventualità, la prevalenza del diritto UE è idonea a sterilizzare la portata del limite

temporale inderogabile previsto dalla norma statale, consentendo (o meglio imponendo)

l’annullamento d’ufficio del provvedimento contrastante con il diritto europeo.

Ma, in modo più empirico, si potrebbe ricordare che i casi all’origine dell’affermato principio

dell’autotutela doverosa in caso di contrasto del provvedimento con il diritto di matrice UE

riguarda essenzialmente atti sfavorevoli al soggetto privato interessato. Si dovrebbe valutare,

allora, l’opportunità di considerare inapplicabile il limite dei diciotto mesi nei casi in cui la

determinazione in autotutela sia favorevole al privato.

18. La disciplina derogatoria del comma 2-bis è applicabile alla SCIA?

Ancora: la locuzione “provvedimenti” rende molto dubbia l’applicabilità della norma alla materia

della SCIA. È fuori discussione che, ormai, la tesi “provvedimentale” della SCIA non ha più

sufficienti appigli legislativi. D’altro canto, ora, nel nuovo art. 19, comma 4, il rinvio all’art. 21-

nonies non è più integrale, ma è limitato alle sole “condizioni” previste da tale disposizione. Si può

considerare che tra queste rientri anche la specifica fattispecie descritte dal comma 2-bis e la

disciplina derogatoria che prevede in relazione al termine di esercizio dell’autotutela?

È verosimile che il legislatore intendesse stabilire una perfetta coincidenza tra l’ambito temporale

dell’annullamento d’ufficio e limiti cronologici dei poteri inibitori in materia di SCIA. Ma questa

regola di simmetria non è affatto espressa in modo chiaro.

D’altro canto, in chiave di interpretazione teleologica, si potrebbe anche ipotizzare che la legge

intenda favorire il meccanismo della SCIA, rendendo tale titolo più stabile delle autorizzazioni

espresse o tacite.

Pr con queste riserve sulla imprecisione lessicale del legislatore, tuttavia, si dovrebbe ritenere

preferibile la conclusione secondo cui anche il comma 2-bis è applicabile alla SCIA.

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19. La fattispecie delineata dal comma 2-bis

La costruzione della fattispecie del comma 2-bis è piuttosto articolata.

È evidente l’intento rigoroso voluto dal legislatore: solo l’accertamento definitivo della falsità

compiuto in giudizio, insieme alla riconosciuta rilevanza penale del fatto, giustifica l’annullamento

d’ufficio del provvedimento oltre il termine massimo di diciotto mesi.

Non solo, ma occorre dimostrare anche l’effettiva correlazione tra la falsità e il contenuto

illegittimo del provvedimento.

Da notare che, anche in questo caso siamo in presenza di un’autotutela discrezionale e, quindi,

non è previsto alcun automatismo tra l’accertamento della falsità e l’annullamento. Dunque, la

mera falsità del documento non è sufficiente per legittimare l’esercizio dei poteri di autotutela,

diversamente da quanto prevedeva l’articolo 19 comma 3, prima delle modifiche portate dalla

legge n. 124/2015.

Il riferimento al giudicato implica che l’annullamento potrebbe intervenire anche molto tempo

dopo l’adozione dell’atto: in tale eventualità, peraltro, sarà necessario verificare con la massima

attenzione il rispetto del criterio di proporzionalità insito nel principio del “termine ragionevole”.

Non è chiaro, poi, se in presenza di questi presupposti l’amministrazione possa determinare la

sospensione dell’efficacia dell’atto anche oltre il limite dei diciotto mesi. Si pensi, in particolare, ai

casi in cui sia solo pendente il giudizio penale sulla falsità.

20. La “salvezza” delle sanzioni previste dal TU 445/200

I dubbi maggiori suscitati dalla norma, tuttavia derivano dalla circostanza che secondo l’ultima

parte dell’art. 21-nonies comma 2-bis, è “fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni

previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.”

Il lettore potrebbe risultare piuttosto disorientato, perché, come si è detto, il richiamo diretto alle

sanzioni previste dal T.U. n. 445/2000 è stato espunto dall’art. 19 e, invece ritorna in una

disposizione chiave dell’autotutela, a sua volta puntualmente richiamata dall’art. 19, sia pure con

una locuzione tutt’altro che perspicua (secondo la censurabile tecnica del rinvio “oltre”, o di

secondo grado).

Come si è detto, la disciplina del T.U. n. 445/2000 risulta ispirata da una logica di protezione

forte della genuinità delle dichiarazioni rese dai privati all’amministrazione, che giustifica la

previsione di severissime conseguenze lato sensu sanzionatorie a carico dei dichiaranti mendaci.

Da qui la regola secondo cui:

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la falsità può essere accertata autonomamente dall’amministrazione, senza attendere un

giudicato penale o civile;

gli effetti del provvedimento favorevole al privato sono caducati automaticamente,

attraverso la “decadenza sanzionatoria” prevista dal T.U.;

la misura decadenziale non ha limitazioni temporali, perché non opera il termine dei

diciotto mesi;

l’autonomia della disciplina del T.U. e l’automatismo della decadenza porta a ritenere che

non entri in gioco la disciplina garantista dell’art. 21-nonies;

non vi è necessità di dimostrare l’interesse pubblico specifico della misura, perché essa è

imposta dalla legge;

l’affidamento del privato è normalmente inconfigurabile, considerato il suo

comportamento illecito, incidente proprio sulla genuinità delle attestazioni;

l’assenza di un vero e proprio procedimento autonomo (considerando che i controlli sulle

dichiarazioni sono imposti dal 445/2000) attenua anche la stessa esigenza di assicurare un

adeguato contraddittorio procedimentale.

21. Le possibili conseguenze della norma di salvezza del TU n. 445/2000 la necessità di

una modifica normativa che renda chiaro e coerente il quadro normativo

Insomma, la salvezza del 445/2000, se intesa letteralmente, potrebbe condurre alla sostanziale

elisione della prima parte del comma 2-bis, consentendo, di fatto, la vanificazione del titolo

abilitativo, oltre il termine di diciotto mesi, per il solo fatto della accertata falsità delle

dichiarazioni rese dal privato, anche in assenza degli altri presupposti indicati dalla norma.

È evidente che nel quadro della palese antinomia tra le diverse regole contenute negli articoli 19

(soppressione della rilevanza automatica dell’accertata falsità delle dichiarazioni), 21 (persistente

obbligo incondizionato di inibire le attività correlate ad un titolo – autorizzazione o SCIA -

basato su documenti falsi), 21 nonies, comma 2-bis, prima parte (rilevanza della sola falsità

costituente reato) e 21 nonies, comma 2-bis, ultimo inciso (applicazione inderogabile delle sanzioni

del TU del 445/2000 in caso di appurata falsità dei documenti in occasione delle veriviche

effettuate dall’amministrazione), il legislatore dovrà indicare una soluzione chiara e netta,

scegliendo fra le diverse opzioni astrattamente proponibili:

a) la falsità dei documenti determina sempre e in ogni tempo la decadenza automatica dagli effetti

favorevoli della SCIA o dell’autorizzazione;

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b) la decadenza opera solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 21 nonies; con la conseguenza

che superato il limite temporale dei diciotto mesi la falsità può rilevare solo se configurabile come

reato accertato con sentenza passata in giudicato.

In tale contesto, poi, il legislatore potrà valutare se prevedere un “trattamento di favore” per la

sola SCIA, in modo da incentivarne l’uso.

Inoltre, in prospettiva di più largo respiro, andrebbe meglio definito il meccanismo di operatività

della misura della “decadenza” dal beneficio prevista dal T.U n. 445/200, che, in ogni caso,

sembra privo di coordinamento con le innovazioni in materia di autotutela introdotte con la legge

n. 15/2005.

Occorre chiarire entro quali termini l’amministrazione può effettuare le verifiche sulla genuinità

delle dichiarazioni rese dal privato e va stabilito se la decadenza costituisca, o meno, un

autonomo provvedimento di autotutela, soggetto alle regole sostanziali e procedimentali previste

dall’art. 21-nonies.

22. La ricostruzione del sistema a legislazione vigente

In attesa di questo auspicabile chiarimento legislativo, si potrebbe ipotizzare la seguente

ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Al di là della ricerca di una possibile “intenzione” del legislatore, si deve ritenere che, in primo

luogo, nessun trattamento differenziato di favore per la SCIA è ricavabile dal sistema. Si potrebbe

ragionevolmente ritenere che la soppressione della specifica disposizione contenuta nell’art. 19,

comma 3, si connetta alla previsione di una regola generale più ampia, ora racchiusa nell’art. 21-

nonies, comma 2-bis. Nonostante l’approssimazione del linguaggio legislativo, sembra

sufficientemente chiaro l’intento di assoggettare alle medesime “condizioni” i poteri di intervento

successivi dell’amministrazione, indipendentemente dalla natura giuridica, provvedi mentale o

negoziale, del titolo.

Del resto, la piena equiparazione tra autorizzazione e SCIA, ai fini della disciplina delle

conseguenze derivanti dalla accertata falsità è puntualmente confermata dalla regola dell’art. 21,

comma 1.

La “salvezza” del T.U. 445/2000, senza alcuna clausola di “compatibilità” con la nuova

normativa non può essere intesa che come prevalenza assoluta di tale normativa sulle altre regole

contenute nell’art. 21-nonies.

Ciò significa che la falsità dei documenti potrebbe rilevare in modo molto ampio, in presenza dei

presupposti che giustificano l’applicazione delle misure decadenziali di cui all’art. 75.