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Guy Debord, parigino, classe 1931, intellettuale geniale e, a dir poco, scomodo, è stato protagonista di una critica radicale alla società capitalistica e all'industria culturale. Debord fu fondatore dell'Internazionale Situazionista, inventore della psicogeografia, dell'urbanismo unitario e del détournement (la citazione, la ri-scrittura, la riappropriazione di un testo) "Situazione": un momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito per mezzo dell’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti. Lo scopo è la soddisfazione del desiderio, concretamente e senza sublimarsi nell'arte. La realizzazione del desiderio permette di fare chiarezza sugli istinti primitivi e di superarli. "Ovunque si è limitati dalla degradazione degli stadi e dei programmi televisivi […] la costruzione di situazioni sarà la continua realizzazione di un grande gioco, un gioco che i giocatori hanno deciso di giocare". A Parigi, negli anni Cinquanta, l'Internazionale Lettrista insorse contro l'architettura moderna sostenendo che influenzava il comportamento di chi la abitava essendo essa stessa l'espressione della classe dominante che esercitava una coercizione fisica, psichica, dei cittadini-sudditi. "I diversi quartieri di questa città potrebbero corrispondere all'intera gamma di umori che ognuno di noi incontra per caso nella vita di ogni giorno". Questo concetto di urbanismo apriva inesorabilmente le porte alla "psicogeografia".

LA SOCIETA' DELLO SPETTACOLO

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"Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni".

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Guy Debord, parigino, classe 1931, intellettuale geniale e, a dir poco, scomodo, è stato protagonista di una critica radicale alla società capitalistica e all'industria culturale.

Debord fu fondatore dell'Internazionale Situazionista,  inventore della psicogeografia, dell'urbanismo unitario e del détournement (la citazione, la ri-scrittura, la riappropriazione di un testo)

"Situazione": un momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito per mezzo dell’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti. Lo scopo è la soddisfazione del desiderio, concretamente e senza sublimarsi nell'arte. La realizzazione del desiderio permette di fare chiarezza sugli istinti primitivi e di superarli.

"Ovunque si è limitati dalla degradazione degli stadi e dei programmi televisivi […] la costruzione di situazioni sarà la continua realizzazione di un grande gioco, un gioco che i giocatori hanno deciso di giocare".

A Parigi, negli anni Cinquanta, l'Internazionale Lettrista insorse contro l'architettura moderna sostenendo che influenzava il comportamento di chi la abitava essendo essa stessa l'espressione della classe dominante che esercitava una coercizione fisica, psichica, dei cittadini-sudditi.

"I diversi quartieri di questa città potrebbero corrispondere all'intera gamma di umori che ognuno di noi incontra per caso nella vita di ogni giorno".

Questo concetto di urbanismo apriva inesorabilmente le porte alla "psicogeografia".

Secondo i Lettristi, per un intervento volto a decostruire gli ambienti “surcodificati” e a costruirne di nuovi caratterizzati da breve durata, mutazione permanente e mobilità, erano d'obbligo studi preliminari "delle leggi e degli effetti precisi di un ambiente geografico ordinato coscientemente o meno, che agiscono direttamente sul comportamento affettivo degli individui" (Guy Debord, "Introduzione ad una Critica della Geografia Urbana"). Tali studi presero il nome di psicogeografia.

La psicogeografia è un gioco e allo stesso tempo un metodo efficace per determinare le forme più adatte di decostruzione di una particolare zona urbana, per far saltare "il moto-controllo delle forme di vita metropolitane", sabotare il "codice del surluogo".

Attraverso il gioco psicogeografico si prefigura un nuovo modo di vivere la città che si caratterizza per una critica radicale all'urbanistica funzionalista e razionalista. La tecnica

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dell'esplorazione psicogeografica è la deriva, un passaggio improvviso attraverso ambienti diversi. Con la deriva lettrista apparve per la prima volta l'esigenza di azzerare lo spazio tramite un "bouleversement" psichico della città che permettesse la realizzazione della "creatività pura", attraverso un divertente gioco per indizi, di corrispondenze tra psiche e territorio, di infrazioni e nuove connessioni.

La deriva lettrista consisteva dunque in una semplice passeggiata che favorisse l'ispirazione per la costruzione di una nuova città in grado di coniugare il progetto di "sconvolgimento dell'architettura" con l' "ipergrafologia" la corrispondenza psico-geografica, dove le forme delle costruzioni sarebbero diventate segni, elementi dell'insieme dei caratteri fonetici, lessicali, ideografici.

Insieme alla piscogeografia, fu elaborata la non meno importante teoria del “detournement” (da Debord e Gil J.Wolman nel saggio "Metodi di Detournement"): "Nella fase di guerra civile in cui ci troviamo, l'arte e la creazione in generale dovrebbero servire esclusivamente motivi partigiani, e ciò è necessario per finirla con qualsiasi nozione di proprietà privata in queste aree. Detournement è la libera appropriazione delle creazioni altrui. Detournement è decontestualizzazione. Va da sé che uno non è limitato al correggere lavori esistenti o integrare diversi frammenti di lavori scaduti in una nuova opera: si può altresì alterare il significato di questi frammenti in qualunque modo, lasciando gli imbecilli alla loro profuso mantenimento delle virgolette".

Tra i vari metodi di detournement, il Detournamento Murale assumerà un ruolo centrale nei futuri situazionisti. Nel 1966, un gruppo di studenti simpatizzanti dell'Internazionale Situazionista, approfittando dell'apatia dei 16.000 studenti dell'Università di Strasburgo, era riuscito con abili manovre a impadronirsi dell'Unione degli Studenti di Sinistra. Usando il potere economico di quest'ultima, fondarono un club per la riabilitazione di Marx e Ravachol e tappezzarono i muri della città con una serie di

fumetti surrealisti, "il ritorno della colonna Durutti" (diffusa poi in tutta la stampa underground internazionale), rappresentando in questo modo un superamento della vecchia e retorica propaganda militante, verso una nuova forma di comunicazione politica che coniugava lo slogan con la ridefinizione creativa dello spazio urbano.

Poi venne il 1968, e quando l'ideologia e gli apparati di cattura s'impadronirono della fantasia, Debord sciolse in malo modo l'Internazionale Situazionista

Nel 1967 Debord scrive il suo saggio più celebre, “La Societè du Spectacle”, che denuncia profeticamente il processo di trasformazione dei lavoratori in consumatori di spettacoli operato dal capitale.

"Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini. Lo spettacolo è il capitale ad un tale grado di accumulazione da divenire immagine".

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Debord attribuisce all'arte dello spettacolo il compito negativo di sottrarre l’esperienza al tempo per renderla eterna. In questa visione, l'arte si contrappone alla vita perché immobilizza e reifica, ostacolando la comunicazione diretta tra gli individui. Per questo, secondo Debord, non può esistere un'arte situazionista ma solo un uso situazionista dell’arte.

Anche l'arte usa il détournement, ma c'è una differenza. Mentre il détournement artistico conduce alla creazione di una nuova opera d'arte, quello situazionista, pur valendosi di suddette opere, conduce ad una negazione dell'arte, soprattutto per la connotazione di comunicazione immediata che contiene. Si tratta di decontestualizzare la provenienza e di inserirla in un nuovo insieme di significati che le attribuisca un nuovo valore. Ad esempio, Debord apre “La società dello spettacolo” con un détournement dell’incipit del Capitale di Karl Marx: "Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci".

L’accumulazione del capitale e l’espansione delle tecnologie della comunicazione hanno

permesso di spingere il “feticismo delle merci” ad un grado prima impensabile. La società

dello spettacolo è il risultato di questa espansione. Lo spettacolo, concetto centrale della

critica di Debord all’ordine capitalistico, non è inteso da questi meramente come

espressione della tirannia dei mass-media. Lo spettacolo è, piuttosto, il tipo di relazioni

interpersonali, o meglio, di alienazione delle ralazioni interpersonali, costruite dalle

immagini di una società spettacolarizzata.

«Lo spettacolo non è un insieme di immagini

ma un rapporto sociale fra individui mediato

dalle immagini»

Per questo motivo, esso non è qualcosa di

esterno alla società, ma, al contrario, è la sua

struttura profonda.

«La società che riposa sull’industria moderna

non è fortuitamente o superficialmente

spettacolare, è fondamentalmente

spettacolista».

Tuttavia lo spettacolo è, allo stesso tempo,

solo un settore della società separato dagli

altri, e lo strumento attraverso cui questa parte

domina il tutto. Questa contraddizione fa sì

che esso sia necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini

secondo gli interessi di una parte della società.

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«Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come una parte

della società, e come strumento di unificazione. […] Per il fatto stesso che questo settore è

separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza».

Questo settore che domina sul resto della società non è altro che l’economia. Lo

spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del

capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione.  L’economia è ormai

completamente autonomizzata. Pertanto lo spettacolo può essere definito come «il regno

autoritario dell’economia mercantile elevato a uno statuto di sovranità irresponsabile, e

l’insieme delle nuove tecniche di governo che accompagnano tale regno» (“Commentari

sulla Società dello Spettacolo”).

Lo spettacolo, dunque, è il risultato della frammentazione sociale, derivante dal fatto che

un settore domina sugli altri, e la ricomposizione dell’unità perduta nella realtà sul piano

delle immagini, le quali mostrano tutto ciò che manca nella vita degli individui.

"L'alienazione dello spettatore a beneficio dell’oggetto contemplato…si esprime così: più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio".

Si realizza così una nuova alienazione. Mentre nel capitalismo classico, descritto da Marx,

l’alienazione è il risultato del passaggio dall’essere all’avere, nel capitalismo spettacolare

essa deriva dal passaggio dall’avere all’apparire.

«La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva determinato nella

definizione di ogni realizzazione umana un’evidente degradazione dell’essere in avere. La

fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati

dell’economia conduce a uno slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire, da cui ogni

“avere” effettivo deve trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima» (“La

Società dello Spettacolo”).

Gli individui separati ritrovano la loro unità nello spettacolo, ma solo in quanto separati.

Giacché la comunicazione è unilaterale; è il Potere che giustifica se stesso e il sistema

che l’ha prodotto in un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso

prodotte.

«Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo

monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle

condizioni di esistenza» (ibid.).

Lo spettacolo presuppone, quindi, l’assenza di dialogo, poiché è solo il potere a parlare.

Condizione per raggiungere tale risultato è la totale separazione di individui sempre più

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isolati nella folla atomizzata. È da questo stato che lo spettacolo deriva, ed è esso che

cerca costantemente di riprodurre, come mostrano i prodotti che realizza: televisione,

automobile, ecc.

«Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento»

(ibid.).

Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri

hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore,

il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a

guardare, e non interviene. Lo spettacolo è «il sole che non tramonta mai sull’impero della

passività moderna» (ibid.).

In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si

è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e

falso ha perso ogni significato. È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto

ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste.

«Quando l’immagine costruita e scelta da qualcun altro è diventata il rapporto principale

dell’individuo col mondo, che egli prima guardava da sé da ogni luogo in cui poteva

andare, evidentemente non si ignora che l’immagine reggerà tutto. […] Il flusso delle

immagini travolge tutto, e analogamente è qualcun altro a dirigere a suo piacimento

questa sintesi semplificata del mondo sensibile» (“Commentari sulla Società dello

Spettacolo”).

Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita.

I consumatori piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello

spettacolo tutto ciò che a loro manca. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita.

Debord descrive in questi termini tale alienazione del consumatore: «più egli contempla,

meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno

comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio» (“La Società dello

Spettacolo”).

L’individuo, quindi, deve rinunciare alla propria personalità se vuole essere accettato dalla

società, poiché questa richiede «una fedeltà sempre mutevole, una serie di adesioni

continuamente deludenti a prodotti fasulli» (“Commentari sulla Società dello Spettacolo”);

e ciò gli impedirà di conoscere i suoi veri bisogni e desideri.

È così che, secondo Debord, la società moderna, fondata sull’ideale dell’individualismo,

produce la più mortale e sterile passività che la storia abbia mai conosciuto.

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Non si deve credere, però, che lo spettacolo sia un’invenzione del capitalismo moderno.

Esso si produce ogniqualvolta vi sia nella società una separazione gerarchica creata

dall’esistenza di un potere istituzionalizzato. In questo senso la religione può essere

considerata l’antecedente dello spettacolo. In questo senso si può dire che «il più moderno

è qui anche il più antico» (“La Società dello Spettacolo”).

Tuttavia, solo nell’epoca moderna il Potere ha accumulato i mezzi sufficienti, non solo per

dominare la società, ma anche per plasmarla secondo i propri interessi, attraverso una

produzione volta alla diffusione dell’isolamento.

Rientra nello spettacolo anche la creazione di un antagonismo tra sistemi sociali che sono

in realtà solidali tra loro. È stato questo il caso della guerra fredda, definita da Debord

come «divisione dei compiti spettacolari» (ibid.).

Anche i paesi comunisti (o capitalisti) di Stato erano considerati da Debord sistemi

spettacolari. Essi erano basati su uno spettacolo concentrato nel quale, a causa del

minore sviluppo dell’economia, le merci erano sostituite dall’ideologia e dall’identificazione

con il capo supremo. Ad essi si contrappone lo spettacolo diffuso delle società

capitalistiche basate sul consumo delle merci. Tuttavia questa contrapposizione è in realtà

fittizia, giacché vuole convincere gli individui che esistono solo quei due modelli di società,

i quali in realtà hanno più affinità che differenze, essendo entrambi basati sulla logica

capitalistica e sul dominio gerarchico di una classe: la borghesia nello spettacolo diffuso,

la burocrazia nello spettacolo concentrato.

In questa pseudolotta il sistema vincente si è rivelato quello dello spettacolo diffuso,

poiché questo permette la scelta tra un numero indefinito di merci, ed il dominio

dell’economia sulla società equivale al dominio della merce sull’uomo.

«Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita

sociale» (ibid.).

In una società mercificata, sostiene Debord, non può che essere la merce ad avere un

ruolo centrale. Ogni merce promette il soddisfacimento dei bisogni, e quando arriva

l’inevitabile delusione, dovuta al fatto che tali bisogni sono fittizi e manipolati, subentra una

nuova merce pronta a mantenere la promessa disillusa dall’altra. Si crea così una

concorrenza tra le merci, rispetto alla quale il consumatore frustrato è un mero spettatore.

Debord afferma che questo modello impregna di sé, ormai, tutta la vita sociale, divenendo

il prototipo di ogni competizione, compresa quella politica. Questa si riduce alla

competizione tra leader che vendono la propria immagine come una merce, e fanno

promesse che non manterranno mai. Il tutto nell’assoluta passività e apatia dei “cittadini”.  

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Quando nel 1988 nei Commentari Debord tornerà ad analizzare lo spettacolo, affermerà

che i processi descritti negli scritti precedenti avevano avuto un’ancora più rapida

evoluzione.

Questa era dovuta al fatto che agli spettacoli concentrato e diffuso si era aggiunto un

nuovo tipo: lo spettacolare integrato. Esso è al tempo stesso concentrato e diffuso e riesce

così a combinare i vantaggi di entrambi. Il risultato è una società completamente

spettacolarizzata.

«Il senso dello spettacolare integrato è che si è integrato nella realtà stessa man mano

che ne parlava; e che la ricostruiva come ne parlava. […] Lo spettacolo si è mischiato ad

ogni realtà irradiandola» (“Commentari sulla Società dello Spettacolo”).

Lo spettacolare integrato ha cinque caratteristiche principali:

«il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il segreto

generalizzato; il falso indiscutibile; un eterno presente» (ibid.).

In questo modo tutti gli effetti dello spettacolo si amplificano in misura esponenziale. La

società è completamente dominata dalle immagini falsificate che si sostituiscono alla

realtà, facendo scomparire qualsiasi possibilità di attingere la verità al di là della

falsificazione continua che la ricopre.

Ciò determina la scomparsa del concetto di storia, e quindi anche della democrazia.

«Credevamo di sapere che la storia era apparsa in Grecia con la democrazia. Adesso

possiamo verificare che la prima sta scomparendo dal mondo come la seconda» (ibid.).

La finzione di democrazia è mantenuta in vita solo attraverso la costruzione di un nemico

comune, il quale consente una falsa unità che ricopre la realtà della separazione

gerarchica tra dirigenti ed esecutori. È questo il ruolo del terrorismo.

«Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico, il terrorismo.

Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati.

La storia del terrorismo è scritta dallo Stato; quindi è educativa. Naturalmente le

popolazioni spettatrici non possono sapere tutto del terrorismo, ma possono sempre

saperne abbastanza da essere convinte che, rispetto al terrorismo, tutto il resto dovrà

sembrare loro abbastanza accettabile, e comunque più razionale e democratico» (ibid.).

La democrazia, in quanto società dello spettacolo integrata, ha bisogno del terrorismo per far credere in una una perfezione fragile che deve essere preservata, e garantire così l'immutabilità delle scelte governative.

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"La storia del terrorismo è scritta dallo stato. Quindi è educativa".

La democrazia spettacolare non intende essere giudicata in base ai propri meriti ma in base ai propri nemici.

In questo contesto ogni critica diventa impossibile. Lo spettacolare integrato non vuole

essere criticato, e, d’altronde, gli individui vengono educati sin dalla nascita per evitare che

questo accada. Infatti, essendo inondati da un flusso inarrestabile di immagini che non

lascia loro il tempo per comprendere e riflettere, questi individui fanno costantemente

l’esperienza concreta della sottomissione permanente.

Questa formazione a quello che Debord chiama pensiero spettacolare è ciò che indurrà gli

individui a mettersi sin da subito al servizio dell’ordine costituito. Ed anche se una persona

riuscisse a superare questa formazione resterebbe comunque attaccata al linguaggio dello

spettacolo, giacché è l’unico che conosce, essendo l’unico che gli è stato insegnato.

«Magari vorrà mostrarsi nemico della sua retorica; ma userà la sua sintassi. È uno dei

punti più importanti ottenuti dal successo raggiunto dal dominio spettacolare» (ibid.).

La mondializzazione dell’economia è l’apogeo di questo processo che si distingue da ciò

che l’ha preceduta per un solo elemento, ma di importanza decisiva.

«Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato a fare apertamente guerra agli umani;

non più soltanto alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza»

(ibid.).

Si può quindi affermare che «l’economia onnipotente è diventata folle, e i tempi

spettacolari non sono altro che questo» (ibid.).

Il risultato è quel villaggio globale di cui parla McLuhan, ma del quale Debord dà una

valutazione opposta rispetto al sociologo canadese.

«I villaggi, contrariamente alle città, sono sempre stati dominati dal conformismo,

dall’isolamento, dalla sorveglianza meschina, dalla noia, dalle chiacchiere ripetute

all’infinito sulle stesse famiglie» (ibid.).

A questo stato di cose, prodotto dalla tendenza al feticismo delle merci ed alla reificazione

dell’economia autonomizzata, Debord contrappone il concetto di totalità. Se la costituzione

del potere produce una separazione gerarchica della società, l’unica soluzione è quella di

ricostruire realmente l’unità della stessa.

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Questa totalità è intesa da Debord come comunità umana che egli considera la vera

natura umana. Tale comunità è possibile solo se ognuno può accedere direttamente ai

fatti, e se tutti hanno i mezzi intellettuali e materiali necessari per decidere.

Nella comunità, la comunicazione prende la forma del dialogo e della discussione ai quali

ciascuno può partecipare, condizione necessaria per prendere decisioni in comune.

Questa comunicazione diretta è l’opposto di quella unilaterale dello spettacolo, nel quale

una parte separatasi dalla totalità pretende di essere l’unica a parlare impartendo ordini

che il resto della società deve limitarsi ad eseguire. Questa concezione consente a Debord

di affermare che «là dove c’è comunicazione non c’è lo Stato» (L’Internationale

Situationniste).

Debord è rimasto sempre ottimisticamente convinto della necessità e della possibilità di

una simile ricomposizione dell’unità. Un’utopia che Debord condivide con quela dell’

“Uomo Totale” espressa da Marx, che considera necessaria sia la frammentazione

dell’unità originaria, sia la sua ricomposizione ad un livello più alto.

Questo risultato può essere ottenuto solo se nella Società dello Spettacolo rimane la lotta

di classe. Il soggetto rivoluzionario è sempre il proletariato, del quale Debord amplia la

definizione, fino ad includervi tutti coloro che hanno perso il controllo sulla propria

esistenza.

«È l’immensa maggioranza dei lavoratori, che hanno perduto ogni potere sull’impiego della

loro vita, e che dal momento in cui lo sanno, si ridefiniscono come proletariato, il negativo

all’opera in questa società».

Affinché questa classe sia rivoluzionaria è necessario però che prenda coscienza del

tempo storico. Debord considera l’evoluzione di questa presa di coscienza strettamente

legata al progresso tecnico. Originariamente, quando l’agricoltura era l’unica attività

produttiva, la concezione del tempo era da questa determinata. Tale rappresentazione era

pertanto quella del tempo ciclico dell’eterno ritorno. Il tempo diventa sociale quando si

formano le classi al potere, le quali, non lavorando la terra, iniziano ad avere coscienza del

tempo storico, e della sua irreversibilità. Per il vertice della società la storia inizia ad avere

un senso, e quest’idea entra in contrasto con quella della base della società, per la quale

vale l’opposto. La religione monoteista è il risultato di questa contraddizione.

La diffusione del tempo storico ha luogo con la borghesia, giacché con il capitalismo il

lavoro cessa di essere regolare e ciclico, ma subisce anch’esso una continua

trasformazione. Tuttavia, nel momento in cui la concezione del tempo potrebbe diffondersi

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anche alla base, esso perde la sua storicità per tutta la società, divenendo il tempo «della

produzione in serie degli oggetti».

«Il tempo delle cose» si sostituisce a quello delle persone. Ne risulta una perdita totale

dell’aspetto qualitativo del tempo, il quale viene ridotto esclusivamente al suo lato

quantitativo. In quest’ambito, i momenti si distinguono solo per aspetti quantitativi, si attua,

quindi, per il tempo, lo stesso processo descritto da Marx per la merce, con il passaggio

dal valore d’uso al valore di scambio. Anche il tempo è mercificato.

Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato deve riprendere coscienza del divenire

del tempo storico. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di

perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine

alla storia.

Il proletariato può arrivare alla coscienza della storia, del suo carattere di processo e lotta,

dopo essere passato per uno sviluppo «complesso e terribile». Debord analizza questo

sviluppo del movimento operaio, considerandolo come un’evoluzione verso la presa di

coscienza.

Tale movimento è cominciato con la Prima Internazionale, nella quale il problema

principale era l’autoritarismo, che Marx e Bakunin condividevano, e dovuto all’ideologia,

vera e propria degenerazione della teoria rivoluzionaria. L’anarchismo individualista è

considerato da Debord «risibile» (ibid.), e l’anarchia in generale poco efficace poiché ha

posto attenzione più sull’obiettivo che sui mezzi, e si basa sulla concezione ideologica di

una «libertà pura» (ibid.), idealista ed astorica. La socialdemocrazia, invece, commette

l’errore di rafforzare la distinzione tra il proletariato ed i dirigenti del partito, in questo è

precorritrice del bolscevismo. L’Unione Sovietica, e successivamente la Cina, non sono

considerati da Debord paesi comunisti, ma capitalisti di Stato, con la burocrazia che si

sostituisce alla borghesia come classe sfruttatrice. Anche Trotzkij, infine, ha condiviso

l’autoritarismo bolscevico e non ha visto nella burocrazia una nuova classe, ma solamente

un ceto parassitario.

«In questo sviluppo complesso e terribile che ha condotto l’epoca delle lotte di classe

verso nuove condizioni, il proletariato dei paesi industriali ha completamente perduto

l’affermazione della sua prospettiva autonoma, e, in ultima analisi, le sue illusioni, ma non

il suo essere. Esso non è stato soppresso».

La forma nella quale tale essere può venire recuperato è quella del consiglio operaio.

Esso «è il luogo in cui le condizioni oggettive della coscienza storica sono riunite; la

realizzazione della comunicazione diretta attiva, in cui finiscono la specializzazione, la

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gerarchia e la separazione, in cui le condizioni esistenti sono state trasformate in

condizioni dell’unione».

La costituzione dell’Internazionale Situazionista ha lo scopo di favorire questa presa di

coscienza. Tale obiettivo è stato perseguito in modo diverso in tempi diversi. Innanzi tutto

attraverso un’attività di avanguardia culturale ed artistica. Tale avanguardia è resa

necessaria dal fatto che la sovrastruttura culturale è rimasta indietro rispetto allo sviluppo

della struttura; ed è questo il motivo per cui la borghesia è contraria ai movimenti

avanguardisti.

La cultura, però, non deve più essere un’attività separata, ma deve inserirsi nella vita

quotidiana, la quale rimane l’unico campo in cui può compiersi la rivoluzione. In questo

contesto l’arte deve portare nuovi valori e nuove passioni, mirando alla propria distruzione

come sfera separata.

«Ci collochiamo dall’altro lato della cultura. Non prima di essa ma dopo. Noi diciamo che

bisogna realizzarla, superandola in quanto sfera separata» (L’Internationale

Situationniste).

L’attività dell’Internazionale Situazionista in questa fase è diretta a portare alla luce i

«desideri dimenticati», creando situazioni in cui gli individui potessero divenire

partecipanti gioiosi della vita e non osservatori passivi dello spettacolo. Lo scopo è la

soddisfazione del desiderio, concretamente e senza sublimarsi nell'arte. Portare l’arte

nella vita e nella storia.

Successivamente Debord ha posto maggiormente attenzione alle nuove forme di ribellione

sociale. Gli esempi che considera sono gli scioperi selvaggi, il vandalismo delle bande

giovanili, il saccheggio, la rivolta nel quartiere nero di Los Angeles. Debord vi vede un

rifiuto del consumo imposto e della merce. Debord definisce questi eventi «il secondo

assalto proletario contro la società di classe» (“La Società dello Spettacolo”).

Questo assalto non è dovuto, come il primo, alla miseria, ma al contrario è diretto contro

l’abbondanza. E proprio come il movimento operaio è stato preceduto dal luddismo,

questo nuovo assalto assume inizialmente forme criminali, dirette alla «distruzione delle

macchine del consumo permesso».

Debord continua, comunque, ad attribuire all’avanguardia un ruolo estremamente positivo.

Per questo l’Internazionale Situazionista rimane un gruppo piccolo, elitario, molto chiuso.

L’avanguardia è però concepita in modo diverso rispetto a Lenin. Secondo Debord essa

ha un ruolo esclusivamente prerivoluzionario, volto a favorire l’insurrezione attraverso una

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critica radicale delle società  capitalistiche moderne, nei loro aspetti politici, economici,

urbanistici.

“Più aumentano la razionalizzazione e la meccanizzazione del processo lavorativo, più l’atteggiamento del lavoratore perde il suo carattere di attività per trasformarsi in un atteggiamento contemplativo…” (“Storia e coscienza di classe” di Gyorgy Lukács)

Aggiunge Debord: “Il consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale”.

Questo è il surplus richiesto al lavoratore elevato al rango di consumatore durante il periodo di svago dal lavoro, bombardato da colossali investimenti in campo pubblicitario che garantiscono alla classe dominante di inculcare e imporre sempre più il modello di vita piccolo borghese, modello cinico, egoista, indifferente.

“lo spettacolare diffuso accompagna l'abbondanza delle merci, lo sviluppo non perturbato del capitalismo moderno... è in questa cieca lotta che ogni merce, seguendo la sua passione, nell'incoscienza generalizzata realizza, in effetti, qualcosa di più elevato: il divenire mondo della merce, che è altrettanto divenire merce del mondo”.

Nell'artificio generalizzato del nuovo ordine civile si inscrive la fine della modernità (intesa come trionfo del simulacro e conseguente indebolimento della storicità). A questo artificio totalizzante corrisponde l'affermarsi dello "spettacolo imperiale", chiuso ad ogni dimensione o riferimento altro da sé. E' l'ultima frontiera dello spettacolare, nel contesto storico di un dominio imperiale che si attua sia come "spettacolo globale" - inteso a recuperare un'unità fittizia del mondo  sia come "virtualità". Mentre da una parte, dunque, si realizza la spettacolarità diffusa descritta da Debord (concentrata e integrata, che nel globale trova infine il suo compimento), dall'altra si apre la dimensione simulativi del virtuale, contrassegnato da un dileguarsi della realtà.

È il feticismo della merce informatica, dello spettacolare simulativo che sul piano ideologico tende a stabilizzare la presa sull'economia dell'immaginario.

A questo proposito, Hardt e Negri affermano che l'analisi di Debord "risulta sempre più pertinente e urgente", in relazione alla spettacolarità “imperiale” che si presenta come distruzione di ogni forma di socialità di massa e con l'isolamento degli attori sociali. Tale spettacolarità imperiale, nel momento in cui crea forme di desiderio e di piacere strettamente legate alla paura, finisce essa stessa col comunicare paura.

Hardt e Negri ritengono che Debord appartenga di diritto a quella storia del pensiero critico che ha riconosciuto il destino trionfante del capitalismo, da Lenin a Horkheimer e Adorno. Questi ultimi scrivevano nel 1947: “Le automobili, le bombe e il cinema tengono insieme il tutto finché la loro tendenza livellatrice finirà per ripercuotersi sull'ingiustizia stessa a cui serviva”.

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Mentre Marcuse affermava nel 1964 che “al progresso tecnologico si accompagna una razionalizzazione progressiva ed anzi la realizzazione dell'immaginario... l'Immaginazione non è rimasta immune dal processo di reificazione”.

Nel 1967, Debord ci parla di come nella "moderna società incatenata" il sogno divenga sonno e di come lo spettacolo sia il guardiano di questo sonno.

Le medialità spettacolare, come esercizio del potere imperiale, opera attraverso la merce che tende a occupare il desiderio, attraverso la biopolitica, attraverso le tecnologie della comunicazione che veicolano saperi atti a fondare soggettività fittizie, ad alimentare bisogni e consensi verso la merce e l'impresa: uno spazio in cui la verità non ha più alcuna attrattiva.

Queste nuove servitù - per cui più i servi si sentono padroni più affermano la loro condizione servile - trovano la propria spiegazione nella strategia del "grande Altro" lacaniano: figurazione che ben richiama al dominante ordine simbolico spettacolarizzato dell'impresa che tende a determinare e saturare sempre di più, in un ambito globale, le dinamiche soggettive del desiderio.

Nei capitoli 5 e 6, il rapporto fra tempo e storia viene da Debord esaminato nel suo sviluppo, procedente da un tempo ciclico senza conflitti a un tempo irreversibile proprio del medioevo. Con l'ascesa della borghesia si afferma il tempo storico, anch'esso irreversibile, ma il cui uso è vietato alla società dalla borghesia padrona stessa]. A tale tempo irreversibile corrisponde il tempo-merce della produzione corrispondente, a sua volta, al tempo pseudociclico del consumo. Si tratta del tempo spettacolare proprio di un' “epoca senza festa”, una dimensione in cui lo spettacolo viene a porsi come “falsa coscienza del tempo”.

Nel capitolo 7, Debord mostra come lo spazio divenga lo scenario del capitalismo e come la strutturazione del territorio, alterando in modo strumentale il rapporto tra città e campagna, miri a realizzare un maggior controllo delle persone e quindi il loro isolamento. Una rivoluzione che tenderebbe ad affermarsi nell'ambito dell'urbanismo viene individuata da Debord in un ritorno ai bisogni e alle condizioni dei lavoratori fatte proprie dai Consigli.

Nel capitolo 8, il consumo spettacolare viene da Debord denunciato come consumo della cultura-merce anche nei suoi correlati sociologici di comodo. La cultura che viene ad affermarsi va negata unitamente al linguaggio che la veicola, mentre il “plagio necessario” e il détournement (rovesciamento e riappropriazione) vengono a costituire prospettive di recupero creativo del senso.

L'ultimo breve capitolo tratta in nove tesi del trionfo dell'ideologia (qui, come in tutta la Società dello spettacolo, il termine "ideologia" va inteso in senso strettamente marxiano) nella sua materializzazione che è lo spettacolo. La falsa coscienza, in tal modo, celebra il proprio trionfo che è il trionfo di una base materiale relativa ad una verità capovolta. La lotta è dunque per un'effettiva verità e per l'emancipazione da questa base materiale.

Il tragitto del détorunement si conclude aprendosi ai primi tre capitoli che disegnano tesi il cui valore è continuamente avvalorato dal riscontro periodico con la realtà del capitalismo contemporaneo.Le 72 tesi dei tre capitoli tracciano un percorso organico, partendo dal concetto di separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione

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(sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs della “Teoria del romanzo”, 1920) - per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche all'eccesso di metafisica lukacsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell'unità presente nel mondo greco e ormai in via di compimento nel capitalismo.

La separazione insanabile è dunque tra il vissuto e la sua rappresentazione: quest’ultima tende ad accumularsi e a predominare sul vissuto che nella società capitalistica viene sempre di più a marginalizzarsi e a diventare, nella sua verità, solo il momento di una rappresentazione totalizzante che sappiamo falsa.

Si tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo, in cui più tende ad affermarsi l'apparire, più l'uomo è separato dalla vita. Lo spettacolo quindi si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il suo essere capitale.

il predominio dello spettacolo si attua attraverso l'occupazione della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore d'uso in una società che sancisce la vittoria dell'economia autonoma.

Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto là dove, infine, l'economia finisce con dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord scrive che là dove c'era l'es economico deve venire l'io e afferma che il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio costituiscono un unico progetto mirante all'abolizione delle classi.

Questo passaggio, in genere abbastanza ignorato, rappresenta invece un punto importante dato che, malgrado l'avversione di Debord per le scienze umane in generale, esso rispecchia un nucleo importante della psicoanalisi di J. Lacan. Questi, mostrando come in effetti la spaltung, la scissione, sia costitutiva dell'essere umano e rappresenti il prezzo che questi deve pagare per accedere - ed essere riconosciuto - all/dall'ordine simbolico (Stadio dello specchio), indica come la colonizzazione del desiderio rappresenti la strategia principale del capitalismo nel suo stadio attuale.

Il terzo capitolo probabilmente è il più "francofortese". Nella sua unità fittizia, lo spettacolo maschera le contraddizione e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari: tutto ciò rappresenta un "artificiale" che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della miseria che smentisce o mantiene.

Debord mette sotto accusa l'economia autonomizzata e sottratta al controllo umano e la divisione della società in sfere separate quali politica, economia ed arte, arrivando alla critica del lavoro astratto che rimodella la società secondo le proprie esigenze. "Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione" si legge all'inizio di La Società dello spettacolo: Invece di vivere in prima persona, si contempla la vita delle merci.

"Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni".

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Debord aveva predetto nel 1967:

"Nel momento in cui la società

scopre di dipendere dall'economia,

l'economia di fatto dipende da essa

[...] Là dove c'era l'es economico

deve venire l'io [...] Il suo contrario

è la società dello spettacolo, dove

la merce contempla se stessa in un

mondo da essa creato". L'inconscio

sociale, l'es dello spettacolo, su cui

si basa l'organizzazione sociale

attuale, doveva mobilitarsi per

tappare questa nuova falla apparsa

proprio in un momento in cui l'ordine regnante si credeva più al sicuro che mai. Tra le

contromisure prese dall'inconscio economico troviamo anche i tentativi per neutralizzare la

critica radicale della merce che aveva trovato la sua espressione più alta nei situazionisti.

Ridurre Debord stesso a più miti consigli era impossibile, a differenza di quanto è

avvenuto con quasi tutti gli altri "eroi" del '68. E la sua teoria stessa non lasciava spazi a

equivoci: "Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all'occupazione totale

della vita sociale" vi si legge. Ma vi era un'altra possibilità per gli stregoni della merce:

quella di fingere di parlare il linguaggio della critica radicale, apparentemente in maniera

ancora un po' più estrema ed audace, ma in verità con intenti e contenuti opposti. Che la

nostra epoca preferisca la copia all'originale, come dice Debord citando Feuerbach, si è

rivelato vero anche nei confronti della critica radicale stessa. Secondo Debord, lo

spettacolo è il trionfo del parere e del vedere, dove l'immagine sostituisce la realtà. La

televisione viene citata da Debord solo come esempio; lo spettacolo è per lui uno sviluppo

di quell'astrazione reale che domina la società della merce, basata sulla pura quantità. Ma

se siamo immersi in un oceano di immagini incontrollabili che ci bloccano l'accesso alla

realtà, allora è apparentemente ancora più ardito dire che questa realtà è sparita del tutto

e che i situazionisti erano ancora troppo timidi o troppo ottimisti, poiché ormai il processo

di astrazione ha divorato tutta la realtà e lo spettacolo è oggi ancora più spettacolare e

totalitario di quanto si immaginasse prima, spingendo i suoi crimini fino all' "assassinio

della realtà" stessa.

Jean Baudrillard, “Il Sogno della Merce”

[...] Lo spettacolo lasciava ancora posto per una coscienza critica e una demistificazione

[...] [mentre] oggi siamo al di là di ogni disalienazione"

Immagine:

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“Il mondo è già stato filmato, si tratta ora di trasformarlo”.

Tra il 1952 e il 1978 Debord dirige tre lungometraggi e tre cortometraggi. Il cinema di Debord rifiuta ogni tipo di alienazione.

II 30 giugno 1952, al cine club del Musée de l’Homme di Parigi, l’opera prima di Debord, “Hurlements en faveur de Sade”, irrompe sulla scena: Si tratta di un film non-film o di un anti-film: niente immagini, niente trama: solo voci e pause alternate al bianco e nero dello schermo. Il film termina con 24 minuti di schermo nero. In questa maniera Debord intende affermare la sua volontà distruttiva di questa forma d’arte, poiché egli pensa che il cinema offra al pubblico nient’altro che vite sostitutive.

Successivamente, realizza altre opere utilizzando il détournement in cui brani di film o di testi vengono riassemblati con lo scopo di dar loro un nuovo significato (un blob ante-litteram).

Debord considerava il cinema come una macchina commerciale e uno strumento di pacificazione sociale. Per questo nei suoi film compaiono le sue idee rivoluzionarie, in cui le immagini sono considerate invasive, poiché ogni forma di rappresentazione spettacolare non è altro che un impoverimento rispetto alla complessità e intensità della vita. I suoi film (o non-film) sono quindi dei veri e propri manifesti della negazione della società.

Debord viaggerà molto spesso nel corso della sua vita e visiterà spesso l'Italia, in particolare durante gli anni di piombo: nel 1977 ne viene espulso con l'accusa di fomentare la violenza.

Morì suicida con un colpo di fucile nel 1994.

“Siamo degli artisti per quello che non siamo più artisti: noi veniamo a realizzare l'arte”

GUY DEBORD

Debord e la Psicogeografia

Situazionismo - Wikipedia

The Society of the Spectacle - Wikipedia

Guy Debord - Anarcopedia

Le sottigliezze metafisiche della merce

LA SOCIETA' DELLO SPETTACOLO OVVERO CRISI DELLA MODERNITA' E SCONFITTA DELLA POLITICA

In girum imus nocte et consumimur igni (1978) di Guy Debord

GUY DEBORD READYMADETOUR FILM PER TUTTI E PER NESSUNO