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LO SPIRITO DELLA TEMPESTA Quanto più rapidamente verrà annientata la razza umana, meglio sarà: nessuno deve rimanere vivo, non dev'esserci compassione per la feccia della Terra”. Ha annunciato la strage con un video su YouTube, poi si è recato a scuola, la “Jokela High Shool” della città di Tuusula, a circa 60 chilometri da Helsinki, e ha ucciso otto persone, prima di togliersi la vita sparandosi alla testa. Pekka-Eric Auvinen, il 18enne finlandese che ha compiuto la strage, era affascinato dalle armi ed aveva atteggiamenti violenti. Si diceva un ammiratore di Hitler e Stalin e nel profilo che accompagnava il suo video, utilizzava come nickname “Sturmgeist89” (“Lo spirito della tempesta”). Si definiva “un esistenzialista cinico, un umanista antiumano, un darwinista sociale antisociale, un idealista realista e un ateo che si crede un dio”. L'account su YouTube era stato aperto dopo un precedente tentativo fallito per intervento degli amministratori del sito. La sua pagina personale era divisa in quattro sezioni - società, vita, religione, filosofia - piene di messaggi apocalittici: “Arriveranno le rivoluzioni, i governi crolleranno, l'idiocrazia della maggioranza sarà sostituita dalla libertà e la giustizia”. La polizia ha detto che il ragazzo proveniva “da una famiglia normale”, era incensurato e aveva preso il porto d'armi lo scorso 19 ottobre (rispetto agli standard europei, in Finlandia il porto d'armi è ottenibile più facilmente, ma gli scontri a fuoco sono estremamente rari: l'ultimo caso in una scuola

La Violenza e Il Sacro

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“La specie umana è la specie che può sempre distruggere se stessa. Per questo ha creato la religione. È questa l'essenza dell'esistenza umana, è l'origine della proibizione dei sacrifici e della violenza. Dove si è dissolta la religione, lì è iniziato un processo di decomposizione”

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LO SPIRITO DELLA TEMPESTA

“Quanto più rapidamente verrà annientata la razza umana, meglio sarà: nessuno deve rimanere vivo, non dev'esserci compassione per la feccia della Terra”.

Ha annunciato la strage con un video su YouTube, poi si è recato a scuola, la “Jokela High Shool” della città di Tuusula, a circa 60 chilometri da Helsinki, e ha ucciso otto persone, prima di togliersi la vita sparandosi alla testa. Pekka-Eric Auvinen, il 18enne finlandese che ha compiuto la strage, era affascinato dalle armi ed aveva atteggiamenti violenti. Si diceva un ammiratore di Hitler e Stalin e nel profilo che accompagnava il suo video, utilizzava come nickname “Sturmgeist89” (“Lo spirito della tempesta”). Si definiva “un esistenzialista cinico, un umanista antiumano, un darwinista sociale antisociale, un idealista realista e un ateo che si crede un dio”.

L'account su YouTube era stato aperto dopo un precedente tentativo fallito per intervento degli amministratori del sito. La sua pagina personale era divisa in quattro sezioni - società, vita, religione, filosofia - piene di messaggi apocalittici: “Arriveranno le rivoluzioni, i governi crolleranno, l'idiocrazia della maggioranza sarà sostituita dalla libertà e la giustizia”.

La polizia ha detto che il ragazzo proveniva “da una famiglia normale”, era incensurato e aveva preso il porto d'armi lo scorso 19 ottobre (rispetto agli standard europei, in Finlandia il porto d'armi è ottenibile più facilmente, ma gli scontri a fuoco sono estremamente rari: l'ultimo caso in una scuola risale al 1989, quando un 14enne sparò contro due alunni che lo prendevano in giro, uccidendoli).

Il video pubblicato su YouTube mostra la foto di una scuola che sembra proprio l'istituto “Jokela”, dove ha avuto luogo la sparatoria. L'immagine poi si scompone e rivela la foto, rossa, di un uomo che punta una pistola contro la macchina fotografica. Il video è intitolato “Strage alla Scuola superiore Jokela - 7 novembre 2007”. Dopo poche ore, in rete, prima di essere rimosso, prima del compimento effettivo della strage, il video aveva ricevuto oltre 125mila contatti. Ma nessuno ha pensato ad avvisare la scuola.

L'UOMO E IL SACRO

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Partendo dalle analisi dell'antropologo Marcel Mauss sulla funzione del sacro nelle società arcaiche, Roger Caillois ne rivaluta il ruolo anche nelle società moderne, tendenti alla uniformità, al livellamento, al rilassamento delle tensioni propri dell' “homo oeconomicus”. Come Georges Bataille, anche Caillois giunge a considerare la reintroduzione del sacro, con tutta la sua ambiguità, il solo modo per contrastare le tendenze distruttive all'opera nella modernità.

Erano gli anni del Collège de Sociologie, tra il 1937 e il 1939, condivisi con Bataille e Leiris, che Caillois rievoca nel 1974 in “Approches de l'Imaginaire”: “Eravamo d'accordo sull'importanza eminente, per non dire decisiva, del sacro, nelle emozioni degli

individui come nelle strutture della società”. Per Bataille, il sacro era la via del ritorno alla “totalità perduta”; per Caillois, ciò che gli permetteva di misurare la distanza tra le società arcaiche, studiate da Mauss, da Dumézil, da Granet, e quella società moderna che, nel suo saggio-manifesto del 1937, “Il Vento d'Inverno” (una metafora che intendeva esprimere quello spirito di glaciazione che aleggiava sull'Europa e gli europei alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale), lui stesso aveva definito “divenuta profana all'estremo”.

Alla fine degli anni Trenta, Caillois si rifaceva alla severità di Stirner, Nietzsche, Baudelaire, Rimbaud. In particolare a Baudelaire, alla sua lucidità critica mascherata da dandysmo. Si prendano ad esempio i “Journaux Intimes”, dove riaffiora costantemente la nostalgia del sacro, elemento di redenzione e di coesione che le società moderne hanno irreparabilmente smarrito: “Il misticismo, anello di congiunzione tra paganesimo e cristianesimo. Il paganesimo e il cristianesimo sono la prova l'uno dell'altro. La Rivoluzione, attraverso il sacrificio, conferma la superstizione. (...) Anche se Dio non esistesse, la Religione sarebbe ancora Santa e Divina”.

Questa nostalgia di Baudelaire per una società aristocratica fortemente “sacralizzata” è al centro del “Vento d'Inverno”, quando l'allora venticinquenne Caillois se la prende contro la

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volgarità e l'egoismo dei “sazi” e dei “trionfanti”. Era il decennio in cui termini come “mito” e “fede”, “rito” e “sacrificio”, “nuova religione” e “mistica”, erano sfruttati dalle organizzazioni giovanili fasciste e naziste, che si presentavano come ordini monastici impegnati in un'esaltante crociata anti-materialistica. Fu proprio la disamina rigorosamente razionale e scientifica delle forme del sacro, portata avanti dai fondatori del Collège de Sociologi, a tracciare quella linea di confine inequivocabile tra la retorica, suggestiva e inquietante, del razzismo spiritualista, e la fascinazione per il “numinoso”.

È proprio questa disamina che Caillois mette a punto nell'anno che segue la stesura del “Vento d'Inverno”. Nasce così “L'uomo e il Sacro”, concentrato degli anni di studio trascorsi all'École des Hautes Études e di vaste letture etnografiche che spaziano dall'antica Grecia all'antica Cina, dalle tribù indiane d'America agli eschimesi, dai maori alla Roma repubblicana. Lo sforzo di Caillois è quello di pervenire a una sintesi partendo da una sterminata mole di materiali analitici. Dai suoi attenti raffronti, la fisionomia del sacro emerge fissata nelle costanti che la caratterizzano attraverso i secoli e sotto le più varie latitudini. «In fondo, la sola cosa che si possa validamente affermare intorno al sacro in generale, è contenuta nella definizione stessa della parola: sacro è ciò che si oppone al profano. Appena si tenta di precisare la natura, la modalità di questa opposizione, si incontrano grandissimi ostacoli. Per quanto elementare, nessuna formula risulta applicabile alla complessità labirintica dei fatti».

Nelle società tribali, come nella Grecia delle città-stato, nella Roma repubblicana e nella Cina dei clan, è proprio la dicotomia sacro-profano a organizzare e a scandire la vita comunitaria. Il sacro, ambito di forze misteriose alle quali si chiede protezione e assistenza, ma dalle quali è anche necessario proteggersi costantemente, va tenuto ben distinto dal profano: ogni mescolanza tra i due ambiti minaccia non solo l'ordine della vita associata ma quello dell'intera natura, dell'universo.

Sull' “ordo rerum”, l'ordine naturale delle cose, che un rigido sistema di tabù e di riti protegge da ogni violazione intempestiva, grava una minaccia terribile: quella del ritorno al caos primigenio, alla remota età di confusione, dalla quale gli antenati e gli eroi, con strenua fatica, fecero emergere stabili strutture familiari e sociali. Queste strutture rischiano sempre, con il tempo, di logorarsi e perire: per rivivificarle, il solo rimedio è una provvisoria reimmersione della società intera nel caos dal quale è sorta. E il modo migliore per farlo, dice Caillois, è la festa: nella festa

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(nel rito), ogni divieto è non solo infranto, ma rovesciato (il mondo capovolto), ogni trasgressione è prescritta. Dalla festa, la società esce ringiovanita e rafforzata, pronta ad un nuovo ciclo del suo destino, scritto da sempre nei più profondi istinti umani, nelle pulsioni psico-biologiche ben prima che religiose.

È proprio a proposito della festa che la riflessione di Caillois suggerisce il confronto tra le società tradizionali, studiate dagli etnologi, e la società moderna. In quest'ultima, che ha ridotto e interiorizzato al massimo lo spazio del sacro, la festa non esiste più: le “vacanze” dell'individuo, momento di rilassamento anodino e isolato, non ne conservano nemmeno il più vago ricordo (sono ormai un rito borghese totalmente de-sacralizzato). Nella vita delle società capitalistiche industriali (e globalizzate), il momento della festa, in cui la distruzione programmata e massiccia sostituisce l'accumulazione delle ricchezze, in cui tutte le regole morali sono rovesciate, è stato sostituito dal più grave dei crimini: l'assassinio, prescritto quasi come un sacro dovere.

È dunque il momento della guerra in cui l'uomo moderno, orfano del sacro, ritrova il contatto col suo sé più profondo, con la sua natura dionisiaca. Su questa intuizione, enunciata verso la fine de “L'Uomo e il Sacro”, Caillois torna in un saggio del 1949, “La Vertigine della Guerra”: pagine sconvolgenti in cui allinea testimonianze di protagonisti della storia e di scrittori che hanno vissuto il primo e il secondo conflitto mondiale come un'esperienza di mistica esaltazione, di sacra ebbrezza, di totale vertigine.

Isolato dal sistema mitico-rituale di contrappesi che preservava le società tradizionali dalla distruzione completa, il momento della festa - in cui il sacro irrompe nel profano - diventa per la società moderna quello della violenza e della sopraffazione, in tutte le sue forme: lo stupro, la tortura, l'assassinio, la strage, la guerra.

Fino a quella più mostruosa e più esaltante: la bomba atomica, simbolo di un nichilismo e di una volontà di onnipotenza che minaccia, ancora oggi, la sopravvivenza stessa dell'umanità.

(Pubblicato su Ecplanet 11-11-2007)

VIOLENT SHIT

Wisconsin (USA), 7 ottobre. Un vice-sceriffo uccide cinque ragazzi dopo essere ucciso a sua volta. Non è chiaro cosa lo abbia indotto a fare strage. Le vittime avevano tra i 16 e 21 anni.

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Salerno, 10 settembre. Aniello Barbarulo, cinquantanni, accoltella il vicino di casa dopo una banale discussione.

Milano, 10 ottobre. Un rumeno di 36 anni violenta una ragazza di 25 anni al capolinea di un mezzo pubblico.

Spresiano (Treviso), 12 ottobre. Arrestato un rumeno per aver violentato, insieme ad un altro rumeno, una madre di 40 anni sul sagrato della chiesa del paese.

Matera, 12 ottobre. Quattro ragazzi, di età compresa fra i 19 e i 26 anni, tutti incensurati, stuprano una ragazza di 15 anni, aspettando il proprio turno giocando alla playstation.

Nevada (USA), 16 ottobre. Arrestato Chester “Chet” Arthur Stiles: aveva violentato una bambina di tre anni e messo su internet un video dello stupro.

Bracciano, 27 ottobre. 36enne perde il lavoro e massacra di botte i genitori ultrasettantenni.

Cagliari, 2 novembre. 34enne aggredita brutalmente a calci e pugni e poi violentata da un 20enne dopo una serata in discoteca.

Guidonia, 4 novembre. Angelo Spagnolo, ex tiratore scelto dell'esercito, spara dal terrazzo della sua casa sui passanti facendo un morto e otto feriti. Oscure le ragioni del folle gesto.

Lecce, 5 novembre. Una donna di 40 anni aggredisce a coltellate una coppia di anziani coniugi uccidendo la moglie e ferendo il marito.

Torino, 7 novembre. Giovanni Garbero, 53 anni, uccide la madre con un colpo di pistola alla nuca, poi pulisce e olia la pistola, la ripone, e va a lavorare.

Genova, 7 novembre. Un marocchino di 39 anni massacra di botte la propria moglie perché gli aveva rifiutato un rapporto sessuale.

Cagliari, 7 novembre. Giuseppe Terracciano, 64 ani, uccide la moglie a colpi di fucile perché voleva separarsi e poi si costituisce.

Pola, 8 novembre. Uno squilibrato croato sui quarant'anni uccide a colpi di arma da fuoco suo padre, suo fratello, sua cognata e due figli di quest'ultima, di sette anni e due mesi.

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Saviano (Napoli), 8 Novembre. Un ragazzo di 22 anni accoltella, ferendoli, i genitori della fidanzata perché contrari alla relazione.

Tortolì (Nuoro), 8 novembre. Un giovane di 18 anni accoltella davanti ad un istituto scolastico un ragazzo di 16 anni che aveva insultato la fidanzata.

Giulianova, 9 novembre. Il quarantenne Daniele S. afferra un coltello e colpisce il convivente, un ragazzo di 29 anni.

Lecco, 9 novembre. Roberto Ierardi, 26 anni, uccide per gelosia a colpi di cric un proprio cliente e subito dopo si costituisce.

LA VIOLENZA E IL SACRO

“Come nelle braccia di una donna amata perdiamo ogni distinzione fra l'esterno e l'interno, così l'essere umano (purusha) abbracciato dall'assoluto onniscente (prajnatmana) è soddisfatto in ogni suo desiderio (kama); solo il desiderio dell'assoluto persiste, ogni altro sparisce, così come sparisce ogni dolore” (Brhadaranyaka Upanishad IV.3.21).

“Non desiderare la donna altrui”.

Secondo l'antropologo Renè Girard, autore del testo fondamentale “La Violenza e il Sacro”, il desiderio umano è sempre “mimesis” (imitazione), secondo uno schema triangolare, per cui tra il soggetto che desidera e l'oggetto desiderato esiste un mediatore che indica gli oggetti da desiderare. Tutti i comportamenti, quelli individuali, quelli sociali e quelli dell'intera cultura umana, possono essere ricondotti al

triangolo del desiderio mimetico.

Ciò che secondo Girard la maggiorparte degli intellettuali sono incapaci di cogliere è che ogni desiderio è mimetico. E cioè, che non esistono desideri autentici, veramente nostri, veramente personali: l'autenticità si può cogliere solo nella dimensione sociale, inter-individuale, del desiderio, e del conflitto che genera, che si estende a tutta quanta

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la comunità, che diventa collettivo, e per questo ha la tendenza a diventare contagioso.

Più gente c'è che desidera lo stesso oggetto, più ce ne sarà: è una moltitudine che si moltiplica all'infinito, come avviene nel microcosmo delle borse finanziarie, che può essere visto come un microcosmo di puro desiderio. Per questo, le società umane sono minacciate da una violenza radicalmente diversa da quella tipicamente animale: la violenza del desiderio mimetico.

“Per l'uomo, l'Altro è fratello e gemello, egli vi è legato in una dualità senza ricorso” (Michel Foucault).

“Je Suis l'Autre” (Rimbaud).

Come ha detto Jacques Lacan, “per gli esseri umani il desiderio è il desiderio dell'Altro”. Secondo Lacan, l'essere umano non si costituisce come una sostanza autofondata o attraverso una facoltà di sintesi, ma dipende nel suo essere dal riconoscimento dell'Altro, dal “desiderio dell'Altro”. Non c'è una identità soggettiva che si costituisce per maturazione, per sviluppo psico-biologico di una potenzialità programmata esistente a priori. Il soggetto non è un seme che contiene già in sé la sua evoluzione; è piuttosto costituito, attraversato dall'Altro, innanzitutto dal desiderio dell'Altro: esso sarà, come l'esperienza clinica ci insegna, ciò che è stato per il desiderio dell'Altro. Lacan mostra così come il soggetto si presenti come un'identità solo sotto forma di quella maschera sociale che chiamiamo “io” (per Lacan il “sintomo umano per eccellenza”), ma la sua struttura consiste nell'essere abitata da sempre dall'Altro. Non c'è da una parte l'Io e dall'altra l'Altro. C'è l'Altro nel cuore stesso dell'Io, c'è lo straniero nel punto che si crede essere il più familiare.

“L'uomo è una specie unica al mondo: è l'unica che minaccia la propria sopravvivenza attraverso la violenza. Gli animali durante la gelosia sessuale non si uccidono a vicenda. Gli animali non conoscono il desiderio di vendetta. Gli esseri umani sì”.

L'uomo è una “macchina desiderante”. L'animale agisce secondo appetiti dettati dall'istinto, l'uomo invece desidera, osserva e successivamente imita. Le cose che noi vogliamo avere non le desideriamo in sé, ma perché sono possedute dal singolo modello a cui ci omologhiamo. C'è quindi uno stretto rapporto tra persona desiderante - oggetto desiderato - modello imitato, tale da provocare inevitabilmente uno scontro nel momento in cui l'oggetto non sia divisibile e usufruibile da entrambi. Ad esempio, una stessa donna o uno stesso uomo, oppure uno stesso oggetto (un telefonino, un'automobile, un orologio, un gioiello, un capo di abbigliamento, ecc.). Quando il

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desiderio non è soddisfatto, le singole rivalità tra gli uomini degenerano velocemente dando vita ad un desiderio unanime e indifferenziato di vendetta. Il propagarsi del sentimento di vendetta è definito da Girard come “contagio mimetico”, un contagio che si spande a macchia d'olio all'interno della comunità.

Dunque, la violenza umana è essenzialmente desiderio e imitazione. Per questo sono nate, secondo la tesi di Girard, in tempi arcaici, le istituzioni religiose. “L'unica grande differenza fra l'uomo e la specie animale è la dimensione religiosa”. Con buona pace di tutti i credi ateisti e materialisti, la religione si è resa necessaria per reprimere la violenza del desiderio umano che costantemente minaccia l'ordine socio-culturale e la natura stessa.

La religione serve a scaricare sul trascendente la responsabilità di tutta quella violenza, concreta, che la comunità umana non vuole accettare. Il rapporto con il sacro disumanizza la violenza, la sottrae all'uomo al fine di proteggerlo da essa, facendone una minaccia trascendente sempre presente che esige di essere placata da riti appropriati. “Pensare religiosamente è pensare il destino della città in funzione di quella violenza che domina l'uomo…è quindi pensare quella violenza come sovrumana, per tenerla a distanza”. Il sacro strappa agli uomini la loro violenza e la divinizza completamente. “Il processo sacralizzante dissimula all'uomo l'umanità della sua violenza”.

IL CAPRO ESPIATORIO

“La specie umana è la specie che può sempre distruggere se stessa. Per questo ha creato la religione. È questa l'essenza dell'esistenza umana, è l'origine della proibizione dei sacrifici e della violenza. Dove si è dissolta la religione, lì è iniziato un processo di decomposizione”.

La nascita della religione, molto prima del Cristianesimo, si è dunque resa necessaria per proibire i sacrifici, umani e animali, e proteggere la società dalla minaccia di una violenza generalizzata, in quanto imitata, volta all'appropriazione degli stessi oggetti desiderati.

Se due individui, imitandosi, desiderano la stessa cosa, può benissimo aggiungersi un terzo, un quarto… e il conflitto dei primi si allarga. Il conflitto-rivalità si trasforma in antagonismo generalizzato. Ma quando la violenza non può scaricarsi sul nemico che l'ha eccitata, si sfoga su un bersaglio sostitutivo e può anche focalizzarsi su una sola vittima arbitraria. Allora la folla si raccoglie unanime attorno alla vittima

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e la distrugge. L'eliminazione (espulsione o uccisione) della vittima fa sfogare la frenesia violenta da cui ciascuno era posseduto fino a poco prima. La vittima appare contemporaneamente come l'origine della crisi e come la responsabile del miracolo della pace ritrovata. Essa diviene “sacra”, proprio perché, prodigiosamente, capace di scatenare la crisi come di ripristinare la pace. La vittima sacrificale ha cioè un potere “divino”, di vita e di morte sul gruppo.

Questa è secondo Girard la genesi del religioso e in particolare del meccanismo sacrificale del capro espiatorio (o meccanismo vittimario). Ovvero, dell'istituzione del sacrificio rituale, come ripetizione dell’evento vittimario originario, in modo da riprodurne i miracolosi effetti, e del mito, come racconto di quell'evento dal punto di vista della folla, delle proibizioni e delle leggi, che sono l'interdizione d'accesso a tutti quegli oggetti del desiderio che provocano le rivalità e i conflitti che portano alla crisi.

L'elaborazione dei riti sacrificali (cerimonie religiose) e delle proibizioni (tabù) costituisce dunque una sorta di vademecum universale sulla violenza che si ritrova nei miti di tutte le culture umane. Nella Bibbia (Levitico, 16), nella Mishnah (Yoma cap. 6) e nel Talmud (Yoma, fogli 66-67), viene descritto il rito del Giorno dell'Espiazione, all'epoca del Tempio di Gerusalemme, come parte delle cerimonie ebraiche dello Yom Kippur: due capri venivano portati, assieme ad un toro, sul luogo del sacrificio, come parte dei Korbanot (“sacrifici”) del Tempio di Gerusalemme. Il sacerdote compiva un'estrazione a sorte tra i due capri. Uno veniva bruciato sull'altare sacrificale assieme al toro. Il secondo diventava il capro espiatorio. Il sacerdote poneva le sue mani sulla testa del capro e confessava i peccati del popolo di Israele. Il capro veniva quindi allontanato nella natura selvaggia, portando con se i peccati del popolo ebraico, per essere precipitato da una rupe a circa 10 chilometri da Gerusalemme.

L'elaborazione dei riti e dei divieti da parte dei gruppi proto-umani o umani prenderà forme infinitamente varie, obbedendo comunque a una prescrizione pratica molto rigorosa: la prevenzione del ritorno della crisi mimetica. È sempre il capro espiatorio ad addossarsi tutta la responsabilità di malefatte, errori o eventi negativi e deve subirne le conseguenze ed espiarne la colpa. Anche la tragedia, che si radica in una crisi del rituale, mette in scena una distruzione dell'ordine culturale: il parricidio e l'incesto di Edipo annunciano una crisi che sarà generata dall'indifferenziazione (che è la crisi della modernità ovvero la post-modernità, l'annullamento delle differenze).

La tragedia è strettamente legata alla violenza perché è “figlia della crisi sacrificale”, del venir meno di quel sistema di riti e

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proibizioni di cui sopra. Edipo diventa il capro espiatorio dell'intera umanità, diventa vittima espiatoria universale. Gli uomini tendono a convincersi che uno solo di loro è responsabile di tutta la mimesis violenta che li contamina tutti: distruggendo la vittima espiatoria gli uomini crederanno allora possibile sbarazzarsi del loro male ed effettivamente se ne libereranno poiché tra loro non ci sarà più il seme della violenza fascinatrice.

Poiché tale vittima viene sostituita a tutti i membri della comunità, la sostituzione sacrificale svolge proprio il ruolo che già le è stato attribuito: tramite la vittima espiatoria protegge tutti i membri della comunità dalle loro rispettive violenze. Questo

meccanismo però non estirpa la violenza, è solo un escamotage per dirigerla su una vittima sacrificale. La ricerca del capro espiatorio diventa l'atto irrazionale di ritenere una persona, un gruppo di persone, o una cosa, responsabile di una moltitudine di problemi. Vi sono tanti esempi, anche della storia recente, in cui l'individuazione di un capro espiatorio non è servito a fermare la spirale di violenza, ma ad alimentarla: Ad esempio, l'odio verso gli Ebrei, individuati dalla propaganda nazista come male da estirpare, che ancora oggi alimenta un anti-semitismo diffuso e nostalgia del nazismo. Oppure, l'odio verso i negri, gli immigranti, i comunisti, i “terroni”, le donne, gli omosessuali, i disabili, gli zingari. Più recentemente, i romeni.

Viene a costituirsi così una folla contagiata pronta a scegliere un capro espiatorio contro cui polarizzare tutto l'odio generatosi. Una volta contagiata, la folla è letteralmente “accecata”, incapace di rendersi conto dell'estrema ingiustizia ed infondatezza della violenza rivolta contro il capro espiatorio.

“Il conflitto, o la lotta è il padre e il re di ogni cosa” (Eraclito)

È sempre la cura per le vittime, nel bene e nel male, a determinare la cultura. Tutte le attività economiche, scientifiche, artistiche e anche religiose, secondo Girard, sono essenzialmente determinate dal meccanismo espiatorio. La rivalità-concorrenza, che è il sale delle nostre società, può produrre un gran numero di effetti positivi, favorevoli all'economia; ma sul piano psichico, affettivo, sociale, umano, produce una continua tensione nei rapporti, che diventa crisi se non viene gestita adeguatamente. Per questo le proibizioni si rendono necessarie, perché impediscono il precipitare nella

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spirale di violenza che ha causato la crisi. È grazie alle proibizioni che le società possono sopravvivere.

Tesi questa sostenuta anche da Lèvi-Strauss ne “Le Strutture Elementari della Parentela”, in cui interpreta il tabù dell'incesto come fondante di una cultura non-violenta basata sullo scambio e sul dono. Girard critica questa visione di un comunismo primitivo egalitario e non-violento, poi ripresa dal marxismo e dal femminismo, ritenendo che Lèvi-Strauss abbia erroneamente e arbitrariamente rimosso l'elemento di violenza che invece è alla base del meccanismo espiatorio e della costruzione culturale.

In sintesi: Girard sostiene che, per liberarsi dal circolo vizioso del desiderio e della violenza, le società hanno dato vita alle istituzioni religiose tradizionali e, soprattutto, al meccanismo sacrificale. Ma in seguito, riconsegnando Dio alla sua trascendenza (la “morte di Dio”), l'uomo moderno è ridiventato il solo responsabile della violenza.

La vendetta costituisce una minaccia insopprimibile, è “un processo infinito, interminabile”. Girard classifica in tre categorie tutti i mezzi messi in atto dagli uomini per proteggersi dalla vendetta interminabile: i mezzi preventivi, gli impedimenti alla vendetta, il sistema giudiziario. Finché non si crea un organismo che possa sostituirsi alla parte lesa e riservarsi la vendetta sussiste sempre “il pericolo di una escalation interminabile”. Nei popoli primitivi, dove non esiste un sistema giudiziario, è il sacrificio ad aiutare a tenere a bada la vendetta: il sacrificio è perciò, nella lotta contro la violenza, uno strumento di prevenzione che “polarizza le tendenze aggressive su vittime reali o ideali, animate o inanimate, mai suscettibili comunque di essere vendicate”.

Il sacrificio come prevenzione della violenza decade proprio là dove si istituisce un sistema giudiziario. “La giustizia non consiste nel sopprimere la vendetta, ma effettivamente a riservarla all'autorità suprema, ad una trascendenza sociale che è, in fondo, la stessa cosa del capro espiatorio nella religione arcaica. La giustizia è un fatto straordinario perché è l'ultima parola della vendetta. La giustizia è la vendetta pubblica, imperfetta, ma è comunque sempre una vendetta. Noi siamo qui, nel mondo moderno, a nutrire una sorta di malcontento perché non abbiamo ancora concepito qualcosa di superiore a questa forma di giustizia. Cerchiamo di raffinarla, di complicarla, ma, malgrado tutto, l'essenziale viene meno: la giustizia è la vendetta pubblica. Gli uomini arcaici erano terrorizzati dall'idea di vendetta interminabile, di una violenza senza fine. La giustizia arresta la vendetta”.

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“Sono l'agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo”.

È stata la Rivelazione cristiana, secondo Girard, ad annunciare la crisi del meccanismo sacrificale, la fine dell'epoca arcaica e l'inizio di una nuova era dello Spirito Santo. Nel racconto dei Vangeli si compie quell'oscillazione decisiva per cui la vittima sacrificale diventa l'innocente che come tale si rivendica. Così, il capro espiatorio si trasforma nell'agnello di Dio.

Questa Rivelazione svela clamorosamente la natura del sociale, del religioso e della violenza primitiva. Secondo l'interpretazione di Girard, dietro la dimensione mitica dei Vangeli vi è una crisi storica che fa riferimento ad una vera e propria crisi sacrificale, finita con la distruzione di Gerusalemme e del regno ebraico. Secondo Pilato, la morte di Cristo è un tentativo di risolvere la crisi, ce lo dice il testo. Ma è un tentativo fallito, perché la morte di Gesù non riuscì a riconciliare gli ebrei con i romani. Gesù è dunque simbolo di un meccanismo espiatorio che fallisce, là dove invece i meccanismi espiatori appartenenti ai miti antichi riuscivano.

Il testo ebraico-cristiano afferma in maniera inequivocabile che ci sono vittime innocenti, diversamente dai miti, che escludono l'idea di una tale innocenza e perpetuano il meccanismo del capro espiatorio. Con la cristianità, invece, si genera una rottura che dà vita ad un mondo aperto, dove può succedere di tutto, perché non ci sono più le forme di protezione sacrificali. Da qui, la via è aperta a quella strana forma di crisi sacrificale, sempre in funzione ma mai risolta, che è la modernità, una continua “caccia alle streghe”, una continua “strage di innocenti”.

I Vangeli, che parlano di un padre e una madre universali, e di una famiglia allargata a tutta l'umanità, dissolvono anche il concetto tradizionale di famiglia. Cristo annuncia una situazione di crisi globale, è, in un certo senso, il profeta della post-modernità e della globalizzazione: annuncia la crisi della famiglia, la crisi tra le nazioni, la crisi della religione. Una crisi più grande di tutte quelle dei tempi antichi, perché le protezioni sacrificali mitico-rituali cominciano a sfaldarsi, fino a scomparire del tutto.

“Nel cristianesimo, anziché assumere il punto di vista della folla, si assume quello della vittima innocente. Si tratta di un capovolgimento dello schema arcaico. E di un esaurimento della violenza”. Ecco il ruolo fondamentale di Cristo, figlio di Dio, umano e divino al tempo stesso, che annuncia il Regno di Dio sulla Terra: svelare la violenza, la barbarie, il male, l'insensatezza, del meccanismo sacrificale; spazzare via i

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precedenti miti, basati sulla menzogna, sulla “fabula”, affermando la verità: che le vittime sacrificali in realtà sono degli innocenti scelti come capri espiatori, e che dunque non devono essere immolati; che la violenza genera violenza, generando un circolo vizioso senza fine.

La lettura antropologica dei Vangeli, operata da Girard, mette in luce il primato di un insegnamento che si vota al rispetto della persona, alla tutela delle vittime innocenti immolate ingiustamente. “La Resurrezione di Cristo corona e porta a termine il sovvertimento e la rivelazione della mitologia, dei riti, di tutto ciò che assicura la fondazione e la perpetuazione delle culture umane. I Vangeli rivelano tutto quello di cui gli uomini hanno bisogno per comprendere la loro responsabilità nelle infinite violenze della storia umana e nelle religioni menzognere che ne derivano. (…) L'elaborazione mitica si fonda su un’ignoranza, su un'inconsapevolezza persecutoria che i miti non arrivano mai a identificare, dal momento che ne sono dominati”.

La vera unicità del messaggio cristiano, per Girard sta nella Resurrezione, con cui Gesù sconfigge, per la prima volta, il meccanismo vittimario. Dopo tre giorni, Gesù appare, risorto, agli Apostoli, portando con sé il dono della Grazia, dello Spirito Santo, ovvero della Redenzione di un’umanità colpevole per secoli di aver messo a morte o espulso ingiustamente dei loro simili, anch’essi figli di Dio.

I Vangeli proclamano il primato del Regno di Dio, che è il Regno dell’amore, del perdono, della vita pacifica, del riconoscimento dei diritti umani, del riconoscimento dell'inviolabilità della persona in quanto creatura divina. Proclamano che non ci dovranno essere più vittime espiatorie, mai più sacrifici per il raggiungimento della pace sociale. “La sofferenza sulla Croce è il prezzo che Gesù accetta di pagare per offrire all'umanità questa rappresentazione vera dell'origine di cui resta prigioniera, e per privare a lunga scadenza il meccanismo vittimario della sua efficacia”.

Gesù incarna un nuovo modello di redenzione, che si oppone a quello precedente, infrangendo la barriera della folla unanime che si scaglia contro il capro espiatorio: per la prima volta, una minoranza contestataria segue Cristo e non la folla, sceglie il modello buono. È un vero peccato,

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letteralmente, che l'imitazione di Cristo, come promulgata dal cristianesimo primitivo, non sia riuscita ad arrestare la violenza, la persecuzione, la ricerca continua di un capro espiatorio, giunta ad assumere proporzioni inaudite, come testimonia la storia degli orrori del Novecento, e anche quella più recente.

Una società che aspiri veramente a diventare civile, dovrebbe basare la propria costituzione socio-culturale sui 10 comandamenti, sacri e inviolabili, richiamandosi alla responsabilità di ognuno, e impegnandosi a farli rispettare.

“Esaminiamo in primo luogo il piatto della bilancia che contiene i nostri successi: dall’alto Medioevo in poi, tutte le grandi istituzioni umane si evolvono nel medesimo senso, il diritto pubblico e privato, la legislazione penale, la pratica giudiziaria, lo statuto giuridico delle persone. All'inizio tutto si modifica assai lentamente, ma il ritmo si accelera sempre più nel corso del processo e, se esaminiamo le cose nel loro insieme, vediamo che l'evoluzione va sempre nella stessa direzione, l'addolcimento delle pene, la protezione crescente delle vittime potenziali. La nostra società ha abolito la schiavitù e poi l'asservimento. (…) Ogni giorno si varcano nuove soglie. (…) L'unica voce sotto la quale si può raccogliere ciò che sto qui sintetizzando alla rinfusa, e senza alcuna pretesa di completezza, è la preoccupazione verso le vittime”.

È il sistema giudiziario che, nelle società moderne, pseudo-civili e pseudo-democratiche, è preposto ad allontanare la minaccia della vendetta. Non più la religione. Questa preoccupazione per le vittime innocenti è in linea con quanto afferma Gesù: la solidarietà, la compassione, il perdono, il rispetto reciproco. E, di conseguenza, tali aspetti dovrebbero costituire i molteplici sistemi giuridici tipici dello stato democratico fondato sui valori cristiani. La funzione principale del sistema giuridico è quella di allontanare il grave pericolo della vendetta. In quanto, qualora si inneschi un meccanismo di giustizia privata, la spirale di violenza sarà potenzialmente interminabile: si darebbe avvio ad una concatenazione di singoli episodi di vendetta che potrebbero portare all’estinzione della comunità sociale.

Il pericolo è sempre incombente. Lo abbiamo visto proprio di recente, con l'odio che si è scatenato contro un'intera comunità, quella dei romeni, per colpa di gravi episodi di violenza ad opera di singoli: la sete di vendetta ha subito cercato un capro espiatorio e si sono verificati alcuni casi di giustizia sommaria rivolti contro degli innocenti. Proprio per proteggere la società da questa furia cieca, compito del sistema giudiziario è quello di praticare una “vendetta pubblica”, che altro non è che un meccanismo espiatorio, volto a placare gli animi. Una società civile e democratica priva di

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organi giurisdizionali garanti della pace, del rispetto delle leggi e dei diritti fondamentali non può esistere. La magistratura ha il “monopolio della violenza”, è l’unico organo titolare del potere di emettere condanne per prevenire cicli infiniti di vendette private. Le sentenze si rifanno così ad un'idea di giustizia assoluta, a quel principio supremo che consente, per il bene del popolo, il ricorso ad una violenza legale, legittima e trascendente proprio perché ispirata da un'idea assoluta.

“Nel sistema penale non vi è alcun principio di giustizia che differisca realmente dal principio di vendetta. È il medesimo principio ad agire nei due casi, quello della reciprocità violenta, della retribuzione. O tale principio è giusto e la giustizia è già presente nella vendetta, oppure non c’è giustizia in nessun caso. Di colui che si fa vendetta da solo, la lingua inglese asserisce: He takes the law into his own hands prende la legge nelle sue stesse man”.

Non c’è differenza di principio tra vendetta privata e vendetta pubblica, ma vi è un'enorme differenza sul piano sociale: la vendetta pubblica non è più vendicata; il processo è finito; il pericolo di escalation è scongiurato”.

Messa definitivamente da parte l'utopia cristiana di un “Regno di Dio in Terra” pacifico e non-violento, governato dagli “uomini di buona volontà”, resterebbe solo la speranza di una giustizia sociale retta da un ordine democratico. Ma questa è un'altra utopia. Non esiste un tale sistema, perché non esiste una reale democrazia. Non è mai esistita e probabilmente non esisterà mai. Perché il mondo è governato dalla violenza del desiderio di uomini corrotti e senza scrupoli, che hanno tutto l'interesse a far sì che la violenza dilaghi. Perché il sistema giudiziario è anch'esso corrotto e dunque incapace di produrre giustizia, se non “vendette pubbliche” rivolte contro capri espiatori (come ad esempio è stato il processo a Saddam Hussein) che servono solo agli scopi del potere. Perché non esistono più, nel mondo secolarizzato di oggi, le “armi” di difesa mitico-rituali del sacro, tagliato fuori dall'orizzonte culturale, ma che ritorna sotto forma di violenza generalizzata.

Il totalitarismo mascherato da pseudo-democrazia che governa il mondo "porno-globalizzato" è votato all'auto-distruzione, perché ciò che non viene espiato e sublimato è destinato a ripresentarsi in forma di nevrosi. La nevrosi, malattia moderna par excellence, contagia l'intero villaggio globale, perché si diffonde globalmente alla velocità della luce, come mai in precedenza, attraverso i mass-media elettronici, e ci sta conducendo verso una escalation di violenza di cui le cronache