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Università degli studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell'Economia Corso di laurea in Scienze della Comunicazione a.a. 2009/10 Tesi di Laurea L'abito fa il monaco? Il dandismo, fenomeno sociale e culturale. Relatore: Prof.ssa Elena Esposito Laureando: Matteo Gilioli matr. 32047

L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

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Il presente lavoro vuole prendere in esame un fenomeno, il dandismo, tenendo conto delle sue origini, di come si è manifestato nel tempo e di che cosa è, in particolare oggi; di cosa significa dunque, nella nostra società, essere un dandy. Nel corso della ricerca ho cercato di approfondire le basi del fenomeno, attraverso studi e approfondimenti di vari studiosi, e ricercando testimonianze relative al modo di vivere e di esprimersi di cosiddetti dandy, di personaggi della cultura, dell'arte, della letteratura che abbiano incarnato la figura del dandy. Attraverso questa analisi ho cercato di mettere in evidenza quali siano anche i risvolti psicologici e sociologici che attengono alla figura del dandy, e più in generale alla moda, poiché il dandismo è strettamente legato alla moda e all'abbigliamento.

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Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

Facoltà di Scienze della Comunicazione e

dell'Economia

Corso di laurea in

Scienze della Comunicazione

a.a. 2009/10

Tesi di Laurea

L'abito fa il monaco?

Il dandismo, fenomeno sociale e

culturale.

Relatore: Prof.ssa Elena Esposito

Laureando: Matteo Gilioli

matr. 32047

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L'abito fa il monaco?

Il dandismo, fenomeno

sociale e culturale.

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 5

ORIGINE DEL DANDISMO pag. 8

COSA È LA MODA? pag. 15

LE MOTIVAZIONI DELLA MODA pag. 19

IL DANDY: FETICCI, LEGGENDE,

RITUALI pag. 33

DANDIES DI OGGI pag. 42

LA CADUCITÀ pag. 52

CONCLUSIONE pag. 54

BIBLIOGRAFIA pag. 55

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro vuole prendere in esame un

fenomeno, il dandismo, tenendo conto delle sue origini,

di come si è manifestato nel tempo e di che cosa è, in

particolare oggi; di cosa significa dunque, nella nostra

società, essere un dandy.

Nel corso della ricerca ho cercato di

approfondire le basi del fenomeno, attraverso studi e

approfondimenti di vari studiosi, e ricercando

testimonianze relative al modo di vivere e di esprimersi

di cosiddetti dandy, di personaggi della cultura,

dell'arte, della letteratura che abbiano incarnato la

figura del dandy. Attraverso questa analisi ho cercato di

mettere in evidenza quali siano anche i risvolti

psicologici e sociologici che attengono alla figura del

dandy, e più in generale alla moda, poiché il dandismo

è strettamente legato alla moda e all'abbigliamento. Si

potrebbe desumere che il dandismo è legato

all'apparenza; per certi versi può sembrare così, ma in

realtà non lo è.

Approfondendo il fenomeno ho potuto

rendermi conto – come tanti studi mettono in evidenza

– che il dandismo è un fenomeno complesso e ricco di

contrasti e contraddizioni. È difficile, in realtà, dare una

definizione univoca del dandy, perché il dandy può

essere una cosa e il suo contrario; forse l'unico punto

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fermo è proprio il suo essere contraddittorio. Dietro la

superficialità si nasconde l'essenza, dietro l'esibizione

c'è un desiderio di celarsi; accanto alla mondanità c'è un

senso di solitudine, insieme alla ricercatezza si

intravede la sobrietà. Il dandy appare così un

personaggio ricco di sfaccettature, un personaggio non

banale, che non ama stare nel coro. Certo, a volte il

voler uscire dal coro può esprimersi attraverso

provocazioni, o atteggiamenti estremi, come possiamo

riscontrare in tanti dandy dei nostri giorni, che amano la

ribalta dei rotocalchi, e che per far parlare di sé non

temono di suscitare scandalo o scalpore. Come disse

Oscar Wilde, <<Che si parli di me, nel bene o nel male,

purché se ne parli>>.

Il dandismo è considerato un fenomeno

tipicamente maschile, ed è in questo modo che anch'io

l'ho trattato in questo lavoro, anche se pure qualche

donna è stata annoverata tra i dandies.

Per concludere, mi viene da dire che il

dandismo, a cui spesso viene attribuita una

connotazione negativa o comunque leggermente

dispregiativa, può essere letto come espressione di una

tensione alla singolarità, all'univocità. Inoltre i suoi

aspetti contraddittori possono essere interpretati come

simbolo della contraddittorietà dell'essere umano tout

cour, e come tali degni di attenzione. Sottolineo inoltre

come, dal mio punto di vista, tra ciò che era il

dandismo delle origini e quello che può essere

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considerato il dandismo di oggi ci siano sia punti in

comune sia punti di differenza, che nel corso della

trattazione cercherò di mettere in evidenza.

Mi viene da aggiungere un'altra

considerazione: la moda, l'abbigliamento, l'apparenza,

per il loro continuo essere in trasformazione, sono un

segnale della precarietà della vita stessa; nulla è mai

stabile, fermo, dato una volta per tutte. Come scrisse

Eraclito, <<Il sole è nuovo ogni giorno>>. E il dandy,

con le sue contraddizioni e con il suo continuo adattarsi

alle mode e con il suo stesso influenzare e modificare le

mode, ne è l'emblema.

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ORIGINE DEL DANDISMO

Lord Brummell, Oscar Wilde, Charles Baudelaire

Il dandismo è un movimento culturale e di costume

sorto in Inghilterra alla fine del diciannovesimo secolo.

<<È nelle vie londinesi intorno a Hide Park che, nei

primi anni dell'Ottocento, cominciano a circolare quei

passanti vestiti in modo ricercato e talvolta bizzarro,

con un'eleganza spesso accompagnata da voluta

trasandatezza. È un'eleganza spuria, che non vorrebbe

dare nell'occhio quanto 'far pensare'; presto accolta

nell'alta società britannica dominata dalla presenza

epifanica del frac blu, della bianca cravatta inamidata,

dei pantaloni color crema e degli stivali neri dal risvolto

alto dell'arbiter elegantiae George Brian Brummel

(1778-1840).>>1

E Dandies venivano definiti coloro che

prendevano a modello Lord Brummell. Il termine

dandy si è poi diffuso nell'uso comune col significato di

uomo elegante, alla moda, che dà molta importanza al

proprio aspetto e cura soprattutto lo stile, il buon gusto,

le belle maniere. Con una connotazione negativa, il

termine dandy si usa anche per definire una persona un

po' snob, che disprezzi i modi borghesi. In altra

accezione può definire anche un certo tipo di

intellettuale, individualista e distaccato dalla realtà.

1 Stefano Lanuzza, Vita da Dandy. Gli antisnob nella società, nella storia, nella letteratura,

Viterbo, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, 1999, pag. 23

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Damerino, elegantone, figurino, gagà, bellimbusto,

esteta, tanti sono i modi utilizzati per definire il dandy.

L'etimologia del termine 'dandy' non è certa. Come

scritto ne La Piccola Treccani2, il termine deriverebbe

da una forma vezzeggiativa del nome proprio Andrew,

ma c'è tutto un florilegio di ipotesi che circola nei

salotti e nei dialoghi tra intellettuali.

Umberto Eco collega il dandismo al 'culto

dell'eccezionale'. Come Scrive in Storia della bellezza,

<<Brummel non è un artista, né un filosofo che rifletta

sul Bello e sull'arte. In lui l'amore per la Bellezza e

l'eccezionalità si manifestano come costume (nel

doppio senso del termine, in quanto abito e in quanto

pratica di vita). L'eleganza, che si identifica con la

semplicità (spinta sino alla bizzarria), si unisce al gusto

per la battuta paradossale e per il gesto

provocatorio.>>3 Questo voler provocare, questo voler

stupire e sorprendere ricorda alcun personaggi dei

nostri giorni... Come non pensare a Fabrizio Corona, o

a Vittorio Sgarbi?

Come continua a spiegare Eco, <<mentre alcuni artisti

del XIX secolo intendono l'ideale dell'Arte per l'Arte,

… il dandy (e anche artisti che si vogliono al tempo

stesso dandy) intende questo ideale come culto della

propria vita pubblica, da “lavorare”, modellare come

un'opera d'arte per farne un esempio trionfale di

2 La Piccola Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1995, vol. , pag.

3 Umberto Eco, Storia della bellezza, Borgaro Torinese (TO),Bompiani, 2004, pag. 333

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Bellezza. Non è che la vita sia dedicata all'arte, è l'arte

che viene applicata alla vita.>>.4

E anche Eco mette in evidenza le

contraddizioni del dandismo: <<In quanto fenomeno di

costume, il dandismo presenta le proprie

contraddizioni. Non è rivolto contro la società borghese

e i suoi valori (come il culto del denaro e della tecnica),

perché di questa società rimane in fin dei conti una

manifestazione marginale, non certamente

rivoluzionaria bensì aristocratica (accettata come

ornamento eccentrico). Talora il dandismo si manifesta

come opposizione ai pregiudizi e ai costumi correnti, ed

ecco perché per alcuni dandy appare significativa la

scelta dell'omosessualità, che all'epoca era totalmente

inaccettabile e penalmente punibile (celebre rimane il

doloroso processo a Oscar Wilde).>>.5

Una significativa definizione del dandy ci è

fornita dallo stesso Baudelaire in Il pittore della vita

moderna. <<Il dandy non aspira al denaro come a una

cosa essenziale; un credito infinito gli potrebbe bastare;

egli lascia volentieri questa banale passione agli uomini

volgari. Il dandismo non è, come molte persone poco

riflessive vogliono credere, un difetto eccessivo della

toeletta e dell'eleganza materiale. Queste cose non sono

per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità

aristocratica del suo spirito. Così ai suoi occhi,

4 - pag. 334

5 - pag. 334

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desiderosi soprattutto di distinzione, la perfezione della

toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in

realtà, il miglior modo di distinguersi. … È prima di

tutto il bisogno ardente di crearsi un'originalità,

contenuto nei limiti esteriori delle convenienze. Una

specie di culto di se stesso, che può sopravvivere alla

ricerca della felicità che si trova negli altri, nella donna,

per esempio: che può sopravvivere anche a tutto ciò che

si chiama illusione. È il piacere di meravigliare e la

soddisfazione di non essere mai meravigliati.>>.6

In

Lord Brummell è molto spiccato il contrasto tra cura e

noncuranza, tra interesse e distacco, tra essenza e

apparenza. Il dandy è colui che, in apparenza, si

disinteressa totalmente di quello che possono pensare

gli altri, dello scalpore o delle eventuali critiche che

può generare; gli piace ostentare e provocare, ma

avendo l'aria che non gli interessi assolutamente la

reazione della gente. Recita per un pubblico, come se

un pubblico non ci fosse. Di fatto questa esibizione è

fatta proprio per essere vista, notata; <<l'apparenza è la

sostanza>>7, afferma Brummel. Egli, come afferma

Lanuzza, è <<incarnata sintesi dell'impertinenza fusa

con la grazia, è distaccato dal potere oppure verso di

questo critico fino all'insolenza.>>8. Si racconta che

egli avesse modi impertinenti verso la nobiltà,

6 Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, 1869

7 Stefano Lanuzza, Vita da Dandy. Gli antisnob nella società, nella storia, nella letteratura,

Viterbo, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, 1999, pag. 23

8 - pag. 24

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addirittura permettendosi di snobbare il futuro re, figlio

di re Giorgio III, e rifiutandosi di inchinarglisi, per non

sgualcire la giubba.

Il dandismo, come si diceva più su, è un

movimento culturale ma anche un fenomeno di

costume, che ha le proprie basi in una rivisitazione

della moda. Lord Brummell e i suoi proseliti

determinarono la moda del tempo e modificarono i

gusti. Furono in molti a seguire il suo stile, certamente

eccentrico e originale, talvolta perfino scandaloso. Si

deve a lui l'introduzione dei pantaloni lunghi al posto

delle braghe al ginocchio e delle giacche da frac; fu lui

ad adottare il colore blu per gli abiti, quando all'epoca

dominavano i colori sgargianti. Inoltre, particolare non

da poco, aveva molto a cuore l'igiene intima, che era

considerata poco virile dai suoi contemporanei; aveva

l'abitudine di lavarsi con acqua e sapone (gli odori

cattivi venivano coperti da abbondante uso di

profumo... sic!), e si cambiava la camicia ogni giorno!

E se il dandy è una figura ricca di contrasti, chi meglio

avrebbe potuto incarnarne lo spirito se non Oscar

Wilde, che ha fatto del paradosso, tra le altre cose, una

sua cifra stilistica, e che ha avuto come fulcro della

propria arte e della propria vita l'estetica, la bellezza,

l'artificio?

Oscar Wilde (1854-1900) <<considera

l'artificiosità l'unico dovere che riscatta l'individuo dal

suo destino di vittima della natura, della storia e della

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società, facendone qualcosa di unico e distinto.>>9.

Arte e vita sono così legate che l'una sfocia nell'altra, e

viceversa. Tra i suoi aforismi più famosi ricordiamo

infatti <<La vita imita l'arte più di quanto l'arte imiti la

vita.>>, e <<Il primo dovere nella vita è quello di

essere il più artificiali possibile. Quale sia il secondo,

nessuno lo ha ancora scoperto.>>. In Wilde il culto

della bellezza e dell'estetica, assume un valore etico;

non si tratta semplicemente di un apparire, ma di un

essere attraverso un apparire. In qualche modo si

potrebbe pensare che in Wilde la bellezza, coincidente

con l'armonia, coincida anche con il buono, così come

lo intendevano gli antichi greci quando parlavano di

kalokaghatia. era l'espressione usata

per definire l'uomo eroe, l'uomo di valore, in particolare

secondo Platone, per il quale bellezza e bontà, bellezza

e valore morale coesistono inscindibilmente, e si

rispecchiano a vicenda. Secondo questo principio,

dunque, etica ed estetica si fondono. Una delle opere

più famose di Oscar Wilde è Il ritratto di Dorian Gray.

La storia è conosciuta ai più; si racconta del giovane

Dorian Gray, dall'aspetto bellissimo e dall'animo puro

che, affascinato dal culto della bellezza e della

giovinezza, si trova un giorno a desiderare che il suo

ritratto invecchi al posto suo; e, in una sorta di patto

demoniaco, questo è ciò che accade veramente. Ma

mentre il ritratto invecchia, lasciando

9 - pag. 74

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integro l'aspetto del giovane, questi si lascia andare agli

istinti peggiori, compiendo gesti e atti ingiusti e crudeli.

Il ritratto non solo invecchia, ma porta i segni anche del

degrado morale del giovane; e quando questi vede nel

ritratto ciò che egli realmente è, lo colpisce con un

coltello. Sarà ritrovato ucciso dallo stesso coltello,

invecchiato e irriconoscibile, mentre il quadro avrà

riacquistato l'aspetto originario.

In questo racconto non si evince forse il legame tra

etica e bellezza? Non era possibile, per il protagonista,

continuare a far coesistere un aspetto bello e puro con

una condotta immorale, tanto che alla fine gli equilibri

si sono ricomposti. Questo era l'unico esito possibile,

secondo Wilde.

<<È molto meglio essere belli piuttosto che buoni. Ma

è molto meglio essere buoni piuttosto che brutti.>>, e

ancora <<I due punti più deboli della nostra epoca sono

la mancanza di principi e la mancanza di immagine.>>.

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COSA È LA MODA?

Significato sociale e valenza psicologica

La moda, intesa come fenomeno sociale, ha avuto

inizio in occidente alla fine del Medioevo, intorno alla

seconda metà del Trecento; in quel momento storico, in

particolare, <<l'abito si è infatti liberato dalle catene del

passato ed è diventato espressione di valori, status,

identità. Si è passati dall'abito come costume pressoché

immutabile in forma, colori e tessuti (manifestazione di

una società statica basata sul passato come valore),

all'abito come forma di espressione autonoma; da un

capo informe e senza colore usato per coprirsi e per

proteggersi, ad un abito come forma di comunicazione

sociale, colorato, adornato, ricco di accessori e di

particolari.>>10

Come spiega anche Umberto

Galimberti, <<In origine l'abbigliamento era uniforme

perché il mondo non era differenziato: una pelle

d'animale serviva per tutte le situazioni e tutte le

circostanze. La metamorfosi comincia quando il valore

protettivo delle vesti cede il posto a quello simbolico,

per cui ogni variazione delle vesti del corpo rinvia a

una variazione del mondo. Si assiste così alla

trasformazione dell'ordine vestimentario in un sistema

rigoroso di segni, che di volta in volta descrivono

l'ordine culturale e sociale di

10 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 11

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appartenenza che il corpo nudo non potrebbe

esprimere.>>11

La moda, quindi, ha rappresentato la

libertà di scegliere, ed è diventata veicolo di

comunicazione sociale; l'abito ha cominciato ad essere

indicatore di classe sociale, ruolo, appartenenza a un

gruppo, così come anche di volontà di seduzione, di

potere. <<La foggia dell'abito può, ad esempio,

comunicare ruolo e identità, mentre la qualità dei

tessuti e gli accessori indicare il potere e il

successo.>>12

L'abbigliamento, dunque, fornisce molte

informazioni sulle persone. <<L'abbigliamento quindi

parla>>, afferma Umberto Eco in un suo breve

articolo13

. Prosegue poi il celebre studioso, che ha

approfondito lo studio del segno e della semiotica:

<<La semiologia … ci permette ora di inserire la nostra

consapevolezza della comunicatività dell'abbigliamento

in un quadro più ampio, nel quadro di una vita associata

in cui tutto è comunicazione.>>14

Queste considerazioni sembrerebbero

smentire quel vecchio proverbio, tante volte citato,

secondo cui 'l'abito non fa il monaco'? Non sarà forse

che la saggezza popolare voglia esprimere, con questo

11 Umberto Galimberti, Il mito della moda in I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009,

pag. 96

12 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 11

13 Umberto Eco, L'abito parla il monaco, in Il linguaggio della moda, a cura di Luciana Diodato,

Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, 2000, pag. 105

14 - pag. 104

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motto, un pio desiderio, una dichiarazione d'intenti, un

riferimento a un ideale non concretizzabile nella realtà,

e che invece dobbiamo accettare il fatto che 'l'abito fa il

monaco', eccome?

Del resto numerosi studi sociologici

confermano che l'abbigliamento e la pettinatura sono

tali da determinare la percezione che gli altri hanno di

noi, e quindi di condizionare il giudizio. Magari può

dare fastidio a quella parte di noi che aspira all'ideale

pensare che, ad esempio, un ragazzo che si presenti a

un colloquio di lavoro con jeans a vita bassa e capelli

lunghi sciolti abbia molte meno probabilità di essere

scelto che non se si presenta vestito con pantaloni sobri,

camicia, e capelli corti. “Ma io sono esattamente la

stessa persona, oggi con i capelli corti e ieri con i

capelli lunghi!”, verrebbe da dire... Questo che

significa? Che forse talora bisogna scendere a

compromessi, o semplicemente prendere atto dei

meccanismi della psiche umana. E poi, aggiungiamo

che se questo 'pregiudizio' dell'aspetto riguarda gli altri,

probabilmente riguarda anche noi, perché la mente

dell'essere umano funziona per tutti nello stesso modo.

<<L'aspetto di una persona, o determinati suoi

comportamenti, richiamano immediatamente nella

mente una rappresentazione cognitiva, uno schema che

contiene la conoscenza accumulata nella memoria.

L'aspetto fisico offre molti indizi sulla personalità, sulle

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preferenze e sui ruoli, che vengono raccolti e

interpretati sulla base delle precedenti convinzioni.>>15

<<Le prime impressioni sono determinate dal modo di

apparire e di agire delle persone e attivano degli schemi

della nostra mente in base ai quali associamo una

caratteristica fisica ad uno stile di vita, a un tratto di

personalità, a un ruolo sociale, o all'appartenenza ad un

gruppo.>>16

. Anche Eugenie Lemoine-Luccioni

ribadisce questo concetto. Afferma infatti che <<Così il

corpo parla, qualunque sia la posizione scelta, proprio a

causa della sua scelta. Il vestito è la sua lingua.>>17

15 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 94

16 - pag. 96

17 Eugenie Lemoine-Luccioni, Psicoanalisi della moda, Milano, Bruno Mondadori Editore, 1983,

pag. 37

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LE MOTIVAZIONI DELLA MODA

Oggi la moda riveste significati molteplici, così come

molteplici sono le sue funzioni. Essa infatti, come

teorizza Paola Pizza, è uno strumento per raggiungere

degli obiettivi, serve per creare una identità, ed è fonte

di conoscenza sociale. Un gesto semplice come aprire

l'armadio e scegliere un paio di pantaloni, o una gonna,

o una camicia, contiene in sé molteplici significati. E

affermare che non è così è da ipocriti. Attraverso ciò

che indossiamo, ognuno di noi intende comunicare

qualcosa, sia agli altri sia a sé stesso; che ci sia un

pubblico oppure no, l'abito che indossiamo fornisce,

prima di tutto a noi stessi, una determinata immagine,

che è quella che in quel preciso momento si attaglia al

nostro stato d'animo, o a determinati effetti che

vogliamo raggiungere. Decidere cosa indossare <<vuol

dire fare i conti con il desiderio di apparire migliori e

unici, ma nello stesso tempo anche con quello di essere

uguali agli altri, accettati e integrati, per non sentirsi

soli; con la voglia di esibirsi e farsi notare, ma nello

stesso tempo con quella di nascondere parti di sé; con la

voglia di imitare, di cambiare, ma anche con quella di

essere coerenti; di trasgredire, ma anche di essere

seri.>>18

18 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 16

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20

Nello scegliere l'abbigliamento

intervengono dunque due elementi contrari e

complementari, cioè l'autovalutazione e

l'eterovalutazione, reale o fantastica che sia. È come

quando uno scrittore scrive; egli scrive per un pubblico,

ma un pubblico che si rispecchia in lui stesso, che passa

attraverso di lui, un pubblico che potrebbe essere lui se

dall'esterno giudicasse la propria opera. Così è spesso

anche nella moda, in quanto si immagina uno

spettatore, le cui valutazioni sono filtrate attraverso le

nostre, o a cui attribuiamo le nostre. <<Il bisogno di

ridurre il disagio derivante dalla differenza tra come ci

sentiamo e come pensiamo dovremo essere per essere

accettati o apprezzati dagli altri, ci porta spesso a

comprare oggetti di moda. Un abito nuovo, una sciarpa

di un colore di tendenza, un paio di scarpe particolari,

una spilla luccicante, ci danno il potere di eliminare,

almeno parzialmente, la dissonanza e quindi di

aumentare il nostro benessere e la nostra

autostima.>>19.

Cambiare la propria immagine è più

semplice che non modificare la nostra organizzazione

cognitiva; un abito nuovo, un paio di scarpe alla moda,

ci fanno sentire più adeguati, e più sicuri di noi.

Anche Roland Barthes, nel suo Sistema

della moda, afferma un concetto analogo, spiegando

che <<Facendo variare l'indumento si fa variare il

mondo, e viceversa.>>20

. C'è un costante rapporto tra il

19 - pag. 18

20 Roland Barthes, Sistema della moda, Torino, Einaudi, 1970, pag. 248

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21

segno vestimentario e il mondo significato da quel

segno, per cui, facendo variare l'indumento, il corpo

che lo indossa fa variare il mondo. E Jean Paul Sartre, a

sua volta, osserva che, come la persona produce

l'indumento, in quanto si esprime attraverso di esso,

così l'indumento produce magicamente la persona, per

cui, al limite, trasformando l'indumento si trasforma il

proprio essere.

Quali sono gli effetti della moda sulla

costruzione e il mantenimento dell'identità personale?

<<In un mondo dove gli oggetti durevoli sono sostituiti

da prodotti destinati all'obsolescenza immediata,

l'individuo, senza più punti di riferimento o luoghi di

ancoraggio per la sua identità, perde la continuità della

sua vita psichica, perché quell'ordine di riferimenti

costanti, che è alla base della propria identità, si

dissolve in una serie di riflessi fugaci, che sono le

uniche risposte possibili a quel senso diffuso di irrealtà

che la cultura della moda diffonde come immagine del

mondo. … Declinandosi sempre più nell'apparire,

l'individuo impara a vedersi con gli occhi dell'altro.

Impara che l'immagine di sé è più importante della sua

personalità. E dal momento che verrà giudicato da chi

incontra in base a ciò che possiede e all'immagine che

rinvia, e non in base al carattere o alle sue capacità,

tenderà a rivestire la propria persona di teatralità, a fare

della sua vita una rappresentazione, e soprattutto a

percepirsi con gli occhi degli altri, fino a fare di sé uno

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22

dei tanti prodotti di consumo da immettere sul

mercato.>>21

. <<Qui la differenza tra realtà e apparenza

diventa sempre più vaga, come vaga diventa la propria

identità e indefinito lo spazio della libertà, intesa ormai

non più come la scelta di una linea d'azione che porta

all'individuazione, ma come la scelta di mantenersi

aperta la libertà di scegliere, dove è sottinteso che le

identità possono essere indossate e scartate come la

cultura della moda ci ha insegnato a fare con gli

abiti.>>22

Come scrive Paola Pizza, la moda è uno

strumento per raggiungere determinati obiettivi sociali,

e questi obiettivi sono essenzialmente tre: acquisizione

della padronanza, ricerca della affiliazione o

appartenenza, ricerca della valorizzazione. Acquisire la

padronanza significa possedere le informazioni che

permettono di comprendere e prevedere gli eventi

sociali; possedere le informazioni corrette permette di

integrarsi nel gruppo e di ottenere riconoscimento.

Possedere informazioni adeguate, dunque, contribuisce

ad allentare l'ansia e ad aumentare la sicurezza.

<<L'abito giusto ci fa muovere con disinvoltura ad una

festa, ci fa sentire sicuri ad un'importante riunione di

lavoro e interessanti ad un incontro sentimentale.>>23

E

21 Umberto Galimberti, Il mito della moda in I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009,

pag. 108

22 - pag. 109

23 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 25

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23

R.W. Emerson (1803-1882) scriveva nella sua raccolta

Letters and Social Aims: <<Ho ascoltato con un senso

di umile ammirazione l'esperienza della signora la

quale dichiarava che la sensazione di essere ben vestita

le dava un sentimento di tranquillità interiore che la

religione non poteva conferirle.>>

La ricerca

dell'affiliazione deriva dal bisogno di sentirsi parte di

un gruppo. <<L'uomo è per natura un animale

sociale>> scriveva Aristotele, e Bertrand Russell

affermava che <<L'uomo non è un animale solitario>>,

e Seneca diceva che <<L'uomo è un animale sociale. Le

persone non sono fatte per vivere da sole>>. I gruppi

che ci attraggono e ci interessano rappresentano fonte

della nostra identità, perciò abbiamo bisogno di

conformarci ai processi di gruppo, e di identificarci con

regole, norme, stili di comunicazione, atteggiamenti. In

base all'abbigliamento riconosciamo non soltanto

coloro che sono simili a noi, ma anche coloro che sono

diversi da noi, i nemici, gli estranei. Un determinato

abbigliamento è una sorta di codice, che ci permette di

essere immediatamente riconosciuti come appartenenti

ad un determinato gruppo. Come scrive Galimberti,

l'abbigliamento ha un valore che lui definisce 'etnico',

cioè tale da sancire l'appartenenza a un gruppo.

<<Scegliere di vestirsi all'europea, ad esempio, è da

almeno un secolo il segno di volere appartenere alla

civiltà considerata egemone, se non addirittura alla

Page 26: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

24

personalità sociale idealmente umana.>>24

La ricerca

della valorizzazione <<ci spinge a vedere sotto una luce

positiva noi stessi, le persone collegate a noi, il nostro

gruppo. Tendiamo perciò ad enfatizzare gli aspetti

positivi del nostro gruppo, e dei leader con i quali ci

identifichiamo e che emuliamo, e in questo modo,

parallelamente miglioriamo anche la nostra immagine e

il nostro benessere. La moda aiuta a raggiungere anche

questo obiettivo: gli abiti, gli accessori, la cosmetica,

migliorano la nostra immagine e contribuiscono ad

accrescere il nostro valore.>>25

Come detto più su, la moda risponde a dei

bisogni, che nel corso del tempo si sono modificati; le

motivazioni all'acquisto cambiano da epoca a epoca, da

periodo a periodo. Tra le motivazioni più forti

dobbiamo ricordare anche il desiderio di sedurre. La

seduzione viene esercitata lasciando vedere ciò che è

nascosto, o evidenziando ciò che sta sotto l'abito; gli

abiti indicano una nudità nel momento stesso in cui la

nascondono, sottolineano i caratteri sessuali che

ricoprono. Proprio perché copre, il vestito suscita il

desiderio di scoprire. Il corpo nudo non lascia spazio

all'immaginazione, che invece è uno dei tratti essenziali

della seduzione; il gioco tra visibile e non visibile, tra

nascosto ed esposto, sollecita la capacità immaginativa,

24 Umberto Galimberti, Il mito della moda in I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009,

pag. 97

25 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 30

Page 27: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

25

che accende il desiderio. Come scrive Jean Baudrillard,

<<Nel gioco della seduzione, il desiderio non è un fine

ma un'ipotetica posta in gioco. Anzi, più precisamente,

la posta in gioco è provocare e deludere il desiderio, la

cui unica verità è brillare e restare deluso. Un desiderio

che abusa del suo potere, un potere che gli è stato dato

solo per essergli tolto. Non riuscirà neppure a sapere

cosa gli stia succedendo. Certo, colei o colui che seduce

può amare o desiderare realmente, ma più in profondità

(o in superficie, se si vuole, nell'abisso superficiale

delle apparenze) si gioca un altro gioco, che nessuno

dei due conosce e in cui i protagonisti del desiderio

sono soltanto comparse.>>26

È interessante chiedersi e analizzare quali

siano le differenze tra gli obiettivi delle 'vittime della

moda' e quelli dei consumatori oculati e consapevoli.

Per fare ciò dobbiamo entrare nel campo della

psicologia, e riferirci alle teorie delle motivazioni, in

particolare a quella di Maslow. La teoria di Maslow

individua cinque categorie di bisogni posti in ordine

gerarchico, che sono bisogni fisiologici, sicurezza,

affettività, stima, autorealizzazione. Nello specifico, e

in relazione alla presente trattazione, tale teoria

permette di evidenziare come si sia passati da

un'economia del bisogno (dove l'acquisizione di

prodotti di moda è determinata dai bisogni primari)

26 J. Baudrillard, Il destino dei sessi e il declino dell'illusione sessuale, in AA. VV, L'amore,

Milano, Mazzotta Editore, 1992, pag. 87

Page 28: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

26

all'economia dei desideri (dove gli acquisti sono guidati

da motivazioni, cioè bisogni secondari). I bisogni

secondari <<derivano dal desidero di qualcosa e non

dalla mancanza di qualcosa. Una volta soddisfatti la

loro energia continua a crescere e a dirigere il

comportamento verso nuove mete, e la loro

soddisfazione può essere anche differita nel

tempo.>>27

.

È un tipo di bisogno che si autoalimenta, e che, una

volta soddisfatto, si sposta verso un altro oggetto.

Non si può a questo proposito non citare

Erich Fromm, che in Avere o essere? parla del

consumismo come di una modalità dell'avere,

contrapposta all'essere, dell'avere come

'incorporazione'. <<Incorporare una cosa, ad esempio

mangiando o bevendo, costituisce una forma arcaica di

possesso della cosa stessa. Lo stesso rapporto tra

incorporazione e possesso è reperibile in molte forme di

cannibalismo. A esempio, divorando un altro essere

umano ne acquisisco i poteri.>>28.

Ma ci sono anche

incorporazioni simboliche, o magiche, come scrive

Fromm, quale per esempio l'incorporazione legata al

consumismo. <<L'atteggiamento implicito nel

consumismo è quello dell'inghiottimento del mondo

intero. Il consumatore è un eterno lattante che strilla per

avere il poppatoio: una condizione che assume ovvia

27 Paola Pizza, Psicologia sociale della moda. Abbigliamento e identità, Verona, QuiEdit, 2010,

pag. 33

28 Erich Fromm, Avere o essere?, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1977, pag. 45

Page 29: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

27

evidenza in fenomeni patologici come l'alcolismo e

l'assuefazione alle droghe.>>29

Aggiunge Fromm: <<Il

consumo ha caratteristiche ambivalenti: placa l'ansia,

perché ciò che uno ha non può essergli ripreso; ma

impone anche che il consumatore consumi sempre di

più, dal momento che il consumo precedente ben presto

perde il proprio carattere gratificante. I consumatori

moderni possono etichettare se stessi con questa

formula: io sono = ciò che ho e che consumo.>>30

.

Quindi, riprendendo ciò che scrive Paola

Pizza, possiamo affermare che <<Il prodotto moda non

è più semplicemente un prodotto utile e sicuro con una

funzione strumentale, ma una esperienza simbolica che

permette di trasformarsi, di appartenere alla comunità

dei migliori e identificarsi con chi ha successo, di

condividere l'esclusività e sentirsi parte del gruppo

degli eletti, di identificarsi con un oggetto o una griffe

per aggiungere valore a se stessi, di condividere i valori

di un gruppo frequentando i luoghi di moda, di essere

riconosciuti come vincenti, di gratificarsi e divertirsi e

di essere felici.>>31

.

Dalle considerazioni sin qui fatte deriva che

la moda, come molte altre espressioni dell'essere

umano, è intrisa di contraddizioni e di paradossi. Come

fa notare Elena Esposito ne I paradossi della moda, da

una parte, essa è ricerca di individuazione, e dall'altra

bisogno di integrazione; da una parte tende al

29 - pag. 46

30 - pag. 47

31 - pag. 34

Page 30: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

28

cambiamento e dall'altra alla permanenza; da un lato

sembra essere ragionevole, e dall'altro assolutamente

casuale; da una parte è rigida e dall'altra priva di regole.

La moda, quindi <<sembra essere caratterizzata più dai

suoi paradossi che da determinazioni positive – più

dall'ambiguità che da indicazioni univoche nel

funzionamento della moda.>>32

Occorre quindi

accogliere e valorizzare i paradossi, e considerarli non

come semplici contraddizioni o incoerenze, ma come

aspetti essenziali e funzionali della moda.

Tornando al tema centrale di questo lavoro,

il dandismo, è evidente che proprio nel dandy sono

presenti, in modo eclatante, tutti i paradossi e le

contraddizioni di cui si diceva prima. Elena Esposito

mette in contrapposizione honnête homme - l'uomo del

buon gusto, dell'educazione, della buona nascita, della

gradevolezza, della trasparenza - e dandy. <<L'honnête

homme non si riferisce mai a se stesso, e non si

singolarizza … Egli si definisce al contrario nel riflesso

dell'osservazione altrui nella pratica della

conversazione. Cionostante la sua honnêteté si fonda

sull'interiorità, sul suo essere vero e spontaneo che lo

qualifica come uomo di gusto e gli fornisce un

orientamento universale e stabile. Il dandy, invece,

afferma la propria singolarità facendosi notare per la

stravaganza e imponendosi agli altri. Il rifiuto dell'amor

proprio si è trasformato in un narcisismo dichiarato ed

ostentato, indice di un nuovo livello di riflessività

32 Elena Esposito, I paradossi della moda, Baskerville, Bologna, 2004, pag. 16

Page 31: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

29

dell'auto-osservazione. L'atteggiamento del dandy,

però, è pura esteriorità e non esprime una sua natura

interiore e autentica. Cambia infatti con le mode e con

le circostanze, a cui lui si adegua come al primo criterio

di riferimento: il suo tempo non è l'eternità, ma kairos

sempre mutevole e fuggitivo.>>33

. <<Il dandy …

coltiva e valorizza la differenza: si vuole diverso dagli

altri e diverso dall'immagine che gli altri si possono

essere fatti di lui. Risulta allora spesso sgradevole e

fastidioso, ostentando distanza e a volte anche

disprezzo nei confronti degli altri e dei loro criteri, e

coltivando apertamente la devianza. … il dandy non

vuole piacere ma sorprendere. Non vuole essere

gradevole, ma nuovo, e in questo unico. Rischia il

ridicolo con disinvoltura.>>34

.

Il dandy trae sicurezza e forza dal non

passare inosservato; ha bisogno che gli altri lo notino,

che gli attribuiscano una identità che lui, in sé stesso

non possiede. Se vogliamo fare un'incursione nella

filosofia kantiana, potremmo dire che il dandy è

'eteronomo' e non 'autonomo'; non è lui che dà la legge

a sé stesso, ma la legge, la legittimazione, il

riconoscimento, gli derivano dagli altri. È come se solo

attraverso lo sguardo degli altri egli potesse avere

forma, forza e identità. Questo aspetto rappresenta un

altro punto di contraddizione del dandy; egli infatti

dipende dal giudizio degli altri, ma nello stesso tempo è

esasperatamente individualista, e anzi proclama e

33 - pag. 123

34 - pag. 123

Page 32: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

30

reclama il suo diritto a essere e sentirsi unico. Come

spiega Elena Esposito, <<E ovviamente, in questa

esasperata singolarità, il dandy non può attenersi a

regole fisse e condivise dagli altri. Il dandy si fa da sé

le sue regole, che sono regole mobili e puntano ad

esprimere le “leggi del capriccio”. Non è che si rifiutino

le regole in quanto tali, ma si rifiuta ogni regola

determinata … il dandismo fa una regola del mero

rifiuto della regola, e in questo modo la riconosce

ancora, per quanto in negativo.>>35

.

Ancora il dandy ci sorprende, con le sue

tante facce e sfaccettature... Anche se apparentemente

mostra di snobbare gli atri, in realtà ne dipende, e – se è

lecito aggiungere – probabilmente li teme.

In un bellissimo saggio su Baudelaire, Jean

Paul Sartre racconta come l'artista francese si coprisse

di ornamenti e gioielli non tanto per mostrarsi, quanto

piuttosto per nascondersi. <<La vistosa bizzarria degli

abiti e della pettinatura è un'affermazione decisa della

sua unicità. Vuol sbalordire l'osservatore per

sconcertarlo. L'aggressività del suo abbigliamento è

quasi un atto; quella sfida è quasi un'occhiata

smargiassa: il canzonatore che lo osserva si sente

previsto e preso di mira da tale stravaganza; se si

scandalizza è perché scopre sulle pieghe della stoffa un

pensiero pungente che si rivolge contro di lui e gli

grida: <<Sapevo che avresti riso>>. Indignato, è già un

po' meno <<osservatore>>, già un po' più

35 Elena Esposito, I paradossi della moda, Baskerville, Bologna, 2004, pag. 124

Page 33: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

31

<<osservato>>. Se non altro, si sbalordisce esattamente

nel modo in cui si voleva che si sbalordisse; è caduto in

una trappola; quella coscienza libera e imprevedibile

che poteva frugare Baudelaire fino in fondo al cuore,

scoprire i suoi segreti e formular su di lui i giudizi più

capziosi, ecco che è guidata come per mano e che la si

diverte col colore d'un abito, col taglio di un paio di

calzoni. La carne disarmata del vero Baudelaire è nel

frattempo al riparo.>>.36

E di seguito: <<Il suo modo di

abbigliarsi è, per la vista, quello che sono per l'udito le

sue menzogne: un peccato clamoroso e strombazzato

che lo fascia e lo dissimula. In pari tempo, si curva

sull'immagine da lui stesso dipinta nella coscienza degli

altri, ed essa lo affascina. È pur sempre lui, quel

<<dandy>> perverso ed eccentrico! Il solo fatto di

sentirsi fissato da quegli occhi lo rende solidale con

tutte le sue menzogne. Si vede, si legge negli occhi

degli altri e l'irrealtà di codesto ritratto immaginario

piacevolmente lo eccita. Così il rimedio è peggiore del

male: per paura d'esser visto, Baudelaire s'impone agli

sguardi.>>.37

Scrive ancora Sartre: <<Resta che la sua

civetteria, mentre è una difesa contro gli altri, diviene

in pari tempo lo strumento dei suoi rapporti con se

stesso. Baudelaire, ai suoi propri occhi, non esiste

abbastanza. … Così Baudelaire si mette in fronzoli per

travestirsi; … Non tollera in se stesso la minima

spontaneità: immediatamente la sua lucidità lo trapassa

da parte a parte ed egli si mette a recitare il sentimento

36 Jean-Paul Sartre, Baudelaire, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1989, pag. 122

37 - pag. 123

Page 34: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

32

che stava per provare. Così è sicuro d'essere il proprio

padrone: la creazione proviene da lui; e in pari tempo

egli è l'oggetto creato.>>38

Attraverso questa esibizione,

egli attirava l'attenzione delle persone che incontrava,

ma in qualche modo la dirottava; la dirottava sugli

anelli, sui collari, sui pizzi e su altri orpelli,

distogliendola dal vero sé. Temeva che gli altri

potessero andare aldilà dell'esteriorità, e entrare nei suoi

recessi più intimi.

In qualche modo è quello che accade anche a tanti di

noi, talora o più spesso...

38 - pag. 125 e 126

Page 35: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

33

IL DANDY: FETICCI, LEGGENDE, RITUALI

Quando si parla del dandy, come abbiamo visto, si fa

riferimento a una serie di comportamenti, di

atteggiamenti, di usi che gli sono propri, e che

permettono di identificarlo proprio come 'dandy'.

Passiamo in rassegna qualcuno di questi luoghi comuni,

oggetti, rituali, che sono ormai assunti come collegati

all'immagine del dandy, e che in qualche caso,

potremmo aggiungere, ne hanno fatto una sorta di

macchietta.

In questo caso facciamo riferimento in

particolare al lavoro di Giuseppe Scaraffia, che si è

spesso occupato del dandismo, e che nell'opera

intitolata Gli ultimi dandies39

ha indagato ed esposto in

modo esauriente e sistematico una serie di termini e di

temi, evidenziando per ognuno ciò che lo collega al

dandismo. Abbiamo selezionato quelli che ci parevano

più arguti, spiritosi, attinenti al tema.

AGIO: Sempre se stesso e sempre

mutevole, il dandy è a suo agio in qualsiasi situazione,

in qualunque momento. Come Eliogabalo, sa vivere

ogni istante come se fosse l'ultimo.

ALBERGHI: Il dandy fronteggia il vuoto

con degli oggetti simbolici. Vivere in un albergo

legittima l'illusione di una perpetua libertà. La

possibilità di lasciarlo in ogni momento irride alle

illusorie certezze della borghesia.

39 Giuseppe Scaraffia, Gli ultimi dandies, Palermo, Sellerio editore, 2002

Page 36: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

34

AMULETI: Nella sua immonda perfezione,

il dandy è attratto dal frammento e dalle incrinature,

ironici echi del caos e del disordine della vita. Lui che

non sopporta una cravatta lievemente storta affida la

sua sorte a oggetti stravolti dall'impatto col mondo.

Nessuno meglio di lui sa che la fortuna è cieca e che

l'eccezione va coltivata e onorata.

ANELLO: Montesquieu portava sempre un

anello semplicissimo e strano. Wilde e Lorrain

esibivano anelli vescovili. Cocteau disegnò per sé e per

Radiguet il celebre anello a tre vene di oro bianco,

giallo e rosso intrecciate insieme.

ATTUALITA': Il dandy è sempre, allo

stesso tempo, un po' più avanti e un po' più indietro

dell'attualità.

BAGAGLIO: La vocazione del dandy

all'essenzialità spoglia i suoi desideri di ogni inutile

peso, creando una cerchia eletta d'oggetti. Nel bagaglio

del dandy il superfluo sopravvive simbolicamente in

pochi oggetti destinati a quella specifica funzione. E in

effetti l'essenzialità del bagaglio del dandy è l'arma di

un incessante duello con il tempo e con le mode, un

manifesto d'indipendenza puntato contro la vana

accumulazione degli oggetti, cui si sottopone l'uomo

moderno per brandirli contro la morte.

BASTONE: Il dandy è uno degli ultimi a

deporre il bastone da passeggio, erede della spada e del

gentiluomo dell'Ancien Regime.

CINISMO: <<Per me il cinismo è la forma

intellettuale della lealtà>> sostiene Roger Vailland.

Page 37: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

35

CONTRADDIZIONI: Charles Baudelaire

reclamava per il dandy il diritto di contraddirsi.

CONTROCORRENTE: Il fascino delle

cause perse, l'inesauribile nobiltà della sconfitta

attraggono pericolosamente il dandy, sempre ostile ai

nuovi travestimenti del progresso. <<L'estetica

dell'insuccesso è l'unica durevole. Chi non capisce

l'insuccesso è perduto>> sentenzia Cocteau.

CRAVATTE: <<Il primo serio passo nella

vita deve essere una cravatta bene annodata>> spiegava

Wilde.

DENARO: Indifferente al peso crescente

assunto dal denaro dopo la caduta delle bellicose virtù

dell'Impero, Stendhal stupiva chi lo frequentava per la

dignità con cui sopportava la modestia del suo reddito.

Il dandy rifiuta di abbandonarsi alla corrente focosa del

denaro: il minimo necessario o l'eccesso sono i lati

opposti del medesimo profilo, riassunto nel motto

dannunziano di Andrea Sperelli: <<Habere non

haberi>>.

DEMODE': Il demodé, abbandonato dalle

folle incalzate dall'attualità e ancora immune dal

riciclaggio della moda, s'inserisce nell'abbigliamento

dandystico come una citazione in un saggio. L'alleanza

segreta del dandy con il passato contro il futuro

s'esprime allora nella scelta di un particolare, di un

accessorio fuori moda appena percepibile da un occhio

non addestrato.

DETTAGLI: Lo sguardo ironico del dandy

sa cogliere nell'altro il sintomo impercettibile, il

Page 38: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

36

simbolico nel suo più minuto, inconsapevole incarnarsi.

L'attenzione micrologica del dandy rifiuta la distinzione

abusiva tra le grandi e le piccole cose della vita.

L'apparente frivolezza del dandy, la sua abitudine di

giudicare gli altri da particolari apparentemente

insignificanti nasconde la sua fiducia in una sorta di

<<fisiognomica dell'abito>>, in cui l'omissione, la

scelta errata, sono significative quanto l'arroganza del

cattivo gusto.

DROGA: Il rapporto del dandy con la droga

è contraddittorio. Da un lato la sua lucidità

sull'inconsistenza e la volgarità della vita lo spingono

verso i paradisi artificiali, dall'altro il suo spirito

d'indipendenza non sopporta di sottomettersi nemmeno

alla droga, che rimane per lui una sorta di osservatorio

privilegiato, inaccessibile ai pavidi, e nient'altro.

ESOTISMO: Incastonato come un

<<solitario>> in una preziosa dimora, o vagante,

sperduto nei paesi più esotici, il dandy rimane sempre

un viaggiatore, un esule momentaneamente posatosi in

un mondo da cui non si lascia dominare. La sua

estraneità alla società gli conferisce un tocco

d'esotismo.

ESTRANEITA': Il dandy ribadisce la sua

estraneità a qualsiasi invito, il suo invincibile essere

fuori posto e quindi a suo agio.

FAMIGLIA: Al contrario degli

aristocratici, dei borghesi e dei popolani, il dandy non

ha bisogno della famiglia.

FUNERALE: Il funerale è l'ultima

Page 39: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

37

passeggiata del dandy, che spesso cura minuziosamente

la sobrietà della cerimonia. Ancora una volta il suo

trionfo consiste nella scarsità e non nell'abbondanza dei

presenti.

INAFFERRABILITA': Il dandy è riluttante

a farsi afferrare dalle categorie mentali, preferisce

incidersi nella memoria altrui con uno choc in cui

piacere e disagio si fondono inestricabilmente.

INTERNI: Le case dei dandies possono

essere semivuote o stracolme. In ogni caso l'essenziale

è ribadire la superiorità del dandy sugli oggetti che, dal

più sublime al più banale, ruotano tutti intorno a lui

come muti pianeti intorno a un sole inquieto.

LAVORO: Nell'epoca della borghesia e

della mistica del lavoro, il dandy non rinuncia a

lavorare, ma sottrae alla vista altrui quello che la

retorica del tempo ha reso osceno fino a svuotarlo di

ogni contenuto.

LETTERATI: Il dandismo dei letterati

tradisce l'aspirazione ad essere all'altezza della propria

creazione. È un problema morale: bisogna che la

cattedrale sia degna dell'altare. Il dandismo diventa

allora la custodia del genio.

MISOGINIA: La poligamia è l'altro volto

della misoginia del dandy. Una pluralità di legami che

non ne esclude, come nel caso di Morand, Drieu e

Vailland, uno permanente.

MODA: Il dandy domina la moda e ne è

dominato al tempo stesso. Ma la moda è l'incarnazione

variopinta del capriccioso susseguirsi degli istanti in cui

Page 40: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

38

caso e necessità, libertà e totalità si fondono

inestricabilmente. La sensibilità del dandy alla moda è

quindi una sensibilità al presente.

NOIA: La noia è la malattia mortale del

dandy che è pronto a tutto pur di evitarla.

PASSATO: Figlio di se stesso, ricreato ogni

giorno dal rito inesauribile dell'eleganza, il dandy è un

aristocratico senza passato. Cognomi inventati o

modificati e ascendenze fittizie esprimono il bisogno

dei dandies di crearsi un passato immaginario.

PITTORESCO: Il dandy detesta il

pittoresco, contraltare della seriosità borghese e sua

legittimazione. Baudelaire prende volutamente le

distanze dal fasto bohémien degli artisti dell'epoca.

Drieu La Rochelle intimidisce i surrealisti con la sua

sobria eleganza britannica.

PULIZIA: Trasformati in una vera e propria

cerimonia di purificazione, i riti della toeletta

ribadiscono un confine continuamente insidiato dalle

infiltrazioni del mondo esterno. In epoche poco

scrupolose in fatto di pulizia, il dandy si difende dalla

marea invisibile della sporcizia e della trascuratezza

con l'accanimento di un esploratore sperduto nella

giungla. Nel suo universo la lucidità interiore coincide

con lo scintillio dei denti e delle scarpe, debitamente

lucidate anche sulle suole.

SCELTE: nella sua regale indipendenza dal

senso comune, l'estetica domina le scelte del dandy.

SEMPLICITA': L'estrema discrezione del

dandismo novecentesco è un ritorno alle origini:

Page 41: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

39

Brummell, spiega Boulenger, era di una tremenda

semplicità, <<ogni eccentricità, ogni colore imprevisto,

un taglio troppo ardito gli sembravano il segno di un

intollerabile cattivo gusto>>.

SGUARDO: La secchezza voluta del dandy

traduce il tentativo di sottrarsi alla piena dilagante

dell'orrore quotidiano del dominio. L'impassibilità del

suo volto è la lucida superficie che respinge l'assalto

dell'assediante rimandandogli l'ottusità irrimediabile

della propria immagine: la decisione di non patire è la

versione elegante della desolazione.

SNOB: <<Tra snob e dandy>> ammonisce

Benjamin <<va fatta una distinzione nettissima>>. Il

dandy non si lascia definire dalle sue relazioni, ma,

come un astro splendente, rischiara di volta in volta,

con i suoi imprevedibili bagliori, gli individui più vari,

nobilitati per un istante dal suo sguardo.

SOLO: La solitudine del dandy, il suo

volontario isolamento dalla marea montante della

massificazione lo rafforzano invece di indebolirlo.

Nessuno meglio di Drieu sapeva che <<tutto quel che

esiste è la solitudine>>.

SPECCHIO: Il dandy, come diceva

Baudelaire, vive e muore davanti a uno specchio.

SPERPERO: Lo sperpero apparente del

dandy, sempre vestito con la più assoluta eleganza, cela

una profonda saggezza. Nella sua bandiera di seta è

profondamente impresso il sentimento che ogni attimo

che si vive è unico e imprevedibile, e come tale non

può essere messo da parte o tra parentesi. Il borghese,

Page 42: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

40

che riserva alle grandi occasioni la sua tenuta di gala, è

in realtà il vero sperperatore, colui che consente a non

vivere pienamente per la maggior parte del tempo che

gli è dato in sorte nell'insana fiducia di poter rinunciare

a una parte della sua esistenza per migliorare l'altra. A

volte solo il dandy sembra sapere che si vive una volta

soltanto.

SPIRITO: Lo spirito del dandy aspira ad

essere discreto e irripetibile come il suo abbigliamento.

Oltre alle parole, sono essenziali il tono, lo sguardo,

l'abito e il portamento di chi le proferisce.

STRUMENTI: la minuziosa toeletta, le

attenzioni e le ricercatezze del dandy sono gli strumenti

di una continua liberazione interiore. Queste apparenti

perdite di tempo servono a richiamarlo ai suoi doveri

verso se stesso, rallentando lo slancio verso il mondo

esterno.

SUICIDIO: Ogni dandy sa che, come

spiegava Scott Fitzgerald, <<tutta la vita è un processo

di demolizione>>. Per questo rivendica la libertà di

scegliere il momento di andarsene.

TURISMO: nel secolo del turismo di

massa, il dandy ribadisce che ogni viaggio avviene

sempre intorno a se stesso.

UNICO: Il dandy non ama il trasudare del

denaro dagli oggetti. Quel che gli basta è molto meno e

molto di più. Il suo gusto, singolare mistura di austerità

e di voluttà, come l'impossibile replica della perfezione,

miracolosamente realizzata dal suo abbigliamento,

rivela l'aspirazione all'oggetto unico, supremo vertice e

Page 43: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

41

compendio di tutti gli altri. L'ampio spazio concesso al

vuoto nelle abitazioni di Drieu La Rochelle tradiva

un'aspirazione all'assoluto. Il dandy è uno stoico del

lusso, condito arditamente con la povertà.

VIOLAZIONI: Il dandy, sostiene Barbey

d'Aurevilly, si prende gioco della regola, e tuttavia la

rispetta. Non è un rivoluzionario, ma un raffinato

frondista, intenzionato a dimostrare che quello che agli

altri è interdetto può essere trasformato nel massimo

dell'eleganza. La sua scelta sfiora il cattivo gusto per

tramutarlo con la bacchetta magica della sua personalità

in un nuovo gusto.

Page 44: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

42

DANDIES DI OGGI

Il Vip, lo Chic, la Griffe, i Mass-media

Cosa significa parlare di dandismo ai giorni nostri?

Come può essere definito il dandy? Come ampiamente

indicato precedentemente, il dandy è connesso

strettamente alla moda, ma anche al mondo del design,

della grafica, della musica, dello sport, dello spettacolo.

Tra i dandies moderni, scelti tra i personaggi famosi,

potremmo citare il calciatore David Beckham, il

designer d'interni David Carter, l'attore Jude Law, e i

nostri Fabrizio Corona, Morgan, Vittorio Sgarbi,

insieme a tanti altri.

Certamente il dandy di oggi non scinde il

proprio aspetto dal successo e dal seguito che può

ottenere, che si tratti di un personaggio famoso o meno.

Di David Beckham Alice Cicolini dice che <<He is

acutely aware of the importance of his appearance in

the development of his celebrity status.>>. “Egli è ben

consapevole dell'importanza del suo aspetto nello

sviluppo del suo stato di celebrità.”40

. È importante

sottolineare quanto sia importante, per i personaggi

pubblici, il ruolo della griffe nella creazione della

propria immagine e nella cura del proprio aspetto. I

personaggi popolari, o che ambiscono a essere popolari,

40 Alice Cicolini, The new English Dandy, Londra,

Thames & Hudson, 2005 pag. 45

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43

vestono marchi di stilisti. <<La parola magica è la

griffe indossata, tutto il resto scompare, è sufficiente il

nome dello Style per far dimenticare il fatto che poi in

quei panni non si rende narcisisticamente al 100% delle

proprie possibilità estetiche e magari non ci si sta

neppure così comodi, ma tant'è la potenza della griffe

che ci si guarda con una vista nuova, una seconda vista:

insomma, si è quella griffe e ci si eleva dinanzi all'altra

griffe, sempre considerata se non la si indossa in

quel momento meno prestigiosa. Per questo si

diventa protagonisti, attori, uomini-donne spettacolo

che hanno un nome conosciuto da tutti: si diventa il

<<tal dei tali>> in griffe che fa tanto nobile,

apprezzato, aristocratico, conosciuto da tutto il jet-set

internazionale; un bisogno di emergere, di farsi

riconoscere ...>>41

C'è da dire che, al di là dei personaggi

pubblici e vip a cui si faceva ora riferimento, il

dandismo è un fenomeno esteso e generalizzato, che

facilmente può riguardare chiunque, giovane o vecchio,

studente o lavoratore, poiché è un atteggiamento

mentale, un modo di essere e di immaginarsi; e, in

quanto tale, credo che non morirà mai, pur assumendo,

in tempi diversi, sfumature differenti.

Dunque, chi è il dandy oggi? Prendendo

spunto da alcune riflessioni raccolte su siti dedicati al

41 Giancarlo Grossini, Firme in passerella. Italian style, moda e spettacolo, Bari, Edizioni

Dedalo, 1986, pag. 9

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neodandismo, possiamo delineare questo ritratto del

dandy moderno. <<Cosa possiamo dire del dandy di

oggi? Di certo possiamo dire che egli ama la libertà -

che respira avidamente - ed in relazione alla quale

edifica la propria vita. Ciò si manifesta nella sua vita

sentimentale, dove, almeno per i primi trentacinque

anni, preferisce rimanere single, o sul piano lavorativo,

dove preferisce essere libero professionista piuttosto

che impiegato o operaio. Per questo oggi il dandy è

preferibilmente grafico, web designer, architetto,

musicista.>>42

. Il dandy è un esteta, ama il bello, e

ritiene che la vita, come già affermò Oscar Wilde,

debba essere vissuta come un'opera d'arte. <<La

continua ricerca della bellezza e del sublime diventa

così una costante nella vita del dandy.>>. Bei quadri,

bell'arredamento, bella musica, cibi raffinati, il dandy

ama circondarsi di bellezza.

E a proposito di cibo, vediamo la divertente

descrizione che MaxCube Designer dà del dandy ai

fornelli: <<Nella megalomane impresa di trasformarsi

egli stesso in opera d'arte, il dandy trova assolutamente

necessario non lasciare al caso la propria alimentazione.

Specialmente al giorno d'oggi, in cui spietati gruppi

economici immettono continuamente sul mercato

tonnellate e tonnellate di cibi avvelenati ed adulterati, la

cura per il cibo riposta dal dandy assume il carattere

della missione. Coltivando direttamente sul proprio

terrazzo quello che può, il dandy cerca di acquistare,

42 Dal sito www.ildandy.it

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45

nei limiti del possibile, soltanto cibo genuino e di

stagione. Il rapporto di amplesso dandiano col cibo

inizia la mattina, quando il dandy mangia abbondante.

Poco latte, cosciente di essere un uomo e non un vitello,

niente biscotti sterilizzanti, si passa direttamente ad un

uovo, o a del pane imburrato con marmellata, quella

che lui stesso si è confezionato, ed occasionalmente

anche una spremuta. Spremuta vera, quella che lui

spreme con le sue mani naturalmente. A pranzo, si

conferma il tipico italiano. A cena, dipende dalla

compagnia... Ma la cucina è soprattutto per il dandy,

per il moderno dandy, l'ennesima occasione di

sfoggiare le sue propensioni artistiche. Il dandy si

sbizzarrisce ai fornelli, e con spirito artigianale crea la

sua ennesima opera, da sfoggiare magari e

preferibilmente in un incontro galante. Il dandy infatti,

non ama portare le proprie amanti a cena fuori, il conto

sempre troppo salato, ed il servizio sempre troppo

pacchiano. Meglio una cena a casa sua, dove diventa

finalmente regista di una cena indimenticabile. La

fortunata di turno si troverà già all'ingresso subito

affascinata dal buon gusto del dandy, nel posizionare

quadri e mobilie. Estasiata dal corridoio, arriverà alla

cucina/salotto del dandy. Si siederà, comodissima,

mentre le più sublimi musiche jazz inebrieranno

l'atmosfera. Sorseggiando del vino, ormai persa in

un'atmosfera di magia, vedrà finalmente avvicinarsi il

suo dandy/chef, con in mano due piatti dallo

straordinario gioco di colori. Finalmente a tavola, il

gusto non la deluderà, mentre il vino, leggero ma

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46

inebriante, comincerà a dare i suoi effetti, facendo

ormai perdere qualsiasi confine tra realtà e sogno. Di

solito, con la donna che non si concede alla fine della

cena dandiana, il dandy taglierà, con delicatezza e

savoir faire dandyano, qualunque contatto. Non

immolarsi come prelibato dessert alla fine di una cena

dandiana è un atto di maleducazione ed insolenza

irreparabile. Non concedersi alla fine di una cena

dandiana, non significa infatti soltanto infrangere un

desiderio erotico, ma distruggere con una scellerata

pennellata finale una vera e propria irripetibile opera

d'arte, riuscita perfettamente fino all'ignobile

rifiuto.>>.43

Questa descrizione, naturalmente, vuole

delineare una sorta di macchietta, esasperando alcuni

aspetti del nostro personaggio dandy. Ma certamente

contiene anche del vero. E in ogni caso, aldilà di

considerazioni scherzose, è un dato di fatto che il dandy

è colui che non trascura i particolari. <<Il vero

gentleman, infatti — scrive Nick Yapp nella

presentazione al libro Il Gentleman — è colui che non

lascia nulla al caso. Non basta vestirsi in maniera

impeccabile e curare ogni aspetto alla perfezione. Tutto

l'insieme dev'essere compiuto.>>44

E aggiunge:

<<Nemmeno il potere più grande e la ricchezza più

ingente possono fare di un uomo un gentleman. Ma a

chi si impegna e vede i propri sforzi ricompensati dal

43 -

44 Bernard Roetzel, Il Gentleman, Il manuale dell'eleganza maschile, Oldenburg, Konemann,

1999, pag. 8

Page 49: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

47

successo...! A lui sì che si svela un mondo affascinante,

un mondo al quale solo pochi possono accedere. E

allora ci si accorge che per essere un gentleman non

basta vestirsi secondo certi canoni, nonostante sia un

requisito indispensabile. Occorre anche comportarsi di

conseguenza. Perché un gentleman è rispettabile in ogni

circostanza, fa sempre la cosa giusta per istinto. … Un

piccolo avvertimento, tuttavia... Il semplice

perfezionismo esteriore può portare a qualche

eccesso.>> Yapp cita a questo punto Bertrand Russell,

il quale diceva del giovane Anthony Eden che non era

un gentleman, anche se ben vestito. Eden, a detta di

Russell, segnava il passo nella moda, ma non vantava

certo qualità morali all'altezza del suo abbigliamento.

Come ribadito nella prefazione, <<un uomo non

diventa gentleman per l'abito che indossa e, viceversa,

un vero gentleman resta tale anche senza abito. Ma

concludere da questa osservazione che il nostro aspetto

esteriore non sia importante, sarebbe un errore.

L'abbigliamento è il biglietto da visita della nostra

personalità. E perciò dovrebbe corrispondere a una

personalità.>>45

Da queste considerazioni, così come da

altre già evidenziate, emerge una caratteristica

importante che dovrebbe attenere al dandy (dandy nel

senso più alto della parola), cioè la misura. Sembrano

proprio essere la misura, l'equilibrio, l'armonia, il giusto

dosaggio, per così dire, le caratteristiche che informano

45 - pag. 11

Page 50: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

48

lo stile tout cour, e lo stile del dandy in particolare.

Abbiamo usato il termine 'dovrebbe', perché spesso

accade che proprio il dandy si faccia vanto proprio della

non misura, cioè degli eccessi.

Riferendoci ancora a quello che è il

dandismo oggi, potremmo aggiungere che i dandies

fanno parte, per lo più, del mondo dei VIP, delle

celebrità, del 'bel mondo', o comunque di cerchie

esclusive, quali circoli, club, ecc. E, diversamente che

in passato, non possono prescindere dal ruolo dei 'mass

media', di mezzi di comunicazione, che permettono di

essere sempre in vetrina, e fungono da cassa di

risonanza, e da preziosissimo strumento di visibilità. È

ormai acquisito che la posizione, il 'successo' di

tantissimi personaggi deriva oggi non tanto (o non solo)

da reali capacità e qualità, quanto piuttosto dalla abilità

di sapersi vendere bene, e dalla scaltrezza di utilizzare

la propria immagine. Come scrive Patrick Mauriès, <<i

vip appartengono a diversi circoli, che non comunicano

tra loro: in primo luogo, quello degli eletti, figure

internazionali la cui qualità principale è accumulare le

qualità, <<aver tutto per sé>> - gioventù, ricchezza,

bellezza – ed essere speciali anche nei piccoli atti e

gesti (Madonna, i Beckham, i regnanti di Monaco, la

defunta Lady D, eccetera). … I vip sono, per

definizione, limitati: hanno un senso, e un'esistenza,

solo se questi sono sostenuti, creati, tessuti, accresciuti

da un organo essenziale, che è il loro corollario: la

stampa (più importante, in quanto meno istantanea,

rispetto ai media caldi, televisivi, dei quali comunque

Page 51: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

49

segue l'impulso.>>46

. Le occupazioni dei VIP sono

anch'esse 'esclusive', come aggiunge Mauriès:

<<Ristretto com'è, questo piccolo mondo si dedica ad

attività anch'esse poco numerose, non più di tre a

quanto pare, sulla cui successione sono strutturati i

rotocalchi. Vanno in vacanza, sempre a Saint-Barth o in

un'isola segreta delle Antille, per sfuggire al pesante

fardello della loro celebrità>>47

.

Con altre parole, il dandy potrebbe essere

definito anche 'radical chic'. Vediamo la descrizione

che ne fa Serge Raffy. <<Chi si immagina il radical

chic sotto forma di un adolescente sensibile come una

fanciulla si sbaglia di grosso. Perché il radical chic fa il

doppio gioco. Bara senza vergogna. Il radical chic

cammina mascherato. Fa pettegolezzi. Si dissimula

dietro un abito da hippie riciclato nell'informatica,

gioca agli ecologisti senza frontiere, conosce la bibbia

dello sviluppo sostenibile a memoria, fa i gargarismi

con i diritti umani in continuazione. Ama l'Abbé Pierre,

Bernard Kouchner, MC Solaar, Suzanne Vega, versa il

suo obolo a una ONG lontana, detesta le guerre. Ma, in

fondo, è un terribile predatore. Un difensore agguerrito

e feroce del suo territorio, solitamente situato nella

prima periferia, in un loft riconvertito da una fabbrica

di scarpe dismessa. ...>>48

. Sono descrizioni abbastanza

impietose, ma probabilmente veritiere, anche se intrise

di ironia e sarcasmo. E anche sulla base di queste

46 Patrick Mauriès, I VIP, in Nuovi miti d'oggi, Milano, Il Saggiatore, 2008, pag. 105

47 - pag. 106

48 Serge Raffy, I radical chic, in Nuovi miti d'oggi, Milano, Il Saggiatore, 2008, pag. 135

Page 52: L'abito fa il monaco? Il Dandismo, fenomeno sociale e culturale

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considerazioni vorrei tirare un po' le somme.

Cosa accomuna e cosa distingue il

dandismo delle origini da quello

attuale?Indubbiamente, ora come allora, il dandy ha

come punto fermo la cura del proprio aspetto. E pure,

ora come allora, il dandy è un personaggio che ama

distinguersi; mi pare di poter dire che le componenti

psicologiche, pur tenendo conto del variare delle

epoche, siano simili. Le contraddizioni che ho messo in

evidenza credo riguardino sia il dandy del passato che il

dandy di oggi.

Vorrei però esprimere una considerazione;

mi sembra che il dandismo del passato fosse (più che

oggi) un'espressione intellettuale, facesse riferimento a

uno spessore culturale che oggi, spesso, mi sembra

manchi. Il dandy delle origini era un artista, un

esponente di pensiero, e con il suo atteggiamento

voleva comunicare un'eccellenza; egli voleva

distinguersi, ma sulla base di una differenza che si

fondava su reali qualità. Forse è presunzione pensare di

voler guidare, dirigere, influenzare le masse... Ma

certamente, se questa presunzione si fonda su una vita

di studi e di desiderio di imparare e migliorare, ha per

lo meno qualche giustificazione dalla sua.

Il dandy di oggi è spesso un personaggio

che ha successo e popolarità, quel successo e quella

popolarità che facilmente vengono attribuiti sulla base

di un bel fisico, di modi accattivanti, di grande

disinvoltura, di capacità di stare in pubblico e di curare

la propria immagine. Forse, ancor più che in passato, il

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51

dandy oggi può fare tendenza, grazie alla grande

visibilità offerta, come si diceva prima, dai mass media.

Se fosse lecito generalizzare, mi verrebbe da dire che,

delle varie accezioni del termine dandy, al dandy di

oggi si addicono quelle più dispregiative. Sicuramente

anche ai nostri giorni ci sono 'dandy' di spessore, ma

forse si è perduto quello spirito di “rottura” con il

sistema, che avevano personaggi come Oscar Wilde,

Charles Baudelaire o Lord Brummell.

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LA CADUCITÀ

Nell'introduzione dicevo come la moda e

l'abbigliamento siano continuamente in trasformazione,

quindi segnale della precarietà della vita stessa, dove

niente è mai dato una volta per tutte.

A questo proposito, e in chiusura, vorrei citare le parole

che scrisse Leopardi, nel Dialogo della Moda e della

Morte, parole che mi sembrano particolarmente

significative.

MODA: Io sono la Moda, tua sorella.

MORTE: Mia sorella?

MODA: Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate

dalla Caducità?

MORTE: Che m'ho a ricordare io che sono nemica

capitale della memoria.

MODA: Ma io me ne ricordo bene; e so che l'una e

l'altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di

continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo

effetto per una strada e io per un'altra.

MODA: … Dico che la nostra natura e usanza comune

è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da

principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi

contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti,

delle masserizie, dei palazzi e di cose tali.49

49 Giacomo Leopardi, Dialogo della Moda e della Morte in Operette morali, Milano, Arnoldo

Mondadori editore, 1988, pag. 57

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54

CONCLUSIONE

In conclusione di questo lavoro, posso dire che per me

è stato davvero un percorso di ricerca e di acquisizione

di conoscenze e consapevolezze nuove. Dico così

perché, quando mi sono avvicinato a questo argomento,

avevo già determinate conoscenze e determinate idee,

in base alle quali avevo immaginato l'organizzazione

del lavoro e i vari punti da trattare, così come la tesi di

fondo. Poi, nel corso del lavoro, mi sono trovato a

modificare le mie opinioni, e ad allargare la mia

visuale. Questa ricerca non è stata quindi soltanto una

relazione, ma una ulteriore opportunità per scoprire e

imparare.

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55

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