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La Seduzione tra inganno e possibilità 27-28 Febbraio 2015
L’incontro con il perturbante Stefania Polesello Pol
“Negli ultimi tempi Pantoo non mi piaceva più. Non mi piaceva in me quello che era stato sensibile alle sue seduzioni. Chi vivrà, vedrà. Mi viene in mente che sto segretamente ripercorrendo la storia
della mia paura. O, più esattamente, la storia del suo scatenarsi, e, ancora più precisamente: del suo liberarsi. Sì, in effetti, anche la paura può essere liberata, a dimostrazione che essa è parte di ogni cosa
o persona che viene repressa.” (Christa Wolf, 1983, pp.44-45)
1. Il carattere perturbante dell’amore
“Capire una parola significa sostituirla nella nostra mente alla percezione della realtà cui essa rimanda. Notiamo che
quando la parola è equivoca e tentiamo tale sostituzione, le realtà cui essa allude non hanno niente, o molto poco, a che
vedere fra loro. Così accade con la parola Amore. Se l’amore nella sua pienezza produce quell’illusione di eternità, non è
un quid pro quo tragicomico pretendere che realizzi la sua finzione?” (Ortega y Gasset, 1992, pp. 99-100).
Ortega y Gasset scrive di come l’uomo abbia la presunzione di fare di ogni punto della sua esistenza un
punto cardinale. È possibile andare verso nord o verso sud, ma senza pensare di raggiungerli poiché
non sono due città realmente esistenti. Il più frequente errore di prospettiva consiste quindi nel proiettare
tutto sul solo piano di realtà. Ebbene, una delle dimensioni del mondo è la virtualità. Dovremmo imparare
a rispettare i diritti dell’illusione e a considerarla uno degli assi caratteristici e fondanti della nostra esistenza.
Separiamo pure il reale dall’immaginario, ma conserviamo entrambi i mondi e manteniamo ciascuno nei
limiti del proprio esclusivo dominio (Ortega y Gasset, 1992).
I limiti tra soggetto e oggetto fanno eco ai limiti delle istanze intrapsichiche. I confini tra
soggetto e oggetto e le loro regolazioni rimandano ai rapporti tra le frontiere delle strutture interne. Vale
a dire, anche Io-Es-Super-Io e i sistemi Conscio-Preconscio-Inconscio sono permeabili tra loro e al mondo
esterno, al reale.
Quanto è fuori dal soggetto ed entra in contatto con esso subisce una costante trasformazione e,
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viceversa, quanto pertiene al mondo interno si lega e si amalgama in modo più o meno armonioso con
la realtà esterna incontrata. Come nel fenomeno dell’osmosi, dal greco osmós ossia “spinta”, lo scambio tra
soggetto e oggetto è un continuo compenetrarsi di esteriorità e interiorità, tra la realtà così com’è data e
la particolare realtà del soggetto.
In sintesi, la realtà non è il fatto in sé, ma il senso che essa acquista per il soggetto per mezzo della relazione
con la stessa. E la relazione essendo la matrice del soggetto ne determina la sua predisposizione a tutto
ciò che gli è estraneo.
Dentro e fuori compartecipano al processo di significazione sfumando l’uno nell’altro. Così come “il
significato di un romanzo non risiede né nel testo né nel contesto, ma in un punto intermedio tra i due” (Pamuk, 2007,
p. 27) così la comprensione delle forme possibili di relazione tra soggetto e mondo può verificarsi solo
nello spazio tra i due, nel campo che da questi è generato.
L’apparato psichico è esteso oltre ciò che sa e può sapere (Freud, 1938), pertanto i concetti di
soggetto così come quello di relazione d’oggetto devono tener conto di tale vastità ed estensione. Tali
complessità fondano la soggettualità e con essa la nascita dell’oggetto e della relazione con lo stesso. Il
concetto di soggettualità è qui inteso nel senso di essere e divenire soggetti e non nel senso intersoggettivo
di relatività dell’esperienza personale. Anche se ogni configurazione umana è una relazione d’oggetto,
è soprattutto nella relazione d’amore che si realizza la straordinaria coesistenza dell’oggetto del
desiderio, dell’oggetto-Sé narcisistico e del soggetto.
Nella relazione d’amore i due soggetti si riconoscono come tali contemporaneamente. Tale simultaneità
realizza però un paradosso: proprio mentre il soggetto realizza il proprio desiderio di indipendenza grazie
al riconoscimento dell’altro, egli diventa dipendente proprio dall’Altro che è divenuto testimone della sua
esistenza autonoma (Sassanelli, 2014).
Credo che sempre dovremo fare i conti con il nostro essere soggetti bisognosi e soggetti desideranti con
un certo narcisismo da nutrire e riparare. Questi modi dell’essere, però, per quanto ineludibili possono e
devono volgersi verso una significativa riorganizzazione.
L’impronta ricevuta al momento della nostra nascita psichica e le successive vicissitudini determineranno
il modo in cui noi saremo in grado di riconfigurarci nella relazione con l’altro.
Un buon impasto tra le forze pulsionali sgorganti dal soggetto e quelle provenienti dall’esterno
armonizza gli elementi della coppia soggetto-oggetto cosicché ciò che prima era estraneo possa essere
colto e attivare quello che di estraneo era già presente nel soggetto.
Accogliere ciò che può alterare è fondamentale alla liberazione delle potenze trasformative del soggetto
e della sua capacità di amare.
A questo punto potrebbe essere utile interrogarsi su come sia possibile realizzare una certa
conciliazione tra desideri amorosi e sentimenti ostili che lo stesso oggetto-soggetto suscita in noi. La
storia dell’origine del sentimento dell’amore fa intendere perché tanto spesso esso si manifesti in modo
ambivalente. L’amore nasce dalla capacità propria dell’Io di soddisfare una parte dei suoi moti pulsionali 11
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in modo autoerotico e attraversa una fase di incorporamento nella quale non vi è esistenza separata
dall’oggetto. Si spinge, poi, verso l’appropriazione dell’oggetto non curandosi per la sua sopravvivenza
e rendendo indistinguibile i moti distruttivi dell’odio da quelli aggreganti dell’amore.
L’antitesi odio-amore pare non risolversi mai, nemmeno con l’instaurarsi dell’organizzazione genitale.
Ciononostante per Freud, l’acme del processo maturativo della libido oggettuale si esprime per l’appunto
nell’innamoramento.
La necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di oltrepassare
l’investimento sull’Io attinge dalla perpetua opera di sintesi odio-amore sotto l’influsso di tre
specifiche contrapposizioni: attività-passività; Io-mondo esterno e piacere-dispiacere (Freud, 1914). Nello
stadio narcisistico la spinta alla relazione è descritta come priva di un soggetto e di un oggetto inteso come
distinto e separato da Sé.
“Invece di preesistere al suo oggetto, l’amore viene sempre suscitato da un essere che si trova dinanzi a noi e basta
qualche singolare qualità di quest’ultimo, perché scatti il processo erotico. Non appena questo comincia, l’amante prova
una strana urgenza di dissolvere la sua individualità in quella dell’altro, e viceversa assorbire nella sua quella dell’essere
amato. Misteriosa inquietudine! Mentre in tutti gli altri casi della vita niente ci ripugna tanto come vedere le frontiere della
nostra esistenza individuale invase da un altro essere, la delizia dell’amore consiste nel sentirsi metafisicamente porosi
nei confronti dell’altro individuo, di modo che solo nella confusione di entrambi, solo in “un’individualità a due”, abbia
soddisfazione” (Ortega y Gasset,, 1992, pag. 32).
Si intuisce qui come l’Altro alla fine ritrovato riattivi desideri potentissimi e contrastanti. L’individuo da
una parte sente il desiderio di ricreare attraverso l’Altro un centro aggregante e propulsore della propria
spinta vitale. Dall’altra parte, però, il rapido avvicinamento stride con la paura di essere sopraffatti o di
rimanere catturati: l’Altro detronizza l’Io e lo riporta al vuoto, alla fenditura e al dissidio che lo costituisce.
Il carattere perturbante dell’amore dipende dalla natura stessa delle pulsioni e dalla loro capacità di imporsi
oltre il principio di piacere. Il sentimento del perturbante potrebbe, quindi, avere la funzione di segnalare
la minacciosa regressione a stati primitivi della psiche. In questo senso, lo smarrimento che sorge a
contatto con l’oggetto sarebbe la rappresentazione della mancanza dirappresentazione (Conrotto,
2000), espressione del ritrovamento di qualcosa che non è ancora pensabile e integrabile.
Rispetto al processo di seduzione, il presente lavoro intende riflettere su alcuni accadimenti
intrapsichici presenti all’incontro con l’oggetto d’amore. In particolare, si intende riflettere su come quote
affettive inconsce accompagnino al momento del reinvenimento dell’oggetto d’amore. In particolare,
è mio interesse mantenere lo sguardo dalla parte del soggetto malinconico.
Lo studio di come il perturbante intervenga nella seduzione e, precisamente, di come si inserisca nella
scelta dell’oggetto d’amore, è assai complesso. La sua comprensione è resa particolarmente laboriosa dal
fatto che la sensibilità verso questa qualità del sentire si manifesta in maniera molto differente da
individuo a individuo. Freud stesso denunciava una sua particolare sordità laddove sarebbe stata
necessaria una ricettività particolarmente acuta (Freud, 1919). 12
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Il reinvenimento di un particolare oggetto d’amore è avvertito come fortemente perturbante in
quanto riespone ad un’antica perdita inconscia e non conoscibile. Ed intendo per non conoscibile
quell’esperienza che si è verificata e che si colloca prima della parola, ad un livello somatosensoriale.
In questa prospettiva, l’incontro con l’oggetto d’amore riguarda la ri-captazione dei segnali che
rimandano a quella specifica perdita.
Perdita innominabile che trasforma la spinta verso l’Altro a un continuo faccia a faccia con un
profondo senso di precarietà. L’investimento sull’Altro è avvertito come pericoloso in quanto non
controllabile. Nell’immaginario melanconico l’oggetto rappresenta l’opportunità di far visita a paesaggi
incantevoli ma capaci di trasformarsi da un momento all’altro nel luogo della catastrofe. Affinché una
perdita sia tollerabile e permetta di aprire le porte alla capacità di rappresentazione della Cosa è
necessario aver fatto esperienza di una buona identificazione primaria. Quando gli oggetti primari si
presentano in modo intermittente, scostante, imprevedibile la perdita diviene un lutto impossibile.
Nella melanconia la difesa dalla relazione non è contro la morte psichica, ma contro l’angoscia
provocata dalla vita, dall’eccitazione pulsionale e dall’oggetto che la promuove.
Il dramma non è scatenato dal Thanatos, ma dalla non sopportabilità dell’Eros. Insopportabilità che si spinge
fino al limite del narcisismo negativo che allora si congiunge con il Thanatos. L’Io in questo caso non
investe se stesso con le sue pulsioni, ma opera un abbassamento delle tensioni attraverso il ritiro delle
pulsioni dall’oggetto fino ad arrivare al non desiderio dell’Altro, all’inesistenza e al non essere (Green,
1983).
Paci (1986) ben rappresentava l’Altro come attivatore di una propria nascosta immagine inquietante,
luminosa come un miraggio e capace di creare una sorta di incantesimo nel quale l’Altro che ci seduce
ci permette un’infinità di proiezioni. L’oggetto d’amore, così inteso, con la sua presenza allusiva e
inquietante pone degli interrogativi vitali in quanto incoraggia a rinunciare alla propria soggettività a favore
dell’incontro con l’oggetto fantasmatico.
Il ritrovamento non è mai ingenuo. L’oggetto d’amore è un oggetto conosciuto-rimosso nei
confronti del quale è necessario operare un continuo e faticoso processo trasformativo.
Solo in questo modo sarà possibile sottrarsi all’eterno ritorno dell’uguale e aprirsi all’Altro Reale, all’“O”
bioniano. Un Altro Reale che deve essere irrorato e animato dall’immaginario.
In un certo senso, nella seduzione la cosa è prodotta per suggestione e l’oggetto evocato dalla
speranza. La seduzione crea una magico coinvolgimento che accoglie insieme l’oggetto ed il
soggetto. D’un tratto e “con lo spavento miracoloso di Robinson dinanzi all’orma di un piede umano sulla
sabbia” (Borges, 1956, p. 31), si sperimenta un sorta d’intenerimento, di esaltazione, di terribile silenzio.
Un convincimento misterioso si fa strada e s’intravede “l’insaziabile ricerca di un’anima attraverso i delicati
riflessi che essa ha lasciato nelle altre: al principio, la traccia tenue d’un sorriso o d’una parola; poi, splendori diversi e
crescenti della ragione, dell’immaginazione e del bene” (Borges, 1956, p. 32).
Bollas (2009) parla di oggetti evocativi perturbanti. Tali oggetti, soprattutto nel loro essere oggetti reali, 13
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riattiverebbero l’esperienza del conosciuto non pensato (Bollas, 1989). Ciò che è avvertito come perturbante
però è collocato fuori, nell’oggetto.
In questo senso, il terrore origina da quanto è già presente in noi, ma che non ha ancora avuto
accesso ad una dimensione verbale-immaginativa e che per questo è proiettato sull’Altro e permane
estraneo all’Io.
L’esperienza cognitiva, emotiva e sensoriale pare muoversi continuamente lungo un paradosso:
l’oggetto è, al contempo, qualcosa che decostruisce e di potenzialmente annichilente per la sua forza di
oltrepassare le barriere dell’Io e di giungere al cuore del narcisismo; ma è anche qualcosa che costruisce
in quanto è proprio dalla momentanea rottura del senso di ciò che conosciamo che possono nascere
nuove rappresentazioni aventi anche una funzione trasformativa di quanto è stato. La seduzione è, in altri
termini, il terreno necessario a dare avvio ad un vero processo di conoscenza di Sé e dell’Altro. Solo per
mezzo di essa vi è apertura non soltanto verso la cosa in sé che è fuori di noi, ma soprattutto alla cosa in
sé che rappresenta il nostro noumeno interno.
Solo così sarà possibile porsi di fronte all’oggetto reale come a qualcosa di sempre insaturo, pronti al
turbamento e alla meraviglia. Un disorientamento iniziale, quasi aurorale, dovrebbe permeare ogni
conoscenza e improntare di Sé ogni incontro.
E’ in questa ri-presa quasi diretta con l’oggetto che si scatena il sentimento del perturbante che
costituisce il fondo originario dell’umano e che lo guida nella scoperta dell’alterità.
Novalis (1976) affermava come, in fondo, l’inganno fosse necessario poiché solo attraverso l’illusione e
gli errori è possibile andare verso ciò che chiamiamo verità. E ancora, Baudrillard scriveva: “infatti se
la vocazione divina di tutte le cose è trovare un senso, una struttura su cui fondare il loro senso, le pervade anche,
indubbiamente, una nostalgia diabolica di perdersi nelle apparenze, nella seduzione della propria immagine, vale a
dire di riunire ciò che deve essere separato in un unico effetto di morte e di seduzione” (1979, p. 95).
Vedremo in seguito come nella melanconia l’impossibilità di vivere quella che Lambotte chiama “abbaglio
egoico” (1993), ossia quella particolare e fondamentale esperienza di magica illusione, impedisca una reale
apertura all’incontro d’amore. L’impatto con un non-desiderio e con uno sguardo che non guarda
pervade il mondo affettivo del melanconico che troppo presto ha dovuto rinunciare al piacere dello
scambio affettivo e relazionale. L’attacco precoce alle capacità immaginative e all’immaginario del
bambino e, quindi, al desiderio stesso, costringerà il melanconico ad una serie di difese evitanti.
Ogni possibilità di investimento amoroso dovrà quindi essere negata in quanto fonte di tradimento e
delusione. La mancanza di amore e sollecitudine dei primi oggetti d’amore, ed in particolare della madre
con il padre sullo sfondo, obbligano il soggetto melanconico ad introiettare un ideale di perfezione
inaccessibile che gli impone di negare se stesso oltre che l’Altro. Il mondo affettivo è immobile e glaciale
al fine di preservarsi dalla minaccia di disintegrazione e dalla deriva psicotica. Se l’immagine narcisistica di
Sé sarà anche oggetto d’amore dell’Altro, la forma amata e amante dell’Altro sarà deformata da un
mondo interno fragile e carente. Ne deriva che ogni spinta e ogni desiderio d’amore sono vissuti come 14
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una incombente catastrofe per Sé e per l’Altro.
La propria ’immagine si costituisce sotto lo sguardo amorevole e desiderante dell’Altro. Il fallimento di
questa fase dello specchio influisce negativamente sull’organizzazione narcisistica primaria e, di
conseguenza, sulla formazione dell’apparato libidico-emotivo del soggetto e sulla sua predisposizione
all’amore.
L’incontro con l’oggetto d’amore può e deve potersi fondare su un desiderio vitale che vada al di là della
nostalgia di ciò che non è mai avvenuto o della ricerca della ripetizione di ciò che è già stato. Solo
l’identificazione primaria e il riconoscimento narcisistico permetteranno all’energia libidica di reinvestire
il soggetto stesso e la propria immagine. Tale riserva energetica libidica per mezzo della benevole
testimonianza dell’Altro favorirà la costituzione dell’oggetto d’amore. Un oggetto che non scompare, che
non svuota e non impoverisce il soggetto, ma lo nutre, cresce e arricchisce.
2. Il non-familiare
La mia riflessione parte dall’articolo Das Unheimlich, rielaborazione di un vecchio manoscritto che
Freud stesso aveva abbandonato e che riprenderà nell’estate del 1919 mentre era ancora impegnato
nella stesura dell’opera Al di là del principio di piacere (1920). Das Unheimlich non ha una parola che
corrisponda perfettamente alla lingua italiana, si potrebbero utilizzare ugualmente espressioni quali
inquietante, pauroso, sinistro, lugubre. Preferibile però è l’utilizzo della parola perturbante o non-
familiare.
Perturbante è quella frazione di tempo aurorale che corrisponde al momento del reinvenimento
dell’oggetto e che stimola e incuriosisce proprio perché si realizza nell’istante che precede la
conoscenza (Gaber, 1978).
L’incontro con l’oggetto d’amore richiama a quell’area dell'affetto e del desiderio dove paura e
fascinazione sono sempre strettamente congiunte. Nell’incontro con l’Altro, infatti, la distanza di
sicurezza fra rimuovente e rimosso si accorcia vertiginosamente.
Estraneità e familiarità, tensione ed avversione verso uno stesso oggetto sono movimenti presenti da
sempre nel soggetto.
Tali contrapposizioni rimandano alle origini dell’odio e dell’amore così come del bene ed del male, quando
questi erano presenti in modo del tutto indivisibile.
Tale impasto si esprime anche nel significato ambivalente delle parole primordiali. Freud, nel Significato
opposto delle parole primordiali (1910) riprende le ricerche sui significati antitetici delle radici di molte
parole. Egli suppone che qualcosa di molto simile possa accadere anche agli albori dello psichismo.
Oggi è ben condivisa l’opinione secondo la quale nell’evoluzione della lingua, così come nella
maturazione dello psichismo, esista un’ambiguità costitutiva. Significati opposti e apparentemente
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inconciliabili coesistono in un’unica parola ed in ogni individuo.
Questo è quanto accade anche al concetto di perturbante.
Attraverso l’analisi linguistica operata da T. Reik, Freud ha potuto osservare come la parola das heimlich,
tra le molteplici sfumature del suo significato, mostri anche una coincidenza con il suo contrario, das
unheimlich. Quanto di familiare e di noto ad un certo punto può rivelarsi anche spaventoso ed
inconsueto. Ciò che è heimlich diventa unheimlich senza antinomia, nonostante le rappresentazioni alle
quali tali termini rimandano siano estranee l’una all’altra.
Per Schelling, a cui Freud fa riferimento nel saggio omonimo, la parola das Unheimlich si riferisce a tutto
ciò che sarebbe dovuto rimanere segreto e del quale non si vuole svelare il motivo dell’occultamento, ma
che invece è affiorato.
Il perturbante costituisce un elemento originario, sempre presente sullo sfondo, che riflette la
profonda e costitutiva ambivalenza del sentire e del pensare dell’uomo.
Ambivalenza che si fa corpo e voce ad ogni ritrovamento d’oggetto, come un affetto inconscio in cerca
di senso.
Tuttavia, affinché l’individuo possa ricevere questa particolare impressione di turbamento, è necessario
ch’egli si lasci permeare da un certo grado d’incertezza intellettuale e di disorientamento. L’esperienza
psicoanalitica ha mostrato come la fonte di tale vertigine sia sempre e solo infantile, a testimonianza del
fatto che “tutto ciò che fu è frammento ed enigma, e spaventevole caso” (Nietzsche, 1885, p. 226), fino a quando esso
non diviene rappresentabile.
Emerge, così, come non sia sufficiente che l’incontro con l’oggetto ponga l’individuo di fronte ad
un’antica e tremenda angoscia infantile, ma che siano riattivati desideri e credenze antichi. Lo stato di
smarrimento è espressione, quindi, di una silenziosa eredità affidata alle profondità della psiche. Gli
oggetti, le angosce e le fantasie collocati in certe aree nascoste sono solo apparentemente estranei.
Freud parlava di fantasmi originari quali l’angoscia di perdita, di separazione, di castrazione, la madre
fallica ed il genitore combinato (Freud, 1915, pag 526). Tali fantasmi, che in passato avevano avuto uno
statuto di realtà, si trasmettono al presente come tracce di eventi traumatici.
Il riappropriasi soggettivamente di questo sottofondo comporta un gravoso lavoro emotivo che
necessariamente deve investire l’elaborazione dell’ambivalenza originaria e dei fantasmi non solo edipici,
ma soprattutto pre-edipici (la seduzione del materno originario).
Il fantasma di Freud è sostanzialmente sempre edipico. L’impianto teorico freudiano non cambia nella
sostanza sebbene vi sia una certa apertura quando in L’Io e l’Es (1922) Freud integra il fantasma
del padre con il fantasma dei genitori. Nell’articolo, infatti, egli precisa come sarebbe più prudente parlare
dei genitori in quanto madre e padre poiché, non essendo conosciuta con esattezza la differenza tra i sessi
in un primo momento essi sono valutati indifferentemente (Freud, 1922). Solo dopo Freud la ricerca
metapsicologica ha consentito di valorizzare il fantasma materno all’origine della soggettività e,
quindi, di esplorare la sua forte incidenza sulla disposizione dell’apparato libidico-emotivo alla 16
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relazione.
Il fantasma dell’Altro influisce sulle forme del desiderio, sui modi in cui esso guida la scelta
dell’oggetto ed sui rapporti affettivi con lo stesso. Le vicissitudini del desiderio sono attraversate e
impregnate dalle caratteristiche del fantasma incorporato nell’Io. La comprensione dei possibili destini
del desiderio deve dapprima guardare all’unità duale materna e poi al complesso edipico.
Poiché questo lavoro intende approfondire l’esperienza del perturbante nel soggetto melanconico,
l’accento sarà posto sulla fase di rispecchiamento originario come momento generativo delle difese
dalla relazione. In quest’ottica, infatti, l’influenza dei conflitti e dell’ambivalenza del soggetto verso i
propri oggetti è successiva.
Nella terapia delle melanconie è solo dopo che si è sostati nei luoghi di contatto con l’oggetto
primario che diviene possibile trasformare una mancanza indifferenziata e muta in un lutto nominabile e,
quindi, promuovere l’accesso ai processi di integrazione delle pulsioni e degli oggetti parziali.
Con queste forme di sofferenza il punto da dove parte tutto il processo analitico è quello in cui i
fantasmi dell’Altro, incapsulati nell’Io del soggetto, fanno sì che la pulsione rimanga muta, non riesca
ad esprimersi e non abbia meta (Cupelloni, 2003).
L’incontro con il terapeuta dovrebbe innanzitutto assicurare uno sguardo, un riconoscimento capace di
attivare una funzione ricostruttiva e dare voce alle aree psichiche sentite, ma non ancora rappresentate.
Se la melanconia è l’esito di una seduzione avviata ma mancata proprio perchè mentre il desiderio nasceva
e si spingeva verso l’oggetto questo è scomparso, ecco che diventa fondamentale per il terapeuta farsi
garante di una certa continuità affettiva capace di liberare e sostenere le dinamiche di integrazione tra corpo
ed affetti proprie del paziente.
“L’Io non vive di luce propria, non può amarsi se non è amato, è in balia di un riconoscimento che non dipende da sé, se c’è
è il riconoscimento dell’altro, che può in ogni momento sottrarsi: l’Io non è padrone in casa propria” (Berto, 1998, p. 70).
Freud per primo rimarcava la natura essenzialmente relazionale dell’apparato psichico quando scriveva
di come l’Io chiedesse innanzitutto di vivere e di essere amato (Freud, 1922, p. 518).
Per tale ragione, la somiglianza avvertita con l’oggetto d’amore cagiona una tale incertezza nell’Io da
provocare suddivisioni, raddoppiamenti e permute dello stesso. È propriamente nei momenti di intimità
e di compartecipazione ai vissuti, ai sentimenti e ai pensieri dell’Altro, alle volte in modo quasi telepatico,
che si produce quel senso di potenziale minaccia all’integrità dell’Io (Petrella, 1981). Un richiamo
emotivo così coinvolgente da un lato affascina, ma dall’altro genera gran timore, come se tale seduzione
fosse una trasgressione ad un ordine super-egoico costituito che non si sa dove può condurre. L’Io del
melanconico è per questo difensivamente scisso sin dal principio. Nella melanconia, infatti, la funzione
simbolica e la qualità degli affetti vanno compresi alla luce delle primissime fasi di formazione dell’Io. I
legami primari del melanconico sono confusi, indifferenziati tra soggetto e oggetto ed impoveriscono l’Io.
Cupelloni (2008) scrive che da una parte l’Io è ostaggio dell’Ideale e del Super-Io, di legami non pensabili
e di emozioni che si sentono, ma non si dicono. Dall’altra, invece, esso si esprime, ricorda e rimuove grazie 17
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alle identificazioni possibili con un Altro che, però, è assunto a modello esteriore.
L’oggetto d’amore produce turbamento quando personificazione di un doppio narcisistico, ossia
quando portatore spontaneo ed inatteso di aspetti parziali della propria immagine e di desideri che sono
censurati alla coscienza. La ripresa di contatto con parti proprie proiettate fuori e misconosciute
conseguente alla presenza erofora dell’altro rimandano al motivo del sosia, der Doppelgänger (Rank,
1924) di cui Freud tratta nell’articolo sul Perturbante.
In principio, il sosia rappresenterebbe una roccaforte contro la scomparsa dell’Io e un tentativo di
liberazione dal potere esercitato dalla morte. Freud accenna a come, con il superamento della fase
dell’amore illimitato per sé, il bisogno di gemellarità muti significato e da garante di vita si trasformi
in monito di morte.
Se da una parte il doppio rappresenta la profonda aspirazione dell’Io alla riunificazione con
un’immagine familiare che gli assicuri la sopravvivenza data la sua strutturale impotenza originaria,
Hilflosigkeit (Freud, 1985); dall’altra, esso costituisce una minaccia di morte per l’Io stesso in quanto
lo obbliga ad alterazioni che potrebbero invaderlo, sostituirlo o gettarlo nel nulla. Dall’oggetto tanto
agognato prima ancora di poter essere riconosciuti si può essere catturati e precipitare in un vuoto
alienante.
Questa è l’esperienza temuta dal soggetto melanconico quando è posto di fronte alla possibilità di entrare
in intimità con l’oggetto amato.
È come se il fallimento della fase speculare e dell’esperienza della prima triangolazione - bambino, madre,
riflesso - impedisca di vivere il piacere dello scambio e dell’illusione di identità (Lambotte, 1993). Non
avendo potuto sentirsi oggetto di un investimento libidico sufficientemente buono, il soggetto
melanconico non è in grado di reinvestire l’immagine di sé derivante dallo sguardo vivificante della
madre. Al posto di tale riflesso si insedia un modello ideale irraggiungibile, un oggetto interno
inarrivabile, un Super-Io arcaico dispotico.
Nel mondo melanconico è proprio l’Ideale dell’Io a regolare la relazione con l’Altro.
Un Altro mai raggiungibile il cui sguardo attraversa senza mai fissarsi su di sé. Ecco perchè ogni moto
di desiderio emergente dall’Io è accompagnato dalla minaccia di un cataclisma per Sé e per l’Altro. Nella
relazione d’amore il soggetto si mostra diviso tra un affannato tentativo di ritrovare l’oggetto per riparare
il proprio Sé e il terrore di rimanere intrappolato e perdersi nell’immagine dell’Altro.
A tale proposito, penso ad una paziente giunta in terapia perché si sentiva confusa, spaesata. La cosa
che la turbava maggiormente era che tale stato si era presentato nel momento meno
comprensibile dato che aveva incontrato un uomo importante. Si lamentava di dover fuggire
inspiegabilmente proprio dagli uomini che più la coinvolgevano. La confusione e lo smarrimento
che l’altro le procurava la costringeva a chiudere i rapporti molto precocemente. Si dispiaceva del fatto
di non essere in grado di stare assieme a qualcuno, ma soprattutto proprio di quel qualcuno che
tanto aveva atteso. Raccontava che questo non le accadeva con uomini particolarmente freddi
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e distaccati dalle emozioni o con uomini che considerava intellettualmente inferiori. Il suo
matrimonio era fallito qualche anno prima. La relazione coniugale d’amore mi era parsa come
espressione del suo desiderio inconscio dell’Uno, ossia di una fantasia di riunificazione indifferenziata
con la madre. La confusione che a un certo punto ha sperimentato portandola a boicottare
inconsapevolmente il proprio matrimonio era il segnale dell’angoscia di perdita di Sé derivante da
quell’unione perfetta. Per questa paziente la persona da amare doveva essere uguale a Sé, avere gli stessi interessi, provare
e sentire nello stesso modo. Una sorta di gemello o di altra metà della mela che le garantisse un costante rimando a Sé e alla propria identità. Di fatto però, quando sperimentava tale funzionamento all’unisono, si spaventava a tal punto da divincolarsi dalla relazione con tutte
le sue forze, agite e non pensate. L’immobilità e la circolarità del rapporto se in un primo tempo le
offriva la stabilità e la sicurezza ambite, in un secondo momento si trasformava in una palude capace
di inghiottirla.
Per quanto una porzione delle pulsioni rimanga sempre legate all’Io costituendo fonte di nutrimento libidica
fondamentale, una parte di esse dovrà spingersi verso nuove vie (Freud, 1922). La rappresentazione
gemellare che sorge dal narcisismo dei primordi, quindi, non scompare con il superamento dell’infanzia,
ma trae nuovi significati nel corso delle fasi di sviluppo successive. Tale sentimento costituisce, dunque,
un’impronta arcaica legata alla natura più intima delle pulsioni stesse.
Pensiamo ad esempio a quando, in seguito all’uscita dalla fusione materna e allo sviluppo dell’istanza
superegoica, è l’Io stesso a diventare e a proporsi all’Es come oggetto d’amore.
Nella malinconia accade che l’Io, divenuto così simile all’oggetto con il quale era fuso, venga ritenuto
responsabile delle rappresentazioni sconvenienti o pericolose appartenenti alla primitiva indistinzione
tra soggetto-oggetto.
L’Io diventa così unico indiziato per quelle rappresentazioni divenute inammissibili. E questo accade
indipendentemente dal fatto che l’affetto originario collegato alla rappresentazione, che ora è preavvertito
come perturbante, avesse un carattere spiacevole o piacevole.
Pertanto, ciò che ritorna inintezionalmente nell’incontro con l’oggetto d’amore sono proprio quelle qualità
originali dell’oggetto che spaventano non in quanto terrificanti di per sé, ma in quanto rappresentanti
di parti di sé scisse ed eliminate. Tali quote affettivo-sensoriali non ancora integrabili afferiscono alla
preistoria del sentimento di sé e a legami affettivi enigmatici (fantasie di vita intrauterina, fantasie di
castrazione e complessi infantili).
Ciò corrisponderebbe in ultima analisi alla ricomparsa di livelli di funzionamento mentale primitivi
dominati dall’affettività, dalla suggestione, dal contagio psichico, da fantasie onnipotenti di
impossessamento e di incorporazione ostacolanti la differenziazione (Freud, 1919).
Addentrandoci ulteriormente nella questione, impotenza e turbamento paiono legate al ripresentarsi
della coazione a ripetere, ossia alla ripetizione di determinati aspetti della vita psichica che presentano tratti
quasi mefistofelici per la loro capacità di imporsi oltre il proprio principio di piacere.
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La coazione si presenta di rado allo stato puro. Essa appare legata ad un soddisfacimento pulsionale
piacevole intimamente congiunto ad un moto spiacevole. Eccitamenti dirompenti, infatti, creano una
rottura nella barriera protettiva dell’Io e silenziano temporaneamente il principio di piacere. Per
padroneggiarli l’Io è costretto a legare psichicamente le masse di stimoli irrotte nell’apparato psichico
così da potersene sbarazzare più tardi attraverso la proiezione. Ne derivano gravi conseguenze sulla
ridistribuzione delle cariche pulsionali. Questo legamento operato dall’Io, tuttavia, è un atto preparatorio
fondamentale per riassicurarsi il dominio del principio di piacere.
È da questo impasto pulsionale rimosso sempre in cerca di soddisfacimento che germogliano campi
relazionali antilibidici (Petrella, 1981).
Oggetti alienanti con i quali si è identificati inconsciamente guidano, pertanto, non solo la scelta
dell’oggetto d’amore ma anche il configurarsi della relazione nel tempo.
Il superamento della coazione è assai spinoso. Se in origine ogni investimento oggettuale corrisponde
ad una identificazione, ecco che il mantenimento a tutti i costi dell’oggetto originario diviene l’unico
modo per assicurare l’integrità dell’Io.
Tale oggetto può essere custodito a costo di precludersi nuovi vivificanti investimenti. La separazione
dall’oggetto originario è vissuta come frammentazione, perdita irrimediabile, rinuncia di parti di sé. C’è in
gioco la vita psichica, la paura si fa sentire come paura di impazzire, di perdersi definitivamente. Il soggetto
allora si pensa in modo autarchico. Tutto inizia e finisce con lui.
Più l’oggetto primario è stato deludente e più il soggetto si ritira nella propria autosufficienza,
trovando nell’autoidealizzazione un rifugio, seppur precario.
Penso ad un paziente la cui paura di mettersi in gioco in una potenziale relazione d’amore
superava la forza del desiderio e la qualità dei suoi affetti. Avendo perduto fiducia nell’oggetto primo,
egli ora si sforzava di recuperare da Sé ed in Sé tutto quanto necessario a garantirgli il sostentamento.
Era per lui impensabile che l’Altro potesse essere un oggetto-alleato capace di contribuire alla
coppia. La sua fissità non era però sentita come una rinuncia, ma come una posposizione del
momento giusto, di quel momento in cui sarebbe stato possibile unirsi felicemente all’amata. In lui
vigeva l’obbligo di essere pronto, quasi perfetto e di sentirsi in grado di non deludere mai l’Altro. Drammaticamente, questa immaginifica opera di creazione delle condizioni ideali per l’incontro con
l’oggetto amato, non faceva altro che nutrire il suo senso di inutilità, d’impotenza e di preclusione
irrimediabile al piacere. L’impatto con un non-desiderio e con uno sguardo che non guarda pervadeva il suo mondo
affettivo che troppo presto aveva dovuto rinunciare al piacere dello scambio affettivo e relazionale.
È l’attacco precoce alle capacità immaginative e all’immaginario del bambino e, quindi, al desiderio stesso,
a costringere a forme di difesa così evitanti.
In molti scritti a proposito della melanconia Freud parla di un Io diviso. Una parte di esso è sotto il
dominio del Super-Io che aggredisce l’altra parte e attacca tutti i legami interni ed esterni. Aggirare la
tirannia super-egoica è possibile solo recidendo una parte di sé, quella parte portatrice del desiderio 20
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e del risveglio pulsionale. Al suo posto si insedierà l’ombra dell’oggetto perduto, che diverrà oggetto
della propria furia. Qui la perdita dell’oggetto corrisponde alla perdita dell’Io. Emerge come sia il tentativo
da parte dell’Io di controllare l’Es attraverso l’identificazione con l’oggetto perduto o da rimuovere a
dare luogo alle sue diverse alterazioni. Alterazioni, però, che gli permettono di mantenere in vita l’oggetto
pur nella sua reale assenza e, in qualche modo, gli consentono di procedere alla conoscenza dello stesso.
Il soggetto melanconico che evita o abbandona gli oggetti ha rivolto contro di Sé l’odio. Vi è una sorta
di negativismo pulsionale (Lambotte, 1993) che fa ritrarre il soggetto di fronte alle possibilità di incontro.
L’alienazione di cui è oggetto l’Io impedisce al soggetto di distinguere gli oggetti di piacere da quelli di
dispiacere. È come se lo sforzo troppo precoce di padroneggiare l’eccitamento pulsionale senza l’aiuto di
una presenza desiderante avesse intaccato la capacità di discernere tra un Io-piacere e l’oggetto-dispiacere.
Quando l’identificazione non ha valore di progetto, di un destino possibile, il futuro non risulta tutto da
costruire, ma una prescrizione. La relazione diviene un edificio rigidamente predisposto dove non sono
previste e consentite modifiche. I processi identificatori e disidentificatori sono fondamentali per la
graduale decostruzione dell’altrui edificio in noi. Solo l’introiezione delle parti scisse, seppur attraverso il
perturbante sentimento di estraneità-familiarità, sostiene quei fecondi distacchi dalle vecchie
identificazioni. Si potranno avviare, così, i processi di lutto necessari allo sviluppo delle capacità
relazionali adulte.
Nella relazione con soggetti aventi profonde ferite narcisistiche ed angosce depressive ostacolanti la
relazione è fondamentale costituirsi come oggetto reale, vivo, capace di creare un ponte tra l’Io e l’Altro,
tra impotenza e onnipotenza, tra accettazione della realtà e creazione onnipotente. Il soggetto deve
poter sperimentare la possibilità di creare l’oggetto, di dargli significato pur non avendone il controllo
totale. Solo costruendo un’area intermedia, transizionale, prenderà forza la soggettività dell’uno e il
piacere dell’incontro con l’Altro.
A incidere è la dimensione gruppale originaria in cui la personalità si è formata e di cui, quindi, non può
che conservare l’impronta, nel bene e nel male.
Vorrei concludere con un breve estratto dalla lettera “L’uomo che ama” di Stig Dagerman: “Se i pianeti
potessero amare uscirebbero dalle loro orbite e sarebbe il caos. La sopravvivenza dell’universo è garantita dal fatto che
l’amore è impossibile. Anche l’uomo che ama ha il presentimento che l’amore sia fratello della morte. Ma questo non gli
impedisce, lui prigioniero della sua orbita, di aprirsi una breccia fino alla cella del vicino, gridando di gioia: sono libero!”
(Dagerman, 1952).
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