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Bimestrale di arte e cultura - Anno 1 num. 1 - Distribuzione gratuita Maggio 2011

l’ARTE FORMA la MENTE

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promuove il diritto alla cultura, il libero accesso alle conoscenze, la circolazione delle idee e dei saperi, le diversità culturali. Lavora per una cultura che sia motore del cambiamento sociale, strumento di emancipazione delle persone, qualità di vita e benessere collettivo.

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Maggio 2011Maggio 2011

L’ARCI promuove il diritto alla cultura, il libero

accesso alle conoscenze, la circolazione delle idee e dei saperi, le diversità culturali. Lavora per una cultura che

sia motore del cambiamento sociale, strumento di emancipazione delle

persone, qualità di vita e benessere collettivo.

Il rinnovo della tessera non è un atto di mera burocrazia o di gestione, ma è il sostegno ad un progetto, la condivisione di valori e pensieri comuni e la conferma di voler

contribuire alla prosecuzione di un ambizioso percorso collettivo.

Contribuire con la sottoscrizione signifi ca rendere sempre più forte il nostro circolo, arricchirlo delle proprie idee e competenze

e a far sì che tutte le attività e le iniziative con-tinuino a smuovere le coscienze dei cittadini

di Gravina e di tutto il territorio murgiano.

Il Grillo EditoreVia San Vito Vecchio, 8

30% sui libri acquistati in sede o sul sito www.ilgrilloeditore.it

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CONVENZIONILa tessera ti dà diritto a parteci-pare a tutti gli eventi e le attività dei circoli e delle strutture ARCI

presenti su tutto il territorio nazio-nale e potrai benefi ciare di molte

convenzioni per tutto l’anno 2011.Sul territorio di Gravina le attività

convenzionate sono:

DIRETTORE RESPONSABILEMario Barbarisi

ART DIRECTOR Manuela Coluccino

stARTRegistrazione del Tribunale di Bari n° 10 del 22/03/2011Num. R.G. 820/2011Tiratura 3000 copie

EDITORE Associazione di Promozione Sociale“Muretti a secco”Via Canale D’Alonzo, 15Gravina in Puglia (Ba)[email protected]

PROGETTO GRAFICOe IMPAGINAZIONEManuela [email protected]

HANNO COLLABORATONatascia Abbattista, Francesca Aulenti, Mauro Barnaba, Umberto Binetti, Giuseppe Laronga Wolf, Diego Loff redo, Davide Mangione, Ivana Panarella, Rosanna Pellicciari, Silvano Picerno, Michela Santoro, Paolo Sarpi, Amalia Tucci.

PUBBLICITÁMandea graphic&webwww.mandea.it

COPERTINADiego Loff redoAlex, olio su tela, 100X90, 2010 (part.)

STAMPAEurografi ca di Michele CataldiVia Don S. Valerio, 8 - Gravina in P. (Ba)Tel. 080 3262727www.tipografi aeurografi ca.it

La partecipazione a stART è assolutamente GRATUITA La scelta di pubblicare o meno il materiale pervenuto rimane ad insindacabile giu-dizio dell’editore, il quale si riserva di non pubblicarlo, di pubblicarne solo una parte e/o di farlo in un numero a propria scelta. L’editore si riserva, comunque, il diritto di impaginare il materiale all’interno della struttura grafi ca e della gabbia d’impa-ginazione della rivista e di modifi care la qualità delle immagini per permetterne la corretta visualizzazione e prestazione.

In una fredda serata di Gennaio, un tavolo, delle sedie, in una ca-sa nel centro di Gravina, un grup-po di amici, di iscritti , “partoriva-no” proposte e idee; le loro menti animate da entusiasmo e voglia di fare, lavoravano a pieno ritmo, viaggiavano come locomotive impazzite in cerca di una stazione dove potersi fermare.Il potere della MENTE, a cui ab-biamo dedicato il numero 0 della nostra rivista, fonte di tutte le no-stre azioni ed ispirazioni è infi ni-to ed ineguagliabile, ma da solo non basta; ne erano tutti convin-ti e consapevoli; dovevano segui-re delle azioni concrete e, l’unico modo per la realizzazione dei loro pensieri era la materializzazione degli stessi, a tutti i costi, in qual-siasi modo ed in qualsiasi FORMA.E così nel corso dei mesi, pian pia-no si materializzavano davan-ti ai loro occhi le fermate di que-sto lungo viaggio: la sede, stART, i

primi eventi, i corsi, i laboratori.Esistere in qualsiasi forma non è solo il tema di questo numero ma è soprattutto un imperativo, af-fi nché i nostri pensieri e le nostre idee non rimangano solo tali.Nell’arte il legame che c’è tra la mente e la forma è alla base del processo creativo. Ognuna stimo-la l’altra attraverso un interscam-bio continuo e aff ascinante di in-formazioni.Un fi ore attraverso la sua forma, i suoi colori, la sua bellezza, stimo-la la sensibilità del pittore o del fotografo che, dopo un’elabora-zione mentale, decide di dargli “nuova forma”, su tela piuttosto che su carta fotografi ca.E se dovessimo pensare alla pa-rola forma nella sua funzione di predicato verbale e la unissimo ai sostantivi arte e mente otterrem-mo: l’ARTE FORMA la MENTE... adesso provate ad invertire i so-stantivi. Buon Viaggio!

di Francesco Sossio Sacchetti

Anno 1 num. 1 - Maggio 2011

PitturaLa corrente dalle

forme elementari6

CulinariaLa cucina come

linguaggio d’arte8

FotografiaE luce fu!

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TeatroElemento essenziale:

la Ricerca12

SculturaLa Materia, le Luci,

le Ombre14

IllustrazioneForma l’immagine!

4Letteratura“Lo pozzo magico”

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Arredamento“In casa sua ognuno è re” 26

CinemaForme narrative

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HairstylingCapelli scolpiti

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ModaLe componenti essenziali della moda 20

ArchitetturaE’ l’ora delle ri-forme

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Le fi abe e le favole che cono-sciamo, ci suggestionano anche grazie al loro rapporto con l’im-magine, così l’idea che ognuno di noi focalizza di un concet-to, un personaggio, di un luogo, ecc. può avere un riscontro più o meno conforme alle proprie aspettative nell’illustrazione. Gli antichi egizi furono i primi a sentire la necessità di associa-re al testo l’immagine, quindi possiamo facilmente dedurre che le prime forme d’illustrazione coincidano proprio con la nasci-ta di quel gran supporto che è la carta. Con l’avvento della tec-nologia, la carta, viene spesso sostituita dal computer, ad esem-pio, che permette di realizzare immagini vettoriali, o dalla foto-

grafi a che consente di imprimere un’illustrazione tridimensionale e registrarla. Tenterò di soff er-marmi su quest’ultima tecnica e sull’ulteriore evoluzione dell’il-lustrazione tridimensionale in animazione, proponendo l’esem-pio di un noto disegnatore ormai regista, Tim Burton, che utilizza la fotografi a per realizzare cor-tometraggi e lungometraggi animati, mediante l’utilizzo della tecnica della Stop Motion: Night-mare Before Christmas1993 (regia di Henry Selick) e La Sposa Ca-davere 2005, sono i lavori più noti. In questi lun-gometraggi

animati, sia i personaggi che lo sfondo non sono semplici imma-gini realizzate e renderizzate al computer,

ma veri e propri pupazzi e scenografi e

tridimensionali modellati su strutture a volte

snodabili che sostituiscono attori e am-bientazioni grazie all’animatore che agisce direttamente sul set; un pupazzo può essere alto fi -

no ai 30 cm e molto spesso, le

Forma l’immagine!Dall’illustrazione alla stop motion di Tim Burton, i “pupazzi” non sono mai stati così vivi.

Illustrazionedi Amalia Tucci

• leone d’oro alla carriera 2008.

• golden globe 2009: miglior fi lm commedia o

musicale 2009 per Sweeney todd: il diabolico barbiere di fl eet street.• nomination al golden globe come miglior regista 2009 per Sweeney todd: il diabolico barbie-re di fl eet street.• nomination al golden globe: miglior fi lm commedia o musi-cale 1995 per Ed Wood.• nomination al golden globe: miglior fi lm commedia o musi-cale 2004 per Big Fish.• i suoi fi lm sono stati nominati a diversi oscar, per lo più tecnici.

Riconoscimenti

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ambientazioni, richiedono spa-zio e devono essere concepite non trascurando le necessità di movimento dell’animatore, che ha il compito di dare vita al-la storia. La Stop Motion è una tecni-ca molto laboriosa, che preve-de uno scatto fotografi co per sin-golo frame, su cui si apportano le dovute modifi che per ogni mi-nimo movimento e si prosegue, scatto dopo scatto, alla creazione della traccia video che conta per ogni secondo 24 fotogrammi. Ma prima di giungere al primo scatto è fondamentale un otti-mo storyboard che defi nisca per-sonaggi, location ed inquadratu-re. La lista dei materiali utilizzabili è infi nita, personalmente ho spe-rimentato plastica, legno, carta, ferro, tessuto, das, plastilina che possono essere utilizzati singo-larmente o associati. Mi piace ricordare che

prima di Tim Burton, Ray Harryhausen,

è stato ed è un grande sperimentatore

di questa tecnica ed infatti in La Sposa Cadavere, Burton dedica un tributo a que-sto “padre degli eff etti” speciali, il cui cognome diventa la mar-ca del pianoforte che si trova a casa della famiglia Everglot. Co-me Burton, altri animatori che

utilizzano questa tecnica hanno omaggiato il maestro Harryhau-sen che fu in grado di inserire in un fi lm in live action, l’animazio-ne e creare della interazioni tra i personaggi animati e il mondo

circostante in cui l’azione stes-sa si svolge. Attualmente Ray Harryhausen, classe 1920, vive a Londra e lavora ad un progetto di cortometraggi animati basati sui racconti di Edgar Allan Poe.

• Nel 2001 il fi lm della Pixar Monsters & Co. ha reso omag-

gio al lavoro di Harryhausen mostrando in una scena i pro-tagonisti del fi lm all’interno di un ristorante giapponese chiamato “Harryhausen’s”.• Nel fi lm La compagnia dell’anello, il regista Peter

Jackson ha voluto rendergli omaggio

nella scena

in cui un gigantesco troll attacca la Compagnia, facendo muovere la creatura come si muovevano quelle di Harryhausen.• Nel 1993 Sam Raimi fece lo stesso con l’esercito di scheletri de L’armata delle tenebre.• Leonardo Ortolani lo cita nel fu-metto Cinzia la Barbara, una parodia di Conan il Barbaro. In una vignetta si vede Harryhausen trafi tto da una spada.

“Per i miei lavori, attualmente, prediligo l’utilizzo della plasti-lina come materiale puro evitando le miscelazioni che a volte risultano semplicistiche ed atte solo a velocizzare i tempi di re-alizzazione senza conferire alcun valore aggiunto al prodotto fi nale. E’ un lavoro certosino, che richiede tempo, precisione e soprattutto capacità di semplifi cazione nel trattamento delle superfi ci che devono rimandare all’osservatore le caratteri-stiche peculiari di un determinato oggetto. Nel mio piccolo ho sperimentato anche la tecnica della Stop Motion, che mi aff a-scina moltissimo.” Amalia Tucci

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Tutto cominciò verso la fine del primo decennio del ‘900 con una grande mostra di Cézanne che aveva fatto conoscere i suoi quadri in cui le forme della real-tà erano state ridotte a minimali superfici geometriche. Nel frattempo, a Parigi, s’incon-trano e diventano amici due ar-tisti che insieme rivoluzioneran-no l’arte del Novecento: Pablo

Picasso e Georges Braque, i qua-li volevano cogliere nei loro di-pinti l’aspetto essenziale degli oggetti: non l’apparenza este-riore, fatta di colori e volumi, che possono mutare nel tempo, ma la struttura geometrica ele-mentare, che costituisce la ca-ratteristica immutabile delle co-se e la loro realtà: non la visione da un solo punto di vista, come

nell’arte tradizionale, ma la vi-sione simultanea di tutti i punti di vista di una figura. Per questo motivo i due artisti

cominciarono a scomporre

e ad analizzare gli oggetti nelle loro

componenti base. Ha dunque inizio la prima fase (1910-11) con le opere del cubi-smo analitico. Negli anni successivi (1912-14) Picasso e Braque creano invece le loro composizioni, dando vi-ta al cubismo sintetico, metten-do insieme oggetti diversi (rita-gli di giornale, pezzi di carta da parati): sono i primi collages del-la storia dell’arte. I due artisti rifiuteranno, però, sempre l’arte astratta: per quan-to nei loro dipinti la realtà sia ap-pena riconoscibile, il loro pun-to di partenza è sempre il rife-rimento agli oggetti reali. I tre musici di Picasso, è considerato il capolavoro del Cubismo sin-tetico. L’immagine viene scomposta in zone geometriche, differenziate soprattutto dal diverso uso del colore, e successivamente vie-ne ricomposta sinteticamente, componendo un’immagine ine-dita. La celebre opera raffigura

“Nel suo tentativo verso l’eterno, il Cubismo spoglia le forme dalla loro realtà geometrica.” Albert Gleizes

di Diego LoffredoPittura

La corrente dalle forme elementari

Les Demoiselles d’Avignon, 1907di Pablo Picasso, cm 243,9 x 233,7. È conservato al MoMA di New York.Il quadro mostra cinque prostitute in un bordello di calle Avignon, a Barcellona. Picasso creò oltre un centinaio di studi preparatori e schizzi in preparazione a questo lavoro, uno dei più importanti nel-

lo sviluppo iniziale del Cubismo.Quando fu esposto per la prima volta nel 1916, il quadro fu tac-ciato di immoralità. Molti critici trovarono delle somiglianze tra quest’opera e Les Grandes Baigneu-ses di Cézanne, connessioni messe però in discussione dai commenta-tori successivi.

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“La bellezza la sorprendi nei par-ticolari” è da questa consapevo-lezza che prendo il via per un per-corso personale. La ricerca del bello! Colta in quei giochi di for-me e colori semplici che sfuggo-no ad uno sguardo poco attento, ad una coscienza ormai radica-ta in una visione d’insieme. Cen-tralizzo il particolare attorno al quale ruoto l’intera opera. Osser-vando la realtà con gli occhi in-curiositi. Mi soffermo su forme e colori capaci di aprire una nuova percezione, ricercando meccani-smi alla base della conoscenza che riavvicinino l’uomo al quo-tidiano. La profonda umanità che emerge, conquista e propo-ne quesiti capaci di ricondurre lo spettatore verso percezioni nuo-ve. I giocattoli di legno non rievo-cano l’infanzia, ma scelti da me,

per puro caso, come esito di un continuo stupirsi difronte al gio-co di linee e colori. Come luogo in cui si può fare esperienza di una bellezza che si ri-propone. Affin-chè tutto questo possa essere co-municato, proporre un appara-to giometrico inusuale, un punto di osservazione poco probabile, esaltandone la visione con pro-spettive vertiginose, ma soprat-tutto proponendo il solito piccolo oggetto in una nuova dimensio-ne ingrandita. Questo spiazza l’osservatore, co-stringendo a rimettersi in discus-sione… sopraffat-to da un ogetto che da sapu-to diventa nuovo. Diego Loffredo

tre personaggi mascherati: sul-la sinistra c’è Pulcinella, che suo-na un clarinetto, al centro Arlec-chino con una chitarra e a destra un monaco che canta.La visione per quanto riguarda i tre musici è frontale e bidimen-sionale ma cambia per quanto riguarda la stanza in quanto si recupera il senso di tridimensio-nalità e profondità. La concezio-ne dello spazio è tuttavia con-tradditoria in quanto la parete di sinistra appare innaturalmente più lunga rispetto a quella di destra. I colori di questo dipinto sono piatti e distesi su ampie porzioni del dipinto. Da notare la differenza di colore tra i dipin-ti del cubismo analitico (terrosi, neutri, tendenti alla monocro-mia) e i dipinti del cubismo sin-tetico (brillanti). I tre musici , 1921 Picasso - cm 200,7 x 222,9 - Museum of Modern Art di NY

Ago e cotone, 2007Diego Loffredo

olio su tela cm 70X130

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Se consideriamo che sia possibi-le parlare di cucina come di uno dei linguaggi dell’arte, bisogna analizzare l’opera di artisti che l’hanno utilizzata come linguag-gio manipolando la materia-ci-bo a fini estetici. Esemplare sem-bra il caso dei futuristi che hanno applicato alla cucina le forme e i principi della loro poetica, riu-scendo tra l’altro ad anticipare il cambiamento del gusto e delle abitudini culinarie nell’arco del Novecento.Con il libro La cucina futurista di Marinetti e Fillìa pubblicato nel 1932, i futuristi propongono di sovvertire radicalmente ogni usanza in nome dell’originalità creativa attraverso pranzi-spetta-colo, esperienze multisensoriali totalizzanti. Dunque,

il perfetto pranzo futurista deve sollecitare

tutti e cinque i sensi: prevede l’uso di espedienti per sperimentare la ricettività tattile dei commensali, profumi spruz-zati in aria, musiche da propor-re negli intervalli tra le portate, danze e rumori di contorno che stimolino una percezione simul-tanea non limitata al gusto. No-nostante l’esuberanza delle sue proposte, la cucina futurista

ha precorso i tempi nel cam-biamento del gusto per mol-ti aspetti: dall’attenzione e la ri-cerca verso l’assoluta originali-tà delle vivande con accostamen-ti imprevedibili all’utilizzo di in-gredienti esotici e rari. Altrettanto importante è naturalmente l’at-tenzione all’aspetto visivo, pitto-rico e scultoreo sia delle portate che della composizione della ta-vola: ogni vivanda-scultura de-ve avere un’architettura originale che dia la sensazione di mangia-re un’opera d’arte. Molti elemen-ti del rinnovamento gastronomi-co futurista, sia da un punto di vi-sta estetico che del trattamen-to della materia, vennero recepi-ti tra gli anni Sessanta e Settan-

ta dalla nouvelle cuisine. Nel 1972 due giornalisti francesi, Gault e Millau, coniarono questo termine per definire lo stile culinario di un gruppo di chef di talento: il mo-mento più importante dell’elabo-razione gastronomica non è più la perfetta applicazione di rego-le, ma la creatività, la capacità di accostare elementi inusuali, per ottenere nuove sensazioni. In antitesi alla cucina classica, la nouvelle cuisine si afferma attra-verso il rispetto della semplicità dei sapori, l’esaltazione del gusto e del colore originale degli ingre-dienti. La riduzione della manipo-lazione della materia, metodolo-gie di cottura più naturali, cotture brevi, mirano a rispettare l’iden-

di Ivana PanarellaCulinaria

La cucina come linguaggio d’arteAmare il dettaglio e la raffinatezza di composizione, colore e forma delle pietanze.

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tità naturale dei prodotti. Inol-tre, come la cucina futurista, an-che la nouvelle cuisine riserva alla presentazione del cibo un’atten-zione particolare nell’amore per il dettaglio, la raffinatezza del-la composizione, colore e forma delle pietanze. I piatti sono solitamente bianchi senza decorazioni, in modo ta-le che queste non interferiscano con la composizione cromatica della portata.

Il piatto bianco diventa una tela

su cui il cuoco può creare la sua opera.

La miniaturizzazione delle por-zioni, l’esibizione di spazi vuo-ti del piatto s’inseriscono nei mo-di di espressione di un minima-lismo gastronomico, così come nella minimal art negli stessi an-ni che riduce l’opera a strutture semplici e colori primari.Attraverso la contaminazio-ne con il mondo dell’arte (futu-rismo), la cucina muta lo statu-to e il valore del testo (ricetta) e dell’autore (cuoco). Se nella cuci-na tradizionale il testo è imperso-nale, nella cucina futurista e nel-la nouvelle cuisine emerge con chiarezza la centralità del ruo-lo dell’autore che produce un te-sto verbale (la ricetta) e materia-le (la pietanza) a cui imprime una marca di originalità che lo rende irripetibile e irriproducibile come un quadro.

• Algirdas Julien Geimas, Del senso 2, Milano, Bompiani, 1984• Roland Barthes, L’impero dei segni, Torino, Einaudi, 1984• Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966

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...il gusto di amare

di Mauro Barnaba

Se potessimo stilare una clas-sifi ca su quali siano i punti di forza in un’ottima fotografi a, sicuramente troveremo al pri-mo posto, assieme alla luce, la forma.

Partendo da un buon utiliz-zo della luce, e quindi capire la qualità più che la quantità che si ha a disposizione di quest’ul-tima, è possibile ottenere

una buona fotografi a esaltando le forme del soggetto.Questi due elementi, vivono in un perenne rapporto di simbio-

si; se sfruttati con intelli-genza ed intuito so-

no capaci di dare alla luce fotogra-fi e di rara bel-lezza e sugge-stione.Anche soggetti

banali, visti e rivi-sti, se ritratti da un

corretto punto di ri-presa, e quindi illuminati

nella giusta maniera ed avendo le giuste ombre, possono assu-mere signifi cati e comunicare emozioni diverse, discostando-ci dall’idea ordinaria e bana-le che l’oggetto ha nella vita di tutti i giorni.In realtà si può dire che l’es-senza della forma è la “geome-tria applicata” alla fotografi a. Quell’insieme di linee, che uti-lizzate, sommate, sovrapposte ed incastrate fra loro in manie-ra oculata e, oserei dire qua-si scientifi ca, e l’oculato utilizzo della prospettiva, portano a ri-sultati fotografi ci mozzafi ato.Infatti è lo stesso Robert Map-plethorpe (fotografo newyor-kese di fama internazionale tra gli anni ’60 - ’80; i suoi temi più comuni furono i ritratti di per-

“...E luce fu!”L’importanza di creare la giusta ombra per risaltare le forme.

Fotografia

Derrick Cross, 1983 stampa in gelatina d’argento 50.8 x 40.6 cm

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sone, tra cui Amanda Lear, An-dy Warhol e Patti Smith; sog-getti sadomaso ed una serie di nudo femminile della culturista Lysa Lion), a delineare la poeti-ca e l’estetica della sua arte af-fermando di cercare, attraverso la fotografia, la perfezione della forma, senza badare al soggetto e di essere attratto da tutto ciò che è scultoreo.Mapplethorpe considerava la sua fotografia uguale ai qua-dri, riportando così a soggetti nitidi e distinti chiavi di lettura evocative, che scavano l’inter-pretazione dell’animo di chi le guarda. Infatti nel 2009 a Firen-ze in occasione del ventenna-le della sua morte, la Galleria dell’Accademia di Firenze, de-dicò fotografo una retrospet-tiva sulla sua arte, accostando gli scatti alle opere del Rinasci-mento fiorentino; titolo della mostra: Robert Mapplethorpe: La perfezione nella forma.

Ecco come un grande della fotografia, ha sottolineato

l’importanza della forma e delle forme del soggetto,

dando particolare importanza alla luce,

che ben dosata e manipola-ta, riproduce delle apprezzabi-li ombre regalando profondità e poesia a ciò che è stato im-mortalato.In conclusione, ciò che rende una’immagine unica ed emo-zionante è il “corretto” uso del-la luce, della prospettiva, della geometria del soggetto e con-seguentemente dalla forma di esso che viene messo in risalto anche e soprattutto dallo stato emotivo di chi fotografa.

Ho sempre creduto che la ricer-ca sia elemento essenziale nel percorso di creazione e di realiz-zazione di un evento teatrale. Tale mia certezza parte dalla con-vinzione che il teatro sia l’unica forma d’arte cui non può appli-carsi il concetto benjaminiano di riproducibilità.

Troppe le variabili che, volta per volta,

in ogni replica dell’evento cambiano

e si trasformano. E su tutte, l’atmosfera e l’energia che, sempre in modo diverso, si sprigionano con il contatto che irrimediabilmente si crea tra at-tori e spettatori.Cosa allora, in concreto, di-stingue il teatro da ogni al-tra forma d’arte? Credo sia l’esi-stenza di un palcoscenico, luogo e/o spazio che ho sempre rite-nuto “perennemente pulsante”. Un elemento capace di ridefi ni-re, fosse anche svuotato di ogni tipo di scenografi a, perfi no il concetto di forma inteso come tutto ciò che abbia un aspetto defi nito, una connotazione vi-suale precisa.Possiamo, allora, utilizzando il percorso della continua ricerca nella creazione dell’evento spet-tacolare, uniformare questo mo-

do di fare teatro all’arte pittorica informale defi nita come: “...estrema libertà del fare arti-stico: groviglio di segni, tracce, pennellate istintive e sgocciola-ture che riempiono lo spazio del quadro, che diviene, in tal mo-do, per l’artista luogo di azio-ne ed espressione degli impulsi energetici e creativi?” Penso pro-prio di sì. E non è certamente un caso che uno dei massimi espo-nenti di questo modo di fare te-atro sia stato il polacco Tadeusz Kantor, pittore, decoratore e co-struttore di bambole che diverrà dal 1955 uno dei massimi espo-nenti del teatro di ricerca e avan-guardia del ‘900. Da una parte, quin-di, lo spa-

zio/quadro come luogo degli im-pulsi energetici e creativi dell’ar-tista, dall’altra lo spazio scenico “pulsante” dove la continua co-struzione/decostruzione sceni-ca pone in vita quell’atmosfera energetica che sprigiona un con-tinuo contatto tra attori e spet-tatori. Una diff erenza, però, tra le due “situazioni” in realtà esiste ed è sostanziale.Spesso l’assenza di barriere for-mali tra attori e spettatori e il conseguente contatto tra di es-si, porta con sé conseguenze ri-schiose per l’attore. Il suo lavoro, median-te la

Il teatro è l’unica forma d’arte cui non può applicarsi il concetto benjaminiano.

Teatro

Elemento essenziale:la Ricerca

di Umberto Binetti

12

messa in scena, potrebbe porta-re con sé la perdita del bisogno di onestà.Forse perché l’assenza di para-tie e di armature psicologiche of-frirebbe allo spettatore un attore denudato, incapace di nasconde-re indizi che, in questa “scelta” tea-trale, diventerebbero prove per il pubblico pronto poi al giudizio fi -nale. E questo non può non spa-ventare l’individuo attore.Bisognerebbe ricordare allora agli spettatori che, gli individui/attori, poco prima ingrossava-no le loro fi la. Anch’essi occupa-vano un qualche posto nelle re-lazioni “corpose” della vita, strin-gevano con loro mutue e mol-teplici relazioni vitali. Ma che, in realtà, appena attraversato il confi ne che li colloca nel mondo dell’arte, la nuova “installazione” impone loro una rinnovata con-dizione di vita fi nalizzata a un determinato scopo.

E lo scopo unico di ogni forma d’arte è trasmettere un messaggio che

raggiunga lo spirito e l’intelletto

di qualsiasi individuo/spetta-tore.L’attore, io credo, quando sarà capace di re-incarnare le proprie ferite, apparirà ai nostri occhi di spettatori in tutta la sua dram-matica e pura crudeltà, capace di catturarci senza che ci sia al-cuna possibilità di fuga verso quelle trappole quotidiane (rela-zioni) poc’anzi ricordate. Un coraggioso navigatore, in-somma, capace di portare la propria barca attraverso gli in-terstizi delle parole per immer-gersi nella verità del personag-gio/persona da far vivere sul-la scena.

La rivista stART è un progetto edi-

toriale rivolto a tutt i e nasce dalla

convinzione che l ’Arte e la Cultura

possano contribuire realmente al la

crescita sociale ed economica del-

la comunità.

È real izzata grazie al contributo di

Enti, Aziende ed Associazioni che

intendono pubblicizzare in manie-

ra differente e originale le proprie

att ività, attraverso la divulgazione

GRATUITA del l ’ informazione cultu-

rale, che è un DIRITTO di tutt i e

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stART è un progetto edi-

toriale rivolto a tutt i e nasce dalla

Il concetto di forma nell’arte è strettamente collegato alla ma-teria. Per molti artisti nella mate-ria è già contenuta la forma, per gli scultori è fondamentale co-me principio. Spesso guardan-do un blocco di marmo, un tron-co di legno, un pezzo di creta ci si immagina e si intravede quel-lo che ne uscirà. Nella’arte la for-ma è l’espressione dell’idea e ne rappresenta il prodotto finale.

Lo scultore deve tener presen-te, oltre alle varie tecniche, un fattore molto importante: la lu-ce e le ombre. La scultura, astrat-ta o figurativa che sia, è fatta di forme, ma senza la giusta luce non riusciremmo a leggerla per-ché risulterebbero impercetti-bili i chiaroscuri e le sfumatu-re sulla materia. Boccioni scrisse a riguardo: ”Rovesciamo tutto, dunque, e proclamiamo assolu-

ta e completa abolizione della li-nea finita e della statua chiusa, immaginando sculture immate-riali fatte di luce, che avrebbe-ro automaticamente annullato il senso stesso del termine scul-tura a favore di nuove idee plasti-che“. La forma nella scultura, sia nel secolo scorso che oggi, af-fronta le stesse problematiche che sono legate a dei concetti a volte progressisti altre conser-vatrici. La questione si basa sul fatto che

ognuno cerca la propria verità in quello che dice

o che rappresenta, chi in maniera figurativa

legata a un discorso accademico e chi legato

a un discorso concettuale della forma.

A me piace pensare che la veri-tà è nel mezzo come mi ha in-segnato il mio maestro Vito Cipolla, che dice: “Prima di di-struggere bisogna conoscere”; questo concetto spesso viene dimenticato da molti che hanno la presunzione e l’arroganza di calpestare secoli di storia dell’ar-te. Ad esempio Picasso e Lucio Fontana, prima di essere inno-vativi in ciò che più li rappresen-ta, sono stati degli artisti figura-

Forme uniche di continuità nel-lo spazio del 1913 è considerata la scultura più riuscita delle ricer-che plastiche boccioniane, dalla critica dell’epoca, da quella con-temporanea e da Boccioni stes-so. Allo stato attuale esistereb-bero sei o sette versioni in bronzo della scultura, ed alcune in gesso, eseguite in epoche diverse. Forme uniche di continuità nello spazio, rappresenta la sintesi massima delle ricerche di Boccioni: la velo-cità, la simultaneità, il moto rela-tivo, vengono fotografati, “gelati” nello stesso istante, che potrebbe durare in eterno, perché il tempo della scienza non coincide più con quello interiore umano; il tempo sembra racchiudere lo spazio, la scultura stessa. In questa statua sembra esservi concentrato e compenetrato in-sieme, tutto il dinamismo univer-sale, tutta la vita e i moti nascosti

dentro una semplice forma. Forme uniche di continuità nello spazio, non offre una serie di profili rigidi, di silhouettes immobili, ma ogni profilo reca in sé la chiave per leg-gere altri profili.È forse l’ultima scultura eseguita da Boccioni, non sappiamo dell’al-tra, oggi dispersa, non documen-tata da fotografie, Forme essenzia-li di un footballer.

La Materia, le Luci, le Ombre

Sculturadi Giuseppe Laronga Wolf

Nell’arte la forma è l’espressione dell’idea e ne rappresenta il prodotto finale.

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tivi, quindi credo che le due cose debbano viaggiare insieme pa-rallelamente per un fine comune qual è l’Arte. Vorrei citare alcune parti del te-sto il Manifesto tecnico della scultura futurista che in manie-ra meno pragmatica della mia, racconta ciò che rappresenta-va la scultura agli inizi del seco-lo scorso attualissimo come con-cetto: La scultura, nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d’Europa, offre uno spettacolo co-sì compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imita-zione, che il mio occhio futurista se ne ritrae con profondo disgu-sto! Nella scultura di ogni paese domina l’imitazione cieca e ba-lorda delle formule ereditate dal passato, imitazione che viene in-coraggiata dalla doppia vigliac-cheria della tradizione e della fe-licità. Nei paesi latini abbiamo il peso obbrobrioso della Grecia e di Michelangelo, che è sopportato con qualche serietà di indegno in Francia e nel Belgio, “con grotte-sca imbecillaggine in Italia”. Noi dobbiamo partire da un nu-cleo centrale dell’oggetto che si vuole creare, per scoprire nuove leggi, cioè le nuove forme che le-gano invisibilmente ma mate-maticamente all’infinito plasti-co apparente e all’infinito plastico interiore. La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno e in qualsiasi altra materia, dei pia-ni atmosferici che legano e inter-secano le cose. Questa visione che io ho chiamato transcendentili-smo fisico potrà rendere plastiche le simpatie e le affinità misteriose che creano reciproche influenze informali dei piani degli oggetti. La scultura deve quindi far vive-re gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro pro-lungamento nello spazio, poiché

nessuno può più dubitare che un oggetto finisca dove un altro co-mincia e non v’è cosa che circon-di il nostro corpo: bottiglie, auto-mobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e non lo sezioni con un arabesco di curva rette.Possiamo infine affermare che nella scultura l’artista non deve indietreggiare davanti a nessun mezzo pur di ottenere una real-tà. Nessuna paura è più stupida di quella che ci fa temere di uscire dall’arte che esercitiamo. Non v’è pittura, né scultura, né musica, né poesia, non v’è creazione!

Involucro dell’anima, terracotta smaltata, 2010 - Laronga Giuseppe Wolf

Cupido, terracotta smaltata, 2010 - Laronga Giuseppe Wolf

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Lo pozzo magico è una storia fantastica per grandi e per picci-ni dove tutto accade in un tem-po lontano. Forse è il tempo dei giullari o dei cantastorie, perché è uno di loro che canta e racconta. Una favo-la qualunque, col suo regno fe-lice, col suo re e la sua regina, al cui centro vi è un antico pozzo, simbolo di vita e di fertilità per tutto il popolo, dove all’improv-viso accade qualcosa di terribile e di strano, di molto strano. In una notte di subbuglio, fra rombi infernali e terre-moti, dalle gole più pro-fonde della valle fuoriesco-no strane piante rampicanti che come un muro di pietra, dividono il regno a metà, sepa-rando la terra dalla terra e gli uo-mini dagli uomini. Le due parti del regno non po-tranno più comunicare fra loro: Eos a levante, Espe-rà a ponente. Ad Eos il potere sovrano ri-marrà nelle mani del re Anurà, ad Esperà prenderà il comando un crudelissimo po-destà. La vita conti-nuerà “sanza fi ori ne colori” all’interno dei due regni, ma una speranza, sollevata da

un’antica profezia, incoragge-rà l’intero popolo: l’arrivo di un giovane eroe che salverà “quel” mondo! Leggenda o verità? Una “istoria sanza senso”, che un nostalgico giullare canta per di-strarsi , in un momento buio del-la “storia”, quella reale; dove l’ar-te del raccontare è soltanto il ri-cordo di un mondo passato. Un istrione che guadagna a cappel-lo e che ha la cassa vuo-

ta, perché si sa che l’arte non ingrassa e

che oggi non c’è più tempo per le favole. Sarà il consenso del suo pubblico, la più grande ricom-pensa, che a volte si dice paghi più del denaro. Belle parole che da secoli lasciano l’artista... a di-giuno.Lo pozzo magico è un viaggio nel tempo, un viaggio in un mondo indefi nito, dove si parla una lin-gua strana, che sa di antico; un antico canzonante e buff o che ospita indizi temporali e stilistici, portati scherzosamente a galla. Tutto in una forma ricca di

espressioni arcaiche e latinismi, stemperati da frequenti troncamenti

e scherzose enclisi pronominali,

che conferiscono al racconto, pur nella “drammaticità” dei fat-ti, una straordinaria leggerez-za, che delizia lo spirito, ma non trascura la mente. Un racconto

fi abesco in ottonari che nasce come uno scherzo letterario, in cui si rintana un sottile va-lore pragmatico, trionfalmen-te celato dietro un’apparen-te frivolezza. Poco più di mille versi per raccontare un mon-do immaginario, dove il tutto succede senza una causa ap-parente, ma ce n’è sempre una che governa tutto.

“Lo pozzo magico”

Letteraturaa cura della redazione

Racconto fiabesco in ottonari.Uno scherzo poetico di Terry Paternoster.

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In viaggioPrendevan strane forme i pensierisulla strada che raggomitolandosisi nascondeva timida e pudicaentro lunghe gallerie avvolgenti e protettive…Ed eran nuvole soffi ci e voluttuosamente morbideche correvano ammiccando furtivamentelungo le pareti ricurve e illuminatemostrando a trattinel loro incedere mutevoleil tuo volto raggiante e ladrodelle mie emozioni più recondite e belle…E divenivan poi allo sboccograndi alberi in corsache maliziosamente indiscreti e scaltricelavan fra le frondele tue braccia caldead avvolgermi sensuali l’anima…E poi ancora distese di fi ori variopinti in fi erie sprazzi di gioia e arbusti odorosi a profusionefra cui occhieggiava sincerala primavera del tuo sguardo incantevolea inseguirmi imperterrito il cuore…Cambiavan continuamente forma i pensierideclinandosi in immagini e sensazionisfumature e suggestionicosì chiaramente nitide e vivenella loro mutevolezza danzantequanto irrepetibilmente uniche e immodifi cabilinella loro essenza più vera:l’indescrivibile meraviglia di teprofondamente limpida e liberain viaggio dentro me…

Francesca Aulenti

Nel SognoIn un rumore di sogni precipitaIn questi fi umi di pensieri,La voce di lei,Che taglia questa notte bagnata di solitudineChinando il suo voltoNelle sfumature dei miei incubi.E la sua mente altro non è chelama per il mio cuore,E sfoggia lungo il seno ciò che rimaneDi queste piaghe graziose,Che in balia della solitudine,Lungo una corda fi ne metteranno a questo dolore.E il suo sguardo mi aff ogheràIn una vasca di rose,Ove le sue labbra, tra ruvide carezze ansiose,Speranza venderannoA chi muore per frode d’amore.E tra le braccia di questo orrore,Nella speranza dell’inganno,Cerco di scalare la realtà,Apro le porte di questi sogni,Ma il suo cuore altro non èChe il traguardo della fi ne.

Davide Mangione

Poesia

Il viaggio in un sognoC’è un’arte di contraddire che è la forma più raffinata di adulazione. Andrè Maurois

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Tutti i cittadini, al di là del colore politico, sono invitati a partecipare e a condividere con noi il proprio impegno.

2 SI perchè l’acqua sia pubblica, sottratta al profi tto e ai privati che speculano su un bene primario e vitale, negandola a chi non ce l’ha o facendola pagare cara.

1 SI per respingere il piano nucleare. Il governo Berlusconi non rispetta i risultati del referendum dell’87, dopo Cernobyl, che impose la chiusure delle centrali nucleari. Oggi, la tragedia del Giappone dimostra che fu una scelta giusta.

1 SI per abolire la legge che prevede il cosidetto “legittimo impedimento”, per Presidente del Consiglio e Ministri, a comparire nei Tribunali come imputati. Perchè la legge torni ad essere uguale per tutti.

L’attenzione per l’abito, per il mo-do di vestire e di “mascherare” il proprio corpo è particolarmente acuto, a dimostrazione che l’abbi-gliamento, al di là dei suoi valori pratici, igenici, estetici, presenta valori che trascendono quelli del-la mera piacevolezza, del mero lusso. E allora ci accorgeremo an-che che, tra le componenti essen-ziali della moda, la struttura e il colore sono quelle che domina-no incondizionatamente.Struttura, che è da intendere co-me una qualità globale di dar forma (e signifi cato) a un abi-to, a un qualsiasi particolare dell’abbigliamento. Una forma globalmente strutturata e pre-gnante carica di peculiari “si-gnifi cati”, non solo estetici, ma psicologici, sociologici, di status symbol.Colore, che è indispensabile “companatico” d’ogni forma, e che, nel caso della moda, è para-gonabile al bouquet d’un ce-lebre vino, o dall’aroma d’una particolare spezia capace di rendere più gustosa una pietanza altrimenti insipida. L’uso, moderato o eccessivo, del colore subisce, ha subito e continuerà a subire le più incredibili oscillazioni: da monocromo a variopinto, da serio a frivolo, da deco-rativo a strutturale. È so-

lo di ieri, ad esempio l’adozione programmata del violetto, questa tinta che la moda aveva messo al bando per ragioni superstiziose e che, invece, appena adottata dal-la haute couture internazionale, è dilagata fi no a raggiungere le più umili imitazioni provinciali dei più diff usi pret-à-porter. Ma, se il colore costituisce l’indispensa-bile fl avour d’ogni abito e d’ogni indumento, è proprio la struttu-ra che ci si rivela quale vero para-metro d’ogni costruzione moda-

le. Ne abbiamo esempi si-gnifi cati-

vi: la severa linea che Armani ha adottato in molte sue crea-zioni, pur nella varietà del colo-re e dei tessuti; la struttura rigida, ma proprio per contrasto risul-tante “frivola” nel doppiopetto capovolto di Ferré; la sagoma svasata dai lucidi revers d’un abi-to di Ferré, nella sua ripetitività circolare che viene a costituire quasi una sorta di gigantesco ca-leidoscopio. Oggi, come ieri, la moda è legata ad alcune motivazioni storiche, sociologiche, artistiche, che ne determinano, sia pure indiretta-mente, i canoni: fragili canoni che sono tuttavia le spie d’un gusto anche artistico d’una situazione anche sociale ed economica.Lo studio del sorgere e del tra-montare di tali motivazioni è l’unico mezzo per valutare le ra-gioni profonde di certe modifi ca-zioni del costume che altrimenti sarebbero inspiegabili. Il fatto di considerare questo stu-dio non solo come qualcosa di epidermico e di futile, ma come qualcosa di profondamente an-corato alle maglie del tessuto, ci permette di valutare il fenomeno della moda e le sue metamorfo-si come punto di riferimento per la nostra conoscenza dell’uomo e addirittura per una maggior comprensione della civiltà entro cui viviamo.

Le componentiessenziali della moda...e i suoi rapporti con la società, l’arte e il costume.

Modadi Rosanna Pellicciari

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Dar forma all’autenticità, la-sciarla esprimere è ciò da cui muove il mio percorso di hairst-yling; quando la cliente si sie-de su quella poltrona, si apre uno spazio tra lo specchio e la mia esperienza in cui si crea lo stile, che non è semplicemende immagine ma, innazitutto, cura di sé. Per questo da sempre ho rinunciato a rincorrere tenden-ze sempre troppo invasive, det-tate dalla concezione dell’ac-caonciatura come elemento accessorio e decorativo, quasi sovrapposto, mentre il capello

è ancora corpo che incarna e si plasma nel gioco con le funzio-ni del suo tempo.

E in ogni singolo taglio, nel segnare le linee

e gli angoli che andranno ad alleggerire il peso della materia, sento la bellezza

e la responsabilità di avere tra le mani

un gioco tanto serio.Chi si rivolge a me lo fa con del-le aspettative, sul mio lavoro,

tanto quanto su se stessa ed è in quella materia fertile, che è il desiderio di chi si affi da a me, che prendono forma creazioni.Come ogni arte anche l’hairst-yling ha la sua tecnica e rispon-de a i principi fondamentali del-le scienze e della percezione, perché, non dimentichiamolo, bellezza è percezione che mo-dula i suoi geometrismi attra-verso lo spirto del tempo.Sul modello dell’architettura, imprime il sigillo alla coscienza collettiva ma la storia del gusto e del costume ha anche la carat-teristica di anticipare quelle che saranno le tendenze sociali, ol-tre che aff ermarle. Così, se nell’antico Egitto forme geometriche riproducevano i principi architettonichi del po-tere dei faraoni, nell’epoca ba-rocca inizia ad aff ermarsi quel-la coscienza estetica sempre più schiacciata sul decorativo e la suggestione immediata che ca-ratterizzerà lo sviluppo del gu-sto e del costume della moder-nità.In epoca contemporanea que-sti fenomeni hanno subito un accelerazione: dal dopo guer-ra, spinti dalla febbre della ri-costruzione anche gli stili si so-no reinventati: un esempio per tutti, e per me un’ispirazione, è Vidal Sassoon che, nella mitica

di Michela SantoroHairstyling

La bellezza è giocoGioco di forme che si agitano e ricompongono in un gesto di libertà, deciso tra estro e regole.

Vidal Sassoon (1928). Acconciatore inglese

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Londra anni ’60, compie una ri-voluzione estetica, per la nuova immagine di una donna ormai inserita nel sistema produttivo, quindi dinamica e desiderosa di autoaffermazione, pari a quel-le compiute nell’abbigliamento da Coco Chanel e Mary Quant. Oggi, invece,

Il suo caschetto, geometrico e funzionale, è vissuto solo come una

tendenza tra le tante, in una moda fatta da

citazioni e, non a caso, in un periodo di crisi economica come il nostro, sono tutte citazioni da un pas-sato, come quello degli anni ’50 ’60 ’80, che rimandano ai perio-di di boom economico, espri-mendo la voglia di ripartire.Questo ulteriore gioco di cita-zioni mi intriga, perché aumen-ta la possibilità di scelta e di espressione. Fondamentale, però, rimane il rapporto tra i giocatori, in que-sto caso tra hairstylist e clien-te: se i principi fondamenta-li sono le regole, il rapporto con la cliente disegna il campo da gioco.

È importante saper interpretare i desideri,

sostanzialmente di due tipi, quello di valorizzarsi e

quello di trasformarsi, gioco più sottile e rischioso che stringe il legame tra i parteci-panti, per questo è imporatnte la scelta del professionista che sappia, innanzitutto, avere cura del capello.In questo gioco di forme in cui vale tutto, una sola regola è sempre efficace: non c’è bellez-za senza cura di sé.

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Cinema

Parlare del rapporto che il cine-ma ha con la forma è possibi-le, ma su diversi livelli perché di-pende dalla defi nizione che si vuole attribuire al termine “for-ma”. Mettendoci sul piano di ciò che è defi nibile comprensibilità di derivazione logica, per “forma” si intende una realtà oggettiva, unita ad una percezione sogget-tiva. È l’interazione tra sogget-to e oggetto che crea la forma. L’ intelligibile, cioè, ha una forma che è caratterizzata da una lo-gicità oggettiva sommata a de-terminate capacità soggettive di chi quella forma osserva. In altre parole il riconoscimento di for-me presuppone un allenamento visivo, o più in generale senso-riale completo. Il cinema è den-tro la realtà circostante, le sue forme riconoscibili dentro que-sta, perciò ne deriva che voye-rismo e curiosità, assimilandosi, portano alla percezione di forme che stupiscono proprio perché (forse) pensate per stupire.Le forme narrati-ve si confi gura-no fi no a creare un’unità solida (talvolta li-quida)

che è la materia fi lmica. Questa materia è situata in un determi-nato arco temporale della real-tà; in qualche modo si imprime sulla pellicola: a un certo punto, cioè, questa realtà sta compien-do una reazione foto-chimica su un certo tipo di materiale sen-sibile alla luce che ne imprime-rà le forme essenziali, cercando di mantenerle intatte nel tem-po futuro. Il tempo narrativo di un fl usso visivo, quindi la scelta cronologica di un racconto, ha una forma propria. Le variazio-ni temporali si esprimono in diverse forme, sempre. Si pen-si al tempo come ad un liquido che può assumere diverse for-me a seconda del contenitore che lo contiene. I contenitori so-no le varie suggestioni dei diver-si soggetti percettori. Una possi-bile forma del tempo è visibile a

partire dall’osser-vazione

delle trasformazioni della mate-ria circostante al suo trascorre-re. La trasformazione, quindi la variazione della forma, è l’essen-za del principio percettivo. Co-sì i fotogrammi fi ssi scorrono e restituiscono un senso di mo-vimento, trasformazioni di real-tà. E quanto più certe variazioni di forma riescono ad emoziona-re lo spettatore, tanto più il fi lm possiede sapore: il sapore del fi lm che si confronta con il gusto dello spettatore. Da tener pre-sente è che variazione può esse-re anche conservazione, quindi non variazione, o variazione al li-mite del percettibile.Alla base della visione c’è dun-que un insieme di variazioni di forme. Queste variazioni han-no un senso fi lmico quando c’è qualcuno che le sa maneggiare:

il narratore, da bravo prestigiatore,

maneggia il trucco e crea l’illusione che meraviglia lo spettatore.

I buoni racconti, quindi, sono buone manipolazioni di va-riazioni di forme; il racconto possiede-rà una sua forma

propria, e questa

L’interazione tra soggetto e oggetto crea la forma.

di Paolo Sarpi

Forme narrative

forma rappresenta il “come” da-re forma a una porzione di realtà inquadrandola. Nella realtà di un fi lm si osservano una serie di for-me in sovrapposizione che co-struiscono l’ impianto unitario; l’unitarietà della struttura ci tra-sporterà da qualche parte dove il racconto è percepito come un accompagnatore. Alcuni esempi pratici.

Il ritmo di frammentazione

delle immagini che si genera dalle scelte di montaggio di un fi lm

è rappresentabile su di un grafi co astratto.

Tuttavia anche in mancanza di questa rappresentazione, il rit-mo avrebbe comunque una sua riconoscibilità: cadenze, ripeti-zioni, asimmetrie ecc.. Su que-sto montaggio possiamo imma-ginare ci sia una musica che è percepita ritmicamente coeren-te con gli stacchi, oppure con il ritmo intrinseco delle immagini non frammentate.Pensiamo ai movimenti di mac-china da presa, che spesso de-scrivono delle traiettorie fi siche (spesso si disegnano). Pensia-mo a come la luce sia impiega-ta per esprimere le sue caratteri-stiche interiori o per accentuare o oscurare forme pre-esistenti: si sceglie una determinata illumi-nazione su un determinato sog-getto perchè sia scolpita chiara-mente una forma pre-esistente che ne suggerisce una nuova. Oppure si crea una forma a prio-ri per alludere ad una che è già pre-esistente. Questa operazione è già raccon-to se vogliamo, sempre se si in-tuisce che il cinema è il racconto di una visione.. piuttosto che di una vicenda.

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Nel prossimo numero...

BLU Colore del Nord, si rifl ette positivamente sulla carriera e il successoVIOLA È il colore dell’amicizia, degli scambi e dei viaggi e va a Nord-OvestGIALLO ad Ovest stimola la creatività ed è perfetto per i bambiniARANCIONE Sud-Ovest, protegge il matrimonio e le relazioni socialiROSSO Da posizionare a Sud, evoca saggezza e buona forma fi sicaMARRONE Salute e ricchezza da preferire a Sud-EstVERDE Ad Est, perfetto per chi studia evoca conoscenza e illuminazioneAZZURRO All’insegna della famiglia il colore di Nord-Est

Arredamentodi Natascia Abbattista

“Vorrei un tavolo wengè da abbinare ad una parete attrezzata bianca laccato lucido, delle sedie trasparenti, quelle della rivista e un quadro rosso che con il divano in pelle caff è s’intona benissimo”.

Ecco, questo vuol dire arredare con gusto, ma aiuto! Va bene il gusto ma ci vuole anche personalità!Quando entro in casa di giovani coppie ho quasi sempre la sen-sazione di entrare in case bellis-sime, accoglienti ma poco per-sonalizzate. Qui scatta allora la fi gura dell’arredatore, che non è solo quella di posizionare mobili

tendenzialmente belli seguendo i canoni della richiesta del mer-cato. Arredare la propria casa è qualcosa di più intimo.Il ruolo dell’arredatore è di sod-disfare le giuste esigenze di un cliente, capirne il bisogno ed esaudirlo, perché se si prende la parola bisogno e la si scompo-ne leggiamo bi-sogno cioè dop-pio sogno; nell’esigenza di arre-dare una casa vi è la necessità di esaudire il sogno di chi abbiamo di fronte. Quindi chiediamo alla persona che si accinge ad arre-dare la sua “reggia” cosa ama fa-re nella vita, che lavoro svolge, quanti fi gli ha, se ha molti amici, le sue passioni ecc.

Se il cliente ama invitare amici a casa si può predisporre un an-golo conversazione accogliente con divani e pouf che all’occor-renza possano ospitare piu per-sone; un’isola centrale per chi ama cucinare manicaretti non sentendosi isolato dal resto del-la comitiva... Con il tempo il concetto di “ca-sa” è cambiato cosi com’è cam-biata l’idea di nucleo familiare: la donna lavora, i single cresco-no sempre più, amici che vivo-no insieme, lavoratori che tor-nano a casa solo nel week end... sono queste le fi gure che, aven-do diff erenti esigenze e neces-

“In casa sua ognuno è re”Piccoli consigli per rendere unico il proprio “castello”.

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sità, spesso si rivolgono ad un arredatore. E di conseguenza an-che la figura dell’arredatore si è modificata, non è più l’imbo-nitore stile anni ‘60 che vende-va a tutti i costi l’ultimo prodotto del mercato, ma un tecnico sem-pre più attento e vicino a quel-le che sono le esigenze del clien-te. Insomma non si parla più, o non si dovrebbe più parlare, di venditore di mobili, ma di con-sulente, che sappia consigliare, seguire e accompagnare il clien-te dall’acquisto all’assistenza nel tempo, suggerire colori, materia-li, forme.

“Questo e non altro è, nella sua ragione più

profonda, la casa: una proiezione dell’io; e

l’arredamento non è che una forma indiretta del

culto dell’io.”Mario Praz, La filosofia dell’arredamento, 1945

La casa è anche intimità, be-nessere, emozione, quindi, par-tendo dal presupposto che ar-redare vuol dire personalizzare l’ambiente in cui viviamo se-guendo e soprattutto capendo le nostre esigenze, non posso che citare il feng shui, un’anti-ca arte-filosofia proveniente dalla Cina. Secondo le tradizio-ni un esperto feng shui è ritenu-to in grado di valutare una ca-sa dal punto di vista energetico, e di stabilire quali sono le giuste soluzioni naturali per portare l’energia all’interno della casa e alla famiglia che la abita prospe-rità e serenità. Grazie all’utiliz-zo dei colori, delle forme, dell’il-luminazione delle piante, degli specchi dei cinque elementi che sono fuoco, acqua, terra, metal-lo, legno è possibile migliorare lo spazio in cui viviamo.

Parlare di forma in architettura, equivale a parlare di colori in pittura o di note in musica: è la parte essenziale e costituente.

Ma la forma è argomento assai complesso ed eterogeneo, per la definizione stessa di archi-tettura. Risalendo alle origini dell’architettura e rifacendoci ai principi vitruviani, questa disciplina fu definita come un insieme di tre fattori: firmitas (stabilità), utilitas (utilità) e venustas (bellezza). Senza stabilità l’architettura è desti-nata a non essere realizzabile o, peggio, ad essere rischiosa e precaria; senza utilità l’ar-chitettura, fine a se stessa, è semplicemente un oggetto da ammirare, una sorta di enorme scultura; senza bellezza non si può parlare nemmeno di architettura, ma solo di edilizia. Partendo da questa definizio-ne, possiamo dire che oggi è evidente una particolare atten-zione che gli architetti pongono nella creazione della forma e, di conseguenza, nell’esteriorità di un’opera di architettura. Lo studio dell’esteriorità, che

spesso coincide con la volontà di spettacolarizzazione dell’edi-ficio, conduce gli architetti ad esaltare la forma, trascurando sempre più la stabilità e l’utilità, nella logica della triade vitruvia-na. Infatti è fuor di dubbio che, tra i tre elementi basilari dell’ar-chitettura, l’estetica sia quella che impressiona maggiormente il visitatore. La stabilità della struttura è spesso nascosta o leggibile solo dai tecnici; le caratteristi-che dell’utilità di un edificio spesso sono trascurate o non saltano all’occhio del profano. Entrambe, sebbene possano essere valutate positivamen-te, non riescono ad essere eclatanti come la bellezza e la monumentalità. Ad esempio, è possibile che un utente sia favorevolmente impressionato dalla distribuzione interna di un aeroporto o dall’acustica di un teatro, ma è molto più probabile che sia entusiasta e

È l’ora delle ri-forme…Nella società dell’apparenza si trascurano i principi dell’architettura.

Architetturadi Silvano Picerno

Piazza San Pietro a Romasi differenzia e muta a seconda del punto di vista del visitatore, dilatando o riducendo gli spazi in maniera pre-ordinata.

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gli restino impressi l’attrattiva e la maestosità che può dare solo la forma degli edifi ci stessi. Ma la defi nizione di forma deve tener presente un’altra caratte-ristica dell’architettura: la sua parzialità, che la diff erenzia da altre forme artistiche, quali per esempio la pittura e la scultura. L’osservatore non può mai ap-prezzare in maniera “totale” un edifi cio, ma può percepire solo scorci parziali dell’intero com-plesso. Questa caratteristica è stata sfruttata dagli architetti nel corso dei secoli in vari modi, “usandola” per i propri scopi di volta in volta: come quinta sce-nica, come traguardo o illusione ottica, ecc… Basti pensare ad un esempio universalmente conosciuto come Piazza San Pietro a Roma, che si diff erenzia e muta a seconda del punto di vista del visitatore, dilatando o riducendo gli spazi in maniera pre-ordinata. Questo concetto ci permette di osservare come

la sensazione che si riceve dal vivere uno spazio architettonico è una

caratteristica complessa della conoscenza umana

e non si può ridurre al mero senso della vista.

Infatti se ci capita di osserva-re la foto di un’opera, magari su una rivista, quello che pos-

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siamo percepire è tutt’altro rispetto a quello che ci trasmet-te l’esperienza dal vivo del-la medesima opera inserita nel proprio contesto. Persino la vi-sita ripetuta dello stesso edifi -cio può trasmettere sensazioni molto diverse, ad esempio, con una luce diff erente. Quindi è necessario osservare fi sicamente un manufatto per cogliere la vera essenza dell’ar-chitettura e, di conseguenza, anche la sua reale forma. Un al-tro elemento da analizzare è co-stituito dalla continua trasfor-

mazione nei secoli delle for-me degli edifi ci, conseguenza dell’evoluzione delle esigenze della società e del progresso dei materiali costruttivi.

“Nell’architettura la forma plastica ha

potuto evolversi grazie alle nuove tecniche e ai nuovi materiali che le

danno aspetti diff erenti e innovatori.”

(Oscar Niemeyer)

In caso di un’opera architettoni-ca storica, per valutarne la for-ma, dobbiamo considerare an-che tutte le varie manipolazioni e alterazioni che ha subìto nel corso degli anni, immaginan-do di sfogliare vari strati, come avviene nel conteggio dell’età degli alberi. Tutti questi distin-guo, che caratterizzano la visio-ne di un’opera, ci portano ad af-fermare che è complicato avere una conoscenza “a senso unico” dell’architettura e la stessa de-scrizione di quest’arte è diffi cil-mente riconducibile ad una de-fi nizione unica, come provano gli svariati tentativi in cui si so-no cimentati i più grandi archi-tetti della storia. “Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e lar-go tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci faccia-mo seri e qualcosa dice den-tro di noi: qui è sepolto un uo-mo. Questa è Architettura.” (Adolf Loos).In questa defi nizione la forma è rivelatrice della funzione, os-sia è capace di evocare un signi-fi cato, che suscita una determi-nata emozione. In sintesi si può aff ermare che è molto compli-cata la percezione corretta di una costruzione e solo som-mando diversi fattori possiamo comprendere la forma architet-tonica.

“Fallingwater House”, F. L. Wright foto di Avery Swartz (www.averyswartz.com )

• Rivista di architettura: www.vg-hortus.it • Rivista digitale di architettura: www.architettura.it • Oscar Niemeyer, La forma dell’ar-chitettura, Milano, Ed. A. Mondadori, 1978• Alessandro Borgomainerio, Adolf Loos. Architettura e civilizzazione, Milano, Electa, 2008

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