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L'Atelier Del Cratere Di Vix Dibattito Di Giovanna Bonivento Pupino in Atti XXXII Convegno Di Studi Sulla Magna Grecia Taranto

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The archaeologist Giovanna Bonivento Pupino in the 32 Conference of Studies about Great Greece in Tarent calls the attention of archaeologists to the necessity of finding full stops in connexion to the ticklish question of the workshop’s place of the great vessel of Vix (France), ascribed since its discovery’s times whether to Laconian or Corinthian workshops of Greece or of South Italy (Great Greece: Taras, Sybaris), without neglecting the Etruscan hypothesis.In the discussion with Croissant she hopes that doubts can be cleared better in future also by a new research’s methodology based not only upon stylistic analogies between metal products and pottery but also upon experimental archaeology applied on metal products.

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IL DIBATTITO

Estratto da «Sibari e la Sibaritide»

Atti del trentaduesimo convegno di Studi sulla Magna Grecia

Taranto-Sibari, 7-12 ottobre 1992

ARTE TIPOGRAFICA-NAPOLI

MCMXCIV.

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Giovanna Bonivento Pupino

La questione dell’atelier del cratere di Vix : considerazioni sull’intervento di Francis Croissant su “ La produzione artistica di Sibari” in Estratto da «Sibari e la Sibaritide», Atti del trentaduesimo convegno di Studi sulla Magna Grecia

Taranto-Sibari, 7-12 ottobre 1992, pp. 638-643.

La razionale disamina di Francis Croissant su “ La produzione artistica di Sibari”, prescindendo dal mito e dalla nomea di città ricca e fantasiosa, sulla base obiettiva del materiale archeologico proveniente dagli scavi di Sibari, ed in particolare dal Santuario di Francavilla Marittima (fine VI sec. A.C.), mi sembra tenda a confermare più un ruolo importatore che produttore di Sibari, intessendone l’evoluzione delle relazioni artistiche: la ricchezza ed il lusso, tanto decantati, dei Sibariti avrebbero contribuito non tanto allo sviluppo di una vocazione artistica creativa quanto a quella commerciale di ricevere prodotti di lusso dall’estero. Il Croissant ha dimostrato con le belle immagini come anche gli oggetti plastici di terracotta rinvenuti a Sibari denotino l’adattamento dei modelli ionici e corinzi ai bisogni della clientela locale. Il tributo più grosso-abbiamo sentito-si è pagato ai modelli corinzi (a parte l’eclettismo della “Dama di Sibari”): l’adattamento della corrente corinzia nella colonia sibarita è apparso dalle immagini dei supporti a rilievo stampati di produzione locale o d’importazione magnogreca. La puntuale disamina stilistica consente al Croissant di sottolineare una caratteristica che riscontriamo nel mondo coloniale in genere: l’eclettismo. In questo quadro artistico, dove i gusti si combinano e si mescolano per accontentare i committenti, è proprio difficile parlare di scuole, di atelier con una tradizione. Mi interessa in particolare la questione dell’atelier del cratere di Vix per quanto concerne la plastica in bronzo. Croissant ripropone il dilemma del suo inquadramento produttivo-stilistico, dopo l’ultima attribuzione della scuola francese ad un atelier di Sibari, in virtù della sua affinità con le hydrie di Paestum (rimando agli Atti su Paestum del XXVII Convegno dove nel 1987 ho già dibattuto sulla relazione Rolley). Anche la plastica in bronzo, come la coroplastica, sembra adattarsi a modelli stranieri dalla Jonia e da Corinto; esaminando con obiettività la serie dei bronzetti da Francavilla Marittima lo stesso relatore ammette che non bastano a costituire una tradizione locale.

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Con tale premessa poco solida per avvalorare l’ubicazione di un atelier sibarita, si salva oggi la tesi sibarita di Rolley con l’idea, che è sembrata al relatore la più ragionevole, di un atelier corinzio di bronzisti immigrati a Sibari. Nonostante le premesse di cui sopra (eclettismo stilistico, scarsità documenti di bronzo). Dopo decenni dal suo rinvenimento in Borgogna, nella piana di Vix, a 40 Km fa Alesia ed a 5 dalla valle Chatillon-sur-Seine, il famoso cratere di bronzo, trovato nella tomba a tumulo di una principessa celtica, nella necropoli dell’oppidum sul monte Lassois, fa ancora lambiccare sulla ubicazione del suo atelier. L’ipotesi di un’ officina di artigiani corinzi, con sede a Sibari, segue la scia della corrente corinzia per la produzione di vasi da simposio, ma ubicata in Magna Grecia. Le officine di Corinto erano famose per i crateri di bronzo metallici, detti per antonomasia “corinzi” (ATHENEO, V, 29-30, pp.199b-200). Quando, più si vent’anni fa, ebbi il primo impatto col problema mi sembrò strano che si pensasse a Taranto come sede della officina laconica di Vix. Rilevai inoltre che l’attribuzione del cratere alla toreutica tarantina (tesi Joffroy) andava rimossa anche dal punto di vista tecnologico, perché il fregio sul collo del cratere di Vix è fuso e non sbalzato ed anche perché lo stile del fregio, col suo approccio alla tridimensionalità e la sua concezione plastico volumetrica, contrasta col senso ornamentale, l’appiattimento, la stilizzazione dei bronzetti tardo-arcaici attribuiti a Taranto ( bronzetto del cavaliere da Grumentum al British Museum, metà VI sec. a.C., bronzetto di guerriero da Taranto ora all’Antiquarium di Berlino, rispetto alla cui silhouette stilizzata il guerriero incedente del fregio di Vix emana senso del volume). Tra le altre osservazioni stilistiche sui reperti in metallo attribuiti alla toreutica tarantina (GIOVANNA BONIVENTO PUPINO, Il problema della toreutica tarantina, Ist. Archeologia Univ. Degli Studi di Padova, a.a.1969-70, Tesi di Laurea) ho già notato a suo tempo come la tensione muscolare di cavalli e cavalieri del fregio di Vix ci dia la stessa idea di movimento un potenza del bronzetto del cavaliere di Dodona (metà VI sec. a.C.). Mi conforta che nell’approfondita analisi di Croissant il cavaliere del fregio di Vix ed il cavaliere di Dodona siano ancora accostati, ma non credo basti l’analogia con la statuetta da Francavilla per ipotizzare un atelier corinzio a Sibari Siamo d’accordo che il modello da dove si è ispirato il cratere in questione possa essere corinzio, ma non è detto che sia corinzio-sibarita!

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La documentazione bronzea a Sibari, lo abbiamo visto anche nel convegno Poseidonia- Paestum dell’87, è ancora troppo modesta per quanto riguarda la plastica in bronzo, per suffragare la produzione in loco. Anche i confronti stilistici del fregio con cavalli e cavalieri del cratere di Vix con fregi su ceramica del VI-fine VI a.C. ci portano allo stile corinzio; ricordo un’hydria tardo-corinzia della seconda metà del VI sec. a.C. al Museo del Louvre (H.PAYNE, Necrocorinthia, tav. 43, fig. 1) o il cratere tardo-corinzio di Anfiarao dove l’auriga ha la stessa veste, elmo, positura e dove il carro è pressoché identico a quello di Vix (ID., op.cit., tav.42, fig.1); si trova al museo di Berlino. I confronti con la ceramica tardo-corinzia, trovata anche in territorio etrusco, sono puntuali, minute le analogie, tant’è che hanno portato studiosi esperti in ceramica come il Payne a localizzare a Corinto la produzione dei bronzi trovati in Italia. Tale metodo analogico, ampiamente adottato in passato ( vedi M. GIØDESEN, Greek Bronzes, in A. J. A. ,Baltimore 1963, p. 338 ss.), non tiene conto della differenza tecnica tra i materiali. Il metodo dell’analogia stilistica, adottato anche nella relazione Croissant, ha suffragato-ricordiamolo-la tesi opposta della laconicità-tarantinità del recipiente di Vix; cito ad esempio il Rumpf che per la stessa via, cioè con i confronti stilistici con la ceramica laconica, arrivò alla conclusione diversa rispetto al Giødesen, e cioè che il cratere è laconico (A.RUMPF, Zum Krater von Vix, in Ba Besch., Leiden 1954, col. XXIX, pp. 9-10, note 12-22). Anche il confronto stilistico tra le figure plastiche del fregio e la bronzistica laconico-peloponnesiaca suffragano la “laconicità”; basti ricordare le vaste ricerche di Charbonneaux, Lamb, Langlotz sulla piccola plastica laconica per riscontrare evidenti analogie: vedi l’Heracles laconico a Kassel, che ha la stessa impostazione del baricentro e resa della muscolatura che riscontriamo nel guerriero incedente di Vix, il bronzetto di soldato da Selinos, in Laconia, con evidenti analogie e lo stesso vigore espressivo caro all’arte laconica (J. CHARBONNEAUX, Les bronzes grecs, Paris 1958, p. 70). Per la donna sul coperchio ci sono puntuali analogie col bronzetto di Afrodite (VI sec. a.C.) dal santuario di Atena Chalchioicos a Sparta, con le tipiche forme spartane (W.LAMB, Greek and Roman bronzes, London 1929, p.90); altri confronti di somiglianza stilistica col bronzetto di Artemide Daidaleia, oggi a Boston, dalle rovine del tempio di Masi, in Elide ( seconda metà VI seco. A.C.); in effetti il corto apoptygma ed il gruppo di pieghe dietro il corpo selle due figure sono particolari di figurette di bronzo spartane (E.LANGLOTZ, Frühgriechische Bildhauerschulen, Nührnberg 1927, p. 87, tav. 44, fig. e).

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Se vogliamo insistere su questa strada dei confronti stilistici la produzione di ceramica laconica a rilievo con soggetti bellici ci mostra, ancora in Laconia, la presenza della tecnica a rilievo su vasi monumentali (F.COURBY, Les vases grecs, Paris 1922, p.89 ss.). Non ho fatto tutti questi esempi per rimescolare le carte della questione atelier del cratere di Vix con l’impressione di arretrare nelle indagini stilistiche. Dico semplicemente che il criterio dell’analogia stilistica applicato ai metalli non può bastare per ubicare un atelier di bronzisti, vuoi a Corinto, vuoi in Laconia, a Taranto, a Reggio, a Sibari. Oggi con la relazione di Croissant ancora più profondo appare il solco dell’attribuzione alla corrente corinzia, già di Charbonneaux, Giødesen, Vokotopoulou, Wallenstein, con la suggestiva immagine del bronzetto di Francavilla e le analogie Dodona-Vix. Credo però che sulla sola base dell’analisi stilistica ogni ipotesi di corrente o di officina abbia in sé una sua coerenza visiva. Negli ultimi anni ho notato la tendenza ad ubicare in Magna Grecia la fabbricazione di questi cheimelia, grandi vasi per il simposio. Come ho già dibattuto in passato ( dibattito relazione Rolley in Atti Poseidonia-Paestum, 1987) c’è il rischio di vedere un’eccessiva prolificazione di ateliers attribuendo ad ogni luogo di rinvenimento di oggetti antichi di metallo, oreficeria inclusa, la presenza di botteghe. E’ stato ampiamente dimostrato dal Rolley che l’innovazione tecnica del labbro fuso a parte sia una prerogativa dell’Occidente greco, ma occorre insistere a mio avviso ancora di più con le ricerche tecnologiche sui metalli antichi per avere un quadro più probante di confronto tra i luoghi di rinvenimento. Credo che con l’analisi chimica dei bronzi antichi si possa imboccare una via buona; l’analisi spettrometrica potrebbe chiarire molti dubbi sulle masse degli elementi; non solo si chiarirebbe la composizione chimica delle leghe, ma si trarrebbero utili indicazioni sulla tipologia degli elementi che potrebbero variare da un fonditore all’altro. E’ tanto che volevo dare questa indicazione di ricerca e spero che da qui abbia anche un futuro. La proposta odierna di un atelier corinzio impiantato come filiale a Sibari è suggestiva, ma quali prove concrete abbiamo per dirlo? La presenza di forti tesaurizzazioni di metallo a Sibari, su cui ci ha illuminato la splendida relazione del prof Stazio,ci convince piuttosto della forte capacità di acquisto di questa ricca città. Accettando l’ipotesi di filiale corinzio-sibarita per i grandi vasi da banchetto-simposio ne conseguirebbe l’irradiazione da Ovest ad Est, Nord-Est, cioè

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dallo Jonio alle regioni della Macedonia dove appaiono numerosi (Trebeniste). Tale corrente commerciale riporta la questione dei cheimelia sulle sponde adriatiche anche dal versante occidentale. Qui abbastanza recenti sono i rinvenimenti di ricchissimi corredi funerari con vasi da simposio ed utensili per il servizio simposiaco in uso tra gli aristocratici piceni ellenizzati. Cito come esempio il ricco corredo da Sirolo Numana al Museo Archeologico di Ancona (Scavo 1965, Area Quagliotti, Tomba 64);è analogo a complessi archeologici di Spina, Bologna con ceramica attica e di tipo corinzio ed h una stupenda hydria (n.70) di bronzo dal Peloponneso, più un candelabro etrusco, un lekanis tarantina che data il corredo alla fine del V, ma con la presenza di numerosi oggetti antichi tramandati. Alla produzione bronzistica di Corinto è stata sinora attribuita un’altra splendida hydria dalla sepoltura monumentale di Pianello di Castelbelluno con vasi simposiaci: un bacile (n.2), due simpula etruschi, l’ hydria n.7 con sirena all’attacco inferiore dell’ansa verticale e protome di leone tra due Gorgoneia al superiore. In questi casi la produzione corinzio-etrusca si distingue nella fornitura di bronzi per il banchetto. Attraverso le vie fluviali della valle del Tenna giunse ad Amandola un dinos di bronzo eccezionale, un vaso più trepiede che Payne vide come opera greco-corinzia importata dal ceto aristocratico piceno; ma anche per questo esemplare il centro di produzione ancora è incerto tra Corinto (Payne), l’Etruria (Brown), Magna Grecia (Jantzen), Asia Minore (Marconi). …Laddove fiorirono le economie indigene penetrò l’usanza tipicamente greca del simposio col vino ed oggi nelle ricche sepolture sono emersi crateri, hydrie, oinochoai: una fitta diffusione di questi “servizi” da simposio, consolidata nel V a.C., che porta ad interessanti confronti tra i corredi dei centri piceno-adriatici con alcuni oggetti dell’aristocrazia transalpina ( Rodenbach-Hallein Dürrnberg).. Si è ormai consapevoli dell’esistenza di una fitta rete di scambi che interessarono Grecia, Magna Grecia, Etruria, ma quando si tratta di attribuire con certezza la sede della fabbrica, restano opinioni, come quella su Vix, ancora aperte. Forse ho approfittato della pazienza del pubblico, ma vorrei fare un’ultima osservazione: l’itinerario attraverso cui il cratere è arrivato a Vix è disseminato di ritrovamenti greco-etruschi e qui non ho proprio sentito parlare di Etruria. E’ noto che il monte Lassois è situato in un punto in cui la corrente commerciale del Nord, che portava stagno di monti Cassiteriti, si incontrava con la corrente italo-greca di Sud-Est che portava crateri, diademi, bacini, coppe forse come “pedaggio” ai potenti Celti. Nel corredo della principessa di

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Vix c’era un bellissimo diadema per il quale si è pensato alla creazione di un artista italiota, forse immigrato alla corte celtica intorno al 500 a.C.( Becatti). Tale diadema richiama decori, tecnica, gusto dei reggibalsamari da Ruvo (Museo di Taranto-Sala Ori), la città apula in cui l’influenza dell’arte etrusca è riconosciuta attraverso il commercio con lo scalo di Sibari, aperto al traffico etrusco dagli avamposti tirrenici. Se per l’oreficeria il coinvolgimento di Sibari è commerciale, riguardo all’Etruria orafa, per i cheimelia può la città aver svolto un ruolo simile? Essere stata cioè più uno scalo che una filiale atelier? Me lo chiedo per due semplici ragioni: la prima perché, come dice Croissant, la documentazione plastica di bronzi a Sibari è poco omogenea, e scarsa, la seconda perché la produzione artistica di Sibari non sembra avere avuto la vocazione ad una produzione tipica locale, con creatività veramente distintiva di uno stile proprio. La questione Vix è avvicinabile al contesto etrusco-corinzio-sibarita ma resta ancora aperta. Il problema resterà sub-iudice, senza punti fermi, se si continuerà a percorrere la strada dell’analogia stilistica e non quella, a mio avviso più nuova e più densa di prospettive, dell’analisi spettrometrica applicata a classi si materiali metallici. Ad maiora e grazie del paziente ascolto.