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|9| di Claudio De Boni Professore di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Firenze L’avanzata delle destre in Europa: quali sfide per la sinistra? Uno dei dati più eclatanti delle ultime consultazioni euro- pee, vale a dire l’avanzata elettorale delle destre in vari pae- si (ma in particolare in stati “fondatori”, pur in modo diverso, dello spirito democratico come Francia e Inghilterra), mi sem- bra non valutato con la necessaria drammaticità dagli osserva- tori e dalle forze politiche di casa nostra. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che le aspettative di ascesa delle forze dichiara- tamente neofasciste o neonaziste sono state ridimensionate da risultati elettorali al di sotto delle previsioni: per esempio in Grecia. E al fatto che la protesta antieuropeista non ha assunto in Italia forme che rimandino in modo aperto a una qualche continuità con la tradizione autoritaria novecentesca, essen- do rimasta appannaggio di schieramenti politici dai contorni ideologici tutto sommato labili, come la Lega e i Cinquestelle (ma la corsa a Farage di Grillo a urne appena chiuse vorrà pur dire qualcosa…). Resta però, squillante, il campanello d’allar- me, aggravato dall’enorme sacca di scontenti cui una protesta dalle aspirazioni irrazionali ma dal fondo reale potrebbe at- tingere in futuro: vale a dire quell’astensionismo che si è rive- lato di gran lunga, in Europa, il primo “partito”. Va aggiunto che il problema non è di spiegare come mai una parte con- sistente dell’elettorato abbia scelto una linea apertamente an-

L’avanzata delle destre in Europa: quali sfide per la sinistra?

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Il contributo del prof. Claudio De Boni al quinto numero di Firenze Dispari, "Che sinistra?"

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di Claudio De Boni

Professore di Storia delle dottrine

politiche dell’Università di Firenze

L’avanzata delle destre in Europa: quali sfide per la sinistra?

Uno dei dati più eclatanti delle ultime consultazioni euro-pee, vale a dire l’avanzata elettorale delle destre in vari pae-si (ma in particolare in stati “fondatori”, pur in modo diverso, dello spirito democratico come Francia e Inghilterra), mi sem-bra non valutato con la necessaria drammaticità dagli osserva-tori e dalle forze politiche di casa nostra. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che le aspettative di ascesa delle forze dichiara-tamente neofasciste o neonaziste sono state ridimensionate da risultati elettorali al di sotto delle previsioni: per esempio in Grecia. E al fatto che la protesta antieuropeista non ha assunto in Italia forme che rimandino in modo aperto a una qualche continuità con la tradizione autoritaria novecentesca, essen-do rimasta appannaggio di schieramenti politici dai contorni ideologici tutto sommato labili, come la Lega e i Cinquestelle (ma la corsa a Farage di Grillo a urne appena chiuse vorrà pur dire qualcosa…). Resta però, squillante, il campanello d’allar-me, aggravato dall’enorme sacca di scontenti cui una protesta dalle aspirazioni irrazionali ma dal fondo reale potrebbe at-tingere in futuro: vale a dire quell’astensionismo che si è rive-lato di gran lunga, in Europa, il primo “partito”. Va aggiunto che il problema non è di spiegare come mai una parte con-sistente dell’elettorato abbia scelto una linea apertamente an-

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tieuropeista: la crisi economica e sociale che il continente at-traversa e la chiusura burocratica delle autorità comunitarie giustificano ampiamente il fenomeno. Il problema è di capire come mai, con l’eccezione della Grecia, in cui una leadership all’altezza ha saputo convogliare la protesta verso sinistra, lo spirito anticomunitario abbia assunto orientamenti e simbo-logie appunto di destra. Fra gli altri, due sono gli atteggiamenti che a mio parere

più alimentano l’ascesa della destra: la polemica contro i pro-tagonisti della democrazia rappresentativa (parlamenti e par-titi), incolpati di essere strumenti di disgregazione e di cor-ruzione; e la chiusura nei confronti del “diverso”, sia essa di tipo razziale, culturale, religioso. Sui caratteri costitutivi del sentire di destra, le risposte della sinistra sono quasi sempre di principio: esaltazione delle libertà democratiche contro le pulsioni totalitarie, apertura al mondo contro i ripiegamen-ti nazionalistici, umanitarismo contro razzismo, uguaglianza contro gerarchia. Tutto giusto e opportuno. Ma il buon senso storico ci suggerisce che se le idee non si incrociano con l’espe-rienza quotidiana, non si trasformano almeno in parte in po-litica effettiva, diventano presto una vuota retorica.

Il problema è di capire come mai,

con l’eccezione della Grecia, lo spirito

anticomunitario abbia assunto orientamenti

e simbologie di destra

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Sul primo punto, quello della corruzione del sistema po-litico esistente, penso ci sia poco da dire. Che sia, almeno in Italia, la questione delle questioni, la cui soluzione fa da pre-supposto a qualsiasi altra politica, mi sembra pacifico. L’uni-ca notazione in proposito è che l’obiettivo della riduzione dei costi “puliti” della politica, pure necessaria e oggi ancora su deboli inizi, è una parte riduttiva di un necessario progetto di controllo e prevenzione di quella enorme massa di denaro pubblico impiegato e sprecato per alimentare clientele, distor-sioni, delinquenze varie. Più complesso è parlare del secondo punto, che chiama

in causa anzitutto gli intensi fenomeni migratori degli ulti-mi anni e che richiederebbe ben altra attenzione rispetto a quella che lo spazio qui impone. Anche in questo caso la ri-sposta ideale è doverosa, ma si deve confrontare con la realtà di un evento come lo spostamento di masse considerevoli di popolazione di etnie e culture diverse, che è sempre stato, ed è inevitabilmente, fonte di tensioni. E lo è ancor più rispetto a società, come la nostra, già deboli di suo in quanto a coesio-ne sociale, occupazione, legalità e così via. Non comprender-lo è il primo passo per lasciar sviluppare sentimenti perico-losi da una parte e dall’altra, di rigetto in chi è nel territorio e di frustrazione in chi arriva. Una politica di sinistra, che per me dovrebbe comunque essere una politica che aspira a go-vernare i fenomeni, intanto non dovrebbe continuare a con-siderare di fatto l’immigrazione un fattore esogeno, sui cui flussi non si possa minimamente intervenire. Certo, occor-rerebbe in proposito una politica internazionale autorevole, superiore giocoforza alle possibilità di intervento e di disci-plina degli stati nazionali. Ma è troppo chiedere alla sinistra almeno di non continuare ad accodarsi ad una politica occi-dentale che da un trentennio, quasi solo per ragioni di impe-rialismo economico, destabilizza mezzo mondo senza curarsi

L’avanzata delle destre

in Europa: quali sfide

per la sinistra?

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minimamente delle conseguenze? L’altra faccia del problema è invece di competenza anche delle forze politiche naziona-li (e locali), ed è quello dell’accoglienza. Se accoglienza vuole essere (e deve essere, ovviamente), occorre che sia veramente tale, all’interno di un riconoscimento equo di diritti e di do-veri attraverso il quale passi un’autentica integrazione. Il che vuol dire protezione sociale, servizi, lavoro, istruzione, revi-sione dei criteri di accesso alla cittadinanza, e in cambio pro-messa di legalità e rispetto dei criteri del buon vivere civile. Ci ho provato: ma ancora non riesco a far mia l’ipotesi che di fronte alle grandi e piccole disgrazie che si accompagnano, seppur in modo non esclusivo, all’immigrazione (dalla schia-vitù del caporalato alla mendicità più o meno organizzata, dal bivacco permanente nelle piazze alla raccolta nei casso-netti della spazzatura) girare la testa sia una scelta di sinistra. È solo un regalo alla destra.

Se accoglienza vuole essere (e deve

essere, ovviamente), occorre che sia veramente

tale, all’interno di un riconoscimento equo

di diritti e di doveri attraverso il quale passi

un’autentica integrazione

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