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1 Le 15 canzoni distese ed. De Robertis 1 [CIII] Così nel mio parlar vogli’esser aspro com’è negli atti questa bella pietra la quale ognora impietra 4 maggior durezza e più natura cruda, e veste sua persona d’un diaspro tal che per lui, o perch’ella s’arretra, non esce di faretra 8 saetta che già mai la colga ignuda. Ella ancide, e non val ch’uom si chiuda né si dilunghi da’ colpi mortali che, com’avesser ali, giungono altrui e spezzan ciascun’ arme, 13 sì ch’io non so da lei né posso atarme. Non truovo schermo ch’ella non mi spezzi né luogo che dal suo viso m’asconda, che come fior di fronda 17 così della mia mente tien la cima. Cotanto del mio mal par che si prezzi quanto legno di mar che non lieva onda; e ’l peso che m’affonda 21 è tal che no·l potrebbe adequar rima. Ahi angosciosa e dispietata lima che sordamente la mia vita scemi, perché non ti ritemi sì di rodermi il cuore a scorza a scorza 26 com’io di dire altrui chi ti dà forza? Ché più mi triema il cuor qualora io penso di lei in parte ov’altri gli occhi induca, per tema non traluca 30 lo mio pensier di fuor sì che si scopra, ch’e’ non fa de la Morte, ch’ogni senso co· li denti d’Amor già mi manduca; ciò è che ’l pensier bruca 34 la lor vertù, sì che n’allenta l’opra. E’ m’ha percosso in terra e stammi sopra con quella spada ond’elli uccise Dido Amore, a cu’ io grido `merzé!´, chiamando, e umilmente il priego; 39 ed e’ d’ogni merzé par messo al niego. Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida la debole mia vita esto perverso, che disteso e riverso 43 mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco. Allor mi surgon nella mente strida, e ’l sangue ch’ è per le vene disperso correndo fugge verso

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1

Le 15 canzoni distese ed. De Robertis

1 [CIII]

Così nel mio parlar vogli’esser aspro

com’è negli atti questa bella pietra

la quale ognora impietra

4 maggior durezza e più natura cruda,

e veste sua persona d’un diaspro

tal che per lui, o perch’ella s’arretra,

non esce di faretra

8 saetta che già mai la colga ignuda.

Ella ancide, e non val ch’uom si chiuda

né si dilunghi da’ colpi mortali

che, com’avesser ali,

giungono altrui e spezzan ciascun’ arme,

13 sì ch’io non so da lei né posso atarme.

Non truovo schermo ch’ella non mi spezzi

né luogo che dal suo viso m’asconda,

che come fior di fronda

17 così della mia mente tien la cima.

Cotanto del mio mal par che si prezzi

quanto legno di mar che non lieva onda;

e ’l peso che m’affonda

21 è tal che no·l potrebbe adequar rima.

Ahi angosciosa e dispietata lima

che sordamente la mia vita scemi,

perché non ti ritemi

sì di rodermi il cuore a scorza a scorza

26 com’io di dire altrui chi ti dà forza?

Ché più mi triema il cuor qualora io penso

di lei in parte ov’altri gli occhi induca,

per tema non traluca

30 lo mio pensier di fuor sì che si scopra,

ch’e’ non fa de la Morte, ch’ogni senso

co· li denti d’Amor già mi manduca;

ciò è che ’l pensier bruca

34 la lor vertù, sì che n’allenta l’opra.

E’ m’ha percosso in terra e stammi sopra

con quella spada ond’elli uccise Dido

Amore, a cu’ io grido

`merzé!´, chiamando, e umilmente il priego;

39 ed e’ d’ogni merzé par messo al niego.

Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida

la debole mia vita esto perverso,

che disteso e riverso

43 mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco.

Allor mi surgon nella mente strida,

e ’l sangue ch’ è per le vene disperso

correndo fugge verso

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47 il cuor, che ·l chiama, ond’io rimango bianco.

Egli mi fere sotto il lato manco

sì forte che ’l dolor nel cuor rimbalza:

allor dico: «S’egli alza

un’altra volta, Morte m’avrà chiuso

52 anzi che ’l colpo sia disceso giuso».

Così vedess’io lui fender per mezzo

il cuore a la crudele che ’l mio squatra,

poi non mi sarebbe atra

56 la morte, ov’io per sua bellezza corro:

ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo

questa scherana micidiale e latra.

Oïmè, ché non latra

60 per me, com’io per lei, nel caldo borro?

ché tosto griderei: «I’ vi soccorro!»;

e fare’ ·l volentier, sì come quelli

che ne’ biondi capelli

ch’Amor per consumarmi increspa e dora

65 metterei mano, e piacere’le allora.

S’io avesse le belle trecce prese

che son fatte per me scudiscio e ferza,

pigliandole anzi terza

69 con esse passerei vespero e squille;

e non sarei pietoso né cortese,

anzi farei com’orso quando scherza;

e s’Amor me ne sferza,

73 io mi vendicherei di più di mille.

Ancor negli occhi, ond’escon le faville

che m’infiamman lo cor ch’io porto anciso

guarderei presso e fiso

per vendicar lo fuggir che mi face,

78 e poi le renderei, con amor, pace.

Canzon, vattene ritto a quella donna

che m’ha rubato e morto, e che m’invola

quello ond’i’ ho più gola,

e dàlle per lo cor d’una saetta,

83 ché bello onor s’acquista in far vendetta.

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2 [LXXIX]

Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete,

udite il ragionar ch’è nel mio core,

3 ch’i’ no·l so dire altrui, sì mi par novo.

El ciel che segue lo vostro valore,

gentili creature che voi siete,

6 mi tragge nello stato ov’io mi trovo;

onde ’l parlar della vita ch’io provo

par che·ssi drizzi degnamente a voi:

9 però vi priego che·llo m’intendiate.

Io vi dirò del cor la novitate,

come l’anima trista piange in lui,

e come un spirto contra lei favella

13 che vien pe’ raggi della vostra stella.

Suol esser vita dello cor dolente

un soave penser che·sse ne gìa

16 molte fïate a’ piè del vostro Sire,

ove una donna glorïar vedea,

di cui parlav’a·mme sì dolcemente

19 che l’anima dicea: «I’ me ·n vo’ gire».

Or apparisce chi lo fa fuggire

e segnoreggia me di tal vertute

22 che ’l cor ne trema che di fuori appare.

Questi mi face una donna guardare

e dice: «Chi veder vuol la salute,

faccia che gli occhi d’esta donna miri,

26 sed e’ non teme angoscia di sospiri».

Trova contraro tal che lo distrugge

l’umil pensero che parlar mi sole

29 d’un’angela che ’n cielo è coronata.

L’anima piange, sì ancor le ·n dole

e dice: «Oh lassa me, come si fugge

32 questo pietoso che m’ha consolata!»

Degli occhi miei dice questa affannata:

«Qual ora fu che tal donna gli vide!

35 E perché non credeano a me di lei?

Io dicea: `Ben negli occhi di costei

de’ star colui che le mie pari uccide´.

E non mi valse ch’io ne fossi accorta

39 che non mirasser tal, ch’io ne son morta».

«Tu non sè morta, ma sè ismarrita,

anima nostra che sì ti lamenti»,

42 dice uno spiritel d’amor gentile;

«ché quella bella donna che tu senti

ha trasmutata in tanto la tua vita

45 che·nn’ha’ paura, sì sè fatta vile.

Mira quant’ell’è pietosa e umìle,

cortese e saggia nella sua grandezza,

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48 e pensa di chiamarla donna omai.

Ché se tu non t’inganni, tu vedrai

di sì alti miracoli adornezza,

che tu dirai: `Amor, segnor verace,

52 ecco l’ancella tua, fa’ che·tti piace´».

Canzone, io credo che saranno radi

color che tua ragione intendan bene,

55 tanto la parli faticosa e forte.

Onde, se per ventura egli adiviene

che tu dinanzi da persone vadi

58 che non ti paian d’essa bene accorte,

allor ti priego che ti riconforte,

dicendo lor, diletta mia novella:

61 «Ponete mente almen com’io son bella».

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3 [LXXXI]

Amor che nella mente mi ragiona

della mia donna disïosamente

move cose di lei meco sovente

4 che lo ’ntelletto sovr’esse disvia.

Lo suo parlar sì dolcemente sona,

che l’anima ch’ascolta e che lo sente

dice: «Oh me lassa, ch’i’ non son possente

8 di dir quel ch’odo della donna mia!»

E certo e’ mi convien lasciare in pria,

s’i’ vo’ trattar di quel ch’odo di lei,

ciò che lo mio intelletto non comprende,

e di quel che s’intende

13 gran parte, perché dirlo non potrei.

Però, se·lle mie rime avran difetto

ch’entraron nella loda di costei,

di ciò si biasmi il debile intelletto

e ’l parlar nostro, che non ha valore

18 di ritrar tutto ciò che parla Amore.

Non vede il sol che tutto ’l mondo gira

cosa tanto gentil quanto ’n quell’ora

che luce nella parte ove dimora

22 la donna di cui dire Amor mi face.

Ogn’Intelletto di lassù la mira,

e quella gente che qui s’innamora

ne’ lor pensieri la trovano ancora

26 quando Amor fa sentir della sua pace.

Suo esser tanto a Que’ che glie ·l dà piace,

che ’nfonde sempre in lei la sua vertute

oltre ’l dimando di nostra natura.

La sua anima pura

31 che riceve da Lui questa salute

lo manifesta in quel ch’ella conduce:

ché ’n sue bellezze son cose vedute

che gli occhi di color dov’ella luce

ne mandan messi al cor pien’ di disiri

36 che prendon aere e diventan sospiri.

In lei discende la Virtù divina

sì come face in angelo che ·L vede,

e qual donna gentil questo non crede

40 parli con lei e miri gli atti suoi.

Quivi dov’ella parla si dichina

un spirito da ciel, che reca fede

come l’alto valor ch’ella possiede

44 è oltre quel che si conviene a noi.

Gli atti soavi ch’ella mostra altrui

vanno chiamando Amor ciascun a prova

in quella voce che lo fa sentire.

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Di costei si può dire:

49 gentil è in donna ciò che in lei si trova,

e bello è tanto quanto lei somiglia.

E puossi dir che ’l suo aspetto giova

a consentir ciò che par maraviglia;

onde la nostra fede è aiutata.

54 Però fu tal da eterno ordinata.

Cose appariscon nello suo aspetto

che mostran de’ piacer’ di paradiso,

dico negli occhi e nel suo dolce riso,

58 che le vi reca Amor com’a suo loco.

Elle soverchian lo nostro intelletto

come raggio di sole un frale viso;

e perch’io non le posso mirar fiso

62 mi convien contentar di dirne poco.

Sua biltà piove fiammelle di foco

animate d’un spirito gentile

ch’è creatore d’ogni penser bono;

e rompon come trono

67 gl’innati vizii che fanno altrui vile.

Però, qual donna sente sua biltate

biasmar per non parer queta e umìle,

miri costei ch’è essemplo d’umiltate.

Quest’è colei ch’umilia ogni perverso;

72 costei pensò Chi mosse l’universo.

Canzone, e’ par che tu parli contraro

al dir d’una sorella che tu hai,

ché questa donna che tanto umil fai

76 ella la chiama fera e disdegnosa.

Tu sai che ’l ciel sempr’è lucente e chiaro,

e quanto in sé non si turba già mai;

ma li nostri occhi per cagioni assai

80 chiaman la stella talor tenebrosa.

Così, quand’ ella la chiama orgogliosa,

non considera lei secondo il vero,

ma pur secondo quel che·llei parea;

ché l’anima temea

85 e teme ancora, sì che mi par fero

quantunque io veggio là ’v’ella mi senta.

Così ti scusa, se ti fa mestiero,

e quando pòi, a·llei ti rapresenta,

e di’: «Madonna, s’elli v’è a grato,

90 io parlerò di voi in ciascun lato».

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4 [LXXXII]

Le dolci rime d’amor ch’io solea

cercar ne’ miei pensieri

convien ch’io lasci; non perch’io non speri

4 ad esse ritornare,

ma perché gli atti disdegnosi e feri

che nella donna mia

sono appariti, m’han chiusa la via

8 dell’usato parlare.

E poi che tempo mi par d’aspettare,

diporrò giù lo mio soave stile

ch’i’ ho tenuto nel trattar d’amore,

e dirò del valore

13 per lo qual veramente omo è gentile

con rima aspr’e sottile,

riprovando il giudicio falso e vile

di que’ che voglion che di gentilezza

17 sia principio ricchezza.

E cominciando, chiamo quel signore

ch’a la mia donna negli occhi dimora,

20 per ch’ella di sé stessa s’innamora.

Tale imperò che gentilezza volse,

secondo il suo parere,

che fosse antica possession d’avere

24 con reggimenti belli;

ed altri fu di più lieve savere

che tal detto rivolse

e l’ultima particula ne tolse

28 che non l’avea fors’elli.

Di rieto da costui van tutti quelli

che fan gentile per ischiatta altrui

che lungamente in gran ricchezza è stata;

ed è tanto durata

33 la così falsa oppinion tra noi,

che l’uom chiama colui

omo gentil, che può dicere: `I’ fui

nepote o figlio di cotal valente´,

37 bench’e’ sia da nïente.

Ma vilissimo sembra, a chi ’l ver guata,

cui è scorto il cammino e poscia l’erra,

40 e tocc’a tal, ch’è morto e va per terra.

Chi diffinisce: `Omo è legno animato´,

prima dice non vero,

e dopo ’l falso parla non intero,

44 ma più forse non vede.

Similemente fu chi tenne impero

in diffinire errato,

ché prima puose il falso e d’altro lato

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48 con difetto procede;

ché le divizie, sì come si crede,

non posson gentilezza dar né tôrre,

però che vili son da lor natura,

poi chi pinge figura,

53 se non può esser lei, no·lla può porre,

né·lla diritta torre

fa piegar rivo che da lungi corre.

Che siano vili appare ed imperfette,

57 ché, quantunque collette,

non posson quïetar, ma dan più cura;

onde l’animo ch’è dritto e verace

60 per lor discorrimento non si sface.

Né voglion che vil uom gentil divegna

né di vil padre scenda

nazion che per gentil già mai s’intenda:

64 quest’è da lor confesso.

Onde la lor ragion par che s’offenda

in tanto quanto assegna

che tempo a gentilezza si convegna

68 diffinendo con esso.

Ancor segue di ciò che ’nnanzi ho messo

che siàn tutti gentili o ver villani

o che non fosse ad uom cominciamento;

ma ciò io non consento,

73 néd eglino altressì, se son cristiani.

Per ch’a ’ntelletti sani

è manifesto i lor diri esser vani,

ed io così per falsi li ripruovo

77 e da lor mi rimuovo,

e dicer voglio omai, sì com’io sento,

che cosa è gentilezza, e da che vene,

80 e dirò i segni che ’l gentil uom tene.

Dico ch’ogni vertù principalmente

vien da una radice,

vertute, dico, che fa l’uom felice

84 in sua operazione.

Quest’è, secondo che l’Etica dice,

un abito eligente

lo qual dimora in mezzo solamente,

88 e tai parole pone.

Dico che nobiltate in sua ragione

importa sempre ben del suo subietto

come viltate importa sempre male;

e vertute cotale

93 dà sempre altrui di sé buono intelletto;

per che in medesmo detto

convegnono amendue, ch’èn d’uno effetto.

Dunque convien che d’altra vegna l’una

97 o d’un terzo ciascuna;

ma se l’una val ciò che l’altra vale

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ed ancor più, da lei verrà più tosto.

100 Ciò ch’i’ ho detto qui, sia per supposto.

È gentilezza dovunqu’è vertute,

ma non vertute ov’ella,

sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella,

104 ma ciò non e converso.

E noi in donna ed in età novella

vedem questa salute

in quanto vergognose son tenute,

108 ch’è da vertù diverso.

Dunque verrà come dal nero il perso

ciascheduna vertute da costei,

o vero il gener lor, ch’io misi avanti;

però nessun si vanti

113 dicendo `Per ischiatta i’ son con lei´,

ched e’ son quasi dei

que’ c’han tal grazia fuor di tutti rei;

ché solo Iddio all’anima la dona

117 che vede in sua persona

perfettamente star, sì ch’ad alquanti

ch’è ’l seme di felicità s’accosta

120 messo da Dio nell’anima ben posta.

L’anima cui adorna esta bontate

no·lla si tiene ascosa,

ché dal principio ch’al corpo si sposa

124 la mostra infin la morte.

Ubidente, soave e vergognosa

è nella prima etate,

e sua persona acconcia di beltate

128 colle sue parti accorte;

in giovanezza temperata e forte,

piena d’amore e di cortesi lode,

e solo in lealtà far si diletta;

è nella sua senetta

133 prudente e giusta, e larghezza se n’ode,

e ’n sé medesma gode

d’udire e ragionar dell’ altrui prode;

poi nella quarta parte della vita

137 a Dio si rimarita

contemplando la fine ch’ell’aspetta,

e benedice li tempi passati.

140 Vedete omai quanti son gl’ingannati.

Contra-li-erranti mia, tu te n’andrai,

e quando tu sarai

in parte dove sia la donna nostra,

non le tenere il tuo mestier coverto:

tu le puoi dir per certo:

146 «I’ vo parlando dell’amica vostra».

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5 [XC]

Amor che movi tua vertù dal cielo

come ’l sol lo splendore,

che là s’apprende più lo suo valore

4 dove più nobiltà suo raggio trova,

e com’ el fuga oscuritate e gelo,

così, alto signore,

tu cacci la viltà altrui del core

8 né ira contra te fa lunga prova;

da te convien che ciascun ben si mova

per lo qual si travaglia il mondo tutto,

sanza te è distrutto

12 quanto avemo in potenza di ben fare:

come pintura in tenebrosa parte,

che non si può mostrare

15 né dar diletto di color né d’arte.

Fèremi ne lo cor sempre tua luce

come raggio in la stella,

poi che l’anima mia fu fatta ancella

19 della tua podestà primieramente;

onde ha vita un disio che mi conduce

con sua dolce favella

in rimirar ciascuna cosa bella

23 con più diletto quanto è più piacente.

Per questo mio guardar m’è nella mente

una giovane entrata, che m’ha preso,

ed halli un foco acceso

27 com’acqua per chiarezza fiamma accende;

perché nel suo venir li raggi tuoi,

con li quai mi risplende,

30 saliron tutti sù negli occhi suoi.

Quanto è nell’esser suo bella e gentile

negli atti ed amorosa,

tanto lo ’nmaginar che non si posa

34 l’adorna nella mente ov’io la porto;

non che da sé medesmo sia sottile

a così alta cosa,

ma dalli tua vertù di quel ch’ell’osa

38 oltre ’l poder che natura ci ha porto.

È sua biltà del tuo valor conforto,

in quanto giudicar si puote effetto

sovra degno suggetto,

42 in guisa ch’è del sol segno di foco,

lo quale a lui non dà né to’ vertute,

ma fallo in altro loco

45 nell’effetto parer di più salute.

Dunque, signor di sì gentil natura

che questa nobiltate

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ch’aven qua giuso e tutt’altra bontate

49 leva principio della tua altezza,

guarda la vita mia quant’ell’è dura

e prendine pietate.

Che ’l tuo ardor per la costei biltate

53 mi fa nel core aver troppa gravezza.

Falle sentire, Amor, per tua dolcezza,

lo gran disio ch’i’ ho di veder lei,

non soffrir che costei

57 per giovanezza mi conduca a morte;

ché non s’accorge ancor com’ella piace

né com’io l’amo forte,

60 né che negli occhi porta la mia pace.

Onor ti sarà grande se m’aiuti

ed a me ricco dono,

tanto quant’io conosco ben ch’io sono

64 là ’v’io non posso difender mia vita;

ché li spiriti miei son combattuti

da tal ch’io non ragiono,

se per tua volontà non han perdono,

68 che possan guari star sanza finita.

Ed ancor tua potenza fia sentita

da questa bella donna, che n’è degna;

ché par che si sconvegna

72 non darle d’ogni ben gran compagnia,

com’ a colei che fu nel mondo nata

per aver signoria

75 sovra la mente d’ogn’uom che la guata.

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6 [XCI]

Io sento sì d’Amor la gran possanza

ch’io non posso durare

3 lungamente a soffrire, ond’io mi doglio,

però che ’l suo valor si pur avanza

e ’l mio sento mancare,

6 si ch’io son meno ognora ch’io non soglio.

Non dico ch’ Amor faccia più ch’io voglio,

ché, s’e’ facesse quanto ’l voler chiede,

quella vertù che natura mi diede

no·l sosterria, però ch’ell’è finita;

ma questo è quello ond’io prendo cordoglio,

12 ch’a la voglia ’l poder non terrà fede;

e se di buon voler nasce mercede,

io la dimando per aver più vita

dagli occhi che nel lor bello splendore

16 portan conforto ovunque io sento amore.

Entrano i raggi di questi occhi belli

ne’ miei innamorati

19 e portan dolce ovunque io sento amaro,

e sanno lo cammin sì come quelli

che già vi son passati,

22 e sanno il loco dove Amor lasciaro

quando per gli occhi miei dentro ·l menaro,

per che merzé, volgendosi, a me fanno

e di colei cui son procaccian danno

celandosi da me, poi tanto l’amo

che sol per lei servir mi tegno caro.

28 E’ miei pensier’, che pur d’amor si fanno,

come a lor segno al suo servigio vanno;

per che l’adoperar sì forte bramo

che s’io ·l credessi far fuggendo lei,

32 lieve saria, ma so ch’io ne morrei.

Ben è verace amor quel che m’ha preso

e ben mi stringe forte,

35 quand’io farei quel ch’io dico per lui;

ché nullo amore è di cotanto peso

quanto quel che la morte

38 face piacer per ben servire altrui.

Ed io ’n cotal voler fermato fui

sì tosto come ’l gran disio ch’io sento

fu nato per vertù del piacimento

che nel bel viso d’ogni bel s’accoglie.

Io son servente, e quando penso a cui,

44 qual ch’ella sia, di tutto son contento,

ché l’uom può ben servir contra talento;

e se merzé giovanezza mi toglie,

i’ spero tempo che più ragion prenda,

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48 pur che la vita tanto si difenda.

Quand’io penso un gentil disio ch’è nato

del gran disio ch’i’ porto,

51 ch’a ben far tira tutto ’l mio podere,

parm’esser di merzé oltrapagato;

ed ancor più ch’ a torto

54 mi par di servidor nome tenere:

così dinanzi agli occhi del parere

si fa ’l servir merzé d’altrui bontate.

Ma poi ch’i’ mi ristringo a veritate

convien che tal disio servigio conti;

però che s’io procaccio di valere,

60 non penso tanto a mia propietate

quanto a colei che m’ha in sua potestate,

ché ·l fo perché sua cosa in pregio monti;

ed io son tutto suo e così mi tegno,

64 ch’Amor di tanto onor m’ha fatto degno.

Altro ch’Amor non mi potea far tale

ch’i’ fosse degnamente

67 cosa di quella che non s’innamora,

ma stassi come donna a cui non cale

dell’amorosa mente

70 che sanza lei non può passare un’ ora.

Io non la vidi tante volte ancora

ch’io non trovasse in lei nova bellezza,

onde Amor cresce in me la sua grandezza

tanto quanto ’l piacer novo s’aggiugne.

Per ch’egli avien che tanto fo dimora

76 in uno stato, e tanto Amor m’avezza

con un martiro e con una dolcezza

quant’è quel tempo che spesso mi pugne,

che dura da ch’io perdo la sua vista

80 infino al punto ch’ ella si racquista.

Canzon mia bella, se tu mi somigli,

tu non sarai sdegnosa

83 tanto quanto a la tua bontà s’avene;

però ti priego che tu t’asottigli,

dolce mia amorosa,

86 in prender modo e via che ti stea bene.

Se cavalier t’invita o ti ritene,

imprima che nel suo piacer ti metta

espia, se far lo puoi, della sua setta,

se vuoi saper qual è la sua persona;

ché ’l buon col buon sempre carriera tene;

92 ma egli avien che spesso altri si getta

in compagnia che non è che disdetta

di buona fama ch’altri di lui suona.

Co’ rei non star né a cerchio né ad arte,

96 ché non fu mai valor tener lor parte.

Canzone, a’ tre men rei di nostra terra

te n’anderai prima che vadi altrove:

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li due saluta e ’l terzo fa’ che prove

di trarlo fuor di mala setta in pria.

Digli che ’l buon col buon non prende guerra

102 prima che co’ malvagi vincer prove;

digli ch’è folle chi non si rimove,

per tema di vergogna, da follia;

ché que’ la teme c’ha del mal paura,

106 perché, fuggendo l’un, l’altro si cura.

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7 [CI]

Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra

son giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli

quando si perde lo color nell’ erba;

e ’l mio disio però non cangia il verde,

si è barbato nella dura pietra

6 che parla e sente come fosse donna.

Similemente questa nova donna

si sta gelata come neve all’ombra,

che non la move se non come pietra

il dolce tempo che riscalda i colli

e che li fa tornar di bianco in verde

12 perché·lli cuopre di fioretti e d’erba.

Quand’ell’ha in testa una ghirlanda d’erba

trae della mente nostra ogni altra donna;

perché si mischia il crespo giallo e ’l verde

sì bel, ch’Amor li viene a stare all’ombra,

che m’ha serrato intra piccioli colli

18 più forte assai che la calcina pietra.

La sua bellezza ha più vertù che pietra,

e ’l colpo suo non può sanar per erba;

ch’i’ son fuggito per piani e per colli

per potere scampar da cotal donna;

e dal suo lume non mi può far ombra

24 poggio né muro mai né fronda verde.

Io l’ho veduta già vestita a verde

sì fatta, ch’ell’avrebbe messo in pietra

l’amor ch’i’ porto pur alla sua ombra;

ond’io l’ho chiesta in un bel prato d’erba

innamorata com’anche fu donna,

30 e chiuso intorno d’altissimi colli.

Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli

prima che questo legno molle e verde

s’infiammi, come suol far bella donna,

di me, che mi torrei dormire in pietra

tutto ’l mio tempo e gir pascendo l’erba,

36 sol per veder du’ suoi panni fanno ombra.

Quandunque i colli fanno più nera ombra,

sotto un bel verde la giovane donna

39 la fa sparer come pietra sott’erba.

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8 [CII]

Amor, tu vedi ben che questa donna

la tua vertù non cura in alcun tempo

3 che suol dell’altre belle farsi donna;

e poi s’accorse ch’ell’era mia donna

per lo tuo raggio ch’al volto mi luce,

6 d’ogni crudelità si fece donna;

sì che non par ch’ell’abbia cuor di donna

ma di qual fiera l’ha d’amor più freddo;

ché per lo tempo caldo e per lo freddo

10 mi fa sembiante pur com’una donna

che fosse fatta d’una bella pietra

12 per man di quei che me’ ’ntagliasse in pietra.

Ed io, che son costante più che pietra

in ubidirti per bieltà di donna,

15 porto nascoso il colpo della pietra

con la qual tu mi desti come a pietra

che t’avesse noiato lungo tempo,

18 tal che m’andò al cuore, ov’io son pietra.

E mai non si scoperse alcuna pietra

o da splendor di sole o da sua luce

che tanta avesse né vertù né luce

22 che mi potesse atar da questa pietra,

sì ch’ella non mi meni col suo freddo

24 colà dov’io sarò di morte freddo.

Segnor, tu sai che per algente freddo

l’acqua diventa cristallina pietra

27 là sotto tramontana ov’è ’l gran freddo,

e l’aere sempre in elemento freddo

vi si converte, sì che l’acqua è donna

30 in quella parte per cagion del freddo;

così dinanzi dal sembiante freddo

mi ghiaccia sopra il sangue d’ogni tempo,

e quel pensiero che m’accorcia il tempo

34 mi si converte tutto in corpo freddo

che m’esce poi per mezzo della luce

36 là onde entrò la dispietata luce.

In lei s’accoglie d’ogni bieltà luce:

così di tutta crudeltate il freddo

39 li corre al cuore ove non va tua luce;

per che negli occhi sì bella mi luce

quando la miro, ch’io la veggio in pietra

42 o in ogn’altro ov’io volga la luce.

Degli occhi suoi mi vien la dolce luce

che mi fa non caler d’ogn’altra donna:

così foss’ella più pietosa donna

46 ver’ me, che chiamo di notte e di luce,

solo per lei servire, e luogo e tempo.

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48 Né per altro disio viver gran tempo.

Però, Vertù che·ssè prima che tempo,

prima che moto o che sensibil luce,

51 increscati di me, c’ho sì mal tempo,

entrale in cuore omai, che ben n’è tempo,

sì che per te se n’esca fuori il freddo

54 che non mi lascia aver, com’altri, tempo;

che se mi giugne lo tuo forte tempo

in tale stato, questa gentil pietra

mi vedrà coricare in poca pietra

58 per non levarmi se non dopo ’l tempo,

quando vedrò se mai fu bella donna

60 nel mondo come questa acerba donna.

Canzone, io porto nella mente donna

tal che con tutto ch’ella mi sia pietra

63 mi dà baldanza, ond’ogn’uom mi par freddo;

sì ch’io ardisco a far per questo freddo

la novità che per tua forma luce,

66 che non fu mai pensata in alcun tempo.

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9 [C]

Io son venuto al punto della rota

che l’orizzonte, quando il sol si corca,

3 ci partorisce il geminato cielo,

e la stella d’amor ci sta remota

per lo raggio lucente che·lla ’nforca

6 sì di traverso che le si fa velo;

e quel pianeto che conforta il gelo

si mostra tutto a·nnoi per lo grand’arco

9 nel qual ciascun d’i sette fa poc’ombra;

e però non disgombra

un sol penser d’amore ond’io son carco

la mente mia, ch’è più dura che pietra

13 in tener forte imagine di pietra.

Lèvasi della rena d’Etïopia

il vento peregrin che l’aere turba,

16 per la spera del sol ch’ora la scalda;

e passa ’l mare, onde conduce copia

di nebbia tal che, s’altro non la sturba,

19 questo emisperio chiude e tutto salda;

e poi si solve, e cade in bianca falda

di fredda neve ed i· noiosa pioggia,

22 onde l’aere s’atrista tutto e piagne:

e Amor, che sue ragne

ritira al ciel per lo vento che poggia,

non m’abandona, sì è bella donna

26 questa crudel che m’è data per donna.

Fuggito è ogni uccel che ’l caldo segue

del paese d’Europa, che non perde

29 le sette stelle gelide unquemai;

e gli altri han posto alle lor voci triegue

per non sonarle infino al tempo verde,

32 se ciò non fosse per cagion di guai;

e tutti gli animali che son gai

da lor natura, son d’amor disciolti,

35 però che ’l freddo lor spirito amorta;

e ’l mio più d’amor porta,

ché li dolci pensier’ non mi son tolti

né mi son dati per volta di tempo,

39 ma donna gli mi dà c’ha picciol tempo.

Passato hanno lor termine le fronde

che trasse fuor la vertù d’Arïete

42 per adornare il mondo, e morta è l’erba;

ramo di foglia verde non s’asconde

se non in lauro o in pino o in abete

45 o in alcun che sua verdura serba;

e tanto è la stagion forte ed acerba

c’ha morti li fioretti per le piagge,

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48 li qual’ non puote colorar la brina;

e la crudele spina

però del cuor Amor non la mi tragge,

ch’ïo son fermo di portarla sempre

52 ch’io sarò in vita, s’io vivessi sempre.

Versan le vene le fumifere acque

per li vapor che la terra ha nel ventre,

55 che d’abisso li tira suso in alto;

onde cammino al bel giorno ci piacque

che ora è fatto rivo, e sarà mentre

58 che durerà del verno il grande assalto;

la terra fa un suol che par di smalto,

e l’acqua morta si converte in vetro

61 per la freddura che di fuor la serra:

e io de la mia guerra

non son però tornato un passo a dietro,

né vo’ tornar, che se ’l martiro è dolce,

65 la morte dee passare ogn’altro dolce.

Canzone, or che sarà di me nell’altro

dolce tempo novello, quando piove

68 in mare e in terra amor da tutti i cieli,

quando per questi geli

amore è solo in me e non altrove?

Saranne quello ch’è d’un uom di marmo,

72 se ’n pargoletta fia per cuore un marmo.

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10 [LXVII]

E’ m’incresce di me sì duramente,

ch’altrettanto di doglia

3 mi reca la pietà quanto ’l martiro,

lasso, però che dolorosamente

sento contra mia voglia

6 raccoglier l’aire del sezzaio sospiro

entro ’n quel cor che’ belli occhi feriro

quando li aperse Amor co· le sue mani

per conducermi al tempo che mi sface.

10 Oïmè, quanto piani,

soavi e dolci ver’ me si levaro

quand’elli incominciaro

la morte mia, che tanto mi dispiace,

14 dicendo: «Nostro lume porta pace».

«Noi darem pace al core, a voi diletto»

diceano agli occhi miei

17 quei della bella donna alcuna volta;

ma poi che sepper di loro intelletto

che per forza di lei

20 m’era la mente già ben tutta tolta,

co· le ’nsegne d’Amor dieder la volta;

sì che la lor vittorïosa vista

poi non si vide pur una fïata:

24 ond’è rimasa trista

l’anima mia che n’attendea conforto;

ed ora quasi morto

vede lo core a cui era sposata,

28 e partir la conviene innamorata.

Innamorata se ne va piangendo

fora di questa vita

31 la sconsolata, che la caccia Amore.

Ella si move quinci sì dolendo,

ch’anzi la sua partita

34 l’ascolta con pietate il suo Fattore.

Ristretta s’è entro ’l mezzo del core

con quella vita che rimane spenta

solo in quel punto ch’ella se ·n va via,

38 ed ivi si lamenta

d’Amor che for d’esto mondo la caccia,

e spessamente abraccia

li spiriti che piangon tuttavia,

42 però che perdon la lor compagnia.

L’imagine di questa donna siede

sù nella mente ancora,

45 là ove la puose quei che fu sua guida;

e non le pesa del mal ch’ella vede,

anzi vie più bella ora

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48 che mai e vie più lieta par che rida,

ed alza gli occhi micidiali, e grida

sovra colei che piange il suo partire:

«Vanne, misera, fuor, vattene omai!»

52 Questo grida il disire

che mi combatte così come suole,

avegna che men duole,

però che ’l mio sentire è meno assai

56 ed è più presso al terminar de’ guai.

Lo giorno che costei nel mondo venne,

secondo che si truova

59 nel libro della mente che vien meno,

la mia persona pargola sostenne

una passïon nova,

62 tal ch’io rimasi di paura pieno;

ch’a tutte mie virtù fu posto un freno

subitamente, sì ch’io caddi in terra

per una luce che nel cuor percosse;

66 e se ’l libro non erra,

lo spirito maggior tremò sì forte

che parve ben che morte

per lui in questo mondo giunta fosse;

70 ma or ne ’ncresce a quei che questo mosse.

Quando m’aparve poi la gran biltate

che sì mi fa dolere,

73 donne gentili a cui i’ ho parlato,

quella virtù c’ha più nobilitate,

mirando nel piacere,

76 s’accorse ben che ’l suo male era nato;

e conobbe il disio ch’era creato

per lo mirare intento ch’ella fece,

sì che piangendo disse a l’altre poi:

80 «Qui giugnerà, in vece

d’una ch’i’ vidi, la bella figura

che già mi fa paura,

che sarà donna sopra tutte noi

84 tosto che fia piacer degli occhi suoi».

I’ ho parlato a voi, giovani donne

ch’avete gli occhi di bellezze ornati

e la mente d’amor vinta e pensosa,

88 perché raccomandati

vi sian li detti miei ovunque sono;

e ’nnanzi a voi perdono

la morte mia a quella bella cosa

92 che me n’ha colpa e mai non fu pietosa.

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11 [LXXXIII]

Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato,

non per mio grato,

ché stato non avea tanto gioioso,

ma però che pietoso

fu tanto del mio core

6 che non sofferse d’ascoltar suo pianto,

i’ canterò così disamorato

contra ’l peccato

ch’è nato in noi di chiamare a ritroso

tal ch’è vile e noioso

con nome di valore,

12 cioè di leggiadria, ch’è bella tanto

che fa degno di manto

imperïal colui dov’ella regna:

ell’è verace insegna

16 la qual dimostra u’ la vertù dimora;

per ch’io son certo, se ben la difendo

nel dir com’io la ’ntendo,

19 ch’Amor di sé mi farà grazia ancora.

Sono che per gittar via loro avere

credon potere

capere là dove li boni stanno

che dopo morte fanno

riparo nella mente

25 a quei cotanti c’hanno conoscenza.

Ma lor messione a’ bon’ non può piacere,

perché tenere

savere fôra, e fuggirieno il danno

che s’agiugne a lo ’nganno

di loro e della gente

31 c’hanno falso giudicio in lor sentenza.

Qual non dirà fallenza

divorar cibo ed a lussuria intendere,

ornarsi come vendere

35 si dovesse al mercato d’i non saggi?

ché ’l saggio non pregia om per vestimenta,

ch’altrui sono ornamenta,

38 ma pregia il senno e li gentil coraggi.

E altri son che, per esser ridenti,

d’intendimenti

correnti voglion esser giudicati

da quei che so’ ingannati

veggendo rider cosa

44 che lo ’ntelletto cieco non la vede.

E’ parlan con vocaboli eccellenti,

vanno spiacenti,

contenti che dal vulgo sian mirati;

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23

non sono innamorati

mai di donna amorosa;

50 ne’ parlamenti lor tengono scede;

non moverieno il piede

per donneare a guisa di leggiadro,

ma come al furto il ladro

54 così vanno a pigliar villan diletto;

e non però che ’n donne è sì dispento

leggiadro portamento

57 che paiono animal’ sanza intelletto.

Ancor che ciel con cielo in punto sia

che leggiadria

disvia cotanto e più che quant’io conto,

ïo che le son conto

merzé d’una gentile

63 che·lla mostrava in tutti gli atti suoi,

non tacerò di lei, ché villania

far mi parria

sì ria, ch’a’ suoi nemici sarei giunto:

per che da questo punto

con rima più sottile

69 tratterò il ver di lei, ma non so cui.

Io giuro per colui

ch’Amor si chiama, ed è pien di salute,

che sanza ovrar virtute

73 nessun puote acquistar verace loda:

dunque, se questa mia materia è bona

come ciascun ragiona,

76 sarà virtù o con virtù s’annoda.

Non è pura virtù la disvïata,

poich’è blasmata,

negata là ov’è più vertù richesta,

cioè in gente onesta

di vita spiritale

82 o in abito che di scïenza tene.

Dunque, s’ell’è in cavalier lodata,

sarà mischiata,

causata da più cose, per che questa

convien che di sé vesta

l’un bene e l’altro male;

88 ma vertù pura a ciascuno sta bene.

Sollazzo è che convene

con esso amore e l’opera perfetta:

da questo terzo retta

92 è leggiadria, e in esser dura,

sì come il sole al cui esser s’adduce

lo calore e la luce

95 co·lla perfetta sua bella figura.

Al gran pianeto è tutta simigliante

che dal levante

avante infino a tanto che s’asconde

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co· li bei raggi infonde

vita e vertù qua giuso

101 nella matera sì com’è disposta:

e questa disdegnosa di cotante

persone quante

sembiante portan d’omo, e non risponde

il lor frutto alle fronde

per lo mal c’hanno in uso,

107 simili beni al cor gentile accosta;

ché ’n donar vita è tosta

con bei sollazzi e con begli atti novi

ch’ognora par che trovi,

111 e vertù per essemplo a chi lei piglia.

Oh falsi cavalier’, malvagi e rei,

nemici di costei

114 ch’al prenze delle stelle s’assomiglia!

Dona e riceve l’om cui questa vole,

mai non se ·n dole,

né ’l sole per donar luce alle stelle

né per prender da elle

nel suo effetto aiuto;

120 ma l’uno e l’altro in ciò diletto tragge.

Già non s’induce ad ira per parole,

ma quelle sole

ricole che son bone, e sue novelle

tutte quante son belle;

per sé è car tenuto

126 e disïato da persone sagge,

ché dell’altre selvagge

cotanto laude quanto biasmo prezza;

per nessuna grandezza

130 monta in orgoglio, ma quando l’incontra

che sua franchigia li convien mostrare,

quivi si fa laudare.

133 Color che vivon fanno tutti contra.

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12 [L]

La dispietata mente che pur mira

di rieto al tempo che se n’è andato

3 da l’un de’ lati mi combatte il core,

e ’l disio amoroso che mi tira

verso ’l dolce paese c’ho lasciato

6 da l’altra part’è con forza d’amore;

né dentro sento tanto di valore

che possa lungamente far difesa,

9 gentil madonna, se da voi non vene:

però, s’a voi convene

ad iscampo di lui mai fare impresa,

piacciavi a lui mandar vostra salute

13 che sia conforto della sua vertute.

Piacciavi, donna mia, non venir meno

a questo punto al cor che tanto v’ama,

16 poi sol da voi lo soccorso attende;

ché buon signor già non ristringe freno

per soccorrer lo servo quando ’l chiama,

19 ché non pur lui, ma ’l suo onor difende.

E certo la sua doglia più m’incende

quand’io mi penso ben, donna, che voi

22 per man d’Amor là entro pinta sète:

così e voi dovete

vie maggiormente aver cura di lui,

ché Que’ da cui convien che ’l ben s’appari

26 per l’imagine sua ne tien più cari.

Se dir voleste, dolce mia speranza,

di dare indugio a quel ch’io vi domando,

29 sappiate che l’attender io non posso,

ch’i’ sono al fine della mia possanza.

E ciò conoscer voi dovete, quando

32 l’ultima speme a cercar mi son mosso;

ché tutti i carchi sostenere a dosso

de’ l’uomo infino al peso ch’è mortale

35 prima che ’l suo maggiore amico provi,

poi non sa qual lo trovi;

e s’egli avien che gli risponda male,

cosa non è che tanto costi cara,

39 che morte n’ha più tosto, e più amara.

E voi pur siete quella ch’io più amo

e che far mi potete maggior dono

42 e ’n cui la mia speranza più riposa,

che sol per voi servir la vita bramo,

e quelle cose ch’a voi onor sono

45 dimando e voglio, ogn’altra m’è noiosa.

Darmi potete ciò ch’altri non osa,

ché ’l sì e ’l no di me in vostra mano

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48 ha posto Amore, ond’io grande mi tegno;

la fede ch’eo v’assegno

move dal portamento vostro umano,

ché ciascun che vi mira, in veritate

52 di fuor conosce che dentro è pietate.

Dunque vostra salute omai si mova

e vegna dentro al cor, che lei aspetta,

55 gentil madonna, come avete inteso;

ma sappia che l’entrar di lui si trova

serrato forte da quella saetta

58 ch’Amor lanciò lo giorno ch’io fui preso;

per che l’entrare a tutt’altri è conteso

fuor ch’a’ messi d’Amor, ch’aprir lo sanno

61 per volontà de la vertù che ’l serra:

onde ne la mia guerra

la sua venuta mi sarebbe danno

sed ella fosse sanza compagnia

65 de’ messi del signor che m’ha in balia.

Canzone, il tuo cammin vuol esser corto,

ché tu sai ben che poco tempo omai

68 puote aver luogo quel per che tu vai.

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13 [CIV]

Tre donne intorno al cor mi son venute

e seggonsi di fore,

ché dentro siede Amore

4 il quale è ’n signoria della mia vita.

Tanto son belle e di tanta vertute,

che ’l possente signore,

dico quel ch’è nel core,

8 appena del parlar di lor s’aita.

Ciascuna par dolente e sbigottita

come persona discacciata e stanca

cui tutta gente manca

12 e cui vertute né biltà non vale.

Tempo fu già nel quale,

secondo il lor parlar, furon dilette,

15 or sono in ira a tutti e in non cale.

Queste così solette

venute son come a casa d’amico,

18 ché sanno ben che dentro è quel ch’io dico.

Dolesi l’una con parole molto,

e ’n su la man si posa

come succisa rosa,

22 e ’l nudo braccio, di dolor colonna,

sente l’oraggio che cade dal volto;

l’altra man tiene ascosa

la treccia lagrimosa;

26 discinta e scalza, sol di sé par donna.

Come Amor prima per la rotta gonna

la vide in parte che ’l tacere è bello,

e pietoso e fello

30 di lei e del dolor fece dimanda.

«O di pochi vivanda»

rispose voce con sospiri mista,

33 «nostra natura qui a te ci manda:

io, che son la più trista,

son suora a la tua madre, e son Drittura,

36 povera, vedi, a fama e a cintura».

Poi che fatta si fu palese e conta,

doglia e vergogna prese

lo mio signore, e chiese

40 chi fosser l’altre due ch’eran con lei.

E questa ch’era sì di pianger pronta,

tosto che lui intese,

più nel dolor s’accese

44 dicendo: «A te non duol degli occhi miei?»

Poi cominciò: «Sì come saper dei,

di fonte nasce Nilo picciol fiume

quivi dove ’l gran lume

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28

48 toglie alla terra del vinco la fronda:

sopra la vergin onda

genera’ i’ costei che m’è dallato

51 e che s’asciuga con la treccia bionda;

questo mio bel portato,

mirando sé nella chiara fontana,

54 generò questa che m’è più lontana».

Fenno i sospiri Amore un poco tardo;

poscia con gli occhi molli,

che prima furon folli,

58 salutò le germane sconsolate.

E poi che prese l’uno e l’altro dardo,

disse: «Drizzate i colli,

ecco l’armi ch’io volli:

62 per non usar, vedete, son turbate.

Larghezza e Temperanza e l’altre nate

del nostro sangue mendicando vanno;

però, se questo è danno,

66 piangano gli occhi e dogliasi la bocca

degli uomini a cui tocca,

che sono a’ raggi di cotal ciel giunti;

69 non noi che semo dell’etterna rocca:

che se noi semo or punti,

noi pur saremo, e pur tornerà gente

72 che questo dardo farà star lucente».

Ed io ch’ascolto nel parlar divino

consolarsi e dolersi

così alti dispersi

76 l’essilio che m’è dato onor mi tegno:

che se giudicio o forza di destino

vuol pur che ’l mondo versi

li bianchi fiori in persi,

80 cader co’ buoni è pur di lode degno.

E se non che degli occhi miei · bel segno

per lontananza m’è tolto dal viso,

che m’have in foco miso,

84 lieve mi conteria ciò che m’è grave;

ma questo foco m’have

sì consumato già l’ossa e la polpa,

87 che Morte al petto m’ha posto la chiave.

Onde, s’io ebbi colpa,

più lune ha volte il sol poi che fu spenta,

90 se colpa muore perché l’uom si penta.

Canzone, a’ panni tuoi non ponga uom mano

per veder quel che bella donna chiude:

bastin la parti nude;

94 el dolce pome a tutta gente niega,

per cui ciascun man piega.

Ma s’egli avien che tu mai alcun trovi

97 amico di vertù, ed e’ ti priega,

fatti di color’ novi;

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poi gli ti mostra, e ’l fior ch’è bel di fuori

100 fa’ disïar negli amorosi cori.

Canzone, uccella con le bianche penne,

canzone, caccia con li neri veltri,

che fuggir mi convenne,

104 ma far mi poterian di pace dono.

Però no·l fan che non san quel ch’io sono:

camera di perdon savio uom non serra,

ché perdonare è bel vincer di guerra.

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14 [CVI]

Doglia mi reca nello core ardire

a voler ch’è di veritate amico;

però, donne, s’io dico

parole quasi contra tutta gente

5 non vi maravigliate,

ma conoscete il vil vostro disire;

ché la biltà ch’Amore in voi consente

a vertù solamente

formata fu dal suo decreto antico

10 contra ’l qual voi fallate.

I’ dico a voi che siete innamorate

che se vertute a noi

fu data, e biltà a voi,

e a costor di due poter un fare,

voi non dovreste amare,

16 ma coprir quanto di biltà v’è dato,

poi che non c’è vertù, ch’era suo segno.

Lasso! a che dicer vegno?

Dico che bel disdegno

sarebbe in donna, di ragion laudato,

21 partir biltà da sé per suo commiato.

Omo da sé vertù fatt’ha lontana:

omo no, mala bestia ch’om somiglia.

O Deo, qual maraviglia

voler cadere in servo di signore

26 o ver di vita in morte!

Vertute, al suo fattor sempre sottana,

lui obedisce, lui acquista onore,

donne, tanto ch’Amore

la segna d’eccellente sua famiglia

31 nella beata corte;

lietamente esce delle belle porte

della sua donna e torna,

lieta va e soggiorna,

lietamente ovra suo gran vassallaggio;

per lo corto vïaggio

37 conserva, adorna, accresce ciò che trova;

Morte repugna sì, che lei non cura.

O cara ancella e pura,

colt’ha’ nel ciel misura:

tu sola fai signore, e questo prova

42 che tu sè possession che sempre giova.

Servo non di signor, ma di vil servo

si fa chi da cotal serva si scosta.

Vedete quanto costa,

se ragionate l’uno e l’altro danno,

47 a chi da lei si svia:

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questo servo signor tant’è protervo,

che gli occhi ch’alla mente lume fanno

chiusi per lui si stanno,

sì che gir ne conviene a colui posta

52 ch’adocchia pur follia.

Ma perché lo mio dire util vi sia,

discenderò del tutto

in parte ed in costrutto

più lieve, perché men grave s’intenda:

ché rado sotto benda

58 parola oscura giugne ad intelletto;

per che parlar con voi si vuole aperto.

Ma questo vo’ per merto,

per voi, non per me certo:

ch’abbiate a vil ciascuno e a sospetto,

63 ché simiglianza fa nascer diletto.

Chi serv’, è come quel che è seguace

ratto a signore, e non sa dove vada

per dolorosa strada,

come l’avaro seguitando avere

68 ch’a tutti segnoreggia.

Corre l’avaro, ma più fugge pace:

oh mente cieca, che non può vedere

lo suo folle volere

che ’l numero, ch’ognora a passar bada,

73 che ’nfinito vaneggia.

Ecco giunta colei che ne pareggia:

dimmi, che hai tu fatto,

cieco avaro disfatto?

Rispondimi, se puoi altro che «nulla».

Maladetta tua culla

79 che lusingò cotanti sonni invano!

e maladetto il tuo perduto pane,

che non si perde al cane!

ché da sera e da mane

hai raunato e stretto ad ambo mano

84 ciò che sì tosto ti si fa lontano.

Come con dismisura si rauna,

così con dismisura si ristrigne;

e questo è quel che pigne

molti in servaggio, e s’alcun si difende,

89 non è sanza gran briga.

Morte, che fai? che fai, buona Fortuna?

Ché non solvete quel che non si spende?

Se ’l fate, a cui si rende?

Non so, poscia che tal cerchio ne cigne

94 che di lassù ne riga:

colpa della ragion che no·l gastiga.

Se vuol dire: `I’ son presa´,

ahi con’ poca difesa

mostra signore a cui servo sormonta!

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Qui si raddoppia l’onta,

100 se ben si guarda là dov’io addito:

falsi animali, a voi ed altrui crudi

che vedete ir nudi

per colli e per paludi

uomini inanzi a cui vizio è fuggito,

105 e voi tenete vil fango vestito.

Fassi dinanzi dall’avaro volto

Vertù, che suoi nemici a pace invita,

con matera pulita

per allettarlo a sé, ma poco vale,

110 ché sempre fugge l’esca.

Poi che girato l’ha chiamando molto,

gitta ’l pasto ver’ lui, tanto glie ·n cale;

ma quei non v’apre l’ale;

e se pur viene quand’ell’è partita,

115 tanto par che l’incresca

come ciò possa dar sì che non esca

del beneficio loda.

Io vo’ che ciascun m’oda:

chi con tardare e chi con vana vista,

chi con sembianza trista

121 volge ’l donare in vender tanto caro

quanto sa sol chi tal compera paga.

Volete udir se piaga?

Tanto chi prende smaga,

che ’l negar poscia no· gli pare amaro.

126 Così altrui e sé concia l’avaro.

Disvelato v’ho, donne, in alcun membro

la viltà della gente che vi mira,

perché l’aggiate in ira;

ma troppo è più ancor quel che s’asconde

131 perché a dicer v’è lado.

In ciascun è di ciascun vizio assembro,

per ch’amistà nel mondo si confonde,

ché l’amorose fronde

di radice di ben altro ben tira,

136 poi sol simil è in grado.

Vedete come conchiudendo vado:

che non dee creder quella

cui par bene esser bella

essere amata da questi cotali;

ma se biltà tra’ mali

142 volemo anumerar, creder si pòne

chiamando amore appetito di fera.

Oh cotal donna pera

che sua biltà dischiera

da natural bontà per tal cagione,

147 o crede amor fuor d’orto di ragione.

Canzone, presso di qui è una donna

ch’è del nostro paese;

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bella, saggia e cortese

la chiaman tutti, e neun se n’accorge

quando suo nome porge

153 Bianca, Giovanna, Contessa chiamando.

A costei te ne va chiusa e onesta:

prima con lei t’arresta,

prim’ a lei manifesta

quel che tu sè e quel per ch’io ti mando;

158 poi seguirai secondo suo comando.

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15 [CXVI]

Amor, da che convien pur ch’io mi doglia

perché la gente m’oda,

3 e mostri me d’ogni vertute spento,

dammi savere a pianger come voglia,

si che ’l duol che si snoda

6 portin le mie parole com’io ·l sento.

Tu vo’ ch’i’ muoia, e io ne son contento:

ma chi mi scuserà s’io non so dire

ciò che mi fai sentire?

10 chi crederà ch’i’ sia omai si còlto?

E se mi dai parlar quanto tormento,

fa’, signor mio, che ’nnanzi al mio morire

questa rea per me no·l possa udire;

che se ’ntendesse ciò che dentro ascolto,

15 pietà faria men bello il suo bel volto.

I’ non posso fuggir ch’ella non vegna

nell’imagine mia

18 se non come ’l pensier che la vi mena.

L’anima folle, ch’al suo mal s’ingegna,

com’ella è bella e ria

21 così dipinge e forma la sua pena:

poi la riguarda, e quand’ella è ben piena

del gran disio che degli occhi le tira,

incontro a sé s’adira,

25 c’ha fatto il foco ond’ella trista incende.

Quale argomento di ragion raffrena

ove tanta tempesta in me si gira?

L’angoscia che non cape dentro spira

fuor della bocca sì ch’ella s’intende,

30 e anche agli occhi lor merito rende.

La nemica figura che rimane

vittorïosa e fera

33 e signoreggia la vertù che vole,

vaga di sé medesma andar mi fane

colà dov’ella è vera

36 come simil a simil correr sòle.

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Ben conosco che va la neve al sole;

ma più non posso: fo come colui

che nel podere altrui

40 va co’ suo’ piedi al loco ov’egli è morto.

Quando son presso, parmi udir parole

dicer: «Vie via vedrai morir costui».

Allor mi volgo per vedere a cui

mi raccomandi, e ’ntanto sono scorto

45 dagli occhi che m’uccidono a gran torto.

Qual io divegno sì feruto, Amore,

sailo tu, non io

48 che rimani a veder me sanza vita;

e se l’anima torna poscia al core,

ignoranza ed oblio

51 stat’è con lei mentre ch’ell’è partita.

Com’io risurgo, e miro la ferita

che mi disfece quand’io fui percosso,

confortar non mi posso

55 sì ch’io non triemi tutto di paura;

e mostra poi la faccia scolorita

qual fu quel trono che mi giunse adosso;

che se con dolce riso è stato mosso,

lunga fïata poi rimane oscura,

60 perché lo spirto non si rassicura.

Così m’ha’ concio, Amore, in mezzo l’alpi,

nella valle del fiume

63 lungo ’l qual sempre sopra me sè forte:

qui vivo e morto come vuoi mi palpi

mercé del fiero lume

66 che folgorando fa via alla morte.

Lasso!, non donne qui, non genti accorte

veggio a cui mi lamenti del mio male:

s’a costei non ne cale,

70 non spero mai d’altrui aver soccorso.

E questa sbandeggiata di tua corte,

signor, non cura colpo di tuo strale:

fatt’ha d’orgoglio al petto schermo tale,

ch’ogni saetta lì spunta suo corso;

75 per che l’armato cor da nulla è morso.

O montanina mia canzon, tu, vai:

forse vedrai Fiorenza, la mia terra,

che fuor di sé mi serra,

79 vota d’amore e nuda di pietate.

Se vi vai dentro, va’ dicendo: «Omai

non vi può fare il mio fattor più guerra:

là ond’io vegno una catena il serra

tal, che se piega vostra crudeltate,

84 non ha di ritornar qui libertate».