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48 Salutiamo e ringraziamo ancora una volta gli autori del servizio culturale, che con tanto onore ospitiamo al centro di questa pubblicazione fieristica. Essi mantengono vivo l’interesse alla storia e ai valori del nostro territorio ferrarese e offrono all’animo motivi per coniugare le direzioni orizzontali e verticali della vita. Diamo merito all’impegno di cinque nostri concittadi- ni: Emanuele Ferraresi, Anna Maria Ballarini, Chiara Polloni, Giovanna Bollani e Silvia Forlani. Le loro indagini letterarie e storiche hanno interessato quest’anno il Duca- to Estense, nei fasti e nelle ombre, nei personaggi, nei costumi, nelle opere residenziali e nell’influenza offerta e ricevuta su scala nazionale. A perpe- tuare e dar valore alla memoria degli Estensi, i nostri amici hanno inserito nel loro studio una serie di altorilievi in terracotta, di acquerelli e chine acquerellate delle Delizie Estensi realizzati da Alberta Silvana Grilanda. Siamo grati all’artista nostra concittadina che, attraverso la sua sensibili- tà, ci guida alla scoperta dei tesori della nostra terra. Potremo ammirare le sue opere in una esposizione presso la Sala consiliare di Masi Torello nei giorni della Fiera paesana. Le giornate che vivremo, con un programma in prevalenza ludico e conviviale, troveranno, nel lavoro di questi amici, motivi di superiori aspirazioni. Il Comitato Fiera Le Delizie e le terre degli Estensi

Le Delizie e le terre degli Estensi - masitorelloinfiera.it · da Alberta Grilanda L’acquerello è una tecnica pittorica esercitata come espressione del momento e con-siste nella

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Salutiamo e ringraziamo ancora una volta gli autori del servizio culturale, che con tanto onore ospitiamo al centro di questa pubblicazione fieristica. Essi mantengono vivo l’interesse alla storia e ai valori del nostro territorio ferrarese e offrono all’animo motivi per coniugare le direzioni orizzontali e verticali della vita. Diamo merito all’impegno di cinque nostri concittadi-ni: Emanuele Ferraresi, Anna Maria Ballarini, Chiara Polloni, Giovanna Bollani e Silvia Forlani.Le loro indagini letterarie e storiche hanno interessato quest’anno il Duca-to Estense, nei fasti e nelle ombre, nei personaggi, nei costumi, nelle opere residenziali e nell’influenza offerta e ricevuta su scala nazionale. A perpe-tuare e dar valore alla memoria degli Estensi, i nostri amici hanno inserito nel loro studio una serie di altorilievi in terracotta, di acquerelli e chine acquerellate delle Delizie Estensi realizzati da Alberta Silvana Grilanda. Siamo grati all’artista nostra concittadina che, attraverso la sua sensibili-tà, ci guida alla scoperta dei tesori della nostra terra. Potremo ammirare le sue opere in una esposizione presso la Sala consiliare di Masi Torello nei giorni della Fiera paesana. Le giornate che vivremo, con un programma in prevalenza ludico e conviviale, troveranno, nel lavoro di questi amici, motivi di superiori aspirazioni.

Il Comitato Fiera

Le Delizie e le terre degli Estensi

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La delicatezza dell’animo e il gusto della storia, nelle terrecotte di Alberta Grilanda

Tra i materiali che la natura ci offre, forse solo la creta è rimasta a garantire quel legame con l’arte che, in passato, era proprio di tanti altri prodotti. Le terre, quel loro contenere in sé un così profondo legame con il tempo e con lo spazio, sono forse tra i materiali più affascinanti da lavorare e tra i più straordinari da osservare, grazie alle infinite porosità della materia ed a quel conservare all’infinito nel tempo ogni gesto che l’artista ha compiuto per lavorarli.È il caso dell’arte di Alberta Grilanda, la cui passione per il “racconto per immagi-ni” attraversa le arti figurative, partendo dalla pittura per arrivare alla scultura ed al basso ed altorilievo.La storia estense rivive infatti nei gesti di Alberta, i paesaggi di un passato bloccato nella creta, i tratti caratteristici dei luoghi che hanno costituito la storia della nostra città, la ricostruzione dei volti (in parte ispirati agli affreschi coevi di Schifanoia), sono tutti elementi che, passando attraverso le dita dell’artista, vengono plasmati dalla mente e dal cuore per divenire preziose tessere di un linguaggio universale e ricostruzione del nostro passato.I dodici altorilievi in terracotta rappresentanti le dimore dei Duchi d’Este rappre-sentano non solo quella realtà ducale che, attraverso i secoli, è giunta fino a noi, ma soprattutto si assumono l’onere di ripercorrere le tappe di una presenza stabile e profonda nel nostro territorio. Ferrara ed il suo territorio sembrano vivere in un tempo sospeso nelle formelle di Alberta Grilanda. Con la delicatezza che è propria della sua arte e del suo carattere, l’artista sfiora il tempo come le rose di un giardino sospeso, regalandoci un sogno che è il nostro stesso passato.

Brani della presentazione di Michele Govoni

Le storiche monumentalità viste da Alberta Grilanda

L’acquerello è una tecnica pittorica esercitata come espressione del momento e con-siste nella stesura su carta di immagini, con colori trasparenti stemperati in acqua. Alberta Grilanda se ne serve per inquadrare le storiche monumentalità delle Delizie Estensi, realizzate a Ferrara e nel territorio dal XIII al XVI secolo.

Brani della presentazione di Antonio Caggiano

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Gli Estensi a Ferrara

La Casa d’Este e Fer-rara. Le vicende di

questa nobile e antichissi-ma famiglia si sono legate per secoli alla nostra città, fino ad essere elementi im-prescindibili della storia dell’una e dello sviluppo dell’altra.Le origini del casato si perdono nelle nebbie del-la leggenda, ma dati stori-ci certi collocano l’inizio dell’albero genealogico nella famiglia degli Ober-tenghi, marchesi di nobiltà franca, a cavallo tra X e XI secolo. Da Azzo II, capo-stipite, discesero due rami, da uno dei quali de-rivò il ramo degli Este. A Folco I, secondo figlio di Azzo, seguì il figlio Obizzo I, che a sua volta lascerà la guida del casato al nipote Azzo VI, protagonista di un’operazione politico-dinasti-ca che porterà gli Estensi a concentrare i propri interessi su Ferrara. Per diversi decenni infatti, Ferrara conoscerà innumerevoli lotte interne tra

le famiglie più in vista per la ge-stione del potere. Ad Azzo VI suc-cedette Azzo VII e, nel 1264, Obiz-zo II, nominato signore assoluto dal Consiglio cittadino. Nella forma e nella so-stanza, terminò così l’esperienza comunale.

Questi sono decenni in cui la successione dinastica rappresenta un momento traumatico per il territorio, consentendo così a forze terze di entrare nei conflit-ti. Nel 1310 Ferrara tornò perciò sotto il dominio del-la Santa Sede, finché, nel 1317, a seguito di un’in-surrezione, il potere tornò agli Estensi, sotto forma di governo “collegiale” di più soggetti. Seguirono poi Obizzo III nel 1344, Aldo-brandino III e, nel 1361, il fratello di quest’ultimo, Nicolò II, sotto il quale

Ferrara conobbe uno sviluppo e un abbellimen-to notevoli, e i territori circostanti vennero bo-nificati. A lui si deve pure l’edificazione del Ca-stello, detto di San Michele, realizzato a seguito di un’insurrezione cittadina (1385).Seguì poi Alberto, fondatore dell’Università, al governo per pochi ma, economicamente, impor-tanti anni, e il figlio di questi, Nicolò III, anco-ra giovinetto, nel 1393. Fece molto per la città e fu mediatore equili-brato fra le poten-ze italiane in lotta. Ebbe molti figli, tra cui Ugo, sfor-tunato protagoni-sta della vicenda che lo accomunò nell’amore e nella morte a Parisina. Con Leonello,

Stemma di CaSa d’eSte

da Historia de Principi di Este di G. B. Pigna, 1570

Pisanello, LeoneLLo d’eSte

Baldassarre d’Este, BorSo d’eSte

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marchese dal 1441 al 1450, figlio di Nico-lò III, Ferrara divenne snodo imprescindibile della cultura ita-liana del tempo. Intellettuale raf-finato, realizza, attorno al cele-bre Studiolo di Belfiore, un luo-

go di meditazione, lettura, incontri con letterati e, nell’arte di governo, considera la pace l’unico mezzo per garantire la crescita del proprio do-minio.Alla sua morte subentrò il fratello Borso, anch’egli signore dotato di notevole cultura, ma con maggiore propensione all’esercizio fisico e all’equitazione. Il suo lungo governo (1450-1471) fu improntato alla pace e impreziosito dal prestigio portato al Casato con la nomina a duca di Modena e Reggio, concessa dall’imperatore, e con il privilegio del titolo di duca di Ferrara conferito da papa Paolo III. Nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia e nella celebre Bibbia mi-niata si espresse la sua cura per le arti.Alla sua morte si riaprirono le lotte per la suc-cessione tra il figlio di Leonello, Nicolò, ed Er-cole, fratello del defunto duca: ebbe la meglio quest’ultimo. Governò sul ducato dal 1471 al 1505 e, sposo di Eleonora d’Aragona, rinsaldò i legami con questo Casato. La sua sposa lasciò un segno indelebile nell’ambiente di corte fer-rarese, con finezza in tema di arti e saggezza nell’attività di governo. Da loro nacque Isabella, mar-chesa di Mantova, ed altri illustri personaggi che diedero lustro alla Casa d’Este come il cardinale Ip-polito e Beatrice, moglie di Lu-dovico il Moro. Ercole I, “duca architetto” diede il via all’impre-sa di sdoppiamento della superfi-cie urbana della capitale, l’Addi-zione Erculea, che fece di Ferrara il primo esempio di città moderna

in Europa. Con l’arrivo del fi-glio, Alfonso I si riproposero dis-sidi dinastici per le mire di altri pretendenti, alle quali seguirono dure repressioni interne alla fa-miglia. Seconda moglie del duca fu Lucrezia Bor-gia dalla quale ebbe sei figli, tra cui Ercole II, suo successore. Poco prima della morte si unì a Laura Dianti, dalla quale ebbe figli che, sfortu-natamente, non furono riconosciuti ufficialmen-te dalla Santa Sede come ramo cadetto legittimo della Casa, pregiudicando, diversi decenni più in là, il destino degli Este a Ferrara.Nel 1534 giunse al potere il figlio Ercole II, allevato nello studio delle arti come nella pre-parazione fisica e militare. Sposo di Renata di Francia, cercò di improntare il suo regno alla neutralità e all’equilibrio e si distinse per i no-tevoli interventi urbanistici su delizie extra-urbane, rafforzamento delle mura cittadine e ristrutturazione del Castello. Siamo ormai al crepuscolo della vicenda degli Estensi a Ferrara: nel 1559 ad Ercole II seguì il figlio Alfonso II che, malgrado tre matrimoni, non riuscì a dare l’erede alla Casa. L’ultimo spiraglio parve poter-si trovare nel ramo cadetto frutto dell’unione tra Alfonso I e Laura Dianti, ma non si trovò prova certa del matrimonio, elemento ineludibile per la successione a Ferrara, secondo le indicazioni

contenute nella bolla di papa Pio V del 1567. Alla morte di Alfonso II nel 1597, il successore designato, Cesare, non verrà riconosciuto come tale dalla Santa Sede e, nel 1598, gli Estensi dovettero abbandona-re Ferrara, tornata sotto il pieno dominio papale, e dirigersi verso Modena, feudo imperiale sicuro e confermato, ducato Estense sino al 1859.

Dosso Dossi, erCoLe i d’eSte

Sebastiano Filippi, aLfonSo i d’eSte

Cesare Aretusi, aLfonSo ii d’eSte

52 Masi Torello in FIERA

Negli ultimi anni abbiamo studiato

insieme lo sviluppo territoriale del ferra-rese dall’antichità al Medioevo. Facciamo ora un ulteriore passo avanti e analizziamo l’impronta data dagli Estensi durante gli anni del loro dominio. Giunti al potere in un periodo di crisi demo-grafica ed economica tra Duecento e Trecen-to, videro, nei decenni successivi, per via di mutate condizioni, un aumento demografico che permise di occupare nuovi spazi ad uso agricolo. Tra i principali arte-fici di questo sviluppo del ducato, figura appunto la casata Estense, con la radicale ristrutturazione e l’ampliamento della rete viaria e la bonifica del territorio. In particolare, oltre alle determinanti direttrici preesistenti, che permettevano il rag-giungimento delle diverse zone del ducato con i conseguenti benefici economici, un notevole ri-lievo è ricoperto dalle vie di comunicazione (di terra e di acqua) verso la Romagna, riserva gra-naria del territorio. Conseguente risulta perciò la bonifica che permise di mettere a frutto le forze di una popolazione in crescita, incrementando l’agricoltura e, quindi, il commercio. Si conso-lidarono centri in tutto il territorio ferrarese e si rese necessaria una gestione razionale del ducato, in grado di mantenere il contatto tra il potere cen-trale e le zone produttive. Nacquero quindi vere e proprie dimore poste ciascuna a riferimento di una porzione di campagna, con uno scopo di governo delle zone più periferiche dei domini e, insieme, di svago per una corte, a questo punto itinerante, che diveniva sempre più raffinata. Per tutti i palazzi e le delizie elencati nelle prossime pagine, dobbiamo infatti tener sempre presente questa duplice finalità, di governo e di piacere, per una corte che, mentre si configura sempre più

come snodo crucia-le del Rinascimento in Italia, non perde di vista il prestigio del proprio rango e il necessario controllo economico-politico di un territorio troppo importante ai commer-ci e alle strategie del tempo per non essere preda degli appetiti dei potenti vicini. Se, per la città, arte e co-mando si accentrano nella zona compresa tra il Palazzo Ducale e il Castello Estense,

per il territorio ferrarese, questo ruolo di gover-no e di esibizione di magnificenza nelle arti è af-fidato alle delizie. In questo composito sistema siamo però tenuti ad operare una differenziazione storico-cronologica, suddividendole in due grup-pi. Un primo, comprendente le ville costruite tra 1400 e 1470, poi ulteriormente ampliate, e situate all’interno o nelle immediate vicinanze di Ferra-ra, che univano l’aspetto di controllo economico-militare alle esigenze di esibizione dell’elevatis-simo status culturale raggiunto, prova e al tempo stesso conseguenza del mecenatismo dei Signori. Le seconde, invece, più tarde, vengono a disporsi in zone dotate di quelle caratteristiche necessarie a rendere piacevole il soggiorno della corte e de-gli illustri ospiti (ed anche in questo caso leggia-mo la volontà di dare il giusto sfoggio dell’evo-luzione culturale del Ducato, specchio del potere raggiunto), senza dimenticare, le esigenze prati-che e strategiche che già caratterizzavano le pre-cedenti. Elemento fondamentale era la piena sin-tonia con l’ambiente circostante, per questo esse furono realizzate in amene porzioni del territorio ferrarese, dotate spesso di magnifici giardini: tra le prime possiamo annoverare Schifanoia, Belfio-re, Belvedere e Belriguardo. Al secondo gruppo appartengono invece Fossadalbero, Benvignante, Comacchio, Copparo, Mesola.

Il territorio ferrarese duranteil dominio Estense

Il Ducato di Ferrara alla fine del XVI secolo

Masi Torello in FIERA 53

Il Castello Estense

Nel terrazzino del Castello, o giardino degli aranci – così detto per le piante che lo decorava-no – le duchesse, da finestrelle ovali e romboida-

li, osservavano i passanti senza essere viste.

Il Castello, costruito a difesa dei Signori

e della città, nel corso dei decenni diventò sontuosa residenza della corte ducale.

Partiamo dunque dal Ca-stello Estense, non per

via della sua collocazione cronologica, ma perché, nella sua centralità, esso rappresenta il riassunto della storia della città da un punto di vista storico, architettonico, strategi-co e artistico. Successivo al palazzo oggi chiamato Palazzo Ducale, per le sue caratteristiche esso si con-figura come l’emblema del cammino del potere della Casa d’Este a Ferrara.L’eleganza che oggi lo contraddistingue tende in-fatti a celare la sua storia e, ancor più, la sua origine. L’attuale posizione, nel cuore della città, non lascia, ad una prima analisi trasparire la sua pri-mitiva funzione difensiva e offensiva.

Nel 1385, un secolo prima che Ercole I d’Este desse inizio ai lavori dell’Addizione che sdop-piarono Ferrara verso nord sulle attuali Corso Giovecca-Viale Cavour, la città aveva come li-

Prospetto sud del Castello Estense

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mite settentrionale appunto questo asse.A seguito di una rivolta, il marchese Nicolò II, ordinò la costruzione di un Castello, detto di San Michele, con il fine di realizzare un sicu-ro baluardo a difesa non tanto dalle insidie che minacciavano la città, ma dalla città stessa. Ri-cordiamo infatti che il potere estense, non aveva ancora basi solide e per questo motivo i signori dovevano poter contare su una base solida e, nel caso, su una altrettanto sicura via di fuga.Il nucleo centrale era costituito dalla Torre dei Leoni, antica costruzione a presidio dell’omo-nima porta. Alla prima torre-rocca se ne vennero ad aggiun-gere altre tre (Torre di Santa Caterina, Torre di San Paolo e Torre Marchesina), unite da quattro corpi di fabbrica a formare un massiccio quadri-latero circondato da un fossato, opera di Barto-lino da Novara. L’intento di creare una fortezza imponente e potenzialmente inespugnabile era raggiunto.Nel corso del Quattrocento, lo spazio tra Castel-

lo e Palazzo era occupato da una confusa serie di edifici, sostituiti poi da un lungo percorso protet-to; nel 1471 iniziò però la costru-zione di una vera e propria via coperta, percorso sicuro, segreto e sopraelevato che dal Palazzo Ducale raggiungeva il Castello.Con l’arrivo di Eleonora d’Ara-gona, sposa di Ercole I d’Este, la forme della fortezza vengono progressivamente ingentilite, mu-tandone gradualmente il caratte-re da difensivo a specchio della magnificenza della corte. Nella nuova dimora nascono perciò ap-partamenti d’abitazione. Ercole ordina poi di ricoprire i terrazzi con tetti in laterizio e realizza il Giardino del Padiglione.Alfonso I e i suoi successori pren-dono sede nel Castello e l’antica residenza di fronte al Duomo viene poco a poco abbandonata e destinata ad altri usi.Con Alfonso I d’Este nasce un ap-partamento attorniato da labora-tori di ogni genere e viene messa mano pure all’arredo e, una volta divenuto duca, elegge il Castello a sua dimora di abitazione.Viene poi ristrutturata l’ala est in occasione del matrimonio con

Lucrezia Borgia, con ampliamenti del fossato e realizzazione di cucine al piano terra, e comin-cia a prendere forma l’attuale Giardino degli Aranci. Nuovi appartamenti si sviluppano in prossimità della Via Coperta che lo congiunge al palazzo. La stessa via si allarga per dar spazio (1507) a un appartamento segreto, poi definito “Camerini d’Alabastro”, divenuto l’angolo più prestigioso della Corte Estense.Attorno alla metà del Cinquecento si iniziano i lavori per le “Stanze Nuove”, appartamento pri-vato di Ercole II, segno che, sulla scia dei suoi predecessori, già intende il Castello come bari-centro rappresentativo della Corte, pur sempre legato da una uniformità di interventi con il Pa-lazzo Ducale, tanto da fare dell’intero “quartiere ducale”, il cuore del potere estense a Ferrara.Nel piano nobile delle quattro torri gli interventi si susseguono con grande dispendio di energie, migliorando il sistema di logge, terrazzi e bal-conate.

Evoluzione di Ferrara dalle origini al XVI sec.

Masi Torello in FIERA 55

Ma l’immagine del Castello subisce una vera e propria tra-sformazione solo con l’intervento di Girolamo da Carpi, resosi necessario a seguito dell’incendio del 1554 e del terre-moto del 1570.Pur non mutandone i caratteri strutturali originari, attraverso pochi e qualificanti elementi, egli dona alla primitiva fortez-za un’immagine di raffinata ed elegante residenza principe-sca, ingentilita ancor più dall’aggiunta di un piano che ne au-menta lo slancio ver-so l’alto. Il piano nobile viene interamente dedicato agli appartamenti e alle sale della Cor-te, mentre il piano terra è destinato agli ambien-ti di servizio.Con Alfonso II si compie l’ultima fase di inter-venti strutturali che verterà in particolare sulla Torre dei Leoni in cui trova spazio l’Apparta-mento dello Specchio, dando così continuità al

susseguirsi di spazi residenziali lungo tutto l’anello della residenza: ad impre-ziosire gli ambienti, collezioni e un vasto programma icono-grafico. Nascono il Salone dei Giochi, la Sa-letta dei Giochi, la Sala dell’Aurora, l’Antiquarium, la Libraria, la Came-ra delle Udienze e la Cappella ducale. Con la morte di Al-fonso II la città pas-sò ai legati pontifici e il Castello rimane pressoché inalterato sino ad oggi.Al piano terra si giunge attraverso i rivellini e i ponti le-vatoi, che danno ac-

cesso a un cortile dalle linee rinasci-

mentali. Poco distanti le prigioni e, al piano ter-ra diverse sale, cucine. Da ampi scaloni si giun-ge al piano nobile, in cui si succedono i saloni caratterizzati dalle cinquecentesche pitture dei soffitti, fino a raggiungere il suggestivo Giardi-no degli Aranci.

Piano nobile del Castello Estense

Prospetto nord del Castello Estense; in primo piano la Torre dei Leoni Il Giardino degli Aranci

56 Masi Torello in FIERA

Le attuali forme di questa dimora non devo-no ingannare: all’apparenza edificio trecen-

tesco, dotato di torre, merli guelfi e balcone. Esso è un ben riuscito esempio di rifacimento piuttosto recente “in stile”, completato dopo la prima guerra mondiale e inaugurato da Vitto-rio Emanuele III. Ma “l’inganno” della storia finisce qui, perché proprio in questo luogo, di fronte alla Cattedrale, sorgeva la prima dimo-ra cittadina estense e l’intervento novecentesco passa quasi in secondo piano, grazie all’arco rinascimentale e alla grossa colonna che affian-cano il Volto del Cavallo, reggenti le statue di Nicolò III a cavallo e di Borso. Sulla facciata trova posto, all’angolo con via Cortevecchia, la Torre della Vittoria, Sacrario dei Caduti di tutte le guerre, che custodisce l’elegante e maestosa statua della “Vittoria incatenata”.Dal Volto del Cavallo si giunge al cortile du-cale, oggi piazza del Municipio; sulla destra lo Scalone quattrocentesco che introduce al piano nobile. Dove oggi è la Sala Estense sorgeva la Cappella ducale, di cui resta testimonianza nel sontuoso portale: tale fu per tutto il periodo in cui la Casa d’Este regnò su Ferrara.

Al piano nobile, sulla destra si accede alla Sala dell’Arengo, mentre, procedendo oltre l’ingres-so preceduto dallo Scalone, si snodano una serie di saloni di rappresentanza decorati alle pareti e ai soffitti. Giusto citare il Salone del Plebiscito, in cui si sancì, nel 1860, l’annessione al Regno d’Italia. L’unico ambiente che ricorda chia-ramente gli alloggi ducali è lo Stanzino delle Duchesse, realizzato per Lucrezia ed Eleonora d’Este a metà del XVI secolo.

Il Palazzo Ducale

Il Palazzo Ducale

Fu la prima residenza degli Estensi.Qui, Nicolò III, da un buco fatto aprire

nel soffitto della stanza di Parisina della Torre del Rigobello, ebbe la certezza del

tradimento della moglie con Ugo.

A destra del Palazzo Ducalesorge il Volto del Cavallo.

È fiancheggiato da un arco rinascimentale,il cui disegno è attribuito a Leon Battista Alberti.

Masi Torello in FIERA 57

Palazzo Schifanoia

Residenza cittadina usata per svagarsi ed allontanare la noia.

L’imponente ingresso aveva anche una funzione legata ad esigenze sceniche e teatrali.

Questa residenza è uno scrigno di tesori: custodisce il Salone dei Mesi,

emblema della magnificenza estense.

Già il nome, che, letteralmente, significa “che schiva la noia”, voleva sottolinearne

il carattere festivo: ogni pensiero doveva esse-re lasciato all’esterno del portone principale poiché solo il gaudio aveva diritto d’entrare. Un luogo unico in città, un palazzo destinato ai banchetti, alle feste, ai giochi e al riposo. Fu costruito per volontà del marchese Alberto V nel 1385 e i primi lavori di ampliamento venne-ro avviati già a partire dal 1391. Interventi più evidenti vennero intrapresi a partire dal 1465 e terminarono attorno al 1476. Nel corso di questi rimaneggiamenti, curati personalmente da Piero Benvenuto degli Ordini, l’edificio venne sopra-elevato di un piano e venne ideato un grande salone di rappresentanza, che in seguito sarebbe stato affrescato seguendo le indicazioni astro-logiche e i canoni calendariali dell’astrologo di corte Pellegrino Prisciani. Nel 1493 la facciata esterna dell’edificio venne modificata, secondo il progetto di Biagio Rossetti: la merlatura pe-

ricolante venne sostituita da un più solido cor-nicione in cotto, l’imponente portale marmoreo era un tempo fastosamente dipinto, oggi invece

Portale d’ingresso di Palazzo Schifanoia

58 Masi Torello in FIERA

ci appare completamente bianco. In cima all’ar-co della volta sta un fiero unicorno, simbolo che ricorda l’opera di bonifica del territorio ferrare-se portata avanti da Borso d’Este. Gli interni del palazzo sono stati, nel corso dei secoli, decisa-mente danneggiati dai numerosi passaggi di pro-prietà che l’hanno riguardato; a partire dal 1582 il caseggiato venne adibito agli usi più disparati: nel XVIII secolo ospitò addirittura una manifat-tura tabacchi.A partire dal 1918, Palazzo Schifanoia divenne di proprietà dell’Amministrazione comunale di Ferrara, ma a quell’epoca era già stata comple-tata un’accurata opera di restauro degli interni, che aveva preso il via dalla scoperta degli af-freschi del Salone dei Mesi. Tale rinvenimento, nell’Ottocento, si deve a Giuseppe Saroli e ad Alessandro Compagnoni che riportarono alla luce le magnifiche immagini curate da grandi artisti dell’Officina Ferrarese. Lungo ben ven-tiquattro metri, largo undici, alto sette e mezzo: grandioso androne che può solo lasciare imma-ginare i lussuosi ricevimenti che ospitò, balli di dame e coraggiosi condottieri, fra intrighi amo-rosi e congiure.Su lato meridionale comincia la sequenza delle raffigurazioni: partendo da una prospettiva ar-chitettonica quasi interamente perduta, affianca-ta dalla rappresentazione del mese di gennaio, si inizia ad intravedere il calendario astrologico. La rappresentazione vede il suo culmine nella parete est e nella parete nord, sulle quali compa-iono i mesi meglio conservati, una successione che va da marzo a giugno. La logica generale della sala prevedeva una suddivisione in dodici scomparti verticali, ciascuno dei quali destinato a illustrare un mese dell’anno. La suddivisione era poi anche orizzontale per tutta la lunghezza delle pareti: il settore superiore ospitava le divi-

nità olimpiche in atteggiamento trionfale su car-ri guidati da animali, il secondo settore vedeva come protagonisti i segni zodiacali e gli antichi decani, mentre il settore più basso rappresentava scene di vita presso la corte di Borso d’Este ed esempi del suo buon governo; ogni mese infatti, rappresenta un’occasione per esaltare l’operato di Borso. Purtroppo oggi solo sette dei dodici mesi, sono ancora osservabili e in buono stato di conservazione. Tuttavia il Salone dei Mesi non è l’unica bellezza che questa splendida dimora ri-serva: adiacente ad esso si trova la Saletta degli Stucchi, detta anche Sala delle Virtù. Si tratta di una rappresentazione in chiave simbolica, della celebrazione di Borso d’Este, attribuita all’abi-lità scultorea di Domenico di Paris. Gli stucchi decorano riccamente il soffitto, mentre lungo le pareti si snoda una fascia suddivisa in diver-si riquadri contenenti festoni, ghirlande e putti. Questi ultimi, in particolare, vennero posti a sor-reggere l’insegna estense dell’aquila bianca e le quattro imprese di Borso: l’Unicorno, simbolo di purezza, il Paraduro, ricordo delle bonifiche effettuate, il Battesimo, simbolo di prudenza e il Fuoco, a significare carità e amore. A separare i riquadri vennero poste immagini rappresenta-tive delle Virtù teologali e cardinali. Si tratta in sostanza di altorilievi di figure femminili, raf-figurate sedute su seggi, le quali trattengono in grembo i simboli della virtù che raffigurano. La favolosa decorazione venne purtroppo interrotta da una cornice dorata, collocata sulle pareti alla metà del secolo scorso. Come ultima, ma non per importanza, è infine da citare la Sala delle imprese, che si suppone fosse anticamente adi-bita a spazio privato del Duca.Il grandioso Palazzo Schifanoia, un tempo tea-tro di svago e divertimenti, è oggi un luogo pro-fondamente intriso di cultura e saggezza.

Il Salone dei Mesi

Masi Torello in FIERA 59

All’interno del sistema delle delizie estensi, esiste una differenziazione, che trova in

parte riscontro anche nell’evoluzione storico-cronologica, tra le strutture costruite all’interno o nelle immediate vicinanze di Ferrara e quelle sparse in una vasta superficie del territorio du-cale. Le prime, la cui data iniziale di costruzio-ne si situa in un periodo compreso tra il 1400 ed il 1470, caratterizzate poi da ulteriori comple-tamenti e modifiche, hanno avuto un ruolo, nei confronti della corte, di maggior rilievo rispetto alle seconde, che si può facilmente intuire sia dalla loro configurazione spaziale che dalla complessità e dimensione degli interventi. Tra di loro figura Belriguardo.La delizia fu fatta costruire, a pochi chilome-tri da Ferrara, da Niccolò III nel 1435 circa ed anche se fu successivamente ampliata e parzial-mente modificata, era sin dal progetto originale, di notevoli dimensioni e complessità.Una torre merlata da cui si dipartiva la cinta mu-

raria circondata da un fossato che “misurava un miglio di circuito”, fungeva da accesso ad una vastissima corte selciata prospiciente l’edificio centrale, oltre il quale si apriva un giardino fra

La Delizia del Belriguardo

Per la vastità delle dimensioni e la ricchezza dell’impianto, è chiamata,

in riferimento al tempo del suo massimo splendore, la Versailles italiana.

Tante personalità illustri vi soggiornarono, come Lucrezia Borgia

e il poeta rinascimentale Torquato Tasso.

Facciata della Delizia di Belriguardo

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i più ricchi e raffinati del tempo. Il fabbricato principale era costituito da un corpo a pian-ta rettangolare, a due piani, contenente circa cinquanta stanze e due ampie logge; intorno a questo erano disposti edifici minori: gli alloggi per i cortigiani, un grande padiglione per il gio-co della palla, nonché le scuderie che potevano ospitare fino a duecento cavalli. Nell’interno del palazzo, al piano rialzato, mol-te stanze erano dedicate ai giochi di società ed alla musica, tutte affrescate da grandi artisti: Girolamo da Carpi, Ercole dè Roberti, Cosmè Tura. L’aspetto più interessante della delizia era, comunque, l’organizzazione del giardino, completato nella metà del ’500, vi erano infatti ricorrenti temi simbolici, con richiami mitolo-gici, tipici del XVI secolo: il boschetto, il labi-rinto, il serraglio di animali esotici ed i giochi d’acqua, resi possibili da complicati congegni che convogliavano l’acqua del Po di Primaro e del Sandolo all’interno del parco, creando per-corsi, peschiere, fontane, nonché un perfetto metodo di irrigazione per le molteplici varietà di piante, presenti nel giardino. L’intero com-plesso, la villa e il giardino, aveva l’aspetto di una piccola cittadella, di un mondo chiuso e se-greto, teso, nella sua estrema geometrizzazione, a separare in maniera categorica e definitiva la “natura naturalis” dalla “natura artificialis”, a mettere ordine nel caos, nella casualità del territorio circostante. Dalla posa della prima

pietra la struttura subì continue rivisitazioni ed ampliamenti nel corso degli anni, ad opera dei successivi duchi di Casa d’Este. Vi soggiornò sovente Lucrezia Borgia.Nella seconda metà del ’500 vi ha dimorato anche il poeta rinascimentale italiano Torquato Tasso, il quale visse diversi anni tra questa deli-zia estense, dove amava ritirarsi, e Ferrara, dove risiedeva la corte. Proprio in questa residenza estense è ambientata l’opera teatrale di Johann Wolfgang von Goethe chiamata, appunto, Tor-quato Tasso.La magnificenza della Delizia di Belriguardo subì un brusco arresto quando gli Estensi furono costretti a lasciare Ferrara nel 1598. Belriguardo fu lasciata in enfiteusi a proprietari terrieri del luogo i quali la utilizzarono principalmente come fattoria, trasformando le sale affrescate dai mag-giori maestri del ’500 ferraresi in stalle e granai. Tutto ciò che c’era di prezioso, ormai inutile al nuovo utilizzo del complesso, fu venduto. Belriguardo è giunta fino a noi malgrado progres-sivi crolli, riadattamenti e demolizioni grazie al fatto che venne frazionata in numerose abitazio-ni private. I resti dell’antica delizia ancora oggi visibili sono: la torre al centro, dalla quale gli Estensi osservano gli spettacoli nella peschiera sottostante alimentata dall’acqua del fiume San-dalo; le sei finestre gotiche della fine del ’400; la Sala della Vigna, l’unico ambiente che ha restitu-ito qualche testimonianza dell’antico splendore.

Veduta della Delizia di Belriguardo Sala della Vigna

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La villa del Verginese da “casa” a “castello”

Con la vendita di una “casa cuppata murata et parte solarata cum cortile, orto, broilo,

ara e pozo posta nel fondo de Gambolaga de-strecto de Ferrara dove se dice il Verzenese” inizia non soltanto la storia di una delizia com-presa nell’ingente patrimonio estense, ma anche la storia di un amore importante che doveva in seguito avere risvolti di non poco rilievo per il destino della Casa d’Este. La vendita della casa avveniva il 30 aprile del 1481 – come da rogito conservato – da parte di ser Nicolò Carmeli che negoziava con i fattori della Camera ducale estense. Si trattava di un casale ad uso prevalentemente agricolo, ma già di livello superiore per quanto riguarda la strut-tura. La casa “cuppata” si configurava come la residenza di un piccolo proprietario terriero. La

proprietà venne affidata dal proprietario, il duca Ercole I d’Este, all’amministrazione – quello che oggi diremmo quasi un “comodato” – di

La Delizia del Verginese

Strettamente legata alla storia della Casa d’Este e testimone dell’amore tra Alfonso I e

Laura Dianti, di cui resta uno splendido ritratto di Tiziano. Laura la ricevette in dono dal Duca,

come pegno d’amore.

La costruzione, passata agli Este, venne rimodellata per permettere ai duchi di dedicarsi agli svaghi,

ai tornei e alla caccia.

Una suggestiva immagine primaverile della Delizia del Verginese

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una famiglia vicina alla Casa d’Este, il duca di Sora Francesco Cantelmo. La famiglia Cantel-mo si era trasferita da Napoli a Ferrara, con Si-gismondo (amministratore della tenuta del Ver-ginese dal 1488). Sigismondo si distinse come cortigiano del duca Alfonso I il quale, divenuto duca di Ferrara (regnante dal 1505 al 1534) con un atto di donazione l’11 dicembre 1533 trasfe-riva l’usufrutto della proprietà del Verginese, al figlio Ercole (poi duca dal 1534 al 1559). Dal documento si evince che l’utilizzo del Vergine-se era ancora destinato all’agricoltura, e si può facilmente supporre che anche gli edifici allora esistenti (casamento, colombara) avessero de-terminate destinazioni funzionali, direttamente connesse allo sfruttamento dei terreni circo-stanti. Il riferimento alla possibilità di pascolo (bestiami, lane, formaggio) contribuisce mag-giormente a scartare l’ipotesi dell’esistenza di una proprietà nobiliare avente le caratteristiche analoghe ad altri esempi di delizie costruite in quel periodo nelle campagne del Ducato. Il rogito appare valido a tutti gli effetti, ma evi-dentemente esistevano particolari clausole, tali che il contratto poteva essere impugnato suc-cessivamente. Nel 1534, cioè ad un solo anno di distanza dalla stesura del primo documento, Alfonso I dispone ancora liberamente della pro-prietà, tanto che redige una donazione, cedendo il Verginese ad un’altra persona, omettendo il benché minimo riferimento al precedente pro-prietario. Tale donazione viene compilata il 26 ottobre 1534, cinque giorni prima della morte del duca, ed assume particolare significato per la sorte del Verginese.

Laura Eustochia Dianti, di cui resta il ritratto in uno stupendo quadro del Tiziano, è una figura abbastanza singolare fra quelle favorite così fre-quenti nelle corti rinascimentali europee. Figlia di un berrettaio ferrarese, si impone, grazie al rapporto con Alfonso I, nel mondo culturale e politico estense, negli anni susseguenti la morte della seconda moglie del duca, Lucrezia Bor-gia, avvenuta nel 1519. Diversi storici hanno avanzato l’ipotesi che il legame tra Alfonso I e Laura Dianti sia stato regolarizzato dal matri-monio celebrato in extremis prima della mor-te del duca, con la conseguente legittimazione dei due figli naturali: Alfonso e Alfonsino. Ma non furono mai riscontrati documenti attestan-ti con sicurezza simile ipotesi, infatti il ritorno del Ducato Estense allo Stato Pontificio si basò appunto sulla mancanza di eredi legittimi di Al-fonso I.Laura Dianti, conformemente a quanto predi-sposto nell’atto di donazione ha ampia libertà circa l’amministrazione del possedimento e, sebbene questo rimanga di sua proprietà fino alla data della morte (1573), già negli anni im-mediatamente successivi al 1534 ella ordina la ristrutturazione e la parziale riedificazione della delizia. Probabilmente a dopo il 1543 risalgono i lavori di trasformazione del palazzo in “castel-lo in miniatura”. L’artefice diretto di tali lavori sembra essere stato Girolamo da Carpi, noto per le opere pit-toriche, ma che, specialmente a Ferrara ebbe diversi incarichi anche come scenografo ed ar-chitetto. Questo aspetto non può essere avvalo-rato da precise documentazioni, l’attribuzione

Tiziano Vecellio, Laura dianti

Pinturicchio, LuCrezia Borgia

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si basa infatti sul confronto di elementi stilistici tipicamente carpiani presenti nella villa e dalla concomitanza cronologica dell’attività architet-tonica dell’artista. La delizia presenta diverse soluzioni di gusto carpiano: il bugnato (in laterizio) localizzato ai lati delle porte ed agli spigoli delle torri; le finestre della facciata sormontate da frontoni alternativamente triangolari ed ellittici e colle-gate da fasce; il tipo dei merli ornamentali che coronano le torrette, e che preannunciano quelli del parapetto del giardino pensile del Castello Estense, di cui il Carpi dirige la ristrutturazione nel 1554. Dal 1573, la tenuta del Verginese passa al fi-glio di Laura Dianti, Alfonso e quindi al nipo-te Cesare d’Este. Cesare discendeva quindi da un ramo collaterale della Casa d’Este poiché il matrimonio tra Alfonso I e Laura era soltanto “presunto”: per questo papa Clemente VIII non riconosce la nomina di Cesare come duca di Ferrara, così, mentre l’estense parte alla volta

di Modena con la sua corte, il Ducato ferrarese ritorna tra i dominii della Santa Sede. La fine dello Stato estense coincide con la fine dello splendore del Verginese.Ceduto a nobili famiglie ferraresi, nel 1771 il Verginese viene acquistato dalla famiglia Bar-gellesi che lo trasforma notevolmente. L’edificio si arricchisce dello scenografico portico ad arca-te che unisce la chiesetta al castello; il pianterre-no viene abbellito con gli ornati in stucco, tra i quali spicca la coppia di telamoni che sorregge l’arcata dell’atrio d’ingresso separandolo dal salone d’onore. Sono del primo ’900 invece, le decorazioni pittoriche ancora visibili nelle sale del piano nobile e nella chiesetta. L’ultimo pro-prietario, avv. Enrico Fontana, ha ceduto la villa all’Amministrazione Provinciale di Ferrara, che ne ha curato l’imponente restauro, restituendo la dimora all’antico splendore. Oggi è luogo privilegiato per mostre temporanee, incontri culturali e concerti, ritrovando così la funzione che aveva avuto nel suo periodo aureo.

Alcune immagini del Verginese: in alto a sinistra, prospetto frontale della Delizia; in alto a destra, Torre colombaia e veduta del Brolo; in basso, retro del palazzo e portico

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La Delizia fu costruita per volontà di Borso d’Este. Egli affidò la costruzione all’archi-

tetto Pietro Benvenuti degli Ordini, che terminò l’opera nel 1464.Sull’architetto Benvenuti non si hanno molte notizie; è quasi certo che la sua formazione pro-fessionale sia dovuta al padre, presso il quale ha compiuto un duro tirocinio.Lo si trova impegnato anche come direttore dei lavori per la creazione della prima campata del campanile del duomo di Ferrara e, nel periodo della costruzione della Delizia di Benvignante, lo si trova attivo anche in altre dimore esten-si quali Belriguardo, Bollombra, Montesanto e Schifanoia.La fama dell’architetto Benvenuti è legata, tutta-via, anche ad altre opere artistiche nella città di Ferrara, quali il Volto del Cavallo e l’originale scalone coperto. La morte lo colse nel 1483 e la sua salma fu seppellita all’interno della Chiesa di Santa Maria in Vado.

Gli storici si sono più volte interrogati sul mo-tivo per il quale gli Estensi scelsero proprio il territorio di Benvignante per costruirvi un’altra delle loro tante delizie.La risposta più accreditata a questa domanda è quella secondo cui, dal momento che, sotto il dominio estense, il Ducato di Ferrara era sem-pre in maggiore in espansione, i confini anche lontani dalle mura offrivano tranquillità.Per questo fatto la gente non aveva paura di usci-re dalle mura protettive della città, per stabilirsi in campagna; infatti molti nobili erano sempre più attratti verso luoghi lontani.Dal torrione di Benvignante è possibile domi-nare tutta la zona circostante e quindi, dall’alto, erano al tempo sotto controllo le delizie ore di-strutte di Montesanto e di Portomaggiore, si po-teva osservare la torre di Consandolo (trasfor-mata poi in torre campanara) e forse era possi-bile pure scorgere il Castello del Belriguardo e quello del Verginese.

La Delizia di Benvignante

Viene identificata negli affreschi di Palazzo Schifanoia.

Da qui partivano gli scudieri ducali per tutta l’Italia,

in cerca dei puledri migliori.

Dimora realizzata a presidio di una zona rurale;

dal suo torrione si dominavano le campagne circostanti.

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Per completare il quadro, si aggiunge che non molto lontano da Benvignante vi era l’impor-tante porto fluviale di San Nicolò; da qui si può dedurre che sia stata scelta questa posizione proprio per la sua centralità nelle zone di mag-gior interesse dei duchi Estensi.Il duca Borso non tenne per se la delizia, ma ne fece dono nel 1465 al suo erudito segretario e consigliere Teofilo Calcagnini, in cambio di “eminenti servigi”. Da quel momento, e per lungo tempo, la delizia fu legata alle vicende della potente famiglia fer-rarese dei Calcagnini.Il corpo principale della struttura è caratterizza-to da una torre merlata con l’ingresso alla sua base ed un balconcino con balaustra metallica, che ne interrompe la massiccia facciata.Il complesso venne indicato con il nome gene-rico di “palazzo”, intendendo con ciò un gruppo di fabbricati fra cui l’osteria, la macelleria, e siti vari, tra cui giardini, orti e vasti cortili.La donazione a Calcagnini fu completa, in quan-to non si limitò alla struttura, ma il palazzo era del tutto arredato e ad esso erano anche legati numerosi appezzamenti di terreno coltivati.Ben presto però la famiglia Calcagnini diede la delizia, con tutte le sue pertinenze, in affitto, portando così la struttura a un veloce decadi-mento.Verso la metà del ’500 nacque lì l’Accademia dei Filareti (chiamata anche Accademia dei Ru-stici); probabilmente fu questa l’ultima occasio-ne che consentì al palazzo di Benvignante di far sfoggio della sua mondanità.Nel corso dei secoli si fecero vari inventari di ciò che si trovava nella residenza ed ogni volta

la si trovava sempre più spoglia. Alla fine del ’500 gli Estensi vengono cacciati da Ferrara ed anche la famiglia Calcagnini cadde in isgrazia, pertanto la delizia venne data in affitto fino al 1818, quando venne acquistata dal Conte Luigi Gulinelli. Quindi il palazzo venne trasformato secondo i gusti dell’epoca e di fronte vennero costruite delle grandissime scuderie, mentre i terreni acquistati vennero frazionati e venduti.Dell’antico splendore resta ben poco: la bella torre merlata e l’atrio con la volta a padiglioni.Nel 1990 la Delizia viene acquistata dal Comu-ne di Argenta. Al momento dell’acquisto viene espressa la volontà, insieme alla Soprintenden-za di monumenti di Ravenna, di un graduale re-cupero. Si è quindi intervenuti inizialmente con la sistemazione della copertura.Poi nel 2000 si è presentato un nuovo progetto, che prevedeva il ripristino del parco e ulteriori lavori alla delizia. Gli interventi per il parco at-torno alla delizia sono iniziati nel 2002. Nello stesso anno e nel 2009 sono stati realizzati interventi alla copertura del tetto ed allo scalone di accesso per mettere in sicurezza la struttura. Sono stati fondamentali, e lo saranno sempre di più, tutti questi gesti di recupero nei confronti della delizia. Anche se ormai dell’antico splendore riman-gono solo alcune tracce, la presenza della torre dice che un tempo in questo luogo viveva una corte, con gentiluomini e dame, aiutanti e ser-vitori. Un simbolo di ricchezza e di nobiltà, da custo-dire e preservare, perché anche Benvignante è una piccola tessera che serve a completare il grande mosaico della storia ferrarese.

La Delizia di Benvignante

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A difendere la grandiosità rassicurante dell’imponente Rocca di Cento, in luogo

del suo ora prosciugato fossato, oggi stanno i fiori e i verdi alberi posti ad ornamento del giardino che la circonda: unica fra le poche testimonianze delle fortificazioni trecentesche anticamente edificate a difesa della cittadina, insieme a Porta Pieve ed all’antica cinta mura-ria. Sorprendentemente poco fuori dalle mura, a sud del centro abitato, proprio al termine di corso Guercino, la Rocca sembra essere opera dell’architetto Antonio di Vincenzo, cui venne commissionata nel 1378 dall’episcopato bolo-gnese. Sempre il vescovo di Bologna, nel 1460 a ricoprire tale carica stava Filippo Calandrini, decise di farla sistemare per adeguarla ai trucchi della difesa militare. La sua funzione doveva es-sere quella di proteggere la città dagli eventuali nemici, perciò fu abitata quasi esclusivamente da soldati e sentinelle, tanto che la decorazio-ne dei suoi interni venne sempre trascurata. La

compatta struttura della pianta quadrilaterale, munita di un torrione per ogni angolo e di un poderoso mastio centrale, inizialmente vanta-va una classica merlatura ornamentale, che nel corso dei secoli è stata sovrastata da una tettoia protettiva, in modo da rendere utilizzabile an-che la terrazza. Il grande mastio reca ancora i segni di un originario ponte levatoio, a testimo-nianza di come, in caso di pericolo, la Rocca poteva essere isolata dalla terraferma su tutti e quattro i lati.Quando nel 1443 il Duca di Milano e Signo-re di Bologna Filippo Maria Visconti venne a conoscenza del colpo di mano organizzato da Andrea Bentivoglio, ordinò al capitano di ven-tura che aveva assoldato, Nicolò Piccinino, di riprendere il controllo sulle terre del Centopie-vese. Quest’ultimo si rivolse a Luigi Dal Verme, anch’egli mercenario che, munito di un eserci-to di 3200 soldati, l’8 giugno di quello stesso anno, assediò la Rocca di Cento. I centesi sep-

La Rocca di Cento

Ebbe un’importanza notevole dal punto di vista strategico-militare,

essendo stata la città di Cento contesa fra bolognesi ed Estensi.

Cento e la sua Rocca furono donate da Papa Alessandro VI

alla figlia Lucrezia Borgia per il suo matrimonio con Alfonso I d’Este.

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pero resistere all’assalto con grande tenacia e sbaragliarono le truppe avversarie. Ma la Rocca, decisamente provata dal fuoco nemico, neces-sitava ormai di grandi opere di manutenzione. Venne perciò quasi totalmente riedificata e po-tenziata soprattutto negli interni, dal Vescovo e Cardinale bolognese Giuliano della Rovere, che aprì nella struttura le poderose bocche di fuoco e innalzò la prima copertura delle torri e, dive-nuto poi Papa Giulio II tornò qualche volta per soggiornarvi, nel corso degli spostamenti che intrattenne a fini politici. Tra Ottocento e Nove-cento, il grande e blasonato baluardo difensivo

divenne sede di una prigione. Oggi gli interni, completamente restaurati, presentano stanze de-gne di interesse, come la cappella, la sala della trifora, le cannoniere o le prigioni, che ci nar-rano storie di amori tragici, banditi sanguinari, apparizioni miracolose o fughe rocambolesche. Sicuramente però, l’evento più noto accaduto all’interno del castello centese riguarda un’im-magine della Madonna, forse risalente al 1597 che, in seguito ad un atto sacrilego, iniziò a per-dere sangue dal naso. Questa immagine oggi è custodita nel vicino Santuario della Beata Ver-gine della Rocca.

La Rocca di Cento

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La Rocca di Stellata

Costruita insieme a quella contrapposta di Ficarolo, controllava le invasioni dal Po.

Salvò infatti la libertà di Ferrara durante la guerra veneta nel 1482.

Isabella d’Este da qui partì sul bucintoro lungo il Po verso Mantova,

per il matrimonio ccon Francesco Gonzaga.

L’abitato di Stellata, di cui le prime notizie risalgono all’anno 1000, era un piccolo

borgo posto sulla strada che da Ferrara condu-ceva a Mantova. Il suo nome in origine era Gol-tarasa ed era sorto dalle terre scarsamente emer-genti dalle paludi che accompagnavano l’argine destro del Po nel suo tratto in corrispondenza di Bondeno. Il borgo mantenne il nome di Goltarasa fino al 1518.Alla sua estremità nordoccidentale, dentro la golena, si erge la Roccapossente o la Rocca Stellata, che diede il nome definitivo ed attuale all’abitato. Attorno alla metà del XII secolo, la famosa “rot-ta di Ficarolo” determina la formazione dell’at-tuale corso del Po, coesistente con la creazione di una biforcazione che consentirà maggiori sti-moli commerciali, ma richiederà maggiori con-trolli poiché, se la stessa via d’acqua da un lato

favoriva i traffici, dall’altro rappresentava un percorso privilegiato per eventuali nemici. Nel 1362 Nicolò II d’Este, lo Zoppo, decide di co-struire a Stellata la “Rocca Possente” e restaura-re anche la fortezza di Ficarolo che era ridotta in cattivo stato. Quest’ultima, assurta ad un ruolo strategico molto importante, fu destinata a non durare a lungo, sgretolandosi sotto gli assalti delle acque del Po durante la spaventosa piena del 1670. Venezia ambiva al controllo del Po, quale principale via fluviale di collegamento fra mare e mercati dell’entroterra verso nord, per ottenere il monopolio del commercio del sale. Tali ragioni della politica espansionistica vene-ta, in contrapposizione allo Stato Estense porta-rono a dure guerre. Nel 1510 la Rocca Possente venne occupata da forze veneziane che poi l’ab-bandonarono nel 1541, dopo averle appiccato il fuoco. Inizia un periodo oscuro della sua sto-ria. Dopo la devoluzione del ferrarese allo Stato

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della Chiesa viene riedificata, riconoscendone così l’importanza strategica.La rocca è costruita su pianta stellata a quat-tro punte o, meglio, su una pianta a poligono fondamentalmente quadrangolare, con leggere flessioni a metà dei lati, che le danno un aspet-to leggermente stellato. Questa configurazione dava la possibilità di tenere sotto controllo e

sotto tiro tutti i lati della costruzione, sia attra-verso le feritoie (in numero di cinque per ogni lato) sia dall’alto, dalle guardiole circolari che si elevano dagli spigoli dei muri.La costruzione oggi osservabile riporta sostan-zialmente l’assetto che aveva assunto nel XVII secolo, pur avendo subito un ulteriore restauro in epoca recente.

La Rocca Possente di Stellata

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La Delizia di Fossadalbero sorse attorno al 1430 per volontà di Nicolò III e si consegnò

alla storia per il legame inscindibile che ebbe con questo marchese e con la sua famiglia.Nelle stanze di questo palazzo, la tradizione vuole che si andasse consolidando l’amore tra Ugo, figlio del marchese e Parisina, sua giovane moglie, amore che ben presto finì tragicamente. Nata come palazzo di caccia, divenne succes-sivamente luogo di svago della corte, in parti-colare durante gli anni di Borso. Dagli Estensi pervenne poi ai Mosti, famiglia strettamente legata a quella ducale, e alla quale fu conces-so di fregiarsi del cognome Estense. Nel Set-tecento l’asse ereditario passò ad Ercole Trotti Estense Mosti, avo di Tancredi, fiero patriota, comandante dei Bersaglieri del Po nelle guerre d’indipendenza. L’edificio è per tre lati merlato alla guelfa, con torre centrale anch’essa merlata preceduta da un avancorpo che ne sottolinea e ne accresce l’imponenza.

Fu oggetto di numerosi restauri nella seconda metà dell’Ottocento e, nel 1900, apparve qui il primo campo da tennis della provincia. Dopo essere passato tra le proprietà di diverse fami-glie è ora sede del Country Club.

La Delizia di Fossadalbero

In questa dimora sbocciò l’amore tra Ugo, figlio di Nicolò III,

e la seconda moglie di questi,Parisina Malatesta.

Esisteva un tempo la quercia sotto

le cui fronde i due amanti si scambiarono le prime effusioni.

La Delizia di Fossadalbero

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Nel luogo in cui oggi troneggia la residenza municipale di Copparo, un tempo sorgeva

una tra le più eleganti delizie estensi della cam-pagna ferrarese. Ebbe vita non facile e, nel cor-so della sua storia, conobbe due distruzioni ed altrettante riedificazioni: il risultato odierno è frutto degli interventi ottocenteschi che lasciano tuttavia intuire con una certa facilità l’imponen-za e le forme dell’antica dimora principesca.Posta a presidio di un fertile territorio già all’ini-zio del XV secolo, diviene una delle mete predi-lette dalla corte già ai tempi di Leonello, per lo svago della Corte e, con Borso ed Ercole I, per le battute di caccia. Non tardò tuttavia ad arrivare il primo evento sfortunato che ne mutò radical-mente il destino: durante un conflitto con Vene-zia, nel 1482, venne distrutta ed incendiata.Ercole II ne ordinò la ricostruzione, secondo forme ancor più sontuose, utilizzandola non più soltanto come residenza di caccia, ma anche come dimora per il soggiorno estivo della Corte

La Delizia di Copparo

Forse, in passato, la più imponente Delizia del territorio estense, in cui la Corte

si ritrovava per le battute di caccia negli estesi e ricchi boschi copparesi.

Resta oggi, isolata dal palazzo municipale, un’unica torre a testimonianza

della sontuosità della dimora ducale.

Come appariva anticamente la Delizia di Copparo

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e per dare feste e ricevimenti in onore di impor-tanti ospiti. Il complesso era costituito da cinque torri tra loro collegate (quattro agli angoli e una centrale, l’unica oggi visibile) ed ampio cortile interno. Una merlatura ornava tutti i lati della reggia, conferendo grande eleganza, ancor più sottolineata dai fastosi giardini che occupavano le attuali Piazza della Libertà e Piazza del Popo-lo. Numerosi artisti, tra i più noti nella Ferrara del Quattro-Cinquecento, lavorarono alle deco-razioni pittoriche del palazzo: molto probabili sono gli interventi dei fratelli Dossi, del Garofa-

lo, di Gerolamo da Carpi e del Bastianino.Con il passaggio del ferrarese alla Chiesa, la de-lizia entrò tra le proprietà dei principi Barberini. Nel 1808 un rogo la distrusse nuovamente e nel 1822 venne demolita tutta la parte pericolante del palazzo. Passata nel 1862 sotto la gestione del Comune, se ne decise la riedificazione per destinarla poi a sede dell’Amministrazione co-munale. I lavori vennero completati nel 1875 e da allora ospita gli uffici del Comune. La torre, unica testimonianza dell’antica reggia, è oggi sede della Biblioteca Comunale.

L’unica torre superstite

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La Delizia di Medelana era una delle sedi predilette per il soggiorno autunnale della

Casa d’Este, durante la caccia con il falco e le reti.Come abbiamo visto, la navigazione interna al territorio ferrarese era uno dei tramiti più utiliz-zati per gli spostamenti e, proprio per nave, nel novembre del 1499, giunsero alla delizia Ercole I e il figlio Alfonso. Per la moglie di quest’ultimo, Lucrezia Bor-gia, Medelana era uno dei luoghi preferiti per il riposo e lo svago: qui accaddero alcuni degli avvenimenti importanti della sua vita, come la comunicazione dell’avvenuta morte del padre della duchessa, papa Alessandro VI.Successivamente la residenza fu frequentata con una certa assiduità da Marfisa d’Este, uni-ca componente della dinastia ad essere rimasta a Ferrara dopo la devoluzione del Ducato allo Stato della Chiesa del 1598.

Qui ospitò pure il Tasso, uscito dall’Ospedale di Sant’Anna, per un periodo di riposo e rista-bilimento. È oggi residenza privata.

La Delizia di Medelana

Nella zona detta dei Dossi di Medelana, gli Estensi costruirono questa

Delizia per soggiornarvi nei mesi estivi e dedicarsi alla caccia con il falco e con le reti.

Teatro di amore in Casa d’Este.La leggenda vuole tra Torquato Tasso e Marfisa d’Este, la storia conferma tra

Lucrezia Borgia e Pietro Bembo.

La Delizia di Medelana

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L’isolata “mensula” sorge dove la strada Ro-mea, entrando in territorio ferrarese, attra-

versa il Po di Goro, ramo meridionale del Delta Padano, ed è caratteristico centro rurale domi-nato dal castello di caccia già degli Estensi. Un castello di notevole interesse storico artistico, costruito fra gli anni 1579 e 1583 da Giambati-sta Aleotti, su progetto di Marcantonio dè Pasi. Committente fu Alfonso II d’Este. Quando fu edificato in Mesola ebbe anche un altro scopo: fu un galante omaggio alla novella sposa (sua terza moglie). Il castello ed il complesso di giardini e boschi dovevano servire alla moglie Margherita Gonzaga per trascorrere in letizia, svago e divertimento i lunghi ozi di campagna, durante la stagione autunnale.È opinione di alcuni studiosi, che alla sua pro-gettazione e soprattutto a quella delle quattro torri angolari, abbia dato il suo contributo l’ar-chitetto Galasso Alghisi, modenese di Carpi,

Il Castello della Mesola

Gli Estensi godettero di questo territorio da loro bonificato andando

a caccia di abbondante selvagginadei boschi e dei litorali.

Residenza estiva e di caccia di Alfonso II. For-mata da quattro torri disposte a raggiera, si ergeva in una vasta tenuta tra cordoni

litorali dunosi, la palude e il mare.

Veduta aerea del Castello di Mesola

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morto però sei anni prima dell’apertura del can-tiere e dell’inizio dei lavori. Il Castello della Mesola, pur presentando una certa pesantezza nel gusto per la sua mole mas-siccia e compatta, tuttavia è in un certo senso alleggerito nell’aspetto per la presenza di am-pie finestre, simmetricamente e regolarmente disposte, del coronamento rappresentato da li-stelli con piccolo aggetto, sì da dare imponenza alle torri, che, con le loro eleganti merlature or-namentali, danno l’impressione di svettare nel cielo, per andarne a far parte. La distribuzione degli spazi è regolare e ad ampio respiro, con una grande sala al piano terreno ed una al primo piano, e con le varie stanze, di buona metratu-ra, delimitate da pareti fra di loro ortogonali. Mentre sul lato che è rivolto verso la Strada Ro-mea ci sono giardini che occupano il piazzale, punto di arrivo del lungo e suggestivo viale di alti pioppi, attorno agli altri tre lati, quasi a for-ma di ferro di cavallo, si sviluppano a corona basse tettoie adibite allora a scuderie, cantine, abitazioni per il personale di corte, servi, guar-

dacaccia e attualmente trasformate in negozi e botteghe per la vendita di articoli artigianali. La descrizione forse più aderente alla realtà della delizia si legge negli inventari dei beni di Alfon-so II, compilati nel 1597, dove sono elencati gli immobili, le suppellettili, i diciotto “paramenti de corame dorato e argentato e il guardarob-ba del bucintoro”. Non mancavano le masseri-zie di cucina, le centinaia di stoviglie “i catini per torta” i rami sbalzati. Un mondo veramente splendido, costruito in extremis poiché nel 1598 gli Estensi furono costretti ad abbandonare la fastosa dimora. Gli Estensi conservarono la pro-prietà della Mesola anche dopo il 1598, anno in cui si ritirarono a Modena. Nel 1795, il papa Pio VI, fece acquistare il grande feudo: ne fa cenno una lapide sulla porta principale del Castello che, nel 1836 veniva ceduto all’Istituto di San-to Spirito di Roma. Solo nel 1911 subentrava la “Società per le bonifiche Ferraresi” ed inco-minciava un periodo di fervorosi lavori in tutta l’estensione del “tenimento”, dal Po al Volano, da Jolanda di Savoia a Gorino.

Il Castello di Mesola

76 Masi Torello in FIERA

Ferrara, città del Rinascimento e il suo Delta del PoFerrara, esemplarmente progettata nel Rinascimento, conserva il suo centro storico in-tatto. I canoni della pianificazione urbana qui espressi ebbero una profonda influenza per lo sviluppo dell’urbanistica nei secoli seguenti.Le residenze dei duchi d’Este nel Delta del Po illustrano in modo eccezionale il riflesso della cultura del Rinascimento sul paesaggio naturale.Il Delta del Po è un eccezionale paesaggio naturale pianificato che conserva in modo notevole la sua forma originale.

Testo targa commemorativa dell’inserimentonella lista del patrimonio mondiale

apposta nel Castello Estense di Ferrara

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PRIMA PAGINA: IMMAGINE TRATTA DALLO STATUTO DELL’ARTE DEI MASTELLARI, FERRARA, BIBLIOTECA COMUNALE ARIOSTEA.SECONDA PAGINA: IMMAGINE TRATTA DAL MISSALE ROMANUM (MESSALE DI BORSO D’ESTE), MODENA, BIBLIOTECA ESTENSE UNIVERSITARIA.