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C292
LE FRONTIERE
DELLA MEDICINA
CAPITOLO C
13
le cause genetiche e
molecolari delle malattie
LEZIONE 1
nuove strategie
terapeutiche
LEZIONE 2
vecchie e nuove
epidemie
e pandemie
LEZIONE SALUTE 4
vaccini di ultima
generazione
LEZIONE 3
indaga consente di applicare
La medicina molecolare
come
aiuta ad affrontare
N A V I G A I L C A P I T O L O
D A T I I N A G E N D A
F a r m a c i p e r t u t t i
Guarda il video, poi rispondi alle domande.
1. Quante dosi di farmaci sono consumate ogni
giorno in Italia?
2. In quale fascia d’età le donne consumano più
farmaci degli uomini?
3. Quanto spende in farmaci un italiano in un anno?
4. Che percentuale del costo dei farmaci consumati a
testa in Italia è a carico del servizio
sanitario nazionale?
D I M M I L A T U A !
O m e o p a t i a
Domande:
1. Con quale posizione sei d’accordo e perché?
2. Quali affermazioni non ti convincono di una o
dell’altra opinione e perché?
3. Sottolinea i titoli dei paragrafi che potrebbero
aiutarti ad approfondire questo argomento, cerca
informazioni in Rete per argomentare la
tua posizione e discutine in classe.
Ho un po’ di febbre, quale
farmaco potrei prendere?
Ma l’omeopatia
non è una cura!
Ti consiglio questi sali
minerali: sono omeopatici.
I farmaci tradizionali intossicano il
nostro fegato, quelli omeopatici no.
C13 | Le frontiere della medicina | C293
La medicina molecolare indaga i meccanismi delle malattie
Una malattia è causata da qualsiasi evento in grado di danneggiare i nostri organi. A questo evento, il corpo reagisce provocando segni caratteristici, i sintomi, che possono coinvolgere anche organi diversi da quelli in cui si è verificato il danno originario. Perché succede questo?
Studiando le caratteristiche dei principali organi e apparati del corpo umano, hai capito come le loro fun-zioni siano strettamente interconnesse e l’importanza di mantenere l’omeostasi, cioè il corretto equilibrio di tutte le funzioni dell’organismo. Proprio perché sono dipendenti tra di loro, una disfunzione a livello di un organo o di un apparato provoca spesso reazioni di tipo sistemico, cioè che coinvolgono l’intero organismo. Questa è la condizione che comunemente chiamiamo malattia (o patologia).
Nell’antichità, si pensava che la malattia fosse dovuta al cattivo influsso di qualche divinità o fosse una puni-zione per colpe personali. Fu Ippocrate, medico greco vis-suto nel V secolo a.C., il primo a intuire che le malattie fossero dovute a squilibri dell’armonia interna dell’orga-nismo. Per questo Ippocrate è considerato uno dei padri fondatori della medicina , nonché autore del Giuramento
di Ippocrate (Figura 1), che viene prestato dai medici prima di intraprendere la professione, «Giuro per Apollo medi-co e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto… In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò
1
Figura 1 Il giuramento dei medici
Illustrazione che mostra il momento del giuramento di Ippocrate.
per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.».
Dai tempi di Ippocrate a oggi, la medicina ha com-piuto enormi progressi, ma è soprattutto negli ultimi cinquant’anni, con l’avvento della genetica e della bio-logia molecolare, che si è spinta a cercare le cause che de-terminano l’insorgere di una malattia a livello molecolare.
Queste scoperte hanno portato allo sviluppo di una nuova branca delle scienze mediche: la medicina mole-
colare, che si occupa di identificare i meccanismi geneti-co-molecolari alla base delle malattie. Queste alterazioni molecolari possono essere di natura sia endogena, cioè partire dall’interno dell’organismo, sia esogena, ovvero derivare dal contatto con patogeni o con agenti fisici e chimici. Le malattie da avvelenamento da sostanze chi-miche, per esempio, sono dovute a precisi eventi mo-lecolari. Il cianuro, uno dei veleni più potenti, inibisce selettivamente l’enzima citocromo C ossidasi, bloccando così la catena respiratoria e rendendo inutilizzabile l’os-sigeno trasportato dall’emoglobina. Questo evento cau-sa la morte per anossia cerebrale, una condizione in cui l’organismo è come fosse privato di aria. Il padre dell’in-formatica, il matematico Alan Turing, utilizzò proprio il cianuro per suicidarsi. Negli anni Trenta, Turing for-malizzò il concetto di algoritmo e durante la Seconda Guerra Mondiale lavorò come crittoanalista del Regno Unito riuscendo nell’impresa di violare i codici tedeschi.
RICORDA Le cause che portano a sviluppare una
malattia sono state indagate dai tempi di Ippocrate.
Oggi, grazie alle nuove scoperte, è possibile studiarne
le cause genetico-molecolari.
LA BASE MOLECOLARE DELLE MALATTIE
LEZIONE 1
Le cause delle malattie
mutazioni
del DNA 2
studiate
a livello
genetico-
molecolare 1
la risposta alle terapie 3
infezioni da
patogeni 4
oggi sono possono essere
che influenzano
C294
La fibrosi cistica. Un esempio di malattia provocata da effetti diretti della mutazione è la fibrosi cistica. Si tratta di una malattia ereditaria autosomica recessiva: per svilup-parla è necessario che entrambi gli alleli ereditati portino una copia alterata del gene interessato. Sono note almeno 150 mutazioni in grado di provocare la fibrosi cistica, ma la più comune è una delezione di tre nucleotidi nel gene per la proteina CFTR. Questa proteina codifica per un canale transmembrana che regola la fuoriuscita degli ioni cloruro dall’interno delle cellule. La delezione causa la perdita di una fenilalanina alla posizione 508 della pro-teina, che non è più in grado di regolare il traffico degli ioni cloruro. La proteina CFTR è espressa in numerosi tessuti tra cui gli epiteli delle vie respiratorie, il pancreas, l’intestino, le ghiandole sudoripare e salivari, dove regola la produzione del muco, del sudore e dei succhi digestivi. L’alterazione della funzione di CFTR causa l’accumulo eccessivo di muco denso che ostruisce i dotti principali dei diversi organi, causando insufficienza respiratoria, insufficienza pancreatica, ostruzione intestinale, cirrosi epatica. I sintomi della malattia sono strettamente cor-relati agli organi in cui CFTR svolge la sua funzione, che quindi sono compromessi dalla mancata espressione di una proteina funzionale. La fibrosi cistica è una malattia grave per cui non esiste cura, ma sono disponibili farmaci in grado di alleviare i sintomi (Figura 2).La còrea di Huntington. Le mutazioni responsabili di patologie possono causare non solo la delezione degli am-minoacidi in una proteina, ma anche la loro ripetizione, cioè aggiunta. È il caso della còrea di Huntington. Si tratta di una malattia neurodegenerativa che compromette la coordinazione dei muscoli e causa un declino progressivo delle facoltà cognitive. Al contrario della fibrosi cistica, è una malattia ereditaria autosomica dominante : è sufficien-te che uno solo degli alleli ereditati sia mutato. Il gene in questione è HTT, che codifica per la proteina «hun-tingtina». Questa proteina svolge importanti funzioni a livello dei gangli nervosi e la sua compromissione causa la degenerazione dei neuroni. Sintomi caratteristici so-no la comparsa di movimenti involontari (la cosiddetta còrea, da cui il nome della malattia) e la degenerazione delle facoltà cognitive.
Negli individui sani, la sequenza al 5' della porzione codificante del gene HTT contiene tra 10 e 26 ripetizioni della tripletta nucleotidica CAG. Questa tripletta codifica per l’amminoacido glutammina, per cui la proteina hun-tingtina normale presenta alla sua estremità N-terminale dalle 10 alle 30 glutammine. Il gene mutato, invece, ha un numero di ripetizioni superiore a 30. L’eccessivo nu-mero di triplette CAG rende questa regione soggetta a un’ulteriore amplificazione durante la replicazione del
Frequenti infezioni
polmonari
Rinosinusite
cronica
Poliposi
nasale
Problemi
respiratori
Ingrandimento
del cuore
Sudore
salato
Calcoli
biliari
Insufficienza
pancreatica
Disturbi
digestiviSteatorrea
Figura 2 I sintomi della fibrosi cistica
I principali organi colpiti dalla fibrosi cistica e i sintomi tipici della malattia.
Le mutazioni del DNA sono alla base di molte malattie
Sappiamo già che cosa sono e come si generano le mu-
tazioni del DNA e che queste causano alterazioni nella sequenza di basi del genoma di una cellula. Il risultato dell’alterazione può essere la mancanza di una proteina o la sintesi di una sua forma dalla funzionalità alterata, che quindi causa una condizione di malattia.
L’effetto delle mutazioni può essere molto complesso, ed è possibile distinguere effetti:• diretti – l’impatto dell’alterazione genetica sulla pro-
teina codificata dal gene mutato è la causa diretta del-la patologia;
• indiretti – la mutazione altera una proteina regola-trice e questo si ripercuote a cascata sulla funzione di molte altre proteine.
Il risultato finale è l’insorgenza della malattia. È ormai noto che l’effetto delle mutazioni a carico di proteine regolatrici è collegato allo sviluppo dei tumori e di nu-merose altre malattie.
2
C13 | Le frontiere della medicina | C295
DNA, a causa di errori di scivolamento delle DNA poli-merasi. Come conseguenza, la huntingtina presenterà un numero di glutammine sempre maggiore all’estremità N-terminale. Quando questo numero diventa eccessivo (di solito superiore a 35), la funzione della proteina è alterata e svolge un effetto tossico sulle cellule nervose (Figura 3). Anche in questo caso la sintomatologia è molto specifica e dipende dal tessuto in cui la proteina mutata svolge la sua funzione. Anche per la malattia di Huntington, attualmente, non esiste cura, ma solo farmaci in grado di aumentare l’aspettativa di vita.Malattia di Alzheimer. A volte una patologia può avere basi genetiche molto complesse, coinvolgendo mutazioni
in molti geni i cui effetti, però, si sommano e danno origi-ne a un unico evento molecolare in grado di scatenare la malattia. Un esempio è la malattia di Alzheimer: una grave patologia neurodegenerativa, che causa demenza progressiva fino alla perdita totale delle facoltà cogniti-ve. Da un punto di vista molecolare (Figura 4), il segno caratteristico è l’accumulo, a livello del tessuto cerebra-le, di ammassi composti dalla proteina β-amiloide, detti
C A G C A G C A G
C A G C A G C A G C A G C A G C A G C A G C A G C A G
Proteina
Proteina
alterata
Gene normale
10 - 26 ripetizioni
Gene mutato
37 - 80 ripetizioni
Tripletta
ripetutaFigura 3
Proteine tossiche
La mutazione del gene HTT, che porta alla còrea di Huntington. Il gene HTT codifica per la proteina huntingtina, che svolge importanti funzioni a livello dei gangli nervosi.
Proteina precursoreCitoplasma
Membrana
plasmatica
Enzimi di taglio
β-amiloide Placche di
β-amiloide
Figura 4 Le placche amiloidi
La formazione delle placche amiloidi è un evento complesso, che implica mutazioni in numerosi geni.
anche placche amiloidi, che distruggono la struttura del tessuto nervoso, bloccano la trasmissione degli impulsi e causano la morte dei neuroni.
Una percentuale molto ridotta dei casi di malattia di Alzheimer è ereditaria ed è dovuta a mutazioni nei geni per la proteina precursore della β-amiloide, che generano la forma tossica presente nelle placche. Indagini geneti-che hanno identificato almeno 20 geni le cui mutazioni sono collegate a un aumentato rischio di sviluppare la malattia. Uno di questi è una variante allelica della apo-
lipoproteina E, coinvolta nel metabolismo dei lipidi. Le persone con questo allele mostrano un aumento fino a 15 volte del rischio di presentare placche amiloidi e di sviluppare l’Alzheimer. Questo rischio non è costante in tutti i gruppi etnici, suggerendo che altri fattori, genetici e ambientali, entrino in gioco.
RICORDA Molte malattie, non solo i tumori, sono
causate da mutazioni a livello del DNA; per esempio
la malattia di Alzheimer, la còrea di Huntington e la
fibrosi cistica.
C296
Alterazioni del DNA e la risposta alle terapie
L’esempio della malattia di Alzheimer ci consente di in-trodurre un concetto molto importante nel campo della medicina molecolare: le mutazioni del DNA possono an-che non essere direttamente la causa di una malattia, ma aumentare il rischio di svilupparla. In altre parole, nello sviluppo di una patologia è molto importante l’intera-
zione tra genotipo e ambiente.
3
Per esempio, sappiamo che l’alimentazione, i comporta-
menti e le abitudini di vita sono strettamente correlati al rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, quali le coronaropatie che predispongono all’infarto, ma an-che all’obesità e al diabete. Tuttavia, due individui che vivono nello stesso ambiente e hanno stili di vita simili possono avere probabilità molto diverse di ammalarsi; questo dipende dalla loro particolare costituzione gene-
tica. Infatti, sono i nostri geni che modulano la capacità dell’organismo di rispondere agli stimoli ambientali, allo stile di vita e all’alimentazione.
Dato che non sappiamo se i nostri geni ci predispon-gono o meno a queste patologie, scegliere un’alimenta-zione e abitudini corrette è l’unico modo per diminuire il rischio di ammalarci. Allo stesso modo, è la nostra costi-tuzione genetica che influenza la capacità di rispondere a una terapia: spesso due pazienti affetti dalla stessa pa-tologia non rispondono nello stesso modo al medesimo trattamento farmacologico.
Esistono alcuni geni che, se mutati su entrambi gli alleli, causano malattie genetiche, mentre negli individui eterozigoti (cioè coloro che ereditano solo una copia del gene mutato) aumentano il rischio di sviluppare certi tu-mori. Per esempio, gli individui omozigoti per mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 sviluppano una malattia gene-tica chiamata anemia di Fanconi, che causa la comparsa di tumori in età infantile (Figura 5). Invece, la presenza di una sola copia mutata di questi geni aumenta il rischio di sviluppare tumori della mammella e dell’ovaio nelle donne e della prostata negli uomini. I geni BRCA1 e 2, infatti, codificano per proteine coinvolte nella riparazio-ne del DNA, per cui le cellule in cui solo una delle due copie è funzionale tendono ad accumulare mutazioni, a causa di difetti di riparazione. Per questo, gli individui che possiedono mutazioni in questi geni sono più esposti al rischio di sviluppare tumori.
La presenza di certe combinazioni di geni non influen-za soltanto il rischio di avere tumori. Studi genomici ed epidemiologici hanno evidenziato come il rischio di
sviluppare l’aterosclerosi (Figura 6), la principale cau-sa di infarto, risulti aumentato sia da fattori ambientali (sovrappeso, fumo di tabacco, dieta ricca di lipidi) sia da fattori genetici. I geni identificati sono coinvolti nell’e-spressione di molecole che partecipano:• al metabolismo lipidico, come il recettore per le lipo-
proteine a bassa densità LDL, la apolipoproteina E o la lipasi epatica;
• al controllo della pressione arteriosa, come l’angio-tensina o i recettori β-adrenergici;
• alla coagulazione del sangue, come la trombina o il fattore VIII.
Figura 5
BRCA1 e BRCA2
Mary-Claire King (1946), la genetista americana celebre per aver scoperto i geni BRCA1 e BRCA2.
Arteria normale
Lume dell’arteria
Flusso sanguigno
normale
Flusso sanguigno
ridotto
Accumuli di colesterolo
Flusso sanguigno
molto ridotto
Placca ateromatosa
Aterosclerosi (stadio iniziale)
Aterosclerosi (stadio avanzato)
Figura 6 Lo sviluppo dell’aterosclerosi
La formazione di una placca, o ateroma, nel lume di un’arteria.
C13 | Le frontiere della medicina | C297
In generale, sono decine i loci genetici le cui mutazioni potenzialmente aumentano il rischio di aterosclerosi; per questo, limitare al massimo il contributo dei fattori ambientali, non fumando e adottando un’alimentazione corretta, è estremamente importante.
Comprendere la relazione tra i geni, il rischio di sviluppare una patologia e la risposta alla terapia sta aprendo la strada a quella che viene definita medicina
personalizzata, ovvero un percorso di prevenzione o di terapia «disegnato» sul profilo genetico di ognuno (Figura 7). L’infezione da virus dell’epatite C (HCV), per esempio, è ancora oggi una delle principali cause di cancro al fegato (Figura 8). Si stima che oltre 200 milioni di persone nel mondo siano infette da HCV, di cui decine di migliaia svilupperanno il tumore se non saranno cu-rate. Fino a pochi anni fa, l’unica terapia disponibile era la combinazione di un farmaco antivirale, la ribavirina, con una proteina immunostimolante, l’interferone alfa. Tuttavia, si è visto che i polimorfismi nel gene IL28B, codificante per una proteina coinvolta nella risposta immunitaria, erano in grado di influenzare l’esito della terapia. Alcune varianti del gene IL28B, infatti, potenzia-no gli effetti dei farmaci, mentre altre causano una signi-ficativa diminuzione della loro efficacia. Come vedremo, grazie alle moderne biotecnologie, sono stati introdotti farmaci in grado di colpire selettivamente proteine del virus HCV, consentendo di trattare con successo tutti i pazienti, indipendentemente dal loro genotipo.
Figura 7 Risposte terapeutiche diverse
La risposta alle terapie farmacologiche dipende dalla costituzione genetica di ogni persona.
Il paziente
risponde
a dosi normali
Il paziente
risponde
a basse dosi
Il paziente
risponde
ad alte dosi
Il paziente
risponde
ad altro
Figura 8 Il virus dell’epatite C
Immagine al TEM di particelle del virus dell’epatite C (in giallo) che infettano una cellula epatica (in blu).
In sintesi, esiste una correlazione precisa tra il genotipo (la mutazione) e il fenotipo (dove si verifica la sintomatolo-
gia) per le malattie causate da alterazioni nella sequenza del DNA. I sintomi possono essere limitati a uno o pochi tessuti oppure colpire diversi organi, a seconda di dove venga espressa la proteina mutata. Inoltre, anche quando le mutazioni non scatenano direttamente una malattia possono aumentare il rischio di svilupparla o influenzare la risposta alla terapia.
RICORDA La costituzione genetica di ciascuno
può influenzare la probabilità di sviluppare una
determinata malattia o la risposta alle terapie.
Quando i patogeni invadono l’organismo causano malattie
Il nostro organismo è costantemente esposto all’attacco di microrganismi presenti nell’aria, nell’acqua, nel terre-no o nell’ambiente domestico: sono virus, batteri, lieviti, muffe, funghi e protozoi. La maggioranza di questi mi-croscopici organismi non causa effetti dannosi perché le nostre difese immunitarie li neutralizzano rapidamente. Tuttavia, numerosi agenti microbici sono in grado di pe-netrare, persistere e proliferare nell’organismo causando un’infezione, con la conseguente comparsa della malat-tia. Gli eventi molecolari che scatenano la malattia, però, possono essere molto diversi a seconda del patogeno.
4
C298
Nel nostro corpo, in particolare nel tratto digerente, vive il nostro microbiota, cioè un numero di batteri più o meno identico a quello delle cellule che compongono un esse-re umano adulto. Il microbiota intestinale è composto da diverse specie batteriche commensali, cioè che si sono adattate a vivere nell’organismo senza causare danni, e anzi sono essenziali per il nostro benessere. Tuttavia, esi-stono batteri patogeni, cioè in grado di scatenare malattie anche gravi. Uno dei meccanismi di infezione batterica più comune è il rilascio di tossine, sostanze di diverso tipo in grado di inibire funzioni cellulari essenziali dell’or-ganismo. Alcuni batteri producono delle enterotossine, che esplicano la loro azione a livello dell’intestino. La shigellosi. Shigella dysenteriae (Figura 9), agente della dissenteria batterica o shigellosi, produce la tossina di
Shiga che penetra nelle cellule dell’epitelio intestinale e distrugge specificamente l’RNA 28S, presente nella su-bunità maggiore dei ribosomi cellulari. Il conseguente blocco della sintesi proteica causa la morte delle cellule intestinali colpite e la distruzione dell’epitelio, favorendo la penetrazione dei batteri nei tessuti sottostanti e cau-sando la grave dissenteria tipica della shigellosi.Il colera. La tossina prodotta da Vibrio cholerae (Figura 10), agente del colera, disattiva una via metabolica comple-tamente differente. Questa tossina, infatti, una volta pe-netrata nella cellula, fa aumentare di oltre cento volte la concentrazione intracellulare di cAMP (AMP ciclico, una
Figura 9
Batteri e dissenteria
Shigella
dysenteriae è l’agente eziologico della dissenteria batterica.
Figura 10
Il batterio del colera
Vibrio cholerae
è il batterio responsabile del colera.
molecola che fa da intermediario nella trasduzione del segnale). L’incremento di cAMP causa a sua volta l’iperat-tivazione di alcuni canali di membrana; la conseguenza è l’entrata nel lume intestinale di grandi quantità di liqui-do (anche due litri all’ora) e sali. La grave dissenteria è il tipico sintomo e può causare la morte per disidratazione.Il tetano e la malattia botulinica. Diverso è il mecca-nismo d’azione delle tossine prodotte dai batteri Clostri-
dium tetani, agente del tetano, e Clostridium botulinum, che causa la malattia botulinica. Si tratta in entrambi i casi di neurotossine, cioè di molecole che agiscono a livello delle cellule nervose. La tossina tetanica penetra nei mo-toneuroni e blocca la trasmissione degli impulsi nervo-si inibitori. Questo causa la contrazione involontaria di tutti i muscoli, la paralisi spastica. La tossina botulinica, invece, degrada una proteina cellulare essenziale per il rilascio dell’acetilcolina, il neurotrasmettitore tipico del-le giunzioni neuromuscolari. Questo causa l’inibizione della trasmissione degli impulsi nervosi eccitatori e la paralisi flaccida (cioè l’incapacità di contrarsi) di tutti i muscoli, compresi quelli respiratori.La tubercolosi. Uno dei più antichi microrganismi pa-togeni per l’uomo è Mycobacterium tuberculosis, il batte-rio responsabile della tubercolosi. Nella maggior parte dei casi il nostro sistema immunitario può controllare la proliferazione del batterio. Tuttavia, l’agente patoge-no non viene mai eliminato, ma si insedia nei polmoni dove rimane in una condizione di latenza senza causare sintomi. L’abbassamento delle difese immunitarie può causarne la riattivazione e quindi portare alla malattia: il 5-15% delle persone infette svilupperà la tubercolosi durante il corso della vita. La tubercolosi è contagiosa e si trasmette per via aerea con le secrezioni respiratorie di un individuo malato. Esiste una terapia farmacologica che cura l’infezione, ma la sua efficacia è andata diminuendo per la comparsa di ceppi multiresistenti ai farmaci. Nel 2017 sono stati segnalati oltre 160 000 casi di infezione da batteri resistenti, di cui la metà in India, Cina e Russia.
I virus presenti nella biosfera sono ancora più nume-rosi dei batteri. I virus sono elementi acellulari, costituiti da un involucro proteico, o capside, che racchiude il ma-teriale genetico DNA o RNA (mai entrambi). La carat-teristica principale dei virus è quella di essere parassiti
intracellulari obbligati, ovvero di dover necessariamente penetrare in una cellula per potersi replicare. In segui-to all’infezione virale, spesso la cellula muore; questo compromette la funzionalità di organi e tessuti e quindi provoca malattie. I meccanismi alla base delle malattie virali sono molto diversi. Inoltre, un ruolo non secon-dario nello sviluppo dei sintomi è giocato dallo stesso sistema immunitario dell’ospite.
C13 | Le frontiere della medicina | C299
L’HIV, un vecchio nemico. L’infezione da HIV è una zo-
onosi, cioè una malattia infettiva degli animali che si trasmette anche all’essere umano. L’HIV-1 (il sierotipo responsabile della pandemia), infatti, deriva da un retro-virus analogo che infetta gli scimpanzé. Un antenato del virus degli scimpanzé ha acquisito la capacità di infettare stabilmente l’essere umano. Questo è successo probabil-mente nelle zone rurali dell’Africa centro-occidentale, do-ve gli scimpanzé fanno parte della selvaggina cacciata dagli abitanti. Una fonte di trasmissione può essere stata il ripetuto contatto con il sangue degli animali infetti, durante la macellazione o il consumo di carne cruda. La caratteristica fondamentale dell’HIV è l’estrema selet-tività per le cellule che esprimono sulla loro superficie una proteina chiamata CD4. La CD4 è presente princi-palmente sui linfociti T helper, che svolgono un ruolo es-senziale nella risposta immunitaria (vedi Capitolo C6). L’infezione da HIV causa la morte dei linfociti T helper, la cui diminuzione al di sotto di un valore limite (circa 200 unità per µL di sangue) determina una grave immu-nodeficienza. In conseguenza dell’abbassamento delle difese immunitarie, il paziente infetto da HIV diventa suscettibile all’attacco da parte di altri patogeni batte-rici e virali che causano le cosiddette infezioni opportuni-
stiche come polmoniti, micosi o tumori causati da virus (Figura 11). È in questo momento che il paziente entra nella fase di AIDS conclamato. Sono proprio le infezioni opportunistiche a determinare la morte del paziente, in assenza dei trattamenti farmacologici. Per la capacità di integrare il proprio genoma in quello della cellula infet-tata, l’HIV permane all’interno dell’organismo per tutta la vita dell’ospite e occasionalmente può riemergere.
Oggi esiste una terapia farmacologica da assumere prima di entrare nella fase di AIDS conclamato e che dura tutta la vita. Essa consente di rendere cronica l’infezione, impedendo la progressione alla fase conclamata. La tra-smissione avviene principalmente tramite rapporti ses-suali non protetti, per cui la prevenzione, basata sull’uso del profilattico, è l’arma migliore per evitare il contagio.
La proteina CD4 è il recettore dell’HIV, ma diversi virus hanno recettori differenti e quindi infettano selet-tivamente cellule di tessuti diversi. Questa preferenza dei virus per particolari tipi cellulari e tessuti è detta tro-
pismo virale e determina in gran parte il tipo di patolo-gia provocato dall’infezione. Abbiamo visto come l’HIV
Cervello:encefalitemeninigite
Occhi:
retiniti
Polmoni:
pneumocistosi
tubercolosi (sistemica)
tumori
Pelle:
tumori
Stomaco e intestino:
diarrea cronica
tumori
Figura 11 Le infezioni opportunistiche
(A) Infezioni opportunistiche conseguenti all’AIDS. (B) Immagine al TEM di particelle dell’HIV che gemmano dalla superficie di un linfocita T.
A B
attacca le cellule del sistema immunitario. Altri virus, come quelli dell’influenza, infettano le cellule degli epi-teli delle vie respiratorie. Esistono anche virus generalisti, in grado di infettare più tessuti, che utilizzano recettori espressi su molti tipi cellulari; la gravità dei sintomi è resa più acuta dalla capacità del virus di interferire con il sistema immunitario. Il virus Ebola. Questo virus, trasmesso occasionalmente all’essere umano dai pipistrelli, è in grado di infettare numerosi tessuti utilizzando un recettore presente sul-le cellule endoteliali. L’organismo reagisce mettendo in atto la risposta immunitaria innata con la produzione di citochine infiammatorie. Tuttavia, l’infiammazione deve essere modulata perché non danneggi gli organi. Il virus Ebola è in grado di inibire la regolazione negativa del processo infiammatorio, causando quella che viene definita una «tempesta di citochine», che provoca febbre elevatissima, dolori ed emorragie interne.
RICORDA La malattia può essere provocata da
un’infezione da parte di agenti patogeni, che possono
essere batteri, virus e altri microrganismi.
Ora tocca a teRispondi Scegli le parole
1. Che cos’è una malattia? Dai una
definizione del termine.
2. Quale può essere il risultato di una
mutazione nel DNA?
La shigellosi / Il colera produce una tossina
che penetra nelle cellule dell’epitelio
intestinale e distrugge specificamente
l’. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28S.
Costruisci una linea del tempo che parta da
Ippocrate (V secolo a.C.) e arrivi ai nostri giorni
(con la medicina molecolare), tracciando le
principali tappe della storia della medicina.
C300
Le biotecnologie consentono nuove strategie terapeutiche
Come abbiamo visto in questi esempi, anche per le ma-lattie di origine batterica o virale l’evento (o gli eventi) che scatenano la patologia sono sempre da ricercarsi a livello molecolare. La conoscenza delle basi molecolari di molte malattie ha rivoluzionato anche la capacità di ideare farmaci e vaccini per poterle curare o addirittura prevenire. Identificare con precisione gli eventi mole-colari responsabili dell’insorgenza di una malattia è il primo passo per mettere a punto strategie terapeutiche. Grazie alle moderne tecniche di biologia molecolare, oggi siamo in grado di disegnare molecole capaci di bloccare selettivamente le proteine, la cui funzionalità alterata causa una patologia.Il farmaco imatinib. Un esempio di grande successo è la messa a punto del farmaco imatinib (Glivec™) per la terapia della leucemia mieloide cronica. Questa malattia è un tumore causato dalla proliferazione incontrollata delle cellule staminali mieloidi, da cui derivano molte delle cellule presenti nel sangue: globuli rossi, macrofagi, piastrine. La base molecolare di questa malattia è una mu-tazione cromosomica: una traslocazione di un frammento del cromosoma 9 che si fonde con un frammento del cro-mosoma 22. La regione del cromosoma 9 contiene il gene per la proteina Abl, un importante mediatore dei segnali di proliferazione cellulare. Questa proteina è finemente regolata e, in condizioni normali, si attiva solo in presen-za di specifici segnali provenienti dall’ambiente esterno alla cellula. In seguito alla traslocazione, una porzione del gene Abl si fonde con una sequenza del cromosoma 22 detta BCR, per cui la traduzione inizia da un diverso codone d’inizio (AUG) e produce, invece della normale
5
FARMACI «SU MISURA»
LEZIONE 2
Abl, una proteina chimerica detta BCR-Abl. Questa variante è ancora in grado di stimolare la proliferazione cellulare, ma ha perso la capacità di essere regolata, per cui risul-ta costitutivamente attiva, cioè si esprime a livelli elevati indipendentemente dalle condizioni. In altre parole, è come se un interruttore molecolare fosse sempre acce-so «forzando» le cellule mutate a proliferare. Una volta identificata la causa molecolare, i biologi hanno messo a punto una strategia in più passaggi:• clonare il gene BCR-Abl;
• esprimere la proteina in forma ricombinante;• ottenerne la struttura tridimensionale ai raggi X.A partire da queste informazioni, e grazie ai sofisticati approcci computazionali, i chimici hanno poi disegnato e sintetizzato la molecola imatinib, che si lega selettiva-mente alla proteina inibendone l’attività. In questo modo è possibile «spegnere» l’interruttore molecolare respon-sabile della proliferazione (Figura 12). Nel 2001, prima dell’introduzione dell’imatinib, la sopravvivenza fino a cinque anni dei malati di leucemia mieloide cronica era del 30% circa, oggi, la malattia può essere curata in oltre il 90% dei casi.La terapia a bersaglio molecolare. Molti altri farmaci contro il cancro sono stati ideati per colpire selettiva-
mente le proteine alterate presenti nelle cellule tumora-li. Questo approccio, chiamato terapia antitumorale a
bersaglio molecolare, rappresenta oggi la frontiera più avanzata nel campo della chemioterapia per i tumori. Al-cune di queste molecole sono state disegnate «su misura» per colpire specifiche proteine virali come la trascrittasi inversa, l’integrasi o determinate proteasi indispensabili per il ciclo virale. In questo modo è possibile garantire un’estrema specificità della terapia e quindi meno effetti
Abl
Imatinib Proteina inibita
Figura 12 Il funzionamento di imatinib
La struttura di Abl (in verde) in complesso con imatinib.
Le nuove strategie terapeutiche
biotecnologie che disegnano
«farmaci su misura» 5
un processo di sviluppo e di
controllo del farmaco 6
contributi di
differenti discipline 7
sono possibili grazie alle
derivano da
attraverso
C13 | Le frontiere della medicina | C301
collaterali per il paziente. La terapia antiretrovirale ad
elevata efficacia o HAART, introdotta a metà degli anni Novanta del secolo scorso, ha salvato milioni di vite.
Un approccio simile ha consentito anche lo sviluppo di nuovi farmaci antivirali, come quello contro l’infe-zione da virus dell’epatite C (HCV) in grado di causare il carcinoma epatico. La terapia con ribavirina e interferone è stata utilizzata per molti anni, ma era efficace solo nella metà dei casi trattati e aveva pesanti effetti collaterali. La possibilità di clonare, esprimere in forma ricombinante e determinare la struttura delle proteine virali necessarie alla replicazione del genoma di HCV (come la proteasi e la RNA polimerasi) ha aperto la strada al disegno di molecole specifiche contro questi bersagli. Oggi, i nuovi farmaci contro l’HCV consentono di trattare con successo quasi il 100% dei pazienti.
RICORDA Recenti strategie terapeutiche, anche
grazie alle biotecnologie, sono in grado di disegnare
farmaci che bloccano selettivamente le molecole
alterate.
Sviluppare un farmaco è un processo lungo e costoso
Spesso ci si chiede perchè, scoperta la causa molecolare di una malattia, passi tanto tempo prima che venga messo a punto un farmaco efficace. Per esempio, nel caso della leucemia mieloide cronica, sono trascorsi quasi vent’an-ni dall’identificazione della proteina BCR-Abl all’intro-duzione terapeutica dell’imatinib. La risposta è che lo sviluppo di un farmaco è un processo molto lungo e che richiede l’unione di numerose competenze.
Una volta identificato il bersaglio molecolare (aspetto che richiede molto tempo) è possibile dividere il proces-
so di ideazione del farmaco in tre momenti principali: 1. ricerca di base per l’identificazione e l’ottimizzazione
della molecola candidata; 2. test pre-clinici; 3. test clinici. Ciascuna di queste fasi può durare diversi anni: per svi-luppare un farmaco occorrono circa dieci anni (Figura 13).Fase 1: ricerca di base. Nella prima fase della ricerca di base è necessario mettere a punto dei sistemi in vitro per valutare se le molecole chimiche sintetizzate siano effet-tivamente in grado di bloccare l’attività della proteina bersaglio. Spesso questo richiede il clonaggio e l’espres-sione della proteina ricombinante. Inoltre, là dove è possi-bile, è di grande aiuto ottenere la struttura della proteina tramite cristallografia ai raggi X. Una volta predisposto un test appropriato, i chimici iniziano a sintetizzare li-
6
Screening
di 10 000 molecole
Test su
100 molecole
10 molecole
Ricerca
di base
Test
pre-clinici
Ricerca
clinica
Valutazione
delle autorità
sanitarie
Farmacovigilanza
Autorizzazione
al commercio
di un farmaco
Deposito
del brevetto
Uso commerciale
del brevetto
Possibile
brevetto
comunitario
2/3 anni 7/8 anni max 5 anni
0 circa 5 anni circa 10 anni 20 anni 25 anni
Figura 13 Lo sviluppo di un farmaco
Linea del tempo che illustra le fasi dello sviluppo di un farmaco.
brerie di molecole che sono poi valutate sulla proteina bersaglio. Se la struttura della proteina è disponibile, si può procedere con un disegno delle molecole sulla base delle caratteristiche del bersaglio. Altrimenti, l’approc-cio è quello di valutare migliaia di molecole di diversa struttura nella speranza di trovarne una attiva. La prima generazione di molecole con caratteristiche interessanti viene ancora modificata per ottenere la migliore attività possibile, attraverso la sintesi di generazioni successive di derivati. Da questo processo deriva una famiglia di poche molecole candidate a diventare un farmaco.Fase 2: test pre-clinici. Il passaggio successivo è quel-lo della ricerca pre-clinica, in cui si valuta l’efficacia di queste molecole su sistemi più complessi, come cellule in coltura o modelli animali. Contemporaneamente, si considera anche la loro eventuale tossicità e ne vengono determinate le proprietà farmacocinetiche. Non è possibile stimare la durata di queste due prime fasi, dato che tutto dipende dalla possibilità di identificare molecole attive che abbiano le giuste proprietà farmacologiche. Spesso, molecole che appaiono ottime dopo la prima fase, falli-scono i test della fase pre-clinica e devono subire ulteriori modifiche; questo processo dura in media da 3 a 5 anni.Fase 3: test clinici. L’ultimo passaggio consiste nella spe-rimentazione clinica, che si divide in tre fasi della durata complessiva di circa cinque anni e che si svolge sempre in centri ospedalieri, dopo aver ricevuto l’approvazione dei comitati etici. Anche in questo caso, molecole che hanno avuto successo negli studi pre-clinici possono fallire, ren-
C302
dendo necessario un lavoro a ritroso di ottimizzazione.• Nella fase clinica I (6-12 mesi) si arruolano 10-20
volontari sani a cui vengono somministrate dosi crescenti del farmaco in diverse formulazioni per verificare l’assenza di tossicità e la posologia (determi-nazione di dosi e di modalità di assunzione) migliore.
• Nella fase clinica II (12-24 mesi) viene arruolato un numero limitato di pazienti volontari (50 -100), a cui viene somministrato il farmaco in confronto con la migliore terapia standard disponibile. Lo scopo è quello di verificare l’efficacia del farmaco nel ridurre o bloccare la malattia e di ottimizzare la posologia.
• Nella fase clinica III (2-3 anni) si amplia il numero di soggetti, che può raggiungere anche diverse migliaia di individui. I pazienti sono suddivisi in gruppi o bracci sulla base delle particolari caratteristiche rilevanti per lo studio (sesso, età, stadio della malattia ecc.). La speri-mentazione si effettua in centri ospedalieri, seguendo la modalità del doppio cieco: né il paziente né il me-dico che la somministra sanno se si tratta della terapia standard o di quella sperimentale. Solo il centro di co-ordinamento che raccoglierà tutti i dati sarà in grado di collegare un certo paziente (e i suoi parametri clinici) con la terapia somministrata. Così si garantisce l’asso-luta oggettività dei risultati, che sono valutati sulla base di criteri predefiniti, detti endpoints. Questi variano in base al tipo di patologia presa in esame e possono essere di diversa natura (per esempio il raggiungimento di de-terminati valori negli esami ematologici, l’analisi degli effetti collaterali ecc.).
Infine, un’accurata analisi statistica consente di valutare se, nel gruppo con il trattamento sperimentale, questi endpoints sono stati raggiunti in maggior misura o più rapidamente rispetto al gruppo di controllo.La fase di commercializzazione del farmaco. Se le diffe-renze sono statisticamente significative a favore del nuo-vo farmaco, la sperimentazione si considera conclusa e si può procedere alla richiesta di autorizzazione per la sua commercializzazione. Questa viene fatta raccogliendo tutti i dati, sia della fase pre-clinica sia di quella clinica, e sottoponendoli alla valutazione delle autorità regolatorie governative presupposte. I dati vengono scrutinati da un comitato di esperti indipendenti che possono autorizzare
l’uso del farmaco oppure respingere la richiesta, chiedendo ulteriori verifiche. Una volta approvato, il nuovo farmaco diventa disponibile per essere messo in commercio.
Sviluppare un farmaco è quindi un processo lungo, com-plesso e con enormi costi di sviluppo: portare un farmaco a disposizione del paziente costa in media un miliardo di euro. Tuttavia, al momento non è possibile comprimere questi tempi. Ciascuna fase, infatti, serve non solo a mettere a punto una molecola con le caratteristiche desiderate, ma anche a garantire che i benefici derivanti dall’utilizzo del farmaco siano superiori agli effetti collaterali.
RICORDA Il processo per la formulazione e la messa
in commercio di un farmaco è lungo e costoso.
La medicina molecolare si avvale di diverse competenze
Il primo a descrivere le basi molecolari di una patologia fu, nel 1949, Linus Pauling (1901-1994), premio Nobel per la Chimica. Si trattava dell’anemia falciforme, una malattia genetica causata da una mutazione nei geni per l’emoglobina. Da allora le tecniche di indagine moleco-lare hanno compiuto enormi progressi.
Oggi la medicina molecolare è sempre più una disci-
plina traslazionale, cioè che coniuga i tradizionali ambiti della scienza medica con i contributi di molte altre disci-pline: genetica, biochimica, biologia molecolare, biologia cellulare, biofisica, chimica, bioinformatica. La medicina moderna guarda sempre più all’aspetto molecolare: dalle tecniche diagnostiche basate sull’analisi del genoma, ai farmaci a bersaglio molecolare, fino alla terapia genica e all’uso delle cellule staminali. Allo stesso modo, oggi le grandi strutture ospedaliere non sono più solo luoghi di cura, ma anche centri di ricerca scientifica, spesso col-legati strettamente alle università.
Ippocrate sosteneva che non era possibile curare una malattia «senza conoscere la natura del tutto»; dopo oltre 2000 anni, la sua intuizione è ancora uno dei fondamenti della medicina moderna.
RICORDA La medicina molecolare indaga le cause
molecolari grazie ai contributi di altre discipline.
7
Ora tocca a teRispondi Scegli le parole
1. Qual è l’obiettivo delle recenti strategie
terapeutiche della medicina molecolare?
2. Che cos’è la terapia tumorale a bersaglio
molecolare?
3. Quanti anni occorrono per sviluppare un
farmaco?
1. Nella prima fase dei test pre-clinici / della
ricerca di base si valuta, tramite sistemi in
vitro, se le molecole sono efficaci.
2. Durante la ricerca di base / fase clinica è
di grande aiuto la cristallografia ai
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Una tua amica si sta laureando in Chimica e
Tecnologia Farmaceutiche e deve preparare
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riassumendo le fasi necessarie dal deposito
del brevetto all’uso commerciale.
C13 | Le frontiere della medicina | C303
Le origini della vaccinazione
Come abbiamo visto nel Capitolo C6, un vaccino è una preparazione farmaceutica che stimola le difese immu-nitarie e conferisce una resistenza all’infezione di uno specifico agente patogeno, senza indurre la malattia.
La nascita della vaccinazione è legata a una del-le malattie infettive più diffuse e pericolose nei secoli passati: il vaiolo. Causata dal virus Variola virus, questa malattia era già presente ai tempi dell’Antico Egitto e se ne trovano tracce sulla mummia del faraone Ramses. Si stima che, solo nel XX secolo, il vaiolo abbia ucciso oltre 300 milioni di persone. Anche chi guariva spesso rimaneva sfigurato, in quanto il vaiolo causa la comparsa di vesciche su tutto il corpo. Le prime testimonianze di una vaccinazione contro il vaiolo risalgono alla Cina e all’India di oltre mille anni fa e venivano effettuate ina-lando le croste polverizzate prelevate dalle cicatrici delle persone sopravvissute alla malattia, in particolare quelle che avevano contratto la forma meno grave (Variola mi-
nor) del vaiolo. Nei secoli successivi in Oriente si iniziò a inoculare direttamente questa polvere nella cute. Questo materiale conteneva ancora virus, ma il trattamento lo aveva reso meno infettivo, per cui le persone sviluppava-no un’immunità, anche se in circa il 2% dei casi potevano ammalarsi. All’inizio del XVIII secolo, due medici italia-ni che operavano a Costantinopoli, Emanuele Timoni e Jacopo Pilarino, introdussero questa tecnica in Europa. Questa pratica, detta variolizzazione, continuò a essere utilizzata in molti Paesi fino al XX secolo.
RICORDA La vaccinazione è stata una vera conquista
contro malattie come il vaiolo.
8
I VACCINI
LEZIONE 3 Da Jenner ai vaccini di oggi
Fu il medico inglese Edward Jenner che, nel 1796, ideò il primo vero vaccino antivaioloso. Jenner era un medico di campagna e aveva notato che le mungitrici che contra-evano una forma benigna di vaiolo vaccino, che causava la comparsa di vesciche sierose sulle mani ma non dava altri sintomi, avevano una minore tendenza ad amma-larsi del vaiolo umano. Ipotizzò, quindi, che la malattia vaccina potesse conferire protezione nei confronti del terribile morbo. Ai tempi non si sapeva nulla né della risposta immunitaria, né tantomeno dell’esistenza dei virus, per cui l’ipotesi di Jenner fu davvero rivoluzionaria. Per dimostrarla, prelevò del siero da una pustola di una mungitrice e lo iniettò in un bambino di 8 anni, a cui poi inoculò il virus tramite variolizzazione. Il bambino non si ammalò. La vaccinazione di Jenner incontrò molte resistenze, ma poi venne resa obbligatoria in Inghilterra a partire dalla metà del XIX secolo e rimase alla base delle preparazioni dei successivi vaccini antivaiolo.
Il vaccino antivaioloso era basato sull’inoculazione di un virus vivo, cioè ancora in grado di replicarsi, ma non patogeno per l’essere umano. Tuttavia, per molte malattie umane non esiste un corrispondente patogeno animale con proprietà simili al vaiolo vaccino. Un passo in avanti per la messa a punto di vaccini contro molte malattie umane si deve al microbiologo francese Luis Pasteur (1822-1895). Pasteur si interessò, tra le altre cose, alla rabbia: una malattia virale trasmessa dagli animali con esiti spesso fatali. Nel 1885 Pasteur prelevò del tes-suto cerebrale da conigli infetti e, dopo essiccazione, lo inoculò in un bambino che era stato morsicato da un cane rabbioso; il bimbo non si ammalò.
Il trattamento per essiccazione aveva reso il virus mol-to meno patogeno, mantenendo tuttavia la sua capacità di stimolare il sistema immunitario (di cui Pasteur non sapeva nulla, ovviamente). Si trattava di un vaccino a virus attenuato. Questa tecnica venne ulteriormente migliorata da un medico italiano, Claudio Fermi (1862-1952), che agli inizi del XX secolo mise a punto una pro-cedura di attenuazione del virus tramite trattamento con acido fenico. Il vaccino antirabbico attuale è basato su di un virus inattivato, cioè reso completamente innocuo tramite trattamenti chimici.
Tra i vaccini di maggiore impatto per la salute umana va annoverato certamente quello contro la poliomielite. Questa malattia è causata dal poliovirus e, in una ridotta percentuale di casi, è in grado di causare paralisi musco-lare flaccida, portando alla perdita di funzione degli arti o, se a essere colpiti sono i muscoli della respirazione, a morte. La poliomielite, ancora alla metà del XX secolo,
9
Il termine vaccino deriva dal vaiolo dei bovini, il vaiolo
vaccino; la prima malattia per cui è stato messo a punto un vaccino alla fine del XVIII secolo.
stimolano la memoria
immunologica contro
un patogeno 10la variolizzazione 8
consentono l’immunità
di gruppo 11
oggetto di bufale 13
hanno avuto origine con
anche se
fino ad arrivare
ai vaccini attuali 9 contengono adiuvanti 12
sono sicuri 14
sonoI vaccini
C304
colpiva oltre 10 000 persone nel nostro Paese, soprattut-to bambini, con numerosi casi di paralisi. Nel 1952, il medico americano Jonas Salk (1914-1995) mise a punto un vaccino iniettabile basato su virus della poliomielite inattivati con trattamenti chimici; il vaccino venne au-torizzato per l’uso nella popolazione nel 1955 (Figura 14). Nel giro di due anni i casi di poliomielite diminuirono drasticamente. Nel 1962, un altro medico americano, Albert Sabin (1906-1993), introdusse un vaccino a ba-se di virus attenuati. Questo vaccino, somministrabile per via orale, era molto efficace anche nel prevenire la trasmissione del patogeno ed è stato impiegato per la campagna di vaccinazione globale che oggi ha quasi del tutto eradicato la poliomielite nel mondo. I vaccini oggi. Attualmente sono disponibili vaccini contro numerose patologie sia virali sia batteriche. Grazie alle politiche di vaccinazione di massa, malattie un tempo molto diffuse sono quasi del tutto scomparse nei Paesi industrializzati, mentre molte altre (come mor-billo, parotite e pertosse) hanno subito una riduzione nell’incidenza di oltre il 90%. Inoltre, il vaccino antin-fluenzale consente, ogni anno, di ridurre significativa-mente il numero di persone colpite da questa malattia. Per la preparazione dei vaccini, alle strategie classiche oggi si affiancano metodiche più sofisticate. Dato che spesso solo alcune componenti (proteine o lipidi) dei patogeni sono responsabili della risposta immunitaria, cioè agiscono da antigeni, sono stati introdotti i vaccini
a subunità purificate, in cui le porzioni immunologica-mente attive vengono isolate e purificate con tecniche chimico-fisiche. L’avvento delle moderne biotecnologie, che consentono di clonare ed esprimere i geni in sistemi
Figura 14
Il primo vaccino iniettabile anti-polio
Jonas Salk mentre somministra il vaccino contro la poliomelite a una bambina.
eterologhi, ha inoltre reso possibile la realizzazione di vaccini a subunità clonate, in cui i geni delle proteine responsabili dell’attivazione immunitaria vengono iso-lati e fatti esprimere in batteri o lieviti, da cui sono poi purificati. Altre strategie attualmente allo studio sono quelle basate su vaccini a DNA (o ricombinanti), in cui a essere iniettato non è l’antigene, ma il gene corrisponden-te sotto forma di molecola di DNA. Una volta all’interno delle cellule, il gene viene espresso e l’antigene esposto alla superficie, stimolando così la risposta immunitaria in modo più simile al meccanismo naturale. Si stanno sperimentando anche vaccini virali, in cui agenti virali vengono «disarmati», cioè resi non patogeni, grazie alla rimozione di tratti del loro genoma codificanti funzio-ni essenziali per la loro replicazione. Al posto di queste sequenze vengono inseriti i geni per gli antigeni di in-teresse. Questi virus così modificati agiscono da vettori, cioè sono ancora in grado di penetrare nelle cellule, ma non danno luogo a un’infezione. Tuttavia, il gene esogeno da loro portato viene espresso e l’antigene corrisponden-te presentato al sistema immunitario. Questa strategia attualmente è sperimentata, per esempio, per i vaccini contro l’HIV.
RICORDA Il primo vaccino fu ideato da Jenner e da
allora sono stati fatti numerosi passi in avanti.
Come funzionano i vaccini
Quando un agente patogeno invade le cellule del nostro organismo, si attiva una complessa serie di eventi mo-lecolari che portano all’attivazione del sistema immu-nitario. Cellule specializzate sono in grado di fagocitare l’agente patogeno e processare le sue proteine generando corti peptidi che sono poi esposti sulla superficie tramite le proteine MHC e agiscono da antigeni. Queste cellule presentanti l’antigene, o APC, possono spostarsi dal sito dell’infezione per andare a incontrare i linfociti T helper, che sono dotati di speciali recettori in grado di ricono-scere uno degli antigeni presenti sulle APC, formando così un complesso cellula-cellula. Come conseguenza, vengono rilasciate molecole di segnale (citochine), che attivano i linfociti T citotossici e i linfociti B. I primi sono in grado di aggredire le cellule infette che espongono l’an-tigene corrispondente e distruggerle, mentre i linfociti B producono anticorpi in grado di legarsi specificamente all’agente patogeno che possiede l’antigene che le ha sti-molate, neutralizzandolo. Una parte dei linfociti B che producono questi anticorpi specifici permane nell’orga-nismo sotto forma di cellule della memoria. In occasione
10
C13 | Le frontiere della medicina | C305
di un successivo incontro con lo stesso agente infettivo che le ha stimolate, queste cellule sono rapidamente in grado di produrre anticorpi contro di esso, bloccandone la diffusione.
Il principio su cui si basa la vaccinazione è proprio quello di stimolare la memoria immunologica nei con-fronti di un agente patogeno, senza però provocare la malattia. Esponendo l’organismo a un virus o batterio attenuato o inattivato, così come agli antigeni purificati, si innesca la stessa cascata di segnali che verrebbe attivata in caso di infezione, portando così alla formazione di una popolazione di cellule della memoria. Quando la persona vaccinata viene a contatto con il vero agente infettivo, il suo sistema immunitario è già «avvertito» e in grado di neutralizzare rapidamente l’aggressore, prima che riesca a diffondersi nell’organismo provocando la malattia.
RICORDA Il principio su cui si basa la vaccinazione è
quello di stimolare la memoria immunologica contro
un patogeno, senza provocare la malattia.
L’importanza sociale dell’immunità di gruppo
Una cosa importante da ricordare è che la vaccinazione non protegge solo l’individuo che la fa, ma rappresenta uno strumento fondamentale per limitare la diffusione di malattie infettive all’interno della popolazione. È il concetto dell’immunità di gruppo (o di gregge). Per com-prendere questo aspetto fondamentale delle vaccinazio-ni, è necessario ricordare che gli agenti infettivi hanno una diversa capacità di diffondersi. Ogni agente infet-tivo è caratterizzato da uno specifico parametro detto numero di riproduzione o R0. Questo numero riflette la
capacità infettiva, cioè il numero di individui che possono contrarre la malattia a partire da una singola persona in-fettata. L’influenza ha un R0 pari a 3-4, mentre il morbillo pari a 16. Questo vuol dire che, mediamente, una persona affetta da influenza può infettare 3-4 persone, mentre chi ha il morbillo può passare la malattia a circa 16 persone. Quindi, il morbillo è molto più infettivo dell’influenza.Per controllare la diffusione dell’agente infettivo ed evi-tare un’epidemia, è necessario ridurre il valore R0 per la popolazione bersaglio al di sotto di 1 (non c’è trasmis-sione). La strategia più efficace è aumentare il numero di persone immuni vaccinandole (Figura 15).
Questi valori si riferiscono a una popolazione «idea-le» in cui tutti gli individui siano ugualmente suscetti-bili al virus. Se, però, una percentuale significativa delle persone è immune all’infezione, allora il singolo paziente avrà una probabilità inferiore di entrare in contatto con
11
Non vaccinato e sano
Nessun individuo è vaccinato.
Il patogeno si diffonde facilmente nella popolazione.
Alcuni individui sono vaccinati.
Il patogeno si diffonde nella popolazione attraverso gli individui non vaccinati.
La maggior parte della popolazione è vaccinata.
La diffusione del patogeno è limitata.
Vaccinato e sano
Non vaccinato, ammalato e contagioso
Figura 15 Come agisce l’immunità di gruppo
Le vaccinazioni di massa impediscono
la diffusione delle malattie infettive.
un individuo che può contrarre la malattia. Lo scopo del-le vaccinazioni di massa è proprio quello di aumentare il grado di immunità generale all’interno della popola-zione, così che l’agente patogeno non possa diffondersi causando un’epidemia. In generale, una quota di persone immuni pari o superiore al 95% è in grado di evitare il diffondersi di qualunque malattia infettiva.
È importante ricordare che gli agenti infettivi non scompaiono con le vaccinazioni, ma sono sempre pre-senti nell’ambiente, quindi è essenziale mantenere nel tempo l’immunità di gruppo continuando a vaccinare la popolazione suscettibile. Per questa ragione si vaccinano regolarmente i nuovi nati, che altrimenti farebbero au-mentare il numero di persone non immuni consentendo alle malattie di diffondersi nella popolazione.
RICORDA L’immunità di gruppo è importante per
proteggere quelle persone che per età o problemi di
salute non possono vaccinarsi.
C306
Che cosa c’è in un vaccino?
I vaccini hanno come principio attivo componenti mole-colari dei patogeni dai quali devono proteggere. Si tratta di componenti presenti naturalmente nei batteri o nei virus e non sintetizzati artificialmente. Questa caratteri-stica distingue i vaccini dalla maggior parte dei farmaci, che hanno come princìpi attivi molecole non presenti in natura o modificate in laboratorio rispetto ai corri-spondenti composti naturali. In alcuni vaccini possono, però, essere aggiunti altri componenti, detti adiuvanti, con lo scopo di potenziare l’effetto immunostimolante (Figura 16). Gli adiuvanti sono necessari per fare sì che la risposta immunitaria sia la più simile possibile a quella che si svilupperebbe naturalmente durante l’infezione. Infatti, la somministrazione degli antigeni sotto forma di vaccino non sempre è in grado di stimolare una risposta ugualmente efficace, soprattutto nelle persone con un sistema immunitario più debole, come gli anziani. I van-taggi degli adiuvanti sono quindi quelli di consentire una riduzione della dose di antigeni da somministrare, una riduzione del numero di somministrazioni per vaccino, e di indurre una risposta immunitaria più duratura.
Il principale adiuvante oggi utilizzato in alcuni vac-cini è il sale di alluminio. Questo adiuvante in passato ha suscitato timori, rispetto al fatto che l’alluminio è un me-tallo e in alte dosi può essere tossico. Ma i dubbi relativi al suo utilizzo sono del tutto ingiustificati. Innanzitutto, per legge il contenuto di alluminio nei vaccini è com-preso tra 0,25 e 2,5 mg. Per confronto, ogni giorno con la dieta assumiamo dai 5 ai 20 mg di alluminio, che è un componente naturale di molti alimenti. L’OMS non an-novera alcun rischio per la salute in conseguenza dell’as-sunzione giornaliera di queste dosi di alluminio, che sono superiori a quelle somministrate in una vaccinazione.
RICORDA Le sostanze adiuvanti consentono di
potenziare l’effetto immunostimolante dei vaccini.
12
Figura 16
Dentro i vaccini
Gli adiuvanti presenti nelle composizioni vaccinali non comportano rischi per la salute.
Miti da sfatare sui vaccini
Sebbene le vaccinazioni di massa negli ultimi decenni abbiano salvato la vita a milioni di persone e abbiano con-sentito la riduzione drastica delle epidemie da parte di molti agenti infettivi, ancora oggi nell’opinione pubblica si avverte una certa diffidenza nei confronti dei vaccini, spesso alimentata da vere e proprie bufale, relative alla loro presunta pericolosità. Vediamone alcune.I vaccini causano l’autismo. Si tratta di una delle bufale più diffuse su Internet. L’origine di questa notizia falsa è un lavoro scientifico, pubblicato sulla rivista Lancet nel 1998 dal medico inglese Andrew Wakefield, in cui si sosteneva che la vaccinazione morbillo-parotite-rosolia provocasse un’infiammazione cronica in grado di causare l’autismo. Già al momento della pubblicazione, vennero mosse critiche sulla qualità dei dati che si riferivano a soli 12 bambini e non paragonavano i casi di autismo tra vaccinati e non vaccinati. Immediatamente dopo la pubblicazione dell’articolo di Wakefield, numerosi centri di ricerca avevano iniziato studi clinici rigorosi per verifi-carne l’esattezza. Oltre 20 studi clinici effettuati in tutto il mondo su decine di migliaia di bambini hanno indagato la relazione tra autismo e vaccini. Il risultato unanime di tutti questi studi è che non esiste alcuna correlazione tra la somministrazione di vaccinazioni e insorgenza della sindrome da malattia autistica. Inchieste successive han-no dimostrato che Wakefield aveva falsificato i suoi dati e che aveva ricevuto un compenso da parte di avvocati di famiglie di bambini affetti da autismo che volevano intentare una causa di risarcimento, per produrre dati a sostegno del presunto legame tra vaccino e autismo. Il lavoro è stato sconfessato dagli stessi coautori e ritirato dalla rivista. Wakefield è stato processato per frode scien-tifica e radiato dall’albo dei medici. I vaccini contengono sostanze tossiche. Si tratta di un’altra notizia spesso usata per dimostrare che i vac-cini sono dannosi per la salute a causa della presenza di mercurio e formaldeide. Innanzitutto, il mercurio cui si fa spesso riferimento è il sale di etilmercurio chiama-to anche tiomersale, utilizzato come antibatterico per evitare contaminazioni nelle preparazioni vaccinali e assicurarne la sterilità. Il tiomersale, tuttavia, non va confuso con il sale di metilmercurio. Quest’ultimo è un composto tossico che si accumula nell’organismo, men-tre il tiomersale viene eliminato dall’organismo senza causare danni. In ogni caso, da oltre 10 anni il tiomer-sale non viene più utilizzato nei vaccini che, quindi, ne sono completamente privi. La formaldeide, invece, è un composto chimico prodotto naturalmente dal metabo-lismo di molti organismi animali e vegetali. Ad alte dosi
13
C13 | Le frontiere della medicina | C307
è tossica e può avere effetti cancerogeni. Nessun vaccino contiene formaldeide come principio attivo. Tuttavia, la formaldeide è utilizzata nella procedura di inattivazione dei patogeni che poi costituiranno gli antigeni dei vac-cini; dopo la purificazione degli antigeni è possibile che tracce di formaldeide siano presenti in alcuni vaccini. La legge stabilisce che tale contaminazione in un vaccino non possa superare 0,1 mg. L’essere umano ha nel suo san-gue costantemente una concentrazione di formaldeide prodotta dal metabolismo pari a 2,5 mg per litro. Inoltre, 100 g di pera contengono 4-6 mg di formaldeide e 100 g di carote 1 mg. Quindi, la quantità di formaldeide even-tualmente presente in un vaccino è largamente inferiore a quella costantemente presente nel nostro sangue, cui si aggiunge quella assunta con la dieta. Inoltre, la formal-deide ha un’emivita nell’organismo di circa 1 minuto e mezzo, prima di essere metabolizzata ed eliminata. La grande maggioranza dei vaccini è completamente priva di formaldeide, in quanto non viene utilizzata per la pre-parazione degli antigeni corrispondenti.
Spesso si sente anche ripetere che i vaccini in realtà sono inutili e vengono sviluppati e raccomandati dietro pressione delle multinazionali del farmaco a scopo di lu-cro. Si tratta delle tipiche «teorie del complotto», la cui inconsistenza è manifesta se si pensa che i vaccini rap-presentano solo l’1% del mercato globale dei farmaci, cer-tamente non una delle voci di profitto più significative.
RICORDA La diffidenza verso i vaccini è alimentata da
false notizie, che non hanno fondamento scientifico.
I vaccini sono sicuri?
Va ricordato che ogni vaccino prima di essere introdotto in commercio deve superare diverse fasi di verifica, inclu-si gli studi clinici sull’essere umano (Figura 17). Inoltre, l’approvazione all’uso viene data da enti regolatori quali la Food and Drug Administration americana o la European
Medicine Agency europea e l’Agenzia Italiana del Farmaco
per il nostro Paese. Tuttavia, anche le vaccinazioni pos-sono dare origine a effetti indesiderati. Questi non sono però dovuti, come nel caso dei farmaci basati su mole-cole di sintesi, a fenomeni di tossicità dei princìpi attivi,
14
Ora tocca a teRispondi Scegli le parole
ma sono tutti ascrivibili a conseguenze derivanti dalla sollecitazione del sistema immunitario (Figura 17) che, come succede nel corso naturale delle infezioni, può dare origine a fenomeni di tipo infiammatorio acuto. Inoltre, soggetti particolarmente sensibili possono sperimentare reazioni allergiche. Tuttavia, una casistica basata ormai sulla somministrazione di centinaia di milioni di dosi vaccinali consente di valutare la gravità e la frequenza di queste reazioni avverse in confronto alle conseguenze possibili delle malattie contro cui i vaccini ci proteggono. Ne emerge chiaramente un rapporto rischio/beneficio in assoluto favore dei vaccini.
Le reazioni avverse più importanti alla vaccinazione contro il morbillo sono la comparsa di febbre e convul-sioni, che scompaiono nel giro di poche ore, in un caso su 4000. Una persona su 40 000, invece, può manifestare un calo nel livello di piastrine del sangue, che ritornano poi nella normalità nel giro di poco tempo. A confronto, chi si ammala di morbillo può sviluppare una polmonite in un caso su 20 oppure una encefalite, anche mortale, in un caso su 1000. Il rischio di morte per morbillo è stimato in circa 1/1000. Le autorità sanitarie mondiali, a parti-re dall’OMS, sulla scorta di innegabili e pluridecennali risultati scientifici, non hanno alcun dubbio nel racco-mandare le vaccinazioni come lo strumento più efficace per la tutela della saluta pubblica dalle malattie infettive.
RICORDA Gli effetti indesiderati derivati da una
vaccinazione hanno un rapporto rischio/beneficio
sicuramente a favore dei vaccini.
Figura 17
Effetti indesiderati
Un arrossamento nella zona della vaccinazione è una normale conseguenza della stimolazione del sistema immunitario.
1. Che cos’è un vaccino?
2. Chi fu a preparare il primo vaccino?
3. In che cosa consiste un vaccino virale?
4. Qual è l’importanza dell’immunità
di gruppo?
1. In alcuni vaccini gli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
hanno lo scopo di potenziare l’effetto
immunostimolante.
2. Il numero di riproduzione riflette la
capacità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di una malattia.
Cerca informazioni in Rete in merito alle tesi
più utilizzate dagli antivaccinisti. Compila
una lista delle principali affermazioni e
verifica se e come sono state già smentite da
pubblicazioni scientifiche.
C308
Vecchie conoscenze: HIV e tubercolosi
Fare fronte alle malattie infettive dovute sia a patogeni
ancora attuali, come l’HIV e il batterio della tubercolosi,
sia a virus emergenti, come il recente coronavirus SARS-
CoV-2, richiede uno sforzo coordinato politico ed econo-
mico a livello mondiale. L’Obiettivo 3 dell’Agenda 2030
si prefigge proprio di assicurare la salute e il benessere
a tutte le persone di tutte le età. Nello specifico, entro il
2030, uno dei traguardi da raggiungere è «porre fine alle
epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria e malattie tropi-
cali trascurate; combattere l’epatite, le malattie di origine
idrica e le altre malattie trasmissibili». Bisogna ricordare
che l’efficacia di questi interventi è limitata nei Paesi più
poveri, che sono anche quelli più colpiti dalle malattie
infettive. Quando, però, la salute pubblica non è garantita
in un lato del mondo, le conseguenze si ripercuotono
sull’intera società, compromettendone lo sviluppo.
L’HIV è la causa di una pandemia ancora in corso. Per
capire quanto questo virus sia ancora oggi tristemente
attuale, occorre conoscere qualche cifra:
• nel mondo oggi sono colpite 38 milioni di persone;
• delle oltre 5000 nuove infezioni giornaliere, il 61%
è concentrato nell’Africa subsahariana e il 10% è a
carico di bambini sotto i 15 anni;
• nel 2018 le nuove infezioni da HIV sono state 1,7 mi-
lioni e i decessi 770 000;
15
• nello stesso anno, in Italia, sono state registrate oltre
3000 nuove infezioni;
• oltre 130 000 persone in Italia sono infette da HIV-1;
• si stima che nel mondo 1,7 milioni di bambini siano
infetti da HIV-1.
Questi numeri testimoniano la gravità di una pandemia
che, dopo oltre trent’anni dalla sua scoperta, non è anco-
ra sotto controllo. La lotta all’AIDS rappresenta ancora
oggi il banco di prova per attuare una strategia mondiale
contro le malattie infettive. Nel 2014, l’OMS ha invitato
tutte le nazioni a cooperare per porre fine alla pandemia
di AIDS entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo il
programma, detto «90-90-90» prevede:
1. che il 90% delle persone infette da HIV-1 siano cor-
rettamente diagnosticate;
2. che il 90% delle persone infette abbiano accesso al
trattamento farmacologico;
3. che il 90% delle persone trattate raggiungano la piena
soppressione della replicazione virale.
Alla fine del 2017 si era arrivati a 75%, 79% e 81% per i
tre obiettivi, rispettivamente. Vicini ma non ancora ar-
rivati al traguardo, soprattutto nei Paesi più poveri dove
si concentra la maggior parte di nuove infezioni da HIV
(Figura 18).
Uno degli ostacoli principali rimane quello di garan-
tire l’accesso alle terapie a tutti, in particolare nelle aree
dove la povertà e la carenza di infrastrutture e personale
medico rendono difficile individuare le persone infette
e trattarle adeguatamente. Il controllo della pandemia,
dunque, passa da due strade principali: la prevenzione e
la disponibilità dei farmaci.
Figura 18 L’accesso alle terapie per tutti
Povertà e sottosviluppo favoriscono
il diffondersi delle malattie che, a loro volta,
aggravano le condizioni delle popolazioni colpite.
LEZIONE
LA RELAZIONE TRA ATTIVITÀ UMANE E PANDEMIE
4SALUTE
come
che provoca
le attività umane
un vaccino 21
antibiotico
resistenza 16
causano
come nel caso della
nuove malattie 17
tubercolosi 15
virus che hanno compiuto
il salto di specie 18
dovute a
SARS-CoV-2 19
il COVID-19 20
per cui manca
C13 | Le frontiere della medicina | C309
La lotta mondiale alla tubercolosi. Una situazione simile
a quella dell’HIV si registra per la tubercolosi, che ancora
oggi causa oltre un milione di morti ogni anno, soprattut-
to nelle aree povere del mondo. La tubercolosi, tuttavia,
è presente anche nei cosiddetti Paesi ricchi: in Italia, che
è un Paese a bassa incidenza tra quelli europei, il tasso di
mortalità è 0,6 morti ogni 100 000 abitanti.
Nel 2016, l’OMS ha proposto una strategia per por-
re fine all’epidemia di tubercolosi entro il 2030. Questo
richiederebbe un investimento di 10 miliardi di dollari
l’anno, ma dal 2014 a oggi gli investimenti sono stati
nell’ordine di 7 miliardi, quando invece si stimava ne-
cessario un investimento di 2 miliardi l’anno solo per la
ricerca di nuovi farmaci, necessari per contrastare i ceppi
batterici multiresistenti ai farmaci attuali. La tubercolosi
è una malattia fortemente associata alle condizioni di
vita: sovrappopolazione, malnutrizione, scarsa igiene,
approvvigionamento idrico insufficiente sono tutti fat-
tori che contribuiscono a indebolire le difese immuni-
tarie. Circa la metà della popolazione mondiale non ha
accesso a servizi sanitari efficienti, in particolare nei Paesi
maggiormente flagellati dalla tubercolosi; quindi appare
evidente come povertà e carenze strutturali siano tra i
maggiori fattori di rischio per le malattie infettive.
RICORDA La lotta alle malattie infettive è un
impegno globale, che richiede prevenzione e accesso
alle strutture sanitarie per tutti.
La resistenza agli antibiotici
Il problema della resistenza agli antibiotici non riguar-
da solo il patogeno che causa la tubercolosi. Nell’ultimo
decennio si sta assistendo alla diffusione sempre più
massiccia di ceppi batterici in grado di resistere a tutti
gli antibiotici disponibili, come Klebsiella pneumoniae o
Pseudomonas aeruginosa, responsabili di gravi infezioni e
focolai epidemici soprattutto in ambito ospedaliero. In
generale, in meno di dieci anni la percentuale di ceppi
batterici resistenti agli antibiotici, anche di ultima gene-
razione, è aumentata in Italia di trenta volte. La resistenza
è un tipico fenomeno adattativo: la comparsa di muta-
zioni o l’acquisizione di geni da altre specie batteriche in
grado di neutralizzare gli antibiotici rappresentano un
chiaro vantaggio selettivo per i batteri, e per questo si
diffondono rapidamente nella popolazione. La selezione
e diffusione di ceppi mutanti resistenti è dovuta a diversi
fattori quali l’utilizzo massiccio negli ultimi 30-40 anni
di un numero limitato di tipologie di antibiotici sia in
medicina umana che veterinaria; l’uso di antibiotici in
16
zootecnia e in agricoltura; una maggiore diffusione di
questi ceppi dovuta a un aumento dei viaggi internazio-
nali e dei flussi migratori.
Una dimostrazione di quanto rapidamente ceppi bat-
terici resistenti si possano diffondere in tutto il globo è
data dal recente isolamento nel suolo delle isole Svalbard,
nel circolo polare artico, di ceppi batterici portanti il gene
bla-NDM-1 in grado di conferire resistenza ai carbapene-
mi: si tratta di antibiotici ad ampio spettro di ultima ge-
nerazione, usati per il trattamento di infezioni batteriche
gravi spesso resistenti ad altri farmaci. Il gene bla-NDM-1
è stato isolato per la prima volta in India nel 2007; il fat-
to di averlo ritrovato già nel 2013 in un’area così poco
popolata e distante da quella di primo isolamento dimo-
stra la straordinaria rapidità della diffusione globale delle
antibiotico-resistenze. Si ipotizza che i batteri portatori
di questo gene siano arrivati nell’Artico con gli uccelli
migratori e siano stati dispersi nell’ambiente attraverso
le loro deiezioni. In Europa si stima che i patogeni resi-
stenti agli antibiotici causino oltre 25 000 decessi l’anno,
che secondo le previsioni potrebbero diventare oltre 10
milioni nel mondo ogni anno entro il 2050.
Oltre all’utilizzo eccessivo di antibiotici, anche il so-
vrappopolamento rientra nelle modificazioni che l’essere
umano opera sull’ambiente e che possono essere la causa
della selezione di nuove varianti genetiche di batteri in
grado di diffondersi nella popolazione (Figura 19).
RICORDA Il massiccio utilizzo di poche tipologie di
antibiotici ha provocato la selezione di ceppi batterici
multiresistenti molto pericolosi per la salute umana.
Figura 19 Gli antibiotici vanno usati con coscienza
Un eccessivo uso di antibiotici, talvolta non
giustificato, porta alla selezione di batteri antibiotico-
resistenti.
C310
La diffusione di nuove malattie dipende dalle attività umane
Le attività umane impattano pesantemente sull’ambiente che ci circonda. Un importante traguardo da raggiungere riguarda quindi le azioni volte a proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema. Bisogna te-nere conto che virus e batteri sono a tutti gli effetti parte dell’ecosistema: pertanto, la loro sopravvivenza dipende dalla capacità di evolversi in risposta alle modificazioni ambientali secondo la logica dell’evoluzione darwiniana.
Virus e batteri riescono a rispondere molto rapida-mente ai cambiamenti ambientali per via dell’elevata numerosità della loro progenie (una tipica popolazione virale è costituita da miliardi di nuovi virioni a ogni gene-razione) e dell’elevato tasso di mutazione nei loro genomi.
In questo modo, è molto probabile che tra i numerosi individui di ogni nuova generazione di microrganismi ce ne saranno alcuni più adatti a portare avanti con successo l’invasione, riproducendosi più facilmente e diventan-do così la popolazione microbica dominante. È questo il meccanismo che facilita il cosiddetto «salto di specie» (in inglese spillover), cioè il passaggio di un microrganismo patogeno da una specie a un’altra attraverso infezioni
epizootiche che coinvolgono specie diverse.La probabilità che si verifichi il salto di specie da
animale a essere umano, generando una zoonosi, di-pende poi dalla frequenza con cui gli esseri umani en-trano in contatto con gli animali selvatici. Un evento,
17
questo, tanto più probabile quanto più l’impatto umano sull’ambiente aumenta. Fin dall’antichità l’essere umano ha colonizzato nuovi territori, sfruttandone le materie prime e modificandone le caratteristiche ambientali. Si tratta di un’attività che prosegue tutt’oggi: ne sono un esempio il disboscamento della foresta amazzonica (Figura 20) e le trivellazioni nell’Artide.
Il risultato è la sottrazione degli habitat naturali agli animali selvatici che, alla ricerca di nuovi ambienti in cui stabilirsi, entrano più frequentemente in contatto con gli umani. Un fenomeno favorito dai cambiamenti climatici, naturali ma soprattutto antropici, e dalla velocità con cui questi stanno procedendo: la modificazione del clima provoca cambiamenti negli ecosistemi e di conseguenza nella distribuzione degli habitat naturali degli animali. Un’altra attività umana che facilita il contatto con ani-mali potenzialmente vettori di virus è il commercio a scopo alimentare di animali selvatici (vivi e morti) nei mercati urbani. L’essere umano è quindi sempre più a rischio di trasmissione di nuove varianti genetiche di agenti microbici in grado di diffondersi causando epi-
demie e pandemie (Video 21).
RICORDA Le attività umane aumentano le
probabilità di incontro tra essere umano e animali
selvatici, possibili serbatoi di agenti patogeni in
grado di causare epidemie.
Svariati coronavirus hanno compiuto il salto di specie
Il primo coronavirus umano (HCoV-229E) fu isolato nel 1966; seguì poi la scoperta di HCoV-OC43 (1967), HCoV-NL63 (2004) e HCoV-HKU1 (2004). Questi virus causano patologie assimilabili al raffreddore comune senza dare gravi conseguenze. Nel 2012 in Medio Oriente si è diffu-so un nuovo coronavirus, MERS-CoV, caratterizzato da bassa contagiosità ma elevata letalità. Fortunatamente, questo virus non si trasmette facilmente da persona a persona: affinché avvenga il contagio, è necessaria una esposizione prolungata al virus; inoltre la sua circolazio-ne è limitata ad alcuni paesi del Medio Oriente. Anche i coronavirus appena elencati sono arrivati all’essere umano attraverso vettori animali: HCoV-NL63 e HCoV-229E sembrano discendere da virus presenti nei pipistrel-li, mentre HCoV-OC43 e HCoV-HKU1 sono più simili a coronavirus dei roditori. Si ritiene che MERS-CoV derivi da un virus dei pipistrelli, ma la trasmissione all’essere umano è avvenuta tramite un ospite intermedio: i came-lidi, animali molto diffusi in Medio Oriente e che vivono a stretto contatto con gli umani.
Figura 20 La deforestazione provoca enormi danni
Oltre ad eliminare le specie vegetali, la
deforestazione distrugge l’habitat di molte specie
animali selvatiche, che sono costrette a spostarsi.
Epidemia quando un agente infettivo inizia a diffondersi in maniera incontrollata all’interno di una popolazione ospite. Se l’epidemia coinvolge contemporaneamente molte nazioni in continenti diversi prende il nome di pandemia.
Video 21
Sei virus
per cento.
Le pandemie
dell’ultimo
secolo
18
C13 | Le frontiere della medicina | C311
Il virus della SARS. Il virus SARS-CoV-1 è responsabi-le della Sindrome Acuta Respiratoria Severa o SARS. È questo un esempio di trasmissione del virus dall’anima-le all’essere umano nel contesto dei mercati di animali, molto diffusi in Asia. È in questi luoghi che i residenti della città entrano in contatto con gli animali selvatici. Nella provincia di Guangdong della Cina meridionale, la carne della civetta delle palme (Figura 22A) è considerata una prelibatezza. Purtroppo, questo animale è anche uno degli ospiti intermedi di un nuovo virus. A loro volta, infatti, le civette delle palme sono state contagiate dai pipistrelli del genere Rhinolophus, che sono i veri «serba-toi» del virus (Figura 22B).
Il virus della SARS si trasmette per via aerea come il raffreddore e, nel dicembre del 2002, si diffuse in tutta la provincia. Nel 2003, un medico della zona contagiò inconsapevolmente gli ospiti dell’albergo di Hong Kong dove soggiornava, provenienti da Canada, Singapore, Tai-wan e Vietnam. Rientrati nelle loro città, queste persone hanno dato il via a una catena di infezioni che ha causato
Figura 22 Veicoli e serbatoi di SARS
(A) La carne della civetta delle palme è stata la fonte di contaminazione del virus della SARS. (B) A sua volta, questo animale era stato infettato dai pipistrelli del genere Rhinolophus.
A
B
oltre 8000 casi in 25 nazioni diverse e quasi 800 vittime. L’epidemia è stata controllata grazie al rapido isolamento e alle tempestive procedure di contenimento nelle zone di origine e in tutti gli aeroporti del mondo.Il virus del COVID-19. Nel dicembre 2019 nella città di Wuhan nella provincia cinese di Hubei, fu registrato un aumento dei casi di polmonite. Nelle prime settimane di gennaio 2020 gli scienziati cinesi isolarono dai soggetti colpiti da queste polmoniti un nuovo coronavirus, che venne chiamato SARS-CoV-2 (Coronavirus 2 da Sindro-me Acuta Respiratoria Severa, Figura 23), e che condivide circa il 70% del suo patrimonio genetico con quello di SARS-CoV-1.
A partire dal febbraio 2020, dalla provincia di Hubei, il virus si è diffuso in Europa e Stati Uniti per poi introdursi nell’emisfero australe, propagandosi così in tutto il mon-do. L’11 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di pandemia. La malattia causata da virus SARS-CoV-2 è stata denominata COVID-19 (dall’in-glese Coronavirus Disease 2019).
Figura 23 Il coronavirus SARS-CoV-2
(A) Immagine al TEM e (B) modello 3D del coronavirus SARS-CoV-2.
A
B
C312
Essendo un virus nuovo, non erano disponibili farmaci o vaccini specifici, anche se l’intera comunità internazionale si è subito attivata per il loro sviluppo. La trasmissione del virus avviene tramite le goccioline emesse dal respiro, tosse e starnuti: è quindi più efficace a distanza ravvicinata. Per questo motivo, le misure di contenimento adottate per prevenire il contagio prevedono il distanziamento sociale e l’utilizzo di mascherine individuali per bloccare l’emis-sione del virus. Nella fase più acuta dell’epidemia, l’eleva-to numero di ricoveri in terapia intensiva e di decessi ha costretto i Paesi colpiti ad adottare misure drastiche per contenere la diffusione del virus, quali la chiusura delle scuole e delle attività produttive e commerciali e la limita-zione della libertà di spostamento delle persone, confinate all’interno delle loro abitazioni (Video 24 e Video 25).
RICORDA Diversi coronavirus hanno effettuato il
salto di specie. Il più recente è il virus SARS-CoV-2,
responsabile della pandemia di COVID-19.
Origine ed evoluzione del virus SARS-CoV-2
L’origine di SARS-CoV-2 è ancora in parte misteriosa. L’a-nalisi dei suoi geni ha dimostrato senza ombra di dubbio che, analogamente a SARS-CoV-1 e MERS-CoV, si tratta di un virus strettamente imparentato a coronavirus che circolano nei pipistrelli del genere Rhinolophus.
Video 24
Le caratte-
ristiche dei
coronavirus
Video 25
Il ciclo
replicativo dei
coronavirus
19
Questo dato suggerisce che i pipistrelli dovrebbero essere il probabile serbatoio naturale da cui si è evoluto il virus SARS-CoV-2. Tuttavia, la regione genomica che nel virus SARS-CoV-2 codifica per la proteina responsabile della capacità del virus di infettare le cellule, assomiglia a quel-la di coronavirus che infettano i pangolini, dei piccoli mammiferi selvatici (Figura 26).
Anche se resta da dimostrare che i pangolini siano gli ospiti intermedi tra pipistrelli e umani, è molto probabile che il nuovo coronavirus sia il prodotto di un evento di ricombinazione tra coronavirus diversi che, in circostanze ancora da chiarire, si sono venuti a trovare contemporane-amente nello stesso ospite. In questo ospite intermedio si sono quindi scambiati reciprocamente parti del genoma.
Sono state avanzate anche teorie complottiste, secon-do cui il virus sarebbe stato creato in laboratorio, ma le analisi genetiche e molecolari hanno dimostrato chiara-mente l’origine naturale del virus SARS-CoV-2. La diffu-sione iniziale del virus a Wuhan è stata probabilmente facilitata dalla manipolazione e dal commercio di animali selvatici (inclusi pipistrelli e pangolini) nei mercati della città: un meccanismo, insomma, analogo a quello che ave-va favorito la diffusione del virus SARS-CoV-1 (Figura 27).L’evoluzione di SARS-CoV-2. I virus a RNA come SARS-CoV-2 sono caratterizzati da una elevata propensione ad accumulare mutazioni. È importante monitorare il pro-cesso di mutazione per tenere traccia dell’evoluzione del virus e identificare il prima possibile un cambiamento
Figura 26 Il pangolino, probabile veicolo di SARS-CoV-2
Come la civetta delle palme nel caso della SARS, questo
animale esotico potrebbe essere l’ospite intermedio tra
pipistrelli ed essere umani.
Figura 27 Un mercato di polli in Cina
Il commercio di animali, anche selvatici,
vivi e morti in questi mercati facilita il
passaggio dei virus dagli animali all’uomo.
C13 | Le frontiere della medicina | C313
nelle sue caratteristiche biologiche. Una mutazione del
virus non significa necessariamente che essa comporti un
aumento della virulenza. Anzi, nel corso di un’epidemia il
virus tende progressivamente ad adattarsi all’ospite spesso
diminuendola: da un punto di vista evolutivo, un ospite
che si mantenga sufficientemente sano da produrre in
modo efficace particelle virali gioca a favore della diffu-
sione del virus. Alcune mutazioni potrebbero inoltre non
incidere affatto sulla virulenza, ma modificare le caratte-
ristiche degli antigeni, richiedendo l’aggiornamento dei
vaccini, come già avviene ogni anno per i virus influenzali.
Al momento in cui scriviamo, l’ottobre 2020, non ci
sono prove che SARS-CoV-2 abbia sviluppato differenze
genetiche significative in termini di patogenicità rispetto
all’inizio della pandemia. Sono comunque state identi-
ficate alcune mutazioni che permettono di distinguere
tre sottotipi principali del virus: questi sottotipi tuttavia
non mostrano differenze significative dal punto di vista
della virulenza e quindi della pericolosità per chi ne viene
infettato.
La forte preoccupazione destata dalla pandemia di
COVID-19, causata da SARS-CoV-2, è strettamente lega-
ta alla elevata infettività del virus, che è paragonabile a
quella dell’influenza, e alla sua capacità di causare sinto-
mi gravi che richiedono il ricovero o il ricorso alla tera-
pia intensiva. Un grande numero di casi si riflette in un
altrettanto elevato numero di persone che necessitano
di ricovero ospedaliero e questo ha messo a dura prova
la capacità assistenziale delle nazioni colpite.
RICORDA Il virus SARS-CoV-2 deriva dai pipistrelli e
muta molto facilmente: è importante monitorare
il processo per identificare cambiamenti nelle sue
caratteristiche.
Le fasi della malattia COVID-19
Da un punto di vista clinico la malattia COVID-19 attra-
versa quattro fasi successive: nella prima fase, il virus
infetta le cellule della mucosa nasale, sfruttando come
recettore la proteina della membrana cellulare ACE2 che
normalmente regola la pressione sanguigna. La persona
infetta può essere asintomatica (anche se i sintomi posso-
no comparire nel giro di qualche giorno) ma è comunque
contagiosa. In una seconda fase, il virus si diffonde discen-
dendo lungo le vie aeree: in circa l’80% dei casi, i pazienti
in questa fase sviluppano sintomi lievi o gestibili senza
ricovero ospedaliero, e guariscono in circa due settimane.
Nel 20% circa dei pazienti, però, la malattia può pro-
gredire in una terza fase, in cui il virus infetta le cellule
20
che rivestono gli alveoli polmonari (dove si verificano
gli scambi di gas respiratori tra sangue e aria) scatenando
una forte reazione infiammatoria. La violenza della rea-
zione infiammatoria danneggia l’epitelio che riveste gli
alveoli, compromettendo la funzione polmonare e cau-
sando polmoniti e difficoltà respiratorie. Anche in questo
caso la guarigione, pur richiedendo ricovero ospedaliero
e spesso ventilazione meccanica (Figura 28), avviene nella
maggior parte dei casi in due-tre settimane.
Tuttavia, alcuni pazienti, specie se di età maggiore
di 65 anni e affetti da patologie croniche come diabete,
ipertensione, problemi renali o cardiovascolari, posso-
no peggiorare entrando nella quarta fase della malattia.
Il paziente sviluppa una sindrome chiamata «tempesta
di citochine» caratterizzata dall’iper-attivazione delle
risposte immunitarie e dal rilascio incontrollato di cito-
chine infiammatorie: gli effetti si ripercuotono su tutto
l’organismo, causando a tutti gli organi danni gravi o
addirittura fatali.
L’apparato respiratorio è il più colpito dall’infezione,
ma il virus può raggiungere anche altri distretti anato-
mici, causando sintomi sistemici (che riguardano, cioè,
tutto l’organismo). Questo è dovuto al fatto che il recetto-
Figura 28 La ventilazione meccanica
In una certa percentuale di casi, il coronavirus
progredisce a uno stadio per cui sono necessari
il ricovero ospedaliero e la ventilazione meccanica.
C314
re cellulare ACE2 è espresso in molti tessuti dell’organi-
smo, compresi gli epiteli intestinali e l’endotelio dei vasi
sanguigni. Da qui la comparsa di diarrea o di problemi
vascolari, tra cui la coagulazione diffusa con conseguente
formazione di trombi che possono poi ripercuotersi a ca-
scata, attraverso il sistema circolatorio, in tutti i distretti
dell’organismo, causando danni a cuore, cervello, fegato
o reni. Tra i bersagli dell’infezione da SARS-CoV-2 sembra
esserci anche il sistema nervoso: infatti, circa un terzo
dei pazienti manifesta sintomi neurologici quali mal di
testa, nausea, vomito, vertigini, irrigidimento del collo,
perdita del gusto e dell’olfatto.
Sette mesi dopo l’inizio della pandemia, l’infezione ha
colpito decine di milioni di persone nel mondo, causando
più di un milione di decessi.
RICORDA La malattia COVID-19 si manifesta in
quattro fasi: le prime due decorrono senza gravi
conseguenze, la terza richiede ricovero ospedaliero,
la quarta è la più grave.
Un vaccino per la pandemia
Per fronteggiare la pandemia da SARS-CoV-2 è necessa-
rio un vaccino. Il primo passo per sviluppare un vaccino
contro un virus mai visto prima è identificarne le com-
ponenti che possano funzionare da antigeni in grado
di stimolare il nostro sistema immunitario a produrre
anticorpi per neutralizzare il virus. Nel caso di SARS-
CoV-2, l’antigene principale è costituito dalla proteina
di superficie del virus, detta proteina Spike, che è respon-
sabile dell’interazione con il recettore cellulare ACE2 e
del successivo ingresso del virus nella cellula (Figura 29).
Gli anticorpi diretti contro la proteina Spike sono in gra-
do di bloccare questa interazione, impedendo l’infezione.
Una volta identificato l’antigene, è necessario tro-
vare un metodo per somministrarlo alle persone. Mol-
ti vaccini, come quello per l’influenza, prevedono una
semplice iniezione della miscela di antigeni. La reazione
infiammatoria locale richiama le cellule del sistema im-
munitario, innescando così il processo di riconoscimento
dell’antigene. Tuttavia, non sempre questa via di sommi-
nistrazione è sufficiente a dare una risposta immunitaria
robusta e duratura. I principali limiti sono la quantità
limitata di antigene che si può iniettare e il fatto che que-
sto è concentrato unicamente al sito di inoculo.
Come abbiamo già visto nel capitolo, una strategia
alternativa è la somministrazione del gene che codifica
l’antigene proteico: nel caso di SARS-CoV-2, il gene per
la proteina Spike.
Nei vaccini attualmente in via di sviluppo contro
SARS-CoV-2 si sperimentano due diverse strategie per
veicolare il gene della proteina Spike alle cellule. La
prima strategia prevede l’inoculazione diretta dell’RNA
messaggero (mRNA) che codifica per la proteina Spike.
Questo mRNA viene incorporato dalle cellule e immedia-
tamente tradotto dai ribosomi cellulari. La seconda stra-
tegia si basa sullo sviluppo di un vaccino virale tramite
l’utilizzo di un vettore; nello specifico si usa un adenovi-
rus, un virus a DNA che negli umani causa sindromi si-
mili al raffreddore. Dopo aver reso l’adenovirus incapace
di riprodursi, viene inserito nel suo genoma il gene per
la proteina Spike. Una volta che il vettore penetra nelle
cellule, questo gene, sotto forma di DNA, viene trascritto
e tradotto dall’apparato cellulare: la proteina Spike così
prodotta viene esposta alla superficie della cellula e pre-
sentata al sistema immunitario che si attiva producendo
la risposta anticorpale.
RICORDA L’antigene principale di SARS-CoV-2 è
la proteina Spike sulla base della quale si stanno
preparando i nuovi vaccini.
21
Figura 29 L’interazione tra SARS-CoV-2 e cellula
La proteina di superficie Spike del virus SARS-CoV-2
(in rosso) viene riconosciuta dal recettore cellulare
umano ACE2 (in blu) consentendo la penetrazione
del virus nella cellula.
C13 | Le frontiere della medicina | C315
1. Che cosa causa il fenomeno della resistenza agli antibiotici?
2. Cosa si intende per spillover?3. Quali sono le fasi della malattia
COVID-19?
1. I pangolini / pipistrelli sono i serbatoi del virus SARS-CoV-2.
2. Nel caso del virus SARS-CoV-2 l’antigene principale è la proteina Spike / il recettore
ACE2.
Nel 2014 in Africa si è verificata una estesa epidemia di virus Ebola, che ha causato la morte di migliaia di persone. Cerca in Rete la storia di questo virus evidenziando somiglianze e differenze con il SARS-CoV-2.
Ora tocca a teRispondi Scegli le parole
PER SAPERNE DI PIÙ
Umani versus
virus: obiettivo
eradicazione
I l 25 agosto 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha annunciato che l’Africa
è libera dalla poliomielite, dopo quattro anni trascorsi senza nuovi casi. La poliomielite, potrebbe quindi diventare la seconda malattia infettiva a essere definitivamente eradicata dopo il vaiolo. Ciò che ha reso il vaiolo e rende la poliomielite target ideali per progetti di eradicazione mondiale è il fatto che i virus che causano queste malattie hanno nell’essere umano il loro unico ospite; non esiste quindi un serbatoio o vettore animale, come accade invece per altri virus, per esempio il SARS-CoV-2.
L’eradicazione del vaiolo
Il vaiolo era una malattia contagiosa causata da due varianti del virus Variola, appartenente al genere Orthopoxvirus: Variola major e Variola
minor. V. minor causava una forma meno grave della malattia, con una mortalità inferiore all’1%. V. major, invece, era la variante più comune e provocava la comparsa di pustole cutanee, risultando mortale nel 30% dei casi. Il virus si trasmetteva tra le persone per contatto diretto, liquidi corporali, oggetti contaminati. Al contagio seguiva un periodo di incubazione tra i 7 e i 17 giorni. I primi sintomi erano febbre alta, emicrania, dolori muscolari; dopo circa quattro giorni la febbre cominciava a calare e iniziavano ad apparire piccole macchie rosse a partire dalla lingua e dalla bocca arrivando poi ad interessare tutto il corpo. In poco tempo le macchie diventavano ulcere e contemporaneamente la temperatura riprendeva a salire, rimanendo elevata sino alla cicatrizzazione delle pustole. Si trattava di una malattia molto temuta, che lasciava i superstiti sfigurati dalle cicatrici.
Virus appartenenti alla stessa famiglia del Variola infettano anche altre specie e possono essere trasmessi all’essere umano, causando però patologie molto meno pericolose. E proprio il virus del vaiolo bovino (Vaccinia virus) è stato utilizzato dal medico inglese Edward Jenner
per produrre alla fine del Settecento il primo vaccino antivaioloso: il termine «vaccinazione» deriva proprio dal coinvolgimento di questo virus nella procedura di immunizzazione. Da allora, i numerosi miglioramenti apportati al vaccino hanno consentito l’immunizzazione di fasce sempre più ampie della popolazione fino alla vera e propria campagna vaccinale di eradicazione della malattia, lanciata dall’OMS nel 1967. Il programma di eradicazione è durato 10 anni: l’ultimo caso è stato registrato in Somalia nel 1977. La strategia messa in atto consisteva nell’identificare il prima possibile ogni nuovo focolaio, isolando la popolazione colpita e procedendo a vaccinazione mirata. In questo modo è stato possibile debellare definitivamente il virus proclamandone l’eradicazione completa nel 1980.
Verso l’eradicazione della poliomielite
La poliomielite è una malattia infettiva causata da tre Enterovirus (1, 2 e 3). Il contagio avviene per via oro-fecale o tramite le goccioline di saliva emesse dall’individuo infetto con tosse o starnuti. I poliovirus causano inizialmente un’infezione intestinale ma poi possono colpire il sistema nervoso centrale causando, nei casi più gravi, una paralisi flaccida degli arti che può anche arrivare a colpire il sistema respiratorio e digestivo, per cui l’individuo infetto riesce a sopravvivere solo grazie ad ausili che lo aiutino a respirare ed alimentarsi.
I bambini sotto i cinque anni sono i più colpiti da questa malattia. Poiché la maggior parte degli individui infettati manifesta sintomi simili a quelli influenzali (solo l’1% sviluppa paralisi), l’infezione può diffondersi rapidamente.
Non esistono cure per la poliomielite, ma sono disponibili ben due vaccini: quello di Salk (IPV, dall’inglese «Inactivated Polio Vaccine») e quello di Sabin (OPV, dall’inglese «Oral Polio Vaccine»). L’IPV si basa sull’iniezione intramuscolare del virus inattivato. È un vaccino molto sicuro: gli unici effetti collaterali potrebbero dipendere da reazioni allergiche agli antibiotici presenti nel vaccino. L’OPV si basa sulla somministrazione per via orale di virus vivi attenuati che competono ecologicamente con i virus selvaggi ambientali (Figura A). I vantaggi di questo vaccino sono la sua estrema efficacia, la facilità di somministrazione e il basso costo; d’altra parte, esiste la possibilità che i virus attenuati retromutino geneticamente ritornando ad essere virulenti.
I due vaccini vengono quindi utilizzati in contesti diversi ma complementari: l’IPV è preferibile dove la malattia è virtualmente eradicata e quindi le probabilità di retromutazione del virus inattivo dell’OPV sono più alte di quelle di contrarre il virus selvaggio; l’OPV funziona da «apripista», venendo preferibilmente utilizzato per i Paesi ancora a rischio di epidemie. È quindi proprio quest’ultimo vaccino ad aver consentito la recente eradicazione della poliomielite in Africa, obiettivo dell’importante campagna «Kick polio out of Africa» (Scaccia la poliomielite dall’Africa) lanciata da Nelson Mandela nel 1996. A oggi, la poliomielite è ancora presente in forma endemica solamente in Afghanistan e in Pakistan, dove le difficili condizioni politiche e territoriali rendono complicata una campagna vaccinale sistematica. La poliomielite, quindi, potrebbe essere la prossima malattia infettiva a essere definitivamente eradicata.
Figura A Il vaccino di Sabin (OPV) è utilizzato nei Paesi dove la poliomielite è presente in forma endemica.
C316
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delle malattie
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terapeutiche
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«su misura»
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di insorgenza
mutazioni
del DNA
malattie diverse
leucemia
mieloide cronica
effetti
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regolatrice
malattia di
Alzheimer1. . . . . . . . . . . . . . . . .
di base
nuovi farmaci
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terapia
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farmaco
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2. test
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di vita
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
genetica
3. test
. . . . . . . . . . . . . . . .
tra cuisviluppati attraversoinfluenzato anche da
che sono all’origine di
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La medicina molecolare
effetti
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alla terapia
che modifica la
ESERCIZI
CAPITOLO
C
13
1. Completa la mappa inserendo i termini mancanti.
antivirali / cause molecolari / clinici / costituzione /
diretti / farmaci / fibrosi cistica / HAART / imatinib
/ indiretti / pre-clinici / proteina / ricerca / rischio /
risposta / stili / strategie / tumori
2. Dai una definizione per ciascuno dei seguenti termini associati.
effetto diretto di una mutazione:
effetto indiretto di una mutazione:
Quando l’impatto dell’alterazione genetica sulla proteina codificata dal gene mutato è la causa della
patologia.
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medicina molecolare:
medicina personalizzata:
Si occupa di identificare i meccanismi genetico-molecolari alla base delle malattie.
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virus vivo:
virus attenuato:
virus inattivato:
Un virus ancora in grado di replicarsi, ma non patogeno per l’essere umano.
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vaccini a subunità purificate:
vaccini a subunità clonate:
vaccini a DNA:
vaccini virali:
Vaccini in cui le porzioni immunologicamente attive vengono isolate e purificate con tecniche chimico-
fisiche.
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Ripassa i concetti
Definisci i termini
Costruisci la tua MAPPA INTERATTIVA
ONLINEMettiti alla prova con 20 esercizi interattivi
C13 | Esercizi di fine capitolo |C317
3. Se la mutazione del DNA altera una
proteina regolatrice siamo di fronte a un
effetto
A diretto.
B esogeno.
C indiretto.
D endogeno.
4. La fibrosi cistica è caratterizzata da
A ripetizioni in serie della tripletta CAG.
B mutazioni in numerosi geni.
C traslocazioni cromosomiche.
D una delezione nel gene che codifica la
proteina CFTR.
5. La tubercolosi è una malattia
A di origine virale.
B legata alle condizioni di vita.
C presente solo nei Paesi sottosviluppati.
D autoimmune.
6. Che cosa determina lo sviluppo di una
malattia?
A la predisposizione genetica dell’individuo.
B la pressione ambientale.
C il gruppo etnico d’appartenenza.
D l’interazione tra genotipo e ambiente.
7. Quale di queste affermazioni sulla
shigelliosi non è corretta?
A blocca la sintesi proteica.
B distrugge il DNA delle cellule epiteliali.
C comporta il rilascio di un’enterotossina.
D colpisce le cellule intestinali.
8. Il principale antigene di SARS-CoV-2
A è la molecola ACE2.
B si lega ai linfociti T-helper.
C è la proteina Spike.
D riconosce il recettore CD4.
9. Quando un malato di HIV diventa
suscettibile a infezioni da diversi
patogeni, è nella fase di
A AIDS conclamato.
B latenza del virus.
C guarigione.
D sepsi.
10. Quale di queste patologie non è una
zoonosi?
A AIDS.
B morbillo.
C ebola.
D SARS.
11. Quale di questi passaggi non fa parte
della procedura usata per sviluppare il
farmaco imatinib?
A clonare il gene BCR-Abl.
B ottenere la struttura tridimensionale della
proteina ricombinante.
C tagliare il DNA del gene con il sistema
CRISPR/Cas.
D esprimere la proteina ricombinante.
12. La terapia antitumorale a bersaglio
molecolare colpisce
A i linfociti T helper.
B le metastasi del tumore.
C solo le proteine alterate del tumore.
D tutte le cellule indifferentemente.
13. Alla base del processo di sviluppo di un
farmaco c’è
A la verifica delle proprietà
farmacocinetiche della molecola.
B il clonaggio del gene.
C l’identificazione del bersaglio molecolare.
D l’espressione della proteina ricombinante.
14. L’ultimo passaggio prima della
commercializzazione di un farmaco è
A la ricerca pre-clinica.
B la sintesi di librerie di molecole.
C la determinazione delle proprietà
farmacocinetiche della molecola.
D la sperimentazione clinica.
15. La variolizzazione si basava sull’uso di
virus
A vivi.
B attenuati.
C inattivati.
D a RNA.
16. I nuovi vaccini ricombinanti si basano
sull’uso
A del gene corrispondente all’antigene, che
viene iniettato sotto forma di DNA.
B di porzioni immunologicamente attive
isolate e purificate.
C di agenti virali resi non patogeni grazie
alla rimozione di tratti del loro genoma.
D dei geni delle proteine responsabili
dell’attivazione immunitaria, che una
volta isolati vengono espressi in batteri o
lieviti.
17. Qual è il vero serbatoio del virus della
SARS?
A i musang.
B le civette.
C l’essere umano.
D i pipistrelli.
18. Which one of these pairs is
mismatched?
A helper T-cells / increase during an HIV
infection.
B cytotoxic T cells / active in tissue
rejection.
C macrophages / activate T cells.
D memory T cells / long-living line of T cells.
E T cells / mature in thymus.
19. The reproduction number, R0,
indicates
A number of live bacteria.
B number of infected cells.
C antibody titer.
D infectious capacity.
20. Quale tra le seguenti affermazioni
sui virus è falsa?
A possono contenere DNA o RNA.
B sono incapaci di sintesi proteica
autonoma.
C sono parassiti di organismi animali,
vegetali o batteri.
D hanno dimensioni variabili tra 10 µm e
100 µm.
E sono parassiti endocellulari obbligati.
[dalla prova di ammissione
al corso di laurea in Medicina e Odontoiatria,
anno 2017]
Verifica le tue conoscenze
C318
21. Sottolinea l’alternativa corretta.
a) Talvolta una patologia coinvolge mutazioni in molti organi / geni
i cui effetti, però, si sommano / annullano e danno origine a un
unico evento molecolare in grado di scatenare la malattia.
b) Un esempio è la malattia di Alzheimer, che è una grave patologia
immunitaria / neurodegenerativa.
c) Da un punto di vista molecolare il segno caratteristico è
l’accumulo, a livello del tessuto adiposo / cerebrale, di ammassi
composti dalla proteina amilasi / β-amiloide, detti anche placche
amiloidi.
d) Le placche amiloidi distruggono la struttura della mielina / del
tessuto nervoso, bloccano la comunicazione ormonale / nervosa e
causano la morte dei neuroni.
22. Leggi e completa, scegliendo tra i seguenti termini, le
affermazioni relative al legame tra mutazioni e malattia.
attenuarsi / causa / conseguenza / diretto / funzione / indiretto / insorgenza / regolatrice
a) L’effetto delle mutazioni è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . se l’impatto
dell’alterazione genetica sulla proteina codificata dal gene mutato
è la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . della patologia.
b) Oppure è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . se la mutazione altera una
proteina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e questo si ripercuote a cascata
sulla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di molte altre proteine.
c) Il risultato finale di un’alterazione genetica è
l’. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . della malattia.
23. Leggi e completa le seguenti affermazioni sulla resistenza agli
antibiotici.
a) Nell’ultimo decennio si sta assistendo alla diffusione di
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in grado di resistere a tutti gli
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . disponibili.
b) La comparsa di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . o l’acquisizione
di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . da altre specie batteriche in
grado di neutralizzare gli antibiotici rappresentano un chiaro
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . per i batteri.
c) La diffusione di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . resistenti è dovuta all’
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di un numero limitato di tipologie di
antibiotici in medicina, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e agricoltura.
d) Anche il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . può essere causa della
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di nuove varianti genetiche di batteri.
24. Associa le definizioni al termine corrispondente.
a. Ricerca di baseb. Test pre-clinicic. Test clinicid. Commercializzazione
1. Valuta l’efficacia di nuove molecole su sistemi come cellule in coltura o modelli animali.
2. Quando la sperimentazione è conclusa, si raccolgono tutti i dati, sia della fase pre-clinica sia di quella clinica, e vengono sottoposti alla valutazione delle autorità regolatorie governative presupposte.
3. È la fase in cui si mettono a punto dei sistemi in vitro per valutare se le molecole chimiche sintetizzate siano effettivamente in grado di bloccare l’attività della proteina bersaglio.
4. Si divide in tre fasi della durata complessiva di circa cinque anni e si svolge sempre in centri ospedalieri, dopo aver ricevuto l’approvazione dei comitati etici.
a b c d
25. Associa ogni scienziato al vaccino che ha messo a punto.
a. Edward Jennerb. Louis Pasteurc. Claudio Fermid. Jonas Salke. Albert Sabin
1. Vaccino iniettabile contro la poliomelite 2. Primo vaccino contro la rabbia 3. Variolizzazione4. Vaccino a virus attenuati contro la rabbia5. Vaccino a base di virus attenuati della
poliomelite
a b c d e
26. Fornisci una definizione appropriata per i seguenti termini e
collegali in un discorso sull’importanza della lotta alle malattie
infettive.
a) Pandemia:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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b) Prevenzione:
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c) Disponibilità di farmaci:
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C13 | Esercizi di fine capitolo | C319
Dati in agenda
RICERCA E RIFLETTI
27. Il 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale di
Wuhan (in Cina) ha segnalato all’OMS una serie di casi di polmonite
a causa ignota nella provincia cinese di Hubei. La maggior parte
dei casi aveva un legame epidemiologico con il mercato di Huanan
Seafood, un mercato all’ingrosso di frutti di mare e animali vivi. Il
9 gennaio 2020, il CDC cinese ha riferito che è stato identificato
un nuovo coronavirus (2019-nCoV) come agente causale e ne
è stata resa pubblica la sequenza genomica. Approfondisci le
informazioni sul nuovo coronavirus, in particolare sulle modalità
di trasmissione e su eventuali ospiti intermedi prima dell’essere
umano. Partendo da questo estratto scrivi una riflessione sul ruolo
che hanno le attività umane nella diffusione di nuovi patogeni e gli
strumenti per arginare eventuali epidemie.
RIFLETTI ED ELABORA
28. Come riportato sul sito dell’AIRC, sono oggi disponibili diversi
«farmaci biologici», cioè una particolare categoria di terapie mirate
che mimano sostanze presenti nell’organismo, ma che in realtà
vengono prodotte in laboratorio. Tra questi sono già disponibili
fattori di crescita, anticorpi monoclonali e vaccini contro il cancro
che stimolano il sistema immunitario a riconoscere il tumore
come estraneo per poi distruggerlo, come si fa con batteri o virus.
Due esempi concreti di «vaccini biologici» riguardano la cura del
melanoma in fase avanzata e la terapia del cancro della prostata
con metastasi. Per entrambe queste patologie cerca ulteriori
informazioni sul sito dell’AIRC e descrivi quali farmaci a bersaglio
molecolare e vaccini terapeutici sono stati già sperimentati.
Allena le tue competenze
Farmaci per tutti
ANALIZZA LA NOTIZIA
29. Guarda il video in apertura di capitolo e sottolinea
l’alternativa corretta.
La spesa media annua dei farmaci per ogni cittadino italiano è di
482 / 519,5 €. Il Sistema Sanitario Nazionale copre il 27,7 / 72,3 %
della spesa, mentre il resto è a carico dei privati. L’apparato che
richiede più farmaci è il digerente / cardiocircolatorio, mentre al
terzo posto c’è il sangue con 165,1 / 183,1 dosi di farmaci al giorno
ogni 100 / 1000 abitanti.
CERCA ALTRE FONTI
30. Ogni anno la rivista economica Bloomberg pubblica la Bloomberg
Health Care Efficiency, una classifica dei migliori sistemi sanitari
al mondo. La graduatoria è basata su vari criteri forniti da enti
prestigiosi come la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale
della Sanità, le Nazioni Unite e il Fondo Monetario Internazionale.
Cerca in Rete l’ultimo rapporto e riporta in una tabella i primi
10 stati classificati. A fianco riporta in un’altra tabella i 10 Stati
con il Prodotto Interno Lordo (PIL) più elevato; cerca in Rete
anche queste informazioni. Quali Stati si trovano in entrambe
le classifiche e quali mantengono la stessa posizione? Scrivi un
testo di 1000 battute con le tue considerazioni.
FAI UN PASSO IN PIÙ
31. Quali farmaci ha consumato nell’ultimo mese la tua famiglia?
Intervista 5 tuoi famigliari di età diverse (per esempio i nonni,
i genitori e qualche parente con figli piccoli) e stila una lista dei
farmaci che hanno consumato. Aggiungi all’elenco anche i farmaci
che hai assunto tu. A questo punto scegli 5 farmaci e prepara una
breve scheda informativa nella quale indichi:
• produttore,
• costo,
• forma (compressa, sciroppo, crema, cerotto),
• scopo del farmaco,
• almeno due possibili effetti collaterali.
Try it in English!
Watch the video
and answer the questions.
Drugs for all