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Università di Padova Master in Studi Interculturali A.A.2003-04 LE IMPLICAZIONI ECONOMICHE DELLE MIGRAZIONI SUL PAESE DI INSEDIAMENTO Di Andrea Benini Relatore: Professor Graziano Rotondi

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Università di Padova

Master in Studi Interculturali A.A.2003-04

LE IMPLICAZIONI ECONOMICHE DELLE MIGRAZIONI

SUL PAESE DI INSEDIAMENTO

Di Andrea Benini

Relatore:

Professor Graziano Rotondi

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“La convivenza pluri-etnica può essere percepita

e vissuta come arricchimento ed opportunità in più

piuttosto che come condanna:

non servono prediche contro razzismo, intolleranza e xenofobia,

ma esperienze e progetti positivi

ed una cultura della convivenza.”

Alexander Langer

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3

Indice

Abstract: le implicazioni economiche delle migrazioni sul paese di insediamento Pag.5

Introduzione Pag.7

1. Impatto dei lavoratori stranieri sul mercato del lavoro. Effetti sul salario e

sull’occupazione1.1 Dibattito teorico

1.1.1 Andamento del ciclo economico

1.1.2 Mercato del lavoro

1.1.3 Lavoro informale

1.1.4 Politica migratoria

1.1.5 Caratteristiche del migrante

1.1.6 Influenze indirette sulle scelte delle imprese

1.2 Verifiche empiriche

1.2.1 Il confronto tra U.S.A. e Europa

1.2.2 Impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro formale

1.2.3 Impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro informale

1.2.4 Influenza delle politiche migratorie

1.2.5 Importanza della flessibilità del mercato del lavoro

1.3 Il caso italiano

Pag.10

Pag.10

Pag.10

Pag.11

Pag.11

Pag.12

Pag.12

Pag.13

Pag.14

Pag.14

Pag.15

Pag.19

Pag.19

Pag.20

Pag.21

2 Assimilazione salariale Pag.23

3 Effetto dell’immigrazione sullo sviluppo economico

3.1 Impatto sullo sviluppo tecnologico

3.2 Impatto sul reddito pro capite

3.3 Imprenditorialità e immigrazione in Italia

3.4 Le rimesse

Pag.25

Pag.25

Pag.26

Pag.27

Pag.29

4 Impatto dell’immigrazione sulla spesa sociale Pag.31

5 L’impatto degli stranieri sulla struttura demografica e sul sistema

pensionistico.

Pag.34

6 Importanza delle politiche migratorie nel determinare l’impatto economico

dell’immigrazione sul paese di destinazione6.1Le politiche migratorie e i loro limiti

6.1.1 Difficoltà di controllare gli accessi

6.1.2 Difficoltà nella riduzione delle presenze

6.1.3 Difficoltà dovute al sistema produttivo e al mercato del lavoro

6.2 Principi fondamentali delle politiche migratorie

6.2.1 Accesso ed espulsione

6.2.2 Permanenza e integrazione socio-lavorativa

Pag.36

Pag.36

Pag.37

Pag.37

Pag.38

Pag.38

Pag.38

Pag.40

Conclusione Pag.42

Bibliografia Pag.43

Allegati

• Anticipazioni Dossier Caritas 2004

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Indice delle tabelle e immagini

Tabella 1: effetto dell’immigrazione in considerazione del ciclo economico del paese

di insediamento

Pag.10

Tabella 2: l’effetto dell’immigrazione in presenza del sindacato per quanto riguarda

il lavoro non qualificato

Pag.11

Tabella 3: incidenza delle competenze del lavoratore sul salario in condizioni di

aumento di manodopera

Pag.12

Tabella 4: incidenza dell’offerta di lavoro non qualificato sulle scelte delle imprese Pag.13

Tabella 5: effetto dell’immigrazione recente sull’attività dei lavoratori nel paese di

insediamento

Pag.15

Tabella 6: infortuni indennizzati a lavoratori nati all’estero Pag.17

Tabella 7: lavoratori nati all’estero, graduatoria per paese di nascita Pag.18

Tabella 8: impatto dell’aumento di manodopera regolare e irregolare sui salari e sul

mercato del lavoro

Pag.19

Tabella 9: fattori che influenzano l’assimilazione salariale dei lavoratori migranti Pag.23

Tabella 10 imprenditoria straniera in Italia Pag.28

Tabella 11: incidenza dei migranti con lavoro autonomo Pag.28

Tabella 12 imprenditoria straniera per settore di attività Pag.29

Tabella 13 Rimesse in uscita dall’Italia Pag.30

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ABSTRACT: LE IMPLICAZIONI ECONOMICHE DELLE MIGRAZIONI SUL PAESE DI

INSEDIAMENTODi Andrea Benini

Di cosa parliamo quando parliamo di migrazioni?

La risposta a questa domanda non può essere né semplice né univoca. La migrazione è un fenomeno

sociale complesso e in quanto tale solleva una molteplicità di questioni significative (relative

all’essere persone, alle relazioni, alle organizzazioni, ecc.) che sono studiate dalle diverse scienze

sociali.

Ne consegue che esistono diversi approcci per affrontare il tema delle migrazioni, ognuno di essi

più attrezzato per approfondire aspetti particolari e fornire risposte a questioni specifiche.

Demografia, sociologia, psicologia, antropologia, diritto e linguistica, sono solo alcune delle

discipline che possono fornire un contributo alla comprensione delle migrazioni e del loro effetto

sulle persone, le culture e le società.

In questa sede si è deciso di utilizzare un approccio di tipo economico. In accordo con tale scelta si

potevano approfondire diversi aspetti del fenomeno migratorio, utilizzando strumenti e metodi tratti

da differenti branche della scienza economica, per esempio:

• gli effetti della migrazione sul paese di partenza sono studiati dalla teoria dello sviluppo

• le migrazioni come fattore della produzione che può incidere sulla competitività di un

“sistema paese” sono indagate dall’economia internazionale

• le conseguenze della riallocazione territoriale delle risorse sono materia della geografia

economica

• le cause economiche della mobilità, gli effetti sul salario e l’occupazione dei lavoratori

nazionali sono approfonditi dall’economia del lavoro

• gli effetti delle migrazioni sulla spesa pubblica interessano la finanza pubblica.

Tale varietà di possibilità rendeva particolarmente vasto il terreno d’analisi, tuttavia le ricerche in

materia tendono a concentrarsi su quattro temi fondamentali:

1. le determinanti della scelta migratoria

2. gli effetti dell’immigrazione sui paesi d’arrivo

3. le conseguenze dell’emigrazione sul paese di partenza

4. l’efficacia delle politiche migratorie nella gestione del fenomeno.

In questa sede si è scelto di approfondire il secondo di questi temi, utilizzando l’impostazione

metodologica proposta da Alessandra Venturini nel suo libro “Le migrazioni e i paesi sudeuropei.

Un’analisi economica”. In questo testo l’argomento degli effetti dell’immigrazione sui paesi di

arrivo è suddiviso in sei sottotemi, che si è scelto di mantenere e approfondire in questa sede:

1. l’impatto dei lavoratori stranieri sul mercato del lavoro (che può essere competitivo o

complementare)

2. l’assimilazione salariale, ossia la capacità dello straniero di raggiungere un profilo salariale

simile a quello dei lavoratori nazionali

3. l’effetto dell’immigrazione sulla crescita del reddito pro-capite del paese di destinazione

4. l’impatto dell’immigrazione sulla spesa sociale

5. l’impatto degli stranieri sulla struttura demografica e sul sistema pensionistico.

6. l’importanza delle politiche migratorie nel determinare l’impatto economico

dell’immigrazione sul paese di destinazione.

Inoltre si è ritenuto necessario includere una breve analisi della situazione italiana, per comprendere

la reale consistenza quantitativa e qualitativa del fenomeno migratorio nel nostro paese e le

condizioni del contesto territoriale in cui le analisi economiche vanno inquadrate. Pertanto si

troveranno in allegato le anticipazioni sul Dossier Caritas 2004. E’ questo il documento più

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aggiornato che si è riusciti a reperire, e pare particolarmente interessante perché tiene conto dei

risultati della grande regolarizzazione del 2003.

In estrema sintesi si può dire che l’obiettivo finale di questo lavoro è indagare se esistano argomenti

diversi da quelli etici o culturali per considerare l’immigrazione come un fattore funzionale al

miglioramento della qualità della vita di una comunità, con particolare riferimento a parametri di

tipo economico.

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INTRODUZIONE

L’immigrazione è uno degli argomenti di cui oggi in Italia si parla di più a livelli molto diversi. E’

un tema centrale del dibattito politico, un argomento della conversazione quotidiana tra le persone,

un tema presente negli approfondimenti dei mass media. Spesso questo interesse non è supportato

da adeguati elementi conoscitivi o margini di approfondimento e si risolve in uno scontro di luoghi

comuni e pregiudizi di volta in volta positivi o negativi. Tuttavia, anche quando risulta supportato

da un’adeguata preparazione preliminare, il dibattito rischia di risolversi in una contrapposizione tra

posizioni apparentemente inconciliabili.

Da una parte la posizione che potremmo definire filo-migratoria e dall’altra parte quella anti-

migratoria. Tale contrapposizione si risolve in una dicotomia quasi antinomica, secondo modalità

che purtroppo sembrano sempre più connaturate ad ogni forma di dibattito nel nostro paese. Questa

modalità di confronto non facilita molto la creazione di un’opinione equilibrata rispetto alle

migrazioni come fenomeno sociale.

Ogni posizione si consolida nelle proprie convinzioni con argomenti che paiono incontrovertibili ai

sostenitori e tali da poter affermare con la massima convinzione che la propria opinione è l’unica

sensata, convincente e soprattutto “realistica”. Viceversa si accusa chi sostiene l’opinione contraria

di essere vittima di pericolose e insensate “paure”, o seguace di “utopie” altrettanto perniciose e

prive di legami con la realtà.

Anche un’analisi superficiale mostra che a quasi tutte queste posizioni può essere riconosciuto un

certo contenuto di credibilità. Forse si può perfino ipotizzare che per ognuna di esse sussistano più o

meno adeguati argomenti di difesa teorica. Tuttavia nessuna può essere ragionevolmente

considerata l’unica incontrovertibile e dimostrabile verità rispetto all’argomento trattato.

Pur riconoscendo l’indubbio valore di esercizio dialettico delle dispute inerenti tali argomenti,

l’intero dibattito pare viziato dalla natura della materia stessa. Le prove a favore o contro una

determinata posizione paiono infatti spesso suffragate più da convinzioni individuali, affermazioni

di valore e opinioni soggettive, che da adeguate raccolte di dati a supporto o dall’analisi di rapporti

di causa/effetto.

Certamente alla base di numerose affermazioni dei sostenitori di entrambe le posizioni pare

sussistere una profonda e a volte inconscia convinzione nell’una o nell’altra delle due affermazioni:

• Le migrazioni sono un bene • Le migrazioni sono un male.

E’ evidente che tali proposizioni di base costituiscono enunciati valutativi piuttosto che descrittivi o

fattuali. Se allora si considera accettabile una delle tesi più diffuse nell’ambito filosofico analitico

contemporaneo (ma non solo in quello): ovvero la tesi secondo la quale gli enunciati fattuali sono

oggettivi e indipendenti dal nostro apparato concettuale, mentre gli enunciati valutativi sono

soggettivi e dunque non si può argomentare razionalmente in loro sostegno, si avranno grosse

difficoltà a trovare elementi per produrre una mediazione se non una visione comune tra le due

posizioni.

Basandosi su enunciati valutativi di valore soggettivo, le due posizioni sono destinate a scontrarsi in

eterno, producendo vasti apparati giustificativi, proposte pratiche e modelli di intervento, che si

contrappongono quasi specularmente1. Anche in questo ambito sembra dunque riproporsi la

1 Per esemplificare la questione, in un recente convegno organizzato dall’Università di Ferrara è stata presentata la

seguente tabella di “Antinomie delle migrazioni” che costituisce una vera e propria collezione di contrapposizioni

inconciliabili di origine soggettiva (segue in nota):

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dicotomia fatto/valore, con le conseguenze che essa ha rispetto alle pretese conoscitive in relazione

a un determinato fenomeno.

Pur riconoscendone la problematicità2 si è scelto di partire da questo presupposto per indagare se

esistano rispetto alla materia argomenti che possano essere affrontati in modo da fornire un risultato

dotato di contenuto conoscitivo affidabile. Si è dunque deciso di non fornire un ulteriore contributo

ai dibattiti che cercano di appurare se le migrazioni oltre ad essere un’evidenza della realtà siano

“giuste” o “sbagliate”, o se la natura morale dei migranti sia “buona” o “cattiva”. Piuttosto si è

provato a limitare l’indagine ad un argomento intorno al quale si potessero esprimere posizioni

teoriche, realizzare ricerche empiriche a supporto, e impostare un confronto su basi oggettive.

Pertanto, anche in considerazione dell’importanza che la sfera economica riveste nella nostra

società, è parso interessante concentrare l’attenzione su un approccio economico ai temi

dell’immigrazione.

Questa tesina di approfondimento cerca dunque di fornire una risposta ad alcune domande

fondamentali utilizzando strumenti metodologici attinti dall’economia, per fornire un piccolo

contributo allo studio del fenomeno migratorio.

La scelta di adottare questa impostazione di lavoro ha lo scopo di uscire dal dualismo che vede le

migrazioni come un “male” o come un “bene”, per inquadrare il problema dell’utilità

dell’immigrazione in termini economici per i paesi di destinazione e in particolare per l’Italia. Le

domande alla base di questo lavoro sono dunque:

• L’immigrazione è utile all’economia del paese di insediamento dei migranti?

• Quali sono gli effetti dell’immigrazione sul salario dei lavoratori nazionali? Sul reddito

pro-capite del paese? Sul sistema pensionistico e previdenziale? Sul welfare?

• L’identità di un popolo è un dato di fatto, identità

molto diverse non possono non configgere in

inevitabili scontri di civiltà

• La cultura di un popolo è endogena e ne incarna

l’essenza, va tutelata e difesa

• Le culture e le identità sono rigide e

impermeabili, così devono essere le frontiere.

• L’identità di popolo è un imbroglio, tutti gli

uomini appartengono alla grande famiglia umana

e hanno interessi, bisogni e diritti simili.

• La cultura di un popolo è una miscela di

contributi eterogenei, quindi destinata a mutare

• Le culture e le identità sono mutevoli e

permeabili, così devono essere le frontiere.

• Le disuguaglianze economiche mondiali sono il

frutto di differenze qualitative tra i popoli che

hanno prodotto o meno uno sviluppo e un civiltà

evoluta. Le persone vanno aiutate in patria e le

migrazioni devono essere controllate al massimo

• Tutti gli immigrati sono potenziali delinquenti da

controllare e perseguire, lo dimostra la percentuali

di stranieri in carcere rispetto alla popolazione.

• Gli emigranti italiani erano diversi, ci sono popoli

intrinsecamente crudeli e portati al fanatismo,

bisogna costringere i migranti a condividere

regole e valori del paese di insediamento

• L’ingiusta divisione delle risorse mondiali e le

guerre generano le migrazioni di popoli sfruttati e

perseguitati che bisogna accogliere. Inoltre

bisogna diminuire le disuguaglianze economiche

e di risorse con i mezzi della politica

internazionale.

• Tutti gli immigrati sono brave persone vessate da

inutili persecuzioni e, nel caso, costrette a

delinquere dall’impossibilità di integrarsi.

• Tutte le persone tendono a vivere pacificamente

insieme e a rispettare le regole e i valori di una

società, se vengono da essa integrati in modo

corretto.

2 A tale proposito basti ricordare la tesi di Hilary Putnam secondo cui fatti e valori, per quanto distinguibili sono

indissolubilmente “intrecciati”. Infatti le nozioni centrali del nostro pensiero morale fanno contemporaneamente

riferimento a fatti impregnati di valori e a valori che possono essere specificati solo menzionando fatti. Secondo tale

visione anche le teorie scientifiche presuppongono giudizi di valore, in particolare giudizi di valore epistemologico in

virtù dei quali le teorie vengono giustificate e accettate. Cioè noi consideriamo oggettiva una determinata teoria in virtù

della positiva valutazione epistemologico che ne diamo: sarebbe dunque assurdo sostenere che i giudizi di quella teoria

sono oggettivi, mentre non lo sono i giudizi che giustificano la nostra credenza in tale oggettività. Ancor più

specificamente la polemica sviluppata contro la teoria della razionalità economica da Amartya Sen quando sostiene che

nel discorso economico sia necessario considerare il piano dei valori, di contro alla tradizione maggioritaria secondo la

quale l’economia, in quanto scienza, deve rinunciare alle valutazioni (si pensi in proposito a temi inerenti il welfare

state).

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• Esistono scelte di politica migratoria che si rivelano più utili da un punto di vista

economico di altre?

I tentativi di rispondere a queste domande si articolano su sei argomentazioni fondamentali:

1. l’impatto dei lavoratori stranieri sul mercato del lavoro (che può essere competitivo o

complementare)

2. l’assimilazione salariale, ossia la capacità dello straniero di raggiungere un profilo

salariale simile a quello dei lavoratori nazionali

3. l’effetto dell’immigrazione sulla crescita del reddito pro capite del paese di

destinazione

4. l’impatto dell’immigrazione sulla spesa sociale

5. l’impatto degli stranieri sulla struttura demografica e sul sistema pensionistico.

6. I principi cui indirizzare la politica migratoria dello Stato a seconda dell’effetto che

si vuole conseguire

Se le conclusioni ottenute da questo studio potranno essere utilizzate come ulteriore contributo al

dibattito tra le posizioni filo-migratorie e anti-migratorie, si tratterà di un destino ineluttabile di ogni

ragionamento in materia.

Infine non si può negare che questa tesina volesse costituire uno strumento utile a chi l’ha prodotta

anche in campo lavorativo. Infatti l’operatore sociale attivo nell’organizzazione e gestione di servizi

per migranti si vede oggi sottoposto ad una duplice pressione e a contrapposte critiche. Una

decisione può essere considerata nello stesso tempo lassista o repressiva, pericolosa per la

popolazione nazionale o penalizzante per i migranti.

Di fronte ad una recente interpellanza al consiglio comunale della mia città in cui uno stesso

provvedimento era criticato, anche se per ragioni opposte, sia da Rifondazione Comunista sia da

Alleanza Nazionale, è sorto il dubbio che si dovessero reperire elementi più affidabili con cui

controbattere alle critiche contrapposte. L’approfondimento richiesto dal Master in Studi

Interculturali è diventato così un mezzo per affiancare al consueto apparato di risposte (spesso di

matrice etica) ulteriori contributi.

L’estraneità quasi assoluta della materia trattata alla precedente formazione del ricercatore, la

complessità e la vastità del dibattito, la relativa scarsità di contributi in lingua italiana relativi alla

materia, hanno reso la ricerca particolarmente complessa. Si è scelto ugualmente di tentare questa

incursione in un campo quasi sconosciuto, come ulteriore contributo a quanto di buono in termini di

stimolo e conoscenza ha fornito il Master di Studi interculturali dell’Università di Padova.

Certamente ne risulta un contributo particolarmente modesto dal punto di vista dei risultati e della

loro affidabilità, tuttavia anche il raggiungimento di tale livello ha costituito una sfida di particolare

difficoltà, ma anche un percorso ricco di scoperte e stimolante per l’intelletto. Forse era proprio ciò

che si stava cercando.

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1. Impatto degli stranieri sul mercato del lavoro. Effetti sul salario e sull’occupazione.

1.1 Dibattito teorico.Posto che “si definisce competitivo o sostitutivo il lavoratore immigrato che ha un effetto negativo

sul salario e/o sull’occupazione del lavoratore nazionale e complementare quello che ha un effetto

positivo”3 si tratta di elaborare modelli teorici per definire se l’ingresso di lavoratori immigrati nel

mercato del lavoro vada in un senso o nell’altro.

In accordo con Castles e Kosack “secondo le teorie economiche tradizionali il costo del lavoro (cioè

i salari) è determinato soprattutto dalla domanda e dall’offerta. Espansione economica significa di

solito aumento di domanda di lavoro; l’effetto che questo ha sui salari dipende dall’elasticità

dell’offerta di lavoro. Se non vi è più forza di lavoro disponibile, l’aumento della domanda

provocherà un aumento dei salari ma non dell’occupazione; ma se l’offerta di lavoro è illimitata,

l’aumento della domanda provocherà un aumento dell’occupazione ma non dei salari. […] La

possibilità di assumere lavoratori all’estero introduce un elemento nuovo. Le masse di disoccupati

delle aree meno sviluppate costituiscono una nuova fonte di forza lavoro. Potenzialmente il loro

numero è inesauribile, ed essi formano un nuovo esercito industriale di riserva, cioè un esercito

costituito da gente disperata, in miseria, che può essere assunta o licenziata secondo gli interessi dei

padroni.”4

La questione appare di rilevante importanza. E’ noto che l’effetto dell’immigrazione sui salari,

insieme all’atteggiamento di alcuni gruppi di migranti nei confronti dei diritti dei lavoratori, ha

creato significative spaccature in seno ai movimenti sindacali. Inoltre la percezione della

competitività tra lavoratori nazionali e stranieri è in grado di determinare reazioni emotive nella

popolazione e influenzare le scelte relative alla politica migratoria5. Proprio la delicatezza

dell’argomento richiede dunque particolare cautela.

Ad oggi gli studi sull’argomento non danno risultati univoci, pertanto rimane accesso il

dibattito sulla complementarità o la competizione indotta dalla presenza di lavoratoristranieri. Una delle ragioni fondamentali di questo risultato è il fatto che molte variabili macro e

micro economiche influenzano il fenomeno che si vuole analizzare. Si presentano in seguito alcuni

elementi di approfondimento inerenti tali variabili e una breve nota riguardante il caso specifico

italiano.

1.1.1 Ciclo economico.

L’andamento del ciclo economico influenza gli effetti dell’impatto degli immigrati sul paese di

insediamento. Se prevale la domanda di lavoro da parte del mercato sull’offerta di lavoro, il ruolo

degli immigrati tende ad essere complementare a quello dei nazionali, anche se, fornendo risposta

alla domanda, non permette alla remunerazione reale di raggiungere la remunerazione potenziale

indotta dalla pressione sui salari della domanda. Se invece l’offerta di lavoro è maggiore della

domanda, si possono prevedere effetti di competizione/sostituzione tra lavoratori immigrati e

nazionali, soprattutto per le mansioni che richiedono un basso livello di qualificazione professionale

e per quei mercati in cui i salari sono più flessibili.

Tabella 1: effetto dell’immigrazione in considerazione del ciclo economico del paese di

insediamento

Prevale la domanda di lavoro da

parte del mercato

Prevale l’offerta di lavoro

Impatto dei lavoratori immigrati

sui nazionali

Complementarità con riduzione

del reddito potenziale

Possibile competizione

3 Venturini A. 2001.

4 Castles e Kosack 1976, pag.382-383.

5 Si veda in proposito l’indagine 2004 sul “lavoro come aspetto rilevante nelle relazioni sociali” condotto

dall’Osservatorio sul capitale sociale degli italiani (Demos & Pi e COOP) in cui l’immigrazione appare una delle

minacce più consistenti percepite dai lavoratori italiani (www.agcom.it)

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11

1.1.2 Mercato del lavoro

Il mercato del lavoro dei diversi paesi è determinante per quanto riguarda gli effetti di

complementarità o competizione. Diversi sono gli elementi che possono influenzare l’impatto

dell’immigrazione sul lavoro nazionale, tra essi: la maggiore o minore flessibilità dei salari e

dell’occupazione, il ruolo del sindacato nel fissare i salari. A titolo esemplificativo si traccia il

grafico riguardante l’effetto dell’immigrazione in presenza del sindacato per quanto riguarda il

lavoro non qualificato6:

Tabella 2

Salario Immigrazione

A

S1

S2 B

Lavoro

L1 L2 L3

S1 = salario iniziale (precedente all’arrivo dei lavoratori immigrati) dei lavoratori nel settore

S2 = salario successivo all’arrivo dei lavoratori immigrati

L1 = numero iniziale di lavoratori impiegati in un dato settore

L2 = numero di lavoratori impiegati dopo l’arrivo degli immigrati

L3 = Numero di lavoratori impiegati all’aumento del numero di immigrati

Il sindacato ha fissato un salario superiore a quello di equilibrio. L’ingresso di lavoratori affini a

quelli di cui è fissato il salario, spinge il sindacato ad abbassare il salario (il mercato del lavoro non

qualificato diventa più competitivo) influenzando positivamente l’occupazione di immigrati e

nazionali.

1.1.3 Lavoro informale

La presenza e la consistenza del lavoro informale e il suo rapporto con quello formale. La presenza

in un paese di immigrazione di quote consistenti di lavoro informale, innesca un meccanismo

secondo il quale al crescere dell’immigrazione si determina una crescita della quota di occupazione

informale, ma anche una riduzione dell’occupazione ufficiale (competitività). In sostanza i

lavoratori immigrati irregolari o impiegati in modo informale penalizzano direttamente i salari e le

condizioni di lavoro degli altri soggetti impiegati con lavoro irregolare (in particolare altri stranieri).

Invece l’effetto sui lavoratori regolari è minimo, ma in prospettiva l’aumento complessivo del

lavoro informale tende a penalizzare, all’interno del mercato del lavoro, chi rispetta le regole.

6 Il grafico è una elaborazione personale di un modello proposto in: Venturini A. 2001

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1.1.4 Politica migratoria

La politica migratoria dei diversi stati influenza il rapporto di competitività o complementarità tra

lavoratori. Ad esempio, in una situazione di controllo efficace dei confini, un sistema di quote

fissate a livello nazionale e la selezione dei migranti per competenze professionali, possono

influenzare la qualità e la quantità degli immigrati presenti sul territorio. Nello stesso modo la

presenza di immigrazione clandestina/illegale, ha effetti significativi sul mercato del lavoro formale

e fornisce manodopera al mercato informale. Anche le regolarizzazioni, immettendo un numero

consistente di immigrati regolari nel mercato del lavoro, hanno un significativo impatto (anche se in

presenza di clandestinità tollerata o incontrollata, quasi tutti gli immigrati regolarizzati stanno già

svolgendo un lavoro che passa in alcuni casi da informale a formale in occasione della

regolarizzazione). Infine la qualità dell’inserimento sociale, della formazione professionale, delle

iniziative per l’alfabetizzazione, possono ugualmente influenzare l’occupazione degli immigrati.

1.1.5 Caratteristiche dei migranti

Il tipo di immigrati che arrivano nel paese è determinante per quanto riguarda il loro accesso al

lavoro. In particolare se si adotta il modello di Gang e Rivera-Bariz (che utilizzano i dati forniti

dall’indagine Eurobarometro della Commissione dell’Unione Europea), in modo da scomporre

l’insieme delle competenze di un lavoratore in tre componenti fondamentali:

lavoratore = lavoro + capitale umano + esperienza

e si accetta l’ipotesi secondo cui

offerta fisica di lavoro (tempo e tipo) +

ritorno dell’istruzione/formazione +

esperienza acquisita =

SALARIO

Si potranno calcolare il capitale umano costituito dagli immigrati, la remunerazione della diverse

caratteristiche, l’effetto di tali caratteristiche personali sul salario proprio e su quello dei nativi.

Per esempio, nel caso del lavoro non qualificato la verifica empirica permette di notare che

l’istruzione è complementare all’esperienza e al lavoro, mentre il lavoro e l’esperienza sono

competitivi/sostitutivi.

Tabella 3: incidenza delle competenze del lavoratore sul salario in condizioni di aumento di

manodopera

Ritorno economico

della quantità di lavoro

non qualificato

Ritorno economico

dell’istruzione

Ritorno economico

dell’esperienza

Aumento manodopera

con alta quantità di

lavoro

Diminuisce se non

assorbita dal mercato

Aumenta Diminuisce

Aumento manodopera

con esperienza

Diminuisce Aumenta Diminuisce se non

assorbita dal mercato

Aumento manodopera

con istruzione

Diminuisce Diminuisce se non

assorbita dal mercato

Diminuisce

E’ dunque necessario individuare che tipo di immigrati raggiungono un paese per poterne

comprendere l’impatto sull’occupazione e sui salari dei lavoratori nazionali (come anche su altri

aspetti che analizzeremo in seguito quali il peso sul welfare). Diversi sono gli impatti economici

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che possono risultare dall’entrata in un paese di: ingegneri altamente qualificati, operai generici o

richiedenti asilo.

1.1.6 Influenze indirette sulle scelte delle imprese

Si tratta di quei casi in cui l’immigrazione non influenza direttamente livelli salariali e occupazione,

ma determina le scelte produttive delle imprese. La presenza di una grande disponibilità di lavoro

induce le imprese a persistere in attività produttive tradizionali e a bassa intensità di capitale, che

non risulterebbero essere più vantaggiose se diminuisse la disponibilità di lavoro (e aumentasse

l’entità dei salari). Viceversa una minore disponibilità di lavoro (e un suo costo maggiore)

spingerebbero l’impresa a investire in settori più efficienti con maggiore intensità di capitale7.

Tabella 4: incidenza dell’offerta di lavoro non qualificato sulle scelte delle imprese

Alta offerta di lavoro non

qualificato

Bassa offerta di lavoro non

qualificato

Scelta produttiva dell’impresa

rispetto all’intensità di capitale

Bassa intensità di capitale,

scarsa innovazione tecnologica

persistenza in attività tradiz.

Alta intensità di capitale, più

innovazione tecnologica.

Scelta produttiva dell’impresa

rispetto alla quantità di lavoro

Ampio occupazione di lavoro

poco qualif., diminuzione dei

salari e possibile spostamento al

settore informale

Bassa occupazione di lavoro

non qualificato, aumento del

lavoro qualificato. Aumento dei

salari.

Anche questa ipotesi teorica, richiederebbe tuttavia ulteriori specificazioni, in quanto non prende in

esame la possibilità da parte dell’impresa di spostare la produzione in paesi dove le condizioni del

lavoro sono più rispondenti alle proprie esigenze (delocalizzazione). Tale avvenimento

influenzerebbe ovviamente i livelli salariali e occupazionali.

In considerazione di questi fattori appare estremamente complesso ricavare una regola teorica o una

formula specifica, che possa definire in modo generale l’effetto dell’immigrazione sui salari e

l’occupazione. Troppo influenti risultano infatti i contesti storici ed economici, le diversità

territoriali e la segmentazione dei mercati del lavoro locali. Si dovrà pertanto ricorrere alla verifica

empirica nel caso dei singoli stati, analizzando l’andamento delle diverse variabili in un contesto

specifico, per trarne risultati significativi.

7 Dell’Aringa C., Neri F. 1987

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14

1.2 Verifiche empiriche.

1.2.1 Il confronto tra USA e Europa.

Come è noto gli Stati Uniti e alcuni paesi europei come Germania, Francia e Svizzera, hanno

ricevuto flussi migratori consistenti per periodi significativi. Questo dato storico fa in modo che

esistano molte più ricerche che riguardano questi stati, di quante non siano quelle riferite a territori

di più recente immigrazione come l’Italia.

Anche le ricerche empiriche sui singoli paesi presentano però significative divergenze, in accordo

con l’influenza delle variabili già descritte al paragrafo 1.1. Tuttavia in termini generali si può dire

che “il confronto tra i risultati nel caso europeo e i risultati nel caso americano mostra due modelli

diversi: uno dove prevale la competizione/sostituzione (europeo), uno dove prevale la

complementarità (americano).”8

I motivi di tale risultato possono essere molteplici, in particolare:

• la minore flessibilità del lavoro nei mercati europei (originata da diversità normative e ruolo

dei sindacati)

• la difficoltà anche da parte dei lavoratori nazionali di spostarsi dove esistono possibilità

occupazionali e salariali migliori (gli immigrati sembrano più legati al luogo dove è già

insediata una comunità del paese di origine)

• la rigidità del mercato immobiliare

• le maggiori barriere linguistiche

A queste ragioni, che pure non contemplano la diversa selettività delle politiche migratorie, si deve

aggiungere che quasi tutte le ricerche in ambito europeo riguardano un periodo di recessione

economica; condizione che incentiva la competizione tra i lavoratori.

Ciò detto, anche al fine di fornire solo una generale interpretazione del fenomeno in esame, si deve

comunque riconoscere la presenza di alcune permanenze inerenti ogni paese di insediamento, in

particolare per quanto riguarda:

• il diverso impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro formale o informale

• l’influenza su tale impatto delle politiche migratorie

• l’influenza esercitata dalla flessibilità del mercato del lavoro

Questi elementi risultano in ogni caso rilevanti nella determinazione dell’impatto dell’immigrazione

sui salari dei lavoratori.

8 Venturini A., 2001

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15

1.2.2 Impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro formale

Nell’ambito del lavoro formale, l’immigrazione tende ad avere un effetto di complementarità, con

positivi riscontri sui salari e sull’occupazione. Tale dato vale principalmente per i lavori qualificati,

mentre si nota una pur contenuta competitività per quanto concerne i lavoratori non qualificati e i

giovani in cerca di prima occupazione, specialmente per coloro che non possiedono qualifiche

specifiche (come detto, esperienza e lavoro sono competitivi mentre l’istruzione è complementare).

Un fenomeno di sostituzione si evidenzia invece nei confronti degli immigrati delle precedenti

generazioni, qualora essi non siano riusciti ad attestarsi su determinati mercati di nicchia o non

godano di una comunità di supporto a livello locale.

Tabella 5: effetto dell’immigrazione recente sull’attività dei lavoratori nel paese di insediamento

Lavoratori

qualificati naz.

Lavoratori non

qualificati naz.

Giovani alla prima

occupazione naz.

Immigrati

precedenti

Effetti sul salario

dei lavoratori

Positivo Leggermente

negativo

Leggermente

negativo

Negativo9

Tipo di impatto

dei lavoratori

stranieri sul

mercato del lavoro

Complementare Competitivo ma

non in modo

significativo

Competitivo ma

non in modo

significativo

Competitivo

Effetti

sull’occupazione

Aumento Diminuzione ma

non significativa e

determinata anche

da altre variabili10

Più difficile la

prima

occupazione, ma

non in modo

determinante11

Negativo, con

sostituzione

9 Il risultato non è tratto da ricerche sul caso italiano, ma da studi riguardanti Stati Uniti, Canada e paesi nord europei,

pertanto va trattato con la massima prudenza. Uno degli elementi analizzati per rilevarlo è l’ipotesi della maggiore

mobilità dei lavoratori nazionali sul territorio del proprio paese, rispetto agli immigrati già stanziati che tendono a

stabilirsi dove esistono comunità etniche (USA). Per quanto si è riusciti ad approfondire in questa sede, pare che in

Italia la competizione maggiore si stia verificando tra lavoratori provenienti dal nord Africa e già presenti in Italia da

anni e lavoratori provenienti dall’est Europa di recente immigrazione, a seguito della regolarizzazione del 2003. Tale

dato può essere evinto dal confronto tra i dati degli occupati stranieri a un anno dalla regolarizzazione e, in particolare,

dal rilascio di permessi di soggiorno (semestrali) per attesa occupazione registrati ai Centri per l’Impiego.

A parziale confutazione della teoria della ridotta mobilità territoriale degli stranieri si può invece procedere al confronto

tra i dati anagrafici (residenze) e i permessi di soggiorno (luogo del rilascio), che mostra una elevata mobilità territoriale

degli stranieri in Italia, soprattutto nei primi anni di permanenza. Viceversa il maggiore costo della vita nel nord Italia,

congiunto al benefico effetto del sostegno familiare ai disoccupati, pare non incoraggiare le migrazioni dal sud al nord

di lavoratori italiani, contraddicendo l’ipotesi della maggiore tendenza a muoversi della popolazione autoctona.10

A proposito dell’occupazione nazionale in settori non qualificati, l’effetto dell’immigrazione non è l’unica né la

maggiore tra le variabili in gioco, basti pensare all’aumento del tasso di istruzione e alla trasformazione delle

aspirazioni di lavoro degli italiani. La disoccupazione italiana è in maggioranza “disoccupazione intellettuale”, anche

perché particolarmente basso risulta il gradimento di professioni poco qualificate, specialmente dopo un lungo percorso

formativo svolto dai giovani italiani. Tali considerazioni spingono alcuni studiosi a ipotizzare che i lavoratori non

qualificati immigrati svolgano lavori che non rispondono più al gradimento degli italiani e che quindi la competizione

sia indeterminabile più che non significativa.11

Oltre a quanto detto nella nota precedente, è necessario menzionare per quanto riguarda i giovani italiani l’ipotesi

della “soluzione demografica al problema della disoccupazione”. Tale teoria sostiene che: in un paese industrializzato a

bassa natalità con popolazione molto anziana, anche in una fase di stagnazione economica o addirittura di recessione, ci

saranno sempre posti di lavoro ad aspettare i giovani lavoratori che si affacciano al mercato del lavoro, anche per

semplice sostituzione degli addetti che vanno in pensione (fonte: Annuario economico ferrarese). A questo si aggiunge

l’atteggiamento lievemente discriminante di alcuni imprenditori (fonte Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara)

che tendono ad assumere stranieri solo in assenza di lavoratori nazionali disponibili, oltre alle restrizioni previste dalla

normativa nazionale, le facilitazioni all’assunzione di giovani e disoccupati nazionali.

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16

Nel caso della sostituzione tra lavoratori migranti di diversa provenienza è necessario introdurre

ulteriori elementi di analisi. Il dato infatti non si presta ad una interpretazione univoca, in quanto

può essere influenzato da diverse variabili di varia origine: storiche, geografiche, statistiche,

culturali, ecc. Per esempio gli eventi seguiti all’attentato accaduto l’11/09/2001 a New York e la

conseguente diffusione di conflitti a livello planetario, possono aver generato un diffuso (e forse

inconscio?) sentimento anti-musulmano, determinando conseguenze anche in ambito lavorativo e

indirizzando le preferenze di assunzione dai “musulmani nord-africani” ai “cristiani est-europei”.

Una altro aspetto determinante può essere legato alle caratteristiche “nazionali” o “culturali” che

influenzano la produttività del lavoratore. In proposito basti analizzare i dati sugli infortuni occorsi

a lavoratori stranieri forniti dall’INAIL e sotto riportati, che evidenziano un’incidenza percentuale

spropositatamente alta (rispetto ai lavoratori italiani dello stesso comparto) in lavoratori di

determinate nazionalità e viceversa molto bassa per altre provenienze. Lo stesso dicasi per le

percentuali statistiche relative alla richiesta di giorni per permesso, malattie, motivi familiari.

Analizzando l’incidenza infortunistica dei lavoratori nati all’estero, descritta dal rapporto INAIL si

nota “che dei 641.106 infortunati indennizzati nel 2001, 58.494 casi hanno riguardato lavoratori nati

all’estero i quali, dunque, detengono una quota degli eventi pari al 9,1%: rispetto al 2000, quando

gli infortuni indennizzati furono 53.598, l’incremento degli infortuni dei lavoratori nati all’estero è

stato notevole: si è trattato di 4.896 casi in più (+ 9,1%). La quota di pertinenza dei nati all’estero è

particolarmente alta nel Nord Est (13,6%) e poi diminuisce nel Nord Ovest (9,2%) e nel Centro

(7,7%) per attestarsi su valori molto più bassi nel Sud (3,4%) e nelle Isole

(2,6%) (vedi Tab. 37).

Se si considera che i cittadini stranieri che svolgono un’occupazione regolare (741.562 permessi di

soggiorno per lavoro alla fine del 2001, esclusi i disoccupati) rappresentano il 3,4% degli occupati

in totale (21.514.000 occupati secondo l’ISTAT), si deduce che i lavoratori immigrati sono

effettivamente più esposti al rischio infortunistico di quanto non siano quelli italiani (considerando

che la percentuale degli infortuni indennizzati nei nati all’estero sul totale degli infortunati è, come

detto, del 9,1%). Questa conclusione non viene pregiudicata dal fatto che un certo numero di

persone nate all’estero possiede la cittadinanza italiana e che anche un certo numero di familiari

lavora, e trova conferma nella più accentuata mobilità occupazionale degli immigrati, che li porta a

incidere per circa il 10% sulle assunzioni dello stesso anno.

Analizzando gli infortuni indennizzati nel 2001 riscontriamo questa ripartizione: agricoltura 5,5%,

industria 57,3%, servizi 28,0%, altri settori 9,2% (cfr. tab. 48). I casi mortali (111 nel 2001 rispetto

ai 99 casi del 2000) sono uno ogni 526 infortuni denunciati e ciò attesta una incidenza

particolarmente grave; per la generalità degli assicurati nel 2001 si è trattato di 1.408 infortuni

mortali, pari a 1 ogni 455 infortuni indennizzati (641.106). Vedremo successivamente come

calcolare il tasso di rischio infortunistico per i lavoratori nati all’estero che abbiamo visto essere per

gli italiani pari al 4,2% nel 2001.”12

12

Pittau F., Spagnolo A.(a cura di), Immigrati e rischio infortunistico in Italia, Istituto Italiano di medicina sociale 2003

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17

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18

I dati sembrano sufficientemente chiari. Alcune nazionalità presentano un tasso di infortunio

particolarmente elevato rispetto ad altre, questo fatto potrebbe influenzare le scelte dei datori di

lavoro producendo assunzioni “etniche” ispirate a tale rapporto.

In questo ambito è però necessario procedere con prudenza per non giungere a conclusioni

affrettate. Diverse sono le ipotesi che si possono trarre dei dati. Da un lato si più procedere ad una

discriminante teoria della determinazione “culturale” degli atteggiamenti nei confronti del lavoro,

ad esempio per quanto riguarda la propensione e la percezione al rischio, la tendenza a valersi

impropriamente di misure di salvaguardia del lavoratore, l’incidenza di contenziosi tra lavoratori e

datori divisi per nazionalità.

Dall’altra si può invece sostenere che le condizioni di vita e di inserimento sociale influenzano la

produttività del lavoratore, ad esempio situazioni discriminatorie, soluzioni abitative non

confortevoli, difficoltà di movimento sul territorio, ecc. Se così fosse, in condizioni di integrazione

dignitose, assicurate dal paese di destinazione, tutte le differenze di efficienza e produttività tra i

lavoratori andrebbero progressivamente scomparendo.

A Tal proposito Kosack e Castles affermano che le cause dell’elevata frequenza di incidenti tra gli

operai migranti possa essere attribuita ad alcuni fattori ricorrenti13

:

1. “la maggior parte degli immigrati è di origine contadina e non ha nessuna familiarità con il

lavoro industriale

2. la maggior parte degli incidenti si verifica durante i periodi di addestramento e di

adattamento a un lavoro specifico; gli immigrati che soltanto da poco sono arrivati a

13

Castles S. Kosack, immigrazione e struttura di classe in Europa Occidentale. Franco Angeli

Editore, Milano 1976, pag 343-344

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19

lavorare nelle industrie cambiano lavoro con frequenza maggiore dei lavoratori locali e si

trovano più spesso in questa situazione

3. le difficoltà di linguaggio sono causa frequente di incidenti, di cui buona parte avviene

perché la gente non è in grado di leggere gli avvisi o di capire le grida di avvertimento dei

compagni di lavoro

4. gli operai immigrati sono maggiormente concentrati nelle industrie e nei tipi di lavoro dove

più alto è il rischio di incidenti

5. gli immigrati lavorano per un numero maggiore di ore. E’ noto che la maggior parte degli

incidenti sul lavoro avviene alla fine della giornata lavorativa, quando la stanchezza riduce

la capacità di attenzione.”

Tuttavia in questa sede ci si può limitare ad analizzare le caratteristiche generali del problema che

resta comunque da approfondire, anche perché condiziona fortemente le preferenze dei datori di

lavoro. In proposito basti intervistare alcuni impiegati di agenzie di lavoro interinale, che sempre

più spesso si sentono richiedere gli operai in base al paese di provenienza.

1.2.3 Impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro informale

Nell’ambito del lavoro informale tende a prevalere un effetto di competitività diretto e indiretto.

Quello diretto dipende dall’aumento di disponibilità di manodopera, quindi dal potere contrattuale

del datore di lavoro nel fissare i salari e dalla discrezionalità assoluta in termini di assunzioni e

licenziamenti. La competitività indiretta è invece legata allo spostamento del capitale dal settore

ufficiale a quello informale. L’andamento del fenomeno è sintetizzato nella seguente tabella:

Tabella 8: impatto dell’aumento di manodopera regolare e irregolare sui salari e sul mercato del

lavoro

Lavoratori irregolari naz. Lavoratori regolari nazionali e

stranieri

Effetti sul salario dei lavoratori Negativo Neutro

Tipo di impatto sul mercato del

lavoro informale

Competitivo, in certi settori,

complementare in altri

Leggermente competitivo dal

punto di vista delle assunzioni,

neutro da quello salariale

Effetti sull’occupazione Diminuzione Nessuno

I settori maggiormente interessati da questo fenomeno sono generalmente riconosciuti come:

agricoltura, costruzioni, servizi.

Infine, per interpretare correttamente la tabella è necessario precisare che l’effetto del lavoro

irregolare è comunque negativo sui salari, indipendentemente dal fatto che a svolgerlo siano

lavoratori stranieri o italiani.

1.2.4. Influenza delle politiche migratorie

Pur nella diversità di risultati degli studi condotti in ambito europeo e nord americano sembra

emergere un dato universalmente valido: tanto più la politica migratoria dei paesi di destinazione è

selettiva tanto minore sarà la competizione tra lavoratori stranieri e nazionali

In generale la politica migratoria di uno Stato ha il compito di gestire il fenomeno migratorio nei

suoi aspetti di: accesso, permanenza e espulsione dal paese, nonché di integrazione sociale,

culturale e lavorativa.

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20

E’ evidente che in conseguenza di una politica migratoria restrittiva, permissiva o selettiva, ma

anche solo efficace o inapplicabile, si abbiano ripercussioni sulle condizioni dei lavoratori e dei

salari. Gli esempi sono molti, ma ne riportiamo soltanto alcuni14

:

• La mancanza di equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, originata da una cattiva

collaborazione tra i datori di lavoro e chi determina i flussi di ingresso, è il segno di una

politica migratoria sbagliata.

• L’incapacità di sorvegliare le frontiere e l’inefficacia di controlli ed espulsioni,

incrementano il numero di stranieri non legalmente presenti sul territorio, ingrossando le fila

dei lavoratori irregolari.

• Le politiche di ricongiungimento familiare e quelle di “ospitalità temporanea” hanno

conseguenze diverse sulla durata della permanenza dei lavoratori stranieri.

• L’inefficacia di politiche di integrazione che permettano al migrante di imparare la lingua

del paese di insediamento e di usufruire di una situazione abitativa e sanitaria accettabile,

compromettono fortemente l’efficienza dei lavoratori.

• Il collegamento della possibilità di soggiorno esclusivamente con il contratto di lavoro, può

creare forti tensioni tra lavoratori nazionali sindacalizzati e lavoratori stranieri

1.2.5 Importanza della flessibilità del mercato del lavoro

Allo stesso modo di quanto avviene per le politiche migratorie, l’analisi comparata degli studi nord-

americani e nord-europei permette di evincere il precetto generale secondo cui: tanto più è

flessibile il mercato del lavoro tanto minore sarà la competizione tra stranieri e nazionali.

Tale regola pare sia collegabile a diversi aspetti della flessibilità del lavoro: sia a livello

contrattuale, sia salariale, ma in particolare la mobilità dei lavoratori sul territorio. Certamente tale

lettura, nell’affermare che maggiore è la flessibilità del lavoro, minore risulta la competizione tra

lavoratori nazionali e stranieri, pare dimenticare che maggiore è la flessibilità maggiore è la

competizione tra lavoratori in termini assoluti. Se i livelli di competizione tra i lavoratori sono già

talmente elevati da non risultare praticamente incrementabili, non ha senso parlare di un’ulteriore

competitività tra categorie di lavoratori (es. stranieri e nazionali, uomini e donne, giovani e anziani.)

14

L’analisi ricalca quella proposta dal Dossier Caritas 2003 ed è completata da considerazioni personali.

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21

1.3 Il caso italiano

In considerazione dei contesti dei singoli paesi si avranno dunque effetti di complementarità o

competitività. Nel caso dei paesi sud europei e in particolare dell’Italia, lo studio è particolarmente

complesso perché l’immigrazione è un fenomeno abbastanza recente ed esistono ricerche a carattere

principalmente locale.

Tuttavia l’analisi del mercato del lavoro, della flessibilità dei salari e delle politiche migratorie (i tre

fattori sopra identificati come significativi in questo ambito) pare far prevalere, in linea teorica, un

effetto competitivo dell’immigrazione, in particolare per quanto riguarda i lavoratori poco

qualificati.

Tale previsione è giustificata a livello teorico da diversi elementi di criticità che riguardano le

caratteristiche del paese, cioè:

• Politica migratoria inefficace nella selezione degli ingressi

• Difficile concertazione dei flussi di ingresso per lavoro tra Governo, Regioni e datori di

lavoro

• Ripetizione di sanatorie e regolarizzazioni

• Elevato tasso di disoccupazione

• Scarsa propensione alla ristrutturazione produttiva delle imprese incrementata

dall’eventuale presenza di manodopera straniera

• mobilità interna dei lavoratori causata dal sostegno familiare e dalla differenza di costo della

vita tra le varie zone che va a pareggiare gli svantaggi dovuti ai differenziali di

disoccupazione regionale

• alta incidenza del lavoro informale.

e le caratteristiche dei migranti15

:

• prevalentemente non qualificati o impossibilitati a lavorare utilizzando le proprie

competenze più elevate o i titoli di studio (difficoltà di riconoscimento e certificazione).

• concentrati nei settori di agricoltura, industria tradizionale, servizi

• impiegati in piccole e medie imprese che tendono a non rinnovare molto la produzione e a

limitare gli investimenti

L’insieme di questi fattori porterebbe a ipotizzare una competitività tra lavoratori stranieri e

nazionali che riguardi principalmente i lavoratori poco qualificati, le donne e i giovani.

Prendendo in esame come parametri per misurare la competizione i due fattori di riduzione del

salario e di occupazione, le ricerche empiriche si sono incaricate di verificare tali ipotesi teoriche. Il

risultato è stato sorprendentemente in contrasto con le previsioni, anche se nemmeno le ricerche

empiriche danno risultati sempre concordanti.

Dal confronto tra i permessi di lavoro e gli occupati suddivisi per provincia, si è infatti riscontrato

un effetto competitivo ma praticamente non significativo sui lavoratori nazionali poco qualificati,

nullo sui lavoratori qualificati. Per quanto riguarda l’ammontare dei salari si è addirittura verificato

un leggero aumento per i lavoratori nazionali.

Tale risultato è stato variamente interpretato con molteplici ipotesi di spiegazione, che ne

avvalorano o ne mettono in dubbio la validità.

• L’effetto riscontrato vale soltanto per quote di immigrati al di sotto della percentuale del

3%, con l’aumento di tale percentuali si farebbero più evidenti aspetti di competizione

• L’immigrazione in Italia è frutto principalmente di regolarizzazioni che hanno

semplicemente sanato situazioni di lavoro già in atto a livello informale

• La disoccupazione degli italiani riguarda principalmente lavoratori con alto tasso di

istruzione e non coinvolge i profili professionali coperti di migranti

15

Vedi anticipazioni dal dossier Caritas 2004 in allegato.

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22

• La notevole presenza di lavoro irregolare fa in modo che la competizione tra i lavoratori si

senta soltanto in questo settore che è praticamente al di fuori delle attenzioni degli studiosi

• La regolamentazione dei salari dovuta ai contratti di lavoro nazionali e al ruolo dei sindacati,

attenua gli effetti della competizione (anche limitando la flessibilità del lavoro a certi profili

professionali che più raramente riguardano gli stranieri).

• L’andamento demografico italiano e il cambiamento delle aspettative professionali dei

giovani, aumenta l’offerta di lavoro per le mansioni coperte dai migranti.

• Il vero effetto negativo dell’immigrazione sul mercato del lavoro non riguarda la

competizione diretta tra i lavoratori, ma un effetto aggregato di rallentamento della

modernizzazione produttiva che può in prospettiva innescare una disoccupazione

tecnologica (trovando sempre manodopera poco qualificata e poco costosa per mantenere

produzioni ormai poco vantaggiose e frenare la delocalizzazione della produzione). Per cui

l’immigrazione non incoraggia l’adeguamento della domanda di lavoro all’offerta nazionale.

In conclusione pare difficile fornire un’interpretazione univoca dell’impatto dell’immigrazione sul

mercato del lavoro, perché tale rapporto pare influenzato da variabili storiche, economiche, sociali,

territoriali complesse e quasi inestricabili. Tuttavia l’analisi teorica e quella empirica suggeriscono

di adottare politiche meno restrittive in ingresso per contrastare gli effetti del decremento delle

nascite e scoraggiare la dannosa immigrazione irregolare (migliorare la politica dei flussi e gli

accordi bilaterali), ma più selettive e più efficienti, in modo da favorire la completa integrazione

economica dei lavoratori stranieri regolari.

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23

2.Assimilazione salariale

Si tratta in questo caso di analizzare se il lavoratore immigrato raggiunga un profilo salariale

identico a quello dei lavoratori nazionali. In un regime di retribuzioni regolamentate esclusivamente

da contratti collettivi nazionali, con forte controllo sindacale e in assenza di lavoro nero, la

questione apparirebbe priva di significato16

.

In realtà, non limitando l’analisi ai soli lavoratori stranieri dipendenti, ma a tutti gli immigrati, in

ogni comparto occupazionale (p.e. anche i lavoratori autonomi) e in situazione di flessibilità

salariale, si riscontrano significativi contributi di riflessione.

Il dato che emerge ha un doppio valore che riguarda sia il successo dell’immigrato, sia il suo

impatto sulla spesa sociale. Infatti ad una maggiore assimilazione salariale corrisponde un maggior

successo personale e familiare (anche a livello di integrazione) e un minor peso sulla spesa sociale.

Si tratta allora di capire se il salario dei migranti sia o meno assimilato a quello dei nazionali e in

che tempi.

Posto che il salario dipenda dai seguenti “elementi costitutivi” del lavoratore stesso:

• Caratteristiche socio economiche

• Età

• Esperienza

• Numero di anni di residenza nel paese di destinazione,

gli studi condotti in materia hanno risultati contrastanti.

In alcuni casi è emersa una situazione di sovra-assimilazione salariale degli immigrati che, in breve

tempo raggiungono e superano il livello salariale dei lavoratori locali. Tale performance parrebbe

motivata dalla maggiore propensione al rischio17

e dal maggiore capitale umano degli individui che

migrano.18

In altri casi, prevalentemente quelli che utilizzano dati censuari diacronici, pare invece prevalere

una situazione di sotto-assimilazione salariale progressivamente decrescente, cioè più o meno

dipendente dalla durata della permanenza del migrante nel paese di destinazione.

Tale risultato contrastante si spiega con l’influenza di diversi fattori:

Tabella 9: fattori che influenzano l’assimilazione salariale dei lavoratori migranti

Fattore di assimilazione Cause del fattore

La diversa qualità delle coorti

di immigrati. In generale una

minore qualità dei migranti

intesa come capitale umano,

• Diverse politiche migratorie selezionano individui con

caratteristiche differenti

• La situazione economica dei paesi di provenienza cambia la

composizione nazionale dei lavoratori e ne consegue una

16

Oggi la posizione dei sindacati italiani in materia pare unitaria e consolidata, tuttavia non sempre si è verificata questa

situazione. In particolare Castles e Kosack (1976, pag. 138-139) parlano di un vero e proprio “dilemma dei sindacati”

che può essere così esplicitato: “i conflitti potenziali di interesse tra immigrati e lavoratori locali e i fattori che

ostacolano la crescita di una solidarietà tra i due gruppi determinano grossi problemi per i sindacati dei paesi di

immigrazione. Quando si teme che l’afflusso di nuovi lavoratori danneggi la forza lavoro locale mantenendo bassi i

salari, provocando eccesso di manodopera, offrendo, nel caso di conflitti, una forza di lavoro alternativa, i sindacati si

sentono spinti ad opporsi all’immigrazione. […] Ma anche una politica restrittiva è fonte di conflitto, poiché va contro i

principi dell’internazionalismo tradizionalmente radicato nel movimento operaio. Ideologicamente il rifiuto

dell’immigrazione appare dunque inaccettabile a tanti sindacalisti, spalleggiati dalla pretesta delle organizzazioni

sindacali di rappresentare tutti i lavoratori di un paese indipendentemente dalla nazionalità. […] E’ facile individuare un

carattere comune: dovunque i sindacati hanno chiesto la parità salariale tra immigrati e lavoratori indigeni. Con questa

rivendicazione si trattava di impedire che fosse più conveniente per i datori di lavoro usare manodopera immigrata.”17

Si vedano in proposito i dati sull’imprenditoria degli stranieri in Italia, analizzati nel rapporto congiunto CNA-

Caritas-Migrantes 2003.18

Spesso le famiglie del paese di provenienza tendono a “investire” risorse di tutta la comunità sul familiare che migra,

pertanto si tende a selezionare gli individui che paiono più preparati per tale esperienza, i “migliori”. Tale fenomeno

pare però riguardare principalmente la prima fase delle migrazioni.

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24

riduce l’assimilazione

salariale.

variazione della produttività. L’efficienza lavorativa è

influenzata dalla provenienza.

• La diversa motivazione (anche individuale) della migrazione

influenza il “tipo” di immigrati e la loro assimilazione.

Familiari ricongiunti, rifugiati politici e umanitari sono in

questo senso differenti da migranti lavoratori singoli anche

come “capitale umano”.

• I rimpatri di migranti non sono casuali

Condizioni economiche del

paese di insediamento• Immigrare in un paese in recessione significa raggiungere più

difficilmente l’assimilazione salariale con i lavoratori nazionali,

avere meno possibilità di lavoro e di carriera

Situazione strutturale del

mercato del lavoro nel paese

di destinazione

• i mercati del lavoro che privilegiano una maggiore capacità di

interrelazione e comunicazione tendono a svantaggiare i

lavoratori immigrati

• La presenza diffusa di lavoro informale attrae migranti in

questo comparto e rende difficoltosa l’assimilazione salariale

• La domanda e l’offerta di lavoro possono essere influenzate da

comportamenti individuali quali la discriminazione razziale,

sessuale, ecc.

Fattori di inclusione sociale e

formazione professionale dei

migranti

• La conoscenza della lingua del paese di destinazione

• L’accesso alla formazione professionale e all’istruzione nel

paese di destinazione

• L’istruzione e la formazione nel paese di provenienza

• Le condizioni di vita nel paese di destinazione (diritto alla casa,

all’assistenza sanitaria e sociale, ecc.)

• L’efficienza dei servizi per l’impiego e l’incrocio tra domanda

e offerta di lavoro

Tempo di permanenza nel

paese di destinazione• Aumentando la durata della permanenza nel paese di

destinazione accresce l’assimilazione salariale. Tale principio

non vale nel caso di permanenza inattiva o di permanenza in

condizioni di lavoro nero.

Dall’analisi di tutti questi fattori si evince che non esiste una risposta univoca al quesito posto, in

quanto essa è legata a diversi fattori inerenti: il capitale umano dei migranti, la congiuntura

economica la struttura del mercato del lavoro.

A parità di tali condizioni l’assimilazione salariale si raggiunge in termini di proporzionalità diretta

con il tempo attivo trascorso nel paese di destinazione

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25

3. Effetto dell’immigrazione sullo sviluppo economico.

Si tratta anche in questo caso di un tema di notevole importanza e di considerevole impatto

sull’opinione pubblica. Due visioni si scontrano da presupposti divergenti e sostengono la necessità

di politiche contrapposte. Da un lato i migranti sono dipinti come “indispensabili allo sviluppo

economico”, dall’altro sono accusati di essere un peso alla crescita e un fattore di riduzione del

tasso di sviluppo che comporta, oltre ad altre costose problematiche sociali, culturali e identitarie,

una diminuzione della ricchezza della popolazione del paese di destinazione. Sulla base di tali

interpretazioni del fenomeno migratorio si propende (soprattutto ai fini della determinazione di

diverse politiche migratorie) per il rifiuto o la richiesta di migranti. Come spesso accade tali

posizioni non possono essere sostenute unilateralmente senza concedere più del dovuto a

generalizzazioni improbabili e fuorvianti, che non tengono conto del fatto che non si può parlare

“generalmente” di migranti a prescindere dalle condizioni specifiche dei paesi di destinazione (per

non dire delle caratteristiche individuali).

In questo caso la “triste scienza” permette di ricondurre il dibattito sui sentieri della ragionevolezza.

Se pure l’analisi economica non è in grado di fornire risposte o indicazioni assolutamente univoche,

è almeno utile per delineare una cornice coerente in cui confrontare diverse impostazioni del

problema. Se non garantisce una visione nitida, suggerirà almeno dove guardare.

Ad una prima analisi si nota infatti che la trattazione del tema, non può essere condotta senza tener

conto di due fattori fondamentali:

• I vincoli specifici a cui è sottoposto il sistema produttivo del paese di destinazione

• Il livello dei capitale umano dei lavoratori stranieri inseriti nel sistema

Tenuto conto di tali variabili che influenzano qualsiasi analisi dell’impatto dell’immigrazione sullo

sviluppo economico del paese di destinazione, si dovranno identificare gli elementi che si

considerano costitutivi del concetto di “sviluppo economico”. Prima di fornire qualsiasi definizione

di tale concetto, così come di quello di “ricchezza” di un paese, è indispensabile ricordare che non

si devono considerare tali concetti come assoluti. In particolare la ricchezza di un paese non può

essere appiattita sull’ammontare del suo PIL, così come il valore di una persona non può essere

identificato con il suo reddito o il suo patrimonio.

Ciò detto, pur coscienti dell’arricchimento culturale, etico e sociale, fornito dal dialogo e dal

confronto tra persone di culture diverse, in questa sede ci limiteremo ad analizzare l’impatto

dell’immigrazione sullo sviluppo/crescita economica del paese di destinazione, intesa come la

sommatoria di due fattori:

1. incremento dello sviluppo tecnologico

2. crescita del reddito pro-capite del paese di destinazione = pil : popolazione

Pertanto si considererà se questi due fattori sono o meno influenzati dal fenomeno migratorio e in

che modo. Inoltre si proporrà un approfondimento sui temi

• imprenditorialitàlità e immigrazione in Italia

• le rimesse

3.1 Impatto sullo sviluppo tecnologico

Rispetto a questo tema, esistono teorie per cui la varietà di apporti culturali all’interno della società

multietnica ha automaticamente un impatto positivo sull’innovazione tecnologica prodotta da un

paese. Il caso si è posto principalmente in ambito Nordamericano ed è avvalorato dal fatto che la

maggior parte dei ricercatori universitari e industriali nei settori dell’informatica e delle nuove

tecnologie, sono di origine straniera (in particolare asiatici).

Tale ipotesi, per quanto apparentemente suffragata dall’osservazione della realtà, non è ancora stata

supportata da argomentazioni verificabili. Pertanto ci si limita in questa sede a sostenere che lo

sviluppo tecnologico del paese di destinazione può essere incrementato tramite una politica

migratoria selettiva, che tenda a privilegiare l’ingresso di lavoratori qualificati. Tale affermazione

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26

ha valore se si tiene conto della necessità degli investimenti, successivi alla migrazione, per

l’aggiornamento costante a contrasto della perdita di competenze.

Questo tipo di immigrazione selettiva, che può essere intesa come una sorta di “attrazione dei

cervelli”, non ha comunque una significativa ricaduta in termini demografici e sociali, perché

riguarda un numero relativamente ridotto di persone che si inseriscono in modo più o meno agevole.

3.2 Impatto sul reddito pro-capite

Il reddito pro-capite può essere utilizzato come indicatore del benessere della popolazione di un

determinato paese. Tuttavia non si tratta di un indicatore assoluto e univocamente interpretabile, in

quanto anche una sua riduzione, riportata in termini generici a livello nazionale, può significare, per

esempio,una segmentazione del mercato del lavoro e la possibilità di scegliere occupazioni meglio

retribuite (è il caso delle donne che, grazie alle “badanti” hanno accesso ad occupazioni più

gratificanti rispetto al lavoro tra le mura domestiche), cioè comporta un più alto reddito pro-capite

degli autoctoni e un reddito inferiore degli stranieri.

Ciò detto, varie analisi teoriche tendono a convergere sul principio secondo cui: poiché il P.I.L. è

funzione del capitale umano della popolazione lavorativa totale e del tasso di produttività di essa, si

evince che l’immigrazione “ha un effetto positivo per la crescita del reddito pro-capite del paese di

destinazione se il capitale umano dello straniero è superiore al capitale umano del nazionale,

viceversa se è inferiore”19

.

Ma allora l’immigrazione è un fattore positivo o negativo per la crescita economica?

Nel caso dei paesi europei si è calcolato che il capitale umano degli stranieri sia generalmente

inferiore a quello dei nazionali, fatto che provocherebbe una diminuzione del reddito pro-capite

(non necessariamente del reddito pro-capite dei nazionali però). Tuttavia l’impatto negativo di tale

inserimento di persone sul PIL pro-capite è inferiore a quello della crescita della popolazione

semplice, perché tale incremento è per definizione privo di capitale umano.

Queste ipotesi teoriche porterebbero dunque ad affermare che, in Europa, l’immigrazione potrebbe

produrre una diminuzione del reddito pro-capite, ma che tale riduzione è comunque connessa ad un

aumento della popolazione. Inoltre la diminuzione del reddito pro-capite potrebbe riguardare i

redditi di particolari settori della popolazione tra cui i migranti stessi e i lavoratori nazionali poco

qualificati.

La verifica empirica, delle ipotesi teoriche fornisce risultati contrastanti. Per quanto riguarda questa

materia non si sono reperite indagini inerenti il contesto italiano, per cui ci si limita a ricordare

alcune indicazioni tratte da altri contesti:

• le migrazioni qualificate possono aumentare il reddito pro-capite del paese di destinazione

• l’immigrazione comporta generalmente una riduzione del benessere/reddito pro-capite dei

lavoratori poco qualificati e delle loro famiglie

• l’inserimento, anche di lavoratori poco qualificati, in un sistema produttivo che fatica a

trovare lavoratori di quel genere, comportare necessariamente un aumento del PIL pro-

capite.

19

Venturini A. 2001

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27

3.3 Imprenditorialità e immigrazione in Italia

Per quanto riguarda l’Italia uno studio condotto congiuntamente dalla Caritas e dalla

Confederazione Nazionale dell’Artigianato (CNA) per l’elaborazione dell’annuale Dossier

Statistico riporta elementi interessanti per quanto riguarda il rapporto tra immigrazione e

imprenditorialità nel nostro paese20

.

La possibilità che un migrante diventi imprenditore è legata alla Legge 286/98 che elimina

precedenti vincoli fissati dalla normativa nazionale consentendo uno sviluppo di questo tipo di

immigrazione, sostanzialmente legata ai permessi di soggiorno per motivi di “lavoro autonomo”.

Questo tipo di attività tende ad avere un effetto positivo sull’economia del paese di insediamento e

generalmente coinvolge migranti non più giovanissimi (tra i 30 e i 49 anni) dotati di

• esperienza professionale

• risorse adeguate a per poter impostare un’attività in proprio.

Questi lavoratori tendono a costituire più società di persone che società di capitali, che

presuppongono il possesso di risorse economiche ancor più consistenti. In un certo modo si può dire

che la creazione di aziende diventa una forma di soluzione avanzata a problemi di tipo

occupazionale, una forma che sta prendendo sempre più piede dagli anni ’90 in poi divenendo un

canale di inserimento sempre più percorso in alternativa al lavoro dipendente. A tal proposito lo

studio citato afferma che21

“Il mercato occupazionale italiano offre sempre nuovi spazi agli

immigrati, considerato che spetta loro una ogni otto assunzioni e quasi un quarto dei nuovi posti di

lavoro. Tuttavia, il settore del lavoro dipendente presenta molti aspetti problematici, sia per quanto

riguarda la continuità del rapporto che il riconoscimento delle qualifiche e la conseguente

gratificazione. Sono queste le ragioni per cui molti preferiscono la “via autonoma” all’occupazione,

diventando imprenditori.

Alcuni riprendono così le esperienze già fatte nei paesi di origine; mentre per altri si tratta di una

scelta innovativa e frutto di intraprendenza, maturata a contatto con il contesto italiano. Il cosiddetto

“lavoro autonomo” è un settore molto diversificato: collaborazioni occasionali, collaborazioni

coordinate e continuative , che talvolta si configurano come una incipiente forma imprenditoriale e

altre volte servono solo a mascherare un rapporto di lavoro dipendente e iniziative imprenditoriali

formali, debitamente registrate presso le Camere di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato.

Si usa definire questa variegata realtà come “imprenditoria etnica”, anche se le imprese sono

talvolta miste e se, più che offrire servizi al gruppo di appartenenza, si rivolgono al mercato nel suo

complesso, come del resto è prevedibile nel normale sviluppo del processo di integrazione. Un

panorama simile, caratterizzato dall’autoprotagonismo, si sta diffondendo in tutta Italia, sia nelle

grandi che nelle piccole regioni.”

Oggi gli immigrati imprenditori in Italia sono in costante crescita (peraltro con un’incidenza di

imprenditorialità sulla popolazione attiva nettamente maggiore di quella italiana), anche se il loro

numero non è facilmente quantificabile. I dati forniti da Infocamere (archivio statistico delle

Camere di Commercio) riguardano infatti le registrazioni alle Camere di Commercio di persone

nate in paesi stranieri e non di attuale cittadinanza estera (54.785 titolari di impresa a cui si

aggiungono tutti i soci), pertanto inglobano tutti gli italiani nati fuori dai confini. Tale dato può però

essere intrecciato con quello fornito dal Ministero dell’Interno, che riguarda i permessi di soggiorno

concessi a migranti per motivi di lavoro autonomo imprenditoriale o professionale (89.498 cittadini

stranieri nel 2002). Il risultato fornisce un quadro significativo, che vede prevalere questo tipo di

immigrazione nel Nord Italia, con particolare riferimento a Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte

(le prime tre regioni in termini numerici), ma interessa anche il Centro in Toscana e Lazio.

20

CNA-Caritas 200321

CNA-Caritas 2003 pag.2

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28

Tabella 10 imprenditoria straniera in Italia

Questo tipo di immigrazione tende a produrre un impatto positivo sul paese di insediamento e, per

quanto riguarda l’Italia, i lavoratori autonomi sono circa un ottavo di tutti i soggiornanti per motivi

di lavoro. Questo dato pare ricalcare la vocazione del nostro paese alla microimprenditorialità, quasi

che i migranti si adattassero alla realtà di insediamento mutuandone i modelli economici anche

quando essi sono diversi da molti altri paesi occidentali.

L’incidenza di lavoratori autonomi per nazionalità mostra alcune discrepanze rispetto al dato

demografico sulla provenienza degli stranieri come mostra la seguente tabella:

Tabella 11: incidenza dei migranti con lavoro autonomo

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29

che evidenza una particolare “propensione all’imprenditorialità” per cinesi e senegalesi, La

percentuale di imprenditori di questi paesi è infatti percentualmente più consistente di quanto non

sia la loro percentuale sul totale dei soggiornanti. Ciò non significa che si debba abbinare

sistematicamente un gruppo nazionale ad una determinata attività economica, indulgendo allo

stereotipo che vede sempre il ristoratore cinese, il muratore albanese, la badante ucraina. Tuttavia si

può notare che i nordafricani sono maggiormente presenti nel settore della ristorazione, i cinesi

nelle attività commerciali, i pakistani nell’ambulantato e nelle piccole attività commerciali.

Tra i settori di lavoro prevale il commercio al dettaglio, seguito dalle costruzioni e, a maggiore

distanza dall’abbigliamento e dai servizi tecnici.

Tabella 12 imprenditoria straniera per settore di attività

Una prima analisi di questi dati spinge ad affermare che un paese che desidera migliorare l’effetto

economico dell’immigrazione sul proprio sviluppo economico dovrà incentivare l’imprenditorialità

degli stranieri. Tale operazione non solo costituirà in indubbio vantaggio per il paese di

stanziamento, ma potrà favorire un proficuo inserimento sociale e lavorativo dei migranti (anche per

questo lo studio Caritas-CNA propone di incentivare l’imprenditoria legata alla mediazione

culturale che ha una notevole utilità sia dal punto di vista economico sia da quello sociale).

Per muoversi in questa direzione oltre ad incentivare la propensione dei migranti

all’autoimprenditorialità un paese dovrà rimuovere o almeno smussare tutti quegli ostacoli

burocratici, amministrativi e finanziari che già vessano gli imprenditori nazionali, ma possono

risultare ostacoli insormontabili uno straniero. In particolare:

• facilitare le pratiche amministrative per gli stranieri

• favorire con appositi sportelli e materiali informativi in più lingue gli aspiranti imprenditori

di origine straniera

• affrontare il problema del difficile accesso al credito (in particolare il problema delle

garanzie, spesso particolarmente gravoso per gli immigrati)

• iniziative di formazione professionale e assistenza professionale

3.4 Le rimesse

Come si è visto fino a qui i migranti hanno dunque un ruolo economico significativo nel paese di

insediamento di cui concorrono a creare la ricchezza. Non a caso vengono sempre più percepiti

come consumatori, affittuari, acquirenti di immobili, clienti delle banche, promotori di imprese. In

questo senso essi risultano un fattore rilevante per la crescita economica del paese che li ospita.

Tuttavia un ulteriore elemento di interesse è quello che riguarda il flusso di ricchezza che viene

inviato dai migranti verso il paese di provenienza: le rimesse.

Le rimesse sono essenzialmente costituite da:

• trasferimenti finanziari ufficiali

• trasferimenti finanziari non ufficiali

• acquisto e invio di beni direttamente nel paese di partenza

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• trasferimenti tramite un sistema di compensazione finanziaria, per cui l’immigrato paga nel

paese di destinazione per spese di connazionali che trasferiscono l’ammontare equivalente ai

familiari nel paese di origine (canale usato quando il mercato dei cambi subisce restrizioni).

Negli anni ‘60 le rimesse degli italiani all’estero hanno costituito l’1% del PIL nazionale e si è

registrato un aumento nel flusso fino al 1989. Il flusso delle rimesse segue infatti quello delle

migrazioni con un ritardo di venti o trenta anni. In proposito si pensi che, per quanto riguarda

l’Italia, il flusso stimato delle rimesse in uscita ha superato quello in entrata soltanto nel 1997.22

La

seguente tabella evidenzia le destinazioni dei flussi di oggi.

Tabella 13 Rimesse in uscita dall’Italia

L’ammontare di tali rimesse è comunque abbondantemente sottostimato in quanto a tutt’oggi, si

dispone esclusivamente dei dati relativi alle somme inviate attraverso alcuni canali regolari come le

banche, mentre non si conoscono le cifre che transitano attraverso altri canali regolari: ad esempio,

non risulta che le rimesse inviate tramite le poste vengano scorporate da altre operazioni ed

evidenziate come tali. La rilevazione manca anche per gli invii effettuati tramite i diffusi servizi di

money transfer. Tenuto conto di ciò, gli studiosi del settore sono concordi nell’affermare che il

valore totale di questo flusso di denaro sia pari almeno al doppio di quello registrato dai canali

ufficiali.

L’interpretazione di tale fenomeno non è univoca; tuttavia se da un lato, in accordo con lo studio

“Le rimesse: l’immigrato come operatore economico” condotto da Caritas Migrantes nel 2004

all’interno di un progetto Equal, possiamo affermare che “gli immigrati diventano, attraverso i loro

risparmi, dei veri e propri promotori per lo sviluppo. Dall’altro è questo un motivo di speranza

nell’attuale scenario dell’economia mondiale, che riserva ai paesi meno sviluppati scarse attenzioni.

Nel passato si tendeva a minimizzare il ruolo di questo flusso monetario, anche se

complessivamente di proporzioni ingenti (il secondo dopo il petrolio); successivamente, una

riflessione più attenta ne ha rivalutato il ruolo e così oggi risulta evidente che l’immigrazione non è

un’alternativa allo sviluppo ma comunque è essa stessa un fattore di sviluppo”

Tuttavia, poichè il presente studio riguarda l’effetto dell’immigrazione sui paesi di destinazione si

dovrà comunque ricordare che le rimesse influiscono sulla bilancia dei pagamenti nazionali, per cui

l’uscita di rimesse equivale a una importazione, mentre l’entrata a una esportazione. Dal punto di

vista della bilancia dei pagamenti risultano pertanto favoriti i paesi di origine rispetto ai paesi di

destinazione.

Le rimesse costituiscono una riserva di valuta pregiata per molti paesi in via di sviluppo e uno un

fattore essenziale dell’investimento economico in quei paesi. Per tale motivo tale flusso di denaro

può limitare l’impoverimento e disincentivare ulteriori migrazioni di tipo “umanitario”.

22

Le rimesse: l’immigrato come operatore economico. Convegno Caritas-Migrante nov.2004

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31

4. Impatto dell’immigrazione sulla spesa sociale.

E’ questo uno dei temi chiave intorno cui si concentra una parte del dibattito sui costi e i benefici

dell’immigrazione. Per diverse esigenze e convinzioni spesso di parte, i migranti vengono presentati

a volte come i salvatori del welfare, fonte di grandi entrate che corroborano la finanza pubblica,

altre volte come un peso aggiuntivo in grado di affossare lo stato sociale e peggiorare i servizi per i

cittadini.

Anche in Italia si confrontano queste due impostazioni. In proposito, basti ricordare le affermazioni

seguite alla recente regolarizzazione prevista dalla L. 189/02 (Bossi-Fini), secondo cui il flusso di

denaro incamerato dallo Stato a seguito di più di 700.000 richieste (e conseguenti pagamenti

forfettari), aveva reso possibile il miglioramento del bilancio dell’Inps e procrastinabile la riforma

delle pensioni23

. Viceversa è sufficiente visitare un ufficio iscrizioni scolastiche o uno sportello per

la prenotazione di visite mediche specialistiche, per sentire recriminazioni sull’assegnazione di

troppi posti-asilo ai figli degli immigrati, o incolpare gli stranieri delle eccessive attese.

Lasciamo ad un successivo approfondimento la questione inerente l’impatto dell’immigrazione sul

sistema pensionistico. In proposito ci limitiamo in questa sede a ricordare che, anche in questo

ambito, le politiche migratorie hanno un’importanza strategica. In particolare è fondamentale capire

se al lavoratore straniero è concessa o meno la possibilità di ritirare i contributi versati nel paese di

insediamento, ma anche se questa possibilità è concessa al momento esatto in cui si lascia il paese,

oppure al raggiungimento dell’età minima pensionabile.

Si cercherà allora di indagare se l’ammontare complessivo incassato dallo Stato a seguito del

pagamento di tasse, imposte e contributi, da parte dei cittadini stranieri, sia maggiore o minore

dell’ammontare complessivo erogato dallo Stato in termini di versamento di contributi e indennità,

utilizzo dei servizi e dei beni pubblici, agli stessi cittadini.

L’argomento è accattivante e la risposta al quesito di base si presta ad essere identificata come uno

degli elementi essenziali per schierarsi a favore o contro le opinioni che definiscono l’immigrazione

utile o dannosa. Tuttavia anche in questo caso la questione è mal posta. In particolare essa sconta

quel difetto si generalizzazione che può essere addebitato alla gran parte delle discussioni che

riguardano il fenomeno migratorio. Infatti anche in questo caso parlare di “stranieri” in termini

generali non ha senso, se non si può specificare chi siano effettivamente questi stranieri. E’ del tutto

intuitivo che l’impatto dell’immigrazione sulla spesa sociale del paese di destinazione è legato a

numerose variabili:

1. Età e genere dei migranti.

2. Provenienza nazionale: gruppi di diverse nazionalità si caratterizzano per un diverso approccio

al welfare24

3. Composizione delle coorti: cioè se i flussi siano composti principalmente da giovani maschi

lavoratori, da famiglie, da donne sole con i figli, ecc.

4. Immigrazione diretta dal paese di origine a quello di destinazione o immigrazione per gradi con

soste in paesi di transito lungo il percorso migratorio,

5. Ruolo, consistenza e integrazione della comunità nazionale del paese di provenienza nel luogo

di insediamento, con conseguente possibilità di conoscere e utilizzare i servizi.

L’indagine di queste variabili dimostra come la questione dell’impatto dell’immigrazione sul

sistema sociale del paese di destinazione non possa avere una risposta univoca, perché essa dipende

dal ciclo di vita dei migranti in entrata e in uscita, piuttosto che da dati assoluti, oggettivi e

generalizzabili.

Nonostante ciò alcuni paesi in cui l’immigrazione è un fenomeno di più lunga durata (Es, U.S.A.,

Canada, Germania, Svizzera e Australia), hanno provato ad analizzare l’argomento da questo punto

23

Sito www.stranieriinitalia.com : rassegna stampa24

Es.: i dati INAIL sopra riportati possono essere considerati un esempio di questa teoria, m anche i dati relativi alla

spesa dei servizi sociali dell’Emilia Romagna a favore dei cittadini stranieri pare avvalorare tale ipotesi.

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di vista, senza tuttavia ottenere risultati univoci. Tuttavia la conclusione più comune di queste

ricerche è che l’immigrazione abbia un effetto positivo o neutro sul sistema dello stato sociale. Ciò

significa che l’insieme dei versamenti da parte di stranieri è maggiore o uguale all’ammontare delle

erogazioni e che l’uso dei servizi da parte dei nazionali non sia diverso da quello dei migranti.

Si è pero notato un ulteriore fenomeno. Se infatti le migrazioni del passato erano caratterizzate da

un saldo molto positivo per il paese di accoglienza, oggi questo dato è fortemente ridimensionato.

Questo fatto può essere ricondotto essenzialmente al mutamento della “qualità” dei migranti, in

particolare alla trasformazione delle motivazioni alla migrazione. In particolare:

1. Se l’immigrazione per vari motivi di lavoro (autonomo, parasubordinato, dipendente, ecc.) di

maggiore o minore durata (stagionale, determinato, indeterminato, ecc,) tende ad avere un

effetto positivo sulla spesa sociale, l’immigrazione per ragioni umanitarie (asilo politico, cure

mediche, calamità, ecc) comporta chiaramente un maggiore onere da parte del welfare.25

All’aumentare della seconda, gli effetti della prima risultano fortemente ridimensionati.

L’equilibrio tra le due componenti può comunque essere influenzato da ragioni storiche, sociali

e geografiche.

2. Si è cominciata ad identificare un’immigrazione che ha come movente proprio lo sfruttamento

del welfare presente nel paese di destinazione (es. minori stranieri non accompagnati, persone

con patologie contratte in patria ma curabili solo all’estero, donne incinte, ecc)

A tali variabili già significative, si aggiungono quelle relative ai diversi paesi di destinazione dei

migranti, in particolare relativamente a:

� Tipo di welfare: cioè quali garanzie esistono per il cittadino e come vengono organizzate, quale

l’ammontare del prelievo per il mantenimento di tali garanzie.

� Politiche migratorie dei diversi paesi (basti pensare in Italia alla questione relativa alle

prestazioni sanitarie per clandestini e irregolari, ovvero all’estensione delle cure mediche

esigibili con tesserino STP)

� Diverse possibilità di accesso al welfare per nazionali e stranieri, che estendono o meno agli

immigrati i diritti di cittadinanza sociale.

Il numero di variabili in campo, la posizione geografica, le frequenti trasformazioni della normativa

in materia migratoria, la scarsezza di dati statistici dovuta al fatto che il fenomeno migratorio è

recente, l’importanza delle grandi regolarizzazioni nella composizione/variazione della popolazione

straniera, rendono l’Italia un paese in cui è molto difficile determinare l’effetto dell’immigrazione

sulla spesa sociale. Mancano infatti ricerche specifiche, complessive e affidabili su scala

nazionale26

.

Ogni ricerca in materia non potrà comunque limitarsi al semplice confronto tra pagamento di tasse e

servizi erogati, perché dovrà considerare la grande spesa dovuta alla gestione dell’immigrazione

clandestina e alla consistenza del lavoro sommerso, che da un lato aumentano i costi e dall’altro

diminuiscono i benefici economici per lo Stato. In particolare si dovranno tener presenti27

:

� Costo del controllo delle frontiere e dell’immigrazione clandestina

25

E’ ovvio che questo tema ha importanti implicazioni morali e che non ci può fermare, in questo come in altri ambiti,

ad una cruda analisi in termini di costi e benefici. I problemi connessi alle persecuzioni politiche e religiose, alle guerre,

alla fame, alle carestie, alle epidemie, sono di una gravità imprescindibile e trascendono per importanza qualsiasi

considerazione di tipo economico. Tuttavia in considerazione dello specifico argomento della ricerca non si

approfondiranno tali aspetti in questa sede per quanto essi siano essenziali.26

In questa sede si è cercato di impostare un calcolo anche sono indicativo, ma l’impresa è risultata impossibile perché

occorrerebbe sommare: finanziamento previsto dal Testo Unico compresi i fondi per i CTP e i costituendi centri di

identificazione + Finanziamenti delle singole leggi regionali, finanziamenti dei Comuni + quota-spesa relativa agli

stranieri per: servizi sociali, sanitari, ospedalieri, scolastici, ecc. + spesa per sicurezza, carcere, espulsioni coatte + oneri

degli accordi bilaterali con i paesi di emigrazione (?) + Piano Nazionle Asilo + fondi per la casa, alloggi ERP, ecc.27

Il quadro sintetico qui riportato prende il via dall’analisi della normativa nazionale in Di Maio L., Proto M.,

Longarzia M.C., Manuale di legislazione sugli stranieri, Laurus Robuffo Roma 2004

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� costo della permanenza in centri di accoglienza e identificazione

� costo delle espulsioni

� costo degli accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti

� costo del riconoscimento di diritti sociali a clandestini e illegali

� mancato versamento di contributi e tasse da parte dei datori di lavoro che impiegano

irregolarmente stranieri

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5. L’impatto degli stranieri sulla struttura demografica e sul sistema pensionistico.Anche un questo caso si tratta di un argomento di notevole importanza, specialmente in Italia dove

il grande numero di pensionati, l’elevata spesa previdenziale e le riforma del sistema pensionistico,

costituiscono uno dei temi più caldi del dibattito politico e un fattore di tensione sociale. La

questione si pone in due aspetti fondamentali: quello demografico e quello economico. Da sempre

le migrazioni sono influenzate da ragioni demografiche: per esempio esse hanno costituito una

valvola di sfogo per paesi in cui un’eccessiva crescita della popolazione non era supportata da una

sufficiente crescita economica, e una preziosa risorsa per gli stati che volevano incrementare la

popolazione, (anche se oggi paiono prevalere le migrazioni economiche o politiche). Il quesito che

si pone è se l’immigrazione possa essere un fattore significativo in ambito demografico e quindi

previdenziale, se lo sia in termini positivi o negativi, e quale tipo di immigrazione sia preferibile in

considerazione dell’effetto che si desidera ottenere.

Per affrontare un approfondimento in materia è necessario precisare alcuni concetti chiave:

• Pensioni a ripartizione. E’ il sistema pensionistico più utilizzato nei paesi a sviluppo

avanzato e prevede che le pensioni erogate nel presente siano finanziate con i contributi

versati dai lavoratori nello stesso periodo. La condizione di funzionamento di tale modello è

che il numero di pensionati non sia superiore a quello dei lavoratori contribuenti, o meglio

che l’ammontare dei contributi versati dai lavoratori non sia inferiore a quello erogato ai

pensionati.

• Tasso di dipendenza. E’ il rapporto tra popolazione in età lavorativa e popolazione in età

pensionabile, il cui valore ottimale è 3.

• Tasso di sostituzione. E’ quello che permette alla popolazione di restare costante,

realizzando un equilibrio tra le nascite e i decessi, ovvero tra il numero di nuovi cittadini (in

questo senso gli immigrati corrispondono a “nuove nascite”) e quello dei morti.

• Caratteristiche demografiche della popolazione di un paese. Tali caratteristiche forniscono

un quadro significativo dal punto di vista demografico e sono: composizione delle coorti di

età, distribuzione percentuale tra i sessi, tasso di fertilità.

Ciò detto, si nota che le migrazioni di oggi tendono a configurarsi come spostamenti di persone

tra paesi con caratteristiche demografiche opposte. In particolare in uscita da stati con alti tassi

di natalità e percentuali elevate di giovani tra la popolazione, verso paesi con un gran numero di

anziani (peraltro con aspettative di vita in ulteriore crescita) e tassi di fecondità in diminuzione.

In questo senso l’immigrazione può essere giustamente considerata un fenomeno utile a

contrastare l’invecchiamento della popolazione e conseguentemente a fornire un essenziale

contributo alla spesa pensionistica.

Tale conclusione è valida se sono soddisfatti due presupposti:

1. che gli immigrati in arrivo siano in età lavorativa,

2. che il tasso di fecondità degli immigrati sia più elevato di quello degli autoctoni e che, in

caso positivo, esso si mantenga tale tendenza nel tempo.

Gli studi in materia forniscono ulteriori indicazioni. In particolare se si dovesse contrastare

l’invecchiamento della popolazione e contribuire alla spesa pensionistica soltanto con la continua

immissione di lavoratori immigrati, il numero di tali persone dovrebbe essere esorbitante. Inoltre,

sul lungo periodo, si renderebbe necessario un ulteriore apporto di immigrati che sostituiscano

quelli che nel frattempo invecchiano.28

Viceversa il radicamento nel paese di destinazione, a parità di ritorno contributivo, garantisce che il

positivo apporto fornito dall’immigrato in termini di ringiovanimento della popolazione, sia

ulteriormente consolidato dagli effetti del maggiore tasso di fertilità.

Pertanto un paese in forte invecchiamento e gravato da una elevata spesa pensionistica, che desideri

raggiungere un equilibrato tasso di dipendenza e una popolazione costante, deve incoraggiare

28

Questo è il vizio delle politiche migratorie che considerando l’immigrato un “ospite temporaneo” e ritengono che egli

debba tornare in patria una volta esaurito il suo periodo lavorativo nel paese di insediamento.

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un’immigrazione di giovani lavoratori e lavoratrici, favorendone il radicamento. Sembra essere il

caso dell’Italia.

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36

6 Importanza delle politiche migratorie nel determinare l’impatto economico

dell’immigrazione sul paese di destinazione

Da quanto emerso fin qui, pur con i limiti dell’analisi condotta, si evince che non esiste una risposta

univoca alla questione relativa all’impatto economico dell’immigrazione sul paese di destinazione.

Troppe sono le variabili in campo indipendenti dal fenomeno migratorio: la congiuntura economica

mondiale, il ruolo del paese di insediamento nel mercato globale, il tipo di mercato di lavoro, il

tasso di sviluppo tecnologico, la modernizzazione delle imprese e le loro dimensioni, l’incidenza

del lavoro sommerso.

Inoltre l’immigrazione è un fenomeno complesso, trasversale a diversi aspetti dell’economia del

paese di destinazione, per cui un medesimo evento può avere, nello stesso tempo, sia effetti positivi

sia negativi. Ad esempio il radicamento dei migranti è utile dal punto di vista previdenziale e

demografico, ma molto costoso dal punto di vista della spesa sociale per la presenza dei familiari

ricongiunti e per l’elevato tasso di natalità (lo stesso dicasi per l’imprenditoria etnica e le rimesse in

uscita).

Risulta dunque impossibile arrivare ad una generalizzazione che possa affermare definitivamente se

l’apporto economico dell’immigrazione al paese di insediamento sia soltanto positivo o soltanto

negativo. In effetti si trattava di una pretesa irrealizzabile fin dall’inizio. Tuttavia è possibile

identificare quali siano le condizioni che un paese meta di flussi di migranti deve predisporre,

affinché gli arrivi non siano nocivi per la propria economia. Si tratta in questo caso di definire

politiche migratorie coerenti con gli obiettivi che si vogliono raggiungere dal punto di vista

economico.

In questo paragrafo si definiranno alcune linee per allineare i mezzi ai fini, gli obiettivi alla

normativa, con particolare riferimento alla realtà italiana. E’ peraltro evidente che:

• molto spesso le politiche migratorie sono elaborate sulla spinta di dettami ideologici o prese

di posizione demagogiche, più che sulle reali esigenze del paese di insediamento. Non a

caso il testo unico sull’immigrazione italiana è criticato in eguale misura dai sindacati e da

confindustria.

• L’immigrazione è un fenomeno planetario che ha le proprie radici nell’ineguale

distribuzione di risorse a livello mondiale, nella globalizzazione del mercato, nel

perfezionamento delle comunicazioni e nell’impossibilità da parte di alcuni paesi di fornire

lavoro e mezzi di sostentamento proporzionati alla crescita demografica. Ogni politica che

preveda una totale chiusura alle migrazioni risulta utopica (e probabilmente

controproducente), non esiste la possibilità di rifiutare in termini assoluti l’immigrazione, si

può cercare di governarla al meglio.

• In considerazione dell’andamento demografico italiano l’immigrazione è semplicemente

necessaria più che auspicabile o rifiutabile.

6.1 Le politiche migratorie e i loro limiti

Come si è visto la politica migratoria di uno Stato ha il compito di gestire il fenomeno migratorio

nei sui aspetti di: accesso, permanenza e espulsione dal paese, nonché di integrazione sociale,

culturale e lavorativa. Si tratta di argomenti particolarmente controversi per una molteplicità di

ragioni:

• le migrazioni sono un fenomeno molto complesso, in cui intervengono numerose variabili

endogene ed esogene, per cui è difficile anticiparne le evoluzioni e adeguare la normativa a

tali mutamenti

• non sempre è possibile e mai facile comprendere le effettive necessità di un paese rispetto

all’ingresso di migranti

• determinati strumenti che possono essere adottati a seguito di certe scelte di politica

migratoria (espulsioni, controllo frontiere, identificazione e trattenimento dei clandestini,

ecc.) contrastano con i valori e principi fondanti degli Stati verso cui l’immigrazione è

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37

destinata. Per cui essi risultano inapplicabili, estremamente costosi o eticamente e

costituzionalmente inaccettabili

• la presenza di migranti oltre una determinata soglia percentuale (che pare essere intorno al

10%) può innescare forti tensioni sociali e richiede costose forme di adeguamento della

società e del welafare ai “nuovi cittadini”.

• stesse politiche migratorie possono avere conseguenze diversissime in paesi simili e

viceversa (anche a causa di implicazioni culturali e sociali)

• ragioni umanitarie e di diritto internazionale, impediscono in determinati periodi storici di

attuare politiche migratorie in autonomia

• ragioni esterne ad un paese possono determinare una pressione migratoria crescente su di

esso, vanificando gli sforzi delle politiche migratorie (si pensi a guerre, epidemie, crisi

economiche e sociali, ecc.).

Ogni paese che desideri adottare una politica di gestione dei flussi migratori, dovrà tener ben

presente questi aspetti problematici e prepararsi ad affrontare alcune difficoltà ineliminabili. Si dà di

seguito una sintesi di alcuni aspetti problematici senza ripetere quelli già evidenziati alle pagine 19,

21, 35 a proposito di impatto sul mercato del lavoro e sulla spesa sociale.

6.1.1.Difficoltà di controllare gli accessi.

L’esigenza di limitare o selezionare gli accessi si scontra con: diritti inalienabili dell’individuo,

principi fondamentali dello stato democratico, diritti acquisiti dagli stranieri e riconosciuti da trattati

internazionali.

Inoltre risulta particolarmente complesso e costoso il controllo delle frontiere, specialmente in quei

paesi, come l’Italia, che hanno vasti confini costieri (7400 km.) e si trovano a contatto con aree

geografiche di forte emigrazione (Balcani e Nordafrica) o di partenza di migranti (Libia).

Da ultimo l’immigrazione di persone che richiedono lo status di rifugiato politico è difficile da

controllare a cause delle implicazioni morali di questa forma di accoglienza e delle difficoltà di

valutazione rispetto alle singole istanze.

6.1.2 Difficoltà nella riduzione delle presenze

Un paese che desiderasse ridurre il numero di migranti presenti sul proprio territorio per adeguarlo

alle mutate priorità politiche, economiche, sociali o religiose, dovrà affrontare numerose difficoltà

non solo in termini etici e sociali, ma anche dal punto di vista dell’efficacia delle misure che intende

prendere. Il tema è sintetizzabili in tre elementi fondamentali:

• espulsione di migranti clandestini o illegalmente presenti

• rimpatrio di migranti regolarmente presenti, di cui il paese di insediamento ritiene di non

aver più “bisogno”

• limitazione del numero di stranieri presenti in un paese tramite politiche di naturalizzazione

Per quanto riguarda l’espulsione di clandestini e irregolari si avranno problemi di tipo etico e

umanitario, si pensi in proposito alla polemica rispetto alle misure semidetentive previste dall’Italia

all’interno dei Centri di Permanenza Temporanea, o alla difficile credibilità di un “reato di

clandestinità” semplicemente legato alla permanenza di una persona in un luogo senza il

compimento di alcuna azione censurabile. Inoltre si dovranno considerare le notevoli spese per i

rimpatri dovute a mezzi e persone impegnate in questi compiti. Ad oggi le espulsioni coatte paiono

un metodo costoso e discutibile per contenere il numero di immigrati illegali, peraltro ben più

inefficace di quanto non siano politiche concertate di determinazione dei flussi in ingresso.

Per quanto riguarda il rimpatrio di migranti già presenti nel paese ma considerati in eccesso per vari

motivi, ogni politica di incentivazione al rientro (es. Francia e Portogallo) sia che si basi sui

contributi economici, sia sulla promozione dell’imprenditorialità nel paese di partenza, non può che

scontrarsi con la volontà del singolo migrante, in cui quella politica trova il proprio limite. In

sostanza non si ottiene nulla se il migrante non ha già ipotizzato un rientro o non vede alcun tipo di

possibilità di inserimento nel mercato del lavoro del paese di origine. Elementi preliminari per

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l’impostazione di ogni iniziativa in questo ambito sono comunque: la possibilità di capitalizzare gli

accantonamenti pensionistici e l’accesso limitato ai sussidi di disoccupazione. Un ulteriore possibile

terreno di collaborazione per i rimpatri, può essere individuato nella collaborazione con i datori di

lavoro che, una volta concluso il rapporto in essere e trascorso il tempo necessario per tentare il

reinserimento lavorativo, si prendano carico dei costi del rientro.

Le naturalizzazioni, da alcuni viste come un mezzo per ridurre il numero di migranti presenti in un

paese, giocano in realtà sul concetto di straniero, definendo in modo più o meno arbitrario chi lo è o

non lo è. Tali misure paiono più una forma di “cosmesi” che un modo per ridurre realmente il

numero di immigrati nel territorio, anche se per certi versi possono essere considerate una presa di

coscienza della mutata composizione della società.

6.1.3 Difficoltà dovute al sistema produttivo e al mercato del lavoro

Un paese come l’Italia in cui persistono condizioni del sistema produttivo e del mercato del lavoro

tali da consentire l’impiego di manodopera irregolare, non si può chiedere alle sole politiche

migratorie di mutare questo aspetto dell’economia. E’ dimostrato che i migranti sono

frequentemente coinvolti in forme di lavoro irregolare che comportano un inaccettabile

sfruttamento, un’anomalia del sistema produttivo e un rischio in termini di reclutamento da parte

della malavita organizzata. Questo fatto non è da imputarsi tanto ai migranti quanto al paese di

insediamento, ogni politica migratoria che si ponga l’obiettivo di gestire l’immigrazione dovrà

comunque tenerlo ben presente (senza considerare che politiche migratorie restrittive favoriscono

l’immigrazione clandestina).

6.2 Principi fondamentali delle politiche migratorie

Si cercherà in questo paragrafo di evidenziare alcuni principi che dovrebbero essere contenuti nelle

politiche migratorie di un paese di accoglienza. Si sottolinea comunque che tali principi non sono da

considerarsi “assolutamente validi”, ma solamente incoraggiabili per ottenere un effetto

economicamente positivo dell’immigrazione sul paese di insediamento.

Prima di esporre alcune idee in materia, è comunque necessario affermare che esistono tre

prerequisiti essenziali che sono condizione necessaria, ma non sufficiente, al successo di ogni

politica migratoria:

1. una struttura adeguata alla gestione del fenomeno migratorio e alle sue dimensioni. Questo

significa, personale, risorse economiche, competenze e modalità di lavoro, tali da rendere

attuabili le politiche migratorie. Tale presupposto nasce dal riconoscimento

dell’immigrazione come fenomeno sociale di lunga durata (almeno trenta o quaranta anni)

che non può dunque essere gestito con una logica di emergenza e forze risicate. Tipici

esempi di questo atteggiamento sono: la carenza di strutture di accoglienza, raccolta (CTP) e

identificazione, le scarse forze a disposizione delle forze dell’ordine per le espulsioni, la

delega alle Questure alla gestione dei permessi di soggiorno senza adeguamenti significativi

del personale, le lungaggini nella produzione di regolamenti attuativi delle leggi

sull’immigrazione.

2. La coerenza della politica migratoria con la politica estera, in particolare per quanto riguarda

gli accordi con paesi di emigrazione, con i paesi U.E., con i paesi di provenienza di italiani

espatriati in passato.

3. La lotta al lavoro nero e all’evasione fiscale e contributiva sono obiettivi prioritari del

risanamento di ogni sistema produttivo e mercato del lavoro, essi devono essere tenute ben

presenti ance in fatto di politiche migratorie.

6.2.1 Accesso ed espulsione

Per poter più agevolmente impostare una qualsiasi politica di gestione degli accessi e delle

espulsioni è necessario lavorare su due fattori preliminari:

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1. Abolire, o almeno ridurre al massimo, o al minimo non annunciare in anticipo, le sanatorie

indiscriminate. Se da un lato è vero che esse fanno emergere sacche di lavoro irregolare, è

anche vero che esse attirano flussi di irregolari in attesa di nuove sanatorie e spesso

prevedono oneri che ricadono sui migranti stessi. Inoltre esse diminuiscono l’efficacia di

ogni provvedimento di selezione in entrata.

2. Far conoscere chiaramente la politica migratoria del paese di destinazione può essere un

deterrente per l’immigrazione illegale e un fattore preliminare di selezione degli ingressi,

infatti permette ad eventuali migranti di conoscere le effettive disponibilità di lavoro e

accoglienza nel paese di destinazione. La paralisi amministrativa e comunicativa delle sedi

diplomatiche e delle ambasciate all’estero è l’esatto contrario di questo provvedimento.

Detto ciò uno degli obiettivi fondamentali è quello di ridurre gli accessi clandestini e

conseguentemente l’immigrazione e il lavoro non regolare. Le misure che paiono più adeguate a

raggiungerlo sono:

• Controllo delle frontiere in collaborazione con gli stati limitrofi (es. Croazia e Slovenia)

• Accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti, che comprenda protocolli

riguardanti beni, capitali, servizi e persone (es.Romania, Nigeria, Marocco, Albania, ecc.).

Elementi significativi possono essere anche gli aiuti allo sviluppo, la formazione

professionale in patria, il miglior funzionamento di sedi diplomatiche e ambasciate,

determinazione di flussi di lavoratori adeguati in partenza dai paesi.

• Accordi bilaterali con i paesi di transito dei migranti (es.Libia, Algeria, ecc.).

• Accordi con i paesi di provenienza di ex emigranti italiani (Argentina, Brasile, Uruguay,

ecc.)

• Politica comune all’interno delle organizzazioni sopranazionali in cui il paese è inserito (es.

U.E. accordo Shengen, O.N.U. convenzione di Dublino)

Un secondo obiettivo è quello di selezionare gli immigrati in entrata in base alle esigenze produttive

del paese per quanto possibile. Cioè

• Concertare con le organizzazioni datoriali la determinazione qualitativa e quantitativa dei

flussi in ingresso;

• Favorire l’immigrazione legale per motivi di lavoro;

• Evitare gli accessi clandestini anche con appositi sistemi di ingresso su garanzia (o

sponsorizzazione) da parte di datori di lavoro, associazioni o altri stranieri in regola o

accesso in prova con rimpatrio garantito

• Realizzare gli accordi con i paesi di origine che definiscano il numero, la professionalità e la

nazionalità dei migranti in ingresso.

Per quanto riguarda i richiedenti lo status di rifugiato politico è necessario ipostare adeguate

politiche per l’asilo che accolgano dignitosamente chi ne ha i requisiti e respingano chi non li ha. Il

tutto in tempi accettabili e senza ledere la dignità e i diritti delle persone che hanno storie personali

già segnate dalla sofferenza, dalla paura e dalla discriminazione.

Infine alle espulsioni:

• deve essere garantito un carattere di credibilità e rapidità nel rispetto dei diritti umani e della

dignità degli individui. Inventare e incrudelire le pene nei confronti di clandestini e illegali,

senza garantire per carenza di mezzi e risorse nemmeno misure più blande, non può non

avere l’effetto delle gride di manzoniana memoria. Anche in questo caso sono indispensabili

accordi internazionali di riammissione e di rimpatrio assistito.

• Ogni procedura di espulsione deve essere collegata alla lotta alla criminalità organizzata

italiana e straniera che favorisce la tratta di esseri umani e l’impiego di manodopera

irregolare.

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6.2.2 Permanenza e integrazione sociale, lavorativa e culturale

Come si è già sottolineato nei capitoli riguardanti l’assimilazione salariale e l’impatto sul sistema

del welfare: ad una migliore integrazione corrisponde un maggior successo personale e familiare e

un minor peso sulla spesa sociale. Questa tesi è certamente in sintonia con precetti etici e sociali che

riguardano i diritti e la dignità delle persone, ma contrasta con gli argomenti di chi pensa di ridurre

la spesa sociale negando in tutto o parte i diritti dei migranti. Un’integrazione e una permanenza

faticose se da un lato possono sul breve periodo ridurre la spesa diretta per la gestione del fenomeno

migratorio, sul lungo periodo aumentano spropositatamente la spesa diretta e indiretta causata da:

aumento della tensione sociale, incremento dell’illegalità, diffusione del lavoro informale, necessità

di maggiore controllo del territorio, radicalizzazione di contrapposizioni culturali, religiose, ecc.

D’altra parte adeguate politiche di integrazione possono risultare molto onerose ed esporsi ad un

uso non ortodosso del welfare da parte di alcuni migranti (il problema del free-rider può essere

connotato etnicamente?)

Dal punto di vista etico e sociale la questione pone interrogativi ampli e complessi. Volendo restare

all’interno di un percorso di tipo economico si potrà comunque dire che sono necessarie:

1. misure preliminari per favorire l’integrazione dei neo-arrivati

• Adeguate politiche per l’alfabetizzazione L2 dei migranti,

• Misure utili a diffondere la conoscenza delle leggi e dei principali tratti della cultura del

paese di insediamento

• Predisposizione di servizi di mediazione linguistica e culturale

• Attività di sensibilizzazione, informazione ed educazione degli autoctoni

• Puntare per l’inserimento sui pre-requisiti di accesso al paese da parte dei migranti (bilanci

di competenze, riconoscimento titoli di studio, ecc.)

• Favorire la creazione e il mantenimento di luoghi di dialogo interculturale e interreligioso

2. Politiche atte a garantire i diritti fondamentali di tutti, persone migranti comprese

• Politiche per assicurare il diritto alla casa (come fu nel caso dell’immigrazione dal sud al

nord Italia) anche a carico dei datori di lavoro, ma meglio con fondi di garanzia e agenzie

per la casa con finalità sociali finanziate anche con risorse dei datori di lavoro e delle

comunità di migranti già presenti sul territorio;

• Politiche per garantire il diritto alla salute (iscrizione SSNN e assicurazioni) e il

contenimento di eventi epidemici o lesivi del diritto alla vita (STP);

• Interventi per garantire il diritto all’istruzione dei figli e all’educazione permanente degli

adulti;

• Garantire il ricongiungimento familiare come misura per la stabilizzazione dei migranti;

• Misure per l’inserimento sociale e lavorativo dei richiedenti asilo, che prevedano anche

forme di sensibilizzazione della popolazione autoctona rispetto alle problematiche di cui

questi migranti non-economici sono portatori

• Garantire l’accesso ai programmi di assistenza sociale, ma attuare misure per contrastare

l’uso improprio del sistema del welfare

3.Politiche del lavoro

• Maggior collegamento tra domanda e offerta di lavoro (banche dati, strumenti per l’incrocio

tra domanda e offerta, ecc.)

• Politiche per perfezionare l’accesso all’impiego e il rapido re-inserimento lavorativo dei

migranti che restano disoccupati (centri per l’impiego)

• Iniziative di formazione professionale mirata (anche in patria)

• Lotta al lavoro nero e all’evasione contributiva

• Strumenti che favoriscano i datori di lavoro italiani nell’espletamento delle pratiche, nella

comprensione delle dinamiche delle politiche migratorie,

• Strumenti che favoriscano gli imprenditori stranieri nella possibilità di impiantare attività

produttive nel paese di insediamento,

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• Limitare al massimo il ricorso a sussidi di disoccupazione.

4. Forme di progressive di concessione della cittadinanza

• Incentivare il protagonismo e la rappresentanza degli stranieri incoraggiando la creazione di

consulte, la nomina di rappresentanti, o meglio concedendo il diritto di voto;

• Attivare misure progressive di concessione dei diritti sociali e assistenziali, che siano

collegate con la permanenza del migrante sul territorio (es. carte di soggiorno, ecc.)

• Favorire percorsi di naturalizzazione

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CONCLUSIONE

L’idea di approfondire gli aspetti economici dell’immigrazione sul paese di insediamento è nata dal

disagio di fronte al dibattito quotidiano cui è costretto un operatore dei servizi di integrazione socio-

culturale per migranti. Quasi ogni giorno costretto a ribattere a chi sottolinea gli aspetti negativi

della presenza di migranti, l’operatore tende a rifugiarsi in argomentazioni di tipo etico o culturale.

Quasi ogni giorno gli si oppongono approcci basati sul bisogno di sicurezza, sulla necessità di

tutelare la popolazione locale, sulla diversità identitaria. Diritti, partecipazione e solidarietà, contro

patria, religione e territorio. Armi ugualmente spuntate si affrontano all’infinito generando

principalmente ideologia. Le due parti si scontrano da posizioni opposte senza trovare elementi di

contatto.

Di fronte a questo panorama poco incoraggiante, si è cercato di indagare se esistano argomentazioni

non ideologiche che possano essere comprese e condivise da entrambe le parti in conflitto.

L’approccio economico ai temi dell’immigrazione è parso significativo proprio per il

raggiungimento di questo obiettivo. Alle dichiarazioni di principio a favore o contro

l’immigrazione, si sono sostituite domande più concrete, che ponessero interrogativi e questioni

verificabili sulla base di dati oggettivi:

• L’immigrazione è utile all’economia del paese di insediamento dei migranti?

• Quali sono gli effetti dell’immigrazione sul salario dei lavoratori nazionali? Sul reddito

pro-capite del paese? Sul sistema pensionistico e previdenziale? Sul welfare?

• Esistono scelte di politica migratoria che si rivelano più utili da un punto di vista

economico di altre?

Per rispondere a questi interrogativi si sono studiati in modo approfondito:

• l’impatto dei lavoratori stranieri sul mercato del lavoro

• l’assimilazione salariale, ossia la capacità dello straniero di raggiungere un profilo salariale

simile a quello dei lavoratori nazionali

• l’effetto dell’immigrazione sulla crescita del reddito pro-capite del paese di destinazione

• l’impatto dell’immigrazione sulla spesa sociale

• l’impatto degli stranieri sulla struttura demografica e sul sistema pensionistico

• l’importanza delle politiche migratorie nel determinare l’impatto economico

dell’immigrazione sul paese di destinazione.

Ne è emerso un quadro particolarmente interessante e articolato, che rispecchia le caratteristiche

dell’immigrazione come fenomeno sociale complesso e trasversale. Come si poteva prevedere fin

dall’inizio, non si sono trovate risposte definitive e interpretazioni univoche, però si sono

certamente evidenziati importanti spunti di riflessione e vasti campi di approfondimento.

Dallo studio emerge che l’immigrazione, anche da un punto di vista economico, è un tema troppo

complesso per essere lasciato ad un dibattito di tipo ideologico o demagogico. Di certo si può dire

che le migrazioni umane sono un fenomeno che continuerà a crescere in futuro e non solo a causa

della globalizzazione dei mercati; che esse rivestono un ruolo fondamentale per le economie dei

paesi in cui i migranti si insediano e che tali paesi devono elaborare politiche migratorie adeguate

alla complessità di ciò che intendono regolamentare.

Forse l’operatore dei servizi di integrazione socio-culturale per migranti non ha trovato in questa

tesina gli argomenti con cui porre fine al dibattito tra le opposte posizioni. Tuttavia, se anche lo

studio dei testi, l’analisi dei dati statistici e la consultazione delle ricerche in materia, non ha fornito

risposte definitive, ha certamente insegnato a porre domande più coerenti.

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Alcuni siti consultati:

13. www.caritasroma.it

14. www.er.cgil.it

15. www.etnica.biz

16. www.istat.it

17. www.straneriinitalia.it

18. www.meltingpot.it

19. www.agcom.it

Altri contributi

4. Ricerca sul “lavoro come aspetto rilevante nelle relazioni sociali” condotta dall’Osservatorio

sul capitale sociale degli italiani (Demos & Pi e COOP)

5. Barba Navaretti G., I conti del multietnico, ne Il sole 24-ore 11 aprile 2004

6. Diamanti I., Il lavoro che sognano gli italiani, ne La Repubblica del 17 ottobre 2004

7. Atti dei convegni:

8. Giornate di studio sui diritti dei migranti, Ferrara marzo-aprile 2003

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9. Movimento e sedentarietà. Implicazioni teoriche ed empiriche dell’immigrazione globale.

Ferrara