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2 2 0 1 7 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Roma Aut. n. C/RM/078/2010 LETTERA DEL PRESIDENTE La sport giovanile nel Paese cerca in noi passione salesiana e capacità di animare i territori PASTORALE GIOVANILE Nelle nostre associazioni ci vuole un “cuore oratoriano” APPROFONDIMENTI L’ascolto dei segnali deboli di chi subisce violenza Allenare a passare attraverso gli uragani del vivere La regolazione dell’ansia da prestazione FOCUS 2017 ASSEMBLEA ELETTIVA CIÒ CHE CI STA A CUORE PER IL NOSTRO FUTURO PASSI IN AVANTI, COSE DA FARE, DOMANDE PARTE COGLIERE IL CAMBIAMENTO CI METTE TUTTI IN GIOCO

LETTERA DEL PRESIDENTE APPROFONDIMENTI FOCUS 2017 · nacque un’idea vincente che è diven- ... «Oggi una squadra giovanile credo ... ma la passione per l’allenare era tanta

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maggio-settembre 2017 – juvenilia 1

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■ LETTERA DEL PRESIDENTELa sport giovanile nel Paese cerca in noi passione salesiana e capacità di animare i territori

■ PASTORALE GIOVANILENelle nostre associazioni ci vuole un “cuore oratoriano”

■ APPROFONDIMENTIL’ascolto dei segnali debolidi chi subisce violenza

Allenare a passare attraversogli uragani del vivere

La regolazionedell’ansia da prestazione

■ FOCUS 2017ASSEMBLEA ELETTIVACIÒ CHE CI STA A CUOREPER IL NOSTRO FUTURO

PASSI IN AVANTI, COSE DA FARE, DOMANDE PARTE

COGLIERE IL CAMBIAMENTOCI METTE TUTTI IN GIOCO

Anno LVII - n. 2 - 2017

RIVISTA DELLE POLISPORTIVE GIOVANILI SALESIANE

Via Nomentana, 175 - 00161 [email protected] - www.pgsitalia.org

DIREZIONE E REDAZIONEFrancesca Barbanera, Luca Baracco,

Luca Caruso (vicedirettore), Francesco D’Ambrosio, Enrico Delmastro,

Franco Floris (direttore responsabile), Angelo Isella, Franco Longo,

Michele Marmo, Michele Portincasa, Roberta Povoleri, Elena Rastello, Paola Scalari

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 297/2010 del 22/06/2010

IMPAGINAZIONE E STAMPATipolitografia Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06 7827819 • [email protected]

Finito di stampare: Luglio 2017

Som

mario

3 LETTERA DEL PRESIDENTE

28 DAL TERRITORIOSevilla | Non è forse questo il senso di unacompetizione sportiva nello stile PGS? ....................................................28

Giulio Valenti

Alassio| E gli atleti fermano la partitaper segnare un meta da veri rugbisti ..........................................29

Cinzia Molle

Tor Bella Monaca (Roma) | Il bello è uno sport verotra gare, allegria, nuove amicizie .......................................................................29

Le istruttrici di danza PGS

Misano Adriatico| Il pattinaggio artisticoguarda al futuro con fiducia e coraggio .......................................30

Gianni Decaneva

Lignano| Uno spazio per tutte le atleteperchè trovino tutte motivo per crescere ..................................31

Monica Malabotta

Città del Mare (PA)| Chi pratica la disciplina che ama, non uscirà mai sconfitto da nessun tipo di campo ..............31

Roberta Balducci

ENTRANEL “FOCUS”DI QUESTONUMERO

L’assemblea elettiva di fine marzo e inizio aprile se da una parte ha scelto la dirigenza per il pros-

simo quadriennio, dall’altra è stato un momen-to chiave per rileggere la storia dell’associa-

zione degli ultimi dieci anni e per tracciare le strade da fare, a fronte della nuove

domande dei territori, ma anche delle indicazioni del CONI. Per tutti è im-

portante capire da dove veniamo e verso dove incamminarci. Le riflessioni di Gianni Gallo, presidente uscente, permet-

tono di comprendere in profon-dità il “travaglio generativo” della

nostra associazione nel decennio passato, segnato da fatiche e conquiste

fondamentali, mentre le indicazioni pro-grammatiche di Ciro Bisogno, nuovo presi-

dente, chiedono a tutti di interrogarsi sul come “appropriarci” insieme del futuro che attende

l'associazione. Due testi che ci sollecitano positi-vamente a “discutere”.

segue a pag. 18➔

4 PGSITALIA INTERVISTAAllenare dieci teste a muoversi sulla stessa lunghezza d’onda ................................................................................................................4

Intervista a Gianni Asti a cura di Jacopo Ricca

7 PASTORALE GIOVANILENelle nostre associazioni ci vuole “cuore oratoriano” per camminare con i giovani............7

Sr. Francesca Barbanera

9 APPROFONDIMENTIAllenare i ragazzi e ragazze a “passare attraverso”gli uragani del loro vivere ............................................................................................9

Marco Lo Giudice

In segnali deboli inviati da atleti abusati si nasconde un appello drammatico ............................................................................................12

Paola Scalari

Apprendere la regolazione dell’ansia da prestazione attraverso la pratica sportiva ..........................................................................15

Francesco D’Ambrosio

18 FOCUS/ASSEMBLEA ELETTIVA 2017Ciò che ci sta a cuore nel tratteggiare il futuro dell’educare ed educarci nello sport con i giovaniL’associazione che siamo diventatitra passi in avanti e nuove possibilità,cose da fare e domande aperte ...............................................................18

Gianni Gallo, presidente nazionale uscente

È tempo di mettere a frutto per lo sportnel Paese la passione educativa salesiana ............................19

Il saluto di Giovanni Malagò, presidente del CONI

La responsabilità di cogliere il cambiamentoci mette tutti in gioco ..........................................................................................................23

Ciro Bisogno, nuovo presidente nazionale

Quel che ci sta a cuore guardando insiemeil futuro nostra associazione ...........................................................................24

Il saluto di suor Anna Razionale, presidente Ente CIOFS

[email protected]

Fondata da don Gino Borgogno

maggio-settembre 2017 – juvenilia 3

Lettera del Presidente

LA SPORT GIOVANILE NEL PAESE CERCA IN NOI PASSIONE SALESIANA E CAPACITÀ DI ANIMARE I TERRITORI

molto intensa l’emozio-ne nello scrivere que-sta “lettera” al mondo pigiessino all’indomani

dell’Assemblea elettiva nazionale. Se rivolgo lo sguardo all’indietro,

davanti agli occhi ho ancora le imma-gini di chi con il proprio papà entrava per la prima volta all’oratorio con un pallone sottobraccio e aveva modo di conoscere l’allora PGS Don Bosco Salerno. È passato del tempo dall’inizio di quel viaggio, eppure l’entusiasmo e la passione sono rimasti intatti.

Non è una presidenza che inizia, ma è un servizio che continua. È un pensiero che mi accompagnerà sempre durante questo quadriennio perché non si pos-sano dimenticare le origini delle pro-prie scelte e la responsabilità di essere testimonianza nel mondo dello sport. Consentitemi allora di ringraziare, dal profondo del cuore, tutti coloro che in questi anni hanno accompagnato il mio percorso associativo, rappresentando per me esempio, guida e riferimento.

Bologna, nonché ad Andrea Nazzaro, Angelo Saltarelli, Claudio Alvisi, Ales-sandro Tarabuso e Luigi Perrella eletti rispettivamente Consiglieri regionali del CONI Sardegna, Basilicata, Liguria, Piemonte e Campania.

Ma questo è stato anche il tempo del protagonismo giovanile nelle manifesta-zioni sportive nazionali e regionali vissu-te sui territori. Migliaia di ragazzi hanno testimoniato, sui campi e nei palazzetti, la gioia della condivisione nel nome dello sport PGS. Non saremo mai troppo grati nei confronti dei tanti volontari che con generosità consentono la realizza-zione dei tanti appuntamenti aggregati-vi che ogni anno uniscono l’Italia intera. Si è respirata aria di festa ed entusiasmo dalla quale vogliamo farci contagiare per costruire un’associazione forte, che sappia trarre la forza dalle preziose ri-sorse umane presenti sui territori. Sol-tanto così continueremo a lasciare la nostra “impronta nello sport”.

A Siviglia è appena andata in sce-na la XXVIII edizione dei Giochi inter-nazionali della gioventù salesiana, un evento al quale l’Italia ha preso parte con sei compagini provenienti dal Pie-monte, dal Lazio, dalla Liguria, dalla Lombardia e dalla Sicilia. È stata un’e-sperienza che i ragazzi non dimenti-cheranno.

L’anno sportivo che ci apprestiamo a vivere sarà significativo. Festeggeremo i cinquant’anni delle PGS. Cinquant’anni di storia e di ricchezza. Cinquant’anni fa, da una semplice intuizione di uno, nacque un’idea vincente che è diven-tata patrimonio di tanti. Cinquant’anni non vogliono essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza verso nuovi traguardi.

Auguro a tutti voi di non perdere mai di vista il significato profondo della scelta del vostro servizio. ■

([email protected])

È

Ciro Bisogno

Siamo alla fine di un anno che ha vi-sto le PGS impegnate in un importante rinnovo degli organismi direttivi. Credo che le esperienze elettorali non debba-no determinare soltanto una semplice e automatica alternanza di ruoli e di persone, ma costituire, altresì, un’occa-sione di riflessione sull’impegno che ciascuno di noi può offrire dove le PGS giocano la loro sfida educativa, ossia i territori. Il cambiamento, tanto invocato in questi periodi, risiede nelle nostre coscienze e nella riscoperta di un forte senso di appartenenza all’associazione. Non possiamo cercare alibi nei ricordi, mentre è necessario attualizzare l’orgo-glio di quanto si è vissuto.

Fin dal 1991 abbiamo sentito la necessità di privilegiare, nell’ambito della denominazione statutaria, il no-stro essere in primis un’“associazione”, identificando quest’ultima come uno strumento comunitario che meglio di altri poteva perseguire le nostre finalità attraverso la partecipazione di tutti.

Ci attendono anni di nuove sfide nel mondo dello sport, come ha sotto-lineato lo stesso presidente del CONI Giovanni Malagò nel corso dell’As-semblea nazionale, e non possiamo trovarci impreparati. Lavoriamo dun-que insieme per rendere sempre più forte il nostro progetto educativo sale-siano, promuovendo sui territori una valida proposta sportiva nel tessuto giovanile, confortati dai riconoscimen-ti per il servizio svolto in questi anni dai dirigenti sui territori.

Il mio personale in bocca al lupo e un buon lavoro va allora a Gianni Gal-lo, eletto rappresentante degli Enti di promozione sportiva nella Giunta na-zionale del CONI, a Maurizio Siragusa eletto quale rappresentante degli Enti di promozione sportiva nella Giunta regionale del CONI Sicilia, a Stefano Galetti, nominato delegato CONI Point

4 juvenilia – maggio-settembre 2017

ALLENARE DIECI TESTE A MUOVERSI SULLA STESSA LUNGHEZZA D’ONDA Intervista a Gianni Asti, allenatore di basket giovanilea cura di Jacopo Ricca

La

PGSITALIA INTERVISTA

Prospettive di lavoro per le PGS

passione la si legge dai det-tagli. Gianni Asti, primo coa-ch torinese ad allenare nella serie A italiana di pallacane-

stro, gira ancora con la tuta e una maglia del “Connecticut basketball” come se do-vesse entrare in palestra da un momento all’altro. Se gli si prospetta un ritorno in panchina però mette subito le mani avan-ti: «Oggi una squadra giovanile credo non la allenerei più perché è un massacro». Settant’anni vissuti quasi sempre sul par-quet, tra palloni, canestri e schemi, Asti ha avuto una carriera divisa a metà tra le grandi squadre, l’Auxilium Torino con lui ha avuto alcune delle sue stagioni miglio-ri e lui ha portato in città un mostro sacro della Nba come Darryl Dawkins, e il lavo-ro con i più giovani, ha portato la giovanile Under13 alla vittoria dello scudetto nella categoria Propaganda.

Rispetto ai suoi esordi, quando nem-meno ventenne iniziò con le squadre gio-vanili dell’oratorio salesiano dell’Agnel-li, i ragazzi sono molto cambiati: «Devi fare uno sforzo enorme per tirarli fuori da quella vita sedentaria e virtuale che trascorrono chiusi in casa – spiega – Un tempo il momento più bello della gior-nata era uscire e andare nel campetto a giocare, lì diventavi un giocatore istintivo e talentuoso e l’allenamento veniva di conseguenza».

Come si è avvicinato al basket?«Frequentavo l’Agnelli e lì ho inizia-

to a giocare, l’ho fatto per diversi anni, ma già quando avevo 14 o 15 anni avevo questa voglia di allenare. L’Agnelli era al vertice della pallacanestro piemon-tese, c’erano gruppi spontanei che si formavano e da questi partivamo per

scegliere i giocatori per un’attività gio-vanile di alto livello. Eravamo parte del-le Polisportive giovanili salesiane e a 19 anni, durante l’anno in cui facevo la leva militare, ho iniziato ad allenare. Sono partito da gruppi non troppo compe-titivi, ma la passione per l’allenare era tanta. Davvero tanta».

Come ha capito che poteva diventare un lavoro?

«Dalla passione ho capito che era quello che volevo fare nella vita, ma mi sono dato degli obiettivi. Quando ho deciso di fare l’allenatore avevo un ot-timo posto di lavoro all’allora l’azienda telefonica SIP. Però mi sono dato degli obiettivi, uno dei primi è stato che se a trent’anni ero in grado di vivere di que-sta attività avrei continuato, e così è stato. Nel 1976 ho preso l’Auxilium in serie A2 e poi tre anni dopo in A1. E da lì è partita la mia carriera nel grande basket».

Che rapporto aveva con i grandi gio-catori che hanno militato nelle sue squadre?

«Quando ero un giovane allenatore in serie A c’era uno scambio importan-te coi miei giocatori. Ho sempre pensa-to fosse un gesto d’intelligenza ascolta-re quello che mi dicevano loro, poi man mano che sono invecchiato ho acquisito più esperienza e ho iniziato a fare solo di testa mia.

In generale per allenare una squa-dra importante ci vogliono prima di tutto doti psicologiche. In un team dove devi far funzionare dieci teste che si muovano sulla stessa lunghezza d’on-da è indispensabile. Un allenatore non deve essere né un amico, né un nemi-co. Ci sono giocatori che con il coach vogliono essere amici, che vogliono si instauri un rapporto di fiducia e allora bisogna cercare di darglielo. Poi ci sono

quelli che vogliono un rapporto diver-so, più professionale, come tra un dato-re di lavoro e un dipendente, e bisogna essere in grado di dare anche questo».

Come si ottiene il rispetto di tutti?«Bisogna essere onesti con giocato-

ri, fare solo ciò che si è in grado di fare. Se ci si dà una regola l’allenatore poi deve essere in grado di farla rispettare a tutti. Un allenatore non è una monade che si muove da sola, c’è una società, un presidente che devono contribuire a far rispettare le regole stabilite dal co-ach, perché se così non fosse si rischia di far saltare tutto».

Allenare è lavorare su una qualità che hai per migliorarlaCosa vuol dire per lei allenare?

«Allenare è diverse cose: da un lato insegnare e dall’altro educare. Ho sempre diviso però le due cose, men-tre spesso oggi non li si fa più. Un conto infatti è insegnare, un altro è allenare. Insegnare è trasmettere un concetto, un gesto tecnico o uno schema, solo dopo averlo fatto apprendere bene al ragaz-zo puoi iniziare ad allenare. Allenare in-

maggio-settembre 2017 – juvenilia 5➔

vece vuol dire esercitare questo gesto dopo che lui già lo conosce. Coi giova-ni e coi bambini dovrebbe prevalere la prima parte, cioè l’insegnare, ma pur-troppo non è così soprattutto oggi».

Perché si è perso il gusto di insegna-re lo sport?

«Gli allenatori di oggi e anche i giovani giocatori non sanno quali sia-no gli obiettivi da raggiungere. Molti guardano gli esercizi e gli allena-menti su Youtube e pensano che co-piare quello che vedono sul video sia sufficiente per allenarsi e migliorare, ma così non è. Non basta allenarsi da soli a casa per imparare un gesto. In questo torna il discorso di trovarsi in un campetto, anche senza troppe pretese, ma fare esercizio».

L’allenamento condiviso è indispen-sabile?

«I momenti passati insieme in pale-stra sono ciò che dà forza alla squadra. Certo più i giocatori sono forti più la squadra è forte. Con l’allenamento si possono nascondere le pecche dei sin-goli cestisti. I famosi schemi del basket sono nati per quello, perché tu ti gli dai delle regole, dei movimenti che loro devono seguire e così puoi cercare di migliorare il risultato complessivo, ri-spetto alla somma delle capacità degli individui e dei loro difetti».

Un giocatore forte vede la realtà e il giococon intelligenzaNel basket conta più il talento del singolo o il collettivo?

«Le due dimensioni sono legate indissolubilmente perché senza il col-lettivo non c’è un gioco di squadra. Il

singolo però è fondamentale non solo tecnicamente, ma anche come perso-na. Non ho mai trovato un giocatore forte ignorante, i giocatori forti sono ragazzi preparati che hanno capacità di vedere la realtà e il gioco con sicu-rezza e intelligenza».

Cosa rende una persona un grande campione?

«La prima cosa che direi, prima del talento e delle doti tecniche è che il campione è una persona colta, ma for-se la parola colta può essere fuorviante. Il campione è quello che conosce me-glio lo sport rispetto agli altri. Conosce i modi per essere più efficace sul cam-po in rapporto alle sue capacità. Con un bravo giocatore ti arrabbi, devi indi-cargli cosa fare, mentre con i campioni hai un rapporto più facile perché sanno sempre dove andare, o quasi. Un gran-de giocatore ha seguito un percorso impegnativo, dove ha fatto maturare la sua passione e l’ha portata ai massimi livelli».

Vale anche per la Nba?«Alla mia età un po’ me ne pento,

ma ho trascorso le mie estati a seguire la pallacanestro statunitense, ci anda-vo ogni anno e stavo là un mese e mez-zo e seguivo gli allenamenti. Anche là un tempo c’era un’attenzione maggio-re verso i ragazzi e l’allenare in sé era fondamentale. Oggi che si sono trovati tutto questo ben di Dio tra le mani, non solo economico: il materiale umano che hanno a disposizione è unico. Gli allenatori ormai devono solo gestire questi ragazzi che hanno qualità tec-niche buone, ma non altissime, e qua-lità fisiche eccellenti che prevalgono quelle tecniche. I giocatori più bravi

riescono a tenere insieme questi due aspetti. I campioni della Nba hanno qualità che nessun altro ha, nel pa-norama italiano vedo pochi giocatori davvero di prospettiva».

Prima ha usato la parola colti. I ce-stisti italiani in effetti hanno titoli di studio e capacità culturali maggiori di altri sportivi, perché?

«Nel basket italiano per lungo tem-po i ragazzi che giocavano anche ad alto livello avevano una formazione scolastica elevata. C’era un’attenzio-ne maggiore rispetto ad altri sport come il calcio dove venivi preso in un cortile e nessuno si preoccupava che tu studiassi. Questa situazione oggi è più livellata, nel senso che l’importan-za dello studio è stata capita anche in altri sport, mentre nella pallacanestro questa attenzione è diminuita. Non solo i calciatori sono cresciuti scolasti-camente, ma soprattutto pallavolisti e rugbysti sono molto preparati».

I giocatori della Nba sono meno colti?«In l’Italia contano anche quali-

tà extra-sportive, legate alla testa e al proprio profilo morale. Nella Nba purtroppo molti giocatori si perdono e finita la carriera si trovano in mezzo a una strada nonostante guadagnas-sero milioni di dollari l’anno. Per l’I-talia conta molto la squadra dove sei cresciuto, se ti ha trasmesso dei valo-ri. Anche in Italia c’è chi pensa che guadagnare 40mila euro l’anno ba-stino per vivere dignitosamente tutta la vita, ma non è così. Ci vuole con-sapevolezza e per averla conta molto la base di partenza, la cultura, la fami-glia e la squadra dove ti sei formato».

Se sei consapevole di quel che succedehai una marcia in piùLa consapevolezza è una parola cui dà molta importanza nel suo discor-so, perché?

«La consapevolezza è fondamen-tale, dentro e fuori il campo.Se sei consapevole di quello che sta succe-dendo in quel frangente della parti-ta hai una marcia in più. Devi capire quanto quel singolo episodio che stai vivendo influenzerà il risultato finale del match, ma magari anche della tua partita. In questo senso i campioni hanno una consapevolezza maggiore di tutti gli altri».

6 juvenilia – maggio-settembre 2017

INTERVISTE a...

Quanto c’è nella sua carriera di quello che ha appreso dal mondo sa-lesiano?

«Quello che ho appreso all’Agnelli più che come allenatore conta come persona. Per me è stato fondamentale stare al fianco di don Gino Borgogno, lui negli anni Sessanta ebbe l’idea di fon-dare le Polisportive giovanili salesiane, e fino a quando ha potuto don Gino ha frequentato quel mondo sportivo cui proprio tramite le Pgs ha dato un con-tributo enorme. Lui è stato il mio punto di riferimento e lo è ancora adesso, ciò che ho imparato da lui resta come pie-tra miliare della mia formazione come uomo, come allenatore e anche come educatore. A volte ancora oggi mi do-mando perché faccio una cosa in un de-terminato modo e mi rendo conto che è un input che mi arriva da quello che mi ha insegnato don Gino. Lui non interve-niva sulle questioni tecniche, ma sulla formazione dei giovani, sul messaggio educativo che davamo ai ragazzi».

Cosa consiglierebbe alle Pgs di oggi?«Gli oratori che funzionano davve-

ro bene sul fronte sportivo oggi sono molto pochi rispetto a un tempo. I sa-cerdoti che si occupano di sport sono

fa, ma buona parte non riesce a farlo perché ha troppi stimoli esterni e se si sente costretto a una vita di rinunce preferisce lasciar perdere».

La passione è tutto:il piacere di fare qualcosa nonostante tutte le difficoltàCome si può risolvere questo problema?

«Il fatto che molti mollino è col-pa degli allenatori che non sanno trasmettere loro la passione, io par-lo del basket, ma vale anche per gli altri sport. Uno dei problemi è che oggi, sin da età giovanissime, ci si concentra sull’insegnare il gesto at-letico, lo schema, l’attitudine da avere in campo e ci si dimentica di allenare la passione per quello che si fa. Se tu non hai saputo insegnare tutto questo hai più probabilità che uno a 16 anni smetta perché tutto quello che gli sta attorno lo invita a non fare sacrifici, nemmeno per ciò che lo appassiona».

È così importante la passione?«La passione è tutto. È il motore di

tutto quello che facciamo. La passio-ne è il piacere di fare qualcosa, nono-stante tutte le difficoltà che si possano incontrare. La passione è quella cosa che ti spinge comunque a raggiunge-re quelle che sono le tue possibilità massime. Se sei un giocatore da serie C e non di più, devi porti quell’obiet-tivo e raggiungerlo, come se fossi un cestista da serie A.

Nello sport e nella vita contano gli obiettivi e lo sforzarsi per raggiun-gerli. Ci si deve impeganre con tutte le proprie forze, ci si deve mettere dedizione, questa è la passione». ■

Jacopo Ricca, giornalista: [email protected]

pochi. Purtroppo anche per giocare nelle squadre degli oratori è necessario pagare una quota d’iscrizione piuttosto alta.

Una battaglia che si deve portare avanti, che facevamo già un tempo as-sieme a don Gino, è quella che le Pgs capiscano le loro potenzialità e le pos-sano esprimere al massimo. Se in una Pgs ci sono persone di qualità quella società non deve porsi limiti sporti-vi, anche se ha meno fondi di altri. Le Pgs hanno sempre avuto una grande potenzialità, che per un’abitudine ad accontentarsi non è mai stata espressa a pieno, ma che invece potrebbe per-metterla di essere al vertice dello sport italiano.

Anche se si hanno meno palloni di altre società, se si possono fare meno allenamenti degli altri, se non si ha la palestra che luccica bisogna impe-gnarsi per far bene e raggiungere i risultati migliori. Bisogna ricordarsi che le cose funzionano se ci sono uo-mini grandi che si impegnano per farle funzionare e mi auguro che questo sia il futuro dello sport salesiano. Anche se hai una maglietta stracciata e un pallo-ne liso devi avere la voglia di vincere e fare bene».

Cosa non la convince dei giovani giocatori di oggi?

«I ragazzi appassionati sul serio sono pochi.

Quei pochi però sono veramente appas-

sionati appassionati. Il problema è che la maggior parte quando, a 15 o 16

anni, riceve richie-ste di sacrifici da

parte dei coach molla. Ci vuole impegno, biso-

gna metterci attaccamento e passione a quello che si

Quanto c’è nella sua carriera dipochi. Purtroppoelle ad e de li

fa, ma buona parte non riesce a farlo hé h i i li i

“maggio-settembre 2017 – juvenilia 7

PASTORALE GIOVANILE

Francesca Barbanera

UN'ESTATE PER CONDIVIDERE LA NOSTRA SCELTA ASSOCIATIVA

Nelle nostre associazionici vuole “cuore oratoriano”per camminare con i giovani

questi anni tante volte Papa Francesco ci ha richiamati alla rilettura della presen-za pastorale nei vari luoghi

e ambienti di missione, per attuare un rinnovamento che diventi “conversione pastorale e missionaria” all’interno del-la Chiesa e, chiaramente, anche in seno alle nostre realtà sportive, che deside-riamo possano essere luogo di evange-lizzazione e crescita per i giovani.

In questo senso, alla fine di un anno sociale e pastorale, ci potremmo porre una domanda per rispondere agli stimo-li lanciati anche dal Papa: ci dedichiamo davvero a far crescere persone entusia-ste e convinte, che siano protagonisti di un movimento ecclesiale incentrato sul-lo spirito e sulla missione di Don Bosco?

Una pausa per rifiatare e riflettereper poi ripartire

Questa domanda potrebbe esse-re un bell’impegno di riflessione per questo “periodo estivo” nel quale cer-tamente ci fermeremo e ripenseremo a come ripartire per il nuovo anno. Ma, soprattutto, la domanda è anche un’oc-casione per un esame di coscienza sul nostro impegno nel servizio appassio-nato verso i più giovani e i più soli.

Affinchè questo avvenga è neces-sario realizzare due grandi condizio-ni: il «cuore oratoriano» e «l’ambiente educativo-pastorale».

Ancora Papa Francesco ci consegna qualche linea da seguire per realizzare un ambiente educativo, sempre con la passione accorata che gli è propria.

Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio diventino un canale adeguato per l’evan-gelizzazione del mondo attuale,

più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo sen-so: fare in modo che esse diven-tino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia.

Un sogno che non dobbiamo esita-re a far diventare anche il nostro, che a volte, rischiamo di essere una presenza che non sa lasciare spazio al “nuovo”, alle giovani presenze che potrebbero affiancarci nella dirigenza o nella dire-zione tecnica delle nostre associazioni, un limite alla novità, all’apertura verso la creatività dello Spirito.

Un cuore oratoriano parte da un forte sentimento di amorevolezza che ci fa agire in base alle esigenze che gli ambienti, le situazioni e le tipologie di giovani ci richiedono. Quindi, senza l’a-spetto educativo, non può esserci pasto-rale, non può esserci il nostro impegno di evangelizzazione nell’“oggi”.

Se non li si ascoltarischiano di farsi pecore

A partire dal 2016 abbiamo ricorda-to i 50 anni della morte di don Lorenzo Milani. Immergendomi in alcune lettu-re sulla sua figura, resto estremamente colpita dall’attualità del suo pensiero. A volte molto discusso per la sua irruen-za e poca riverenza nel parlare ad alti prelati o illustri politici, pur di difendere la classe dei poveri, di quelli che nes-suno ascolta, ma anche per combattere qualunque tipo di differenza, ha saputo toccare il cuore di chi non avrebbe mai avuto voce in capitolo. Lui, proveniente da nobile e agiata famiglia, porta avanti fino allo stremo, il compito di educare i suoi giovani a “uscire dalla massa”, ma, con una grande paura:

Purtroppo la mia previsione è che sarete pecore, che vi pieghe-rete completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la moda, che passerete il tempo come vuole la moda. Rifl etteteci! Ne avete l’età.

È forse la preoccupazione più gran-de che noi educatori viviamo, unita alla incapacità di essere coloro che riesca-no a far capire ai ragazzi l’importanza di essere se stessi, nel momento in cui li avviciniamo: in squadra, in allenamen-to, nella vita quotidiana. Ma soprattutto quando sentiamo di non riuscire a col-

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8 juvenilia – maggio-settembre 2017

PASTORALE GIOVANILE

mare il vuoto che hanno dentro e pro-viamo la frustrazione di non essere in grado di abilitarli ad accedere appieno la bellezza della vita.

Per non lasciarli morire in una qualche spiaggia

Probabilmente molti di noi avran-no seguito la trasmissione delle Iene dello scorso 14 maggio – sul canale Mediaset di Italia Uno – dove veni-va presentato il gioco “online” che sta girando sul web, dal nome “Blue Whale”, cioè la “Balena Blu”. Il nome spiega infatti come il gioco si ispiri al comportamento delle balene che in molti casi, per motivi sconosciuti, si lasciano morire sulla spiaggia.

L’ipotesi tragica che alcuni avan-znao è che un numero elevato di sui-cidi giovanili in Russia sia ricondu-cibile a questo gioco. In realtà, ci si sta rendendo conto che è più il peso mediatico che s i sta dando a questo gioco, che non la reale prova che al-cuni suicidi di ragazzi siano legati al gioco stesso. E anzi, il tanto parlarne sembrerebbe diventare il modo più efficace per fare pubblicità a questo macabro rito che desta curiosità nei i più i giovani e terrore dei genitori.

E noi? Inermi a guardare i giovani utilizzare la comunicazione mutime-diale come un’autorevole voce attra-verso la quale essi filtrano la realtà. Aveva ragione don Milani.

Ma che mondo stiamo consegnandocon il nostro sport?

Abbiamo ricordato pochi giorni fa la strage di Capaci, ma si continua a pro-seguire la vita nell’indifferenza e nell’o-mertà. Abbiamo la drammatica realtà

del terrorismo che fa strage di vittime innocenti in tutte le nazioni. Abbiamo la triste consapevolezza che i “grandi della terra” non riusciranno a giungere ad accordi sul problema “climatico” e sulle scelte economiche: vorrebbe dire modificare radicalmente il nostro stile di vita occidentale, perché richiedereb-be la logica della condivisione e della sussidiarietà.

Forse anche noi adulti siamo spes-so stanchi di presentarci ai giovani con “cuore oratoriano”, ma verremmo meno a una caratteristica del tutto salesiana e principalmente cristiana: la speranza.

Ancora don Milani:

Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio a averla piena… Sbagliano la domanda. Non dovrebbero pre-occuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come biso-gna essere per poter far scuola… Bisogna aver le idee chiare in fat-to di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello su-periore. Non dico a un livello pari a quello dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto.

Gli ingranaggi da cui noi per primidobbiamo uscire

I giovani poveri di oggi sappiamo bene quali sono a seconda dell’am-biente nel quale ci troviamo a operare. E intercettare le povertà non economiche e sociali, ma spirituali e umane, valoriali ed etiche, è forse ancora più difficile là dove sono mascherate dal benessere e dall’apparenza. Caro don Milani, caro don Bosco, forse oggi essere educatori richiede di uscire da noi stessi che pure siamo – come i giovani – inseriti in questo ingranaggio da cui forse non riuscia-mo ad uscire.

E se in cuore al pre-te c’erano cose alte avrà dato cose alte e se c’era-no mediocri le avrà date mediocri. E se c’era fede avrà dato fede” (p. 238). Forse, questa afferma-zione del prete di Barbiana potrebbe essere una risposta, ma soprattutto un

Sr. Francesca Barbanera è referente nazionale PGS: [email protected]

mare il vuoto che hanno dentro e pro-

dinlad

n Milani, caro sere educatori oi

esame di coscienza. Che cammino per-sonale io educatore ho maturato? Cosa posso donare ai ragazzi con i quali svol-go la mia attività educativa? Riflessioni sulle quali, a tutti noi, fa bene pensare ogni tanto. E soprattutto: dove mi rica-rico? Qual è il mio luogo di confronto educativo e di fede?

Ancora, le parole di don Milani che forse tutti conosciamo, tratte dal libro Lettera a una professoressa, sono quelle che rivolge all’istituzione scolastica del suo tempo:

Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respin-ge i malati. La scuola ha un pro-blema solo. I ragazzi che perde. La vostra “scuola dell’obbligo” ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompe-tenti di scuola siete voi (insegnan-ti) che li perdete e non tornate a cercarli.

Girarci indietro per vedere chi abbiamo perduto

La nostra più grande responsabi-lità, è non girarci indietro verso quei giovani che “perdiamo” senza fare di tutto per farli ritornare all’ovile, come il buon pastore del Vangelo. Era que-sta la carità pastorale di don Bosco. L’ansia, l’affanno, la sofferenza, l’em-patia dell’educatore.

L’invito che vogliamo dunque farci, reciprocamente, al termine di questo anno educativo, è quello di dedicare tempo alla condivisione della nostra scelta di essere adulti che con cuore oratoriano e “clima” salesiano, ancora oggi desiderano portare avanti con fe-deltà il fondamento carismatico del no-stro essere PGS. ■

Una foto di don Milani

alla scuola di Barbiana scattata da

Oliviero Toscani, appena 21enne

maggio-settembre 2017 – juvenilia 9

APPROFONDIMENTI

Allenare ai venti contrari/1L'ARTE DI BOLINARE INSIEME ALLA PROPRIA SQUADRA

Marco Lo Giudice

Allenare ragazzi e ragazze a “passare attraverso” gli uragani del loro vivere

Spesso ci diciamo che siamo una generazione di adulti che protegge troppo i figli, gli atleti, gli allievi non mettendoli in occasioni educative in cui potrebbero invece farsi le ossa, diventare coraggiosi, affrontare sfide difficili. Le riflessioni di Marco Lo Giudice, educatore dentro il mondo giovanile – che con questo numero inizia la sua collaborazione con Juvenilia (lo ringraziamo) – offre una suggestiva pista di lavoro per contrastare le derive iperprotettive: apprendere con i ragazzi l’arte del bolinare, dello sfruttare i venti contrari per andare avanti. Non si trattare di esortare alla fatica, ma di avventurarsi in cose appassionanti.

qualcosa di profetico nel rapporto dello scrittore Joseph Conrad con le età umane dei nostri atleti: il

coglimento di nodi decisivi nella vita di ogni ragazzo e ragazza, l’indivi-duazione di passaggi determinanti, qualcuno direbbe “eventi marcatori”, che di fatto segnano le tappe della loro crescita tra vincoli (venti contra-ri fino alla tempesta) possbilità che spesso inaspettatamente si aprono (venti a favore che gonfiano le vele) nell’acceso del tutto personale alla propria adultità.

Conrad è profetico perché, di questi quasi involontari “riti” di passaggio, ha colto la potenza e al contempo la complessità, non la li-nearità, alla quale aprono: sembrerà banale, ma si diventa adulti quando si è consapevoli del tanto “cattivo tempo in giro per il mondo”, e non certo perché di lì in poi sarà tutto mare calmo, cielo terso e brezza leggera.

Bolinare è un metodo per educare

L’ipotesi di queste righe è che il “passare attraverso” diventi una

metodologia educativa – quasi una meccanica – per allenare le giova-ni generazioni e accompagnarle a giocare la loro parte nel mondo, oggi.

Joseph Conrad nasce marinaio e quel che ha scritto è irrimedia-bilmente connesso alla potenza evocativa del rapporto tra l’uomo e il mare.

Non siamo navigatori consu-mati, ma la metafora ci affasci-na: sarà una particolare andatura su mare, l’andatura “di bolina”, a darci il quadro educativo nel qua-le abbozzeremo alcune posizioni inedite, sperimentali e – crediamo – adeguate a quegli “uragani” che siamo chiamati tutti ad affrontare, e che sono pure profondamente costitutivi dell’universo sportivo.

C'è

Un uragano è un uragano, signor Jukes… e un piroscafo nella pienezza dei suoi mezzi deve affrontarlo. Ce n’è tanto di cattivo tempo in giro per il mondo, ed è giusto passarci attraverso. (Joseph Conrad)

10 juvenilia – maggio-settembre 2017

APPROFONDIMENTI

Una squadra da governare insiemecome una barca

Una volta scavata a fondo, que-sta metafora ci dovrà in qualche modo parlare: dovremmo chiederci che cosa può significare “bolinare” nell’educazione, anche sportiva.

Il riferimento alla base è la pe-dagogia dell’esperienza, sulla quale però si abbozzerà un salto cultura-le, un piccolo scavalco: siamo sicuri che l’esperienza non sia marcatrice per tutti gli attori in campo, ragazzi e allenatori insieme? Siamo sicuri che, nell’esperienza, non ci si possa riconoscere capaci anche nella vul-nerabilità, portatori di competenze umane, nascoste nelle meccaniche del nostro corpo di navigatori, e in un nuovo rapporto con tutto ciò che ci circonda?

La metafora ci dirà, forse, anche qualcosa di nuovo sulla dimensione del gruppo, contesto privilegiato nel-la conduzione di una barca.

Fare squadra è molto difficile: pri-ma bisogna provare il gusto di stare insieme, di specchiarsi, di ricono-scersi. Ci sono innumerevoli simme-trie da governare. Si impara così l’e-lettricità della relazione: in quali punti si prende la scossa, in quali si può generare energia.

Solo in un secondo, prezioso momento si possono trovare allora sguardi affini, si possono narrare e ascoltare storie che parlano di noi.

È qui che si prova il piacere del-la collaborazione: un vero fendente nei venti contrari dell’omologazione e dell’individualismo che può dare avvio alla costruzione di un mondo nuovo.

L’allenatore non è sempre lo skipper principale

Ma allora: quale ruolo per l’educa-tore e allenatore, in questa squadra? Nel nostro gioco, non è – almeno, non sempre – lo skipper principale.

Forse, invece, chi allena è educatore se libero di osservare, a volte di affian-care, altre di scomparire, altre ancora di essere parte operativa della squadra. Custodisce relazioni individuali, si cura di quelle di e del gruppo, guida e si fa guidare dal “bolinare” a fianco delle ragazze e dei ragazzi. Ma soprattutto: chi allena spera e ci crede.

Una speranza scientificamente fon-data. Una speranza che è difficile pro-muovere negli altri se non la si coltiva in se stessi. Una speranza che si impara e che sollecita a prendere la vita nelle proprie mani ed essere artefici-colla-boratori del proprio destino.

E l’allenatore crede: in un altro mon-do possibile, al di là dell’uragano, da costruire qui, oggi, tutti. Esso scompare dal ruolo istituzionale per ricomparire al fianco dei ragazzi, non si pone il pro-blema del potere, della testimonianza, del mandato, e solo così forse può o po-trà riconoscere e ritrovare una propria funzione e identità.

Ci renderemo allora conto che sia-mo di fronte a una rivoluzione pedago-gica, evocata più volte, percorsa poche. Qualcuno ha parlato di fine dell’educa-zione, ennesimo dispositivo di potere, come il fine ultimo dell’educazione: non è più utopia, ma è strategia da giocarsi oggi. Protocolli, metodi, teorie, discipli-ne si infrangono contro un’irriducibile richiesta di senso.

I ragazzi ci chiedono di fiondare la barca nei loro venti contrari, di star-ci dentro, di bolinare con loro. Non ci chiedono di condurli fuori da alcunché, ci chiedono una mano, perché bolinare in gruppo è tutta un’altra cosa. E forse, in fondo, ci stanno chiedendo di mo-strare che sono pronti anche a navigare in solitario, se necessario: la solitudine non si risolve nel gruppo, in esso trova una ragione per essere capita e vissuta con consapevolezza.

Abbandonarsi xalla forza del ventoo affrontarlo?

“Ce n’è tanto di cattivo tempo in giro per il mondo”, tanti gli uragani, ma anche soltanto i venti contrari che soffiano sulle nostre vite e su quelle che, da allenatori, accompagniamo ogni giorno: sono venti freddi, ba-gnati, scomodi, difficili. In barca a vela, a vento contrario, si può rispon-dere in almeno tre modi.

Si può certamente scegliere di ab-bandonarsi al vento, cedendo a esso il controllo totale della rotta. Significa escludere la possibilità di governare se stessi, di individuare la propria

posizione, di tentare una via, di cartografare il proprio percorso. È la totale arrendevolezza, senza scopo, senza possibilità; è fiducia

in un destino avverso. Oppure si può scegliere di

passare attraverso, di affrontare il vento contrario, andando di bolina. Con la “bolina” siamo di fronte a un’andatura para-dossale: affondare la prua nel vento contrario non soltanto

maggio-settembre 2017 – juvenilia 11

è possibile, ma permette una velocità addirittura maggiore di quella a favore di vento.

In questa particolare an-datura la forza che muove la barca non è più la forza di trascinamento o di resistenza aerodinamica. Nell’andatura di bolina la barca è mossa da un altro tipo di forza, detta portanza, la stessa per inten-derci, che sostiene gli aerei in volo.

Si può sperimentare facilmen-te l’effetto della portanza tenendo una mano tesa fuori dal finestrino di un’auto in corsa. Se la mano è oriz-zontale si sente soltanto la forza di trascinamento diretta verso dietro; se però si inclina la mano si sente una seconda forza, diretta verso l’alto o verso il basso: è la portanza, ed è precisamente quella forza che sostie-ne l’andatura di bolina. (Si veda Galli D., La fisica della vela, https://web.infn.it/fisicainbarca2011/images/stories/rimini/galli-2011-05-19-fisi-cavela-1x1.pdf)

L’arte di sfruttare il vento contrarioprendendolo di sbieco

Andare di bolina significa sfrutta-re questo vento contrario alla rotta e prenderlo di sbieco disponendo le vele di lato, cosa che si fa per mezzo delle boline. Si va altrettanto veloce e anche più veloce di bolina che con vento in poppa, poiché bolinando si fanno portare tutte le vele, cosa che non si ottiene con vento in poppa. Si sceglie cioè di piegare la barca alla forza del vento, che da contraria di-

venta favorevole: si gioca insomma la competenza nel momento di mas-sima complessità. È una sorta di “re-sistenza ficcante”, che non cede alla tentazione di alzare muro al muro, ma ne intuisce la breccia per attraversar-lo più facilmente.

“Bolinare” ti fa quindi muovere nella corrente, anche contraria, assu-mendo una posizione inedita in una direzione apparentemente univoca. La bolina è la contro-metafora del conformismo, dell’accomodamen-

to, dei destini e delle direzioni pre-stabilite, delle piste già percorse. E qualunque sia la forza del vento, non si rinuncia mai ad andare di bolina.

La prua al ventoper rifiataree per pianificare

In alternativa al totale abbando-no alla forza del vento e all’affida-mento sulla portanza per un’anda-tura di bolina, esiste anche una terza possibilità, che qui va detta. A vento contrario in barca si può risponde-re posizionandosi “prua al vento”, cioè precisamente in fronte alla di-rezione del vento. La barca si ferma, immobile.

Nelle lezioni introduttive alla bar-ca a vela questa posizione è consi-gliata quando sei stanco, ti senti in-sicuro, spaventato dalla potenza del vento. Puoi scegliere allora di fer-marti, di rifiatare, di analizzare la si-tuazione, di prendere un bel respiro a pieni polmoni e ripartire. Non ci vie-ne chiesto di bolinare in ogni situa-zione, anzi: invece di abbandonare le redini al vento, possiamo chiedergli una tregua, opporgli la medesima forza, congelare lo scontro.

Quante le situazioni della vita in cui si rischia di perdere la rotta perché non si ha la forza di bolinare.

Qui è bene ricordarsi che si può rifiatare, che posizionarsi prua al ven-to non solo è possibile, ma auspicabile, che la performance a volte può atten-dere. È prua al vento che si pianifica come, quando e dove bolinare.

Come, quando, dove: sono avver-bi di esperienza. Qualcuno deciderà come, quando, dove vivere l’esperien-

za del bolinare.

Il primo passo tentare, provare,sperimentarsi

Ecco il primo passo: l’andatura di bolina evoca un’esperienza educativa. Anzi: evoca un’educa-zione che passa per l’e-sperienza. Se scelgo un come dove quando bo-linare, sto scegliendo la strada dell’esperienza, la strada della sperimen-tazione (da ex-perior tento, provo). E un’azione

educativa che tenta la boli-na sceglie anzitutto questa strada.

Niente di nuovo sotto il sole: che vi sia connessione tra esperienza ed educazione è stato ampiamente stu-diato e praticato, e nello sport l’alle-namento stesso è continua esperien-za, un processo a due direzioni in cui ogni periodo successivo completa quello precedente, mettendo in luce nessi impliciti ma finora non osserva-ti. L’esperienza è così la descrizione dell’educazione attraverso il tempo, e in questo senso diventa un parame-tro irrinunciabile.

Nel prossimo numero di “Juveni-lia” mi soffermerò sull’elemento cen-trale del bolinare: il gruppo nel suo apprendere ad attraversare i venti contrari. In un terzo articolo con-centrerò la riflessione sulla funzione dell’allenatore che in mezzo ai venti contrari allena a resistere, ma intanto si allena a scompaire, a lasciare spa-zio al governarsi del gruppo. ■

Marco Lo Giudice educatore in mondi giovanili ed esperto di politiche giovanili: [email protected]

e

12 juvenilia – maggio-settembre 2017

APPROFONDIMENTI

In segnali deboli inviati da atleti abusati si nasconde un appello drammaticoPaola Scalari

Cattivi ragazzi/6UNO SGUARDO ATTENTOALLE VITTIME DI ADULTI PERVERSI

Occorre continuare a fare tutto il possibileper sradicare la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di riconciliazione e di guarigionein favore di coloro che sono stati abusati. (Papa Francesco)

Rimaniamo sempre increduli di fronte a storie di violenza di cui veniamo improvvisamente a conoscenza. Ed è amaro ammettere che come adulti non sappiamo di solito scorgere i segnali che inviano i ragazzi e le ragazzi coinvoltiin esperienze di violenza e abuso. Segnali spesso deboli, per i sensi di colpa che tutto questo alimenta, che nascondono appelli drammatici a cui anche il nostro mondo sportivo può essere disattento. Ma in che modo avvicinare con delicatezza queste situazioni, evitando di organizzarci mentalmente ed emotivamente per “non vedere” quello che sta succedendo? Quali accorgimenti mettere in campo per esercitare il nostro compito di vigilanza?

La forza controcorrentedi non nascondersi situazioni di abuso

Una giovane ginnasta della società Ca’ Reden-ta, si libra come una libellula in mezzo alla pista. Sembra volare come un colibrì. Piroetta come un’i-narrestabile trottola. Esegue acrobatiche spaccate a terra con eleganza regale. Un folto pubblico, in silenzio, guarda estasiato. Emma, nel suo abito cobalto, è sinuosa, seduttiva, armonica... tecnica-mente perfetta.

È sera quando la più promettente ginnasta italiana, senza mostrare nessuna emozione, sale sul gradino più alto del podio. Subito dopo, som-mersa da interminabili applausi, corre via come una gazzella inseguita da un leone.

Quando gli adultisi organizzano per non vedere e non sapere

Linda la segue con lo sguardo e sente una spada penetrarle nel petto mentre il piede destro comincia a tamburellare per terra incontrollabile.

per la giacca: “Devo parlarti!”. L’atletico gio-vane però l’allontana preso com’è a elogiare le doti della sua giovane promessa destinata a vincere il campionato europeo.

Lui è il super allenatore arrivato dalla Bie-lorussia e a lei non rimane che ritirarsi. S’avvia verso casa. Camminando ricorda Emma piccola, ma dal viso luminoso. Ora le pare che si muova dietro a due occhi spenti. Risoluta telefona alla sua amica Ortensia, vecchia compagna di squa-dra, per raccontarle l’accaduto. “Saranno i suoi quindici anni”, dice senza mezze misure l’inter-pellata e passa ad altri argomenti.

Anche Linda si ripromette di lasciar perdere.

La superficialità della colpevoiizzazionedell’insofferenza

Non riceve così più notizie della squadra se-nior fi nché un giorno il presidente della società, in una riunione di fuoco in preparazione delle gare europee, alzando la voce sostiene: “Emma

L’istruttrice di quando la piccola Emma si avviava a que-sto sport non applaude. La guarda preoccu-pata. Da un anno la vede rinsecchirsi nel corpo e oscurarsi nel volto.

Un pensiero si fi cca nella mente della ormai in carne ex campionessa di ginnastica ritmica e, come un chiodo fi sso, le ossessio-na la mente chiedendo di venir estratto. Spe-rando di toglierselo Linda, fi nita la gara, va incontro all’allenatore di Emma, lo strattona

maggio-settembre 2017 – juvenilia 13

è unica, speciale, grandiosa, ma è antipatica e nessuno sta volentieri in squadra con lei. Trovate un rimedio”.

Linda si divincola nella sedia. Se ne va veloce non appena le riesce. Per tutto il tragitto verso casa si sente dilaniata tra il disinteressarsi ad Emma e il farsi ascoltare da qualcuno. A casa fa il numero di cellulare dello psicologo sportivo che, periodicamente, viene a fare una chiacchie-rata con le atlete per aiutarle a vincere l’ansia da esibizione. Il giovane professionista chiacchiera con lei a lungo, più per calmarla che per pren-dere in considerazione le sue ansie. Le confi da che molte ragazzine gli avevano raccontato di ripetute offese ricevute da una Emma che, con i suoi scatti d’ira e le sue parole sferzanti, le ave-va prese in giro. Emma aveva graffi ato Monica, la più grassottella della squadra, dicendole: “Sei una sporca scrofa”. Aveva inoltre sentito dire che si sbaciucchiava a scuola con tutti i maschi. Mo-nica, che frequentava lo stesso istituto, gli aveva raccontato che se la faceva con certe ragazzine più grandi defi nendosi bisex. E anche con lui Emma, da sempre, è insopportabile. Linda lo in-calza di domande. Lo psicologo ribadisce: “L’ado-lescenza è un periodo burrascoso, bisogna avere pazienza. I ragazzi fanno cose irritanti, ma non sono cattivi!”.

Linda chiude il cellulare stupita da tanta sicurezza, mentre lei si sente inquieta e deduce che i problemi sono suoi, come le ha detto in fondo l’esperto.

L’adultità sta nel non sottrarsi a segnali inquietanti

Quella notte si sveglia all’improvviso interrompendo il sogno di una piccolissima Emma che cade in un pozzo ma nessuno rie-sce a soccorrerla.

Il pomeriggio seguente, ancora turbata, cerca Emma ma lei le gira le spalle e si precipita dentro le docce. Linda che, non ancora convinta del dover farsi i fatti suoi, confi da la questione al sacerdote che ospita all’oratorio la sua squadret-ta amatoriale.

Don Giorgio ascolta con attenzione la de-scrizione di una Emma cupa, rabbiosa, suppo-nente, intrattabile, assente. Alla fi ne si alza e con fare persuasivo riconduce il carattere di Emma alla sua vita familiare Suo padre, rinomato den-tista, la riempie di regali e attenzioni lasciando-si sedurre dalle sue maniere, mentre la madre, commercialista, non è mai a casa e si fa perdo-nare lasciandole fare quel che vuole. E il Don conclude: “Cosa vuoi che venga fuori da una famiglia così?”. Poi continua: “Siccome Emma è brava, anzi bravissima, come atleta anche la so-cietà per cui si allena le perdona tutto”.

Linda se ne va colpita dalla descrizione, an-che perché i genitori di Emma li aveva a lungo

frequentati durante le trasferte nelle quali segui-vano le esibizioni della fi glia e non parevano così disastrosi.

Il prezzo pagatoincide per sempresul corpo e sulla mente

Decide ancora una volta di lasciar perdere, ma ogni volta che passa per Rio Marin il pensiero sale lungo la ripida scalinata del Palazzo. Emma vive lì, quel lussuoso palazzo è abitato da tutta la famiglia. Si ricorda di essere stata una volta invi-tata a bere un tè per parlare del futuro di Emma. Nell’occasione aveva incontrato nonna Beatrice che occupa il piano terra, zio Alfredo, fi glio di pri-mo letto dell’anziana signora, che abita il mezza-nino e la famiglia di Emma che gode del piano alto che si affaccia a in uno spettacolare scorcio.

La questione sembra dimenticata quando, in un giorno di tarda primavera, arriva in palestra la nonna e chiama l’allenatore. Trafelata sussurra: “Emma non torna più a fare i suoi allenamenti. Sta molto male”. Ed è la generica affermazione dell’anziana signora, quanto il suo viso solcato da rughe profonde e i sui occhi carichi di lacrime, che colpiscono.

In palestra la notizia passa di bocca in bocca con i più disparati commenti. Quello più ascolta-to è quello di Linda: “Sarà andata fuori di testa”.

Si seppe infatti solo a Campionati europei conclusi che la perfi da falena, come ormai la chiama il Presidente, era stata a lungo ricoverata per aver reso le sue braccia un delta rosso fuoco. Atto compiuto, si dice a bassa voce, perché lo zio Alfredo abusava sessualmente di lei.

Molti drammi nascono da adulti che no vedonol’“inamissibile”

Cogliere i segnali di disagio dietro ai comportamenti provocan-ti, irritanti e inconsueti dei ragazzi è compito di ogni educatore. Ed è un dovere civico di tutti accorgersi che

un ragazzo subisce maltrattamenti, trascuratezze e abusi sessuali.

Purtroppo molti adulti non riesco-no a vedere questi segnali perché, so-prattutto quando dovrebbero essere riportati a un abuso, lo ritengono im-pensabile. Si fermano a commentare il sintomo della cattiveria e non passano alla ricerca del motivo del comporta-mento ingiustificatamente aggressivo. E così, con estrema superficialità, si cassa l’idea che un ragazzino sia provocate perché viene usato per pratiche sessua-li dai risvolti perversi.

Non può mai mancareuna vigilanza criticadi genitori ed educatori

La pedofilia però esiste. A casa e fuori casa.

Poche volte compare l’uomo nero venuto da chissà dove a fare del male e, invece, quasi sempre, chi si avvicina sessualmente a un minore lo conosce, è amico di famiglia, è parente, quando non è proprio il genitore.

Esistono quindi persone che, con-quistata la fiducia del bambino, lo ado-perano per il proprio piacere erotico. Chiedono carezze proibite, pretendono prestazioni innaturali, si appropriano di corpi immaturi.

Padri e preti, zii e nonni, maestri ed allenatori e più raramente madri e ma-estre, suore e educatrici entrano alle volte nella cronaca poiché denunciati e colti in fragranza di reato grazie a te-lecamere e intercettazioni. Ma anche se bambini esasperati e tristi si confidano o ragazzini divenuti apatici o ribelli ven-gono individuati da adulti coraggiosi, spesso i pedofili se la cavano perché è difficile dar credito a un minore.

L’attenzione e la vigilanza quindi an- ➔

14 juvenilia – maggio-settembre 2017

APPROFONDIMENTI

UN LIBROPER SAPERNE DI PIÙ

Berto Francesco, Scalari Paola

IN CLASSE CON LA TESTAIN CLASSE CON LA TESTAla Meridiana, Molfetta 2016

Nel corso del libro, partendo da esempi di situazioni spinose fa-

cilmente riscontrabili all’interno di ogni tipo di scuola, gli autori sottolineano a più riprese il fatto

che, al fi ne di affrontare situazioni di una certa complessità, è fondamentale lasciare da parte il

proprio desiderio di onnipotenza e ricercare l’apporto e la collaborazione di tutti gli attori (scuola,

famiglia, servizi territoriali) presenti in una specifi ca comunità sociale. Ma non per diagnosticare

ed etichettare, sgravandosi così dalla fatica dell’eventuale necessaria presa in carico, bensì per

ascoltare, cercare di comprendere ed aiutare.

La collaborazione con i servizi territoriali viene ritenuta di fondamentale importanza non solo per

affrontare le situazioni di più serio disagio sociale riguardanti singoli alunni, ma anche per scopi

formativi rispetto a temi complessi e di diffi cile trattazione all’interno della scuola come lo sono

alcuni di quelli menzionati nella seconda parte del libro: quelli della sessualità e delle sostanze

stupefacenti, ad esempio. (Lorenzo Sartini, psicoterapeuta)

Paola Scalari, psicoterapeuta di Venezia, la-vora sulla gruppalità dei ragazzi come degli adulti, e prima ancora, sulla gruppalità fami-liare: [email protected]

drebbero assunte come atteggiamento comune senza fare una caccia all’unto-re, ma nemmeno senza evitare qualsi-asi domanda qualora un ragazzino sia intrattabile.

I cambiamentinon giustificabili negli atteggiamenti

I segni dell’abuso infatti ci sono. Un bambino soprattutto li evidenzia quan-do cambia in modo non giustificabile i suoi atteggiamenti.

Da docile diventa irrequieto, scon-troso, evitante.

Da studioso si trasforma in lavativo, sfaccendato, prepotente.

Da sorridente passa a mostrarsi mu-sone, ritirato, addormentato.

Nei casi più dolorosi la trasformazio-ne porta un ragazzino a divenire delin-quente, perverso, intrattabile.

Il minore infatti si auto-segnala com-binando qualcosa di eclatante contro di sé o contro gli altri.

Buona strategia sarebbe quella di prendere seriamente i segnali di ingiu-stificata apatia, reiterata provocazione sessuale, indomabili cattiverie doman-dandosi se alla base di questi atteggia-menti non ci sia un adulto che sta appro-fittando del minore.

Il diritto dei minoria ricevere una corretta informazione

Ed oggi a questi pericoli di sempre va aggiungendosi l’adescamento in rete dove finti giovanetti seducono in-genue fanciulle e ragazzini sprovvedu-ti inducendoli a praticare sexting.

Sarebbe quindi importante che si

facesse un’opera di prevenzione par-lando delle richieste sessuali di adulti malati. Loro sì definibili come cattivi! L’informazione aiuterebbe il bambi-no a comprendere cosa gli stia acca-dendo quando un adulto lo avvicina chiedendogli di fare certi “giochetti” sessuali. Se genitori, educatori, inse-gnati avessero comunicato al ragaz-zino come deve reagire, forse, egli potrebbe ribellarsi per quel piacere che prova, suo malgrado, e che lo im-prigiona in silenzi colpevoli.

Se invece nessun adulto lo ha infor-mato egli può ritenere la cosa normale, può addebitare la colpa a se stesso e può cedere alla minaccia che gli viene inviata qualora parlasse.

La cattiveria può essere sintomodi grave sofferenza

La cattiveria è dunque un sintomo che parla di un disagio. Questo compor-tamento va quindi osservato e indagato. Non si può banalizzarlo con frasi fatte o con etichette definitive. Bisogna andare oltre l’apparenza. E a questo si devono formare tutti gli educatori competenti affinché educatori sedicenti non appro-

fittino di bambini ignari della tragedia che stanno vivendo.

Troppe volte la mancata intercetta-zione porta sui lettini di noi psicoanalisti dei sopravvissuti alla violenza sessuale subita da piccoli. Incontriamo donne anoressiche, ragazze che tentano il sui-cidio, uomini impotenti perché irretiti e usati da piccoli in nome di un’amore malato. E nelle carceri, nelle comunità di recupero, negli ospedali psichiatri-ci troppe volte sono rinchiusi uomini e donne che, abusati in gioventù, hanno perso il senso del limite, della legge, dell’etica, della regolarità.

Tatto e pazienza nel ricostruirela credibilità di adulto

Non vi è peggior reato dell’ap-profittare della fiducia di un bambi-no! Ed è per questo motivo che chi poi lo dovrà aiutare dovrà passare le forche caudine per ottenere fiducia, credibilità e attenzione.

Ogni anno emergono circa mille casi di abuso sessuale di cui più o meno l’ot-tantanove per cento consumati dentro le mura domestiche. Ma per questi minori che escono dalle fauci del lupo, tantis-simi altri ne rimangono intrappolati e, silenziosamente, subiscono giochi ero-tici inappropriati per la loro età. Questi bambini non hanno altro mezzo per farsi vedere che il dare fastidio divenendo ri-provevoli, scellerati e crudeli.

Qualcuno osa anche punirli per i loro atteggiamenti. A questa ingiustizia dobbiamo porre invece fine smetten-dola di considerare cattivo, svogliato, intrattabile, antipatico, seduttivo chi urla in questo modo uno dei drammi più in-dicibili perché più incredibili. ■

fafacecessssee unun’o’opeperara ddii prprevevenenziziononee papar-r- fifittttininoo didi bbamambibinini iigngnararii dedellllaa trtragagedediaia

maggio-settembre 2017 – juvenilia 15

Apprendere la regolazione dell’ansia da prestazioneattraverso la pratica sportiva Francesco D’Ambrosio

Pensare l’allenamento/11L’UTILIZZO OTTIMALE DELL’ENERGIA PSICHICA DEL FUNZIONAMENTO MENTALE E DELLA PRESTAZIONE

Sul vasto oceano della vita veleggiamo, la Ragione è la mappa, ma la Passione è il vento. (A. Pope, An Essay on Man, Epistle II, 1733)

Se ragazzi e ragazze vivono situazioni sportive troppo ordinarie si limitano a usare le energie a portata di mano ma, in fondo, annoiandosi. Se manca il senso di sfida, con quel poco si tensione e attivazioneche richede la situzione concreta, gli atleti non esercitano la capacità di affrontare compiti della vita come dello sport,che per se stessi comportano un alto livello di ansia da prestazione. In tal modo messi a confronto con sfide importanti si lasciano dominare da un’ansia eccessiva che impedisce di usare le proprie energie e quelle del contesto in cui si vive. L’allenamento sportivo non può non innalzare giorno dopo giorno l’asticella oltre cui saltare.

emozione agisce come un’ac-celerazione di energia psichi-ca in risposta a stimolazioni del mondo esterno, o a pul-

sioni del mondo interno, che determina lo stato d’animo di ogni essere umano. Essa è dunque un’attivazione o un’eccitazione del corpo o della mente (cfr. al riguardo anche “Juvenilia” nr. 1 del 2013).

Considerando ciò, risulta evidente come ogni disciplina sportiva richiede l’individuazione di un livello ottimale di energia psichica in rapporto sia alle caratteristiche dell’atleta sia a quelle specifiche della pratica sportiva. In tal senso, l’energia psichica è riferita a vigore, vitalità e intensità del funziona-mento mentale.

Quando l’energia psichica è asso-ciata a una situazione di notevole stress (ad esempio, un ambiente sportivo osti-le, l’eccessiva pressione di un allenato-

re, ecc.) essa determina nell’atleta un accrescimento di ansia che genera ri-sposte aggressive e poco funzionali, al fine di non facilitare un livello ottimale di prestazione; se invece l’energia psi-chica è associata a una situazione poco stressante, agevola l’insorgere di un sta-to di benessere.

Possiamo allora dire che come la capacità di applicarsi e concen-trarsi adeguatamente nello sport per migliorare la prestazione, così l’abilità a modulare l’energia psichica ottimale può essere sviluppata. Pertanto, uno stato psicofisico ottimale è da associare a un’elevata energia psichica.

In pratica, è stato osservato che se un atleta impara come preservare la propria energia e come usarla con par-simonia si mantiene più forte durante la gara. Questo implica un utilizzo eco-

nomico dell’energia che richiede all’at-leta un piano prestabilito, come quello proposto da Muscat: quando l’atleta si concentra sull’azione evitando altri pensieri si assicura una buona regola-zione dell’energia.

L'

16 juvenilia – maggio-settembre 2017

APPROFONDIMENTI

Come vedremo in questo lavoro, un moderato livello di ansia può comporta-re un giusto grado di attivazione isiologi-ca (o arousal; per ulteriori informazioni cfr. “Juvenilia” nr. 1 del 2013), trasforman-dosi a sua volta in energia positiva utile ai fini della prestazione. Diversamente, elevati indici di reazione emotiva altera-no il patrimonio cognitivo dell’atleta, ri-ducendo così la specificità della risposta motoria o della prestazione.

Energia psichica e reazione di paura verso eventi stressanti

È nozione comune ampiamente ac-cettata che l’ansia può essere intesa come uno degli stati psicologici più comune-mente sperimentati dagli individui per evidenziare una condizione di agitazione individuale caratterizzata da timore, ner-vosismo, preoccupazione o panico, come mostrato nella Fig. 1. Nell’atleta, in parti-colare, il livello di ansia, prima e durate la competizione è determinato dall’inte-razione del “tratto” d’ansia con lo “stato” d’ansia relativo alla situazione agonistica (vedi a tale proposito la Tab. 1). Un esem-pio è la teoria della catastrofe ipotizzata da Hardy, secondo la quale incrementi di ansia di stato favoriscono la prestazione sino a un livello ottimale oltre il quale av-viene un peggioramento della prestazio-ne stessa. L’atleta, in questo caso, non può più ritornare al suo livello ottimale.

Recenti studi hanno dimostrato che gli atleti nelle competizioni individuali riportano livelli di ansia maggiori rispet-to agli atleti che competono in eventi di squadra. Inoltre, è stata correlata l’ansia al concetto di stress. Come noto, tuttavia, lo stress viene distinto in due categorie, uno positivo denominato eutress e uno negativo chiamato distress. In genere, nello sport si tende a identificare il di-stress con il concetto di ansia.

I risvolti negativi di un eccesso di ansia cognitiva e somatica

A tale proposito, la maggior parte degli autori ha evidenziato che un’e-levata ansia di tratto competitiva (così come definita nella Tab. 1), unita ad alcu-ne caratteristiche individuali dell’atleta (ad esempio, bassa autostima e scarsa motivazione intrinseca), possono avere risvolti negativi, presentando maggiori preoccupazioni verso la prestazione. In pratica, gli atleti provano paura, perce-zione di pericolo o minaccia (per esem-pio, sensazione di perdita della speranza e di essere senza via di uscita), con la presenza di danni psicofisici e compor-tamentali; al contrario l’esperienza posi-tiva, funge da risorsa altamente motivan-te. In particolare, in questo caso, l’atleta evolve così in un continuo processo di crescita, basato su progressivi miglio-ramenti e aggiustamenti rispetto agli

obiettivi e al livello di complessità e dif-ficoltà delle sfide sportive da affrontare.

Nella pratica sportiva, due dimen-sioni considerate come concettualmen-te indipendenti sono l’ansia cognitiva e quella somatica (vedi Tab. 1).

Lo stato d’ansia cognitiva si può ma-nifestare nello sport in termini di aspet-tative negative rispetto alla propria prestazione e al risultato della gara: os-sia maggiore è l’importanza attribuita a questi pensieri, maggiore sarà il livello dell’ansia cognitiva. L’ansia di stato so-matica riguarda invece le modificazio-ni fisiologiche e affettive determinate dall’approssimarsi dell’evento sportivo, quali l’aumento della frequenza cardiaca o la sudorazione eccessiva.

Tuttavia, l’ansia di stato cognitiva e ansia di stato somatica sono prodotte da sistemi diversi, hanno antecedenti dif-ferenti e influenzano in modo diverso il comportamento e l’azione sportiva.

Fig. 1 - Livello di prestazione e incremento di ansia

Tab. 1 - Concetti e termini collegati all’ansia nello sport

Stato emozionale transitorio caratterizzato da sentimenti negativi di apprensione e tensione. Si manifesta in situazioni specifiche.

Ansia di stato

Predisposizione soggettiva a percepire certi stimoli ambientali come potenzialmente pericolosi e a rispondervi con vari livelli di ansia di stato.

Ansia di tratto

Insieme di risposte fisiologiche e psichiche dell’atleta in situa-zioni competitive (ad esempio, agonistiche), come reazione a percezione di pericolo o danno potenziali e/o reali.

Ansia competitivadi stato

Tendenza a percepire situazioni competitive (as esempio agonistiche) come paurose o pericolose e a sentimenti di apprensione e tensione.

Ansia competitiva di tratto

Componente mentale dell’ansia determinata da attese negative e/o da scarsa stima di sé e delle proprie capacità o abilità sportive (ad esempio, preoccupazioni cognitive riguardanti la situazione, se stes-so e le conseguenze).

Ansia cognitiva

Componente fisiologica dell’ansia che origina direttamente dall’arousal (attivazione) dell’atleta.

Ansia somatica

Incremento dell'interessee reazione emotiva positiva

Incremento del disturboemotivo, ansia

Livello Ottimale Panico

Sonnoprofondo

Risveglio

Livello di attivavione

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16 juvenilia – maggio-settembre 2017

stress con il concetto di ansia.

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Francesco D’Ambrosio, psicologo e psico-terapeuta, è docente all’Università di Tor Vergata Roma e formatore PGS: [email protected]

A questo proposito, alcuni ricercato-ri (Martens e collaboratori) hanno esa-minato come il tipo di sport praticato e specifiche differenze individuali inter-vengono a influenzare l’ansia di stato. Da questo lavoro è emerso che gli atleti di sport individuali (ginnastica, nuoto e atletica leggera...) rispetto a quelli di squadra (pallacanestro, pallavolo...) hanno mostrato livelli significativamen-te più elevati di ansia di stato cognitiva e somatica e più bassi di fiducia in sé. Tuttavia, secondo gli autori quest’ultima variabile costituiva la dimensione più di-scriminante fra sport individuali e sport di squadra.

Inoltre, gli atleti degli sport di contat-to, per esempio la lotta, rispetto a quelli non di contatto (ginnastica, atletica leg-gera...) hanno mostrato livelli signifi-cativamente peggiori in ognuna delle tre dimensioni. In effetti, l’ansia di stato somatica e la fiducia in sé costituivano le dimensioni che differenziavano mag-giormente gli atleti di questi gruppi.

Il rapporto inversamnte proporzionale tra ansia a fiducia

Altre ricerche hanno evidenziato interessanti relazioni fra ansia di tratto competitiva e altre dimensioni di perso-nalità sport-specifiche. I risultati hanno rilevato un rapporto inversamente pro-porzionale fra ansia e fiducia nelle pro-prie capacità di atleta. Willis, dal canto suo, ha riscontrato una relazione positi-va fra ansia di tratto e paura di fallire e una negativa con il desiderio di control-lare gli altri; non ha trovato, invece, alcu-na relazione fra ansia di tratto e motiva-zione alla riuscita nello sport.

In tale ambito, inoltre, interessanti sono i dati di un altro studio che ha ri-scontrato negli atleti con livelli elevati di ansia di tratto un’eccessiva preoccupa-zione di non commettere errori, di non giocare bene, di perdere e sentimenti negativi riguardo le loro prestazioni fu-

ture; in altri casi, la difficoltà di concen-trazione di usare adeguatamente strate-gie mnestiche.

Va infine fatto notare che nello sport quanto più gli atleti hanno un senso di efficacia elevato, tanto più si mostrano sicure nell’affrontare le situazioni com-petitive o agonistiche.

Il contributo dello sportper l’autoregolazionedello stress e dell’ansia

Dopo quanto esposto, risulta chiaro che l’attività fisica svolta in modo rego-lare produce molti effetti positivi sia sul corpo che sulla psiche. È ampiamente dimostrato, come suggerito da alcuni studi, che lo sport praticato senza ec-cessi e con regolarità può prevenire e alleviare i sintomi dell’ansia e dello stress. Esso, tuttavia, contribuisce a ri-lassare la tensione muscolare e aiuta a stare sereni. Vale la pena di sottolineare che la sua azione positiva si esercita sul-la circolazione sanguigna, sull’attività neuronale e sull’aumentato rilascio di endorfine. Relativamente alle endorfine possiamo dire che sono sostanze chimi-che di natura organica prodotte dal cer-vello, dotate di proprietà fisiologiche si-mili a quelle della morfina e dell’oppio, di tipo analgesico ed eccitante. Di fatto, il principale aspetto delle endorfine risiede nella loro capacità di regolare l’umore.

È noto che durante situazioni par-ticolarmente stressanti il nostro orga-nismo cerca di difendersi rilasciando endorfine le quali, da un lato, aiutano a sopportare meglio il dolore e, dall’altro,

influiscono positivamente sullo stato d’animo. Per cui possiamo affermare in-fine che chi soffre di problemi di ansia tende ad avere una bassa autostima, e fare sport o attività fisica, anche mode-rata, può aiutare a produrre migliora-menti in questo senso.

Nella Tab. 2 vengono descritte le stra-tegie di difesa usate da molti atleti e tec-nici per difendersi dall’ansia.

L’allenamento del controllo dell’ansia con esercizi di rilassamento

L’accento posto in questo lavoro, mette in evidenza come la prestazione sportiva è subordinata a caratteristiche e stati psicologici, o mentali, partico-lari dell’atleta; il quale deve sviluppa-re la propria capacità di gestione e di controllo di quei fattori limitanti, come il proprio stato d’ansia, in modo da far fronte alle richieste della situazione agonistica.

Tuttavia, come abbiamo avuto modo di osservare, i segnali di un eccessivo li-vello di ansia avvertiti dall’atleta, si ma-nifesta a livello affettivo con l’aumento della reattività fisiologica (attivazione, o arousal), a livello comportamentale con la diminuzione della prestazione sporti-va, e a livello cognitivo con la diminuzio-ne dell’attenzione e dell’autostima.

Per tale motivo riteniamo impor-tante ottimizzare quei programmi e quegli strumenti psicologici che influenzino e facilitino il migliora-mento della prestazione agonistica in relazione al compito e alle diffe-renze individuali degli atleti, come per esempio, le tecniche che partono dalle sensazioni corporee come gli esercizi respiratori oppure gli eser-cizi di rilassamento progressivo di Jacobson. ■

Tab. 2 - Strategie di difesa usate dall’atleta per difendersi dall’ansia

• Razionalizzando (trovando delle spiegazioni in ciò che sta accadendo). • Negando (“non mi importa della partita”, “l’avversario è troppo forte”, ecc.). • Convertendo nell’opposto (scherzando, ridendo). • Ritualizzando (sedendosi sempre allo stesso posto nello spogliatoio,

legarsi le scarpe con un particolare procedimento…).• Proiettando (vedendo negli altri la propria ansia). • Isolandosi (evitando gli altri, non parlando). • Convertendo tutte le situazioni ansiose sul proprio corpo (sintomatologia psicosomatica).

18 juvenilia – maggio-settembre 2017

FOCUSFOCUS

18 juvenilia – maggio-setttembre 2017

Ai primi di aprile si è tenuta a Roma l’assemblea elettiva del nuovo gruppo dirigente. Si è lavorato in un clima animato dalla consapevole “voglia di stare insieme”di 250 persone che hanno dedicato molte energie in questi anni alle PGS.Gianni Gallo ha terminato il suo lavoro decennale di presidente con un riconoscimento da parte di tutti della sua capacità di tenuta verso l’adultità dell’associazione.Al suo posto è presidente nazionale Ciro Bisogno che, fin dal primo momento, ha chiesto a tutti un’intensa proiezione in avanti, esprimendo ancora una volta il coraggio di intraprendere che è parte irrinunciabile del carisma salesiano delle PGS. Insieme ai saluti del presidente del CONI Giovanni Malagò e della presidente del CIOFS suor Anna Razionale, il Focus riprende il bilancio proposto da Gianni Gallo e le linee d’azione tratteggiate da Ciro Bisogno.

ASSEMBLEA ELETTIVA 2017

a cura di Ciro Bisogno, Gianni Gallo, Giovanni Malagò, suor Anna Razionale

FocusCiò che ci sta a cuorenel tratteggiare il futurodell’educare ed educarcinello sport con i giovani

L’ASSOCIAZIONE CHE SIAMO DIVENTATITRA PASSI IN AVANTI E NUOVE POSSIBILITÀ, COSE DA FARE E DOMANDE APERTE

FOCUS / IL FUTURO DELLE PGS SI FA QUI E ORA

Gianni Gallo, presidente nazionale uscente

Un bilancio con uno sguardo al passato che possa aprire al futuro

prima riflessione che mi viene in mente volgendo lo sguardo indietro agli ultimi dieci ani della no-

stra storia è che non abbiamo mai smesso di giocare. Dietro ci sta cer-to la passione per lo sport e per lo sport educativo, ma anche – se non di più – la passione per lo stare in-sieme. Noi stiamo bene insieme. E lo diciamo pensando ai momen-

ti festosi trascorsi festosamente, al quotidiano e duro lavoro come alle-natori e dirigenti, alle traversie or-ganizzative e amministrative che ci hanno visti in gioco. Insomma pre-vale in noi la voglia di condivisione in un tempo di troppe solitudini, ma anche la voglia di giocare nonostan-te le tante fatiche, perché giocando a “stare insieme” tocchiamo con mano un intenso senso di libertà.

È quel che condiviamo oggi con que-sta generazione di ragazzi e ragazze, come con quella di dieci anni fa.

Dieci anni della nostra storia. Una storia che molti di noi hanno fatto e che tanti giovani intendono portare avanti oggi. È a loro che vo-gliamo, dobbiamo passare il testi-mone. Anche per questo val la pena evidenziare alcuni passaggi impor-tanti di questa storia decennale.

La

maggio-settembre 2017 – juvenilia 19

Siamo un serviziosportivo educativo di qualità riconosciuto dal CONI

Penso anzitutto al fatto che dieci anni fa come ente di promozione spor-tiva eravamo fuori dal CONI perché non avevamo tutti i requisiti. Troppa su-perficialità nel rispetto di regolamenti e nella raccolta della documentazio-ne... Ma abbiamo capito che era tempo di rimediare e lo abbiamo fatto, dimo-strando con i fatti che un certo giova-nilismo nelle pratiche amministrative non pagava affatto. Ci siamo rimboc-cati le maniche, senza cercare scor-ciatoie o deroghe, e oggi siamo nel CONI a pieno titolo, anche se siamo il più piccolo degli Enti di promozione. Ma non ci ha mai preoccupato que-sto, anche perché negli anni abbia-mo continuato lentamente a crescere e, soprattutto, a dimostrare la qualità sportiva, associativa, educativa del

nostro sport. Fra l’altro, in un tempo in cui il numero dei gio-vani in Italia è in drammatico calo, la nostra crescita è ancor più significativa.

Qualcuno, di fronte, alla ri-chiesta di documentazioni certificate richieste per rientrare nel CONI, com-prensibilmente stava per arrendersi fino a chiedersi se ne valeva la pena. E invece non ci siamo arresi, ce l’ab-biamo fatta. Non per noi, lo ripeto, ma per la qualità tecnica ed educativa del nostro servizio. Tutto questo oggi ce lo riconoscono anche le non poche realtà sportive che guardano con attenzione e interesse al nostro metodo di lavoro che incarna nel nostro tempo il siste-ma preventivo che abbiamo ereditato da don Bosco e che condividiamo con il mondo salesiano.

Siamo partecipidel vasto mondo salesiano

Anche la nostra modalità di es-sere mondo salesiano si è evoluta, spesso sotto la spinta dei rapporti non sempre facili con parti rilevanti di un mondo in cui si sentiamo a casa nostra. Non possiamo esistere senza un consapevole radicamento nella storia e nella famiglia salesiana oggi. Purtroppo gli errori non sono man-cati da più parti, ma non ha senso lasciarsi bloccare da un passato pur doloroso.

A rileggere con un certo distacco questi anni, direi che come associa-zione siamo cresciuti nella consape-volezza dell’appartenenza alla fami-glia salesiana, con notevoli passi in avanti.

Il primo passo in avanti è comin-ciato con il distacco tra l’associazione

Sono q ui per tre motivi. Perché condi-

vido profondamente il lavoro sociale, edu-

cativo e sportivo che sta rendendo attualiz-

za oggi don Bosco. Sono qui per una perso-

nale amicizia verso il mondo delle PGS che

conosco bene: so che, pur essendo un Ente

piccolo, lavora con straordinaria passione

e grande competenza. Sono qui infi ne per

dovere istituzionale, come presidente del

CONI che riconosce alle PGS lealtà e cor-

rettezza nei rapporti, serietà di approccio e

competenza a fi anco dei giovani.

Vista da queste tre angolature per

me le PGS sono un’associazione ormai

ben organizzata con la quale il dialogo

e il confronto sono sempre centrati sul

verso dove andare con il nostro sport

giovanile. Voi avete una prospettiva e la

seguite con serietà.

E voi le cose le fate per

davvero. Grazie a tutti voi,

grazie alle migliaia e migliaia

di allenatori e dirigenti che

esprimono un alto senso ci-

vico in un servizio volonta-

rio formidabile per passione,

intelligenza, resistenza nel

tempo.

Anche per merito vostro

lo sport tra i giovani cresce

È tempo di mettere a frutto per lo sport nel Paesela passione educativa salesiana

n

ri-ficate I com ÈÈÈÈÈÈ tempo

Il saluto di Giovanni Malagò, presidente del CONI

➔maggio-settembre

da

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20 juvenilia – maggio-settembre 2017

FOCUS FOCUS

e gli enti promotori. Non senza fati-che e sofferenze, abbiamo imparato a sentirci insieme dentro il mondo salesiano ma in modo autonomo. I giorni delle fatiche li ricordiamo, ma anche quelli delle solidarietà che sono cresciute, anzitutto con la stesura del protocollo di intesa con le Figlie di Maria Ausiliatrice che ha stabilito una presenza istituzionale di alcune suore come referenti a livello locale e nazionale. Un passo in avanti di grande arricchimento per il nostro lavoro dove molte suore sono vere animatrici delle associazioni locali, con una particolare attenzione per la formazione.

Oggi stiamo facendo un ulteriore passo in avanti e siamo entrati in un terza fase di collaborazione, con il ri-torno condiviso da tutti di una Figlia di Maria Ausiliatrice nel nostro Consiglio nazionale.

Un’associazioneche sa fare spazio a nuove attese giovanili

Si arricchito anche il nostro modo di stare con i giovani, di ascoltare le loro attese, di ripensare lo sport alla luce di tali esigenze. Ne segnalo due.

Un aspetto che in questi ci ha ca-ratterizzato è il sostanziale equilibrio tra la componente femminile e quella maschile tra i giovani atleti. Una per-centuale che ha sempre oscillato sul 50%, mentre oggi la presenza femmi-nile è al 52 per cento. Consideriamo questo equilibrio un grande segno della nostra sensibilità nell’interpre-tare l’evolversi del ruolo della don-na nel Paese. Oggi le ragazze sono sempre più sensibili e interessate allo sport, ma cercano ambienti che sappiamo cogliere e valorizzare fino in fondo le loro attese sportive e non. E l’associazione si sta arricchendo nel cercare nuovi equilibri ai vari li-velli tra la componente femminile e quella maschile.

Un altro ambito di evoluzione è stato l’aver saputo muoverci con at-tenzione verso la richiesta crescente di sport individuali, ben sapendo che nella nostra storia abbiamo investito molte energie nello sport di squa-dra e nelle diverse forme di grup-po, convinti da sempre delle grandi potenzialità educative che il grup-po porta con sé. E tuttavia in questi anni la nostra attenzione alle attese dei nuovi ragazzi e ragazze per cer-care di dare un volto a se stessi, ci ha portato a fare ampio spazio agli

sport individuali, aiutando atlete e atleti a immergersi nel perse-guire la loro disciplina in posi-

tive esperienze di gruppo da una parte, di vita associativa

salesiana dall’altra. Per poi ripensare insieme in che modo, in tutti i nostri tipi di sport, “ri-combinare” individualità, gruppalità, vita associativa.

Un’associazione con la più alta percentualedi soci giovani

Tutto questo ci ha portato negli anni a una sostanziale te-

nuta dei numero di iscritti. Sono

in Italia anche se, lo sappiamo, gli inve-

stimenti che come CONI vorrei fare sugli

enti di promozione non sono suffi cien-

ti. La crisi ci assedia ma, come ribadisco

spesso alle forze politiche e di governo,

so che i soldi per lo sport, più che sul

capitolo dei costi, dovrebbero andare su

quello degli investimenti. Questo perché

nella confusione del Paese il vostro sport

è altamente generativo di senso civico

e di imprenditività sociale e culturale.

Certo dobbiamo riuscire a distinguere

meglio chi fa veramente sport educati-

vo da chi attiva forme aggregative che

privilegiano gli aspetti di consumo e ci

commercio.

Siamo tutti, a tutti i livelli del CONI,

in un periodo di investimento nei nuovi

organismi direttivi dello sport. Anche

voi. E Gianni Gallo è ormai al termine

del suo decennale servizio come presi-

dente. Sono qui per sollecitarvi a guar-

dare al futuro, ma anche per ringraziare

Gianni Gallo che ha lavo-

rato tanto non solo per

le PGS, ma anche in

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sport giovanile nel

nostro Paese che

possa dirsi luogo

incubatore di nuo-

vi cittadini. A lui

il mio personale

ringraziamento e

quello del CONI. ■

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maggio-settembre 2017 – juvenilia 21

circa 90.000 gli atleti che fanno parte del mondo PGS. Non è poco pensando alla diminuzione delle nascite nel no-stro Paese. Stiamo dunque lavorando bene, siamo in lenta ma continua cre-scita. Per lo più con una caratteristica che ci distingue da altre associazioni. Su 130 mila soci, gli atleti sono 90 mila. La più alta percentuale di “giovani soci” tra gli enti di promozione. Siamo un’as-sociazione fortemente giovanile, anche perché possiamo contare su migliaia e migliaia di “giovani adulti” che si met-tono in gioco come allenatori, dirigenti, collaboratori, tecnici, ma anche su in-numerevoli reti locali di giovani fami-glie che si sentono partecipi del nostro lavoro, ma sanno non essere invasivi.

Certo i numeri da soli non bastano per comprendere che cosa siamo di-ventati in questi anni, se non volge lo sguardo anche ai “luoghi” del nostro servizio e dunque ai campi da gioco e alle palestre, alle periferie e ai quartie-ri dove il nostro sport è diffuso, condi-viso e stimato. Noi siamo un’associazio-ne che, sull’onda del grande “sogno” di don Bosco, cerca di stare in aree di vicinanza alle fatiche dei ragazzi in quartieri fragili, lavora in piccoli centri, ha poche strutture, per lo più semplici, quando non povere. Per noi questa è una scelta irrinunciabile per essere fe-deli al principio di don Bosco di amare le cose che i giovani amano nei luoghi in cui vivono.

Anno dopo anno ci siamo reiven-tati cosa può voler dire la scelta sa-lesiana per i giovani più poveri, ai quali cerchiano con coraggio di ga-rantire non solo un clima accogliente e amichevole, ma insieme uno sport capace di rispondere alle loro attese di qualità dell’attività sportiva, anche dove la scuola e le Federazioni non ce la fanno.

Un’associazione aperta alla collaborazionecon altri mondi sportivi

Probabilmente proprio la scelta di vicinanza ai ceti sociali infragiliti e poveri ci ha portati a essere ricercati in questi anni da quanti come noi vo-gliono abitare dentro le sfide che le famiglie stanno affrontando. In que-sto senso ci siamo avvicinati a mon-di come l’ANSPI con i suoi oratori, ma anche a molte realtà oratoriane,

parrocchiali, associative. Oggi lo sti-le salesiano è apprezzato a volte in modo sorprendente da mondi sociali e sportivi che noi pensiamo estranei alla nostra avventura.

Siamo consapevoli del fatto che, da più di dieci anni, stiamo portan-do in giro per l’Italia e per l’Europa, comprensibilmente non senza erro-ri, il messaggio educativo e sportivo salesiano proprio animando lo sport come qualcosa che piace a “questi” giovani, convinti con don Bosco che questa è la strada per cui essi pos-sono condividere anche le cose che stanno profondamente a cuore a noi. Un’avventura sorprendente e impe-gnativa, per molti versi ancora allo stato nascente rispetto alle sue possi-bilità evolutive, per la sua capacità di dialogo, mobilitazione e aggregazio-ne che ha richiesto a tutti noi atten-zione e sensibilità verso altri mondi aggregativi e sportivi, ma anche l’es-sere esigenti con loro nel dare forma concreta ad attività sportive educati-ve ispirate alla filosofia del gioco non meno che della vita, come emerge nel mondo salesiano.

Tutto questo ci ha anche orientato a un diverso linguaggio nel rapporto con le Federazioni sportive e con lo stesso CONI. Un linguaggio attento all’educativo attraverso il gioco e lo sport, prima ancora un linguaggio intriso di fiducia verso la nuove ge-nerazioni che ci permette di dire che esse non chiedono mai solo di esse-re avvicinate in quanto interessate a una disciplina, ma in quanto animate da una profonda aspirazione a vive-re. Forse è questo il linguaggio che ci rende credibili nell’investire insieme alle Federazioni sulla crescita uma-na, sportiva, educativa di dirigenti, allenatori, tecnici. Finalmente con le Federazioni e con il CONI non parlia-mo più solo di rigore degli atti ammi-

nistrativi, ma di avventure educative sportive.

Proprio perché condividiamo questo linguaggio siamo a pieno titolo nel CONI e non pochi nostri soci hanno compiti di responsabilità nelle Federazioni.

Un’associazione che sa costruire pontie buttare già muri

In certi momenti sono le Federa-zioni e il CONI a sorprendersi per la vitalità del nostro lavoro. Vitalità di cui, in realtà, non sempre siamo consapevoli e orgogliosi. E così, in un tempo in cui tutti hanno comincia-to a parlare di integrazione tra cul-ture attraverso lo sport, molti di noi non sembrano molto sensibili al fare spazio a questa sfida. Salvo poi sco-prire che nel nostro sport, certo non dappertutto, è “scontato”, naturale facilitare l’integrazione attraverso le normali attività sportive, dove nel giocare le culture, meglio ancora le storie dei singoli atleti, senza neppu-re chiedersi a quale cultura ognuno appartenga, apprendono a parlarsi, conoscersi, intrecciarsi, aiutarsi sul campo e fuori dal campo, fare fe-sta e sentirsi insieme tristi per una sconfitta. Su molti dei nostri campi e palestre silenziosamente l’integra-zione cresce in modo sorprendente.

maggio-settembre 2017 – juvenilia 21

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22 juvenilia – maggio-settembre 2017

FOCUSFOCUS

Che dire, se non che dobbiamo es-sere molto più consapevoli della ric-chezza del nostro lavoro?

In fondo noi da sempre costruiamo ponti e da sempre buttiamo giù muri. Non ci passa neppure per la testa il non essere solidali. Se lo sport è solitamente solidale, il nostro lo è a maggior ragione, perché radicato nella scelta di stare dal-la parte dei poveri, senza mai escludere nessuno. Non può esserci da noi il rifiuto dell’altro, se no perdiamo il nostro DNA.

Un’ associazioneche fa leva su risorse impensabili

Se ripensiamo al nostro sport in questi anni, non possiamo non dirci che è per vocazione che guardiamo in avanti in tutte le situazioni, facendo leva sull’“alcunché di bene” presente in ogni ragazzo di cui parlava don Bo-sco. In questi anni abbiamo guardato in avanti con lucidità e tenacia. Ma, oggi più di ieri dobbiamo farlo per misurar-ci sulle nuove sfide, compresa quella delle risorse per metterci al lavoro. Risorse umane e dunque anche finan-ziarie. La strategia della collaborazione fra realtà diverse e della condivisione delle risorse può aprire anche a noi, come in tante realtà associative, educa-tive e comunitarie in questi anni, stra-de dove prima nessuno intravvedeva risorse. È la strada che si sta aprendo anche davanti a noi.

Sappiamo che con queste risorse impensabili, fatte di collaborazioni tra reti sociali e culturali, artistiche e im-prenditive dentro uno stesso territorio, stiamo facendo miracoli in molti con-testi sociali, con un enorme contributo al Paese in termini di costruzione del-la salute, di capacità imprenditiva dei giovani, di ritessitura di legami tra ge-nerazioni. In ogni caso, le spese finan-ziarie, che non mancano e che spesso sono coperte dalla generosità di tanti cittadini, le riteniamo un investimento, mai un costo soltanto.

za, oggi molti di loro sono senza lavoro o hanno un lavoro precario che spesso li porta a non poter più allenare. Con una conseguenza preoccupante per la carenza di giovani allenatori ed edu-catori quando si vorrebbe offrire uno sport in contesti territoriali poveri. In ogni caso è insensato affrontare la crisi con la concorrenza fra mondi associati con gare al ribasso sulle quote di iscri-zione. Così facendo ci si distrugge gli uni gli altri, a scapito della qualità del servizio, perché dove si chiede poco si finisce per dare ancora di meno.

Un’associazione allenata a non avere paura di sfide difficili

Lo sappiamo, le sfide che ci atten-dono non sono semplici.

E allora, come conclusione, mi vie-ne da ricordare una frase di Roberto Baggio: “I gol li fa chi ha il coraggio di tirare i rigori”. Ovviamente dopo che ci si è allenati a lungo... Noi ad avere coraggio ci siamo allenati molto negli scorsi anni. Nel farlo abbiamo accumu-lato un grande patrimonio di cui siamo fieri, superando non poche di difficoltà con un duro lavoro a cui hanno parte-cipato con entusiasmo e intelligenza migliaia e migliaia di adulti e di giova-ni in ogni regione d’Italia, ispirandosi passo dopo passo al carisma salesiano e imparando insieme a viverlo den-tro il nostro tempo, spesso stimolati proprio da loro. Questo patrimonio e questo allenamento oggi ci sollecitano a guardare avanti e, per dirla con Bag-gio, a non avere paura di tirare i rigori e fare qualche gol, ma attenti a stare nella partita dalla parte dei giovani e delle loro attese spesso deluse in una società che sembra aver smesso di guardare a futuro. ■

Andiamo avanti con questa filosofia collaborativa consapevoli del fatto che non vogliamo perdere per strada nes-sun ragazzo o ragazza, ma a tutti voglia-mo offrire un luogo piacevole in cui ri-trovare una personale dignità facendo sport di qualità. Per questo cerchiamo e formiamo allenatori volontari appas-sionati e competenti e chiediamo loro di essere educatori sensibili nell’intes-sere relazioni a tu per tu ma, ancor pri-ma, abili nel sostenere una squadra nel farsi un buon gruppo, anche perché spesso ragazze e ragazzi soffrono l’as-senza di un buon gruppo in famiglia, a scuola, nel tempo libero.

Può bastare tutto questo per guar-dare in avanti? Con altre parole, può bastare il volontariato, in assenza di vere politiche giovani e veri investi-menti per lo sport educativo, senza cadere allo stesso tempo nella nuo-va beneficienza, dove si ha per ca-rità quello che si dovrebbe avere per diritto? Sono le domande che ci ponia-mo da anni.

Ma oggi va aggiunta una dolorosa considerazione sul volontariato dei giovani in associazioni come la nostra attraversate dalla grave mancanza di risorse finanziarie, tenendo conto che proprio perché lavoriamo con ragaz-zi e ragazze abbiamo bisogno di una robusta presenza di giovani volontari, soprattutto di giovani allenatori e tec-nici. Ma, lo riconosciamo con sofferen-

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maggio-settembre 2017 – juvenilia 23

LA RESPONSABILITÀ DI COGLIERE IL CAMBIAMENTOCI METTE TUTTI IN GIOCO

FOCUS / IL FUTURO DELLE PGS SI FA QUI E ORA

Ciro Bisogno, nuovo presidente nazionale

sappiamo tutti, se non si persevera, non si è creatori. La creazione è prima di tutto volontà. Il testardo batte la

testa, il perseverante la usa. E ci sono sempre due scelte nella vita: accettare passivamente le condizioni in cui vi-viamo o assumersi la responsabilità di cogliere il cambiamento. Come PGS, ancora una volta, nell’ultima assemblea nazionale elettiva a fine marzo a Roma, abbiamo scelto quest’ultima, facendo tesoro della nostra storia e del valore del lavoro svolto da chi ci ha preceduto, consapevoli che il cambiamento nasce sempre dalla volontà di tutti noi.

Anche per questo, con umiltà, co-raggio e senso di responsabilità ho accettato il mandato di presidente e ora provo a dare il mio contributo per un’associazione che vogliamo sempre più robusta nella sua struttura organiz-zativa, ma anche sempre più capace di trovare nell’orgoglio della storia il coraggio di continuare a servizio dei “nuovi giovani” sportivi. In tal senso, nelle pagine che seguono mi permetto di dare un nome e condividere con tutti alcune scelte fondamentali come guida e riferimento nei prossimi anni.

La scelta dei territori per uno sport a servizio dei nuovi giovani

È prioritario rafforzare la presenza delle PGS sul territorio nazionale, con-sapevoli che la sfida potrà essere affron-tata con la passione di quanti si impe-gneranno al servizio dell’associazione. Per farlo è importante adottare a livello centrale politiche che consentano ai territori di lavorare nelle migliori condi-zioni e con strumenti adeguati per pro-muovere le attività sportive e formative.

L’analisi dell’esistente ci dice che ogni territorio esprime un suo “modello

organizzativo e sportivo” che va ricono-sciuto, valorizzato, aiutato a svilupparsi. La stessa analisi dice che non possiamo presumere di ragionare da soli ma, data la varietà dei modelli, “solo insieme” possiamo trovare soluzioni congeniali al rafforzamento dei territori.

Oggi la capacità economica dell’En-te, oltre che dalla debole contribuzione del CONI, dipende dalla nostra assidua presenza ai tavoli della progettazione territoriale per reperire risorse che consentano di farci vicini alle esigenze dei ragazzi. L’attività sportiva organiz-

zata incide notevolmente sulla capacità economica dell’associazione, nonché dei territori stessi. Questo sollecita tutti a un maggiore impegno collaborativo.

Diventa necessario un modello di tesseramento che permetta di essere competitivi sui territori, soprattutto nelle fasce d’età più piccole, dove la “promo-zione” assume un rilevante significato. La competitività PGS non potrà, tuttavia, realizzarsi solo attraverso costi agevolati di tesseramento e affiliazione, ma mi-gliorando la qualità delle proposte.

L’individuazione di risorse umane da formare e coinvolgere nell’esperien-za PGS costituisce una responsabilità da assumere ai vari livelli, affinché i terri-tori virtuosi possano consolidarsi e le nuove esperienze possano nascere.

C’è poi da intercettare nuovi am-biti sportivi, anche attraverso sinergie e collaborazioni che possano, nello

scambio tra esperienze, determinare un arricchimento delle realtà territo-riali, consentendo loro di sviluppar-

si e consolidarsi. Il rafforzamento della presenza sui territori, quindi, significa aprirci e includere realtà nuove che in-dividuano nelle PGS un modello sporti-vo credibile.

Voglio guardare le nostre Regioni

Lo

Sette scelte fondamentali per il futuro delle PGS

maggio-

guida

io

senza con-

ffron-mpe-zione.ivello no ai ondi-r pro-ative.

e che dello

consentano di farci vicini alle esigenze dei ragazzi. L’attività sportiva organiz-

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da formza PGSassumetori virnuove

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Vog ➔

FOCUS FOCUS

e Province come luoghi di sport che superano i confi-ni territoriali con la validità delle proposte, consapevoli

che la crescita di un territorio equivale alla crescita dell’asso-

ciazione intera.Con le modifiche al regolamento de-

gli EPS è aumentato il livello di respon-sabilità per garantirci il riconoscimento del CONI quale Ente di promozione sportiva. La consistenza territoriale è un problema rilevante che impone un mo-nitoraggio dei territori, anche attraver-so dei responsabili di controllo.

È logico concludere questi ragiona-menti su “la scelta del territorio” ricono-scendo che lo sviluppo della consisten-za territoriale dell’Ente è reso possibile da una concatenazione di “passaggi” e “scambi” tra i nostri mondi, non dall’u-nicità di un modello.

La scelta dell’educativocome stile che qualificala nostra promozione sportiva

Come PGS giochiamo la nostra sfida sul futuro su due fronti: la conservazione dei requisiti ai fini del riconoscimento CONI e l’attestazione della nostra iden-tità educativa nel mondo dello sport.

Educare i giovani attraverso lo sport non per noi è uno slogan di convenien-za che riecheggia nelle riflessioni per-sonali o negli appuntamenti istituzionali o, addirittura, uno “specchietto per allo-dole”, ma azione concreta nelle realtà associative.

L’educativo è attenzione al mondo giovanile, cogliendone esigenze ed aspettative. L’educativo è fornire rispo-ste concrete attraverso occasioni di condivisione e di socializzazione. L’edu-cativo è avere a cuore la formazione di alleducatori e dirigenti, i veri protago-nisti dell’esperienza PGS. L’educativo è confronto tra le esperienze territoriali.

L’educativo è garanzia di un carisma che consen- t e di ribadire con forza l e nostre origini. L’educativo è l o stile che contraddistingue l a nostra promozione sporti- va, consci che tale responsa-bilità va assunta da quanti sono impegnati nell’offrire a i giovani uno sport che sia oc-casione di crescita.

Il progetto educativo delle PGS re-clama la sua centralità nella mission as-sociativa. Ripartiamo dall’educativo per non smarrire la nostra vocazione, con-sapevoli che i cambiamenti dei contesti impongono una riflessione in ordine a proposte capaci di adeguarsi alle situa-zioni ed esigenze.

Il sistema preventivo anche oggi consente di rivolgerci ai ragazzi con atteggiamento amorevole e di in-dividuare negli ambienti sportivi il famoso “punto accessibile al bene”. I nostri ambienti sono luoghi di ac-coglienza che consentono uno sport come esperienza di crescita integra-le. Per fare questo dobbiamo risve-gliare la nostra passione educativa.

Un progetto che scommette sull’e-ducativo coglie la sfida di uscire dai confini dei propri ambienti e di intera-gire con mondi giovanili che reclamano uno sport credibile. L’animazione sale-siana dei luoghi di sport e di aggrega-zione è possibile se tramutiamo i valori in cui crediamo in servizio ai territori. Educare ha un pieno significato se al-lestiamo ambienti vivi, capaci di uno sport attento alle istanze dei territori e alle passioni di “questi” giovani.

La scelta dei giovaniper investire insiemesulle possibilità di futuro

Dobbiamo continuare a scommet-tere sul giovanile come ambito princi-pale della nostra missione, nonché vero senso della nostra presenza nel mondo sportivo. Per farlo è necessario volgere lo sguardo al mondo giovanile come destinatario non solo di iniziative spor-tive, ma anche di proposte di servizio. Essere associazione che ha a cuore i giovani è saper cogliere le loro esigen-ze, ma anche le loro vocazioni.

La nostra promozione sportiva è da

Saluto cordialmente i presenti, in particola-

re, il presidente del CONI Giovanni Malagò e

il presidente Gianni Gallo.

Ringrazio il presidente Malagò per la fi ducia

e l’apprezzamento che dimostra nei con-

fronti delle PGS, che sono per noi stimolo

e responsabilità nel proporre uno sport che

si radichi sui principi educativi del sistema

preventivo di don Bosco per aiutare i giova-

ni a crescere nei valori della vita che lo sport

racchiude.

La mutata situazione ci ha portato a vivere un’”età” adulta

A Gianni Gallo esprimo il grazie sincero

per il servizio reso in questi anni con passione

e disponibilità. Non possiamo non riconosce-

re la fatica e la preoccupazione di accompa-

gnare e rilanciare l’associazione in una situa-

zione interna mutata, ma che, nello stesso

tempo, ha necessariamente portato a vivere

una “età” adulta: in un rapporto modifi cato

con gli Enti promotori, ha saputo comunque

mantenere la propria signifi catività.

Certamente questo è stato possibile

grazie all’aiuto del Consiglio direttivo, a cui

va la mia gratitudine, alla presenza delle re-

ferenti FMA che hanno mantenuto vivo il

carisma, e a tutti voi alleducatori, dirigenti,

formatori che lavorate sul campo a contatto

con la quotidianità dell’attività sportiva.

Siamo qui per vivere un momento si-

gnifi cativo: se ogni assemblea è importan-

te, questa lo è in modo particolare perché

Quel che ci sta a cuore

guardandoinsieme

il futuro nostraassociazione

Il saluto di

suor Anna Razionale,

presidente Ente CIOFS

24 juvenilia – maggio-settembre 2017

veri protago-L’educativo è e

a n- t e a l e è l o

ue l a ti- va,a-ntire a i c-

La nostra promozione sportiva è da

maggio-settembre 2017 – juvenilia 25

sempre fa spazio all’espressio-ne di vocazioni sportive diverse tra discipline individuali e disci-pline di squadra. Ma il consoli-damento delle discipline spesso ha determinato un calo di at-tenzione verso ulteriori ambiti sportivi, veri e propri poli di ag-gregazione dei “nuovi giovani”. Pertanto la proposta sportiva deve aprirsi a nuove sfide intercettando ambiti giovanili nuovi per renderli par-tecipi del nostro progetto educativo.

La scommessa è rivendicare il ruo-lo di Ente competente nell’organizzare l’attività sportiva e ludica nel mondo giovanile fino a diventare un punto di riferimento per quanti credono in uno sport educativo.

Con Don Bosco consideriamo il gio-co un fattore educativo di primo ordine, contrappeso di libertà rispetto alle ore di lavoro e di convivenza difficile a casa, a scuola, al lavoro. Nella tradizione sale-siana il gioco libera la gioia, predispone al positivo, facilita il processo educati-vo, apre all’impegno volontario. In tale senso il protagonismo può diventare impegno nell’assumere ruoli di alledu-catori e di istruttori, ma anche di diri-genti. Abbiamo il dovere di individuare risorse che apportino nuova linfa per il futuro delle PGS. Se non si ravviva il tes-suto associativo con i giovani non si va da nessuna parte. E il futuro parte oggi, qui e ora, se tutti siamo protagonisti nei rispettivi ruoli.

Per dare continuità a tutto questo è opportuna una “Commissione gio-vani”: un laboratorio di idee costitui-to da ragazzi provenienti dai territori, ai quali offrire occasioni di confronto, condivisione e formazione, nonché di presenza attiva nelle iniziative nazio-nali e territoriali.

I futuri quadri associativi possono

crescere solo attraverso un’esperien-za aggregativa che faccia toccare con mano la bellezza dell’essere PGS e dell’impegno ai vari livelli.

La scelta della formazionecome laboratorio in cuidar forma al futuro

La formazione è da sempre un capo-saldo dell’associazione che ha consen-tito a tanti volontari di scoprire il mondo delle PGS e di considerarlo parte inte-grante della loro vita. In questa prospet-tiva, i campi scuola sono stati fucina di risorse umane associative, di compe-tenze tecniche ed educative, nonché laboratori di condivisione e intensa ag-gregazione.

Tuttavia Il cambiamento dei tempi ha determinato una diminuzione del nu-mero dei partecipanti ai campi, nonché un sensibile calo del numero degli stes-si campi. L’associazione si è interrogata sulla bontà dell’offerta formativa, oltre che sulla validità dei contenuti dei corsi, e ha elaborato in questi anni un piano formativo per adeguare uno strumento di grande valenza. Non ha senso vol-gere lo sguardo indietro e insistere su formule prive di efficaci riscontri, lo ha andare incontro alle esigenze formative dei ragazzi e dei territori.

Alla luce del nuovo piano formativo abbiamo la responsabilità di dare rispo-ste in un ambito in cui si gioca la nostra

scommessa educativa misuran-doci con le esigenze di aggior-namento e di specializzazione nelle discipline, concertando con i responsabili territoriali e con quanti operano nel settore un’offerta formativa vicina ai giovani, alle loro esigenze, alle loro vocazioni.

L’individuazione di percor-si comuni con le Federazioni sportive, che possano portare a un riconoscimento dei nostri corsi formativi, rappresenta una strada da percorrere af-

ci vede insieme per compiere un atto fon-

damentale: l’elezione del nuovo presidente

nazionale e del Consiglio direttivo. Un atto

di responsabilità personale, ma anche di

corresponsabilità se crediamo nel valore co-

munitario dell’associazione.

Un momento di rilancioe di riassunzionedegli elementi fondanti

Come FMA continuiamo a essere qui per-

ché crediamo nel valore educativo-pastora-

le dell’associazione e pertanto ci preme che

questo valore non venga mai meno, accom-

pagnando i giovani in una crescita integrale,

aiutandoli a fare esperienza di cittadinanza

attiva e di appartenenza ecclesiale.

Quello che stiamo vivendo è un momen-

to signifi cativo di rilancio e di riassunzione

degli elementi fondanti che hanno ispirato il

nascere dell’associazione – e mi piace qui fare

memoria grata di don Gino Borgogno che

dall’alto intercede per il buon esito del nostro

lavoro e di suor Giuliana Cabras, il cui cuore

vibra ancora, pur avanti negli anni, per la no-

stra realtà associativa. Parte da loro il tessuto

di collaborazione con istituzioni ed enti, un

tessuto che, nel tempo, si è mantenuto vivo e

si è alimentato, continuando a credere nello

sport come bene educativo e culturale.

Quattro elementi irrinunciabili guardando al futuro

Per continuare in modo signifi cativo il

cammino volentieri metto in luce quattro

elementi che, con linguaggio salesiano, “ci

stanno a cuore”.

La corresponsabilità dei laiciCi sta a cuore vivere una reale corre-

sponsabilità con i laici e un dialogo

costruttivo dove l’impegno recipro-

co, vissuto nello stile carismatico

che don Bosco e madre Mazzarello

ci hanno consegnato, crea quell’am-

biente educativo che permette ai

giovani di crescere nella cultura

dell’impegno, dell’incontro con gli

altri, nell’educarsi a un sano gioco di

scdnanccugl

ssacu

➔➔

FOCUSFOCUS

finchè il nostro modello di formazione consegua il giusto apprezzamento nel mondo dello sport e susciti contamina-zioni con altri modelli.

La costituzione di una “Commissio-ne formazione” è indispensabile affin-chè, attraverso il confronto e la condi-visione di idee, si individuino soluzioni adeguate alle esigenze dei tempi e dei territori e si elaborino sussidi e stru-menti che “traducano” i contenuti da proporre ai corsi.

È opportuno curare un’équipe di formatori PGS composta dalle profes-sionalità diverse che possano presen-ziare ai vari appuntamenti formativi ed essere strumento educativo per i corsi-sti, in modo da alimentare la condivisio-ne del nostro stile educativo, del nostro carisma salesiano, del nostro progetto culturale. Particolare attenzione richie-de oggi la formazione dei dirigenti e dei quadri associativi per consentire di svolgere i vari compiti, accompagnan-doli nel loro percorso associativo e for-nendo strumenti adeguati per essere presenza viva e punto di riferimento nei loro territori.

È importante anche aprirsi a nuove sfide sulla formazione attraverso istau-rando rapporti con le istituzioni sco-lastiche con l’intento di promuovere il

nostro sistema educativo e

sportivo nelle scuole e, dove possible, contribuire alla nascita di licei sportivi.

La scelta di fare associazione per condividere una scelta di servizio e volontariato

Riscoprire la bellezza e il significato profondo del nostro essere associazio-ne fra persone ci porta a valorizzare l’impegno di servizio e di volontariato.

Le PGS possono essere un luogo aperto e partecipato in cui ognuno può individuare uno spazio di impegno as-sociativo, mettendo in gioco inclinazioni e capacità. Nostro compito è valorizzare le competenze e le professionalità di chi si mette a disposizione dell’asso-ciazione, convinto della bontà e della valenza delle sue finalità. Ricostituire un forte tessuto associativo è irrinuciabile per creare, attraverso la partecipazione, una base forte e solida.

Il nostro stile è un patrimonio ine-stimabile che qualifica la presenza dell’associazione nello sport. Per noi fare promozione sportiva sui territo-ri non è mai vendere un prodotto o un modello a costi agevolati, ma diffondere una realtà che mette al centro la perso-na, tutta la persona e tutte le persone, senza mai escludere nessuno.

squadra per costruire una migliore

cultura del rispetto e dell’amicizia.

La scelta pastoraledelle periferieCi sta a cuore ricollocare ogni giorno

di più il valore pastorale dello sport

dentro la missione educativa che ci è

affi data all’interno delle nostre ope-

re ma anche al di fuori, verso quelle

periferie dove lo sport può svolgere

una funzione educativa determi-

nante, per la sua forza aggregante e

inclusiva.

La forza trasformantedel donoCi sta a cuore la presenza di adulti che sap-

piano testimoniare la logica del dono nel

servizio volontario e si mettano in gioco in

un cammino formativo propositivo.

L'intraprendenzadel fare pontiCi sta a cuore accogliere la sollecitazione

di Papa Francesco: “È tipico dell’attività

sportiva unire e non dividere, fare ponti

e non muri”, nella ricerca del bene e del

meglio che può garantire vitalità e cre-

atività nel trovare sempre nuove vie per

la crescita dell’associazione in tutte le sue

espressioni.

Un nuovo segnodella sostanziale collaborazione

Che la nostra presenza all’interno dell’As-

sociazione voglia essere sempre più signi-

fi cativa e propositiva, viene anche dal rico-

noscimento delle Ispettrici d’Italia che hanno

approvato l’ingresso di una FMA all’interno

del Consiglio direttivo, evidenziando che tale

decisione viene dal considerare la “positiva

collaborazione di questi anni intercorsa tra

le Polisportive giovanili salesiane e l’Istituto

delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Auguro al nuovo gruppo dirigente che,

realmente e in unità d’intenti, di assumere la

responsabilità di far camminare l’associazione

in questa prospettiva e si formino e formino

in questa direzione le nuove generazioni. ■

lastiche con l intento di promuovere ilnostro sistema educativo e

na, tutta la persona e tutte le persone, senza mai escludere nessuno.

finchè il nostro modello di formazione sportivo nelle scuole e, dove possible,

26 juvenilia – maggio-settembre 2017

“Ripartiamo dall’essere associa-

zione con il suo stile per creare un ente di promozione che pone al cen-tro il volontariato dei dirigenti e di quanti operano con le loro inesauri-bili risorse.

La scelta di condividerel’approccio salesianocon realtà sportive giovanili

L’incontro, il dialogo e la coope-razione con associazioni sportive sullo stesso territorio rappresentano un costante riferimento per il nostro sviluppo associativo. Le realtà locali, quando scelgono di affidare alle PGS l’organizzazione della loro attività sportiva, possono trovare un ambien-te accogliente, pronto a mettersi in gioco nel cercare risposte alle istan-ze emergenti. Il “tu mi stai a cuore” di don Bosco si fa costante attenzione alle realtà sportive, attratte dalla no-stra proposta, per essere parte inte-grante di un unico progetto sportivo ed educativo. Per andare in questa direzione sono necessari servizi che accompagnino le associazioni, aiutan-dole anche nell’affrontare problemi derivanti da adempimenti legislativi e burocratici, nell’organizzare associa-zioni che non siano luoghi di sola ero-gazione di servizi, ma ambienti in cui i ragazzi possano vivere un’esperienza di crescita integrale.

Dare spessore al nostro modello di promozione sociale è cruciale in un tempo in cui l’esigenza di investi-re sul volontariato assume un signifi-cato particolare. Questo comporta di individuare e valorizzare i vari ambiti operativi presenti sui nostri territori e da tempo impegnati in opere di ri-levante portata, ma anche di offrire il nostro contributo attraverso sinergie e collaborazioni. Il nostro progetto culturale e sportivo può diventare un valido strumento negli ambiti in cui lo

sport quando è mezzo di integrazione, servizio al territorio, leale collabo-razione con le istituzioni, occasione di riflessione sulla tutela della salute, valorizzazione del turi-smo sociale.

In tale ottica, ha sen-so il rinnovo della con-venzione con il Ministe-

ro dell’istruzione, università e ricerca per avviare con le scuole progetti fina-lizzati alla realizzazione di attività ludi-co motorie e sportive, con particolare attenzione all’integrazione multietnica. Siamo associazione viva quando, at-traverso percorsi condivisi e iniziative concertate intercettiamo priorità e bi-sogni dei contesti sociali e siamo di ri-ferimento e sostegno per tutti.

La scelta della comunicazioneper valorizzare la nostra immagine

C’è molto da lavorare affinchè le PGS valorizzino all’esterno la propria immagine attraverso un “Ufficio stam-pa” che curi una comunicazione effi-cace e faccia conoscere le iniziative. La comunicazione, attraverso tutti i canali, è per noi uno strumento di condivisione, di costruzione di reti, di promozione del nostro progetto. Ancora una volta, non per vendere un prodotto ma per valo-rizzare il nostro lavoro e dare la giusta dignità alla nostra immagine. Allo stes-so modo, la comunicazione è per noi momento di partecipazione associativa nella quale anche i ragazzi possono tro-vare un spazio di crescita e aggregazio-ne facendo interagire i vari territori.

Andare incontro alle nuove generazioni:esse ci salveranno

A conclusione delle ri-flessioni che ho proposto in qeuste pagine mi fa pia-cere condividere con tutti – dirigenti e allenatori, colla-boratori e tecnici, giovani e genitori, amici della famiglia salesiana e del vasto mondo della promozione spotiva – due riflessioni che ci aprono alla responsabilità ma, prima an-cora, alla speranza.

Ripartiamo dall’essere associa-zione con il suo stile per creare un

spointterrazocsuvasm

sove

ro dell’istruzioneper avviare con l

La prima è di don Juan Vecchi, ottavo successore di Don Bosco, che guardava agli oratori salesiani come una missione aperta nel mondo giovanile:

L'oratorio salesiano nasce diverso dagli altri: non come una sede per proposte di “servizi normali” per chi ne volesse approfi ttare; ma come una ricerca per le strade, le botteghe, i cantieri. È una scelta di determinati soggetti e se questi soggetti non si avvicinano bisogna, come prima mossa, uscire loro incontro.

La seconda riflessione è del deci-mo successore di Don Bosco, don An-gel Artime, che ci invita a modificare lo “sguardo” con cui osserviamo quel che succede alle nuove generazioni, convinti che saranno “questi giovani” a salvarci:

I giovani ci salveranno aiutandoci a uscire dalla nostra routine, dalle nostre inerzie e dalle nostre paure.Il mondo dei giovani è un mondo di possibilità. Per poter essere fermento in questo mondo, dobbiamo conoscere e valutare positivamente e criticamente ciò che i giovani valorizzano e amano. ■

oni:no ri-

o a-–

la-i e glia ndo va – rono ma an-

maggio-settembre 2017 – juvenilia 27

28 juvenilia – maggio-settembre 2017

DAL TERRITORIO

Non è forse questoil senso di una competizione sportivanello stile PGS?

Per il terzo anno consecutivo noi della PGS Folgore Roma under 16 abbiamo par-tecipato ai PGS International Youth Games, che quest’anno si sono svolti, dopo Torino e Bratislava, in Andalusia nella magnifica città di Siviglia, dal 10 al 15 maggio.

Nel primo turno di questa XXVIII edi-zione dei Giochi siamo scesi in campo contro il Don Bosco Gymnasium (Essen, Germania) e il Salesianas Guanarteme (Las Palmas De Gran Canaria, Spagna), ma tra le altre squadre presenti vi erano formazioni provenienti dal Belgio, dalla Spagna e dall’Italia.

Chiudendo il primo turno con due vit-torie ci siamo guadagnati il diritto a una seconda giornata interamente di riposo, sfruttata per ammirare le bellezze del ca-poluogo dell’Andalusia, tra cui l’Alcàzar, la cattedrale, il Metropol Parasol e tutta la zona centrale.

Il riposo però dura poco per tutti, com-preso noi di Via Dalmazia, che già al terzo

giorno ci ritroviamo ad affrontare in semi-finale il Sales Catania in una gara ricca di colpi di scena, che ha visto noi rosso-bian-chi rimontare uno svantaggio di -15 pun-ti, portando la partita a un impensabile over-time. Alla fine però è stata la squadra catanese ad avere la meglio, terminando l’impresa il giorno successivo con la vitto-ria finale.

La sconfitta però non uccide l’entu-siasmo con cui affrontiamo in finale ter-zo-quarto posto i “cugini” romani del Borgo Don Bosco. Il clima prima, durante e dopo la partita (una gara dai toni sicu-ramente meno accentuati rispetto alle partite precedenti, vista la stanchezza in campo) è quello che forse rappresenta al meglio il significato di questa esperienza: il rispetto e il fair-play. Basti pensare che le nostre due formazioni hanno pranzato insieme sedute intorno a un albero in un parco, creando un’amicizia che ci ha por-tati a tenderci la mano su ogni giocata fal-losa durante il match e a ridere e scherza-re anche una volta terminata la sfida. Non è forse questo il senso di una competizio-ne sportiva come quella dei PGSI?

Chiuse le gare, non ci è rimasto che trascorrere un’altra splendida e calda giornata per Siviglia, in attesa della pre-miazione e dei festeggiamenti per lo spl endido terzo posto, evento tenuto nella meravigliosa cornice di Plaza de España, uno degli spazi più suggestivi della città.

In conclusione, è chiaro che questa esperienza ha permesso di conciliare la nostra più grande passione, lo sport, con uno dei punti cardine del pensie-ro salesiano, ovvero la condivisione. Il momento di riflessione, il divertimento, le nuove amicizie, i canti, i balli, l’agonismo e il tifo sono stati i protagonisti di questi cinque giorni che io e ogni mio compa-gno di squadra porteremo per sempre nel cuore. ■

Giulio Valenti, capitano PGS Folgore Under 16

maggio-settembre 2017 – juvenilia 29

E gli atleti fermano la partitaper segnare un metada veri rugbisti

ALASSIO

Le manifestazioni nazionali che si sono svolte ad Alassio, sono sicuramen-te gare sportive giocate con il massimo impegno, ma soprattutto grandi feste di p ersone in una crescente esplosione di energia, dove raramente è capitato di ve-dere allenatori, dirigenti, atleti, genitori e spettatori così disposti a far festa trasci-nati nei balli di gruppo.

Hanno iniziato le squadre di pallavolo Libera mista a dare a tutti la “carica” in pieno spirito PGS.

La scaletta collaudata è sempre la stessa nei momenti istituzionali, cercan-do però nuove soluzioni per socializzare e impiegare il tempo libero e quest’anno l’organizzazione è stata messa alla prova con iniziative che sono partite dalle sin-gole associazioni. E così gioco nel gioco nessuno ha disertato con squadre, arbitri e animatori a cercare di primeggiare.

Canti e sketch nelle serate e improv-

visazioni anche durante le gare, dove a un preciso richiamo del libero, tutti gli atleti si trasformano in rugbisti e vanno a segnare una incredibile meta tra lo stupore e le allegre risate dei presenti.

Cerco di descrivere gli eventi per presentare e proporre l’atmosfera do-minante delle manifestazioni, ma viverle e stare in mezzo ai ragazzi è veramente appagante e non ha prezzo, e quando pur essendo sulla riva del mar Ligure, chiamato da un animatore e sollecitato dalla ragazze dell’Under 16 l’arbitro An-tonio si esibisce nel suo pezzo forte can-tando “Romagna mia” scatenando tutti i presenti in un ballo liscio, senti che

Manca all’appello il “Trofeo don Gino Borgogno” per i ragazzi Propa-ganda di pallavolo e pallacanestro, a cui cercheremo di dare l’opportuno ri-salto con una preghiera, un grazie e una speranza a don Gino nel quindicesimo anno dopo la sua morte. Grazie, don Gino per quello che ci hai insegnato e per la forza e l’amore per i ragazzi che ci hai insegnato. ■

Cinzia Molle ([email protected])

Il bello è uno sport verotra gare,allegria, nuove amicizie

TOR BELLA MONACA (ROMA)

a un preciso richiamo del libero, tutti gli

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visazioni anche durante le gare, dove un preciso richiamo del libero tutti gl

Dal 5 al 7 maggio un folto gruppo di genitori e ragazze della PGS SMMR di Tor Bella Monaca accompagnate da allenatrici e dirigenti hanno parteci-pato al Concorso nazionale di danza a Lignano Sabbiadoro.

Per le ragazze una bellissima espe-rienza sia sportiva sia di amicizia nel gruppo con la partecipazione alla ma-nifestazione in tutti i suoi momenti.

La prima serata, dopo l’apertura del-la manifestazione, abbiamo partecipato al Gran Galà, serata ricca di coreografie con la presentazione delle diverse so-cietà. Ci sono state esibizioni originali dal punto di vista coreografico e tecnico, vissute con serenità e amicizia. I giudi-ci erano tutti professionisti, vincitori di gare a livello europeo o mondiale.

L’ultima sera è stata di festa e bal-li per stare insieme. Tutto è terminato con le premiazioni e il riconoscimento dell’impegno delle atlete dal punto di vista sportivo.

Siamo tornate a Roma soddisfatte dei risultati con un primo posto per la miglior coreografia, un secondo e ter-zo posto, ma soprattutto ricche dell’e-sperienza di gruppo e di incontro con il mondo PGS che vive lo sport come impegno nella gara e nella vita, grazie a quanti vi dedicano tempo e profes-sionalità. ■

Le istruttrici di danza PGS ([email protected]

30 juvenilia – maggio-settembre 2017

DAL TERRITORIO

Il pattinaggio artisticoguarda al futurocon fi ducia e coraggio

MISANO ADRIATICO

Un’altra edizione – la trentaduesima – della “finale” nazionale di pattinaggio artistico è andata agli archivi. Quella svoltasi tra la seconda e la terza deca-de di maggio a Misano Adriatico è stata un’altra edizione da primato; pensava-mo di aver raggiunto il top l’anno passa-to e invece ci siamo ripetuti e superati, abbattendo alla grande i limiti stabiliti appena dodici mesi fa. Numeri ecce-zionali, impressionanti, da far impalli-dire quelli che registravamo negli anni ’90 e ad inizio nuovo millennio, quando stavamo a scervellarsi se era il caso di ammettere ancora un paio di società e una manciata di atleti, andando a supe-rare quel limite di 150 partecipanti che pareva una “frontiera” da oltrepassare con cautela, perché ne avrebbero po-tuto derivare problemi e grattacapi. Ne abbiamo avuti 230 di partecipanti (per la precisione 231, su 237 iscritti ed an-che questo – il ridottissimo numero di

forfait – è un dato da primato) quest’an-no, cui si devono aggiungere una cop-pia e quarantasei (!) tra quartetti e grup-pi spettacolo, il che significa altre 400 presenze/gara circa e almeno altri 200 partecipanti. Una trentina le società pre-senti e ben sei le regioni rappresentate; possono sembrare poche ma è un risul-tato che crediamo solo la ginnastica ar-tistica è riuscita a eguagliare in questa tornata di finali nazionali.

Con questa eccezionale “dimensio-ne” dell’edizione 2017 riteniamo ragio-nevolmente di avere superato la crisi che il settore pattinaggio artistico ha vissuto dal 2009, quindi per oltre un quinquen-nio, caratterizzato da manifestazioni belle e sentite ma con numeri nell’ordine delle decine di atleti e una partecipazione che risultata di livello regionale o, a essere generosi, interregionale.

Superata la crisi – speriamo di non sbagliare – viene il difficile: nell’imme-

diato almeno mantenere, ma se possi-bile migliorare, il livello raggiunto; in prospettiva, incrementare la pratica

del pattinaggio artistico (cercando di ampliare l’attività anche oltre le

sei regioni di cui si è detto sopra, recuperando regioni e società

già presenti in passato e ora appa-rentemente scomparse dal panorama PGS e consolidando realtà che esisto-no, ma non riescono o non intendono esprimersi al di fuori del proprio am-bito territoriale. E necessario è anche ripensare la formula della manifesta-zione, in modo da evitare che si venga presi in contropiede dall’eccezionali-tà del riscontro numerico. Quest’an-no abbiamo sfruttato ogni possibile spazio di tempo disponibile, dal po-meriggio e dalla serata del giovedì, solitamente dedicata all’accoglienza, alla domenica mattina inoltrata (quan-te partenze senza pranzo!), passando per le serate del venerdì e del sabato (in realtà abbiamo finito all’una e mez-za di notte!); con ciò sacrificando le occasioni di socializzazione e di puro divertimento.

Varie e diverse le ipotesi per rida-re agilità e pienezza di significati alla finale nazionale: dall’ampliamento di un giorno del periodo di svolgimen-to (in modo da avere tre giornate non estenuanti, salvando le serate e la gior-nata iniziale dedicata all’accoglienza, all’introduzione di criteri di ammissio-ne un tantino più severi soprattutto per le realtà territoriali in cui il pattinag-gio è maggiormente sviluppato. E nel quadro del ripensamento della mani-festazione non può non essere presa in considerazione l’opportunità di una nuova collocazione, ferma restando la scelta della Romagna, strategica ai fini di favorire la partecipazione e delle società del nord e di quelle del cen-tro-sud. Forse a Riccione? ■

Gianni Decaneva ([email protected])

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maggio-settembre 2017 – juvenilia 31

Uno spazio per tutte le atleteperchè trovino tutte motivo per crescere

LIGNANO

Maggio e giugno, tempo di finali nazio-nali anche per la gin-

nastica artisita e ritmica. La ormai tradizionale location

di Lignano rende le finali della Don Bosco up di ginnastica ar-tistica e ritmica piene di aspet-tative per le tante atlete che, già dalle ammissioni regiona-li, sperano di poter accedere alla fase successiva. Cinque

giorni impegnativi, uguali, ma diversi tra loro.

La ginnastica artisti-ca ha visto gareggiare 1200 gin-

naste in un ritmo serrato di gare, ma anche tanti momenti belli da condivi-dere tutti insieme con il tradizionale flash mob nelle due serate di aper-tura. La ginnastica ritmica ha avuto il piacere e l’onore di ospitare le far-falle dell’areonautica militare a cui vanno i nostri ringraziamenti per la disponi-bilità dimostrata.Si è appena con-clusa a Torino la “ritmica amica” e a Sestriere l’“ar-tistica amica”, il trofeo Erika Zurlin di specialità e la Silver Ligue, gara dedicata alle gin-naste che, pur non essendosi qualificate per Lignano, hanno potuto esprimere le loro capacità e gua-dagnarsi un podio o qualche medaglia. Perché lo spirito PGS è trovare uno spa-zio per tutte le atlete (grandi o piccole e più o meno dotate) e che tutte nello sport trovino motivo per crescere in modo sano. ■

Monica Malabotta ([email protected])

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Chi pratica la disciplina che ama, non uscirà mai sconfi ttoda nessun tipo di campo

CITTÀ DEL MARE (PA)

Un altro anno è passato, un altro anno è volato via insieme a tutti gli altri, un altro anno di emozioni, delu-sioni, traguardi raggiunti e inevitabili sconfitte, tutti passi inevitabili per cre-scere sotto ogni aspetto. Il profumo della primavera inizia a sentirsi, il sole diventa ogni giorno più caldo e scac-cia via i nuvoloni grigi dell’inverno passato, portandosi via tutti i pensieri.

Dopo tanti anni di assenza, le Pi-giessiadi tornano a Città del Mare, il più grande resort in Sicilia affacciato sul caratteristico Golfo di Castellama-re e contemporaneamente immerso in un affascinante parco naturale che va a dipingere un paesaggio da sogno e crea uno spettacolo che solo la Sicilia riesce a offrire così facilmente.

Dal 19 al 21 maggio sono entrate in scena le scuole palermitane insie-

me alle squadre partecipanti alla “Coppa Palermo” e a una delle tappe del “Don Bosco Beach Cup” e, tutti insieme, hanno dato vita a un clima di festa e di alle-gria come solo le manifestazio-ni sportive riescono a fare.

I numerosi ragazzi presenti

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alla prima delle due manifestazioni si-ciliane delle Pigiessiadi 2017, si sono scontrati sui soffici campi da calcio, sui rigidi campi da pallavolo e basket e, infine, sugli scottanti campi da beach volley. Con un solo desiderio: diver-tirsi per vivere al meglio, con un for-te spirito sportivo, un’esperienza che difficilmente si riuscirà a dimenticare anche a distanza di anni, senza mai di-menticare lo spirito accogliente e fa-miliare di don Bosco che da anni ormai si cerca di trasmettere a tutti i ragazzi partecipanti e che continua a fornire le preziose fondamenta a esperienze formative sotto ogni punto di vista.

Tre semplici giornate si sono tra-sformate in un’occasione per stare insieme, per divertirsi, per imparare quanto sia importante e fondamenta-le il gioco di squadra e il rispetto per l’avversario sia sul campo che nella vita, il tutto unito a momenti di racco-glimento collettivi che hanno definito un fine settimana carico di emozioni.

Si sa, da tutti i campi si esce più facilmente da vincitori e più difficil-mente da sconfitti, ma nel tempo si im-para che, in realtà, chiunque partecipi a uno sport sano, ricco di valori e di rispetto, chiunque si diverta insieme ai compagni di squadra e agli avversari praticando la disciplina che ama, non uscirà mai sconfitto da nessun tipo di campo. ■

Roberta Balducci ([email protected])

32 juvenilia – maggio-settembre 2017

INTERVISTE a...NEWSVisita di Mattarella al CONI: “Lo sport è l’immagine dell’Italia”“Lo sport italiano ha consapevolezza di rappresentare l’immagine dell’Italia”. È la convinzione espressa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella du-rante la sua visita al Comitato olimpico nazionale italiano, lo scorso 12 giugno, incontrando al Foro Italico i rappresen-tanti delle istituzioni sportive italiane.Accolto dal presidente del CONI Gio-vanni Malagò, dal ministro dello Sport Luca Lotti e dal presidente del Comita-to italiano paralimpico Luca Pancalli, il presidente ha evidenziato l’importanza dello sport nell’unire il Paese: “Sbagliano quanti considerano lo sport come mar-ginale nella vita sociale, come un tempo di ricreazione. Lo sport è invece una leva di grande effi cacia sul piano sociale, cul-turale, educativo, con rilevanti ricadute economiche”. “Vogliamo occupare un importante pezzo di welfare attivo del Paese – ha proseguito Mattarella – e gra-zie allo sport coltivare tanti sogni e tante speranze. Il nostro più grande risultato

nostra società in misura molto maggiore di quanto taluni credono: per questo lo sport italiano ha consapevolezza di rap-presentare l’immagine dell’Italia. Chi si impegna per lo sport, chi lo diffonde, aiuta l’intero Paese”.“Auspico che l’Italia abbia nei prossimi anni la forza e la capacità di guardare allo sport per trarre un nuovo slancio verso traguardi sempre più ambiziosi – ha concluso Mattarella –. Se sapremo fare squadra nessuna sfi da, neanche la più diffi cile, sarà irrealizzabile. E i nostri sogni, anche i più arditi, potranno di-ventare realtà”.

sarà quando saremo consapevoli di aver regalato un sogno, una speranza in più a tanti ragazzi”.“Questo incontro – ha notato il presi-dente della Repubblica – intende riaf-fermare non soltanto i valori dello sport, ma la sua importanza, ampia e crescen-te, nella società, nella formazione dei giovani, nello sviluppo equilibrato delle persone e delle nostre comunità”. “Lo sport è, insieme, causa e conseguenza di una passione collettiva che accompa-gna gare e campionati, e talvolta con-tribuisce a farci sentire un popolo – ha aggiunto –. Nello sport si specchia la

Malagò confermato presidente del CONI

Giovanni Malagò è stato confermato alla guida del CONI per il prossimo quadriennio. Romano, 58 anni, in cari-ca dal 19 febbraio 2013, Malagò è sta-to rieletto a larghissima maggioranza dal Consiglio nazionale.La Giunta nazionale, su proposta del presidente, ha nominato vicepresidenti Franco Chimenti (vicario) e Alessandra Sensini, mentre Roberto Fabbricini è stato confermato segretario generale e Carlo Mornati vicesegretario generale. Della Giunta nazionale è entrato a far parte anche Giovanni Gallo, già presi-dente nazionale delle PGS, quale rap-

internazionale relativamente al tema dell’antidoping, dove siamo diventati modello da imitare, attribuendo au-tonomia al sistema. E poi c’è lo sport a scuola, dove i dati sono ancora impietosi: ci abbiamo messo la faccia e le risorse ma si deve fare ancora molto, raccogliendo ri-sultati importanti sotto il profi lo della pratica sportiva”. “Dobbiamo uscire dai recinti, dobbia-mo volare alto, mettendo da parte i protagonismi e ogni confl itto d’inte-resse – ha quindi esortato il presidente CONI –. È per legittimare la credibilità che ci viene riconosciuta, come confer-ma l’attribuzione di risorse del Governo per il progetto “Sport e periferie”. Riusciremo a superare le diffi coltà, a reperire nuove risorse, a uniformare statuti e regolamenti. I risultati sportivi poi sono sotto gli occhi di tutti: l’asso-ciazionismo di base è il nostro motore. Vogliamo andare avanti, facendo leva su coraggio e idee: poi la differenza la fanno le persone, soprattutto i 12 mi-lioni di tesserati.”

presentante per gli Enti di promozione sportiva.“La priorità – ha dichiarato il presidente Malagò dopo la rielezione – è risolvere tutti i dubbi legati alle interpretazioni normative e continuare nell’opera di riorganizzazione della macchina. Dob-biamo fare qualcosa di più e di diver-so rispetto a quanto fatto fi no a oggi, fondersi, fare sinergie per trovare risor-se supplementari per il nostro mondo. Non dobbiamo rinunciare al sogno olimpico”.“Per la prima volta è stato redatto il bilancio del mandato: è il biglietto da visita più importante per compren-dere ciò che è stato fatto. I 4/5 di quanto programmato è stato realiz-zato, altre situazioni non sono dipese dalla volontà del CONI – ha spiegato Malagò –. Penso però a quanto si è fatto in molti settori del nostro mon-do: penso all’Istituto di medicina e scienza, alla formidabile crescita della Scuola dello sport, penso al percorso fatto per riformare la giustizia sporti-va e alla credibilità acquisita a livello