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L’evoluzione della condizione della donna dal Medioevo ad Oggi
Introduzione:
Fin dal Medioevo la donna è sempre stata considerata, in qualsiasi società sia
orientale che occidentale, inferiore rispetto all’uomo. Nonostante oggigiorno la sua
condizione sia cambiata, e notevolmente migliorata, rispetto alle epoche precedenti,
tuttavia ancora non gode degli stessi diritti dell’uomo. Partendo dal Medioevo, la
donna era presa in considerazione non come un essere umano, che ha diritto di
esistere e scegliere per se stessa, ma come un qualcosa che potesse essere utile al fine
di mandare avanti le generazioni. Anche se nel tardo Medioevo le donne, dei ceti più
elevati, venivano idolatrate e riportate in poesia come figure angeliche, non avevano
alcun potere decisionale ed erano anzi, legate al padre prima ed al marito una volta
sposate per il resto della loro vita. Sempre durante il Medioevo, con la “creazione”,
da parte della Chiesa, dei conventi, molte donne trovarono in parte un rifugio o una
scappatoia ai matrimoni coatti. Infatti, molte donne all’epoca preferivano la vita di
clausura ad un matrimonio imposto, nonostante nei conventi facessero una vita di
restrizioni. Nei conventi, le donne ricevevano un’istruzione, anche se provenivano dai
ranghi più bassi. Per quanto riguarda le donne che non appartenevano alla nobiltà,
queste vivevano in una condizione di degrado, costrette ad aiutare la famiglia e a
badare a questa, senza mai ricevere alcun salario o alcuna gratifica. Con l’avvento
dell’ Illuminismo, epoca in cui vi è una rinascita delle società, anche le donne
iniziano ad acquisire maggiore considerazione. Infatti,come ne Medioevo, le donne
dell’alta borghesia e dell’aristocrazia ricevevano un’educazione. Ma, mentre nel
Medioevo non potevano esporre il loro sapere, con l’ Illuminismo, la donna ha la
possibilità di mettere in mostra, sempre in maniera ridotta, le sue conoscenze. Questo
grazie ai salotti, dove si riunivano gli aristocratici ed i borghesi insieme agli
intellettuali per discutere delle diverse opinioni che erano in voga all’epoca.
Purtroppo per quanto riguarda le donne dei ceti più bassi la situazione non era
cambiata di molto. Nonostante tutto, fu proprio in questo periodo, con la Rivoluzione
Francese ed in seguito grazie alla rivoluzione industriale, che alcune donne iniziarono
a riflettere sulla loro condizione e a domandare per maggiori diritti, anche se
inutilmente poiché non vennero ascoltate. Anche se la società negava l’aiuto
indispensabile da parte della donna, durante la prima e la seconda guerra mondiale,
queste furono richiamate nelle industrie belliche, poiché gli uomini erano impegnati
sul fronte di guerra. Gli anni delle due guerre mondiali furono veramente difficili per
le donne, poiché queste dovevano lavorare in fabbrica, pensare alla famiglia (benché
questa fosse una delle sue mansioni principali, divenne un compito arduo durante
questo periodo, data la scarsità degli alimenti disponibili) ed inoltre, spesso, era
lasciata a se stessa e non aveva più la protezione del marito. Ma, fu proprio durante
questi due secoli, dalla rivoluzione francese fino agli inizi della seconda metà del
novecento, che prese forma un movimento che iniziò a chiedere che le donne
godessero degli stessi diritti degli uomini. Questo movimento, così chiamato per la
prima volta dal giornale Daily Mail, le “Suffragette”. Questo movimento chiese come
primo diritto, che anche le donne avessero diritto al voto, poiché facevano parte di un
sistema e di questo ne dovevano rispettare le leggi. Da questo movimento si sviluppò
il fenomeno del femminismo, che nel corso degli anni si è sviluppato insieme ai
movimenti politici e di protesta razziale,come ad esempio il femminismo socialista o
il femminismo afroamericano, chiamato anche Womanism. Grazie alle proteste ed
alle richieste da parte di questi movimenti, le donne del mondo occidentalizzato,
possono godere di molti diritti, che fino alla prima metà del novecento non esistevano
per le donne. Tuttavia, anche se le donne nei Paesi industrializzati, hanno il diritto di
scegliere per loro stesse e in molti settori, come ad esempio quello lavorativo, la loro
situazione ha compiuto enormi progressi, vi sono ancora delle discriminazioni che
vengono fatte fra i due sessi. Un esempio di questo è il fatto che in quasi tutti i Paesi,
sia che questi siano industrializzati o meno, le donne percepiscono un salario
nettamente inferiore a quello degli uomini per lo stesso lavoro svolto e per le stesse
ore di lavoro. Come ad esempio in Australia, in ogni regione, dallo stato del Victoria
al Western Australia, dal Queensland alla Tasmania, il salario medio di una donna è
inferiore a quello di un uomo. Per di più, col fatto che le donne, possono decidere di
rimanere incinta poiché vogliono crearsi una famiglia e grazie a questo mandare
avanti l’umanità vengono spesso discriminate nel mondo del lavoro. Infatti, i datori di
lavoro tendono sempre di più a scegliere lavoratori di esso maschile in quanto questi
non hanno bisogno di un periodo di maternità, poiché le donne devono essere pagate
anche durante questo periodo che non consente loro di lavorare. Ma, anche se con
qualche discriminazione, il mondo del lavoro offre, oggigiorno, alle donne
innumerevoli possibilità in qualsiasi settore esse scelgano di lavorare.
Nonostante tutto, le donne sono ancora oggi vittime di violenze, sia che queste siano
psicologiche o fisiche. In molti paesi non industrializzati, le donne sono vittime di
abusi e, in certi casi, queste vengono considerate alla stessa strenua di un oggetto
utile al lavoro e alla procreazione. Inoltre, nei paesi del terzo mondo le donne non
godono dei diritti fondamentali che “spettano” a qualsiasi essere umano, di entrambi i
sessi. In paesi come l’Afghanistan, ad esempio, con il regime Talebano, le donne
hanno perso qualsiasi diritto, persino quello fondamentale alla vita. Con l’entrata di
questo regime, infatti, le donne hanno passato dei veri e propri anni di oppressione e
violenza. In India, le donne non hanno diritto a vivere da sole, o per meglio dire,
senza un marito, e nel caso in cui questo dovesse morire, si ricorre alla pratica del
Sati. Questa pratica prevede che, nel caso in cui il marito dovesse morire, la moglie è
costretta a buttarsi viva sulla pira in fiamme e se dovesse decidere di non farlo,
verrebbe allontanata da tutta la comunità e costretta a morire di fame e stenti insieme
ai suoi figli. In Pakistan e Bangladesh, le donne non possono scegliere il proprio
marito e quando cercano di ribellarsi a questa costrizione vengono sfigurate in volto
con l’acido e poi bruciate. In Africa, una pratica che trova le sue origini nella penisola
arabica e che poi si è diffusa fra i Paesi dell’Africa sud sahariana, ma soprattutto nel
corno d’Africa, è la pratica dell’infibulazione. Questo “rito” è vietato in Europa,
poiché viene considerata come una tortura e in quanto tale non può essere praticata,
anche se sono stati registrati molti casi di madri immigrate Africane che chiedevano
negli ospedali europei che le loro figlie venissero infibulate. Purtroppo,
l’infibulazione, non è considerata una violenza nei Paesi in cui viene fatta e pertanto
continua ad essere praticata e di conseguenza porta alla morte di innumerevoli
ragazze a causa di infezioni. L’ennesimo tipo di violenza praticata da molti paesi
arabi e africani contro le donne è la lapidazione. Questo tipo di pena di morte, una
volta estesa a tutta la popolazione, viene effettuata soprattutto nel caso in cui una
donna tradisca il proprio marito (anche se, molto spesso, le donne sono le vittime
poiché l’uomo è molto spesso il loro stupratore).
A causa del fatto che, la maggior parte delle violenze sulle donne viene fatta nei Paesi
a maggioranza di religione Mussulmana, l’occidente, molto spesso tende a credere
che sia la religione la causa di tutto ciò. In realtà, il mondo occidentalizzato,
dimentica che in passato anche gli uomini di religione cristiana sono stati gli autori di
atroci atti contro l’umanità in generale e la donna in particolare. Inoltre, una
questione che infervora fra i media del mondo occidentale è quella del velo indossato
dalle donne mussulmane e che viene spesso associato alla repressione di queste
ultime. Anche se in alcuni Paesi mussulmani, alcuni tipi di velo sono stati imposti per
“negare” l’esistenza delle donne, come ad esempio il burqa in Afghanistan, il velo
non è tuttavia un sinonimo di repressione. Infatti, i media dovrebbero interrogarsi se
la violenza contro le donne sia realmente legata ad un fenomeno religioso o,
piuttosto, ad un fenomeno puramente culturale.
Pertanto, nel mondo d’oggi, le donne vengono considerate al pari degli uomini,
oppure vengono ancora discriminate?
Capitolo I: L’evoluzione della condizione della donna dal Medioevo fino
all’Illuminismo.
Durante tutto il periodo Medievale, le società europee, hanno vissuto in anni bui, in
cui la popolazione era vittima della superstizione e delle credenze popolari che molto
spesso portavano alla negazione dell’individuo senza una ragione specifica.
L’immagine della donna nel Medioevo non è certo positiva, anzi, viene dipinta come
un essere che deve essere protetto anche da se stesso. Questa idea venne diffusa dagli
uomini di chiesa, per i quali le uniche donne che potevano salvarsi da questa
reputazione erano le suore, le donne sposate e le vedove, almeno in parte, poiché in
tutti e tre i casi rinunciavano alla loro sessualità o, nel caso delle donne sposate,
questa era utile al fine della procreazione. Secondo gli uomini dell’epoca, la donna
non doveva essere ne troppo truccata ne troppo vestita poiché questo avrebbe
simboleggiato che privilegiava l’aspetto esteriore alla cura dell’anima, i cibi troppo
caldi e il vino potevano eccitarla e per questo andavano limitati, i gesti dovevano
essere estremamente controllati in maniera tale che questa non attirasse l’attenzione a
tal punto che non era permesso loro di ridere ma solo di sorridere e di piangere in
silenzio. Inoltre, i predicatori dell’epoca dicevano che, le donne, erano abili nel
mentire e che si scambiavano maldicenze e parlavano inutilmente. A prova di questo,
dicevano che Cristo fosse apparso alla Maddalena poiché questa, essendo una donna,
lo avrebbe riferito subito agli apostoli.
Durante questo periodo, le donne erano sottomesse all’uomo e non potevano
ribellarsi, poiché se lo avessero fatto sarebbero state escluse dalla società. Non
godevano di alcun diritto e non potevano prendere alcuna decisione. Le donne che
vivevano nella nobiltà erano soggette alle decisioni del padre e, una volta sposate a
quelle del marito. Inoltre, per un padre nel Medioevo, la nascita di una figlia non era
certo lieta, poiché tutti i suoi beni una volta sposata sarebbero andati al suo sposo.
Quando questa nasceva, il padre, prendeva accordi matrimoniali a cui lei doveva
sottostare. Ad esempio, se per lei il padre sceglieva un marito, questa doveva
trasferirsi da lui una volta sposata e tutto ciò che lei aveva ereditato dalla sua
famiglia, diventava proprietà del marito. Un altro modo adottato dal padre,
soprattutto dai nobili spagnoli dell’epoca per riuscire a “sistemare” le proprie figlie,
era quello di farle diventare suore. Sin da quando erano bambine, venivano mostrate
loro immagini di sante e di martiri. Veniva promesso loro che una volta entrate in
convento, diventate madri badesse e, all’interno del convento, avrebbero potuto fare
il buono e il cattivo tempo. Questa violenza psicologica veniva fatta loro sin da
bambine e in caso queste rifiutassero, venivano segregate e allontanate da tutta la
famiglia fino a che non avessero cambiato idea. Ma la strada del convento non veniva
intrapresa solo dalle ragazze delle famiglie nobili, bensì anche dalle ragazze dei ceti
inferiori che, grazie ai conventi, potevano ricevere un’istruzione (anche se basata
sulla religione) ed essere protette dal mondo esterno, che invece le esponeva a
violenze da parte dei mariti e della società in genere. Per quanto riguarda le donne
borghesi o delle classi inferiori, queste erano soprattutto donne di casa. La loro
istruzione consisteva nel cucire, fare il pane, occuparsi del bucato, tutte attività
casalinghe, in maniera tale che non si dicesse che “venivano dal bosco” (secondo un
detto popolare dell’epoca). Inoltre, essendo costrette alla sottomissione maschile, non
erano autorizzate ad uscire sole se non nei giorni di festa o quando dovevano andare
in chiesa e inoltre, dovevano essere accompagnate da una donna più anziana.
Purtroppo le donne furono anche vittime, fin da quest’epoca, a discriminazioni
misogine. Infatti, a causa della superstizione e dalle opprimenti paure che questa
portava fra le popolazioni del Medioevo, molte donne venivano ritenute streghe. Ciò
che faceva decidere se queste fossero streghe o meno, non era un simbolo o una
caratteristica in particolare, poiché cambiava da un giorno all’altro. Le donne
venivano considerate streghe a volte a causa del colore dei capelli, a causa di nei o
macchie della pelle o, semplicemente, perché non conoscevano perfettamente la
bibbia o il vangelo e persino il fatto che queste avessero cambiato villaggio, in quanto
poteva essere considerato come un segno per scappare all’inquisizione. In seguito, fu
scritta una sorta di guida per riuscire a scovare le cosiddette streghe. Questa specie di
guida fu scritta dai teologi domenicani Krämer e Sprenger, che furono autorizzati dal
pontefice di Massimiliano I d’Austria, intitolata “Malleus Maleficarum” (nota anche
come “Il Martello delle Streghe”). In questo libro, articolato in tre parti, si spiega
come trovare e far confessare una strega. Inoltre spiega che le streghe giovani erano
“addette” al controllo della fertilità ed agli aborti mentre quelle più anziane si
occupavano della malvagità e dell’invidia. Ma cosa fece pensare agli uomini
dell’epoca l’esistenza delle streghe? Molte spesso si tendeva a pensare che le streghe
fossero in grado di creare pozioni che potessero controllare le nascite e la fertilità( in
netto contrasto con la dottrina Cristiana, che invece promulgava l’idea della
procreazione). In parte è vero che queste riuscivano a creare delle bevande in grado di
aiutare le donne per quanto riguarda la gravidanza, ma ciò era dettato dal fatto che la
maggior parte di queste erano levatrici e , in quanto tali, avevano osservato nel corso
del tempo, quello che poteva aiutare una partorente ad alleviare il dolore, come ad
esempio la bella donna, usata tuttora come omeopatico antispastico. Un’altra cosa,
sempre in contrasto con la dottrina cattolica del Medioevo, è il fatto che queste donne
si basassero sulla prova empirica delle loro pozioni, cosa assolutamente vietata a quel
tempo, in quanto ci si doveva basare solo sulla fede. Quando una donna veniva
considerata una strega, questa veniva processata e durante il suo processo, più simile
ad un calvario, veniva torturata nei modi più orribili affinché “confessasse” di essere
una strega e di avere avuto, di conseguenza, delle relazioni con il diavolo. Una volta
che la sentenza veniva decisa, questa veniva messa su una pira in fiamme e bruciata
viva oppure veniva impiccata, a seconda della pena di morte vigente nel paese delle
condannate. Era comune all’epoca credere che, mentre le “colpevoli” venivano
torturate e bruciate, gridassero per invocare il diavolo, e non perché stessero
soffrendo. Molti uomini di chiesa fra il 1400 e il 1600, riportano di aver fatto bruciare
un quantitativo enorme di donne ritenute streghe, come ad esempio l’inquisitore
domenicano spagnolo Paramo, che nel 1404 asseriva soddisfatto di aver mandato al
rogo 30.000 streghe o, in Francia, nel vescovato di Trier, in ben due paesi era rimasta
solo una donna ed infine in Germania dove il vescovo di Wuerzburg ne aveva
condannato novecento. Queste persecuzioni contro le streghe vennero fatte durante
tutto il Medioevo, causando così la morte di migliaia di donne senza una ragione
precisa. Nel tardo Medioevo e anche - in Italia - nel primo Rinascimento, fu rilanciata
la questione della natura umana. Nel suo scritto pionieristico De dignitate hominis
(1486) Giovanni Pico della Mirandola parlava degli uomini: Dio aveva rivolto solo
ad Adamo le parole in base alle quali l'uomo è libero di seguire la propria natura e di
scegliere la propria vita. La tesi della dignità umana era rivolta contro la più vecchia
dottrina della miseria humanae conditionis, formulata da papa Innocenzo III. La
miseria riguardava soprattutto le donne. I Padri della Chiesa avevano attribuito ad
Eva la colpa del peccato originale e identificato con le donne la sessualità e il
peccato. Per Tertulliano la donna era la «porta di ingresso del diavolo» (ianua
diaboli) e per Agostino la sessualità, anche coniugale, era un peccato. Secondo
Girolamo, era possibile evitare il peccato solo vivendo in assoluta castità, poiché
l'amore dell'uomo per la donna, personificazione del male e della tentazione, non
poteva essere compatibile con l'amore di Dio e quindi costituiva una minaccia per la
salvezza dell'anima dell'uomo. Gli uomini che desideravano la salvezza dovevano
guardarsi dalle donne, le donne da se stesse. Tertulliano e Crisostomo si chiesero
«cos'è la donna?» e risposero a questa domanda con un lungo elenco di difetti:
«nemica dell'amicizia, male necessario, tentazione naturale, minaccia della casa,
danno dilettevole, natura del male».
Grazie all’Illuminismo, le società rinacquero dal Medioevo. Mentre nei salotti, tipici
dell’epoca illuminista, la nobiltà e l’alta borghesia si ritrovava con gli intellettuali
dell’epoca per discutere sulle dinamiche più disparate e dimenticava i cosiddetti
“secoli bui” del Medioevo, anche le donne iniziavano una “ rinascita”, per così dire,
dal punto di vista sociale ma soprattutto umano. Infatti, non erano più vittime di
soprusi e maldicenze da parte degli uomini, ma anzi iniziavano, in qualche modo, a
poter esporre anche loro, parte del loro sapere, sempre con garbo e riservatezza,
poiché non erano considerate ancora del tutto al pari degli uomini e, di conseguenza,
non potevano mettere in mostra al meglio le loro conoscenze. Quando si parla del
secolo dei lumi, vi è un’abbondanza di figure femminili nei salotti, come ad esempio
Madame d’Epinay, la quale riuniva nel suo salotto le menti più illustri del tempo, la
Marchesa di Pompadour, protettrice delle arti e delle lettere. Inoltre, la donna è al
centro di scritti medici, filosofici e uno degli argomenti principali degli scrittoi, i
quali si interrogano sulla sua fisiologia, la sua mente, la sua educazione ed il suo
ruolo sociale. La donna è dunque, nel secolo dei Lumi, onnipresente, sia che questa
sia reale, immaginaria o oggetto di studio. Ma nonostante durante l’Illuminismo, la
donna rimane subordinata, senza personalità civile, rimane esclusa dai centri di potere
ed è rappresentata giuridicamente solo dall’uomo. Bisogna aggiungere inoltre che
non le veniva riconosciuto alcun diritto professionale, civile o politico e che,
nonostante i salotti brulicassero di figure femminili e che gli intellettuali dell’epoca
non disdegnassero scambiare le loro idee con le donne, non vi è tuttavia traccia di una
collaborazione femminile all’ Encyclopédie. Inoltre, nonostante gli intellettuali
dell’Illuminismo, credevano che lo sviluppo morale fosse necessario alla
cooperazione della società e per arrivare a questo, che fosse necessario che la
maggior parte della popolazione fosse istruita; perciò, durante questo periodo,
l’istruzione non si limitava più soltanto ad alcune donne ma si estese per tutte coloro
che facessero parte della classe medio alta. Benché l’istruzione si estese ad una fascia
più ampia di donne,tuttavia vi erano solo alcune discipline che potevano studiare,
perché si riteneva che queste non fossero in grado o non fossero portate per studiare
alcune scienze o filosofie. Alle donne veniva riservato lo studio della musica, del
disegno e delle arti in genere, poiché queste materie avrebbero perfezionato la loro
natura gentile e la loro posizione di mogli una volta sposate. Per quanto riguardava i
ceti più bassi, le donne non ebbero l’opportunità di ricevere un’istruzione. Queste
facevano parte della famiglia ed iniziavano a collaborare all’età di sei o sette anni. A
volte lasciavano la famiglia per andare a lavorare in un’altra “casa” e quando si
sposavano dovevano avere una “dote” che diventava proprietà del marito. Molto
spesso, quando i mariti lavoravano nelle campagne, erano le donne che andavano per
i mercati a vendere i prodotti. Vi erano tuttavia delle specie di guardie, che cercavano
di intralciare il lavoro delle donne poiché questo era considerato immorale. Inoltre,
quando i mariti partivano, anche in altri stati, per dei lavori che duravano anche
un’intera stagione, erano le donne che si prendevano cura dei raccolti o del bestiame.
Economicamente, con la crescita del capitalismo, vennero fatte molte leggi che
impedivano o che comunque limitavano le donne dall’avere delle proprietà o un
proprio business. Infatti, mentre gli uomini dell’Illuminismo in Europa, si
impegnavano a far espandere le proprie economie, le donne venivano fatte dimettere
da molti settori lavorativi.
Fu proprio in questo secolo che, con la rivoluzione francese, le donne iniziarono a
prendere coscienza della loro condizione e a formulare i primi pensieri sul fatto che
anche loro, in quanto individui ed esseri umani, dovevano godere di alcuni diritti
fondamentali e di essere considerate al pari degli uomini. Grazie alla filosofia, che
pur non essendo materia di studio delle donne, la quale era riuscita a filtrare anche fra
queste si ebbero i primi scritti che rivendicavano in un certo senso l’indipendenza,
come ad esempio in Francia Olympe de Gouges scrisse la Déclaration des droits de
la femme et de la citoyenne ( dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina) e
in Inghilterra Mary Wollstonecraft con Vindication of rights of women
(rivendicazione dei diritti delle donne).
Capitolo II: L’aiuto delle donne nella rivoluzione industriale e la loro condizione
nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale
Negli anni antecedenti alla rivoluzione francese, alcune donne iniziarono a volersi
riscattare dalla loro posizione. Durante questo secolo infatti troviamo un primo
esempio, da parte di alcune donne che si basavano sul principio della rivoluzione,
uguaglianza,libertà e fraternità,di pensiero diverso da quello del Medioevo, in cui la
donna doveva necessariamente sottostare al marito. Con la rivoluzione industriale,
poi, le donne iniziarono ancor più a prendere coscienza del fatto che potevano essere
utili alla società, non solo stando a casa e prendendosi cura della famiglia, bensì
lavorando anche fuori casa al pari degli uomini. Durante la rivoluzione industriale vi
fu un enorme impiego nelle industrie, a partire da quella tessile, di donne. Grazie alle
tradizioni tramandate nei secoli, le donne erano in grado di cucire e rammendare e ciò
diede loro l’opportunità di poter lavorare anche fuori casa, prima in piccoli laboratori
artigiani ed in seguito nelle industrie tessili. Con la rivoluzione industriale vi fu un
vero e proprio esodo dalla campagna alla città, poiché la manodopera in qualsiasi tipo
di industria era necessaria e il contributo prettamente maschile era diventato ormai
insufficiente. Le donne vennero dapprima impiegate nell’industria tessile fino ad
arrivare a quella mineraria. Infatti si registrano cifre altissime di donne impiegate
nelle miniere. Questo era dovuto anche al fatto che le donne, costavano innanzitutto
meno degli uomini ed essendo di corporatura inferiore agli uomini, venivano mandate
nei meandri più nascosti delle miniere. Inoltre dovevano trasportare quantità di
minerali enormi, perché arrivarono anche a sostituire i cavalli visto che era molto
meno caro pagare una donna, che un uomo per l’utilizzo del suo cavallo. Ma
nonostante il loro contributo la loro condizione non nera cambiata di molto, dato che
avevano si il diritto di lavorare nelle industrie, ma non quello di dirigerle. Erano
spesso soggette alle ingiurie da parte dei datori di lavoro, i quali potevano permettersi
anche di non pagarle o addirittura di non richiamarle, lasciandole così in un continuo
stato di incertezza. Inoltre, il lavoro delle donne non si limitava al lavoro in fabbrica,
infatti era sempre compito delle donne badare alla casa e alla famiglia. Inoltre gli
orari della fabbrica impiegavano la maggior parte del loro tempo,infatti queste
lavoravano solitamente dalle sei del mattino fino alle dieci di sera ininterrottamente
d’inverno e dall’alba fino a mezzanotte d’estate. Ma ciò, per le comunità dell’epoca,
non sembrava un peso così grande. Le donne, prima di migrare dalla campagna,
lavoravano al fianco degli uomini facendo orari estenuanti, che le portavano molto
spesso a dover lavorare dall’alba al tramonto e a volte anche oltre, e non veniva
riconosciuto loro alcun merito o diritto. A ciò si aggiungeva il fatto che dovessero
occuparsi dei figli e del marito, creando così una sorta di doppio lavoro. Questo però
non era abbastanza; la reazione da parte dell’opinione pubblica maschile, non era
certo incline alla presenza delle donne nelle fabbriche, poiché questo veniva visto
come una sovversione naturale, se non un vero e proprio “attentato alla moralità”. Le
nuove assunte venivano paragonate agli “imboscati” e considerate oggetto di
favoritismi interessati da parte dei dirigenti maschi. Nelle lettere di protesta
indirizzate dal personale ai dirigenti delle fabbriche, si parlava spesso delle donne
come di “sgualdrine” che vivevano nel lusso, approfittando della loro nuova
condizione sociale ed economica, quando, in realtà erano le uniche ad essere sfruttate.
Quando inizialmente i mariti iniziarono a migrare verso le città, toccava alle donne
prendersi cura dei raccolti. Inoltre, nelle campagne erano le donne che si occupavano
del commercio che veniva affidato loro dal marito, poiché questo era occupato nel
raccolto o con i capi di bestiame. Nell'ultima fase dell'industrializzazione, quando
divenne sempre più oggetto di discussione la visione economica e culturale del
marito come «sostentatore» e della moglie come «operaia dell'amore» (nel senso
letterale del termine era comunque lei a «sostentare» la famiglia), in tedesco fu creata
l'ironica allitterazione Kinder, Küche, Kirche (bambini, cucina e chiesa). Durante la
prima guerra mondiale, le donne, in Europa, si ritrovarono sole, senza la protezione
del marito e senza alcun diritto. Molte di loro vennero impiegate nell’industria bellica
per la produzione di armi. Purtroppo, anche in questo caso, dovettero lavorare
duramente nelle industrie senza godere appieno dei benefici che tale posizione
portava, almeno per gli uomini. Molte delle giovani ragazze, che si videro costrette a
lavorare nelle fabbriche si ammalarono, a causa del contatto con pericolosissime
sostanze chimiche. In Inghilterra queste venivano chiamate Canaries (canarini) per il
colore della pelle che tendeva verso il giallo dato dal fatto che il loro sangue fosse
ormai avvelenato. Per le donne il trauma bellico ha creato lutto, sofferenza e ansia
materna, ma ha anche portato una frattura nell’ordine familiare e sociale. Inoltre,
come in tutti gli altri secoli, vi era una differenza dalla condizione in cui vivevano le
donne delle classi sociali meno abbienti, costrette a sopportare ristrettezze
economiche e alimentari, il peso di nuove responsabilità e il superlavoro derivante
dall’accumulo di compiti per l’assenza maschile, rispetto a quelle della classe medio
alta, che trovavano, semplicemente, per la prima volta il modo di uscire dall'ambito
familiare, di sentirsi valorizzate in compiti socialmente utili e pubblicamente
riconosciuti. Ma vi fu anche il caso estremo di quelle donne che dovettero subire le
violenze sessuali degli eserciti occupanti. Da un certo punto di vista si può dire che,
molte donne iniziarono a liberarsi da una condizione che le costringeva alla
subordinazione di padri e mariti; ma non tutte le donne, vissero il tempo di guerra
allo stesso modo, ma almeno per alcune la memoria di quel tempo “felice” appare
oggi comprensibile, perché rinvia al senso di liberazione da un mondo chiuso
nell'ambito privato e domestico, nel ruolo di madri e spose, nel quale si trovavano
comunque “prigioniere” ancora in quel tragico agosto del 1914.
Visto che la donna stava iniziando, almeno nel settore lavorativo, ad ottenere
maggiore libertà, per alcuni la guerra sembrò ristabilire la distinzione fra i sessi;
infatti abbiamo da un lato la figura dell’uomo, protettore della famiglia impegnato al
fronte, mentre dall’altra parte la donna relegata a casa al focolare domestico. Invece
fu proprio la guerra la causa di un estensione, in tutti i campi, della donna, poiché
l'enorme consumo di energie umane innescato dalla guerra, il bisogno crescente di
manodopera in tutti i settori (specialmente nella produzione bellica), provocarono
chiaramente una specie di invasione di campo femminile nelle più diverse realtà
professionali. Le donne si scoprirono tranviere, ferroviere, portalettere, impiegate di
banca e dell'amministrazione pubblica, operaie nelle fabbriche di munizioni. Si arrivò
pertanto alla rimozione di tabù e confini tra compiti e ruoli canonici, con una nuova
confusione e mescolanza dei sessi. Durante la Prima Guerra Mondiale la manodopera
femminile aumentò infatti in maniera sorprendente soprattutto nelle banche (dove
passò dal 3,5% all’11,4%) e nel settore dell’amministrazione (dal 4,7% al 12,9%). Il
risultato di tale drastica rimozione della “repressione” sociale femminile, fu dunque
un inedito anelito di libertà: vivere sole, uscire da sole, assumersi da sole certe
responsabilità erano cose che ora divenivano per molte finalmente possibili, anche se
non sempre accettate senza riserve dagli altri.
Dal 1915, i salari aumentarono in modo irrisorio rispetto agli alimenti, al punto che,
in tutta Europa, molti generi di prima necessità, come scarpe ed indumenti, erano
inaccessibili. Così molte donne si videro costrette a raccogliere l’erba dai giardini
pubblici, per sfamare la propria famiglia, e ad utilizzare la buccia degli alimenti,
senza considerare che il prezzo della carne, del pane e del latte non solo erano
quadruplicati, ma molto spesso erano quasi impossibili da trovare. Le donne, più
“fortunate”, erano quelle che lavoravano nelle fabbriche,che gli permetteva di
percepire uno stipendio e, dunque, maggiore “sicurezza economica”, ma che di fatto
non era comunque sufficiente a sostentare la famiglia in maniera adeguata. Durante la
guerra, il ruolo della donna fu comunque utile anche sul campo di battaglia, dove,
non solo rischiavano di morire a causa della guerra stessa, ma il lavoro le esponeva a
turni massacranti, stress psicologico e infezioni mortali. Molte furono le donne che
divennero infermiere o che entrarono a far parte della Croce Rossa, le cosiddette
crocerossine. Gli sforzi compiuti dalle donne in questa direzione, prendono spunto da
Florence Nightingale, la prima crocerossina inglese che diede il suo sostegno durante
la guerra di Crimea. Durante la Prima Guerra Mondiale, si conta che circa 10.000
donne entrarono a far parte della Croce Rossa per dare il loro aiuto e che altrettante
fossero impegnate in associazioni di soccorso. Al fine della Prima Guerra Mondiale,
le donne si ritrovarono in un certo qual modo sole; molte di loro erano rimaste
vedove con una famiglia a carico e tante vedevano tornare a casa mariti e figli, che
non potevano più essere d’aiuto dal punto di vista lavorativo. Ma anche per coloro
che lavoravano fuori casa non fu facile. Al termine della guerra, molti Stati si
ritrovarono con una sovrapproduzione di materiale bellico e l’economie dei Paesi si
erano quasi arrestate. Fu in questo clima che, in Italia, il Fascismo trovò terreno
fertile su cui far attecchire i propri ideali. Infatti, esaltava le folle che, trovandosi in
questa situazione, venivano “rincuorate” e per certi versi dava loro coraggio. Anche
per le donne fu lo stesso. Durante il fascismo, le donne venivano in parte esaltate dal
regime in maniera tale che questo potesse ottenere anche il loro consenso. Frasi del
tipo “Madri nuove per figli nuovi” erano comuni durante questo periodo. La donna
doveva ricoprire i ruoli di madre, moglie e massaia, fino a farsi portavoce della
missione patriottica. In quegli anni fu istituita l’ O.M.N.I, l’opera nazionale per la
protezione della maternità e dell’infanzia, e molte donne vennero istruite
nell’economia domestica, nell’educazione all’infanzia e nell’assistenza sociale. Le
donne, nonostante fossero esaltate nel loro ruolo tradizionale, erano escluse dalla vita
politica; infatti il governo fascista esaltava la virilità e la supremazia da parte
dell’uomo. Perciò, anche se la donna era per certi versi tutelata, si ritrovava
nuovamente costretta a casa, senza alcuna scelta dato che l’ideologia fascista dava
alla donna l’illusione di sostenere le sue aspirazioni ma, di fatto, la relegava nei suoi
ruoli tradizionali, varando misure contrarie al lavoro femminile. Con la guerra in
Etiopia del 1935, le leggi razziste e antifemministe si fecero ancor più forti. Alcune
riviste femministe vennero censurate e fatte sparire dalla pubblica piazza, come ad
esempio “Donna Italiana”. Furono eliminate molte attività che potevano allontanare
le donne dal ruolo che prevedeva per loro il governo fascista, cioè sposarsi ed
incrementare le nascite, al punto che lo Stato vietò l’uso di anticoncezionali e il
ricorso all’aborto. Inoltre, un decreto legge del 1938 impose la riduzione del 5% delle
donne dall’amministrazione pubblica e le bambine dovevano pagare una tassa doppia,
rispetto ai bambini, per poter andare a scuola.
Così come in Italia si sviluppò il Fascismo, contemporaneamente in Germania si
insediò al potere un altro regime totalitario, il Nazismo, che si basava sulle stesse idee
politiche per quanto riguarda la condizione della donna. Nel Nazismo, che incentrava
la sua idea politica sulla supremazia della razza ariana, anche le donne furono
discriminate. Infatti venivano considerate si superiori agli ebrei, ma sempre un
gradino sotto gli uomini. Anche Hitler durante il regime nazista, così come Mussolini
in quello fascista, pensava alla donna solo come un oggetto utile alla procreazione e
costretto a casa ad obbedire al marito. Infatti, per quanto riguarda l’ideologia nazista,
la parola nazismo e donna tendevano a formare quasi un ossimoro. Ma la società
tedesca non disposta ad abbandonare del tutto gli usi della Repubblica di Weimar,
infatti, se pur con molti sforzi, le donne continuarono a studiare, lavorare e cercarono
di partecipare alla vita politica, anche se si trovavano in un regime che le respingeva
come tali. Per quanto possa sembrare paradossale, vi furono alcune donne naziste al
di fuori dagli schemi previsti dall’ideologia. Molte di loro utilizzarono la maschera
del matrimonio per poter prendere parte alla vita politica ed altre cercarono di
confermare la loro posizione ottenuta durante la Repubblica di Weimar, in maniera
tale da poter entrare a far parte di quel regime totalitario che le respingeva. Come
sottolinea la storica Claudia Koonz, il regime misogino nazista non era riuscito a
ridurre al silenzio le donne, le quali avevano trovato un’infinità di sbocchi al loro
attivismo, ad esempio il Frauenwerk (Opera Femminile), un organizzazione nazista
femminile. Si possono distinguere due periodi, ben distinti fra loro, per poter capire il
ruolo della donna nell’epoca nazista. La prima fase corrisponde al Kampfzeit (il
tempo della lotta), quando i dirigenti nazisti ignoravano completamente il ruolo delle
donne. Senza alcun controllo, le donne organizzarono la loro idea di donna e del
nazismo. La seconda fase inizia con la Gleichschaltung (l’adeguamento coatto ai
principi nazisti) dove Hitler modificò bruscamente le sue priorità. Infatti dopo essere
state ignorate per decenni dai dirigenti nazisti, le donne iniziarono ad essere prese in
considerazione, poiché senza di loro non era possibile perseguire il loro obbiettivo di
“purificazione razziale”. Perciò, per quanto potessero essere disprezzate dagli
ufficiali e dall’ideologia stessa, le donne entrarono a far parte di quella società
tedesca che distrusse la vita di molte altre donne, considerate “inumane”. Infatti, non
solo il nazismo opprimeva le donne, ma anche i non ariani con le leggi razziali, e
soprattutto antisemite. Purtroppo, durante gli anni in cui il nazismo dominava in
Germania, e quando anche in Italia arrivarono le leggi antisemite, moltissime donne
persero la vita nei campi di concentramento di tutta Europa. Le donne ebree in
particolare, seguite dalle zingare e da quelle che venivano considerate “diverse” per
razza o religione, venivano deportate nei campi di concentramento dove erano
costrette a morire di fame e stenti e a dover veder morire le proprie figlie, quando non
venivano separate da queste ultime. Le madri che partorivano nei lager erano
costrette a loro volte a veder morire i loro neonati per la fame, la mancanza di cure o
per gli esperimenti che i medici delle SS facevano sui loro bambini. Tutto ciò ha
portato le donne vittime dei nazisti a cercare in ogni modo e con ogni strumento, ala
sopravvivenza, cercando di affermare con ogni strumento culturale la propria identità
di esseri umani. Per cercare di distruggere la loro identità, le donne deportate
venivano spaventate, venivano tagliati loro i capelli in segno di umiliazione e
venivano raggruppate e costrette in docce buie e fredde per essere spaventate.
Vivevano con la costante angoscia di non sapere se sarebbero sopravvissute e se, un
giorno, avrebbero potuto rivedere i loro cari. Sono innumerevoli le donne deportate
che persero la vita nelle camere a gas, dove venivano raggruppate e poi veniva
spruzzato su di loro un gas che faceva reazione con l’acido cianidrico che si trovava
sulle mura e le asfissiava fino alla morte. Molte di loro subirono interventi chirurgici
orribili, che servivano alla sperimentazione dei medici nazisti. Inoltre era prevista la
sterilizzazione delle donne ebree, perché secondo l’ideologia nazista la razza ebrea
era inferiore a quella ariana e in quanto tale doveva essere eliminata. Durante la
sterilizzazione, le donne non ricevevano alcuna anestesia e venivano lasciate soffrire.
A causa delle infezioni, molte di loro morivano il giorno stesso e venivano
immediatamente cremate. Avevano, inoltre, l’ordine di non raccontare niente e di
soffrire in silenzio una volta uscite dai laboratori. La maggior parte delle donne che
erano prigioniere nei lager avevano infezioni alla bocca date dai componenti chimici
che venivano messi nelle esimie razioni di cibo. Quando erano in vita, quelle
considerate migliori, erano costrette a “prostituirsi” con le guardie dei campi di
concentramento e inoltre erano soggette ogni giorno ad estenuanti appelli, che
potevano durare ore, al freddo senza alcun vestito. Inoltre venivano schernite
continuamente e potevano essere picchiate, torturate, violentate e uccise da un
momento all’altro. Purtroppo sono pochissime le testimonianze scritte rilasciate da
donne che hanno vissuto l’Olocausto, anche se sufficienti a raccontare l’orrore
vissuto nei lager.
All’inizio di questo secolo in cui la donna ebbe maggiormente rispetto al passato
l’opportunità di emanciparsi e di poter richiedere i propri diritti, anche se meno sotto
alcuni regimi, in Russia si impose al governo il regime Comunista, che, in teoria,
proclamava l’uguaglianza fra gli esseri umani a prescindere dalla loro classe sociale
e, di conseguenza, anche fra gli uomini e le donne. Purtroppo non fu propriamente
così. Infatti, anche se il regime comunista sotto Lenin incitava la donna a prendere
parte sia alla vita politica che a quella lavorativa, la società non era ancora pronta ad
un cambiamento così radicale, poiché per molti secoli, anche in questo Paese, la
donna si occupava quasi esclusivamente della famiglia e della casa. Ma questo non fu
il solo motivo. Nonostante il regime avesse cercato di creare nuove riforme, come ad
esempio il diritto al divorzio e la legalizzazione dell’aborto nel Novembre 1920, e
aveva creato delle strutture per aiutare le donne con bambini, l’impiego della donna
nel modo del lavoro fu molto difficile. In primo luogo, gli uomini non erano disposti
a prendere il ruolo delle donne a casa o ad aiutarle, dato che il regime prevedeva si
che la donna lavorasse in fabbrica o nelle campagne, ma che non rinunciasse al suo
ruolo di madre e moglie. Secondo poi, molte donne non venivano pagate allo stesso
modo degli uomini ed infine moltissime donne, provenienti soprattutto dalle classi
meno abbienti erano alfabete e di conseguenza era molto difficile coinvolgerle nella
politica. Solo poche riuscirono ad entrare in questo mondo e ad esporre le loro idee
che non vennero ascoltate.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la condizione in cui si trovò a vivere la donna,
non era così diversa rispetto alla Prima Guerra Mondiale, anche se alcune cose
cambiarono. Così come nella Prima Guerra Mondiale, anche durante il Secondo
conflitto mondiale, le donne si videro, soprattutto nei Paesi che non erano stati
“colpiti” dai regimi totalitari fascisti, richiamare nelle fabbriche e dovettero sostituire
nuovamente gli uomini andati in guerra, nei ruoli tradizionalmente maschili. In
Inghilterra furono create nell’aviazione militare, nell’esercito e nella marina diversi
gruppi per le donne, come ad esempio l’ATS (Auxiliary Territorial Services) dove le
donne aiutavano a dirigere i militari contro le incursioni aeree, la WRENS (The
Women’s Royal Naval Service) dove lavoravano come operatori radiofonici e
guidavano le ambulanze. In Germania e Italia, le donne si vedevano nuovamente
costrette allo stesso ruolo delle loro “antenate” prima della rivoluzione industriale.
Inoltre in Germania, le donne ebree erano costrette alle peggiori torture da parte del
regime nazista. Molte donne in Italia, una volte entrate in guerra decisero di
combattere al fianco dei partigiani. Queste portavano messaggi cuciti addosso per
conto degli uomini, poiché queste destavano molti meno sospetti. Molte di loro
aiutarono le famiglie ebree e i giovani partigiani che si nascondevano dai soldati
fascisti.
Capitolo III: Le Suffragette e il Femminismo
Fu proprio durante questi due secoli, 1800 e 1900, che alcune donne iniziarono a
pensare a loro stesse non più come un essere esclusivamente utile alla riproduzione e
subordinato all’uomo, ma come un essere umano che ha dei diritti. Già nella seconda
metà del XVIII secolo, durante la rivoluzione francese, alcune donne, in Francia,
iniziarono ad esporre le loro idee; ad esempio Madame B.B de Cadeau scrisse il
Cahier de Doleance, in cui scriveva che le donne dovevano iniziare a riscattare la loro
posizione, come stavano facendo i neri, ed essere considerate come cittadine. Sempre
durante gli anni della rivoluzione francese,la scrittrice Olympe de Gouges iniziò a
domandare per i diritti della donna come cittadina, presentando nel 1791 davanti
all’Assemblea Costituente di Parigi, presentando una Dichiarazione dei diritti della
Donna e della Cittadina,ma fu arrestata e condannata a morte da Robespierre. Nel
secolo successivo, in Inghilterra alcune donne ebbero gli stessi ideali ma il loro
movimento, con il tempo venne ascoltato. Questo gruppo, fu chiamato per la prima
volta dal quotidiano Daily Mail con il nome di Suffragette, poiché le donne
appartenenti a questo movimento chiedevano il suffragio universale. La “madre”
ispiratrice di questo movimento fu Mary Wollstonecraft, che nel 1792 scrisse
Rivendicazione dei diritti della donna, dove ridicolizzava la figura della donna per
come veniva vista da parte della società e parlava dell’uguaglianza fra i sessi.
Inizialmente, le militanti di questo gruppo si chiesero perché la donna non può avere
il diritto al voto, ma deve sottostare alle leggi del governo che le promulga?e inoltre,
perché le donne non possono avere alcun diritto quando sono in grado di compiere lo
stesso lavoro di un uomo e in più devono occuparsi anche di tutto il resto? La
risposta data dal governo, composto unicamente da uomini (tranne la regina) fu che le
donne, a causa della loro natura troppo sensibile non sarebbero state in grado di
pensare logicamente come gli uomini e per questo non sarebbero state nemmeno in
grado di votare obbiettivamente. Questo movimento fu creato dalle donne della
media borghesia, ormai stanche di essere considerate un oggetto della società
appartenente al sesso maschile e che intravedevano nel suffragio universale, un modo
che avrebbe permesso loro di uscire da quella condizione di inferiorità che le
opprimeva da secoli. Questa ideologia prese piede in Inghilterra, seguita da Stati
Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda per poi svilupparsi, nel secolo successivo,
anche in molti altri Paesi d’Europa. Iniziarono a manifestare in maniera pacifica per
le strade, chiedendo il diritto al voto. Nel 1869 riuscirono ad ottenere il diritto al voto
municipale, ma fu solo nel 1893 che, la prima nazione, la Nuova Zelanda diede il
diritto di voto a tutte le cittadine di età superiore ai ventuno anni. Seguita poi da quasi
tutti gli altri paesi europei e da Stati Uniti, Canada e Australia.
Una delle più importanti attiviste fu Millicent Fawcett, che discusse con argomenti di
indubbia intelligenza davanti agli uomini il perché le donne avessero il diritto al voto.
Inizialmente spiegò che se le donne facevano parte di una società che imponeva delle
leggi e loro dovevano sottostare a queste e seguirle, di conseguenza avevano anche il
diritto di scegliere quali di queste dovessero essere approvate o meno. Inoltre
chiedeva alle donne appartenenti a questo movimento di agire sempre in maniera
pacifica, poiché, se queste avessero utilizzato la violenza per ottenere il loro
obbiettivo, ciò avrebbe dato adito all’idea che le donne si facevano prendere troppo
dai loro sentimenti e di conseguenza sarebbero state considerate troppo sensibili per
votare in maniera riflessiva. Un’altra donna, sempre in Inghilterra, che protestò a
causa di questo atteggiamento misogino da parte della società fu Emmeline Punkhurst
insieme a sua figlia Christabel. Insieme fondarono la Women’s Social and Political
Union nel 1903. Questo fu praticamente il primo “partito” creato dalle donne. Questo
partito nacque come un movimento pacifico, ma purtroppo, come in tutti i movimenti
c’erano degli esponenti che erano disposte e che avrebbero usato poi la violenza per
ottenere ciò che volevano. Nel 1905, Christabel Punkhurst e un’altra esponete del
gruppo, davanti ad un’assemblea a Manchester chiesero a Wiston Churchill e a Sir
Edward Grey se le donne avessero il diritto di votare. Non vi fu alcuna risposta. Le
due donne iniziarono a gridare contro questi due membri dell’assemblea di rispondere
alla loro domanda intervallandolo con lo slogan “Votes for women” ( il voto alle
donne). Vennero arrestate per questo motivo, ma il fatto di andare in prigione non le
rendeva tristi. Tutt’altro, erano contente, perché così avrebbero potuto praticare lo
sciopero della fame in segno di protesta per le loro richieste. Durante quegli anni
alcune donne appartenenti a questo movimento vandalizzarono molti monumenti di
Londra, bruciarono molte chiese anglicane (perché la chiesa d’Inghilterra era contro
il diritto di voto alle donne), vandalizzarono Oxford Street, si incatenarono a
Buckingham Palace, perché la dinastia era sfavorevole nel dare il voto alle donne,
danneggiarono campi da golf e attaccavano i politici quando questi andavano a
lavorare. Prendevano delle barche e navigando il Tamigi, gridavano a favore del voto
alle donne. Alcune di queste toccarono il culmine tanto da farsi martirizzare. La
prima di loro fu Emily Wilding Davison, che a Derby nel 1913 si buttò sotto un
cavallo del re, dando così origine al primo “martire” si questo movimento. Purtroppo,
questo gesto fece ricredere gli uomini, i quali si interrogarono sul fatto che una donna
colta fosse arrivata a tanto e cosa sarebbe successo se questa non avesse avuto un
educazione. Di conseguenza ribatterono sul fatto che le donne hanno una natura
troppo sensibile per poter votare. Alcune di loro smisero persino di pagare le tasse.
Tutto ciò fu aspramente criticato dagli uomini e non solo. Infatti anche i maggiori
esponenti delle Suffragette condannarono questi atteggiamenti.
Dal movimento delle Suffragette, prese forma il fenomeno del Femminismo. Questo
fenomeno, non è come credono in molti, un movimento che vuole la supremazia da
parte delle donne sugli uomini, ma chiese e chiede soltanto che le donne vengano
considerate al pari di questi e che possano godere di qualsiasi diritto gli spetti, di non
essere discriminate per il loro sesso e di essere emancipate senza per questo essere
giudicate. È un movimento che si è sviluppato in maniera diversa, poiché ogni gruppo
di donne apparteneva ad una cultura, un Paese o una religione diversa e pertanto
aveva necessità diverse, ma di base rispettava la prima ideologia femminista, ossia,
quella da cui prende origine questo termine coniato da Hubertine Auclert nel 1880
sulla rivista La Citoyenne(ancor prima che il movimento si formasse),
l’emancipazione e il rispetto per i diritti delle donne. Molti si chiedono se il
femminismo esistesse già prima che si diffondesse questo termine, alla fine
dell'Ottocento? Se con il termine si intende (come di consueto oggi nei paesi di lingua
inglese) un grido di rivolta, sommesso o acuto, pubblico o privato, contro la
condizione femminile, allora il femminismo esiste già da secoli, se non da sempre. Se
invece con il termine «femminismo» si intende un movimento sociale di donne
animate da una concezione femministica del mondo, allora si tratta di un fenomeno
specifico del XIX e del XX secolo. In questo caso, trattando delle voci precedenti,
sarebbe preferibile usare i termini che esse stesse usavano, per esempio «libertà», che
anche in passato era un termine tanto noto quanto amato. Col passare del tempo, il
femminismo si è sviluppato in moltissimi Stati. Principalmente in Europa e negli 60 e
70 in maniera molto forte negli Stati Uniti. Al giorno d’oggi, grazie ad altri
movimenti che si sono ispirati al femminismo europeo e americano, diversi gruppi di
femministe hanno preso forma in Africa, in Medio Oriente e in parte in Asia.
Inizialmente le donne, con le Suffragette, chiedevano soltanto il diritto di voto. In
seguito si resero conto che la donna, così come l’uomo, ha diritto ad orari di lavoro
“umani” ed un salario adeguato. Chiesero anche il diritto ad un periodo di distacco
dal lavoro durante la maternità e che questo periodo venisse comunque stipendiato;
chiesero il diritto ad avere il controllo sulle nascite (come ad esempio la questione dei
contraccettivi e il diritto ad abortire) poiché erano soprattutto le donne a farsi carico
di tutto ciò che comporta la gravidanza e scegliere per la loro carriera. A proposito di
questo, il sociologo Arlie Russell Hochschild, aveva dibattuto sul fatto che in una
famiglia dove entrambi i membri hanno una carriera, la donna avrebbe avuto in ogni
caso, una sorta di doppio lavoro, poiché oltre alla carriera, doveva anche occuparsi
dei figli e della casa. Per tutta risposta, la giornalista americana Cathy Young, i cui
scritti spesso si sposano con l’ideologia femminista,aveva risposto che una donna non
può farsi carico di entrambe le cose o che debba di conseguenza rinunciare alla
carriera lavorativa(poiché rinunciare all’idea che questa potesse non prendersi cura
della casa sarebbe stato impensabile), ma che le mansioni di casa e la gestione dei
figli va divisa equamente fra i due coniugi. Un diritto molto difficile da ottenere da
parte delle femministe, fu la protezione legale contro gli stupri e le violenze in genere
contro le donne. Questo a causa del fatto che in molte culture il maltrattamento delle
donne veniva fatto entro le mura domestiche e molto spesso da un parente stretto.
Perciò risultava difficile alle donne denunciare un loro caro, anche se questo era stato
il loro aguzzino. In seguito sono state create delle leggi che tutelano la donna non
solo dalle violenze fisiche, ma anche da quelle psicologiche, come le leggi
antistalking. Tutti questi diritti, che furono, parzialmente conquistati col tempo, sono
quelli di cui molte donne dell’Europa Occidentale, dell’America del Nord e
dell’Australia e della Nuova Zelanda possono usufruire quasi pienamente. Negli anni
60 e 70, vi è stata un’evoluzione del femminismo in moltissimi paesi d’Europa e
soprattutto negli Stati Uniti. In quegli anni, i movimenti femministi si svilupparono in
diverse correnti, anche se queste erano tutte accomunate dallo stesso ideale, ossia che
la società sciovinista andava cambiata poiché non poteva essere governata solo da
uomini. Ma la grande rivoluzione del femminismo degli anni 60 e 70, fu nel fatto che
se fino ad allora le donne avevano creduto nell’emancipazione per raggiungere
l’uguaglianza, adesso invece si basavano sulla diversità e su tutte quelle
caratteristiche che differenziano l’uomo dalla donna. Infatti, se i primi movimenti
femministi avevano concentrato le loro energie per cercare per cercare di ottenere
l’uguaglianza ed avevano creduto fermamente nella democrazia parlamentare, in
quegli anni si sviluppò una sorta di avversione contro lo Stato. Certo, negli anni
questo non era stato in grado di realizzare riforme reali e il movimento femminista
aveva spesso diffidato di quelle leggi. Una delle critiche principali che le femministe
degli anni 70 facevano alla società erano i valori patriarcali; il movimento femminista
di allora infatti, denunciava non solo il fatto che la donna potesse diventare
indipendente tramite il lavoro, ma che la sua educazione non dovesse basarsi su
principi maschilisti (una famiglia in cui l’uomo è a capo di tutto). Vi era dunque una
critica molto forte verso la famiglia “tradizionale”, ma non solo. Criticarono
l’organizzazione gerarchica che si basava su modelli prettamente maschili e su come
la donna, a causa di ciò, venisse rappresentata dalla cultura e dai media. Molto spesso
il femminismo si è sviluppato come un movimento da parte delle donne su base
politica o razziale, come ad esempio negli anni 70, si svilupparono diversi gruppi di
femministe, che pur partendo dallo stesso sfondo culturale e dalla stessa ideologia
(quella che le donne, se pur diverse biologicamente dagli uomini, devono avere
comunque gli stessi diritti) erano indipendenti l’uno dall’altro. Sempre in quegli anni,
in contemporanea con le leggi relative al divorzio, le donne dei movimenti femministi
chiedevano l’accesso ai contraccettivi e la legalizzazione dell’aborto, poiché questo
avrebbe portato ad un “riappropriarsi del proprio corpo e la liberazione della
sessualità femminile dall’uomo”. Un esempio del primo tipo è il femminismo
socialista che prevede la protezione e l’uguaglianza dei diritti della donna sulla base
dell’ideologia socialista, il femminismo liberale, che chiede l’uguaglianza in tutti i
diversi settori lavorativi attraverso un cambiamento del sistema e un’autrice
femminista liberale americana, Betty Friedan, ha scritto molti libri a riguardo fra cui
Feminine Mystique, che al momento in cui fu pubblicato, nel 1963, suscitò sgomento
fra la popolazione americana che aveva una visione conservatrice della donna, poiché
questo dibatteva sul fatto che la donna non poteva “realizzarsi” soltanto tramite il
matrimonio e i figli, ma anche attraverso il mondo del lavoro. Altri esempi di
femminismo che hanno le loro fondamenta nei movimenti politici sono il
femminismo radicale, che vede la donna oppressa dalla società patriarcale e pertanto
costretta a chiedere l’uguaglianza fra i due sessi per annullare l’idea che l’uomo possa
comandare sulla donna e, a proposito di questo, la scrittrice femminista Kate Millett
ha scritto nel 1970 il libro Sexual Politics, dove denuncia che la società patriarcale
condanna il sesso femminile e lo opprime, facendo riferimento ad autori sessisti come
H.D.Lawrence o Henry Miller; il femminismo ecologico, che crede che la distruzione
della natura sia legata alla distruzione della donna; il femminismo marxista che vede
come causa dell’oppressione della donna la struttura sociale e che per questo va
cambiata.
Il femminismo che si basa su un principio che prevede l’uguaglianza delle razze è il
femminismo afroamericano o Womanism. Infatti, questo movimento nacque in
risposta al femminismo che era nato dalle donne bianche della classe media. Il
femminismo afroamericano, non solo difende i diritti delle donne afroamericane, ma
chiede anche che vengano abolite tutte le differenze razziali. Il termine Womanism fu
utilizzato per la prima volta dalla scrittrice afroamericana, vincitrice del premio
Pulitzer, Alice Walker nel suo libro In Search of Our Mother’s Gardens, con la
frase :<<Lo Womanism sta al Femminismo, così come il viola sta alla lavanda>>. Lo
Womanism ha origine con le teologie di Jacquelin Grant e Dolores Williams. Infatti
femminismo afroamericano prende origine dalle oppressioni di Cristo descritte nella
Bibbia e viene rivisitato e paragonato, in chiave femminile, a quelle sofferte dalle
donne, soprattutto afroamericane. Negli anni della discriminazione, molto spesso
violenta,contro l’etnia afroamericana, James Hall Cone, disse che Gesù era nero,
poiché aveva sofferto così come stavano soffrendo gli afroamericani in quel tempo.
Ma Jacquelin Grant ribatté, dicendo che Gesù non rappresentava la sofferenza degli
uomini neri, ma delle donne nere, dato che l’oppressione delle donne era molto
diversa rispetto a quella degli uomini. Molti libri riguardo lo Womanism sono stati
scritti dopo la sua nascita, di tipo storico, autobiografico, politico e letterario. Questo
movimento è stato d’ispirazione per tutte le donne che facevano e che fanno parte di
alcune minoranze; ad esempio un gruppo chiamato Chicana, che difende i diritti delle
donne messicane, chicane e ispaniche in generale soprattutto negli Stati Uniti.
Chicana è un movimento nato negli anni 70, che combatte contro le differenze
razziali. Come scrisse una delle esponenti di questo movimento, Ana Nieto-Gomez,
dicendo che l’unica cosa che poteva accomunare una donna americana di origini
anglosassoni e una donna americana di origini ispaniche era solo il fatto che entrambe
fossero donne, poiché la prima doveva combattere solo per ottenere l’uguaglianza dei
diritti in base al sesso, mentre l’altra doveva combattere non solo per il fatto che fosse
una donna, ma anche per il colore della sua pelle, per la lingua che parlava e per il
suo stato socio-economico(che all’epoca era fra meno abbienti negli Stati Uniti).
Questo gruppo non nasce solo dal femminismo, ma anche da un gruppo che chiedeva
l’uguaglianza fra le razze. Questo movimento era formato da soli uomini che
vedevano nella donna uno strumento per combattere l’ineguaglianza fra le razze ma
all’interno del quale le donne venivano discriminate poiché la visione della donna da
parte degli esponenti di questo gruppo misogino può essere paragonata a quella
medioevale, ossia la donna deve stare a casa e badare ai figli senza poter esporre
alcun opposizione a riguardo. In seguito allo Womanism, molte donne in Africa
hanno scritto a proposito dell’indipendenza e dell’uguaglianza per le donne africane.
Le donne africane sono rimaste a lungo “senza una voce”, senza qualcuno che
potesse difenderle dagli abusi e dalle discriminazioni da parte degli uomini, fino al
1978 Awa Thiam scrisse il suo classico “Speak Out, Black Sister”. Da quel momento
in poi le scrittrici africane risposero alla sfida, come le attiviste della Sierra Leone
Daphne Williams-Ntiri e Molara Ogundipe-Leslie e altre donne africane come
Bolanie Awe, Helen Kuzwayo,Irene Assiba o Abena Busia, che pur appartenendo a
ideologie diverse incentrano tutte il loro pensiero sul dar voce alla donna africana e
liberarla dall’oppressione. Infatti, questo è ciò su cui si basa il cosiddetto
femminismo nero o africano, sul fatto di dare importanza alle donne africane, di
combattere lo stereotipo che vede la donna africana come una donna relegata in casa
senza un istruzione.
Un femminismo che si basa sulla religione è il fenomeno emergente, sviluppatosi
soprattutto negli anni 90 e dopo il 2000, del femminismo islamico, che, come gli altri
movimenti femministi, si basa sul rispetto della donna, ma, in questo caso, lo fa
attraverso la lettura del Corano con una visione da parte delle donne e non degli
uomini. Le femministe islamiche rivendicano l’uguaglianza fra gli uomini e le donne
sia nella vita pubblica che nella sfera privata. Fanno parte di questo movimento le
donne islamiche, arabe e non, come ad esempio la marocchina Fatima Mernissi o la
teologa afroamericana Amina Wadud. Le femministe islamiche spiegano, tramite
alcuni versetti del Corano, come le donne siano state sempre presenti al fianco di
Maometto e di come queste abbiano sempre avuto un ruolo importante nella società
mussulmana, a partire Khadjia e Aisha, che erano sue mogli fino a Umm Salama, la
sua consigliera. Attraverso queste letture, queste donne vogliono spiegare al mondo
che non è l’Islam a mettere da parte i diritti della donna o a rinnegare la sua posizione
nella società, ma l’uomo con la sua visione conservatrice.
Ma cosa significa veramente essere una femminista al giorno d’oggi e in che modo
tutte le battaglie portate avanti da queste donne hanno cambiato la vita delle donne,
specialmente in Occidente, nel XXI secolo? Molti potrebbero pensare che il
movimento femminista sia scomparso e che le donne ormai abbiano ottenuto tutto ciò
che volevano, cioè un lavoro o una carriera indipendente, il fatto di non essere più
costrette a doversi sposare per potersi realizzare e di trovare nella famiglia l’unico
modo per riuscire nella loro vita, il diritto al voto, il fatto che qualsiasi settore
lavorativo sia aperto anche alle donne. Purtroppo tutto questo non è sufficiente, dato
che molti Occidentali in particolare dimenticano che le donne ancora oggi non
vengono pagate quanto gli uomini, che non vengono prese in considerazione come gli
uomini e che molto spesso sono ancora costrette a scegliere se avere una carriera o se
restare a casa con i figli. Perciò, a prescindere da quale “gruppo” di femministe una
donna femminista appartenga, sia che abbia basi politiche o religiose o etniche, deve
ancora lottare per essere rispettata dalla società, sul lavoro così come fra le mura
domestiche, deve lottare per ottenere i suoi diritti, che anche se in parte sono stati
concessi restano comunque incompleti, e soprattutto deve lottare in qualsiasi
continente, sia Occidentale che Orientale, per affermare il fatto che è un individuo e
come tale va rispettato.
Capitolo IV: Cosa è cambiato per le donne?
Partendo dal Medioevo, sicuramente le condizioni della vita delle donne sono di gran
lunga migliorate. Al giorno d’oggi in molti Paesi le donne non sono più vittime della
superstizione e hanno molte libertà in più. Dalla vita privata fino al mondo del lavoro,
almeno nei Paesi industrializzati, le donne possono dire di aver raggiunto quasi a
pieno molte delle libertà che fino a pochi decenni fa, non erano nemmeno
immaginabili. Per molte donne, rispetto al passato, quello che è cambiato è il fatto di
aver preso coscienza che anche loro sono degli individui e che grazie alla
cooperazione con gli uomini sono in grado di migliorare la società e di contribuire a
questa, non solo attraverso la procreazione, ma anche grazie al fatto che possono
esporre le loro idee, giuste o sbagliate che siano, nel mondo del lavoro e della
politica. Inoltre nel “mondo” delle donne è cambiato il fatto che queste sono più
sicure di loro stesse, grazie ai diritti ottenuti in passato, e questo gli permette di vivere
meglio e con più tranquillità e, di conseguenza, contribuiscono in generale in maniera
più proficua.
Se si analizza la situazione nel mondo del lavoro, oggigiorno vediamo che le donne
non hanno quasi più ostacoli. Molte di loro ottengono anche incarichi importanti e
occupano posizioni elevate. Possono decidere di avere una famiglia e di conciliare
quest’ultima con il lavoro. Hanno diritto a studiare e possono scegliere qualsiasi
percorso di studi. Molte leggi inoltre sono state fatte per poter permettere alle donne
di vivere serene e in caso di abusi di denunciare il loro molestatore. Ma la situazione
è davvero cambiata oppure vengono fatte ancora delle discriminazioni nel mondo del
lavoro? Purtroppo, nonostante tutte le proteste del passato le donne ancora oggi non
sono considerate o non vengono date loro le stesse possibilità che agli uomini per
quanto riguarda il lavoro. Sorge spontaneo il dubbio sul perché di tutto ciò. Vi sono
molteplici risposte a riguardo, poiché per quanto le donne abbiano potuto lottare ed
ottenere quei diritti fondamentali di cui godono oggi, è l’idea in generale che ha la
società della donna, che questa non sia all’altezza di svolgere un lavoro e di far
conciliare a questo il fatto di poter mandare avanti una famiglia, del fatto che in una
coppia sia per forza la donna a dover sacrificare il suo lavoro se vuole dei figli e
infine che le donne vengono ancora viste come “gli angeli del focolare”. Infatti, per
quanto queste abbiano potuto lottare contro l’idea di una società patriarcale e
misogina e per quanto questa non sia più così “forte” nelle società moderne, è rimasta
comunque di fondo.
Molto spesso i datori di lavoro preferiscono, ancora oggi, prendere un uomo rispetto
ad una donna. Secondo i dati forniti dall’Unione Europea, il tasso di occupazione è in
aumento, ma resta tuttavia nettamente inferiore rispetto a quello degli uomini,
nonostante il tasso di studenti e laureati sia costituito in gran parte da donne. Questo
perché nel momento in cui questa decida di rimanere incinta avrebbe diritto ad un
periodo di maternità e di conseguenza sarebbe costretto a pagarla anche se lei non
può essere presente. Inoltre, senza un motivo preciso, le donne vengono pagate meno
degli uomini, per lo stesso lavoro e per le stesse ore di lavoro. Un esempio eclatante
di ciò è l’Australia, uno dei Paesi più civilizzati ed industrializzati al mondo. In
qualsiasi stato di questo Paese, le donne hanno sempre uno stipendio inferiore rispetto
a quello di un uomo, che può variare a seconda dello Stato. Secondo i dati
dell’Unione Europea, in tutti i Paesi appartenenti all’unione, in media una donna
guadagna il 17,8% in meno per ogni ora di lavoro rispetto ad un uomo. Tutto ciò
rappresenta un maggiore rischio di povertà per le donne. “A parte” questo le donne
ormai rivestono anche ruoli molto importanti o intraprendere carriere che, secondo
l’opinione pubblica, non si addicono propriamente alle donne. Ad esempio, molte
donne possono decidere di prendere la carriera delle armi e lavorare nell’esercito,
nella marina o nella polizia. Inoltre possono anche partecipare alle cosiddette
missioni di pace nei Paesi che sono teatro di conflitti, come l’Afghanistan o l’Iraq.
Anche se il numero di coloro che scelgono di andare ad aiutare nei territori di guerra
è ancora minimo, rispetto agli uomini, sta tuttavia crescendo negli ultimi tempi.
Inoltre in qualsiasi settore è possibile vedere come le donne siano riuscite a
dimostrare che possono valere quanto gli uomini. Se si prende come esempio il
mondo della scienza, le donne avevano accesso limitato a questo mondo. In
Inghilterra fino alla prima metà del 900’ le donne potevano assistere alle classi di
scienze ma non partecipare ai club dove gli scienziati esponevano le loro idee. Dopo
essere riuscite a dimostrare che anche loro erano in grado di poter far fronte a questo
mondo “riservato” agli uomini, alcune donne sono anche riuscite a ottenere dei premi
nobel per la scienza, come Rita Levi Montalcini, che ha vinto il premio Nobel per la
medicina nel 1986 e Marie Curie nel 1903 per la fisica. Nel mondo della politica
anche le donne hanno preso posizioni di rilievo, come ad esempio la cancelliera
Angela Merkel in Germania, che si trova a capo del governo ormai da diversi anni, o
il primo ministro islandese dal Gennaio 2009, Johanna Sigurdardottir, che, al
momento della sua elezione, ha ricevuto il 73% dei voti. Nell’amministrazione
Obama, ultimo presidente eletto negli Stati Uniti, il segretario di stato è una donna,
che per di più era anche in corsa per la presidenza alla Casa Bianca, Hillary Clinton.
Ma non solo;anche nelle precedenti amministrazioni degli Stati Uniti due donne sono
state segretario di stato, Madeleine Albright e Condoleezza Rice. All’Unione
Europea, la baronessa Catherine Ashton, già membro della Camera dei Lord in Gran
Bretagna, è dal 2009 Alto rappresentante per gli Affari Esteri e per la Politica di
Sicurezza dell’Unione europea. Nella politica italiana il numero di ministre è molto
alto, all’incirca in qualsiasi partito.
Le donne nel Medioevo così come in tutti gli altri secoli, compreso quello attuale,
sono sempre state vittima di qualsiasi tipo di violenza. Oggi, in Europa, Nord
America, Australia e Nuova Zelanda le donne sono protette legalmente da ogni tipo
di abuso. Infatti, molte leggi sono state fatte a riguardo, per proteggere le donne dagli
stupri, dalla violenza in generale e da quella psicologica, grazie alle leggi
antistalking. Nonostante tutto queste leggi non sempre vengono eseguite in maniera
corretta oppure a causa di cavilli legali non possono essere applicate e molto spesso i
fautori di questi orribili gesti non pagano per quello hanno fatto. Un chiaro esempio
di tutto ciò è accaduto in Italia. Negli anni 90 una ragazza venne stuprata ed il suo
stupratore non fu condannato perché lei portava un paio di jeans. Secondo la difesa
era impossibile che l’uomo fosse riuscito da solo a levarglieli e pertanto doveva
essere stato aiutato. Probabilmente questa ipotesi sembrò sensata ai giudici, i quali
non lo condannarono e non solo. Poiché la donna dopo l’accaduto aveva guidato per
30 kilometri, secondo i giudici era capace di intendere e di volere e di conseguenza
lucida a causa del misfatto. Un esempio simile accadde a Milano, quando i giudici
non condannarono uno stupratore, poiché la donna portava un paio di collant.
Secondo quanto dichiarato dai giudici, se la donna fosse stata “realmente” stuprata i
collant si sarebbero rotti, o perlomeno scuciti, invece in questo caso rimasero intatti,
portando alla conclusione che non vi erano prove sufficienti per condannare
l’aggressore. Un altro esempio, sempre in Italia, in un piccolo paese una ragazza è
stata stuprata e il suo stupratore è stato condannato. Sfortunatamente, dopo poco
tempo il ragazzo è stato rilasciato in libertà vigilata per buona condotta. Questi sono
solo alcuni esempi, ma ve ne sono molti altri simili, dove le uniche a pagare, in un
certo senso, sono le donne, alle quali nessuna condanna potrà mai cancellare il
ricordo di quello che hanno subito.
Capitolo V: La violenza contro le donne
In qualsiasi epoca storica, compresa quella attuale, le donne sono sempre state vittime
di violenza, sia fra le mura domestiche sia a causa della società. Nel Medioevo
moltissime donne furono accusate di essere streghe e per questo motivo venivano
torturate o bruciate. Si potrebbe pensare che grazie all’evoluzione della specie umana
ormai molte credenze siano svanite e che l’uomo si sia reso conto che le donne vanno
rispettate e non uccise o torturate. Questo concetto è ancora poco diffuso nel mondo
Occidentale, poiché nonostante le proteste e l’evoluzione dal punto di vista giuridico
le donne sono in un certo senso protette. Ma se è poco concreto in Occidente, in
Oriente e nei Paesi del Terzo Mondo non lo è praticamente per niente. Molto spesso
in televisione si sente parlare di veri e propri assassinii in Europa da parte di padri del
Pakistan o del Bangladesh contro le proprie figlie. È proprio in questa regione, dove
le donne subiscono un grandissimo numero di abusi a causa di un’idea medievale,
che impone alle figlie di sposare il marito scelto per loro alla nascita. Molte di queste
tentano di ribellarsi, poiché grazie all’istruzione hanno capito di essere libere e che
non devono necessariamente sottostare a questa regola. I casi di ragazze uccise da
parte dei padri provenienti da questa parte del mondo è molto alto, soprattutto in
Inghilterra, dove vi è un alto tasso di immigrati del Pakistan e del Bangladesh, che
importano le loro tradizioni. Ma se la situazione è orribile per queste ragazze che
vivono in Europa, è ancora peggio per coloro che vivono in questi due Paesi. Una
pratica abominevole è quella di sfregiare le ragazze con degli acidi. A causa di questo
molte di loro perdono totalmente la vista. Molto spesso accade che l’acido entri
all’interno del corpo, bruciando così anche parte degli organi che fanno parte
dell’apparato respiratorio, dando loro un senso di soffocamento o di non riuscire a
respirare bene, anche per diverso tempo. Alcune di loro raccontano che
preferirebbero essere morte piuttosto che soffrire quelle atroci pene. Per non parlare
poi della pelle che viene totalmente ustionata e a volte non riesce nemmeno a
ricrescere. La causa di tutto ciò?il fatto che lacune di queste ragazze si ribellino a
questo tipo di tradizione è solo una parte;infatti, molte di loro vengono bruciate solo
perché decidono di studiare e mentre vanno a scuola vengono prese d’assalto. Vi
sono molteplici testimonianze di donne sopravvissute a queste ustioni. Una donna è
finita in tribunale, dopo aver denunciato il marito che l’aveva prima legata e poi
tagliata con un coltello per poi infine bruciarla. L’uomo si è giustificato davanti alla
corte dicendo che era stata la moglie a provocarlo e che lui pensava che lo avesse
tradito. Ma negli ultimi anni, i tribunali del Pakistan hanno imparato a non dar retta a
queste scuse e così hanno condannato l’uomo. In Italia un padre pakistano aveva
ucciso la figlia perché questa aveva deciso di vivere come un occidentale e , secondo
lui, così facendo disonorava la famiglia. In Inghilterra, un periodo molte ragazze nei
quartieri affollati da immigrati pakistani molte ragazze venivano investite, fino a che
si scoprì che erano stati dei veri e propri omicidi sempre da parte dei padri o dei
fratelli. Molti di loro facevano venire i “futuri sposi” dal Paese natio e quando queste
si rifiutavano di sposarli venivano uccise. Ovviamente, visto che le leggi in
Inghilterra, come nel resto d’Europa, vietano le torture, il modo più semplice e meno
evidente per “rivendicare” il loro onore era quello di ucciderle in un modo che
potesse destare meno sospetti possibile.
Un altro Paese in cui una pratica orribile viene imposta alle donne è l’antica pratica
del Sati. Questa prevede che nel caso in cui il marito dovesse morire, al momento del
funerale in cui la salma vien arsa la vedova debba gettarsi sulla pira in fiamme ancora
viva. Nel caso in cui questa decidesse di non farlo, verrebbe allontanata insieme ai
suoi figli da tutta la comunità, costringendola così a veder morire di fame e stenti se
stessa e la sua famiglia. La pratica del Sati era molto diffusa in tutta l’India prima
della colonizzazione della Gran Bretagna. Quando i coloni inglesi arrivarono e videro
ciò succedeva a queste donne, decisero di abolirla. Durante gli anni della
colonizzazione inglese il numero di donne che venivano costrette a bruciare insieme
al marito è diminuito, ma una volta ottenuta l’indipendenza, il numero di vittime
causate da questa orribile pratica è aumentato nuovamente. Inoltre in India il numero
di donne che subisce una violenza domestica da parte del marito è molto alta, quasi
una tradizione, poiché per molti uomini indiani questo rappresenta la normalità.
Alcune associazioni formate da donne, ex vittime di violenza domestica, sono state
create per aiutare queste donne a ribellarsi e per far capire agli uomini che così
facendo distruggono l’equilibrio familiare. La cosa più sorprendente è che queste
donne utilizzano come unica arma il dialogo. Grazie a questo, vanno nelle case dei
villaggi dove sanno che ci sono delle vittime e parlano sia con il marito e con la
moglie per far capire loro che tutto ciò non può continuare. Pur sapendo che rischiano
di essere picchiate o cacciate, continuano la loro battaglia e convincono anche i loro
mariti a parlare con gli altri, dato che la parola di un uomo, soprattutto in questa parte
del mondo, è molto più influente rispetto a quella di una donna.
Uno dei principali Paesi che è teatro di atrocità contro le donne, è l’Afghanistan. Da
quando si è insediato il regime talebano, il termine misoginia risuona come un
eufemismo in paragone a quanto è stato fatto contro le donne. Il regime talebano si
ispira ad alcune antiche leggi che vigevano in passato nelle campagne afghane (e non
al Corano). Quando questi uomini salirono al potere, instaurarono un regime di
terrore per gli uomini, ma soprattutto per le donne. Inizialmente imposero che tutte le
scuole per le bambine venissero chiuse e che le insegnanti non potessero più lavorare.
Proseguirono poi con le infermiere e i medici donne, cacciandole dagli ospedali. In
questo modo le donne furono costrette a partorire in casa, assistite solamente dalle
donne della famiglia, dato che un uomo anche medico non poteva vedere una donna a
meno che questa non fosse sua moglie. Così,nel caso in cui fossero sorte delle
complicazioni questa sarebbe morta poiché nessuno poteva aiutarla. Senza
considerare gli strumenti che venivano usati sia per aiutare la partoriente, sia per
aiutarla a guarire, e dello stato d’igiene in cui questa era costretta a dar luce a suo
figlio. In seguito arrivò la legge che imponeva alle donne di indossare il burqa (un
vestito fatto con stoffe pesanti che copre la donna da capo a piedi e che ha una retina
sugli occhi come unico foro). Poiché nel Corano c’è scritto che le donne in segno di
rispetto dovrebbero, quindi non devono, indossare il velo, i talebani utilizzarono
questa regola come un pretesto per imporre il burqa, poiché a loro dire, la loro
ideologia governativa si basava sulle leggi coraniche. In realtà il burqa non era una
legge coranica ma un modo come un altro per abolire l’identità della donna. In
seguito fu ordinato che le finestre delle case venissero verniciate di nero, in maniera
tale che le donne non potessero essere viste. Un’altra legge fu quella che le donne
dovevano essere accompagnate da un uomo della famiglia se volevano uscire di casa
e che nessuna parte del loro corpo poteva rimanere scoperta in pubblico, nemmeno le
mani, poiché questo poteva tentare gli uomini, e dovevano indossare dei calzari che
non facessero rumore in maniera tale da non essere notate. Ma questo fu solo l’inizio
dei soprusi che vennero fatti contro le donne. Il primo caso in cui una donna venne
uccisa senza un motivo dai talebani, fu a Kabul quando una donna, senza una ragione
specifica ma che secondo loro aveva violato la legge, fu portata in uno stadio
e,davanti ad una folla immensa, fu fatta inginocchiare. Uno dei soldati talebani le
sparò alla nuca senza colpo ferire davanti a tutti. Il corpo della donna rimase lì a terra
tutto insanguinato senza che nessuno lo potesse toccare, perché questo serviva da
esempio per la popolazione per dimostrare che quello che succedeva a chi non
rispettava la loro legge. Probabilmente da questo momento in poi iniziarono le
violenze che portarono alla morte moltissime donne afghane senza alcun motivo.
Purtroppo non vi sono moltissimi casi registrati, ma alcune testimonianze raccontano
che una donna che si trovava con i suoi bambini al supermercato fu brutalmente
picchiata a sangue fino a morire perché il suo burqa si era spostato leggermente ed
aveva fatto intravedere la mano. Il corpo della donna fu lasciato li per terra in una
pozza di sangue davanti ai suoi figli. All’inizio del regime, racconta una donna del
campo profughi di Peshavar in Pakistan, una coppia marito e moglie sui vent’anni
andava in bicicletta a Kabul quando li vide un soldato talebano più giovane di loro. I
due vennero fermati e il soldato chiese loro come mai la donna mostrasse le caviglie,
dato che era severamente proibito dalla legge. La donna, giustamente indignata,
chiese al ragazzo chi fosse questi per poterle dire una cosa del genere. Arrivò un altro
soldato talebano più anziano che sparò al piede del marito e al petto della donna
uccidendola. La donna testimone racconta che, nonostante avesse deciso di indossare
il burqa perché pensava che tutto ciò non sarebbe durato a lungo, dopo questa orribile
scena decise di scappare dal suo Paese. Molte donne come lei decisero di emigrare
nei campi profughi di Peshavar, una zona che si trova in una conca desertica senza
acqua ne riparo dal caldo, ma che ai loro occhi è un paradiso a confronto con la
Kabul governata dai talebani. Inoltre molte donne raccontano di essere scappate dalle
città dell’Afghanistan perché stanche di essere prese d’assalto, picchiate con delle
“verghe sacre” e umiliate davanti a tutti dalla polizia coranica. Un altro caso invece è
quello di una ragazzina di sedici anni che fu presa dai soldati talebani perché era stata
accusata da un vicino di avere una relazione, una cosa inammissibile secondo questo
governo. Lo zio provò a difenderla, ma fu picchiato brutalmente dai soldati che
portarono via la ragazza. Questa fu stuprata e picchiata e delle donne, infine uccisa,
senza che vi fosse alcuna prova che avesse una relazione con qualcuno. Moltissime
donne, inoltre, furono lapidate durante questo regime sanguinario per diversi motivi.
La causa principale era il tradimento da parte della moglie, anche se molto spesso
questa non aveva tradito il marito ma era stata violentata e la maggior parte delle
volte era stato un parente. Tutta questa violenza da parte del regime è proseguita per
diversi anni, costringendo le donne a vivere in un regime di terrore, a non sapere se
una volta uscite di casa vi avrebbero mai fatto ritorno, a rinnegare la loro esistenza,
poiché il “compito” del burqa non era quello di non tentare gli uomini, bensì di
annullare l’esistenza delle donne, di ridurle a non esistere per la società afghana e di
cancellare tutto ciò che queste rappresentavano. A volte, sempre a causa del regime
talebano, alcune donne hanno visto morire i propri figli senza poter fare niente. Come
racconta una testimonianza, a Kabul una donna si trovava al mercato con i suoi
bambini e uno di questi si avvicinò ad un soldato talebano. Il bambino, che doveva
avere all’incirca quattro anni, venne sparato ed il soldato si giustificò dicendo che con
quel gesto, quel bambino aveva voluto sfidarlo e per questo gli aveva sparato. La
madre non poté fare niente per impedirlo e rimase a piangere sulla salma del figlio.
L’Africa è uno dei Paesi al mondo in cui le donne ricevono il maggior numero di
violenza. Essendo un Paese molto grande molte di queste variano a seconda dello
stato. A causa delle numerose guerre civili, le donne africane molto spesso sono
soggette a maltrattamenti da parte dei soldati e vengono così stuprate, picchiate e
uccise. Moltissime di loro, a causa degli stupri vengono contagiate o addirittura
muoiono di Aids. Uno degli stati africani, teatro di uno dei peggiori genocidi della
storia è il Ruanda. Questo piccolo stato è stato vittima della guerra civile negli anni
90’ fra Hutu e Tutsi, dove l’etnia Hutu, quella prevalente, ha ucciso moltissimi fra
uomini, donne e bambini Tutsu. Questo genocidio ha colpito soprattutto le donne,
poiché venivano considerate dal governo Hutu come le infiltrate da parte del governo
Tutsi per tentare gli uomini Hutu. Ma cosa ha scatenato tutto questo odio contro le
donne Tutsi? La regioni risalgono all’epoca del colonialismo, quando i coloni
esaltavano la razza dei Tutsi, soprattutto le donne, poiché somigliavano di più
fisicamente agli standard europei. Così,si scatenò una sorta di odio fra le due etnie.
Durante il genocidio le donne Tutsi vissero anni con il terrore dello stupro. Le milizie
Hutu andavano per le case cercando le donne Tutsi. Queste venivano prese e
violentate davanti ai mariti e ai figli, i quali venivano in seguito uccisi. Inizialmente
gli Hutu accettavano che le donne Tutsi sposassero uomini Hutu, perché pensavano
che fosse il padre il garante della specie. Ma quando l’odio per l’altra etnia arrivò al
culmine, venne impedito agli uomini Hutu di sposare donne dell’etnia opposta e
durante il genocidio, anche se gli uomini che avevano deciso di sposare una Tutsi
venivano risparmiati, le loro mogli venivano stuprate e a volte uccise. Poiché è
risaputo che lo stupro compiuto su un essere umano lascia un segno indelebile nella
vita di una persona, queste venivano a volte lasciate vivere in maniera tale che
durante la loro vita potessero soffrire a causa di questo tremendo ricordo. Molto
spesso gli stupri si riducevano a stupri di gruppo. Le donne venivano radunate e
stuprate ripetutamente. Quelle che erano in cinta o che avevano partorito da poco,
frequentemente morivano di emorragia. Molte donne sono state prigioniere per anni,
visto che i soldati le tenevano segregate nelle loro case spacciandole per le loro
compagne davanti agli occhi del governo, quando in realtà erano solo delle schiave
sessuali. La cosa peggiore di tutto ciò è che questi stupri non risparmiavano alcun
essere di sesso femminile che appartenesse all’etnia Tutsi. Infatti le milizie Hutu non
risparmiarono nemmeno le bambine, alcune delle quali avevano solo due anni. Inoltre
dopo essere state stuprate, alle donne venivano mutilati i genitali in maniera tale che
non avrebbero più potuto avere figli. Molto spesso le donne venivano anche spogliate
e picchiate in pubblica piazza, in maniera tale che l’umiliazione fosse ancora più
grande. Le tracce lasciate da questo orribile massacro sono evidenti ancora oggi.
Moltissime donne Tutsi pagano ancora oggi il prezzo di far parte di una minoranza in
uno stato come il Ruanda. A causa dell’odio che si è venuto a creare fra le due etnie
molte donne Tutsi sono ancora oggi vittime di stupri da parte sia dei soldati sia dei
ribelli che si trovano nelle foreste adiacenti ai villaggi. Queste donne prese
d’assalto,non solo sono costrette a sopportare il peso dello stupro durante tutta la loro
vita, ma vengono anche allontanate dalla comunità e costrette a vivere
nell’anonimato. Dopo uno stupro molte donne vengono cacciate di casa dai mariti, a
causa della diffusione dell’Aids, i quali hanno paura di poter essere contagiati. Dopo
questo raccapricciante genocidio, il governo negli ultimi anni, precisamente dal 2003
ha deciso che se il Ruanda, nonostante sia ancora costernato da violenze, voleva
andare avanti, doveva permettere anche alle donne di entrare al parlamento. Infatti al
giorno d’oggi al parlamento ruandese il 56% dei parlamentari sono donne. Il governo
aveva deciso che almeno il 30% dovevano essere donne, ma il restante 26% fu votato
spontaneamente.
In Africa, un’antica pratica legata a molti popoli, soprattutto a quelli che si trovano
nel Corno d’Africa, in modo particolare in Somalia, Eritrea, Etiopia e Sudan, è
l’infibulazione. Questa prevede la rimozione parziale dei genitali femminili, nelle
ragazze prima della pubertà. Inizialmente era diffusa nella penisola araba e poi è
andata diffondendosi anche in Africa. Il termine infibulazione deriva dal latino
“fibula” che significa chiusura. Questo perché, quando questa viene praticata, alle
donne non vengono rimossi solo parte degli organi genitali, ma le due estremità
vengono cucite insieme e viene lasciato solo un piccolo foro. Tutto ciò viene fatto per
essere sicuri che la donna arrivi vergine al matrimonio. Molto spesso viene detto a
queste ragazze che l’infibulazione ha origini religiose e in quanto tale va rispettata,
ma in realtà non vi è traccia di tutto ciò né nel Corano né nella Bibbia. Questa
“operazione”, non viene compiuta negli ospedali, bensì nelle case di solito da una
donna anziana. A causa di questa moltissime ragazze muoiono di emorragie o al
momento del parto. Inoltre le condizioni igieniche in cui viene effettuata sono
degradanti, poiché non viene utilizzato un bisturi disinfettato, ma un qualsiasi oggetto
tagliente, come ad esempio pezzi di vetro o anche un semplice coltello. Un Paese che
in Africa ha deciso di abolire tutto ciò è stato l’Egitto nel 2005, in seguito alla morte
di due ragazzine, a poca distanza l’una dall’altra. Dato che vi è stata una
contestazione molto forte da parte dell’opposizione in Egitto e che, tramite cavilli
legali molti potrebbero riuscire a praticarla lo stesso, il governo egiziano a disposto
come pena un pagamento che va dalle 1000 alle 5000 lire egiziane e in più la
reclusione che può andare dai tre mesi ai due anni. Si stima che in Egitto, prima che
venisse promulgata questa legge, il 96% delle donne in età compresa fra i 15 e i 49
anni sia stata vittima di questa abominevole tradizione. Questa usanza non viene
considerata una barbaria nei confronti delle donne, di conseguenza molti Stati in
Africa decidono di non abolirla; inoltre, dato che viene vista come un qualcosa che va
fatto, sono stati registrati anche in Italia molti casi di madri immigrate africane che si
presentavano in ospedale chiedendo ai medici che le figlie venissero infibulate.
Fortunatamente in Italia tali pratiche, che risultano essere torture inutili, sono vietate
e la legge punisce qualsiasi medico con delle multe e la reclusione per diversi mesi. A
testimoniare come tutto ciò sia orribile per le ragazze che devono subire questa sorta
di “intervento”, ci ha pensato un medico italiano che ha scritto un libro per bambini
dove racconta più o meno una storia del genere. In un'intervista ha raccontato la sua
esperienza personale, quando si è trovata a dover assistere una ragazza che doveva
partorire e che era stata precedentemente infibulata. Oltre alla descrizione delle
condizioni in cui si è vista costretta a dover far nascere il bambino, ha spiegato anche
quanto sia stato difficile riuscire salvare la madre che, probabilmente, senza di lei e
senza le sue nozioni di medico non sarebbe riuscita a sopravvivere ad un emorragia
tale. L’africa non è l’unico Paese in cui l’infibulazione viene praticata. Infatti, anche
in alcuni stati del Medio Oriente è diffusa questa pratica. Grazie all’opera dei medici
compiuta in questi Paesi, sono nate delle associazioni che assistono le donne che
hanno subito l’infibulazione, come l’AIDOS.
Un altro crimine contro le donne di cui si macchia l’Africa è la lapidazione. Questa è
una punizione che prevede la condanna a morte delle donne a causa dell’adulterio.
Così come in Afghanistan, anche in Africa molto speso le vittime di tale condanna
sono proprio le donne, le quali sono vittime di stupro da parte di un parente e ciò
viene visto come un tradimento agli occhi della “legge” africana. Questa punizione,
prevede la sepoltura del corpo della donna fino al busto e la parte che resta scoperta
viene presa a sassate fino alla morte. Di questa pena di morte si parla parecchio,
poiché la comunità internazionale molto spesso si è mobilitata per fermare gli stati
che avevano condannato le donne a morire in questo modo atroce. Alcune volte sono
riuscite a fermare gli Stati, prima che questi le giustiziassero, come nel caso di Safiya
Husseini, la donna nigeriana condannata alla lapidazione nel suo Paese e per cui il
mondo intero si è mobilitato per salvarla. A processo finito, quando ormai era stata
risparmiata ha dichiarato:<< Altri hanno commesso crimini peggiori ma siccome
sono persone influenti non vengono punite. Questo succede a me che sono una donna
povera di un povero villaggio.>> dopo che la Nigeria aveva sospeso la pena per
Safiya, a breve un’altra donna, Amina, è stata condannata e uccisa nello stesso modo
e per lo stesso motivo. La Nigeria si è giustificata dicendo che la donna aveva tradito
il marito e che secondo la Sharia, la legge islamica introdotta alla fine degli anni 90’,
la donna doveva pagare. Infatti questa è la riprova che il caso di Safiya è stato solo
uno fra tanti, poiché il numero di donne che sono costrette a subire tutto questo è
sconosciuto, anche se si stima che sia molto alto.
Ma la violenza non colpisce solo le donne dei Paesi del Terzo Mondo, bensì anche
quelli “democraticamente” sviluppati. Infatti, anche se le donne in Europa non
vengono lapidate, infibulate o pestate dalla polizia solo perché non sono vestite nel
modo giusto, ciò non esclude che queste non siano vittime di violenza. Nel 2008 in
Australia una donna su tre era stata vittima di violenza domestica e in Europa nel
2006, un sondaggio condotto su 25 Paesi di cui 17 erano Stati membri ha riportato
che in tutti i rapporti il 90% di questi ha riportato che le donne subiscono violenze
fisiche e l’80% sono vittime di abusi psicologici. Inoltre, la prima causa di mortalità
delle donne è dovuta alle violenze subite dal partner, che portano all’alcolismo,
all’uso di droghe o a problemi psicologici come la depressione. La violenza
psicologica è stata trattata ultimamente in maniera molto più seria rispetto al passato.
Molte leggi contro lo stalking sono state promulgate per proteggere le donne che si
vedevano costrette a rimanere chiuse in casa per paura di essere perseguitate. Nel
1993 durante un incontro delle Nazioni Unite sono stati stabiliti i diritti per le donne,
che a quanto sembra, non vengono tuttavia rispettati, poiché se l’opinione del mondo
riguardo il rispetto per le donne non cambia, non vi sarà mai una legge in grado di
proteggerle dalle tradizioni che fanno di lei una vittima di violenze.
Capitolo VI: È la religione la causa della violenza contro le donne oppure un fatto
culturale?
Negli ultimi anni si parla molto della violenza contro le donne, soprattutto di quella
nel mondo islamico. A partire dall’undici settembre 2001, dopo l’attacco alle torri
gemelle da parte di terroristi islamici, i media si sono accaniti sulle condizioni in cui
vivevano le donne in Afghanistan. Ma la cosa a cui hanno prestato più attenzione è
che queste indossassero il burqa e non il motivo per il quale queste fossero costrette
ad indossarlo. Infatti i media si sono incentrati sul fatto che fosse il “costume” del
velo di per sé a rappresentare tutte le violenze subite dalle donne afghane e non il
fatto che questo particolare tipo di velo fosse stato imposto per annullare la figura
della donna; infatti il regime talebano non solo ha imposto che le donne mettessero il
velo per poterle nascondere, ma ha anche imposto che queste indossassero delle
scarpe che non facessero rumore e ha ordinato che le finestre delle case venissero
pitturate di nero in maniera tale che le donne non potessero essere viste anche quando
si trovavano a casa. Purtroppo i media non hanno riportato anche questi fatti e il che
ha fatto credere alla maggior parte degli occidentali che i maltrattamenti subite dalle
donne nei Paesi islamici si riducessero all’uso del velo. A causa della religione,
quella islamica, che professavano i terroristi, e di una particolare disinformazione
fornita dai mass media per far ricadere le colpe di ciò che avevano fatto è stata data al
loro credo. Purtroppo, non solo i media hanno fatto la loro parte nel far credere
questo alle persone che vivono in Occidente, poiché la scusa della religione per
purificare la popolazione viene usata di continuo e molto spesso sono gli stessi
mussulmani che costringono le donne a mettere il velo più come per sminuirle che
per un fattore religioso. A causa di tutto ciò, da dieci anni a questa parte, sembra che
le donne islamiche che decidono, anche se in alcuni Stati sono costrette, di indossare
il velo siano tutte fruttate. Molto spesso l’Occidente dimentica che il velo non è un
costume religioso prettamente islamico, ma che si trova, innanzitutto, nella religione
cristiana, che per coincidenza proviene dalla Palestina come l’islamismo, e che anche
in altri Paesi le donne portano il velo. Partendo dalla religione cristiana, molto spesso
si dimentica che l’ordine cristiano, fra i più cari al cattolicesimo e anche l’unico
concesso alle donne, delle suore prevede che queste portino un velo che permette di
scoprire solo il viso, esattamente come quello islamico. Inoltre, l’immagine di Maria
non è mai rappresentata senza un velo sopra la testa, per dimostrare che
probabilmente il velo sulle donne è un’usanza della regione palestinese, dove appunto
hanno preso origine le tre grandi religioni monoteiste. In India l’abito delle donne, il
sari, prevede che queste indossino un velo che copra la testa e parte del corpo. Senza
dimenticare che anche in Italia le donne fino agli anni 50’ e 60’ portavano un velo
sopra la testa in segno di rispetto. Molti argomentano che il velo rappresenti
l’oppressione e la negazione delle donne da parte della religione islamica e che questa
imponga una “schiavitù” della donna. Inoltre non aiuta ad avere una visione più
chiara il fatto che in molti Paesi musulmani, che spesso utilizzano la Sharia come
legge, le donne vengono torturate o uccise più degli uomini. Ma è davvero un fattore
religioso che impone tutto ciò? Se così fosse, allora anche la religione cristiana
sarebbe colpevole, visto che durante il Medioevo moltissime donne sono state
condannate alle peggiori pene di morte dalla chiesa cristiana e non solo, poiché
durante le crociate, giustificate con ossimoro guerra santa, i cristiani hanno ucciso
moltissimi mussulmani in nome della religione. In questo caso neanche le religioni
orientali si salverebbero, visto che nonostante queste tentino di diffondere l’idea di
uguaglianza e di rispetto per qualsiasi essere vivente, moltissime donne in India, dove
parte della popolazione professa la religione induista, e in Cina hanno subito e
subiscono maltrattamenti. Infatti, vi sono delle prove che non è la religione la causa
dei maltrattamenti contro le persone in genere, e le donne nello specifico, ma la
cultura ed antiche tradizioni che, al giorno d’oggi in occidente, sono considerate
barbariche. Ad esempio in Cina prima che si instaurasse il confucianesimo, la
famiglia si basava quasi su un modello matriarcale e la donna godeva di grande
importanza. In seguito al confucianesimo, per un’idea diversa che si era diffusa fra la
popolazione, le donne persero completamente importanza nella famiglia e come nel
resto del mondo iniziarono ad essere maltrattate e la loro figura ad essere annullata, al
punto che nelle famiglie avere una figlia era considerata quasi una disgrazia e per
questo motivo molte furono uccise appena nate. In India la religione prevede che tutti
gli esseri siano uguali, ma poiché la tradizione indiana prevede che la società sia
divisa in caste, le persone dei ceti più alti non hanno alcun tipo di relazione con quelli
dei ceti più bassi e viceversa; inoltre questa non condanna le donne a morire ma la
pratica del Sati è diffusissima in alcune regioni. In Sudamerica le donne non vengono
praticamente rispettate, ma la religione professata dalla maggior parte delle persone è
quella cristiana, così come in Europa dove le donne sono molto spesso vittime di
violenza e vengono sfruttate per la prostituzione, nonostante la maggior parte degli
Stati sia di religione cristiana. In realtà nessuna religione impone che le donne
vengano picchiate, né nella Bibbia né nel Corano, né nei testi sacri indiani. La causa
delle violenze contro le donne, e la società in genere, sono dovuti ad un fatto culturale
e poiché ogni Paese ha una cultura a sé, per giusta o sbagliata che essa sia, che non
può essere spiegata alle altre, viene utilizzata la scusa della religione.
Purtroppo i concetti religiosi e il modo in cui questi vengono applicati sono due cose
differenti e finché le persone non impareranno a rispettare gli altri la scusa della
religione verrà spesso usata per giustificare i crimini commessi.
Capitolo VII: Le donne che hanno fatto la differenza nella storia
Nel corso della storia, dal Medioevo fino ad oggi, molte donne hanno deciso di non
soffrire in silenzio ma di fare qualcosa di concreto per denunciare la condizione nella
quale vivevano, sia che questa riguardasse la donna sia la popolazione di cui faceva
parte attraverso la letteratura o agendo in maniera vera e propria. Inoltre molte donne
hanno contribuito moltissimo ad aiutare l’evoluzione della società.
Per quanto riguarda coloro che hanno deciso di operare attivamente nella storia,
durante la guerra dei cent’anni Giovanna d’Arco riunificò il proprio Paese
contribuendo a risollevarne le sorti, guidando vittoriosamente le armate francesi
contro quelle inglesi; Dolores Ibárruri Gómez detta la Pasionaria, fu una donna
politica, attivista e antifascista spagnola, già segretaria generale e poi presidente del
PCE (1944-1960), e membro del parlamento spagnolo prima della dittatura franchista
(1936) e dopo il ritorno della Spagna alla democrazia; la guatemalteca Rigoberta
Menchù, che ha combattuto per difendere i diritti degli indigeni in Guatemala e
ambasciatrice dell’UNESCO; le maggiori esponenti delle Suffragette come
Emmeline Punkhurst e sua figlia Christabell; Rosa Parks, una delle eroine
afroamericane nella lotta contro l’apartheid; Aung San Suu Chi, una politica
birmana, attiva da molti anni nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del
suo Paese, devastato da una pesante dittatura militare, imponendosi come leader del
movimento non-violento. Queste sono solo alcune delle donne che hanno contribuito
ad aiutare la condizione della donna o della loro popolazione con la protesta. Ma
poiché la natura della donna si è basata soprattutto nel passato su una critica
letteraria, la maggior parte delle rivoluzioni da parte delle donne si trova negli scritti.
Una delle “eroine letterarie” che con i sui scritti ha condannato la società misogina
basata su un modello patriarcale è Jane Austen, autrice di Orgoglio e Pregiudizio ,e
molti altri scritti, dove parla di una donna che rifiuta la tradizione, ossia sposare un
uomo che fosse di buona famiglia anche se non per suo volere, e preferisce aspettare
qualcuno scelto da lei anche se già grande per sposarsi; una scrittrice che tramite i
suoi libri condannava la società dell’800 è Virginia Woolf, oltre ad essere una delle
più importanti autrici della sua epoca è stata anche un’attivista che ha combattuto per
l’uguaglianza fra i sessi; la poetessa contemporanea Carol Ann Duffy, che soprattutto
con la sua raccolta di poesie “La Moglie del Mondo” parla di come le donne siano
state sempre subordinate rispetto agli uomini, ma in realtà erano le donne stesse,
grazie alla loro intelligenza, a sottomettere gli uomini; le autrici femministe degli
anni 70’ e dei movimenti femministi appartenenti alle minoranze, che tramite i loro
scritti hanno saputo lottare contro le discriminazioni, partendo da Olympe de Gouges
e Mary Wollstonecraft fino ad arrivare ad autrici come Alice Walker (vincitrice del
premio Pulitzer), Kate Millet e Betty Friedan.
Infine alcune donne hanno cambiato la società in cui vivevano né tramite la protesta
né tramite la letteratura, ma con opere e azioni benevole verso gli altri che, a volte,
hanno cambiato la storia dell’umanità. Un caso in particolare è quello di Madre
Teresa. Questa donna era una religiosa albanese, che ha operato fra i poveri di
Calcutta per moltissimi anni ed ha vinto il premio Nobel per la Pace nel 1979. Una
donna invece meno famosa, ma che ha operato in Italia per aiutare le persone e
soprattutto le bambine nelle scuole italiana, è Bianca Milesi che dopo i suoi studi in
Svizzera decise di introdurre un nuovo metodo di studio; negli anni 70’ Raffaella
Lamberti decise di creare l’Associazione Orlando, un’associazione dedicata
principalmente alle femministe italiane. Per quanto riguarda la scienza, le donne
hanno dimostrato di poter essere all’altezza degli uomini vincendo anche dei premi
Nobel. Un esempio eclatante è Rita Levi Montalcini, che vinse il premio Nobel per la
Medicina nel 1986 oppure Maria Sklodowska, meglio nota come Marie Curie che ha
vinto due premi Nobel di cui uno per la fisica nel 1903 e uno per la chimica nel 1911
grazie ai suoi studi sul radio.
Queste sono solo alcune delle centinaia di donne che in qualche modo hanno
contribuito ad aiutare la società. Nonostante il loro aiuto sia stato prezioso per
l’umanità, molti purtroppo tendono a sottovalutare il loro lavoro.
Conclusioni:
partendo dal Medioevo, le condizioni delle donne sono migliorate soprattutto in
Occidente. Mentre in passato le donne non solo non venivano considerate come degli
esseri umani di una classe inferiore, ma subivano anche ogni tipo di violenza, oggi le
donne sono protette dalla legge. Durante il Medioevo le donne hanno subito torture,
sono state perseguitate e anche coloro che vivevano nei ceti più agiati non godevano,
tuttavia di alcun diritto. Per molto tempo, fino alla fine dell’illuminismo, le donne
hanno vissuto nel terrore, poiché con un qualsiasi pretesto queste potevano essere
condannate al rogo dopo essere state torturate. Oggi le donne in Occidente vedono
tutto ciò come una realtà molto lontana da loro, quando, in realtà questa è ancora
presente in molti Paesi orientali. Infatti le donne che vivono soprattutto negli Stati più
poveri del pianeta, sono tuttora vittime della superstizione e delle credenze popolari.
Sfortunatamente non solo la superstizione è la causa di molte torture che vengono
fatte alle donne, poiché molte tradizioni portano le donne fino alla morte. Ad esempio
l’infibulazione, che viene praticata su delle bambine in condizioni poco igieniche e
viene effettuata da una donna di un villaggio e non da un medico. Non solo questo
però causa gravi infezioni o addirittura la morte. Infatti, quando queste riescono a
sopravvivere a questa usanza barbarica, spesso rischiano in seguito di morire di parto
e di far morire anche il loro bambino. Tutto ciò sembra molto lontano alle donne che
vivono in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Nuova Zelanda, ma
persino negli Stati più poveri come in Sudamerica o in alcuni Stati dell’Europa
dell’est. Molto spesso la disinformazione porta a pensare che uno dei più grandi torti
che si possa fare ad una donna sia quello di imporle di mettere un velo. In realtà per
quanto le donne abbiano potuto lottare per ottenere l’indipendenza dagli uomini, per
ottenere dei diritti che, secondo una logica morale, dovrebbero essere concessi a
qualsiasi essere umano, per essere rispettate come individui, tutto ciò non è stato
sufficiente. Infatti ancora oggi le donne sono vittime di discriminazioni a partire
proprio dal mondo del lavoro, dove una donna molto spesso deve lottare il doppio di
un uomo per poter raggiungere una posizione di rilievo. Una cosa che dimostra che la
società ancora non considera le donne sullo stesso livello degli uomini è il fatto che
molte donne vengano costrette a prostituirsi e che l’opinione pubblica trovi tutto ciò
inammissibile, ma in realtà non fa niente per fermare lo sfruttamento di queste donne.
Ma ciò che è ancor più degradante per la donna è il modo in cui le ragazze costrette a
prostituirsi vengano considerate dalla società, poiché la maggior parte delle persone
non penserebbe mai di aiutare una ragazza costretta a prostituirsi o a parlarle, se non
per “lavoro”.
Perciò, nonostante le donne abbiano ottenuto dei diritti, siano state varate delle leggi
ch le proteggono, sia dalle violenze, sia nel mondo del lavoro, la loro lotta non è
ancora finita e non finirà fino al momento in cui la società mondiale sarà pienamente
cosciente che le donne così come gli uomini sono esseri umani e in quanto tali vanno
rispettati. Di conseguenza anche se rispetto ai secoli precedenti in molti Stati
condizione della donna si è evoluta, c’è ancora molto da fare.