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1 Presenza e missione politicoesoterica del Magister Dante Alighieri fiorentino nel Principato Vescovile di Trento all’epoca di transizione tra il Principe Vescovo Bartolomeo Querini, la sede vacante ed il PrincipeVescovo Enrico di Metz, abate cistercense della abbazia lorenese di VillersBetnach cancelliere dell’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo (1308 1313). Non è certamente compito facile affidare allo spazio esiguo che la tirannide del tempo ci concede, la descrizione dell’iter ed i probabili fini che Dante perseguiva od intendeva perseguire venendo nel territorio dei Principi‐ Vescovi di Trento, dimorandovi qualche tempo o transitandovi semplicemente, nell’intento di portare a termine la missione cui aveva consacrato la propria esistenza terrena: il mistero di AMOR ed il conseguimento dell’IMPERIUM UNIVERSALIS sotto il triplice simbolo composito della Croce, dell’Aquila e del Giglio. Asserire che Dante sia semplicemente un dotto ed eccelso letterato, creatore del bell’idioma italico, anzi un poeta Vate Padre dell’italianità nella gloria delle sue lettere e delle sue arti, sarebbe riduttivo e ripetitivo... ne sono piene le altrettanto dotte e numerosissime trattazioni accademiche che lasciamo, di proposito, in questa sede ai loro innumerevoli autori, esegeti e critici antichi e moderni. Per quanto ci concerne ritorniamo al nostro scopo che ci riporta a quanto inizialmente asserito. Per poter andare avanti nel nostro arduo intento dovremmo innanzitutto tentare di comprendere chi È Dante, ovvero chi è stato e cosa ha fatto. Anche qui rispondere semplicemente ch’Egli era un Iniziato ai misteri esoterici dell’Antichità pagana che penetrava con la mente e con il Cuore la Grande Rivelazione Christiana ... sembrerebbe “sfondare una porta aperta”, non solo ma attirare su di noi il biasimo assicurato, come ad altri nostri compagni di “viaggio” e di ricerca, da parte dei censori accademici e degli inguaribili polemisti di professione; coloro che presumono di possedere “l’inoppugnabile documentazione cartacea di ogni verità”, incarnandola nella loro sicumeria e volutamente dimenticando che la più autentica conoscenza resiede nella parola e non nella lettera, come i Filosofi insegnano dai più remoti tempi dell’umanità. La Parola Originaria e Perduta; il PRINCIPIO –FINE: “Oh quanto è corto il dire e come fioco / al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi! / Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: / per che ‘l mio viso in lei tutto era messo. […] A l’alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’AMOR che move il sole e l’altre stelle”. Dante è dunque un “Magister” ed è a ciò titolato da una vera e propria iniziazione, è un Filosofo Hermetico, è un cavaliere affiliato al terz’ordine dei “Poveri Cavalieri del Christo”, altrimenti detti Templari, è edotto nelle Arti del Trivio e del Quadrivio, iscritto alla corporazione dei medici e degli speziali. Segue contemporaneamente la via alchemica e quella cavalleresca, conosce certamente l’arabo, il provenzale, il francese, il latino e con ogni probabilità è anche in grado di comunicare in tedesco. Per Venti anni, nella sua condizione di esule dalla sua amata Fiorenza (del Bel San Giovanni) compie continui spostamenti per l’Italia, forse il Medio Oriente, l’Europa continentale ed infine Nordica. Come la sua nascita, anche la sua morte sono parzialmente avvolte nel mistero talché il suo Nome e l’origine di esso. Nelle sue memorie egli si identifica, non casualmente nel cavaliere Crociato: l’Avo Cacciaguida morto combattente in Terrasanta nella crociata del 1148 ed armato cavaliere dall’Imperatore Corrado II. È il detto Cacciaguida che darà (a causa del nome della propria sposa Aldighiera, Aldegheira o Althinghera, ma la spiegazione non è troppo convincente) il nome alla Famiglia che sarà forse originariamente ALTINGHIERI e, come nome proprio, Althinghero, verrà semplificato infine nel sermo tosco in Alighieri. Dante è attivo nella politica della sua città, anzi ritiene questa attività “Sacra”; questa costituirà per lui una sorta di Alchimia Sociale (non se ne stupisca il lettore). La Monarchia Teocratica del REXDUX IMPERATORPONTIFEX sarà lo stato ideale capace di rinnovare il Christico Sacerdozio Regale e trasmutare il mondo in una Terra nuova. Anche la Terra e le acque sono per lui viventi e parti di un Universo mosso e creato dalla Parola divina. Dante possiede alte cognizioni cosmologiche e cosmografiche, assai più complete di quelle comunemente diffuse nel suo tempo ed usa spesso un sistema allegorico, simbolico e mitohermetico per trasmetterle ai suoi contemporanei (forse anche ai Fedeli dell’AMORE). Ma benché il suo lavoro fosse iniziato nel 1300 esso divenne drammaticamente intenso ed operativo a cominciare dal 10 In questo numero: L’eterno Impero Universale di Claudio Tessaro de Weth Dante nel pensiero islamico di Ermanno Visintainer Diabula Rasa di Daniele Lazzeri di CLAUDIO TESSARO DE WETH marzo 1302, data che segnerà per Dante l’addio definitivo, al Luogo Amato della sua Fiorenza, della sua BEATRICE. Il suo misterioso viaggio Iniziava. Un Viaggio che invero aveva, a distanza di alcuni decenni, avuto quale protagonista un altro Poeta e cavaliere, anch’egli legato all’Ordine dei “Poveri Cavalieri del Christo” e la cui opera è il complementare in lingua tedesca (per i suoi mirabili contenuti) della Commedia: Wolfram von Eschenbach, cavaliere Franco– Bavarese (1170‐1220). Wolfram descrive nella sua opera “Der Parzifal” la Cerca cavalleresca di un magico e divino tesoro capace di operare la totale redenzione umana: il Santo Graal. Il preziosissimo Calice dell’ultima Cena del Signore Gesù Christo nel quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il Santo sangue fuoriuscito dal cuore trafitto del Redentore. Questo oggetto proveniente da tempi e spazi remotissimi e misteriosi era, secondo Wolfram, custodito da una schiera di Cavalieri Templari d’elite insieme a numerosissime altre reliquie della Passione. Tuttavia essendo di potestà Angelica esso era mutevole per forma, sostanza, materia, funzione e poteri, identificandosi in vario modo con la redenzione planetaria e cosmica. Ricavato, in origine, dalla purissima gemma smeraldina che conferiva il divino dono della conoscenza omniveggente dato da Dio all’Arcangelo ribelle Lucifero e da questi perduto all’atto della sua caduta sulla terra, esso era divenuto ricettacolo, di immenso ed angelico potere di grazia e di redenzione. Dotato quindi di poteri angelici esso era il Calice, l’Altare, il libro Angelico del Creato ed il Graduale Riservato unicamente al Sacerdozio Regale ed eterno secondo l’Ordine di Melkitsedek. Un “oggetto‐non oggetto” vivente, soggetto di Redenzione e Resurrezione paradisiaca di trasfigurazione christica nel premio eterno riservato ai beati. L’incredibile “VIAGGIO INIZIATICO” di Durante degli Altinghieri e la sua ricerca del misterioso ed Eterno Impero Universale Asserire che Dante sia semplicemente un dotto ed eccelso letterato, creatore del bell’idioma italico, anzi un poeta Vate Padre dell’italianità nella gloria delle sue lettere e delle sue arti, sarebbe riduttivo e ripetitivo

L’incredibile “VIAGGIO INIZIATICO” di Durante degli ... · Perduta; il PRINCIPIO –FINE: ... del Christo”, altrimenti detti Templari, è edotto nelle Arti del Trivio e del

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Presenza e missione politico­esoterica del Magister Dante Alighieri fiorentino nel Principato Vescovile di Trento all’epoca di transizione tra il Principe­Vescovo Bartolomeo Querini, la sede vacante ed il Principe­Vescovo Enrico di Metz, abate cistercense della abbazia lorenese di Villers­Betnach cancelliere dell’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo (1308 ­ 1313). Non è certamente compito facile affidare allo spazio esiguo che la tirannide del tempo ci concede, la descrizione dell’iter ed i probabili fini che Dante perseguiva od intendeva perseguire venendo nel territorio dei Principi‐Vescovi di Trento, dimorandovi qualche tempo  o transitandovi semplicemente, nell’intento di portare a termine la missione cui aveva consacrato la propria esistenza terrena: il mistero di AMOR ed il conseguimento dell’IMPERIUM UNIVERSALIS sotto il triplice simbolo composito della Croce, dell’Aquila e del Giglio. Asserire che Dante sia semplicemente un dotto ed eccelso letterato, creatore del bell’idioma italico, anzi un poeta Vate Padre dell’italianità nella gloria delle sue lettere e delle sue arti, sarebbe riduttivo e ripetitivo... ne sono piene le altrettanto dotte e numerosissime trattazioni accademiche che lasciamo, di 

proposito, in questa sede ai loro innumerevoli autori, esegeti e critici antichi e moderni. Per quanto ci concerne ritorniamo al nostro scopo che ci riporta a quanto inizialmente asserito. Per poter andare avanti nel nostro arduo intento dovremmo innanzitutto tentare di comprendere chi È Dante, ovvero chi è stato e cosa ha fatto. Anche qui rispondere semplicemente ch’Egli era un Iniziato ai misteri esoterici 

dell’Antichità pagana che penetrava con la mente e con il Cuore la Grande Rivelazione Christiana ... sembrerebbe “sfondare una porta aperta”, non solo ma attirare su di noi il biasimo assicurato, come ad altri nostri compagni di “viaggio” e di ricerca, da parte dei censori accademici e degli inguaribili polemisti di professione; coloro che presumono di possedere “l’inoppugnabile documentazione cartacea di ogni verità”, incarnandola nella loro sicumeria e volutamente dimenticando che la più autentica conoscenza resiede nella parola e non nella lettera, come i Filosofi 

insegnano dai più remoti tempi dell’umanità. La Parola Originaria e Perduta; il PRINCIPIO–FINE: “Oh quanto è corto il dire e come fioco / al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi! / Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: / per che ‘l mio viso in lei tutto era messo. […] A l’alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’AMOR che move il sole e l’altre stelle”. 

Dante è dunque un “Magister” ed è a ciò titolato da una vera e propria iniziazione, è un Filosofo Hermetico, è un cavaliere affiliato al terz’ordine dei “Poveri Cavalieri del Christo”, altrimenti detti Templari, è edotto nelle Arti del Trivio e del Quadrivio, iscritto alla corporazione dei medici e degli speziali. Segue contemporaneamente la via alchemica e quella cavalleresca, conosce certamente l’arabo, il provenzale, il francese, il latino e con ogni probabilità è 

anche in grado di comunicare in tedesco. Per Venti anni, nella sua condizione di esule dalla sua amata Fiorenza (del Bel San Giovanni) compie continui spostamenti per l’Italia, forse il Medio Oriente, l’Europa continentale ed infine Nordica. Come la sua nascita, anche la sua morte sono parzialmente avvolte nel mistero talché il suo Nome e l’origine di esso. Nelle sue memorie egli si identifica, non casualmente nel cavaliere Crociato: l’Avo Cacciaguida morto combattente in Terrasanta nella crociata del 1148 ed armato cavaliere dall’Imperatore Corrado II. È il detto Cacciaguida che darà (a causa del nome della propria sposa Aldighiera, Aldegheira o Althinghera, ma la spiegazione non è troppo convincente) il nome alla Famiglia che sarà forse originariamente ALTINGHIERI e, come nome proprio, Althinghero, verrà semplificato infine nel sermo tosco in Alighieri. Dante è attivo nella politica della sua città, anzi ritiene questa attività “Sacra”; questa costituirà per lui una sorta di Alchimia Sociale (non se ne stupisca il lettore).  La Monarchia Teocratica del REX­DUX­IMPERATOR­PONTIFEX sarà lo stato ideale capace di rinnovare il Christico Sacerdozio Regale e trasmutare il mondo in una Terra nuova. Anche la Terra e le acque sono per lui viventi e parti di un Universo mosso e creato dalla Parola divina. Dante possiede alte cognizioni cosmologiche e cosmografiche, assai più complete di quelle comunemente diffuse nel suo tempo ed usa spesso un sistema allegorico, simbolico e mitohermetico per trasmetterle ai suoi contemporanei (forse anche ai Fedeli dell’AMORE).  Ma benché il suo lavoro fosse iniziato nel 1300 esso divenne drammaticamente intenso ed operativo a cominciare dal 10 

In questo numero: L’eterno Impero Universale

di Claudio Tessaro de Weth Dante nel pensiero islamico

di Ermanno Visintainer Diabula Rasa

di Daniele Lazzeri

di CLAUDIO TESSARO DE WETH

marzo 1302, data che segnerà per Dante l’addio definitivo, al Luogo Amato della sua Fiorenza, della sua BEATRICE. Il suo misterioso viaggio Iniziava. Un Viaggio che invero aveva, a distanza di alcuni decenni, avuto quale protagonista un altro Poeta e cavaliere, anch’egli legato all’Ordine dei “Poveri Cavalieri del Christo” e la cui opera è il complementare in lingua tedesca (per i suoi mirabili contenuti) della Commedia: Wolfram von 

Eschenbach, cavaliere Franco–Bavarese (1170‐1220). Wolfram descrive nella sua opera “Der Parzifal” la Cerca cavalleresca di un magico e divino tesoro capace   di operare la totale redenzione umana: il Santo Graal. Il preziosissimo Calice dell’ultima Cena 

del Signore Gesù Christo nel quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il Santo sangue fuoriuscito dal cuore trafitto del Redentore. Questo oggetto proveniente da tempi e spazi remotissimi e misteriosi era, secondo Wolfram, custodito da una schiera di Cavalieri Templari d’elite insieme a numerosissime altre reliquie della Passione.  Tuttavia essendo di potestà Angelica esso era mutevole per forma, sostanza, materia, funzione e poteri, identificandosi in vario modo con la redenzione planetaria e cosmica. Ricavato, in origine, dalla purissima gemma smeraldina che conferiva il divino dono della conoscenza omniveggente dato da Dio all’Arcangelo ribelle Lucifero e da questi perduto all’atto della sua caduta sulla terra, esso era divenuto ricettacolo, di immenso ed angelico potere di grazia e di redenzione. Dotato quindi di poteri angelici esso era il Calice, l’Altare, il libro Angelico del Creato ed il Graduale Riservato unicamente al Sacerdozio Regale ed eterno secondo l’Ordine di Melkitsedek. Un “oggetto‐non oggetto” vivente, soggetto di Redenzione e Resurrezione paradisiaca di trasfigurazione christica nel premio eterno riservato ai beati.   

L’incredibile “VIAGGIO INIZIATICO” di Durante degli Altinghieri e la sua ricerca del misterioso ed Eterno Impero Universale

Asserire che Dante sia semplicemente un dotto ed eccelso letterato,

creatore del bell’idioma italico, anzi un poeta Vate Padre

dell’italianità nella gloria delle sue lettere e delle sue arti, sarebbe

riduttivo e ripetitivo

novello idioma che riveste se stesso di quei caratteri che lo riconducono al linguaggio della Tradizione primordiale ovvero “La langue vert ou des oiseaux” quell’Argotico che solo gli iniziati possono comprendere appieno e fare loro nei contenuti operativi. Pertanto ed in particolare, senza nulla togliere al sommo poeta della sua eccellenza in quanto “padre del volgare” e filologo, ante litteram delle lingue romanze, bisogna tener presente che il senso più riposto della sua affermazione di aver visitato tutti i posti dove si parlava lo stesso idioma ha obbligatoriamente, sotto questa luce, il senso ove il linguaggio usato era il medesimo. Ovvero un linguaggio tradizionale che, trascendendo il ramo filologico di appartenenza fosse pienamente comprensibile a coloro che ne avessero l’intelletto, con la possibilità di risalire al senso riposto attraverso la musica sonorità della PAROLA.  Circa la venuta ed il transito di Dante nei territori Alpestri ed in particolare in quello del principato Vescovile ed Imperiale di Trento, ovvero nel Tirolo Storico esso fa certamente parte del descritto percorso iniziatico e della missione che a Dante, come ad altri componenti del suo Ordine era stata affidata da una cerchia più interna ed elitaria. Le notizie che possiamo darne attingono più ad un lavoro ormai trentennale e basato su materiali inediti che ai fiumi d’inchiostro spesso ripetitivi ed ampollosamente eruditi; quando non addirittura sciovinisti e faziosi, di circostanza. D’altronde la citazione di questi ultimi non gioverebbe né allo scrivente né al lettore, risultando, in definitiva una ulteriore, dispersiva ripetizione. Gli anni “Guida” sono stati, per questa ricerca la fine degli anni ‘70 e gli inizi degli anni ‘80 quando Christianus ci pose a conoscenza dei resoconti del viaggio iniziatico di Ottone von Feldenberg, risalente anch’esso alla prima metà del fatidico XIV secolo quello in cui sembrò, dal punto di vista della Spiritualità l’inizio del Tramonto dell’Occidente consumandosi la tragedia dell’Ordine dei Poveri Cavalieri di Christo, dell’istituzione dell’Impero Universale e il SACRO ROMANO IMPERO, e la decadenza della Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica Romana, dimentica del suo ruolo pontificale di Custode e trasmettitrice unica del Verbum Dimissum. Essa sarà tragicamente sottomessa da un sovrano Temporale e Nazionale che imporrà l’origine della falsa determinazione degli stati temporali, coinvolgendo in ciò anche la Chiesa d’Occidente e rendendola “Cupida” e non dispensatrice di luminosa Verità del Verbo Vivente. Un processo di decadenza a volte interrotto nella storia ma mai più finito. La lezione e la guida hermetica di Christianus ci pose quindi a conoscenza dei viaggi di Ottone von Feldenberg, Cavaliere teutonico, d’origine francone e transfuga dell’ordine del Tempio nel 1303‐1304 le cui tracce si perdono misteriosamente tra la Scandinavia e le isole Celtiche. Da questa cronaca che ha per titolo “Le Voyage” o “Der Reise” si traggono molte indicazioni inedite e significanti anche 

[CONTINUA IN SECONDA PAGINA] [DALLA PRIMA]  Uomini dotati di Angelico stato e conoscenza erano i soli degni di conoscerlo e custodirlo. Spesso la sede prescelta dal Graal che si sposta in modo Arcano, per spandere la sua Grazia ed il mistero di AMOR, è un luogo impervio e periglioso, un’alta selvaggia cima, un’irraggiungibile fortezza del Nord (NARRAN) o del Sud (SARRAS) o ZARRAS oltre non è concesso dire ma il lettore che avrà qualche rudimento di conoscenza della geografia della Commedia e della consapevolezza di Dante della quasi sfericità della terra, potrà fare qualche utile riflessione. Un pagano, un certo Flegetanis, possessore di un Arcano ed angelico Libro aveva visto per primo il Graal rifulgere tra le miriadi di Luminose stelle mosse da AMOR.  Le strade terrestri non sono che il riflesso di quelle celesti! Dante segue, dunque, e completa la Cerca di Wolfram percorrendo la via misteriosa su cui il Graal si sposta da NARRAN a ZARRAZ e viceversa agli antipodi. Entrambi i nostri autori si ricollegano, per quanto concerne il misterioso Libro magico ed occulto delle stelle, alla tradizione medioevale su Virgilio mago, il quale, scendendo in profonde caverne sotto il Monte Barbaro (in Campania), avrebbe ritrovato la vetustissima Tomba del Centauro Chirone e, sotto il Cranio di quest’ultimo, un libro alchemico‐magico di soggetto stellare detto LIBRO DELLA REFULGHENZIA capace di svelare arcani cosmici ed Argoetici.  Non a caso la guida Magistrale di Dante è il poeta iniziato Virgilio, sia per gl’impervi sentieri terrestri che per quelli metafisici ed ultraterreni spesso tra loro paralleli. Dove sono finiti il libro di Chirone e del pagano Flegetanis? Quando si approccia lo scritto dantesco non bisogna inoltre dimenticare che, a parte il tanto conclamato senso allegorico siamo dinanzi ad una lettura hermetica in triplice chiave così come in tutti i testi della Grande Arte cui non deve sfuggire il senso cabalistico ovvero della CABALE o CABALERIE e ciò non riguarda tanto, la nascita d’una lingua nazionale, per quanto armoniosa e bella possa essere, ma di un 

della missione di Dante che sembra aver compimento in una località prossima al circolo Polare Artico (oggetto al presente di nuovi ed interessanti, se pur discutibili, metodi d’indagine). La seconda fase di queste scoperte iniziò con le ricerche che intraprendemmo all’inizio degli anni ‘90 esattamente nel ‘91 e che avemmo modo di illustrare per due volte nel corso del X e dell’XI Convegno di Ricerche Templari a cura della L.A.R.T.I. (Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani) tenutisi rispettivamente a Poggibonsi in Toscana ed a Trento nel 1992 e nel 1993 sotto i titoli: “I Cavalieri Templari in Tirolo e nel Principato Vescovile di Trento” e “Il Graal in Val d’Adige”. Una terza opportunità di toccare il delicato ed occulto argomento ci venne data nel corso del I Convegno Tridentino, a cura dell’associazione “Flumen” organizzato a Trento nel 1996 con il titolo di “Trento città del Concilio, città dell’Impero: Alla scoperta del ruolo storico e culturale di una città e del suo Territorio tra Chiesa ed Impero, della sua Identità, delle sue Prospettive”. Fu proprio, in tale occasione che, giudicando maturi i tempi, decidemmo di accennare al vero motivo della presenza di Dante sul territorio. Facemmo questo, tuttavia, in maniera molto succinta, sia nella presentazione della nota storica territoriale che nell’esposizione della nostra specifica relazione dal titolo: “Il poliedrico e controverso Barone Hormayr”. Ma forse più che il resto, in tal sede è importante riportare la nota storica: “La domenica delle Palme, il 9 aprile 1004, l’Imperatore Enrico II il Santo scendeva a Pavia per cingere la “corona ferrea”. Sostando a Trento e dandogli, in occasione del suo viaggio in Italia, la città, il suo Vescovo e le genti del suo territorio, valido segno di leale fedeltà contro Arduino d’Ivrea, egli conferiva al Vescovo Uldarico I il potere temporale sul Comitatus di Trento. Il 31 maggio 1027 l’Imperatore Corrado il Salico, di ritorno da Roma, confermava, con una nuova donazione, i poteri del Vescovo tridentino quale Principe vero ed immediato del Sacro Romano Impero, rafforzandone l’estensione territoriale con la concessione della contea di Venosta e la contea di Bolzano il primo giugno 1027. Il diploma del 1027 fu di nuovo solennemente confermato nel 1161 dall’Imperatore Federico I Hohenstaufen, il Barbarossa.  “Quasi per nessun vescovo si può constatare un potere secolare ducale con maggior certezza che non per il Vescovo di Trento”. Così, per quasi mille anni il territorio Tridentino ha costituito uno dei più validi baluardi della concezione della idealità e della fedeltà imperiali... Fu quivi che l’esule Dante, prima presso gli Scaligeri veronesi, poi presso i Castelbarco al Castello di Lizzana, venne ad invocare la venuta di Arrigo VII di Lussemburgo Imperatore, o forse addirittura a caldeggiarla presso il suo consigliere–confessore, il Lorenese Enrico di Metz, Principe‐Vescovo tridentino? Ma questa è un’altra storia... Il 19 aprile 1893, in piena giurisdizione dell’Imperial Regio Governo Asburgico, la città di Trento depone la pietra fondamentale di uno dei più bei monumenti concepiti all’immortale Poeta, 

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padre della lingua italiana, austera figura templare che consacrò all’Impero il suo ideale, la sua vita... e il triste suo esilio. Sta di fatto un’altra importante coincidenza: Dante inizia la stesura della Commedia nell’anno 1300, due anni circa prima di non poter più ritornare a Fiorenza perchè condannato a morte in contumacia (in quanto al momento in missione per il governo della città a Roma) con la seguente formula: nel nome del medesimo podestà, si leggeva ... “Igne comburatur sic quod moritur”. “Venga bruciato col fuoco, sì da farlo morire”. La medesima condanna è estesa ad altri suoi 14 compagni di sventura. Notiamo qui che tale pena è la medesima a cui venivano di norma condannati eretici, streghe, stregoni o persone in odore di pratiche magico‐occulte invise al fanatismo della “lettera” dottrinaria degli inquisitori. Questa tremenda sorte toccherà i massimi dignitari dell’Ordine del Tempio a Parigi l’11 marzo del 1314. La coincidenza è che il Testo Eddico dello Havamàl, facente parte del patrimonio occulto del Nord germanico, viene trascritto e riassemblato in Islanda proprio intorno all’anno 1300, forse nell’antica mansio di Oddi (Islanda sud occidentale). Se dunque il Viaggio iniziatico‐estatico‐operativo di Durante degli Althinghieri era già iniziato nel 1300, all’ombra del “Bel San Giovanni”, esso continuerà, parallelamente, con la sua missione terrena fino alla sua morte nell’anno 1321 all’ombra dell’iniziatico Mausoleo del Nibelungico Re Teodorico di Verona, a Ravenna. Persino la vita è un Simbolo.  Quel re Teodorico che tanta parte ha nel patrimonio esoterico germanico soprattutto della Germanen Alpen e di Trento. Ma il condannato contumace Dante non si muove a caso, come abbiamo accennato, e di certo Tridentum, la città di Trent è, tra le località delle Alpi, quella che lui ha eletto come la più importante, indipendentemente dal suo peregrinare in questo luogo del suo territorio o fermarsi più o meno lungo in tal’altro. Lasciamo ancora una volta gli storici (soprattutto “trentini”) accapigliarsi e disputare su questo problema, analizzando invece in parallelo due particolari che di questa venuta ci sembrano ben più importanti: quali referenti ebbe Dante in Trento e quale luogo descrisse veramente e verosimilmente nei canti XI e XII della “Commedia” (Inf. XI ‐ 1 a 7), (Inf. XI ‐ 112 a 115) ed (Inf. ‐ XII ‐ 1 a 30). Geograficamente parlando, Dante si pone in viaggio verso il nord dell’Emisfero Boreale, antichissima Fonte della Tradizione Primordiale: il CONTINENTE CIRCUMPOLARE. I primi suoi ospiti e referenti, nell’antica capitale di Re Teodorico sono i Ghibellini Scaligeri, potenti alleati dei signori di Teiralli (Tirolo). Alla corte di Cangrande gli viene presentato Guglielmo di Castelbarco importante feudatario dei Principi Vescovi Tridentini e Signore di una possente griglia di castelli e fortezze che sbarrano a sud i confini del territorio dell’Aquila Tirolensis “Cuore e scudo dell’Impero”. Principe e Vescovo di Tridento è al momento, si crede il 1307, data in cui Dante dovrebbe trovarsi in territorio di Trento, Bartolomeo Querini, già primicerio della basilica ducale di San Marco e Vescovo di Castello in Venezia. 

Dante segue, dunque, e completa la Cerca di Wolfram percorrendo la via

misteriosa su cui il Graal si sposta da NARRAN a ZARRAZ e viceversa

agli antipodi

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VOX POPULI trimestrale d’informazione www.vxp.it SPECIALE DANTE Anno VII • giugno 2010 Direttore responsabile: ALESSIO MARCHIORI Hanno collabora: CLAUDIO TESSARO DE WETH, ERMANNO VISINTAINER, DANIELE LAZZERI Abbonamenti annuali: € 15,00

Autorizzazione del Tribunale di Trento Registro Stampa n. 1175 decreto del 17/4/03 C.P. 113 - Ufficio postale di Pergine Valsugana Progetto grafico a cura di: Fabio Franceschini Stampa: Tipografia Pasquali - Fornace (TN)

L’amicizia, che, tradizione vuole, legasse ad uno stretto parente di quest’ultimo, certo Giovanni Quercini, avvalorerebbe i presupposti per una doppia mediazione, sia di Guglielmo di Castelbarco che del succitato Giovanni Quercini, che garantissero al "Ghibellin fuggiasco” la protezione, l’udienza e l’ospitalità del Principe Tridentino alla propria corte, tantoppiù che il 17 febbraio di quello stesso 1307 a Trento il Principe‐Vescovo confermava e rafforzava solennemente i patti federativi coi propri advocati Conti di Tirolo‐Gorizia (i Mainardi) costituendo con essi un potente e compatto sistema difensivo territoriale di dichiarata fedeltà imperiale. L’investitura avveniva in maniera pubblica e solenne. Queste circostanze avrebbero potuto essere politicamente e praticamente favorevoli a Dante ma possedeva il Querini quei requisiti che avrebbero permesso al Sommo poeta di accedere al personaggio veramente da lui assiduamente cercato quale Eletto all’Imperio Universale? Si parla naturalmente di Arrigo VII di Lussemburgo che, però, si deciderà a scendere in Italia solo nel 1310 e soprattutto penetrerà in Italia dalle Alpi occidentali, cioè dal Cenisio con la complicità dei Duchi di Savoia. Fatto sta che, comunque, sempre nel 1307 il Vescovo Querini verrà a mancare lasciando vacante la sede Vescovile cui verrà eletto nel 1310 nuovo Principe‐Vescovo per l’appunto Enrico di Metz abate cistercense dell’Abbazia di Villers‐Retnach (ALSAZIA) all’epoca in Lorena. È questo il mediatore ideale che Dante attende a Trento o in altro limitrofo luogo, al fine di poter presentare le sue suppliche o addirittura chiedere di restare al fianco del comune lor Signore Arrigo? È forse vero che tre anni di una vana attesa potrebbero essere poco plausibili, ma Dante di certo non era tipo da perdere prezioso tempo... la “Commedia” ed altri impegnativi lavori, ove che fosse, continuavano il loro corso... così come pure l’epistola ad Arrigo VII che forse Dante ambiva consegnare di persona o al massimo attraverso il suo confidente, amico e cancelliere nonché consigliere: il neoeletto Principe‐Vescovo di Trento l’Abate Enrico di Metz cistercense e Lorenese. Il buon senso sembra chiudere il cerchio del detto ragionamento. Ma ahimé, checchè ne sia, Enrico di Metz non sarà materialmente a Trento che nel 1313, a morte avvenuta del suo Imperatore nei dintorni di Pisa, nel cui cimitero monumentale trovasi oggi il suo sepolcro. Sta di fatto che nel 1306, un anno avanti la sua venuta nei territori Atesini Dante dimorò presso i Marchesi Malaspina in Lunigiana, ove ebbe modo di consultare gli oscuri e difficili componimenti poetici del trovatore provenzale Arnaut Daniel che terrà per misteriosi motivi in gran conto e sui quali lascerà delle note autografe di suo pugno. In onore dell’oscuro trovatore del Pèrigord, inventore della elaborata forma metrica della sestina, Dante compose, in Lingua Provenzale i versi 140‐147 del XXVI canto del Purgatorio. Se non ci è dato sapere con esattezza e precisione in quali dimore e per quanto tempo Dante dimorò tra Verona, Teirolli e soprattutto nella turrita Tridento conosciamo dai suoi scritti che della zona egli possiede un’ottima conoscenza 

morfologica, geografica ed etnologica. Nuove luci su questo argomento ritroviamo già citate su d’un articolo in lingua tedesca del 1926 apparso sull’Innsbrucker Nachrichten a firma di Alfred Strobel (24 giugno 1926 n° 142 pag. 8, intitolato “Eine neue Theorie uber Dantes Aufenthalsort in Sudtirol: Una NUOVA teoria sul soggiorno di Dante in Trentino” che conforta pienamente le nostre supposizioni su un soggiorno medio‐lungo di Dante sul territorio della confederazione degli stati e dei potentati Tirolesi ed in particolare in Trento.  A tal proposito, cita l’osservazione e la scoperta da parte di un cultore erudito ricercatore storico tale Ciro, Vecchietti, originario di Malè che avrebbe reperito un raro documento del XIV sec., entrato con altri in suo possesso, che attesta delle lunghe peregrinazioni e ricognizioni dell’Alighieri in Trento e dintorni, affatto passeggere o frettolose e che soprattutto modificherebbero l’identificazione dei luoghi descritti nei canti XI e XII dell’Inferno scambiati per errate osservazioni di tipo morfologico a posteriori coi Lavini di Marco nei pressi di Mori od altro luogo esistente nell’antico Tirolo Meridionale, ma essere in realtà perfettamente pertinente quale “RUINA” o “ROCCIA” discoscesa, non altro luogo che la parete o balza grandiosa del dirupo di Sardagna posta ad ovest della città, che molto ricorda per l’impraticabile e orrido strapiombo, dovuto ad antichissima frana, un autentico gradone dei gironi infernali mentre più a nord della gobba disegnata dall’evento geologico cessa la parete rocciosa del dirupo per dare luogo ad una pendenza degradante a valle, vero e proprio residuo dell’immane frana ove macerie di varia dimensione si dispongono in un più praticabile declivio.  Questo luogo è detto ancora “Sasso alto” mentre il declivio detto Costa di Ravina (da Ruina?) viene nominato da detto documento antico, sarebbe definito col nome di “ROTTA LACCA” molto vicino al linguaggio dantesco. Dante fu quindi anche in Sardagna ove poté sostare in un Luogo iniziatico di antichissima memoria Celto‐rethica che vuol dire, a causa della sua forma a conca “Calderone”, Vasello, su Quell’Alto Sasso dal quale egli poteva ieri più che oggi contemplare i Misteri delle Stelle in attesa di rendere omaggio al suo agognato Veltro e Signore dell’UNIVERSALE IMPERO DI AMOR. 

Non a caso la guida Magistrale di Dante è il poeta

iniziato Virgilio, sia per gl’impervi sentieri terrestri che

per quelli metafisici ed ultraterreni spesso tra loro

paralleli

L ’ A N G O L O D E L L A C U L T U R A

to: Recontruction of Religious Tought in Islam, 1934, egli affermava che l’immobilismo conser‐vativo della civiltà islamica non era adeguato per affrontare le nuove sfide emergenti dal mondo moderno. Da qui l’ammirazione per l’idealismo, per i filosofi ed i letterati tede‐schi, soprattutto Nie‐tzsche e Goethe dai quali mutua alcuni concetti filosofici essenziali, ma soprattutto per la lette‐ratura italiana e per Dante Alighieri che di‐viene un modello centra‐le d’ispirazione sia nello stile che nei contenuti.  Nel 1932 Iqbal pubblica a Lahore il Jāvēd­nāmah (Il libro di  Jāvēd), una composizione poetica redatta in persiano ma dalle suggestioni del tutto dantesche, tradotta da Bausani con il titolo: “Il libro dell’Eternità” o 

“Poema Celeste”.  L’opera, analogamente alla Divina Commedia, è un poema didascalico che narra di un viaggio celeste compiuto dal poeta stesso sotto lo pseu‐

donimo di Zindah Rud ‐ زندہ رود (ruscello vivente), il quale così come Dante è accompa‐gnato da Virgilio, si fa condurre dal mistico‐letterato persiano del XIII secolo Jalāl ud­Dīn Rūmī, che Iqbal rivaluta e reinterpreta in senso antipanteistico e personalista.  Nella descrizione di questa peregrinazione mi‐stico‐visionaria o per usare un’accezione dante‐sca, anagogica, in veste di emulo del nostro 

Riguardo a Dante ed alla sua opera, numerosi sono gli elementi simbolici presenti al suo inter‐no, mutuati da contesti islamici. Una delle prin‐cipali fonti di ispirazione è il  “Libro della Sca­la”, ma soprattutto il motivo coranico dell’isrā‘ o mi‘rāj, ovvero l’ascensione compiuta da Mu­hammad sotto la guida dell’angelo Gabriele montando sulla mitica cavalcatura alata Buraq1  conclusasi con una discesa agli inferi. Un viaggio estatico notturno che lo condusse dal Tempio Santo al­Masjid al­Haram, presumibilmente la Ka'ba – che nella tradizione islamica, come ci rammenta René Guénon, similmente al Lapis niger dell’antica Roma, assolve la funzione di Axis Mundi – fino al Tempio Ultimo, al­Masjid al­Aqsā, identificato con Gerusalemme, da dove egli iniziò la vera e propria ascensione al cielo verso il Loto del Supremo Limite, As­Sidrat al­Muntaha. Motivi che trovano il loro archetipo in scritti escatologici più antichi, quali il testo zoroastria‐no del “Libro di Artây Vîrâp”, per arrivare fino agli echi delle ascensioni estatiche degli sciama‐ni altaici che traspaiono dallo sfondo di questa scenografia mistica.  Tuttavia, volendo rimarcare l’ancoraggio dell’Islam – secondo Pietrangelo Butta­fuoco, riconducibile alla “Religione pri­mordiale di Agartha e di Sparta”2  – all’alveo della tradizione abramitica, un’importante convergenza fra Dante e le tradizioni islamiche riguardo a questo viaggio iperuranico, metafora dei molte‐plici stati dell’essere, consiste nell’avere rivoluzionato la precedente geografia sacra traslandone il centro da Roma a Gerusalemme.  Non mancano del resto rivisitazioni del testo dantesco in chiave moderna la cui fama ha, da qualche tempo, valicato gli angusti confini na‐zionali per assurgere ad una sorta di universali‐smo letterario, esercitando un’ispirazione pro‐fonda su intellettuali e dotti di altri paesi. Uno fra questi ‘Allama Muhammad Iqbal, poeta‐filosofo e poligrafo, acuto interprete del pensie‐ro occidentale e artefice dell’indipendenza del Pakistan. Nato a Siālkōt nel Panjāb (1877‐1938), trascorse lunghi periodi di studio prima in In‐ghilterra quindi in Germania dove, a Monaco di Baviera gli è stata, fra l’altro, dedicata una via.  Schematizzando il pensiero di Iqbal, nello scrit‐

grande poeta, egli, partendo dalla Terra, attra‐versa le sfere celesti: dalla Luna, Mercurio, Ve‐nere, Marte, Giove e Saturno, per raggiungere l’iperuranio fino alla divina illuminazione; e durante quest’ascesa similmente a Dante, dialo‐

ga con la sua guida incontrando vari perso‐naggi che hanno contras‐segnato le sorti dell’umanità.  I tratti salienti del poema si riferiscono ai temi classici di questo tipo di letteratura: l’eterno con‐flitto dell’anima e la lotta umana contro l’errore. Il tema centrale dell’opera, tuttavia, verte su di un elemento totalmente innovativo per non dire rivoluzionario, all’interno di quel mondo da lui rappresentato, esso, infatti, si impernia attor‐no a quel concetto dell’Io, mutuato dalla filosofia 

occidentale, traslitterato da Iqbal con la voce 

persiana: khudi‐ , خودی  se stesso, che egli 

sviscera nelle relazioni con la società in cui vive ed il suo ruolo nella comunità mondiale.  Invero, benché l’opera del poeta pakistano sia intrisa da motivi di una matrice, per lo più, ira‐nico‐ellenistica che la caratterizzano non di poco, a dispetto della sua formazione religiosa verosimilmente severa, da un’analisi del testo (forse qui si potrebbe intravedere un’allusione alla celebre opera di Nietzsche) non traspare quella perentorietà, ovvero quella teodicea di stampo medievale, secondo cui tutto viene sud‐

di ERMANNO VISINTAINER

La figura di Allama Muhammad Iqbal

diviso nelle inflessibili categorie moralistiche del bene e del male. Il poema viene perciò, a nostro giudizio, ad essere quasi trasfigurato dall’innesto di elementi che da una parte, po‐tremmo definire “paganeggianti”, in quanto appartenenti al passato religioso indo‐iranico, mentre altri più recenti, che spaziano dal mate‐rialismo storico al vitalismo irrazionalistico, in misura tale da fargli rasentare l’apostasia.  A dimostrazione di ciò, nella sfera della Luna, con un’insinuazione dai toni fortemente etero‐dossi, Iqbal con grande audacia situa, sullo stes‐so piano, personaggi che sono i fondatori delle principali religioni, come Buddha, Zoroastro, Cristo e Maometto. Mentre, nella sfera di Mer‐curio introduce una disputa su comunismo e capitalismo. Del primo scrive: “L’autore del Capitale proveniva dalla schiatta di Abramo”, mentre dell’altro: “Il capitalismo è ingrassamen‐to del corpo” nel senso di un’atrofizzazione delle rimanenti facoltà umane. Più in là, oltre alle sfere, dinnanzi alla soglia del paradiso, emble‐maticamente, quasi a volergli dimostrare la sua totale ammirazione, Iqbal pone il filosofo Frie­drich Nietzsche, definito “il saggio tedesco”. Di 

lui scrive: “Il suo sguardo era più acuto di quello di un’aquila, il suo volto tradiva l’intimo ardore del cuore”. Di Nietzsche ammirava soprattutto lo slancio vitalistico profetizzato negli scritti, contrastante con gli atteggiamenti evasionisti e rinunciatari ovvero di dissoluzione dell’Io, che Iqbal riscontrava anche nella società indiana del suo tempo. Per quanto questa sintesi così originale ed atipica individuata da Iqbal fra moderni‐smo ed idiosincrasia per ogni forma di 

misticismo letterario appaia essere degna d’attenzione, riteniamo che forse essa risenta di un’eccessiva propensione verso l’ipertrofizzazione dell’Io e la sua conseguente storicizzazione. In ciò sembra di intravedere suggestioni di stampo antroposofico, che lui non avrebbe mai potuto ammettere, in auge però in Germania al tempo in cui Iqbal vi soggiornò.      

“I Soviet più elettricità, non fanno il comunismo”. Così cantava Giovanni Lindo Ferretti in un album dei CCCP, gruppo che ha segnato un’epoca nella sperimentazione musicale. Ma anche i Diabula Rasa, ex Tabula Rasa, costretti al cambio di nome da una sorte 

crudele e beffarda legata al copyright, si propongono come assoluti innovatori nel settore della musica medievale. In pieno stile nietzschiano, il sodalizio guidato da Luca Veroli ha abolito gli sterili stereotipi in voga nell’ampollosa e polverosa accademia e la rigorosità cieca nell’esecuzione delle canzoni “originali”, intraprendendo un percorso che mira alla ricerca dell’eterno ritorno dell’identico, ma non dello stesso. È, infatti, attraverso l’elettrificazione degli strumenti musicali, spesso costruiti dallo stesso Veroli, che i Diabula Rasa realizzano, con testi e ballate della tradizione medievale, un’autentica sintesi di tradizione e modernità. Il loro è “Archeofuturismo musicale”. È la forza del passato che si insinua nella tumultuosa e chiassosa modernità, irrompendo nell’“immondizia musicale”, per dirla con Battiato, 

L’INFERNO DI DANTE

La Divina Commedia di Dante con serate dedicate alla Cantica dell’Inferno animate dal prof. Piero Leonardi

Programma e date in allegato e su www.vxp.it  

                         Comunità Alta Valsugana e Bersntol                         luglio ‐ agosto 2010 

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1 Parola araba connessa con il termine barq, "folgore", "fulmine", vd. Enciclopedia delle Religioni, Vallecchi, voce: Maometto, p.103. 

2 Pietrangelo Buttafuoco, Cabaret Voltaire. L’Islam, il Sacro, l’Occidente, Milano 2008 p. 34. 

Non mancano del resto rivisitazioni del testo dantesco in chiave

moderna la cui fama ha, da qualche tempo, valicato gli angusti

confini nazionali per assurgere ad una sorta di universalismo

letterario, esercitando un’ispirazione profonda su intellettuali e dotti

di altri paesi. Uno fra questi ‘Allama Muhammad Iqbal

dalla quale siamo circondati. Sono i musici del Terzo Millennio, con uno stile goliardico ed a tratti guascone, irriverenti al punto giusto per sfuggire alla banalità ripetitiva dei grigi tempi moderni.  Daniela Taglioni, Samantha Bevoni, Moreno Boscherini, Stefano Clò e Luca Veroli. Questi i componenti di questa tribù neobarbarica che riempie le piazze con il canto gioioso e la danza a ritmi sfrenati. Che si abbevera alla Gaia Scienza per donare nuovamente al pubblico quello spirito mistico proprio del suono arcaico. “Quel suono – si legge nel sito diabularasa.com – è un’eco di un passato lontano, che il nostro orecchio non codifica pienamente e perciò non riesce ad apprezzare nelle sue sfumature e nella sua delicata leggerezza”. Già, un’eco che viene da lontano… e dal profondo aggiungiamo noi. Un suono che riecheggia tra le montagne di Montserrat e le pagine della “Corte di Lucifero” di Otto Rahn. Anche questa è parte importante nella ricerca del Graal. E come sempre si ricomincia dall’inizio. E di nuovo, è Diabula Rasa …  Diabula Rasa Techno Gothica  www.diabularasa.com 

DIABULA RASA: ARCHEOFUTURISMO MUSICALE di  DANIELE  LAZZERI 

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Spettacolo teatrale:

PounDante DANTE E POUND NELL'OPERA DI MARKUS VALLAZZA

MART (Rovereto), 25 marzo 2007