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Università Ca’ Foscari di Venezia Facoltà di Lettere e Filosofia Dipartimento dell’Antichità e del Vicino Oriente L’ insorgenza del Neolitico in Grecia Tesina per il corso “Preistoria dei Balcani” da Bakirtzoglou Despoina (numero di matricola: 980972)

L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

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Page 1: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

Università Ca’ Foscari di Venezia

Facoltà di Lettere e Filosofia

Dipartimento dell’Antichità e del Vicino Oriente

L’ insorgenza del Neolitico in Grecia

Tesina per il corso “Preistoria dei Balcani”

da

Bakirtzoglou Despoina (numero di matricola: 980972)

Docente: Spataro Michela

Venezia, Maggio 2007

Page 2: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

INDICE

Introduzione.......................................................................................................Pag. 2

Problemi terminologici........................................................................................» 3

Domesticazione: definizione e identificazione nel contesto archeologico..........» 5

Le origini dell’ agricoltura...................................................................................» 7

La transizione dal Mesolitico al Neolitico in Grecia............................................» 9

Il Neolitico Aceramico della Grecia......................................................................» 21

Aspetti dell’economia di sussistenza e dell’organizzazione sociale

del Primo Neolitico in Grecia...............................................................................» 23

Coclusione...............................................................................................................» 26

Bibliografia.............................................................................................................» 28

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Page 3: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

INTRODUZIONE

La problematizzazione intorno all’ inizio del Neolitico in Grecia non è qualcosa

di nuovo. I primi tentantivi da parte dei ricercatori di spiegare come le prime società

neolitiche siano apparse, cominciarono negli anni ‘60 dopo i primi scavi sistematici

di dei siti neolitici nella Grecia continentale e soprattutto nella regione della

Tessaglia. Tutti i siti presentavano 2 attributi comuni, caratteristici e distinguibili: 1)

piante e animali completamente addomesticati e 2) insediamenti permanenti.

Fin d’allora e tuttora il dibattitto principale si svolgeva tra coloro che ritenevano

che il Neolitico derivasse dal Vicino Oriente (i diffusionisti) e coloro che credevano

che si trattase di un fenomeno indigeno (indigenisti). Il criterio principale su cui

entrambe queste teorie si sono basate era la presenza o l’ assenza dei progenitori

selvatici di certe piante e animali. Il primo che ha sostenuto calorosamente il modello

diffusionista era S.Weinberg, che nel suo articolo The Relative Chronology of the

Aegean in the Stone and Early Bronze Age (1965) disse che le specie domestiche

erano state introdotte in Grecia tramite un tipo di “migrazione” dei primi agricoltori

dall’ Oriente verso l’ Europa (Efstratiou, 1995: 64) . Dall’ altra parte D. Theocharis,

(The Dawn of Thessalian Prehistory, 1967; Neolithic Greece, 1973) che nonostante

sostenesse il ruolo fondamentale dell’ Oriente e il modello di una diffusione del

Neolitico mediante il trasferimento delle idee e non uno spostamento degli individui,

espresse un parere diverso dicendo che probabilmente alcune specie erano state

addomesticate nel territorio greco (Vlachos, 2003: 132). Il suo libro L’ alba della

Preistoria Tessalica, in cui si presentò per la prima volta un aspetto più indigenista

relativamente all’ inizio del Neolitico in Grecia, è considerato ancor’oggi

fondamentale, poichè ha aperto il dibattito scientifico che c’ è ancora fra gli

indigenisti e i diffusionisti (Kotsakis, 2001: 64). Non sono state poche le critiche, le

contrapposizioni e i conflitti da entrambe le parti. Recentemente sono presentate

nuove prospettive in varie pubblicazioni che qualche volta cercando di unire i due

modelli e proporre qualcosa di diverso (Perlés, 2003; Runnels and Van Andel, 1988;

Kotsakis 2000 e 2001; Zvelebil, 1995). In seguito vengono presentate le

problematiche primarie che riguardano questo tema.

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PROBLEMI TERMINOLOGICI

Il termine “Neolitico” fu introdotto nel 1865 da J. Lubbock per indicare il

periodo successivo al Paleolitico (Cocchi Genick, 1993: 9), che si caratterizzava per l’

uso di manufatti in pietra levigata, per la comparsa della ceramica e l’ adozione

dell’economia agricola. In quell’ epoca la presenza di ceramica o di strumenti in

pietra levigata si considerava principale per l’ attribuzione di un sito archeologico al

Neolitico, in quanto non erano entrate ancora in uso le tecniche di recupero di dati

paleobotanici e paleofaunistici (Cocchi Genick, 1993: 9).

Dagli inizi del ventesimo secolo comunque ci si è resi conto che il Neolitico fu

un fenomeno molto più ampio e complesso. Questa complessità venne sviluppata da

V.G. Childe, introducendo nel 1934 (New Light on Most Ancient East: The Oriental

Prelude to European Prehistory) la definizione “rivoluzine neolitica” . Con questa

espressione egli cercò di sottolineare i radicali e determinanti cambiamenti avvenuti

nei rapporti tra l’ uomo e il suo ambiente, in relazione alle nuove trasformazioni

tecnologiche e economiche (Ammerman e Cavalli-Sforza, 1986: 13). Inoltre Childe

utilizzando questa definizione voleva sottolineare che la “rivoluzione” neolitica era

un evento storico tanto notevole quanto la rivoluzione industriale.

Oggi la maggior parte degli studiosi non usa più il termine “rivoluzione” per

definire il passaggio passaggio dal Mesolitico, basato sull’attivita` di caccia e

raccolta, al modo di vita neolitico, basato su un’economia produttiva, perchè questo

termine presupporrebbe che il Neolitico fosse un fenomeno avvenuto all’ improvviso.

Attualmente continua ad esserci un’ampia discussione - e qualche volta delle

contrapposizioni intense – sulla terminologia che va usata dagli scienzati che si

occupano dell’ inizio dell’ epoca Neolitica.

Per esempio, nel passato veniva usato molto spesso il termine “pacchetto

Neolitico” (neolithic package), che conteneva i seguenti elementi: le piante

domestiche, gli animali domestici, la permanenza degli insediamenti neolitici e le

innovazioni tecnologiche che riguardano soprattutto le costruzioni di pietra e di

ceramica (strumenti, vasi ecc) (Trigham, 2000: 26). Negli ultimi anni invece il

termine “paccheto Neolitico”non si usa tanto spesso, perchè si considera che

l’economia neolitica non sia sempre introdotta come “pacchetto” nei siti neolitici, in

quanto ci sono siti del Primo Neolitico che non presentano tutti questi elementi (per

esempio, potrebbe esistere la ceramica senza le specie addomesticate, o è probabile

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che le specie addomesticate non si presentino insieme alla ceramica, come succede

anche nella fase aceramica di Tessaglia) (Trigham, 2000: 26). Tuttavia ci siano molti

casi in cui il neolitico presenti tutte queste caratteristiche fin dalla sua fase piu` antica

(Perlès, 2003: 103-104; Halstead,1996: 298; Tringham, 2000: 26). Negli ultimi anni il

termine viene usato sempre piu raramente, in quanto non viene ritenuto un termine

neutro, ma un termine connesso alle teorie diffusioniste (Kotsakis, 2001).

Uno dei dibattiti più comuni riguarda la definizione del passaggio dal

Mesolitico al Neolitico. Per esempio molti ritengono che il termine “transizione”

(transition) sia quello che descrive in modo migliore questa fase, poichè fa riferimento

non solo ai mutamenti socio-economici che la caratterizzano, ma anche alle

condizioni e ad alcuni aspetti importanti del processo che indusse i gruppi dei

cacciatori-raccoglitori ad adottare l’agricoltura. Generalmente il termine “transizione”

viene utilizzato da molti scienzati sociali (storici, sociologi, archeologi, antropologi),

per descrivere una fase di cambiamento e riorganizzazione – “di qualsiasi dimensione

e crono-scala” - nella quale “un sistema si modifica a causa di pressioni interne ed

esterne” e viene sostituito da qualcosa d’ altro (Efstratiou, 1995: 63). Ma secondo

altri studiosi la “transizione” si riferisce soprattutto al processo economico che ha

portato le communità neolitiche alla loro dipendenza dalle risorse alimentari

domestiche, e non agli altri aspetti del modo di vita neolitico (Zvelebil, 1995: 108). In

questo modo si evidenzia solo la parte biologica ed economica del fenomeno. Inoltre,

dallo stesso punto di vista, si ritiene che il termine “transizione” non possa spiegare i

casi in cui i soliti cambiamenti non vengono rintracciati facilmente, o –in altri termini-

i casi nei quali non si può parlare di un Neolitico con i caratteri finora approvati e

conosciuti dai ricercatori. Per esempio, alcuni archeologogi credono che il termine

“transizione” non vada utilizzato per un sito che nonostante presenti ritrovamenti

relativi alla produzione ceramica e appartenga cronologicamente al Neolitico,

presenta nello stesso tempo un’economia di caccia e raccolta (forse perchè

l’addomesticazione come elemento-chiave per l’identificazione della transizione al

Neolitico non esiste. Cioè, in questo senso, non si può parlare di una transizione

“completa”, dal momento che non si presentano tutti gli elementi del Neolitico)

(Zvelebil, 1995: 108).

Una problematica simile alla precedente riguarda il termine “neolitizzazione”

(neolithisation). Gli studiosi che usano questo termine vogliono illuminare non solo

gli aspetti biologici del processo ma anche quelli sociali e ideologici (Tringham,

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2000: 22). Oltre a questo credono che la parola “neolitizzazione” possa spiegare

meglio il carattere graduale del processo, contenendo tutti i cambiamenti che,

malgrando avessero precorso l’insorgenza del Neolitico, hanno aiutato i gruppi

mesolitici ad adottare l’ agricoltura e le tecniche produttive (Zvelebil, 1995: 108-109).

Intanto molti ricercatori si oppongono all’ uso di questo termine, ritenendo che venga

usato principalmente quando si vuole dare rilievo a dei modelli teorici più indigenisti.

Inoltre essi esprimono l’opinione che quando si usa il termine “neolitizzazione”, si

propone che ci sia stato un processo storico “lungo e complesso” e non “un numero di

note caratteristiche spazialmente e culturalmente differenziate” (Efstratiou, 1995 :63).

Generalmente ogni nuova scoperta e ogni nuova teoria formulata comporta

problemi terminologici simili. Non dovremmo comunque scordare che la cosa

primaria è la conquista di nuove conoscenze. Sicuramente ci sono e ci saranno

sempre dibattiti relativi all’ uso dei termini, ma non dovremmo concentrarci

solamente su quest’ultimi. Sia con l’ uso di un termine sia con l’ uso dell’ altro, quello

che ha importanza è che le pubblicazioni archeologiche siano comprensibili, esplicite

e fondate sui dati esistenti.

DOMESTICAZIONE: DEFINIZIONE E IDENTIFICAZIONE NEL

CONTESTO ARCHEOLOGICO

Come domesticazione si definisce il processo della coltivazione delle specie

selvatiche, che modifica evolutivamente alcune delle loro proprietà morfologiche e

fisiologiche necessarie per la loro sopravvivenza. I mutamenti genetici che si

provocano arrivano all’ eliminazione di queste proprietà, e come risultato le specie

non possono più riprodursi senza l’ intervento umano (Hillman e Davies, 1992: 114).

In altri termini, nella domesticazione l’ uomo causa la creazione di nuovi tipi di piante

e animali che provengono dai loro antenati “selvatici” (Smith, 1995: 18). Le nuove

proprietà che si creano, sono quelle che distinguono la specie domestica da quella

selvatica.

L’ identificazione della domesticazione delle piante e degli animali nel contesto

archeologico non è un tentantivo facile. Per questo motivo molti archeologi ricorrono

spesso ai risultati ottenuti da indagini etnografiche. In più sono state fatte molto

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spesso alcune ricerche sperimentali, con l’ obiettivo di capire il comportamento e la

reazione di varie specie vegetali e animali selvatici dopo lo intervento umano. In più,

esperimenti simili sono molto utili per gli archeologi, perché così sono in grado di

osservare e studiare le “tracce” che lascia lo intervento dell’ uomo sulle specie, e così

paragonarli ai residui materiali che si trovano durante gli scavi (Anderson, 1992: 206-

207).

Per quanto riguarda la domesticazione delle piante, in varie ricerche è stato

notato che la raccolta intensa o la falciatura delle specie selvatiche non sono i processi

che portano alla domesticazione. Anche se questo mostra un cambiamento dei

rapporti tra l’ uomo e l‘ambiente, non causa i cambiamenti genetici che rendono una

specie addomesticata (Smith, 1995: 18-19).

Diversi esperimenti etnografici hanno provato che l’elemento chiave per l’

addomesticazione delle piante sia l’ intervento dell’ uomo nel loro processo

riproduttivo (Smith, 1995: 17). Per esempio, è stato notato che l’ uomo si interveniva

spesso al processo generativo delle piante disboscando aree estese o immagazzinando

i semi per piantarli l’ anno dopo (Smith, 1995: 19). In questo modo si producevano

delle specie adattate all’ ambiente umano, con cambiamenti nella forma e nella loro

morfologia (come per esempio l’ aumento della grandezza dei semi.). (Smith, 1995:

18-20)

Ma anche all’ addomesticazione degli animali, il fattore principale è lo

intervento umano nel loro processo generativo, nella loro allimentazione o nello

ambiente in cui vivono. Sulla base di studi etnografici è stato notato che gli uomini

preferiscono sfruttare gli animali che sono più “ricettivi” ai mutamenti alimentari o

climatici (Smith, 1995: 27). Inoltre sono stati identificati alcuni cambiamenti

morfologici che possono aiutarci ad identificare e a distinguere le specie domestiche

da quelle selvatiche. (p.e. la diminuzione dell’ altezza, o la mancanza di corna nelle

specie addomesticate) (Smith, 1995: 25-27).

In linea di massima, negli ultimi anni è più facile riconoscere ed identificare le

varie fasi della domesticazione grazie allo svillupo dell’ archeozoologia, della

archeobotanica e dell’etnoarcheologia. Quindi, dal punto di vista biologico possiamo

rispondere a domane, come “che cosa è l’ addomesticazione”, “quali sono le

differenze tra le specie domesticate e quelle selvatiche”, “come si identificano nel

contesto archeologico” ecc. In più, con l’ ampio uso delle datazioni con il C14 , è più

facile, rispetto al passato, di porre il fenomeno in un contesto cronologico più preciso.

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LE ORIGINI DELL’ AGRICOLTURA

Una questione molto importante relativa alla domesticazione delle piante e

degli animali è se le specie siano state addomesticate tutte insieme in una parte e per

una volta o e se le diverse specie siano state addomesticate più volte in varie parti

(Smith, 1995: 4). E questa domanda, anche se posta per la prima volta tanti anni fa, è

sempre attuale, e spesso nella risposta data da ogni studioso, viene espressa la sua

opinione sullo inizio del Neolitico.

Una teoria che influenzò molto il pensiero occidentale dopo il 1945 fu quella di

Vavilov (Studies on the origin of cultivated plants, 1926), che ha sostenuto l’

esistenza all’ inizio di cinque e dopo di dodici “centri universali”, da cui provenivano

le piante addomesticate. Credeva che questi centri esistessero in zone montuose e che

fossero anche i centri della civiltà umana. In seguito alcuni studiosi hanno diviso

questi centri in “primari” e “secondari” . Simili erano anche altre teorie, tra cui quella

di Hawks (1983), che ha parlato dell’ esistenza di quattro centri “nucleari” (Vicino

Oriente, Cina settentrionale, Messico meridionale e Perù settentrionale). Secondo

questo modello l’ agricoltura conimciò in questi centri e da lì si diffuse verso dieci

altre aree (Harris,1996a:5-6; Smith,1995:5; Cavalli-Sforza e Ammerman; 1986: 22-

29). Interessantissima è anche l’opinione di Zohary, che propone due modi di

evoluzione: a) “l’evoluzione monofiletica”, che vuole dire che una specie domesticata

è risultato di un solo fatto, e b) “l’evoluzione polifiletica”, che significa che la

domesticazione è avvenuta molte volte in varie parti (Zohary, 1996: 142). Per quanto

riguarda l’inizio dello stadio produttivo nel luogo eurasiatico, i modelli teorici più

conosciuti sono i seguenti:

La “teoria delle Oasi”: è stata formulata prima da Fleury e in seguito da G.

Childe (New Light on Most Ancient East: The Oriental Prelude to European

Prehistory, 1934). Egli sosteneva che alla fine del Pleistocene nell’ Asia Sud-

occidentale c’era grande siccità. Le dure condizioni climatiche spinsero gli uomini

e gli animali ad abitare vicino a delle fonti d’acqua (”oasi”), dove la sopravvivenza

sarebbe stata piu` facile. La conseguenza della “convivenza” degli uomini con gli

animali fu la nascita dell’agricoltura. La regione del Vicino Oriente, in cui è stata

realizzata la domesticazione è la cosidetta “Mezzaluna Fertile” (Fertile Crescent)

(Thrope,1996: 2).

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Il modello della “zone nucleare” è stato proposto da Braidwood (The

Agricultural Revolution, 1960). In esso s’esprime l’ opinione che l’ agricoltura sia

cominciata in una zona dell’ Asia sud-occidentale insieme a tutti i componenti del

“pacchetto neolitico”. Braidwood è arrivato in questa conclusione dopo avere

condotto i primi progetti in Iraq (1940-50), in cui sono stati trovati, a parte delle

specie domestiche, le tracce di un’ abitazione permanente. Secondo Braidwood

l’abitazione permanente e l’evoluzione degli strumenti utillizzati per la produzione

del cibo, hanno favorito la domesticazione (Smith,1995: 8-9; Thrope,1996: 3).

Binford (An Archeological Perspective, 1972) e Flannery (The Origins of

Agriculture, 1973) hanno ritenuto che il fattore più importante per l’adozione

dell’agricoltura fosse stato l’esaurimento delle risorse naturali, provocato dallo

incremento della popolazione, a seguito di un periodo di inaridimento (Flannery,

1973: 283 e.p.). Queste condizioni hanno spinto i gruppi umani verso la ricerca di

nuovi tipi di sussistenza (Cocchi Genick, 1993: 10-11)

Barbara Bender crede che l’inizio dello stadio produttivo sia un fenomeno

soprattutto sociale (Bender, 1978: 203). E ciò che sottolinea è che la agricoltura sia

stata un nuovo modo di vita e non semplicemente l’ uso di nuove tecniche

produttive (Bender, 1978: 209). Per l’esattezza dice che la sua causa principale sia

stata l’organizzazione sociale dei cacciatori-raccoglitori, che ha cambiato i rapporti

tra gli uomini e l’ambiente naturale. Secondo Bender i cacciatori-raccoglitori non

potevano assicurare la loro autarchia e per questo riuscivano a sopravvivere grazie

ad una rete di reciprocità basata sulla spartizione del cibo. Per rispondere ai bisogni

di questa rete di scambi e obblighi i cacciatori-raccoglitori producevano il surplus

(Bender, 1978: 210). Questo sistema non funzionava nei periodi di crisi sociali. In

queste situazioni difficili cercavano di diminuire le tensioni e mantenere il sistema

di reciprocità, e come conseguenza producevano di più. In questo modo è

cominciata l’intensificazione della produzione che ha portato alla agricoltura.

Inoltre la scittrice dice che la permanenza è stata rafforzata da questi condizioni

sociali e economici, perchè consente la produzione aumentata e l’accumulazione di

beni materiali e l’immagazzinamento (Bender, 1978: 213-214).

Negli ultimi anni molti studiosi danno retta agli aspetti simbolici della

domesticazione. Una delle proposte più conosciute è quella di Hodder (Hodder,

1990: 12) che crede che il processo di domesticazione fosse un tentantivo da parte

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dell’uomo di controllare l’ambiente naturale. Tramite questo processo simbolico la

natura ("il selvatico”) si transforma in civiltà (“ il domesticato”) (Thrope,1996:5).

Secondo vari autori ciò che spinse le popolazioni della regione Levantina

all’agricoltura fu l’impatto delle dure condizioni climatiche ed altri fattori

ambientali (come p.e. l’aumento del livello del mare) sulle risorse alimentari.

Molte ricerche paleoambientali hanno infatti mostrato che tra il 9500 e il 8600 bc

c’era un periodo di grande siccità, accompagnata da un abbassamento della

temperatura notevole, che ha perso il nome “Younger Dryas”. La sua importanza

viene sottolineata spesso da molti ricercatori (Harris, 1996b: 555; Hillman, 1996:

161; Holle, 1996: 264).

LA TRANSIZIONE DAL MESOLITICO AL NEOLITICO IN GRECIA

In base a tutto quello che sappiamo oggi sulla preistoria della Grecia, siamo in

grado di dire che i primi insediamenti neolitici apparvero agli inizi del settimo

millennio. Tutti i siti del Neolitico Antico (o Primo Neolitico) (6500-5700 B.C. circa)

(Perlès, 2001: 99) presentano evidenze di strutture abitative che indicano un’

abitazione permanente. La loro economia si basa quasi esclusivamente sulle piante e

sugli animali domesticati, la maggior parte dei quali deriva dall’ oriente. Per

l’esattezza le ossa animali che si trovano più spesso durante gli scavi archeologici

sono attribuibili a pecore, capre, maiali e vacche, mentre tra i residui archeobotanici

si individuano di solito residui di grano (monococcum o dicoccum) orzo, lenticchie,

piselli e di veccia (vicia ervillia). Inoltre, tutti i siti del Primo Neolitico presentano un

grande livello tecnologico relativamente alla costruzione di oggetti di pietra

(p.e.strumenti di pietra levigata), ossa, conchiglie (p.e.ornamenti) e argilla cotta

(figurini ecc.). Alcuni forni ritrovati indicano le capacità produttive e tecnologiche

delle prime società neolitiche. L’unico elemento tipico che non si presenta dall’ inizio

del Neolitico in alcuni siti –soprattutto in Tessaglia - è la ceramica (Perlès, 2003:

103). Perciò questa fasi nella quale manca la ceramica, ma ci sono tutti gli altri aspetti

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del Neolitico, è stata chiamata “Neolitico Aceramico” (Perlès, 2003: 104). Ma come

mai tutti questi aspetti della vita neolitica apparvero nell’ area egea?

Come è stato menzionato prima, l’ insorgenza del Neolitico in Grecia è un

argomento che è stato spiegato e interpretato in molti modi, il che ha comportato e

comporta fino ad oggi vari dibattiti tra i ricercatori. Molti dei modelli teorici che sono

stati proposti finora riguardano non solo la Grecia, ma tutta la penisola balcanica e

qualche volta tutta l’Europa. Il tema della transizione dal Mesolitico al Neolitico è

assai complesso e pluridimensionale· In seguito vengono presentati i suoi aspetti più

importanti in relazione alla Grecia.

I modelli diffusionisti

La base comune sulla quale tutte le teorie diffusioniste sono state fondate è la

convizione che il Neolitico sia stato introdotto dal Vicino Oriente. Il primo che ha

parlato di questa diffusione dall’Oriente verso l’Occidente (“ex oriente lux”) era

Childe (The Dawn of European Civilization, 1957). Ciò che cercava di accentuare

erano le differenze –in base a tutto quello che era finora conosciuto- tra il Vicino

Oriente e l’Europa relativamente alla continuità dal Mesolitico al Neolitico.

Specialmente per la Grecia, riteneva che non ci fosse nessuna evidenza di

domesticazione indigena e sottolineava la comparsa improvvisa dell’economia

neolitica nell’area egea (Lewthwaite, 1986: 55-56).

Da allora in poi sono stati proposti molti modelli riguardo la introduzione del

Neolitico dall’Oriente in Grecia. Riassumendoli possiamo dire che la derivazione

esogena dell’economia neolitica potrebbe essere dovuta ad uno dei seguenti processi:

- Colonizzazione (colonisation) : cerca di spiegare la moltiplicazione dei siti

durante il Neolitico, usando come argomento l’arrivo di alcuni gruppi

provenienti dal Vicino Oriente, che hanno portato in Europa il “pacchetto

neolitico”. Si considera spesso che questi gruppi avessero scelto a priori la

loro destinazione, il che implica che conoscevano già le regioni che hanno poi

colonizzato (Perlès,2001: 45).

- Diffusione: Il modello diffusionista più conosciuto è stato sostenuto da

Ammerman e Cavalli-Sforza. Loro credevano che si trattase di un processo

lento e di lunga durata, e che le popolazioni si spostassero dall’ Oriente verso

l’Europa con una velocità di un chilometro all’anno. Questa proposta, che è

stata chiamata “onda di avanzamento” (wave of advantage), si basa su molte

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datazioni al C14 e sui dati genetici di popolazioni odierni, che mostrano che il

più si allontana dal nucleo della diffusione (il Vicino Oriente) più recenti,

cronologicamente, sono le evidenze attribuibili al Neolitico Non si tratta solo

di una proposta teorica, ma di un’interpretazione di dati, che include due modi

possibili per la diffusione del Neolitico in Europa: 1)la diffusione demografica

(demic deffusion) e 2)la diffusione culturale (cultural diffusion). Il primo

modo presuppone che dei gruppi umani si siano spostati dal Vicino Oriente

verso l’Europa portando con se le tecniche dell’economia agricola. Il secondo

modo, d`altra parte, propone che ciò che si sposta non sia la popolazione, ma

le idee, le conoscenze, la tecnologia e altre informazioni che si diffondono

tramite una rete di scambi e contatti da e verso il Vicino Oriente. Il modello

della diffusione (Ammerman e Cavalli-Sforza,1986: 52-57, 85 e.p; Harris,

1996b: 7-8).

Nei modelli diffusionisti si sottolinea spesso il ruolo primario della Grecia alla

diffusione del Neolitico in tutta l’Europa. Cioè si considera che l’agricoltura sia stata

introdotta prima nell’area egea e che da lì abbia continuato la sua diffusione verso la

penisola balcanica e le altre regioni del continente europeo. Per quando riguarda la

sua introduzione in Grecia ci sono due ipotesi:

1. Il neolitico potrebbe essere stato introdotto in Turchia e poi sarebbe stato

portato in Tracia tramite l’Ellispodo. Questa ipotesi non è stata mai

completamente approvata, neanche dalla maggior parte dei diffusionisti, per

via della mancanza di siti del Primo Neolitico nelle regioni della Turchia

nord-occidentale, della Tracia e della Bulgaria sud-orientale

(Broodbank,1999: 21). Gli studiosi che sostengono questa tesi credono che

questa mancanza di dati sia relativa al fatto che l’area non è mai stata

investigata dettagliatamente, in quanto è stata per molto tempo una zona

militare (Tringham, 2000: 29).

2. La diffusione, demografica o culturale, del Neolitico in Grecia è avvenuta

tramite la Creta (Perlès, 2003: 104; Trigham, 2000: 29). Questa opinione è

più accettata, poichè a Knossos, sotto gli strati dell’ Età del Rame, è stata

rinvenuta un’abitazione neolitica che risale al Primo Neolitico. Il sito

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neolitico di Knossos presenta fin dal suo inizio tutti gli elementi di

un’economia completamente neolitica (piante e animali domestici,

continuità) (Perlès, 2003: 104; Broodbank,1999: 21). Alcuni scienziati

avevano proposto in passato che il “pacchetto” neolitico prima che arrivasse

a Creta fosse passato da Cipro. E infatti, fino a pocchi anni prima sapevamo

che il Neolitico era apparso a Cipro all’ improvviso Katsarou-Tseveleki e

Sampson, 2006: 88), come a Creta. Ma negli ultimi anni le indagini svolte

nell’isola hanno dimostrato che Cipro era abitata anche prima il Primo

Neolitico, e che probabilmente l’economia neolitica in questo caso sia stata

adottata più gradualmente (Katsarou-Tseveleki e Sampson, 2006: 107;

Perlès, 2001: 41, 58). Le ultime ricerche hanno portato alla luce

testimonianze di domesticazione che risalgono all’inizio del nono millennio

a.C, molto prima quindi del neolitico della Grecia e molto più vicino a quello

che succede in Oriente (Katsarou-Tseveleki e Sampson, 2006: 88-110).

Generalmente si tratta di un caso particolarissimo che comunque non è il

tema principale di questa presentazione.

Per quanto concerne il caso della Grecia il dissenso dei diffusionisti nei confronti

degli indigenisti verte sulle seguenti posizioni:

a. Il Mesolitico in Grecia è quasi assente, ma anche quando c’ è di solito non

appare in sequenza stratigrafica in relazione al Primo Neolitico. Gli unici

siti Mesolitici che probabilmente possono offrire elementi allo studio della

transizione Meso-Neolitica sono le grotte Franchti nel Peloponneso e

Teopetra in Tessaglia (Perlès,2003: 100) [Fig.1]. Il fatto che entrambe

siano grotte provoca più dubbi rispetto alla loro sequenza cronologica,

perché si tratta di siti difficili da scavare e con una geomorfologia più

complessa che rende l’identificazione dei strati ancora più difficoltosa

(Eftratiou, 1995: 64). Specialmente per le grotta Teopetra ci sono molte

problematiche perché le datazioni al radiocarbonio mostrano un vuoto tra

Mesolitico Recente e Neolitico Antico che dura più o meno 1000 anni (da

7901±29 BP a 6890±43 BP) (Biagi e Spataro, 2001: 17-22) Inoltre durante

12

Page 14: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

lo studio dei manufatti di Teopetra non sono mai stati individuati strumenti

tipici del Mesolitico (Perlès, 2003: 100-101).

Fig.1 : Siti Mesolitici in Grecia (Perlés, 2001 : 21)

b. In Grecia non sono stati rinvenuti resti di antenati selvatici delle specie

domestiche. Quindi, è difficile provare che il processo di addomesticazione

13

Page 15: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

è stata cominciato e compiuto in questa area. Al contrario, tutti i siti del

Primo Neolitico in Grecia resentano residui di piante e animali

completamente addomesticati, senza nessuna traccia di semidomesticazione

(Efstratiou,1995: 64; Lewthwaite,1986:64)

Modelli indigenisti

Nell’ epoca in cui Childe esprimeva l’opinione che il Neolitico europeo derivasse

dal Vicino Oriente, Theocharis sosteneva la dinamica delle popolazioni locali e la

possibilità che il Neolitico della Grecia fosse stata risultato dell’evoluzione indigena

(Theocharis,1967). Specialmente per la Tessalia credeva che presentasse una

sequenza stratigrafica dal Mesolitico al Neolitico, con l’ interposizione della fase

aceramica testimoniata a Sesklo e Argissa Magoula (Kotsakis, 2001: 64). Per molti

anni gli archeologi che si occupavano della preistoria greca non mostrarono molto

interesse per il modello indigenista, forse perché non c’ erano dati per provarlo. Ma

dagli anni ’90 alcuni nuovi ritrovamenti hanno spinto alcuni ricercatori a riesaminare

la probabilità dell’evoluzione indigena.

Lo scavo che ha portato alla luce nuovi dati era quello di Teopetra nella regione

di Kalambaka. Come è stato riferito prima, Teopetra è uno dei pochi siti in Grecia che

presenta una sequenza stratigrafica dal Paleolitico fino al Neolitico. Importantissimi

si considerano i suoi residui archeobotanici, perchè constatano l’esistenza del grano

selvatico Triticum Boeticum e di molti tipi di legumi selvatici tra gli strati mesolitici.

L’identificazione del Triticum Boeticum viene particolarmente sottolineata, in quanto

è uno degli antenati del grano selvatico Triticum dicoccoides , dal quale proviene il

grano domestico o Triticum dicoccum. E nonostante non siano stati trovati residui del

Triticum dicoccoides, in base a questi dati archeobotanici e alla presenza odierna del

Triticun boeticum nella Grecia continentale, alcuni botanici sostengono la possibilità

che “il territorio greco abbia contribuito notevolemente alla nascita del dicoccoides e,

come consequenza, alla sua forma domestica il dicoccum” (Kotsakis, 2000:175;

Kotsakis, 2001: 66; Kyparissi-Apostolika, 2003 : 194 - 195) .

Mettendo in evidenza i ritrovamenti archeobotanici provenienti dalla Teopetra gli

indigenisti cercano di rispondere alle teorie dei diffusionisti in relazione alla

mancanza di antenati selvatici delle specie domestiche. Inoltre M.Magafa, la

specialista di archeobotanica che ha studiato i semi carbonizzati di Teopetra, ha notato

14

Page 16: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

che tutte le specie selvatiche del Mesolitico coesistono con la versione coltivata dell’

orzo (Hordeum vulgare ssp exasticum), il che -secondo lei- dimostra che gli abitanti

mesolitici di Teopetra conoscevano le tecniche della raccolta intensificata che precede

la coltivazione (Kotsakis, 2000: 175). Di solito, insieme a questi dati, vienne

accentuata anche la presenza dell’ orzo selvatico dagli strati mesolitici di Francthi

(Kotsakis, 2000: 175). Intanto, Hansen che ha studiato il materiale di Franchti,

conferma il fatto che non si tratti di una prova di protodomesticazione, siccome l’orzo

domesticato apparve a Francthi tanti anni dopo, quindi senza una continuità

stratigrafica con l’orzo selvatico (Hansen, 1992: 235) e nessun aumento di dimensioni

(Perlès, 2001:39). Inoltre, aggiunge che le specie selvatiche del Mesolitico alla grotta

Franchti non presentato nessun tipo di raccolta intensificata (Hansen, 1992: 240-241).

I diffusionisti, come abbiamo visto prima, credono che non ci sia una

continuità assoluta tra Mesolitico Recente e Neolitico Antico in Grecia. E questo,

secondo loro, non favorisce il modello indigenista (Perlès, 2003: 100). Infatti, i siti

mesolitici scoperti fino ad oggi sono pochissimi (Francthi, Teopetra, Sidari, Kythnos,

Klissoura, Zaimis) e non si trovano quasi mai in continuità stratigrafica con gli

insediamenti del Primo Neolitico. Dall’ altra parte nei famosissimi siti del Primo

Neolitico di Tessaglia (Sesklo, Argissa, Achilleion, Soufli Magoula, Gediki), dove

potrebbe esistere una sequenza stratigrafica tra i due periodi – se ci fossero anche

deposizioni mesolitici - il Mesolitico è assolutamente assente (Perlès, 2001:64).

Tuttavia, molti ricercatori ritengono che i siti Mesolitici esistano, ma semplicemente

non li abbiamo ancora trovati (Kotsakis, 2000: 175-176). E le spiegazioni che di solito

avanzano sono:

1. Gli insediamenti mesolitici vengono identificati troppo difficilmente, e perciò

non è casuale che la maggior parte di quelli che conosciamo siano in grotta,

dove le condizioni di individuazione sono migliori. In più, questa “invisibilità”

del Mesolitico probabilmente ha a che fare con la mobilità che caratterizzava

le popolazioni dell’epoca, delle quali troviamo di solito residui in scarsa

densità (Kotsakis, 2000: 175).

2. In Grecia non vengono effetuate indagini meticolose che potrebbero scoprire

siti mesolitici, a causa della sicurezza che c’era per molti anni sulla

provenienza del Neolitico dal Vicino Oriente. In altri termini, l’idea di un

Neolitico esogeno scoraggiava tutti i tentantivi che andavano in cerca “di ciò

15

Page 17: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

che la maggior parte degli studiosi riteneva che non ci fosse” (Kotsakis, 2000:

176).

3. La mancanza di siti mesolitici in Grecia si deve a certi fenomeni geologici e

altri fattori ambientali. Per esempio, in Tracia non abbiamo siti del Mesolitico

e neanche del Primo Neolitico, perchè all’inizio dell’ Olocene vari

cambiamenti climatici hanno causato l’alzamento del livello marino. C’è

dunque una grande possibilità che gli insediamenti mesolitici si trovino oggi

sotto l’acqua. Per quanto riduarda la Tessaglia si dice che i siti mesolitici

siano probabilmente sepolti sotto dei sedimenti alluviani (Halstead, 1999: 77).

In genere negli ultimi anni molti studiosi cercano di provare che l’evoluzione del

neolitico in Grecia un sia da ricondurre ad un processo indigeno e che “almeno

alcune” specie siano state addomesticate localmente (Kotsakis, 2000; Kotsakis, 2001;

Kotsakis, 2003; Halstead, 1999) . Sulla base di questo cercano di mostrare la Grecia

non come “zona emarginale” all’inizio dello stadio produttivo, ma come un luogo con

la sua dinamica particolare, che si sviluppava parallelamente alla cosiddetta “zona

nucleare” (Kotsakis, 2000: 176-177; Katsarou-Tzeveleki and Sampson, 2006: 107).

Altre prospettive

In base alla maggior parte delle pubblicazioni recenti, si potrebbe dire che i

modelli degli ultimi anni non sono nè estremamente diffusionisti, nè estremamente

indigenisti. È molto caratteristico il fatto che molti diffusionisti cerchino di prendere

in considerazione la possibilità di processi indigeni, e dall’altro lato si vede che gli

indigenisti non svalutano sempre il contibuto del Vicino Oriente. In un clima del

genere è naturale che si creino proposte teoriche che cercano di combinare degli

elementi da ambedue le parti, o di vedere le cose da una prospettiva nuova.

Una proposta simile, che proviene dal campo dei diffusionisti, è quella di C.

Perlès. Perlès crede che il Neolitico della Grecia abbia origini orientali, ma senza

pretendere che gli insediamenti nuovi siano stati creati “nel vuoto” (Perlès, 2003:

100). Per l’esattezza ritiene che ci sia stato un processo di colonizzazione di piccoli

gruppi, composti da “pionieri navigatori”, che in seguito hanno interagito con le

popolazioni locali (Perlès, 2003: 99). Perlès sostiene che i gruppi locali non avessero

16

Page 18: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

una organizzazione che li avrebbe spinti ad un modo di vita così complesso, come il

Neolitico, senza nessuna influenza esterna. Insiste cioè sul concetto che i dati che

abbiamo finora sui siti mesolitici della Grecia siano troppo scarsi per provare una

transizione indigena al Neolitico e forse paragonabile a ciò che è successo in altre

regioni dell’Europa settentrionale (Perlès, 2003: 103), dove vi sono società di

cacciatori e raccoglitori molto più complesse (p.e. a Scandinavia) (Zvelebil and

Rowley-Conwy, 1986: 78)

Per rafforzare tale ipotesi, aggiunge che se ci fosse stata in Grecia una dinamica

locale durante il Mesolitico, gli insediamenti mesolitici non sarebbero stati tanto

“invisibili” (Perlès, 2003: 100-103). Ipotizza che i gruppi locali siano stati assimilati

molto velocemente dalle nuove popolazioni, senza lasciare impatti visibili sulle

società del Primo Neolitico. Le uniche cose che forse dimostrano una tradizione

locale sono alcuni stumenti di pietra (p.e.le punte trasversali). Probabilmente c’era

uno scambio di beni prestigiosi come l’ossidiana di Milos, che si trova in molti siti del

Primo Olocene in Grecia, ma anche questo non può provare facilmente la dinamica

delle popolazioni locali (Perlès, 2001: 50-51).

Se analizziamo in maniera piu` approfondita il modello che Perlès propone,

possiamo notare che non accetta la diffusione culturale senza lo spostamento dei primi

agricoltori. Crede, per esempio, che lo scambio di un animale addomesticato non sia

tanto semplice quanto lo scambio di un vaso o di un ornamento. Secondo Perlès

l’agricoltura e tutto quello che accompagna il modo di vita neolitico, non è qualcosa

che si potrebbe acquistare semplicemente tramite questo tipo di contatti, e per questo

la colonizzazione sembra più probabile. Facendo inoltre dei paragoni tra il Primo

Neolitico della Grecia e quello che stava succedendo nello stesso periodo nel Vicino

Oriente, ha cercato di trovare da dove provenga il Neolitico egeo. Le assomiglianze

sono tante: l’architettura (case rettangolari, mobili all’intero, forni ecc.),

l’organizzazione dello spazio, le tecniche, le figurinei (p.e.sedute e schematizzate, o

con occhi a chicco di caffè...), gli strumenti, la ceramica (p.e.la tecnica a pressione),

gli ornamenti (p.e. orecchini in pietra) e tanti altri oggetti (sigilli, vasi di pietra ecc).

Inoltre accentua il fatto che le piante e gli animali addomesticati del Primo Neolitico

della Grecia sono gli stessi del Vicino Oriente (Perlès, 2005: 277). Intanto, nota che ci

sono cose non trasferite dall’ Oriente in Grecia (p.e. luoghi “sacri”, alcuni strumenti in

osso, i dipinti ecc.) e che tutte le assomiglianze non indicano come luogo di

provenienza una regione specifica, ma vari contesti dalla Anatolia fino alla Giordania

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Page 19: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

(Levant meridionale e centrale, Zagros, la regione di Efratis, Anatolia sud-

occidentale, Anatolia centrale, Anatolia nord-occidentale) (Perlès, 2005: 277). Quindi,

definisce un’influenza da una parte selettiva e dall’altra parte eterogenea . L’ ipotesi

di Perlès è che i colonizzatori che sono arrivati in Grecia verso il 7000 b.C. abbiano

continuato il grande esodo del PPNB (Preceramico Neolitico B). L’autrice crede che

si tratti di individui, che hanno seguito diversi percorsi dall’ Oriente fino alla Grecia e

che ognuno di loro abbia portato con se i propri beni -materiali o immateriali (idee,

tecniche, conoscenze) - più preziosi. Così cerca di spiegare sia la selettività che

l’eterogeneità delle analogie (Perlès, 2000: 58-62; Perlès, 2003: 108-109).

Per quando riguarda il modo in cui sia stata realizzata questa colonizzazione

Perlès concorda con Runnels e van Andel (1995), che hanno parlato di “spostamenti

veloci di piccoli gruppi a lunga distanza, molto lontano dalle loro regioni d’origine”

(Perlès, 2003: 109). Perlès ampia il senso di questa frasi proponendo un “modello

insulare”, vale a dire uno spostamento tramite il mare. Il caso della comparsa

improvvisa del Primo Neolitico in Creta può verificare un tale evento (cioè che i primi

colonizzatori arrivarono in Egeo tramite il mare). Inoltre, a parte il fatto che ci sono

testimonianze che la navigazione venisse praticata dal Pleistocene Finale (soprattutto

con la ossidiana di Milos), in Grecia non c’è niente che possa provare gli spostamenti

lenti che Ammerman e Cavalli-Sforza propongono. (Perlès, 2003: 109).

Un’altra proposta è quella che è stata pubblicata da van Andel e Runnels nel

1988. Secondo loro il “commercio” e la stratigrafia sociale c’erano anche prima della

comparsa dell’agricoltura. In base a questo esprimono l’opinione che il commercio sia

stato uno dei fattori principali che hanno portato all’adozione dell’agricoltura. Per

l’esattezza ritengono che all’inizio dell’Olocene i gruppi sociali del Mediterraneo

orientale partecipassero ad una “rete commerciale” e avessero cominciato a

sperimentare processi produttivi più intensificati per rispondere ai bisogni di una rete

simile. Quindi non si trattava di un tentativo di creare nuove risorse alimentari per se

stessi, ma di un tentativo di produrre più beni che potevano venire scambiati. Con il

termine “commercio” in questo caso s’intende un movimento reciproco, che include il

traffico e lo scambio di beni materiali o immateriali tramite contatti umani pacifici. In

un contesto economico e sociale tale, credono che la diffusione delle specie

addomesticate sarebbe stata più facile (Runnels and Van Andel, 1988: 83-86).

18

Page 20: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

I due autori sostengono, in particolare per la Grecia sostengono che agli inizi del

settimo millennio a.C. ci sia stata una diffusione demica dall’Vicino Oriente verso la

penisola balcanica, tramite la quale l’agricoltura sarebbe stata adottata dai gruppi

locali. I colonizzatori avrebbero quindi prodotto quantità superflua di specie

addomesticate, per scambiarla con altri materiali dalle popolazioni indigeni. Gli

indigeni dunque sarebbero stati incentivati a sperimentare l’agricoltura, con

l’obbiettivo di produrre beni commercializzabili. Accettano quindi un parere che

aveva espresso anche Dennell pochi anni prima (1984), che “l’agricoltura in Europa

fosse cominciata tramite interazioni commerciali tra i raccoglitori-cacciatori del

Mesolitico e alcuni piccoli gruppi di agricoltori-coloni” (Runnels and Van Andel,

1988: 101-102).

Negli untimi anni anche gli indigenisti non esprimono la convinzione che il

processo di neolitizzazione in Grecia sia stato completamente indigeno (Kotsakis,

2001; Kotsakis, 2003). Quello che cercano di provare è l’interazione e l’influenza

reciproca tra i gruppi mesolitici indigeni e gli agricoltori-colonizzatori, perché

credono che, in base a tutti i dati conosciuti, sarebbe assurdo che si insistesse

nell’assenza di specie “esotiche”. Un parere del genere viene espresso anche da K.

Kotsakis, che ritiene che dovremmo vedere il problema della transizione come una

questione di “frontiere fluide create nella pratica sociale” (Kotsakis, 2001: 68). Qui il

termine “pratiche sociale” vuole dire “conflitti, competizioni e identità del gruppo”

nella fase del transizione. Secondo Kotsakis è meglio cercare di capire le frontiere e i

rapporti (convivenza o semplicemente contatti) tra gli agricoltori e i cacciatori-

raccoglitori a livello sia economico che sociale (Kotsakis, 2001: 68; Kotsakis, 2003;

217).

Il primo che parlò di queste frontiere, mobili e statiche, in base ad alcuni

modelli etnografici fu Dennell (Dennell,1985), proponendo vari tipi di contatti tra gli

agricoltori e i cacciatori-raccoglitori. I risultati di questi contatti, secondo lui,

potrebbero essere stati: l’assimilazione dei cacciatori-raccoglitori dalle communità

agricole, l’acquisizione delle tecniche e le risorse dell’agricoltura dai cacciatori-

raccoglitori, la migrazione delle risorse nelle aree dei cacciatori-raccoglitori, la

colonizzazione delle aree dei cacciatori-raccoglitori dagli agricoltori (probabilmente

dopo lo spostamento dei cacciatori-raccoglitori), lo scambio di beni attraverso le

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Page 21: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

frontiere o la rapina dei beni agricoli dai cacciatori-raccoglitori. Inoltre Dennell crede

che probabilmente in alcuni casi non ci sia stato nessun tipo di contatto tra i

cacciatori-raccoglitori e gli agricoltori (Dennell, 1985). Questa varietà illustra tutti i

mechanismi diversi tramite cui l’agricoltura potrebbe essere stata introdotta in

Europa, sia con l’aiuto di popolazioni emigranti, sia senza nessun’intervento esterno

(Zvelebil, 1986: 11).

Questo modello è stato in parte ripreso da Zvelebil. Secondo lui il processo di

neolitizzazione è avvenuto in vari modi (“è passato tramite vari tipi di frontieri”)

(Zvelebil, 1986: 11).Inoltre, Zvelebil ritiene che il passaggio al Neoltico avvenga in

tre fasi: 1) una fase chiamata “availability”, nella quale avvengono contatti e scambi

di beni tra i gruppi mesolitici e neolitici, 2) la fase di sostituzione, quando gli indigeni

cominciano a sostituire le risorse vecchie a quelle nuove e 3) il consolidamento,

quando le specie nuove diventano la base dell’economia (Zvelebil, 1986: 12; Zvelebil,

1995: 112-116).

Kotsakis, cercando d’interpretare la transizione al Neolitico, parla di conversioni

fondamentali dell’identità sociale sia degli agricoltori che dei cacciatori-raccoglitori.

Più precisamente, sostiene che l’adozione dell’agricoltura sia stato un modo da parte

degli uomini di controllare le loro società, non riguarda quindi soltanto la

domesticazione e il suo valore economico. L’intensificazione della produzione

potrebbe aver costruito identità e relazioni di controllo e potenza, ma potrebbe essere

stato anche un modo di trasformare qualsiasi tensione e conflitto in collettività

(Kotsakis, 2001: 69). Secondo l’autore nelle communità dei cacciatori-raccoglitori la

spartizione del cibo era molto importante, perchè gli individui partecipavano ad una

rete di obbligazioni ed alleanze di carattere reciproco. In periodi di crisi economica

(quando non c’era disponibilità di risorse) o di conflitti cercavano di tenere questo

sistema di reciprocità aumentando la produzione. In questo modo l’intensificazione

della produzione potrebbe aver aiutato i cacciatori-raccoglitori a collaborarsi e ad

evitare qualsiasi crisi (Kotsakis, 2001:69; Kotsakis, 2003 : 220).

20

Page 22: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

IL NEOLITICO ACERAMICO DELLA GRECIA

I depositi più antichi del Neoltico in Grecia appartengono alla fase “aceramica”.

Questa fase fu identificata per prima volta in Grecia dal Milojčič (1952), che parlò di

depositi di un periodo “Preceramico”, paragonabile a quello che c’era nell’area del

Vicino Oriente. Pochi anni dopo (anni’60) Evans, nella prima pubblicazione dei

risultati preliminari dello scavo a Knossos, rapportò che nel fondo di una sequenza

neolitica lunga c’erano degli strati “aceramici”. Ma anche Teocharis, che ha scavato

molti siti neolitici in Tessaglia, aveva trovato tanti depositi che in seguito ha

caraterizzato come “Preceramici”. Da allora tutti hanno cominciato ad accettare

l’esistenza di una fase del Neolitico che, anche se ha tutti gli elementi fondamentali di

un’economia neolitica (specie domesticate, continuità), non presenta -o presenta

pochissime evidenze- di produzione ceramica. Negli anni ’70 sono apparse le prime

pubblicazioni (Nandris, 1970: 193; Gimbutas, 1974: 282) che sostenevano che la fase

“aceramica” o “preceramica” non esistesse come una fase con carateristiche ben

distiguibili. È cominciato così un dibattito scientifico sulla esistenza o la mancanza di

questa fase iniziale del Neolitico in Grecia (Perlès, 2001 : 64 - 65).

In realtà anche questo dibattito ha a che vedere con la transizione dal Mesolitico

al Neolitico in Grecia. Come abbiamo visto anche prima, Teocharis sosteneva che la

fase “aceramica” potesse provare la sequenza statigrafica tra Mesolitico Recente e

Neolitico Antico (Kotsakis, 2001: 64). E fino ad oggi la maggior parte di coloro che

accettano l’esistenza di questa fase, cercano in questo modo di trovare un argomento

21

Page 23: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

in più a favore del modello indigenista (Kotsakis, 2003: 218).

Fig.2: Siti del Neolitico Iniziale – Aceramico in Grecia (Perlés, 2001: 67)

In fondo molti studiosi che sostengono un modello diffusionista non accettano

l’esistenza dell’Aceramico, in quanto questo potrebbe significare che il passaggio al

Neolitico sarebbe stato un processo indigeno. Intanto, dovremmo notare, che anche

nel caso in cui vi fosse una fase “preceramica” in Grecia, l’introduzione del

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Page 24: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

“pacchetto neolitico” potrebbe essere avvenuta da altrove. Come sottolinea Perlès a

prescindere dal fatto che si sostenesse la colonizzazione o la diffusione, la domanda

alla quale si dovrebbe rispondere è se i primi agricoltori della Grecia abbiano portato

con sè la conoscenza della tecnologia ceramica, o se la produzione ceramica del

Neoltico della Grecia sia stata sviluppata in situ (Perlès, 2001: 65-66).

La presenza di depositi “aceramici” o “preceramici” è attestata a Knossos, in

Tessalia (ad Argissa, Gediki, Soufli-Magoula e Sesklo) e in Peloponneso Nord-

orientale (Francthi e Dendra) (Perlès, 2001: 66) [Fig.2]. In quasi tutti i casi

l’economia si basa sullo sfruttamento delle specie addomesticate (cioè non c’è

nessuna indicazione di semidomesticazione), le abitazioni sono caratterizzate dalla

presenza di pozzi e depressioni e dall’assenza di elementi architettonici elevati, si

usano strumenti in osso e generalmente si nota un’omogeneità di contesti e di

ritrovamenti (Perlès, 2001:73-78). Inoltre, la maggior parte delle datazioni al C14

pongono questa fase verso la 6500-6400. Tutto questo significa che possiamo parlare

di un periodo con le proprie caratteristiche (Perlès, 2001: 94).

Per quanto riguarda la presenza di ceramica durante l’ Aceramico Neolitico, in

tutti i siti sono stati trovati soltanto alcuni frammenti di ceramica, che non potrebbero

paragonarsi a la produzione ceramica dei periodi seguenti (Perlès, 2001:80-84). Ma

sia che esista o no meno la produzione ceramica, si potrebbe parlare di una fase ben

distinta e concreta, che Perlès preferisce chiamare semplicemente “Neolitico Iniziale”.

È dunque probabile che si tratti di un caso simile a quello del PPNB del Vicino

Oriente, quando la produzione ceramica era limitata soltanto in ancuni siti. E se

qualcuno accettasse la proposta che i primi agricoltori-colonizzatori della Grecia

appartenengano alla fase ultima del PPNB, sarebbe in grado di spiegare perché le

datazioni del Neolitico Iniziale si avvicinino a quelle della fase più tarda del PPNB

(Perlès, 2001: 96-97).

ASPETTI DELL’ECONOMIA DI SUSSISTENZA E DELL’

ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEL PRIMO NEOLITICO IN GRECIA

Dopo l’introduzione dell’agricoltura, l’economia e il modo di vita è in genere

cambiato. Molte ricerche hanno cercato di capire, ricomporre e interpretare il carattere

23

Page 25: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

di quest’economia nuova. Per quanto concerne le abitudini alimentari dei primi

agricoltori in Grecia, è stato notato che si consumavano più le specie vegetali che gli

animali. Secondo alcuni ricercatori il fatto che la carne si consumasse raramente

significa che veniva considerata qualcosa di speciale. Perlés, per esempio, crede che

la consunzione degli animali potrebbe aver avuto un senso simbolico, ossia avrebbe

potuto aver luogo durante le feste o le manifestazioni religiose (Perlès, 2001: 171-

172).

Tra i cibi vegetali quello che prevale è il grano addomesticato, e specialmente il

dicoccum. In grado minore si consumavano i legumi e molto meno le piante

selvatiche, che probabilmente avevano un ruolo supplementare nell’alimentazione dei

primi agricoltori. Tra gli animali addomesticati quello che si trova più spesso durante

gli scavi è la pecora. I pesci e tutti gli animali selvatici, da quanto possiamo capire,

non venivano mangiati spesso (Perlès, 2001: 172-173). Forse la consunzione rara di

tutte le specie selvatiche ha a che vedere con l’opposizione tra il “selvatico” (wild) e

“il domesticato” (domus) (Hodder, 1990). Quindi, forse anche durante il Primo

Neoltico l’alimentazione non aveva solo senso biologico ma anche ideologico .

Questa proposta é relativa alla cosiddetta “domesticazione dello spazio” e all’

importanza che i primi agricoltori davano a tutto ciò che era sotto il controllo umano o

fatto dall’uomo (Hastead, 1999: 83-84). Così potrebbe anche spiegare perchè non ci

siano occupazioni di caverne nel Primo Neolitico, malgrado ci siano nelle fasi

seguenti con il ritorno degli uomini alla consunzione di carne selvatica . L`importanza

che davano i primi agricoltori all’ ambiente umanizzato, che li distingue dai loro

discedenti, si considera come uno dei fondamenti del sistema socio-economico del

Primo Neolitico della Grecia (Perlès, 2001: 300 - 301)

Halstead ritiene che un errore che commettono molti studiosi sia il loro tentantivo

di applicare al Neolitico greco le regole e le condizioni dell’agricoltura che si pratica

oggi nell’Europa sud-orientale. Questo presuppone l’esistenza di una coltivazione

intensificata, di popolazioni numerose e di grandi proprietà terriere. Ma Halstead

crede che la situazione nel Primo Neolitico sia stata molto diversa, perché c’erano

soprattutto piccole aree di terra coltivate a mano, a livello domestico (Halstead, 1996 :

301). Secondo Halstead, i primi insediamenti neolitici della Grecia erano “villaggi”

di 50-300 abitanti con case rettangolari, ognuno dei quali includeva una sorta di

“household” (casa famiglia). Ogni unità sarebbe stata composta dai membri di una

famiglia allargata. Era difficile che ogni casa assicurasse la propria autosufficienza,

24

Page 26: L'insorgenza del Neolitico in Grecia_2

perché oltre alla possibilità che la messe si distruggesse a causa del cattivo tempo,

correva il rischio di perdere la sua capacità di produzione a cuasa di malattie o morti

inaspettate dei suoi membri. Come conseguenza gli abitanti di ogni casa, per riuscire a

sopravvivere in un periodo di crisi, sarebbero ricorsi a sovrapprodure dei beni e ad

immagazzinare il surplus. Ma oltre a questo gli individui dovrebbero aver creato una

rete di rapporti sociali e di reciprocità, che avrebbe offerto aiuto nelle situazioni di

emergenza (Halstead, 1996 : 304-305 ; Halstead, 1999 : 82-83). Questi rapporti

reciproci probabilmente si svolgevano anche fuori dei limiti di un sito, il che è visibile

nella densità dei siti soprattutto in Tessaglia. Cioè gli abitanti di una comunità

cercavano in questo modo di evitare i conflitti con le comunità vicine. Perciò nelle

regioni più densamente abitate si trovano maggiori quantità di oggetti (soprattutto

ceramica e figurine)(Perlès, 2001: 297). Perlès crede che anche lo scambio di beni

utilitari e la specializzazione che si presenta nella produzione artigianale (vasi,

ornamenti, strumenti) del Primo Neolitico in Grecia si pongano in questo contesto

sociale. Un manufatto, quindi, avrebbe avuto sia una funzione tecnica che un valore

sociale, essendo usato sia nella pratica quotidiana sia nelle manifestazioni sociali o

rituali (Perlés, 2001: 300).

I manufatti, l’organizzazione dello spazio e i resti funerari dimostrano parecchie

differenze. Per esempio, ci sono individui o famiglie che possiedono cose che altri

non hanno. Similmente alcune sepolture venevano accompagnate da pratiche

funerarie più ricche e complesse, mentre in altri casi l’area di sepoltura non era

neanche distinta. Ad esempio, a Soufli abbiamo aree di sepoltura ben distinte e

presenza di beni funerari, ma a Prodromos I abbiamo una sepoltura sotto la sepoltura

di una casa (Perlès, 2001: 280-281). Ma non abbiamo nessuna indicazione

dell’esistenza di “inegualianze sociali” o di una società stratificata. In base a questi

ritrovamenti e al confronto con il Vicino Oriente, Perlès propone che la società del

Primo Neolitico in Grecia fosse abbastanza egalitaria. La mancanza di una gerarchia

si capisce anche dall’assenza di grandi costruzioni o santuari. L’unica eccezione é il

cosiddeto “santuario” di N. Nikomideia, ma anche questo non assomiglia alle

costruzioni rituali del Vicino Oriente. Ciò che Perlès vede è una società organizzata

tra linee diverse, con ruoli e stati complementari”. Secondo lei, anche la produzione

artigianale specializzata includeva varie attività “part-time”, relative non solo

all’organizzazione economica ma anche a quella sociale (Perlès, 2001: 297-299).

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Molti studiosi (Hodder, 1990: 68-69; Gimbutas, 1999: 112) hanno epresso

l’opinione che nella società neolitica c’era una predominanza di donne, a causa

dell’abbondanza delle figurine femminili. Vitelli, in base anche ad alcuni esempi

etnofrafici, sostiene che la ceramica fosse fatta dalle donne, il che gli offriva loro

anche un ruolo speciale e uno status alto (Vitelli, 1993). Secondo Perlès nonstante la

realtà neolitica potrebbe essere stata questa, sarebbe meglio parlare di una

diversificazione dei ruoli maschili o femminili e non della predominanza di un sesso

(Perlès, 2001 : 301)

L’analisi dei residui archeobotanici e archeozoologici ci offre anche

informazioni sul grado di permanenza e sulla durata di un sito archeologico. Per

quanto riguarda il Primo Neolitico della Grecia, è stato dimostrato che la maggior

parte degli insediamenti venivano abitati durante tutto l’anno, cioè non si tratta di uno

stato di “semipermanenza” (Hastead, 1999: 78). Un fatto che è veramente degno di

segnalazione è la durata di questi siti durante tutto il Neolitico, il che comprova che

“il sistema economico arteficiale” del Primo Neolitico della Grecia era

completamente efficace (Perlès, 2001: 172). Quindi, il nuovo modo di vita che

hanno adottato i primi neolitici (alimentazione, abitazioni ecc) gli ha aiutato a

sopravvivere ed affrontare i problemi quotidiani (p.e. problemi di salute eventuali, il

cattivo tempo ecc.),e perciò non lo hanno abbandonato. Oltre questo, il fatto che la

maggior parte dei siti-tells (“magoule”) del Primo Neolitico presentino lunghi periodi

di occupazione, probabilmente ha a che vedere con la “continuità ancestrale”, che si

esprime materialmente tramite l’elevazione progressiva degli insediamenti (Halstead,

1999:87)

CONCLUSIONE

La maggior parte dei dati finora conosciuti concordano con l’introduzione del

Neolitico in Grecia dall’Oriente. I nuovi ritrovamenti, e specialmente quelli di

Teopetra, sono molto importanti ma provano il contrario. Sebbene si ritenesse che

alcune specie fossero state domesticate in Grecia, non si può escludere il ruolo

importante del Vicino Oriente. Quello che comunque dovremmo evitare è la

generalizzazione, perchè è molto probabile che il Neolitico non sia cominciato in tutti

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i casi allo stesso modo. Prendendo in considerazione la varietà e i modi diversi nei

quali il modo di vita neolitico si adotta in Europa (sud-orientale, centrale,

settentrionale, occidentale), ci si rende conto che ogni caso ha le proprie particolarità.

Specialmente per la neolitizzazione della penisola balcanica, è stato proposto che

dovremmo vederlo non come un fenomeno completamente omogeneo, ma come un

“mosaico” (Trigham, 2000: 53-55).

Molti ricercatori credono che sia piu sostanziale e necessario che gli archeologi

capiscano le relazioni tra gli ultimi cacciatori-raccoglitori e i primi agricoltori. E

questo sicuramente è importante, ma nel caso della Grecia è assai difficile a causa dei

pochissimi siti mesolitici e primi neolitici individuati. Intanto, negli ultimi anni sono

in corso vari progetti che probabilmente porteranno alla luce nuovi siti. In base a varie

pubblicazioni su alcune indagini soprattutto superficiali (surface surveys), è stato

notato che un luogo che è stato abitato durante il Primo Neolitico è la regione di

Grevena, nella Grecia centrale,ad ovest della Tessaglia e molto vicino alla grotta

Teopetra (Kotsakis, 2000 : 177: Vlachos, 2003: 135-136). L’indagine di Nancy

Wilkie nella regione di Grevena (Wilkie and Savina, 1997: 201-207) ha avuto come

risultato l’identificazione di almeno 15 siti del Primo Neolitico.

Da 2002 e poi è in corso un progetto archeologico a Grevena (nella zona delle

montagne di Pindos) (Efstratiou et al, 2006) che finora ha portato alla luce molti siti

abitati in vari periodi preistorici, dal Paleolitico Medio fino all’età di Rame (Eftratiou

et al, 2006: 415 e.p). Finora i ritrovamenti più interessanti di questa indagine sono gli

strumenti del Paleolitico Medio (Eftratiou et al, 2006: 422-424). Anche se questo

progetto non è stato ancora compiuto, constata che questa regione fu abitata

dall’epoca Paleolitica, il che può dare nuovi informazioni sul ruolo degli ultimi

cacciatori-raccoglitori della Grecia.

In molte pubblicazioni recenti si esprime il parere che sarebbe più utile se

cercassimo di vedere la transizione al Neolitico come un fenomeno sociale e

ideologico e non come un processo biologico con aspetti soltanto economici

(Kotsakis, 2001: 63 e.p; Zvelebil, 1995: 108 e.p). E questo è logico, poiché in una

società l’economia, l’alimentazione, la vita sociale e l’ideologia interagiscono. Ma

non dovremmo dimenticare che la domesticazione é l’unica traccia di questo

passaggio che possiamo identificare con sicurezza. Sicuramente l’ideologia è

un’aspetto di vita importantissimo, ma non possiamo separarlo dalla sua espressione

materiale. I manuffati e gli ecofatti sono le uniche cose che gli studiosi di un’epoca

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così lontana hanno a disposizione. Tutte le teorie e le proposte interpretative sono

valide e possono offrire idee nuove, basta che si basino sui dati esistenti e non sulla

probabile scoperta di dati nuovi.

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