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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 1-2004 1 N el Pastore di Erma viene ripor- tata una frase molto significa- tiva sulla Chiesa e su ciò che essa rappresenta all’interno della sto- ria della creazione: “Il mondo fu crea- to in vista della Chiesa”. Infatti tutta la storia, come ci inse- gna l’Apocalisse, è ordinata alla realiz- zazione del rapporto salvifico di ogni uomo con Dio. Tutto il dipanarsi degli eventi, che sembra così disordinato e turbolento, è in realtà nelle mani di Dio, che lo governa tenendolo salda- mente e orientandolo alla realizzazio- ne della sua volontà di salvezza. Il disegno salvifico di Dio Padre è quello di realizzare la “famiglia di Dio” e di compiere nella storia il mira- colo d’amore sempre infinitamente vi- vo nel seno della Trinità. Tutta la sto- ria del mondo diventa dunque il tea- tro in cui si fronteggiano il peccato dell’uomo e la grazia di Dio. La luce e la tenebra, pur escludendosi l’un l’al- tra, convivono negli eventi della no- stra storia e dal loro continuo affron- tarsi e combattere noi sperimentiamo il dolore e la sofferenza, la pena e l’angoscia che di giorno in giorno sembrano rallentare il compimento dell’opera di Dio. Nella rivelazione tutto questo è narrato in modo stupendo nella storia del popolo di Dio, che è raccontata e profetizzata dalla creazione fino alla fine dei tempi. Luca sottolinea questa interpretazione impostando tutta la sua opera, il Vangelo e gli Atti degli Apostoli, come “Storia della salvez- za”. Nell’impostazione lucana il dise- gno di Dio si realizza e la sua salvezza si rivela illuminando gradualmente prima tutto Israele, poi tutto il Medi- terraneo e infine Roma, un itinerario simbolico che vuol significare la po- tenza della salvezza che giunge fino ai confini del mondo e parla a tutti gli uomini. Il nostro tempo è tempo della Chie- sa, sacramento universale di salvezza, che in tutto il mondo continua l’opera salvifica come segno e strumento del- l’unione di tutti gli uomini con Dio. I segni sacramentali sono gli strumenti con cui essa cambia e trasforma la sto- ria del mondo orientandola tutta al compimento del disegno salvifico del Padre. La Chiesa, come dice la Lumen Gentium al cap.1, è lo “strumento del- la Redenzione di tutti” e per questo deve vivere la sua vocazione di porta- trice di salvezza nel mondo. Nella preghiera i cristiani vivono il tempo come storia della salvezza e invocano la venuta del Signore come il compimento di questa storia: Ma- rana tha, Veni Domine Iesu. Così co- me il Signore ci ha insegnato: Venga il tuo Regno. Camminando nella sto- ria, la Chiesa vive ogni evento santi- ficandolo con la sua preghiera e la sua invocazione a Cristo venturo. Tutto il mondo può seguirla in que- sto pellegrinaggio da qui all’eternità con lo sguardo fisso su Cristo: così la Chiesa cammina cantando le lodi di Dio come araldo di salvezza per l’in- tero universo. Liturgia e storia della salvezza di mons. Marco Frisina

Liturgia e storia della salvezza di mons. Marco Frisina N

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 1-2004 1

N el Pastore di Erma viene ripor-tata una frase molto significa-tiva sulla Chiesa e su ciò che

essa rappresenta all’interno della sto-ria della creazione: “Il mondo fu crea-to in vista della Chiesa”.

Infatti tutta la storia, come ci inse-gna l’Apocalisse, è ordinata alla realiz-zazione del rapporto salvifico di ogniuomo con Dio. Tutto il dipanarsi deglieventi, che sembra così disordinato eturbolento, è in realtà nelle mani diDio, che lo governa tenendolo salda-mente e orientandolo alla realizzazio-ne della sua volontà di salvezza.

Il disegno salvifico di Dio Padre èquello di realizzare la “famiglia diDio” e di compiere nella storia il mira-colo d’amore sempre infinitamente vi-vo nel seno della Trinità. Tutta la sto-ria del mondo diventa dunque il tea-tro in cui si fronteggiano il peccatodell’uomo e la grazia di Dio. La luce ela tenebra, pur escludendosi l’un l’al-tra, convivono negli eventi della no-stra storia e dal loro continuo affron-tarsi e combattere noi sperimentiamoil dolore e la sofferenza, la pena el’angoscia che di giorno in giornosembrano rallentare il compimentodell’opera di Dio.

Nella rivelazione tutto questo ènarrato in modo stupendo nella storiadel popolo di Dio, che è raccontata eprofetizzata dalla creazione fino allafine dei tempi. Luca sottolinea questainterpretazione impostando tutta lasua opera, il Vangelo e gli Atti degliApostoli, come “Storia della salvez-

za”. Nell’impostazione lucana il dise-gno di Dio si realizza e la sua salvezzasi rivela illuminando gradualmenteprima tutto Israele, poi tutto il Medi-terraneo e infine Roma, un itinerariosimbolico che vuol significare la po-tenza della salvezza che giunge finoai confini del mondo e parla a tutti gliuomini.

Il nostro tempo è tempo della Chie-sa, sacramento universale di salvezza,che in tutto il mondo continua l’operasalvifica come segno e strumento del-l’unione di tutti gli uomini con Dio. Isegni sacramentali sono gli strumenticon cui essa cambia e trasforma la sto-ria del mondo orientandola tutta alcompimento del disegno salvifico delPadre. La Chiesa, come dice la LumenGentium al cap.1, è lo “strumento del-la Redenzione di tutti” e per questodeve vivere la sua vocazione di porta-trice di salvezza nel mondo.

Nella preghiera i cristiani vivono iltempo come storia della salvezza einvocano la venuta del Signore comeil compimento di questa storia: Ma-rana tha, Veni Domine Iesu. Così co-me il Signore ci ha insegnato: Vengail tuo Regno. Camminando nella sto-ria, la Chiesa vive ogni evento santi-ficandolo con la sua preghiera e lasua invocazione a Cristo venturo.Tutto il mondo può seguirla in que-sto pellegrinaggio da qui all’eternitàcon lo sguardo fisso su Cristo: così laChiesa cammina cantando le lodi diDio come araldo di salvezza per l’in-tero universo.

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C’ è una pagina degli Attidegli Apostoli che, tra tan-te, colpisce per la sua tra-

gicità e la sua intensità di racconto.Si tratta del martirio di Stefano, pri-mo tra i seguaci di Cristo a effondereil sangue sotto una pioggia di sassi. Èuna pagina che ci rimane impressaanche per la presenza di un giovanedi nome Saulo, davanti al quale igiustizieri del diacono depongono iloro mantelli. Il futuro apostolo dellegenti assiste a questa scena pietosa,complice silenzioso della nascentepersecuzione contro i cristiani. Losguardo di Stefano, fisso sul cieloaperto, sarà sicuramente rimasto im-presso nel cuore e nella mente diPaolo, memoria costante dopo la viadi Damasco, richiamo vivo alle sor-genti di una fede che affonda le ra-dici nella storia sacra.

San Luca ci ha riportato, nel capito-lo settimo degli Atti, un lungo discor-so di Stefano, prima del martirio. Lun-gi dall’essere un’autodifesa contro isuoi accusatori, si tratta di una genui-na professione di fede in Colui che,dalle origini del mondo, non fa checorrere dietro le disavventure dell’u-manità per donarle la salvezza.

Se infatti per ogni uomo è necessa-rio conoscere e capire la storia, per il-luminare il presente, tanto più per ilcredente è indispensabile leggere lapropria fede, facendo memoria di unastoria passata che dà vita all’oggi, sto-ria che prende il nome di historia salu-tis, storia della salvezza.

Da quando la creazione è stata fe-rita dal peccato – l’errore dell’uomonel credere di poter fare a meno diDio – è iniziata una vera e propria vo-lontà divina di redenzione, affinchéquella ferita non solo venisse rimargi-nata, ma cancellata del tutto.

Il famoso racconto del diluvio fini-sce con un’alleanza perenne, di cuisarà segno l’arcobaleno, ponte fra cie-lo e terra. Ma l’umanità aveva biso-gno di un segno ancor più tangibile diun riflesso di luce multicolore. Avevabisogno di un Dio incarnato.

Lo sguardo del diacono Stefanogiunge a questo partendo da lonta-no, dal patriarca Abramo. È lui il pa-dre di una moltitudine – come lasabbia sulla riva del mare o come lestelle del cielo. Lui è il primo creden-te, pronto a lasciare tutto senza sa-pere dove andare, ma fidandosi diun Altro da sé, di Dio. Dalla fede diAbramo inizia la storia di un popolopieno di contraddizioni: amore eodio, vicinanza a Dio e peccato, fe-deltà e prostituzione. E con AbramoDio inizia a “compromettersi”, fa-cendo nascere Isacco da un’evidentesterilità, e chiedendo lo stesso figlioin un olocausto fermato in extremis.Da Isacco nasce Giacobbe, inganna-tore di professione, eppure scelto daDio – con una famosa lotta – a chia-marsi con il nome che sarà di tutto ilpopolo: Israele. Da Giacobbe nasceuna figliolanza numerosa (ben dodi-ci maschi), protagonista di una dellestorie più commoventi e più edifi-

Historia salutis di don Paolo Ricciardi

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canti dell’intera Bibbia, dove l’undi-cesimo fratello, invidiato e vendutodai primi dieci, diverrà – per pianoprovvidenziale di Dio – il viceré d’E-gitto e lo strumento di redenzioneper l’intera famiglia in cerca di fru-mento e di perdono.

La storia della salvezza passa pervie tortuose, diventando anche “geo-grafia della salvezza”, dove il nome“Egitto” non è solo l’antica e grandeciviltà delle piramidi, ma il paese cherende schiavi e da cui fuggire; e doveil Mare Rosso non è una distesa, mauna muraglia di acqua a destra e a si-nistra perché il popolo di Abramo,Isacco e Giacobbe, guidato da un vec-chio pastore – con un bastone e unosguardo di fuoco – potesse passare al-l’asciutto fino alla libertà; e dove il de-serto non è solo una gran superficie disabbia, ma luogo di cadute e di gra-zia, di tentazione e redenzione, in vi-sta di una terra che sembra non arri-vare mai. E dove la libertà vera si tro-va in dieci divine Parole scolpite supietra per fissarsi poi, non senza fati-ca, nel cuore dell’uomo.

La storia della salvezza si àncoraquindi alla storia di una terra, primadivisa per dodici tribù e poi in un uni-co regno destinato presto a sdoppiarsiin Nord e Sud, come sembra normalein tante storie di popoli umani. Ap-paiono nuovi volti famosi: il profetaSamuele, giovane chiamato nel tem-pio di notte e vecchio consacratore dire; il pastore Davide, divenuto re conla cetra e con la fionda, santo e pecca-tore; e il sapiente Salomone, col fasci-no che attrae la regina di Saba e conlo smarrimento finale di passioni eidolatrie.

La storia della salvezza ha un cam-mino che passa per il peccato dell’uo-mo, in vista di un bene maggiore. Epassa per secoli di storia umana fattadi guerre e invasioni, di templi e pre-ghiere, di lodi e di pianti. Dio parlaper mezzo di uomini che gli prestanola voce, richiamando il popolo, spes-so noncurante delle grazie ricevute.Si riconoscono uomini dando loro ilnome di “profeti” per la loro paroladi esortazione, di giudizio, di conso-lazione, di speranza. Tra tutti i perio-di difficili risalta soprattutto l’esilio,in una Babilonia che mette alla provala fede e il canto del popolo di Israe-le. C’è poi un felice rientro, la rico-struzione di un tempio distrutto, lenuove mura, le leggi, la preghiera.Ma il popolo del Dio celeste continuaa sperimentare la sottomissione a di-versi padroni terreni, vedendo piùvolte speranze umane deluse e spe-ranze divine riscoperte. Israele impa-ra a riconoscere diverse lingue nemi-che: l’assiro, il persiano, il greco, perpoi imparare il latino del più grandeimpero d’Occidente.

Il popolo del Dio fedele è fatto diuomini infedeli per natura; devonoessere condotti per mano come unbambino, in attesa di prendere inbraccio il Bambino nato per la nostraredenzione, in una grotta di Betlem.La storia della salvezza raggiunge l’u-manità lì, tra gli odori di stalla, la lu-ce di una stella e un grembo di unavergine madre. Dio si lega definitiva-mente all’uomo facendosi uomo. Lastoria della salvezza diventa persona:Gesù.

In lui si compie la rivelazione diDio. In Cristo il Padre comunica se

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stesso, manifesta il suo disegno d’a-more verso tutto il genere umano. InGesù di Nazaret, Parola fatta carne,ci viene presentato Dio amore, mise-ricordia infinita. Così si esprime lapreghiera eucaristica IV: “Padre san-to, hai tanto amato il mondo damandare a noi, nella pienezza deitempi, il tuo unico Figlio come salva-tore. Egli si è fatto uomo per operadello Spirito Santo ed è nato dallaVergine Maria; ha condiviso in tutto,eccetto il peccato, la nostra condizio-ne umana. Ai poveri annunziò il van-gelo di salvezza, la libertà ai prigio-nieri, agli afflitti la gioia. Per attuareil tuo disegno di redenzione si conse-gnò volontariamente alla morte, e ri-sorgendo distrusse la morte e rin-novò la vita”.

Nella sua vita mortale fu portatoredi segni. Acqua viva per estinguereogni sete, vino nuovo per la festa dinozze, pane per il sostentamentoeterno, luce per le nostre cecità. E in

mezzo a dodici uomini – pescatori, oesattori, o chissà chi – ci ha indicato lavia verso il Padre.

Ma la storia della salvezza trova ilculmine nel segno di in un venerdì po-meriggio: la croce, albero di vita su cuiè inchiodato il nuovo Adamo, vittimainnocente per la nostra salvezza,Agnello senza macchia con il cui san-gue noi passiamo dalle tenebre allaluce, dalla morte al sepolcro vuotodella domenica mattina.

È in virtù di quell’evento pasqualeche tanti uomini e donne, in ventisecoli di storia, hanno dato la vitaper Cristo. È per quell’incontro traDio e l’uomo che il diacono Stefanonon teme la morte sotto i sassi nemi-ci. E contempla nei cieli il SignoreGesù a cui affida lo spirito, perdo-nando i suoi carnefici nello stessospirito del Maestro.

Un giorno, negli occhi di Paolo, con-dannato a perdere la testa, torneràl’immagine del giovane diacono Stefa-

no e si aprirannoanche per l’Aposto-lo i cieli promessi. Esarà anche quelloseme fecondo dinuovi discepoli perCristo.

Dopo di lui lastoria ha senso soloin Lui; il tempo hasenso solo comeanticipo di eternità.E il mondo presen-te non è più resi-denza perenne del-l’uomo, ma luogodi passaggio e diattesa.Martirio di S. Stefano, miniatura bizantina, sec X

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Premessa

Il NT si fonda sul lieto annuncio cheDio ha risuscitato Gesù e lo ha costi-tuito Signore e Messia1. Una formulaparticolarmente ricca di questa fede siincontra in 1 Cor 15,3-5a2:

«Il Cristo è morto per i nostripeccati, secondo le Scritture, e fusepolto, è risuscitato il terzo gior-no, secondo le Scritture, e apparvea Cefa…».

La confessione di fede, appena ri-portata, mostra che le prime comu-nità cristiane, nate e sostenute dallatestimonianza evangelica degli apo-stoli, hanno compreso la risurrezionedel Signore come il compimento del-le promesse di Dio contenute nelleScritture. In realtà, come afferma lostesso Paolo, nel Cristo risorto «tuttele promesse di Dio sono divenute“sì”» (2 Cor 1,20). Per questo a tutticoloro che accedono (e potranno ac-cedere) alla fede nel Vangelo si riferi-scono le parole del discorso di Pietro:«Per voi è la promessa e per i vostrifigli e per tutti quelli che sono lonta-ni, quanti ne chiamerà il Signore Dionostro» (At 2,39).

La fede nel Signore risorto, in de-finitiva, porta la comunità dei battez-zati a confessare il Dio fedele che, ri-suscitando Gesù dai morti, ha adem-piuto la sua promessa di salvezza.

Questa prospettiva neotestamentariaè fondamentale per comprendere laricchezza biblica, teologica ed esi-stenziale dell’affermazione che pre-senta il Cristo come compimento del-la storia. Nel contempo il costante ri-ferimento alle promesse di Dio indicachiaramente che la prospettiva delNT è maturata in una comunità chenutriva la propria fede nel Cristo ri-sorto con la Parola di Dio contenutanelle sante Scritture.

Le osservazioni qui accennateorientano a studiare il tema partendodai valori della fede nella tradizionedi Israele, valori che, assunti nellaScrittura, hanno guidato la fede aconfessare il mondo della risurrezio-ne. Nella luce di questo orizzonte saràpossibile comprendere adeguatamen-te la confessione del Signore risorto,compimento della storia.

1. La comunione di vita e la speranza nella tradizione d’Israele

Una lettura dell’AT, attenta alleprospettive dischiuse dalle conoscen-ze critiche più rilevanti, permette diconstatare che, nella tradizione diIsraele, la fede è profondamente ca-ratterizzata dalla comunione di vita edalla speranza. Questi valori sono giàriscontrabili nelle tradizioni patriar-cali. La divinità era considerata nonsolo come padre, fratello, parente,

Il Cristo compimento della storia di p. Giovanni Odasso, crs

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ma anche come roccia, luce, benefat-tore, pace3. La comunione familiarecon il proprio Dio apriva un camminodi fiducia verso il futuro e rendevapossibile un’esistenza che si costruivasulla “roccia” ed era sostenuta dallacertezza di ricevere, da questo Dio, ilbene, la luce, la pace.

Anche i primi secoli della storia diIsraele sono caratterizzati dalla comu-nione di vita con il Signore e dalla spe-ranza. Questo appare in modo elo-quente nel “sacrificio di comunione”4 enel rito della Pasqua5. Il primo esprime,nel simbolo del banchetto, il vincolofamiliare che unisce tutti i componentidell’assemblea al Signore. Nel rito dellaPasqua, insieme al valore della comu-nione familiare, rappresentato dall’in-dole comunitaria della celebrazione,assume un significato simbolicoprofondo l’aspersione con il sangue,compiuta nella fiducia che il Signore al-lontana le forze dell’oppressione e del-la morte e guida il suo popolo verso unfuturo di vita e di libertà.

Nel primo periodo della monarchiala speranza e la comunione di vita siesprimono nell’attesa del “giorno delSignore”. Dal testo di Am 5,18-20 sicoglie che questo motivo connota l’at-tesa di un futuro di sicurezza, libertà epace: è il futuro che sarà definitiva-mente caratterizzato dalla piena co-munione con il Signore6. Che la comu-nione di vita e la speranza siano valoriprofondamente radicati nella tradizio-ne, è confermato dal fatto che essi oc-cupano una posizione centrale nellaconcezione teologica del Deuterono-mio e dell’opera deuteronomistica. Iltema dell’alleanza, da un lato, suppo-ne il dono di una comunione vitale e

familiare con il Signore e, dall’altro,come si evince dal motivo delle bene-dizioni e delle maledizioni (cf. Dt 28),orienta il popolo a sviluppare la spe-ranza in modo che questa sia semprecongiunta con la responsabilità dellacoerenza e dell’autenticità nella fede.

Nella stessa epoca in cui entra in vi-gore il Deuteronomio, Geremia an-nuncia la promessa della nuova al-leanza (Ger 31,31-34). Il profeta intui-sce che il popolo non può essere fede-le al Signore e, quindi, non può viverenella comunione dell’alleanza con ilsuo Dio, se questi non lo trasforma in-teriormente. La promessa della nuovaalleanza è sostanzialmente l’annunciodi questa trasformazione, operata dalSignore, perché il popolo possa viverefedelmente il dono dell’alleanza. An-che qui appare la stretta relazione tracomunione di vita e speranza, relazio-ne particolarmente evidenziata anchein altri detti che, con opportuni ap-profondimenti, riprendono e reinter-pretano la promessa della nuova al-leanza (cf. Ez 36,24-28; Is 54,4-13).

Il tempo dell’esilio, che poteva costi-tuire il naufragio della fede di Israele,si presenta, invece, come il luogo dellasua rivitalizzazione7. In questo periodo,da un lato, si sviluppa l’annuncio pro-fetico del nuovo esodo ad opera delDeutero-Isaia (cf. Is 43) e, dall’altro,sorge e si consolida la concezione “sa-cerdotale”, per la quale la realtà diIsraele è fondata sulla promessa del Si-gnore e si comprende solo a partire daessa. Si tratta della promessa che si tro-va alle origini stesse del popolo di Dio(cf. Gen 17,1-8) e che l’infedeltà diIsraele non potrà mai annullare. Inquesta ottica, evidentemente, la comu-

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nione di vita con il Signore sarà semprepossibile perché, se il popolo ritorna alsuo Dio con tutto il cuore, il Signore,fedele alla sua promessa, gli concede ilperdono, anzi lo rinnova, rendendoloautentico interiormente8.

In un simile orizzonte teologico,che continua a svilupparsi nel primoperiodo postesilico, si approfondiscesempre di più la consapevolezza che ilfuturo di Israele dipende soltanto daun intervento decisivo del Signore, in-tervento che si configura come salvez-za definitiva, come nuova creazione.In questo ricco orizzonte di speranza,un dato merita particolare attenzione.Si tratta del fatto che la scuola sacer-dotale non solo ha posto all’inizio del-la storia di Israele la promessa del Si-gnore, ma ha compreso anche la sto-ria dell’umanità nella luce della pro-messa salvifica di Dio. Questo aspettosi trova esplicitato in Gen 9, dove Diosi impegna a non permettere più cheil male sviluppi le proprie potenze dimorte fino a distruggere l’umanità. Ilsignificato di questo annuncio è evi-dente: nonostante il peccato, che at-traversa la storia umana, l’umanità ènella benedizione di Dio e da lui èguidata verso un futuro di vita. Inquesto orizzonte teologico la vocazio-ne di Israele si presenta come operadel Signore, che ha come obiettivo labenedizione di tutte le genti.

2. La Scrittura come promessa della salvezza

La vitalità della tradizione plurise-colare di Israele si condensa e si mani-festa nel lungo processo della forma-

zione del canone biblico. Sono note letre parti che compongono il canoneebraico: Torah, Profeti, Scritti. Ognunadi esse ha la sua storia, articolata ecomplessa. Tuttavia, tenuto conto del-le attuali conoscenze, sono possibilialcune osservazioni decisive per il no-stro tema.

Anzitutto la formazione della To-rah, che molto probabilmente è statacanonizzata nel 398 ad opera di Esdra,è il frutto di un intenso lavoro teso aelaborare una sintesi feconda tra laprospettiva dell’alleanza, propria delDeuteronomio e della corrente deute-ronomistica, e la prospettiva dellapromessa, propria della teologia sa-cerdotale. La Torah, che rappresentala fusione equilibrata di questi oriz-zonti teologici, presenta l’umanitànella benedizione divina, benedizioneche la colpa degli uomini non ha po-tuto annullare. In realtà, l’umanità vi-ve nella promessa salvifica di Dio e lastessa elezione di Israele, simboleggia-ta nel racconto della vocazione diAbramo (cf. Gen 12,1-3), è in funzionedi quel futuro nel quale tutte le gentisaranno raggiunte dalla benedizionesalvifica del Signore. La riflessione,sottesa a tutti i libri della Torah, ha sa-puto raccogliere le istanze più profon-de della tradizione, individuando siale altezze spirituali della comunionecon il Signore, sia gli orientamenti es-senziali nei quali il popolo dell’allean-za è chiamato ad esprimere la propriafedeltà al suo Dio: gli orientamentidella giustizia e della solidarietà9. Ilpopolo del Signore, tuttavia, può ve-nir meno alla propria fedeltà10 e quin-di alla propria missione di strumentodella benedizione di Dio per le genti.

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L’infedeltà umana, però, è vinta dallafedeltà del Signore. Questo significache Israele, nonostante la propria in-fedeltà, ha sempre davanti a sé la pos-sibilità del perdono divino, che apre ilfuturo a un’alleanza rinnovata. Pro-prio questa visuale costituisce il mes-saggio profondo che è presente nellastruttura stessa del libro dell’Esodo11.

Nella canonizzazione della Torahsi pone in forte rilievo il motivo dellapromessa, rendendo possibile in que-sto modo il dispiegarsi vitale dellasperanza. Effettivamente la promessadel Signore ai patriarchi aveva un tri-plice contenuto: la liberazione dallaschiavitù, la dimora del Signore inmezzo al suo popolo e il dono dellaterra. Nei primi cinque libri dellaScrittura si descrive l’adempimentodella promessa dell’esodo. La pro-messa della presenza del Signore inmezzo al suo popolo ha solo un com-pimento parziale nel culto, ma il te-sto di Lv 26 orienta a comprendereche il compimento definitivo si realiz-zerà soltanto nel futuro. Quanto allapromessa della terra, la Torah si con-clude presentando il popolo in pro-cinto di entrarvi. La promessa dun-que non si è ancora adempiuta. Lastessa presentazione di Mosè, cui Dioconcede di contemplare la terra pri-ma di morire, se da un lato rileva chela “terra” non è un’illusione, dall’al-tro esprime chiaramente che si trattadi una realtà che il popolo non haancora raggiunto e che può solo at-tendere appoggiandosi alla “certez-za” della promessa divina.

La canonizzazione dei Profeti espli-cita anzitutto la dimensione vitale del-la comunione familiare con il Signore,

come risulta dalla presenza dell’imma-gine filiale e di quella sponsale con cuisi approfondisce la comprensione del-l’alleanza12. In secondo luogo i libri deiProfeti sottolineano l’impegno dell’al-leanza non solo con la riprovazionedell’idolatria, ma anche con la costan-te condanna di ogni forma di ingiusti-zia e violenza, in quanto espressioneconcreta dell’infedeltà del popolo aldono divino dell’alleanza. Infine, neiProfeti si trovano le testimonianze piùeloquenti di una speranza che, inquanto categoria teologica, apre l’o-rizzonte della fede verso il futuro del-la nuova alleanza, del nuovo esodo,della nuova creazione.

La canonizzazione degli Scritti13 haesplicitato ulteriormente le virtualitàinsite nella Torah. Anzitutto la comu-nione di vita esprime le sue incom-mensurabili potenzialità di esperienzaspirituale nella preghiera dei Salmi. Leistanze della coerenza sono illuminatedalle pagine della riflessione sapien-ziale. Infine il fatto che il canoneebraico si conclude con il libro delleCronache, mentre sul piano della nar-razione i libri di Esdra e Neemia de-scrivono eventi cronologicamente po-steriori, assume un profondo significa-to. Il popolo del Signore si trova inuna situazione simile a quella delDeuteronomio. In Dt 34,1-4 il futuroingresso del popolo nella terra è assi-curato dalla visione di Mosè, accom-pagnata dalla promessa divina; in 2 Cr36,23 è solo l’editto di Ciro che di-schiude al popolo la possibilità di “sa-lire” verso Gerusalemme, sostenutodalla presenza del suo Dio. Anchequesta struttura “canonica” conferisceil massimo rilievo alla dimensione del-

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la speranza insita nella Torah. Essa, in-fatti, suppone che l’ingresso nella ter-ra, narrato nel libro di Giosuè, non co-stituisce il compimento della promessacontenuta nella Torah, ma rappresen-ta solo una tappa nell’itinerario stori-co di Israele. La “terra”, in quanto me-ta dell’esodo, assume una connotazio-ne simbolica sempre più netta: essanon si presenta più con un significatoesclusivamente spazio-temporale, maassume una connotazione esistenzia-le-teologica.

3. La Scrittura come annuncio del mondo della risurrezione

Le caratteristiche essenziali dell’e-sperienza religiosa di Israele, lo abbia-mo visto, sono la comunione di vita ela speranza. Il processo di canonizza-zione della Scrittura ha evidenziatoqueste caratteristiche, situandole inun contesto teologico che si presentaricco per l’interconnessione delle sueparti e fecondo per la vitalità dischiu-sa dal nuovo orizzonte teologico14. Perlo studio del nostro tema, però, è an-cora necessario cogliere l’orizzonte incui era letta e compresa la Scritturanell’epoca intertestamentaria e, quin-di, al tempo in cui visse Gesù ed ebbeinizio la Chiesa.

Si tratta del fatto che “Israele”, nelperiodo dopo l’esilio, dovette affron-tare una profonda crisi, che poté esse-re superata solo con la fede nella ri-surrezione. I prodromi di questa crisisono rappresentati dalle molteplici egravi difficoltà in cui si dibatteva lacomunità postesilica. In questo conte-sto, alla consapevolezza che le pro-

messe salvifiche del Signore non sierano ancora realizzate si aggiunse ladifficoltà, sempre più acuta, a sperarein una loro prossima realizzazione.

Questa crisi si avverte in vari testibiblici che vi alludono15. Quanto essafosse profonda, nel vissuto della co-munità credente, traspare dalla pagi-na recente di Gen 15. All’annunciodivino della promessa della terraAbramo risponde con una domanda:«Signore, mio Dio, come potrò sape-re che ne avrò il possesso?» (Gen15,5). A questa domanda, che mettea fuoco il nucleo della crisi stessa, iltesto risponde presentando il Signo-re che rinnova il suo impegno con ilsolenne rito dell’alleanza (cf. Ger34,18), passando, come “forno fu-mante e fiaccola ardente”, in mezzoagli animali divisi. Secondo il signifi-cato di questo rito, il Signore invocasu di sé la stessa sorte nel caso in cuinon sia fedele alla sua promessa. Ilsignificato teologico di questo branoardito è evidente: Israele non puòpensare al Signore, come Dio, se noncrede alla sua fedeltà. Inserendoquesto messaggio all’inizio della ma-nifestazione divina ai padri, si inteseporre nella Torah un orientamentodi risposta alla crisi che aveva investi-to la speranza del popolo del Signo-re. Effettivamente la categoria dellafedeltà del Signore svolse una fun-zione fondamentale nella genesi del-la fede nella risurrezione. Proprio lacertezza della fedeltà divina portò,in un primo momento, a pensare chela realizzazione piena delle promes-se salvifiche del Signore non si sareb-be compiuta nella fase presente, or-dinaria, della storia, ma in una fase

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ultima, qualitativamente diversa daquella presente. Si tratta della cosid-detta prospettiva escatologica, che siincontra soprattutto nei libri profeti-ci, dove svolge la funzione di reinter-pretare le promesse di salvezza in es-si contenute16. La risposta escatologi-ca, però, ben presto risultò incom-pleta, soprattutto alla luce della ri-flessione sapienziale17. Allora, dallaricerca laboriosa, che mirava a supe-rare la crisi, maturò la risposta apo-calittica con la confessione del mon-do della risurrezione18. Secondo que-sta concezione le promesse di Dionon si realizzano pienamente in“questo mondo”, ma nel mondo del-la risurrezione. In questa concezionel’irruzione del mondo della risurre-zione coincide con la fine di questomondo, quando Dio stesso annien-terà la potenza del male, che si espli-ca, all’interno della storia, con l’in-giustizia, la violenza e l’oppressione.

Grazie alla prospettiva della risur-rezione il popolo del Signore com-prende che il mancato compimentodelle promesse salvifiche, nel tempodi “questo mondo”, non rappresentauna contraddizione per la fede, ma unmomento di prova. In forza della suastessa fede, infatti, il credente ha lacertezza che le promesse della vittoriadivina sul male avranno il loro pienocompimento nel mondo futuro dellarisurrezione.

La fede nella risurrezione, è utilericordarlo, è maturata in un periodoche si estende all’incirca dal 300 al200, quindi in una fase recente dellatradizione biblica. Questo spiega ilfatto che di essa non ci siano tracceesplicite nella Torah. Alcune testimo-

nianze si incontrano, invece, nei Pro-feti e negli Scritti. Particolarmente il-luminanti, a tale riguardo, sono i se-guenti testi: Is 25,6-8; Is 26,19; Sal22,29-30; Dn 12,2-3. Tra i libri deute-rocanonici sono significative le pagi-ne teologico-esistenziali di Sap 2 (cf.soprattutto i vv. 21-24) e di 2 Mac 7(martirio dei sette fratelli e della lo-ro madre).

A queste testimonianze occorreaggiungere – e si tratta di un fatto diestrema importanza – la reinterpreta-zione apocalittica della Scrittura, valea dire la sua lettura e interpretazionealla luce della fede nella risurrezione.Un esempio eloquente di una similereinterpretazione si incontra in Is25,6-8, dove l’annuncio escatologicodel banchetto, preparato dal Signoreper tutti i popoli, è reinterpretatocon un esplicito riferimento al mondodella risurrezione mediante l’aggiun-ta dell’espressione «il Signore elimi-nerà la morte per sempre». Analoga-mente si muove la pagina di Sap 2,23.Qui l’affermazione «Dio ha creatol’uomo per l’incorruttibilità, lo fece aimmagine della propria natura» mo-stra che l’autore intende fondare lafede nella risurrezione sulla Scritturae, concretamente, sull’assioma teolo-gico di Gen 1,2619.

La conoscenza del cammino che lafede di Israele ha percorso, fino agiungere a confessare il mondo dellarisurrezione, è fondamentale percomprendere il significato stesso del-la risurrezione. Anzitutto appare evi-dente che la confessione del mondodella risurrezione è il frutto maturodi una fede essenzialmente caratte-rizzata dall’esperienza della comu-

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nione di vita con il Signore e dallasperanza. Sotto questo profilo ilmondo della risurrezione rappresen-ta il compimento della speranza cheanima il popolo del Signore nell’atte-sa di giungere alla piena comunionedi vita con il suo Dio. Il mondo dellarisurrezione, inoltre, costituisce lameta dell’intera umanità. In questavisuale, la risurrezione appare, per ilpopolo del Signore, come il compi-mento della speranza di tutte le gen-ti, la meta verso cui tende la storiaumana. In sintesi: confessare la risur-rezione significa credere nel Signoreche prepara il banchetto dell’allean-za eterna per tutti i popoli.

4. La fede nella risurrezione del Signore

La Chiesa, secondo la testimonian-za del NT, nasce nella fede nel Signo-re risorto, nutre questa fede con leScritture e la testimonia, annuncian-do l’amore fedele e misericordiosodel Padre che si rivela nella risurre-zione del Figlio20.

La fede nel Signore risorto, in unprimo momento, fu compresa secon-do lo schema ereditato dalla conce-zione apocalittica. Per questo le pri-me comunità cristiane, costituite daGiudei raggiunti dalla fede nel Si-gnore risorto, ritenevano imminentela fine del mondo21. All’epoca della ILettera ai Tessalonicesi, Paolo mostradi condividere ancora questa conce-zione, quando afferma che, alla ve-nuta del Signore, i morti risusciteran-no, mentre coloro che sono vivi, tra iquali l’apostolo annovera se stesso,

saranno trasformati da Dio e abilitatia partecipare eternamente alla glo-ria del Risorto22.

Col passare del tempo, però, di-ventò sempre più evidente che loschema apocalittico giudaico non erain grado di rispecchiare adeguata-mente l’esperienza protocristiana23.Si giunse così a una comprensionenella quale lo schema apocalittico-giudaico risultò parzialmente modifi-cato. Da un lato, in sintonia con latradizione apocalittica, la comunitàha la consapevolezza di camminareverso il pieno compimento della pro-pria partecipazione alla risurrezione,compimento che si realizza nel mon-do trascendente del Regno di Dio.Nel contempo, e qui sta la novità, lacomunità protocristiana ha la certez-za di partecipare, già ora, alla vitadel Signore risorto, e quindi alla vitastessa di Dio, in quella pienezza cheè propria del mondo della risurrezio-ne24. Questa comprensione è alla ba-se della relazione dialettica tra il“già” e il “non ancora” che caratte-rizza l’esistenza cristiana (cf. 1 Gv3,2). Il battezzato è “già risorto conCristo”, ma la sua partecipazione allarisurrezione non è ancora totale. Diconseguenza la vita dei battezzati siconfigura come un itinerario nelquale essi sviluppano sempre di piùla loro conformazione al Cristo risor-to, fino al culmine di questa trasfigu-razione nella gloria del Risorto, cheper ognuno si compie nell’esodo daquesto mondo al Padre.

La vitalità di questa comprensionedella fede nel Signore risorto, che se-condo lo stesso NT si è sviluppatasotto la guida dello Spirito Santo,

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appare sia nella gioiosa autocoscien-za di battezzati, che sperimentano diessere uniti al Risorto e in lui di par-tecipare alla comunione di vita con ilPadre, sia nella speranza con cui sicomprende che l’esistenza cristiana èun cammino di trasfigurazione nelSignore risorto fino al compimentodefinitivo nell’eternità del Regno diDio. Un ambito, in particolare, nelquale questa vitalità appare in tuttala sua energia pneumatica è quellodella missione. La Chiesa, che ha co-scienza di appartenere già ora almondo della risurrezione, compren-de di essere, per la natura stessa del-la sua vocazione, il luogo dove Dioraduna tutti i popoli per renderlipartecipi della risurrezione di Cristonell’esperienza di quella rivelazioneche Dio concede a coloro che credo-no al Vangelo. In sintesi, la Chiesa,pellegrina verso il Regno, è presentenella storia come luce che illumina lameta del cammino storico di tuttal’umanità, come nuova Gerusalemmeche accoglie tutti coloro che il Signo-re chiama alla fede nel Vangelo.

5. Il Signore risorto compimentodella storia

Il quadro che emerge dall’analisiprecedente permette di comprende-re la profondità e bellezza della fedeche, confessando il Signore risorto,vede in lui il compimento della sto-ria. Qui raccogliamo sinteticamentegli elementi salienti di questa lumi-nosa prospettiva.

Dio realizza il mondo nuovo dellarisurrezione nel Cristo risorto. Infatti,

secondo la fede del NT, quel Gesù cheè stato crocifisso e che Dio ha risusci-tato non è “un” risorto, ma “il” Risor-to. Egli è la Risurrezione e la Vita. Ciòsignifica che la vita della risurrezioneè un dono che ogni “risorto” riceveda Dio non in modo autonomo, ma inquanto è reso partecipe della risurre-zione del Cristo25. Solo nel Cristo è da-to di partecipare alla vita di Dio inquella misteriosa pienezza che è pro-pria del mondo della risurrezione. Sesi comprende questo dato della fede,tenendo presente che la risurrezioneè per tutte le genti, una conseguenzasi impone: la comunione con il Signo-re risorto costituisce la meta verso cuiè orientata l’esistenza storica dell’in-tera umanità.

La storia umana, in questa ottica,non si presenta più come un succe-dersi di avvenimenti che obbedisco-no solo alla legge irrazionale dellaforza, e quindi del sopruso e dellaviolenza26, ma si configura come unprogressivo cammino verso il Regnofuturo nel quale l’umanità, unita alCristo, vivrà eternamente in Dio. Unasimile luce, che abilita i battezzati aguardare all’uomo e alla sua storiacon gli occhi della fede, è essenzialeper la speranza cristiana. Questa, in-fatti, non è solo attesa della propriasalvezza individuale, ma attesa delcompimento eterno delle promessedi Dio e, quindi, attesa del banchettopreparato da Dio per l’umanità che,nel succedersi delle generazioni, hapercorso tutte le tappe della storiaumana. La speranza cristiana è atte-sa dell’umanità nuova, che vive eter-namente in Dio nella pienezza del-l’amore e della pace.

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La comprensione del Signore ri-sorto, compimento della storia uma-na, diventa, così, un principio di di-scernimento che guida la Chiesa, po-polo della risurrezione in camminoverso la patria. La fede biblica ègiunta a confessare il mondo della ri-surrezione perché profondamentecaratterizzata dall’esperienza dellacomunione di vita con il Signore edalla speranza. I battezzati, che nu-trono la fede nel Signore risorto conla Parola di Dio, sviluppano le ener-gie della fede nella misura che nellapropria vita si aprono allo Spirito cheli rende sempre più “uno” in CristoGesù e li rende perseveranti nellasperanza che non delude. Tutto ciòche è antitetico ai valori della comu-nione di vita con il Signore e con ifratelli, come l’ingiustizia, la violen-za, l’assenza di solidarietà, non ap-partiene al mondo della risurrezione.La fede nel Signore risorto spingedunque i credenti a sviluppare la“diakonia” profetica dell’amore edella fraternità secondo le istanzedella solidarietà, della giustizia edell’attenzione verso i più deboli edemarginati. Allo stesso modo la fedeche opera mediante la carità spinge ibattezzati a individuare sempre levie concrete della speranza, della fi-ducia per essere, nel cammino dell’u-manità, profeti della vita nella spe-ranza, strumenti di liberazione dallapaura e dalla disperazione. Percor-rendo questa via, essi testimonianoche il Cristo è compimento della sto-ria e la loro testimonianza è lievitodi vita all’interno delle luci e delleombre che caratterizzano il camminodell’umanità.

La certezza che il Risorto è il com-pimento della storia è, infine, unprincipio di discernimento profeticonei confronti della stessa storia uma-na, nella quale gli stessi battezzati,in quanto sono in questo mondo, sitrovano responsabilmente inseriti.Alludiamo al fatto che la fede nel Si-gnore risorto, illuminata dalla Scrit-tura, porta i battezzati a cogliere ivalori presenti in coloro che non so-no cristiani, nei loro popoli, nelle lo-ro culture e nelle loro tradizioni reli-giose. In concreto si tratta di saperindividuare, nelle diverse espressionidella vita umana, il valore della co-munione, che si esprime nella solida-rietà e nella giustizia, e il valore del-la speranza. Dove si incontrano que-

La Risurrezione, Tamas Kolozsvari, Museo cristiano di Esztergom (Ungheria)

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sti valori si trovano delle realtà che,da un lato, sono segno dell’azionedel Signore risorto all’interno dellastoria umana e, dall’altro, rinviano alloro pieno compimento che si ha nel-la partecipazione eterna alla risurre-zione del Cristo nel Regno di Dio.

6. Rilievi e orientamenti

Il Cristo compimento della storia! Ilquadro, che la Scrittura ci offre, è av-vincente per la sua sublimità, profon-dità e bellezza, perché è essenzial-mente connesso con la fede che con-fessa il Signore risorto. Per questo lasua comprensione non può mai rite-nersi esaurita. Ogni generazione cri-stiana è chiamata a offrire la propriainterpretazione nello Spirito. Alcunecondizioni, però, sono necessarie per-ché questo avvenga secondo la sa-pienza di Dio.

Anzitutto appare sempre più evi-dente la necessità vitale, per ogni bat-tezzato, di nutrire la propria fede conla Parola di Dio. Senza la Parola diDio, costantemente assimilata, la fedenel Signore risorto rischia di non tro-varsi più al centro della vita cristiana edi essere ridotta a una formula vuota,che non comunica la gioia della sal-vezza e non sviluppa la vitalità di unpensiero che si muova nelle altezzeraggiunte dal NT.

In secondo luogo, è vitale riscoprirela Liturgia come il luogo della Parolacelebrata e della fede confessata. Nellacelebrazione liturgica l’assemblea deibattezzati vive la propria identità diChiesa risorta e glorificata, di sposasanta del Signore e anticipa, nella fede,

la Liturgia eterna del cielo, il rendi-mento di grazie che insieme al Cristosale al Padre in eterno. In questo oriz-zonte teologico della Liturgia l’assem-blea diventa ogni giorno adoratrice delPadre, ed è resa sempre più partecipedella “Sapienza” di Dio, del disegnosalvifico del Padre, che opera nellaChiesa e all’interno di tutta la storiaumana. Ne deriva, come conseguenza,che nella Liturgia l’assemblea impara aliberarsi dalle “tradizioni” umane, cheannullano la Parola di Dio (cf. Mt 15,6),e diventa la luce posta sul monte, lapresenza sulla terra della Gerusalemmeceleste, meta di tutti i popoli.

In terzo luogo, è essenziale per ibattezzati vivere la propria fede inun dialogo profondo con l’umanitàdel proprio tempo, sviluppando inmisura adeguata le conoscenze ne-cessarie per comprendere la storiadell’uomo con la ricchezza delle sueculture e con i limiti dovuti al maleche opera in “questo mondo”27. Nel-la storia di ogni uomo, e di tutti gliuomini, Dio si rende presente donan-do a tutti la grazia di essere uniti alSignore risorto. In questa storia ibattezzati incontrano certo i segnidella potenza del male, ma incontra-no soprattutto i segni della potenzavittoriosa del Risorto che, mediantelo Spirito, opera nel cuore degli uo-mini, perché tutti possano ricevere ineredità il regno preparato dal Padrefin dalla fondazione del mondo (cf.Mt 25,34).

Questi orientamenti hanno una ca-ratteristica in comune: tutti culminanonel mistero del Dio Santo, nel misterodel Padre. Questo fatto, nella conside-razione di Cristo compimento della

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storia, ci porta a tenere presente ilpasso di 1 Cor 15,20-28. Qui l’Apostolopresenta la storia umana come il tem-po in cui il Signore risorto, in quantoMessia, esercita la sua regalità salvifi-ca su ogni realtà. Ma quando giun-gerà la fine, osserva san Paolo, «quan-do tutto gli sarà sottomesso, anchelui, il Figlio, sarà sottomesso a Coluiche gli ha sottomesso ogni cosa, per-ché Dio sia tutto in tutti» (v. 28). Que-sto testo prospetta la dimensione più

profonda del tema “Cristo compimen-to della storia”, dimensione che èemersa costantemente in questo stu-dio. Nel Signore risorto la storia trovail suo compimento perché in lui, e soloin lui, l’intera umanità entra nella co-munione eterna con il Padre. Allora sirealizzerà pienamente la dimora diDio con gli uomini. Allora “non ci saràpiù la morte, né lutto, né lamento, néangoscia, perché le cose di prima sonopassate” (cf. Ap 21,1-4).

—————————————1 L’affermazione “il Cristo compimento della storia” può essere compresa solo a partire dall’oriz-

zonte teologico del NT, il cui nucleo vitale è costituito dalla confessione del Signore risorto.Giustamente è stato rilevato che il «primissimo livello della tradizione cristiano-primitiva riflet-te la fede di coloro che rendevano testimonianza alla risurrezione del Cristo e alla sua esalta-zione» , B. S. CHILDS, Teologia biblica. Antico e Nuovo Testamento, Casale Monferrato 1998,249.

2 Le formule di fede possono essere raccolte in tre gruppi. Il primo è rappresentato dalle for-mule che confessano l’evento della risurrezione (cf. Lc 24,34; Rm 10,9; Col 2,1; Ef 1,19-20; 1Pt 1,2). Il secondo gruppo è costituito dalle forme che proclamano la morte salvifica di Ge-sù, che è indicata sia con il verbo “morire” (cf. Rm 5,6.8; 1 Cor 8,11) sia con il verbo “offri-re” (cf. Gal 1,4; 2,20; Ef 5,2.25). Quest’ultimo tipo di formula è evidentemente più recente esuppone la comprensione teologica della morte salvifica di Gesù con la categoria biblica delsacrificio. Il terzo gruppo, infine, è costituito da formule miste nelle quali si confessa lamorte salvifica del Messia e la sua risurrezione (cf. 1 Cor 15,3b-5; 1 Ts 4,14; Rm 4,25). Per unesame approfondito si rinvia all’opera di P. H. VIELHAUER, Geschichte der urchristlichen Li-teratur, Berlin – New York 1975.

3 Per la dimensione religiosa riconducibile alla tradizione patriarcale cf. G. FOHRER, Storia dellareligione israelitica, Brescia 1985, 27-44.

4 Per una presentazione ben documentata sulla complessa realtà sacrificale dell’AT e sul pensie-ro religioso ad essa sotteso si consiglia l’opera di I. CARDELLINI, I sacrifici dell’Antica Alleanza.Tipologie, Rituali, Celebrazioni, Cinisello Balsamo 2001.

5 Una presentazione sintetica dei valori della Pasqua, e del loro sviluppo nelle tappe principalidella tradizione di Israele, si incontra in G. ODASSO, Bibbia e religioni. Prospettive bibliche perla teologia delle religioni, Roma 1998, 142-151.

6 I versetti citati di Am 5 contengono un giudizio di condanna contro un’attesa del giorno del Si-gnore vissuta in modo superstizioso e senza l’impegno di una vita coerente con la fede inJHWH. Proprio questa degenerazione presuppone che la tradizione del “giorno del Signore”era una realtà penetrata già da tempo nella vita e nella cultura del popolo.

7 La continuità dell’esistenza storica di Israele dopo l’esilio appartiene agli eventi più sorpren-denti della storia universale. Cf. G. ODASSO, “L’esilio come luogo di salvezza”, Parola, Spirito eVita 47, 27-50.

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8 È questo l’orizzonte teologico ampiamente sviluppato in Dt 30, dove la conversione è connessaalla promessa della circoncisione del cuore (motivo che si richiama alla promessa del cuorenuovo di Ez 36,24-28).

9 Per conoscere le implicanze di questi temi, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, si puòconfrontare J. SCHREINER – R. KAMPLING, Il prossimo, lo straniero, il nemico, Bologna 2001.

10 Il testo di Ger 2,10-11 suppone addirittura che le genti possono sviluppare, nel loro rapportoesistenziale con la divinità, un comportamento di coerenza e fedeltà tale da essere addotto co-me esempio allo stesso popolo dell’alleanza. In definitiva, Israele è chiamato a vivere un rap-porto di fedeltà e lealtà con il Signore, capace di reggere al confronto con l’attaccamento e ladedizione degli altri popoli alla propria tradizione religiosa.

11 Il libro dell’Esodo, dopo aver narrato la liberazione di Israele dall’Egitto (1,1-15,21), il camminoverso il Sinai e l’alleanza (15,22-24,11), presenta le istruzioni che il Signore dona a Mosè perchénel culto il popolo possa perpetuare l’evento del Sinai (24,12-31,18). Proprio in questo punto illibro colloca il peccato di infedeltà di Israele, l’intercessione di Mosè e il perdono del Signoreche culmina nell’alleanza rinnovata (32-34). I cap. seguenti (35-40) narrano la costruzione delSantuario, di cui il Signore prende possesso. Il messaggio è evidente: la presenza del Signorenel Santuario è segno permanente del suo amore fedele e misericordioso, che dischiude aIsraele il perdono e la vita nuova.

12 Per l’immagine filiale cf. Os 11,1-4; Ger 3,19-4,4; 31,18-20; Is 63,7-64,11. Per l’immagine sponsa-le cf. Os 2,16.21-22; Ger 3,1-5.12b-13; Ez 16; 23; Is 54; 62.

13 Il riconoscimento dei libri che formano la terza parte del canone ebraico è avvenuto solo versoil 90 d. C. La loro formazione, però, può considerarsi conclusa entro la fine del II sec. a. C. Nelperiodo intertestamentario essi hanno esercitato il loro influsso nella tradizione di Israele e an-che in quella delle origini della Chiesa. In particolare, il NT menziona, accanto alla Torah e aiProfeti, i Salmi (cf. Lc 24,44).

14 La vitalità di questo contesto teologico è data dal fatto che la ricchezza propria di ogni partedella Scrittura risulta a sua volta arricchita dalla reciproca interazione che le parti della Scrittu-ra sviluppano tra di loro. Questa prospettiva canonica è oggetto in questi anni di ricerchescientifiche che molto probabilmente offriranno un contributo notevole nella rivitalizzazionedegli studi biblici e nella loro contestualizzazione all’interno della comunità di fede (Israele,Chiesa) nella quale si sono formati e dalla quale sono stati trasmessi. A riguardo del canone,giustamente si rileva che esso «non è una semplice lista di testi autorizzati, che determinereb-be il contenuto di una biblioteca di tutti i libri considerati come santi, e dunque normativi perla comunità credente: è anche la costituzione di un ampio libro, con la sua logica propria e lesue articolazioni, come pure con le sue frontiere», J. VERMEYLEN, “L’école Deutéronomiste etle premier canon”, in T. RÖMER (a cura), The future of the Deuteronomistic History, Leuven2000, 236.

15 Cf. G. ODASSO, Bibbia e religioni, cit., 241-242.16 Cf., p. es., Is 2,2-4; 25,6-8; Sof 3,11-13. 17 È noto che la riflessione critica della tradizione sapienziale rese ancora più evidenti le difficoltà

che la comunità incontrava circa il senso e la realizzazione delle promesse di JHWH. Lo stessoproverbio “non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Qo 1,9) riflette una concezione che è già pre-sente prima del libro di Qohelet (cf. Giobbe) e che rende difficile affermare con sicurezza chele promesse divine si adempiranno in un tempo vicino, proprio perché esse non si sono realiz-zate nei secoli passati.

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18 La certezza della fedeltà del Signore portò la fede di Israele a confessare che se le promesse di-vine non si realizzano pienamente in questo mondo, nemmeno negli “ultimi giorni”, esse sidevono necessariamente realizzare in un “mondo altro” (cf. Lc 20,35a), in un mondo radical-mente diverso da quello presente: “il mondo che deve venire”, il mondo della risurrezione.

19 Per il messaggio di Gen 1,26, nel contesto dei primi capitoli della Genesi, cf. le ricche prospetti-ve delineate da M. P. SCANU, “L’uomo nel mondo creato da Dio”, Parola, Spirito e Vita 46(2002) 11-26 (fine vol.).

20 Questa prospettiva trova una delle sue formulazioni teologicamente più ricche nell’espressionepaolina secondo cui “nel Vangelo si rivela la giustizia di Dio” (cf. Rm 1,17). Nel lieto annuncio,che risuona mediante gli evangelizzatori, Dio manifesta pienamente la sua “giustizia”, vale adire la propria fedeltà al suo amore e al suo disegno di salvezza.

21 Il fatto che il mondo continua ad esistere dopo che il mondo della risurrezione ha già fatto ir-ruzione nel Cristo, pone i primi cristiani, che comprendevano la fede nel Risorto secondo loschema apocalittico-giudaico, nella necessità di trovare una spiegazione. In questo contesto sisviluppa la concezione che il “breve tempo”, che intercorre tra la risurrezione del Cristo e il suoritorno, è il “momento favorevole”, accordato da Dio perché ogni essere umano possa conver-tirsi al Vangelo (cf. At 3,19-20; 2 Cor 6,2).

22 Cf. 1 Ts 4,13-18, dove Paolo richiama una parola del Signore per assicurare tutti che alla venutadel Kyrios «coloro che ancora vivranno, e Paolo si pone tra loro, non godranno di nessun van-taggio, come pure i defunti non si troveranno svantaggiati» (A. OEPKE, “Le lettere ai Tessalo-nicesi”, in AA.VV., Le lettere minori di Paolo, NT 8, Brescia 1980, 325).

23 Questa situazione si verificò quando si comprese che non era possibile prevedere, in un tempoimminente, la fine del mondo. Alcuni detti di Gesù circa l’inconoscibilità di quel giorno (cf. Mc13,22) riflettono questo stadio della tradizione del tempo apostolico.

24 Il testo di Col 3 che fonda la parenesi sul fatto che i battezzati sono “risorti con Cristo” (v. 1),esprime un pensiero che con formulazioni diverse attraversa tutto il NT. Il Vangelo di Giovannicoglie questa realtà profonda dell’esistenza cristiana quando afferma che i discepoli sono inquesto mondo, ma non sono di questo mondo. In realtà l’essere dei battezzati appartiene almondo della risurrezione. Essi, secondo un’immagine che si richiama alla struttura sociale del-l’epoca, sono forestieri in questo mondo, perché la loro “cittadinanza” è nei cieli, cioè nelmondo trascendente della risurrezione (cf. Fil 3,20).

25 Questa prospettiva teologica è espressa sinteticamente nella formula “in Cristo Gesù”. Così l’e-spressione «anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm6,11) orienta i battezzati ad essere consapevoli della loro condizione di risorti (“vivere perDio”, cf. Rm 6,10), condizione che si realizza in quanto essi sono partecipi della risurrezione delCristo. Cf. A. PITTA, La Lettera ai Romani, Milano 2001, 252.

26 Secondo la pagina di Sal 2, è proprio questa la concezione degli empi.27 Gli studi recenti hanno messo in evidenza che la stessa Bibbia nella sua dimensione letteraria è

debitrice delle culture con cui Israele e la Chiesa del NT sono entrate in contatto. Per l’AT cf. ilvolume di AA.VV., L’Antico Testamento e le culture del tempo, Roma 1990. Per il NT è fonda-mentale l’opera di R. PENNA, Vangelo e inculturazione. Studi sul rapporto tra rivelazione e cul-tura nel Nuovo Testamento, Cinisello Balsamo 2001. Si vedano in modo speciale, per una pre-sentazione prospettica del tema, i cap. I e II (pp. 11-40. 41-59).

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“C hi è Dio? Qual è il suo no-me? Tale interrogativo furivolto a Dio da Mosè

quando venne inviato da Lui stesso aifigli di Israele. Dio rispose: ‘Ehyeh A’erEhyeh’. Che viene tradotto il più dellevolte: ‘Io sono Colui che sono’ (Es3,14). Credo che dovremmo renderequesta espressione con ‘Io sarò Ciòche Io sarò’, serbando in tal modo ilnesso tra il nome di Dio e il fatto cheEgli stringe patti con gli uomini, vale adire che rivela se stesso agli uomini so-prattutto mediante i suoi comanda-menti e le sue promesse e i suoi adem-pimenti delle promesse” (L. Strauss).

Questa riflessione, tratta da unaraccolta di saggi di uno dei maestridel pensiero politico moderno (Geru-salemme e Atene, Einaudi 1998, p.23), identifica il proprium del Dio d’I-sraele nella dialettica di ‘promessa ecompimento’. JHWH è vero Dio perchési rende presente nella vicenda umanaattraverso le sue parole (spesso fintroppo chiare) e gli avvenimenti dellastoria (sovente meno decifrabili): leune e gli altri – parole e avvenimenti –preparano la rivelazione del volto diDio, la quale si realizza ogni volta cheessi trovano compimento grazie ad unnuovo intervento divino. Dio manife-sta se stesso soprattutto dimostrando-si fedele alle sue promesse.

Questa dialettica di “promessa ecompimento”, tipica della fede ebrai-ca, radicata nella storia, è stata sa-

pientemente raccolta dal cristianesi-mo. Tutta la storia della salvezza vissu-ta dal popolo di Israele è stata inter-pretata dai Padri della Chiesa comeanticipazione e profezia della salvezzache si sarebbe compiuta in Cristo. Èquesta la struttura di fondo della co-siddetta ‘esegesi tipologica’ delleScritture: Antico e Nuovo Testamentosi rispecchiano l’uno nell’altro, le pa-role e gli eventi della Prima Alleanzasono prefigurazioni (in greco: typoi,da cui il termine tipologia) che trova-no pieno significato e definitivo com-pimento nell’Alleanza Nuova ed eter-na. È curioso notare che, sebbenequesto principio esegetico fosse dasempre applicato nella liturgia dellaChiesa, uno dei primi studiosi che loindicarono come elemento qualifican-te della teologia cristiana sia statonon un teologo di professione, ma uncritico letterario. In un saggio pubbli-cato nel 1938 con il significativo titolo“Figura” Erich Auerbach additò nella“intelligenza figurale delle Scritture”– come lui preferiva denominare la ti-pologia – il cuore della forma mentiscristiana. Adducendo testi soprattuttodi Tertulliano e Agostino, egli distin-gueva nettamente il pensiero figuraleo tipologico da quello allegorico. Ilprimo si riconosce dal fatto che i duetermini del paragone, poniamo unpersonaggio dell’Antico Testamento euno del Nuovo, sono entrambi concre-ti, storici, reali: spirituale è solo l’atto

Cristo nuovo Adamo: l’esegesi tipologica e la storia della salvezza di don Filippo Morlacchi

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dell’intelligenza che riconosce l’adem-pimento della figura; al contrario, sifa uso dell’allegoria quando tramiteun elemento concreto viene suggeritauna realtà astratta, come ad esempiouna virtù. Si deve aggiungere che, an-che se il compimento è più “vero” –più ricco di salvezza – della figura pro-fetica veterotestamentaria1, a sua vol-ta anche l’adempimento neotesta-mentario è profezia rispetto allerealtà future e definitive. La tipologiasi configura pertanto come un insiemedi tre tappe che possiamo così sche-matizzare: AT / NT / èschaton.

Queste riflessioni, che erano il pa-ne quotidiano di tutti gli scrittori del-l’epoca patristica e medievale, sonodivenute nuovamente patrimonio co-mune nella Chiesa di oggi grazie alcontributo di tanti studiosi, primo tratutti il padre Henri De Lubac (ricordo isuoi preziosi volumi La scrittura nellatradizione della Chiesa e l’imponenteEsegesi medievale). Ma l’attualità diquesto modo di interpretare la Scrit-tura e la storia della salvezza è straor-dinaria, e merita di essere riproposta eapprofondita2.

Si tratta infatti di un metodo appli-cabile non solo alle parole, ma anche– e forse soprattutto – agli eventi e aipersonaggi della storia della salvezza.Cristo è il centro della storia: l’AT loprepara nella storia e lo anticipa nellaprofezia, il NT lo narra negli scrittievangelici e apostolici e lo celebra neisacramenti. Pertanto la liturgia si mo-stra luogo privilegiato di questa spiri-tualità: non solo vi si trovano frequen-ti accostamenti scritturistici tra l’Anti-co e il Nuovo Testamento (pensiamoal rapporto tipologico che spesso si

può cogliere tra la prima lettura e ilVangelo), ma i segni sacramentali stes-si sono “compimento” delle prefigu-razioni della Prima Alleanza, nell’atte-sa della realizzazione escatologica de-finitiva.

Senza questa lunga premessa sa-rebbe stato ben difficile comprendereadeguatamente il senso del parallelotipologico “Adamo-Cristo”, cioè “pri-mo uomo – uomo nuovo” di cui oradobbiamo brevemente parlare. Il pre-fazio della terza domenica del T.O. siesprime così: “Abbiamo riconosciuto ilsegno della tua immensa gloria [o Pa-dre,] quando hai mandato il tuo Figlioa prendere su di sé la nostra debolez-

Beato Angelico, Gesù affida la madre a san Giovanni,ca. 1450, Firenze, museo di San Marco

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za; in Lui nuovo Adamo hai redentol’umanità decaduta, e con la sua mor-te ci hai resi partecipi della vita im-mortale”. Cristo vi è presentato comeil nuovo Adamo, il “primogenito dellanuova creazione” (cfr Col 1,18). Il te-sto biblico che descrive più diffusa-mente questo parallelismo tipologicotra Adamo e Cristo si trova nella lette-ra ai Romani (5,12-19). In essa sanPaolo si sofferma però soprattutto suun aspetto della tipologia: l’unicità diAdamo, attraverso cui il peccato e lamorte sono entrati nel mondo, e l’uni-cità di Cristo, mediante il quale unperdono e una vita ancor più abbon-danti sono restituiti agli uomini: “seinfatti per la caduta di uno solo mori-rono tutti, molto di più la grazia diDio e il dono concesso in grazia di unsolo uomo, Gesù Cristo, si sono river-sati in abbondanza su tutti gli uomi-ni” (v. 15). Tuttavia nel corso della me-ditazione biblica e patristica molti al-tri elementi vennero ad arricchire l’in-telligenza figurale del parallelo. Infat-ti la vita offerta da Cristo rende ognicredente una “nuova creatura” (Gal6,15; 2Cor 5,17); Gesù è perciò il «pri-mogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29),e questa fraternità di uomini nuovi èla Chiesa. Ben presto perciò si sviluppòanche una seconda tipologia tra Eva eMaria, e quindi tra Eva e la Chiesa.Cerchiamo di esplicitare almeno alcunidei paralleli tipologici racchiusi nelladuplice figura Adamo-Cristo e Eva-Chiesa.

La coerenza unitaria del progettosalvifico viene delineata fin dalle ori-gini. Quando Dio crea l’uomo, Egli hadavanti a sé come modello il Figlioeterno: il Figlio è “immagine del Dio

invisibile, generato prima di ognicreatura” (Col 1,15), e Adamo è for-mato “a immagine e somiglianza”(Gen 1,26) di Lui. L’ “ultimo Adamo”(1Cor 15,45), che con la sua risurrezio-ne dà inizio alla nuova creazione, èperciò all’origine anche del “primoAdamo”, cioè della creazione natura-le. Creazione secondo natura e voca-zione eterna dell’uomo costituisconodunque un arco di sviluppo organico ecoerente (senza per questo contestarela gratuità della grazia). Chiamato allavita, posto nel giardino dell’Eden,Adamo con la sua disobbedienza pro-curò a se stesso e alla sua discendenzala morte. Cristo, offrendosi volontaria-mente alla sua passione, è diventato il“primogenito di coloro che risuscitanodai morti” (Col 1,18), la primizia diuna nuova umanità chiamata a vivereper sempre oltre la morte. L’alberoparadisiaco della conoscenza del benee del male aveva prodotto il fruttoproibito, che prometteva all’uomo –su istigazione del Tentatore – di poterdiventare come Dio, e che invece, unavolta mangiato, gli procurò la rovina ela morte. Il legno della croce è il nuo-vo albero della vita, da cui è germo-gliato il frutto prezioso che è Cristostesso, frutto che Dio non vieta all’uo-mo di mangiare, e che anzi una voltamangiato – nell’Eucaristia – dona al-l’uomo la vita eterna e la partecipa-zione alla natura divina (cfr. l’innoCrux fidelis). Il terreno da cui è germo-gliato l’albero della croce è il colle delGolgota, il cui nome significa “cra-nio”; per questo in molte raffigurazio-ni pittoriche della crocifissione ai piedidella croce si può distinguere un te-schio: è il teschio di Adamo, il primo

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dei mortali, la cui morte è riscattatadalla risurrezione di Cristo3.

Dio fece scendere un profondotorpore su Adamo, e dal suo costatotrasse Eva, la “madre di tutti i viven-ti” (Gen 3,20). Cristo sulla croce,sprofondato nel sonno della morte,ha fatto sgorgare dal suo costato,trafitto dalla lancia, sangue ed ac-qua, simbolo dei sacramenti dellaChiesa. La Chiesa, madre dei figli diDio, è scaturita dal costato del nuovoAdamo, e incessantemente nel bat-tesimo genera nuovi figli per la vitaeterna. Maria, madre del Figlio uni-genito, è divenuta ai piedi della cro-ce madre dei discepoli di Lui (cfr Gv19,25-27) e, in questo, anche imma-gine della Chiesa, madre di tutti i fi-gli di Dio. Per la tipologia Eva-Mariabasti pensare al cosiddetto protovan-gelo (Gen 3,15; cfr. Ap 12) e alla dif-fusa iconografia dell’Immacolata cheschiaccia il serpente con il piede.

Gli elementi essenziali di quantoesposto (ossia la struttura unitaria del-la economia salvifica, scandita nelletre tappe di AT, NT e compimentoescatologico, e il nodo figurale di con-nessioni tra Adamo, Eva, Cristo, Mariae la Chiesa) sono felicemente compen-diati nel V prefazio della B.V. Maria:“Tu [Padre santo] hai rivelato nellapienezza dei tempi il mistero nascostonei secoli, perché il mondo intero tor-ni a vivere e a sperare. Nel Cristo, nuo-vo Adamo, e in Maria, nuova Eva, èapparsa finalmente la tua Chiesa, pri-mizia dell’umanità redenta. Per que-sto dono, tutta la creazione con la po-tenza dello Spirito Santo riprende dalprincipio il suo cammino verso la Pa-squa eterna”.

È importante notare che le sovrap-posizioni di una analogia con l’altra(ad esempio, la identificazione di Cri-sto non solo con Adamo, ma anchecon il frutto dell’albero, oppure l’in-treccio Eva-Maria-Chiesa) non è sinto-mo di illogicità o di imprecisione; alcontrario, è proprio tipico di questalogica argomentativa simbolizzatriceil fatto di sovrapporre diversi livelli disignificato che non si escludono l’unl’altro, ma piuttosto si integrano e siapprofondiscono reciprocamente. Sipotrebbe spiegare questo meccanismocosì: immaginiamo di sovrapporre dueimmagini trasparenti, ad esempio duelucidi da lavagna luminosa, ciascunodei quali delinea solo alcuni elementidel soggetto che vogliamo raffigura-re. L’immagine completa è costituitaesattamente dal sovrapporsi delle duefigure, che giungono a formarne unasola, più consistente e completa. Lasovrapposizione di due, o anche tre opiù immagini, non genera confusione,ma – al contrario – la somma dei trattidifferenziali propri di ciascuna imma-gine consente di vedere un risultatod’insieme più ricco e corposo. Così lapienezza del mistero viene rivelata dalreciproco sovrapporsi ed integrarsi difigura e compimento, in vista dellarealizzazione escatologica definitiva.

A conclusione di queste brevi notevorrei far osservare quanto sia vero,ancora una volta, il noto adagio se-condo il quale la lex orandi orienta edetermina la lex credendi. La liturgiaè stata strumento efficacissimo per al-lontanare dalla comunità ecclesialedue tra le più pericolose (e drammati-camente attuali) eresie, cioè il marcio-nismo e lo gnosticismo. Lo sbaglio di

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Marcione consisteva nello svalutare lacontinuità della storia della salvezza,disprezzando l’Antico Testamento e laprovvidenziale pedagogia divina cheha portato gradualmente all’Incarna-zione, “quando venne la pienezza deltempo” (Gal 4,4), tappa dopo tappa.Le possibili derive antisemite di questaopinione sono evidenti per tutti; l’ese-gesi tipologica che la liturgia ha sem-pre praticato si è rivelata un rimediotra i più efficaci contro tale pericolo4.L’errore principale dello gnosticismoera invece il tentativo di sminuire l’im-portanza della concreta storia dellaredenzione, riducendo la fede a sem-

plice esperienza intellettuale e pre-sentando una salvezza disincarnata eastratta. Anche in questo caso, non èchi non veda la cocente attualità diquesta tendenza riduzionista; la con-cretezza dei simboli sacramentali e ilmemoriale liturgico degli eventi salvi-fici costituiscono un argine prezioso eprovvidenziale contro ogni inclinazio-ne a dimenticare il realismo dell’incar-nazione e della salvezza offerta daCristo. Davvero la vita liturgica dellaChiesa è il luogo in cui, più di ogni al-tro, i credenti possono esperire il si-gnificato autentico e l’intima coeren-za della historia salutis.

—————————————1 Non a caso viene talvolta definita “ombra”: cfr Col 2,17: san Paolo ricorda ai cristiani di Colossi

che le usanze ebraiche relative ai cibi e le feste sono “ombra delle [cose] future; ma la realtà[lett.: il corpo, tò sôma] invece è Cristo!”

2 A parziale integrazione di quanto osservato nella nota precedente, occorre ricordare che ilprincipio ispiratore di ogni tipologia è la “sinfonia dei due Testamenti”, la continuità della sto-ria della salvezza da Abramo ai nostri giorni. Tutti possono capire quanto questo procedimen-to possa giovare allo sviluppo di un fruttuoso dialogo ebraico-cristiano. Ovviamente, è necessa-rio intendere nel modo giusto il ricco valore figurale della Prima Alleanza: non un’ombra palli-da ed evanescente, un semplice “antipasto” da gettarsi alle spalle una volta arrivato il “piattoforte”, ma una corposa e significativa prefigurazione della verità neotestamentaria, così comele realtà sacramentali della Nuova Alleanza, pur imperfette, sono un’anticipazione ricca e reale– sebbene ancora incompiuta – della gloria futura.

3 Questa, verosimilmente, è l’origine della credenza, ampiamente diffusa nel Medioevo, che lacroce di Cristo fosse stata innalzata nello stesso luogo della sepoltura di Adamo. Nonostante lamatrice evidentemente leggendaria di questa opinione, quel che resta valido è il senso tipolo-gico dell’accostamento: “da dove era nata la morte, di là doveva risorgere la vita”.

4 Purtroppo non è riuscita ad impedire il diffondersi della cosiddetta teoria della sostituzione, inbase alla quale Israele, il popolo eletto della prima alleanza, sarebbe stato ripudiato, e poi de-finitivamente scalzato e sostituito dalla Chiesa, nuovo popolo di Dio. Ma è un discorso troppocomplesso per essere affrontato in questa sede…

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L’ espressione “la liturgia, me-diante la quale, specialmentenel santo sacrificio dell’euca-

ristia, si attua l’opera della nostra re-denzione” (SC 2), poté sembrare (e losembrò!) troppo forte a qualche Pa-dre conciliare, che ne chiese conto allacommissione. La quale rispose “sem-plicemente” che essa era stata presadalla preghiera sulle offerte della do-menica IX dopo Pentecoste nel Messa-le Romano, allora in uso. Tale espres-sione non è stata tolta dal nuovo Mes-sale, anzi vi si trova, ripetuta più volte(vedi, ad es. la preghiera sulle offertedella seconda domenica ordinaria).

La frase “incriminata” si trova nelProemio, quasi a dare il tema a tuttala Costituzione sulla Sacra Liturgia delConcilio Vaticano II, che oggi, mentrescrivo, compie i suoi primi 40 anni. Es-sa viene poi spiegata, e diventa unameravigliosa sinfonia, nei primi artico-li (5-7) del capitolo primo, che presen-tano la “storia della salvezza”.

Con una serie di citazioni del Nuo-vo Testamento si espone brevementeche la “volontà” di Dio è che “tutti gliuomini si salvino e giungano alla co-noscenza della verità”. Questa “vo-lontà salvifica” altrove Paolo la chia-ma “disegno”, e la esprime spesso conil termine “mistero”. Il testo conciliareprosegue mostrando come tale pro-getto divino si è realizzato storica-mente: distingue infatti due momenti,indicati con gli avverbi di tempo “do-po” e “quando”: “dopo avere a più ri-prese e in più modi parlato un tempo

ai padri per mezzo dei profeti, quan-do venne la pienezza dei tempi,mandò il suo Figlio…”. Abbiamo cosìdue momenti:

Il tempo della preparazione edella prefigurazione. È tutto ciòche Dio ha fatto al popolo dell’An-tico Testamento, in parole e in ope-re (si pensi alle meraviglie dell’Eso-do). Ma è tempo di preparazioneanche tutto ciò che di buono si tro-va nel mondo extra-biblico. Tuttigli uomini infatti sono oggetto del-la “bene-volenza” divina.

“Ogni volta… si attua” di p. Ildebrando Scicolone, osb

La Crocifissione, icona macedone, sec XIII

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Il tempo del compimento, in Cri-sto. “Quest’opera della redenzioneumana e della perfetta glorificazio-ne di Dio è stata compiuta da Cri-sto Signore, specialmente per mez-zo del mistero pasquale… col quale‘morendo ha distrutto la nostramorte e risorgendo ha ridato a noila vita’ ”. La storia della salvezza hail suo culmine nella Pasqua di Cri-sto. In essa Gesù ha potuto dire:“tutto è compiuto”.

Questa storia della “salvezza” coin-cide con la storia della “rivelazione”,abbozzata nella Costituzione Dei Ver-bum: man mano che la salvezza si varealizzando, si viene anche rivelando.Con una differenza fondamentale: lastoria della Rivelazione si è conclusadefinitivamente “con la morte dell’ulti-mo apostolo” (così si dice); alla Bibbianon si può aggiungere altro libro, do-po l’Apocalisse. Non è così della storiadella salvezza: tutto è compiuto, manon tutti sono ancora salvati. La storiadella salvezza continua… nella Chiesa.

L’art. 5 si conclude con la “nascita”del mirabile sacramento di tutta laChiesa, dal costato di Cristo “dormien-te sulla croce”; la Chiesa, che è così“osso delle sue ossa, carne della suacarne”, come Adamo diceva della spo-sa che da lui era stata tratta.

Ha avuto inizio così Il tempo dellaChiesa (e/o della Liturgia). Gli Aposto-li, spiega l’art. 6, sono stati inviati, sì,ad annunziare il vangelo della salvez-za. Ora, se qualcuno mi viene a dire: “ti annunzio che Gesù ti ha salvato”, ioposso ringraziarlo, ma mi viene di do-mandargli: “quando?”. Mi risponde:“duemila anni fa”, io gli dico: “mi di-

spiace, non c’ero ancora!”. Non solodeve darmi la notizia, ma deve comu-nicarmi la salvezza realizzata, mi deveeffettivamente salvare. Con azioniconcrete: il battesimo, l’eucaristia. SC6 si esprime così: “Essi, predicando ilvangelo a tutti gli uomini, non dove-vano limitarsi ad annunciare che il Fi-glio di Dio con la sua morte e risurre-zione ci ha trasferito nel regno del Pa-dre, ma dovevano anche attuare l’o-pera di salvezza che annunziavano,mediante il sacrificio e i sacramenti at-torno ai quali gravita tutta la vita li-turgica”.

Dobbiamo fare un’osservazione im-portante. La seconda fase della storiasupera la prima, come la realtà superala figura. Non è così del terzo momen-to: questo non supera il secondo, malo rende permanente e lo estende atutti gli uomini.

La storia è un insieme di avveni-menti. Ora sono eventi non soltantoquelli che appartengono al primo e alsecondo momento della storia dellasalvezza, ma anche quelli del terzo.Evento storico è la creazione, eventostorico è l’Esodo, più importante del-l’uno e dell’altro è la redenzione;evento è pure il battesimo (ogni bat-tesimo), l’eucaristia e tutti e singoli isacramenti. Per affermare ciò con cer-tezza, ci basiamo su testi eucologici,venerabili per l’antichità e importantiper il momento in cui sono pregati. Miriferisco alle collette tra le letture del-la Veglia di Pasqua, da cui peraltroproviene la citazione del “meraviglio-so sacramento dell’intera Chiesa”.

La prima orazione, quella che se-gue la lettura della creazione e lo stu-pendo salmo 103, suona così:

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“Dio onnipotente ed eterno,ammirabile in tutte le opere deltuo amore, illumina i figli da te re-denti perché comprendano che sefu grande all’inizio la creazione delmondo, ben più grande, nella pie-nezza dei tempi, fu l’opera dellanostra redenzione nel sacrificio pa-squale di Cristo Signore”.

La terza orazione, quella che segueil racconto del passaggio del Mar Ros-so e il Cantico di Mosé, paragona leacque di quel mare alle acque del bat-tesimo, per dire che queste sono piùimportanti di quelle:

“O Dio, anche ai nostri tempivediamo risplendere i tuoi antichiprodigi: ciò che facesti con la tuamano potente per liberare un solopopolo dall’oppressione del farao-ne, ora lo compi attraverso l’acquadel Battesimo per la salvezza ditutti i popoli…”.

Va precisato che le azioni liturgichesono eventi, non per sé, ma in quanto

sono presenza degli eventi salvificipassati. Di questi sono celebrazioni“memoriali”, cioè le ricordano e le at-tualizzano. In italiano, sinonimo di “tiricordo” è: “ti faccio presente”. Ora ilmemoriale si fa con la preghiera, nellaquale “facciamo presente” a Dio ciòche è avvenuto nella storia salvifica.Per es., gli facciamo presente la mortee la risurrezione di Cristo. Se un taleevento “è presente” a Dio, esso esisteproprio perché è presente a Dio. Lacategoria del “memoriale” è tipica-mente ebraica. Per essi i riti sono me-moriali di eventi passati. Ma il termineebraico corrispondente è zikkaron,che indica un ricordo oggettivo, quasimateriale; per cui faremmo meglio atradurlo con l’italiano “monumento”.

Volendo spiegare il concetto di me-moriale, in una cultura diversa dall’e-braica, quale quella greca, di cui noisiamo eredi, i Padri della Chiesa,orientali e occidentali, hanno utilizza-to altri termini. Li elenco soltanto: im-magine o figura, somiglianza, tipo,simbolo, mistero, sacramento. Li spie-gheremo in altra occasione.

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“N on pensare che tu sia ilsuccessore di Costantino;non sei il successore di

Costantino, ma di Pietro. Il tuo librofondamentale non è il Codice di Giu-stiniano, ma la sacra Scrittura”: è ilmonito di san Bernardo di Chiaravalle(+ 1153) al Papa Eugenio III (+ 1153),già suo discepolo e abate delle TreFontane a Roma. Non invano san Gi-rolamo di Stridone (+ 419/20) ritenevache l’apprendimento della Scritturafosse un compito lungo e tutt’altroche facile, dal quale nessun credenteera esonerato2. Infatti - dichiarava sanBonaventura (+ 1274) - “la verità pos-siede noi, non noi la verità”.

Nella lettera al Papa Leone X, dettaLibellus ad Leonem X, i due monacicamaldolesi Paolo Giustiniani e Tom-maso Quirini nel 1513, quando ancoraMartin Lutero era un semplice e forsesereno monaco agostiniano, tra l’altrochiedevano: si torni a leggere le Scrit-ture, che pochi conoscono. Il vescovodi Verona, Matteo Giberti (+ 1543), in-vitava i parroci a predicare con assi-duità (“dal capo alla fine dell’anno”)con l’aiuto dello studio della Bibbia. P.Claudel (+ 1955), nel libro La Bibbia inginocchio, rilevava: “La Bibbia è il piùgrande libro dell’umanità”. Il VaticanoII (1962-65) ha ripristinato il primato ela centralità della Bibbia nella vita enella missione della Chiesa (cf. DV 1).“Tornino con rinnovato interesse allaBibbia”: questo invito, preso dalla

TMA 40 (1994), è posto dai Vescoviitaliani all’inizio della Nota della Com-missione episcopale per la dottrinadella fede e la catechesi, con il titolo“La Bibbia nella vita della Chiesa” (=BVC) (1995).

Fortemente consapevoli che nellaliturgia il popolo celebrante rispondea Dio che gli parla (cf. SC 33) e che “ri-to e Parola sono intimamente connes-si” (SC 35), in questo contributo vor-remmo mostrare che la Parola è il sa-cramento della liturgia, e la liturgia èil sacramento della Parola.

1. Il primato logico-temporale della Parola

“Per quanto cari e venerabili ci sia-no i Padri e i dottori, ed i più grandi diessi, un milione di sant’Agostino e unmilione di san Tommaso non farannomai un san Paolo o un san Luca”, rile-va un prestigioso autore moderno3. L.Bouyer sostiene che, se per un ipoteti-co caso inverosimile, Dio dovesse pro-porci: “Vi tolgo la Parola o l’Eucari-stia”, noi dovremmo rispondere: “Intutti i casi non toglierci la Parola!”4.Non si potrebbe rispondere altrimenti.Se per assurdo, la Chiesa dovesse esserprivata anche per un solo istante del-l’Eucaristia, con la Parola di santifica-zione sul pane e sul vino riavrebbe ilsacramento eucaristico. La Parola dàl’Eucaristia5. Assolutamente parlando

Il libro e il calice: binomio inscindibile1

di p. Sergio Gaspari, smm

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non si potrebbe affermare l’inverso:l’Eucaristia dà la Parola.

Il primato logico-temporale dellaParola esiste nell’eternità di Dio, nellarivelazione, nella Chiesa, nella cele-brazione e nella vita cristiana.

D’altra parte tra Bibbia e liturgia siassiste ad una singolare priorità reci-proca: la liturgia gode di priorità fun-zionale. Difatti la Parola comunica lesue “sovrabbondanti ricchezze spe-cialmente nella sacra Liturgia” (DV 25)e raggiunge il suo fine ultimo e la suaforza vitale nella celebrazione, luogoprivilegiato della Bibbia (DV 21; SC35). A sua volta la liturgia trae forzaed efficacia dalla Bibbia, la quale go-de di priorità di contenuto.

Bibbia e liturgia sono inseparabili:si rapportano e si integrano l’una conl’altra vitalizzandosi reciprocamente.Papa Giovanni XXIII in una felice im-magine rilevò: “L’occhio riguarda dueoggetti particolarmente preziosi e ve-nerandi, un libro e il calice”6. Al calice(Eucaristia e misteri salvifici) va unitoil libro (parola biblico-liturgica). Paro-la e mistero sacramentale formano idue poli entro i quali si svolge l’interavita liturgica. Tuttavia il libro precedeil calice.

2. L’azione liturgica: risposta alla Parola

Un noto assioma biblico-liturgicorecita: “Dio proposta, l’uomo rispo-sta”7. Il cardinale J. Ratzinger, nel pre-zioso studio, Introduzione allo spiritodella liturgia, Cinisello Balsamo 2001,sostiene: “L’uomo non può ‘farsi’ dasé il proprio culto; egli afferra solo il

vuoto, se Dio non si mostra” (p.17);nella liturgia cristiana il sacrificio (ri-sposta rituale) deve essere conformealla Parola proclamata (proposta diDio) (cf. p.194), e porta l’esempio del-la liturgia ebraica dove “il rabbinonon dice niente di suo... egli rendepresente la Parola che Dio attraversoMosè ha comunicato a Israele e comu-nica tutt’oggi. Dio parla oggi attraver-so Mosè” (p.61).

Bibbia e liturgia: binomio inscindi-bile. La Bibbia non è tale se non è li-turgica, e la liturgia non è tale se nonè biblica. La Bibbia porta a vivere leproprie realtà nella liturgia; la liturgiavive essa stessa di Bibbia e fa vivere lerealtà della Bibbia. In qualche modo,la liturgia, nel tempo della Chiesa, èBibbia vissuta. Infatti la Bibbia è nar-razione della storia della salvezza; laliturgia è celebrazione della salvezza.Ecco perché qualche vescovo (ad es.Alfredo Battisti di Udine nel 1998) haproposto la celebrazione della festadel “Verbum Domini”, in evidenteanalogia con la solennità del “CorpusDomini”.

Si è di fronte a una unità bipolare:la Parola dà vita alla liturgia; la litur-gia fa rivivere la Parola. Tant’è veroche “la disistima teorica o pratica neiconfronti della Liturgia conduce inevi-tabilmente... a sottovalutare la Paroladi Dio, la sola Parola che salva, di cui sinutre e a cui incessantemente si riferi-sce la Liturgia” (Dir 56). La Parola sfo-cia nel sacramento. Il sacramento èfrutto della Parola e, a sua volta, po-tenzia la Parola. La Parola, ad un tem-po, è soggetto e oggetto della litur-gia. Ma anche la liturgia, ad un tem-po, è soggetto e oggetto della Parola.

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In realtà - osserva il liturgista A. No-cent - se è vero che la Parola “ha unruolo specifico nella liturgia, è veroanche che la celebrazione liturgica haun ruolo altrettanto determinantenell’attualizzazione della Parola diDio”8. Alla Parola - specifica GiovanniPaolo II - “si è assicurato l’onore chemerita nella preghiera pubblica dellaChiesa” (NMI 39), vale a dire la litur-gia è come un palco d’onore dove laParola è intronizzata, venerata e cele-brata.

Inoltre, se la Scrittura è nata “nel-la”, “per” la liturgia, la Parola procla-mata nella celebrazione si offre nelmedesimo contesto nel quale nacquee si affermò la sua interpretazione.Ossia, l’ambito liturgico è il luogo spe-cifico nel quale la Parola si rigenera,tornando ad essere Parola viva di Dio.Questo rapporto produce una partico-lare efficacia della Parola, così eviden-ziato da A. M. Triacca: “La celebrazio-ne liturgica dona la ‘propria voce’ allaparola di Dio perché si operi la sua at-tuazione. Si comprende pure, quindi,come la Chiesa proclamando la parolanella liturgia, adempia il suo mandatoprofetico con il massimo di efficacia ein maniera pubblica e solenne”9.

Si può dire altresì: la celebrazione èil luogo ermeneutico della Scrittura10:è il titolo della 49a Settimana di Litur-gia dell’Istituto di Teologia ortodossa“Saint-Serge”, Parigi 24-27 giugno2002: “La liturgie interprète de l’écri-ture: 2. Dans les compositions liturgi-ques, prières et chants”. Questo titoloera la continuazione dell’argomentotrattato nella Settimana precedente,di cui gli Atti sono già stati pubblicati:A. M. Triacca - A. Pistoia (ed.), “La li-

turgie, interprète de l’Ecriture: 1. Leslectures bibliques pour les dimancheset fêtes”. Conférences Saint-Serge,48e Semaine d’Etudes liturgiques, Pa-ris 2001”, BEL, “Subsidia”, 119, CLV,Ed. Liturgiche, Roma 2002.

Le due Settimane hanno evidenzia-to la varietà e la densa ricchezza dellarelazione tra Scrittura e liturgia, traannuncio e compimento. La liturgia èil luogo che offre le condizioni neces-sarie per realizzare in pienezza l’in-contro con la Parola di Dio.

Un altro Convegno, questa volta inItalia, reca il titolo :”’Oggi le Scritturesi sono adempiute’. Il mistero della Pa-rola di Dio nelle celebrazioni liturgi-che”. È il 44° Convegno liturgico-pa-storale, Roma 25-27 febbraio 2003,dell’Opera della Regalità di nostro Si-gnore Gesù Cristo. Ivi la relazione diA. Valentini: “La liturgia, luogo in cuiè nata la Bibbia”, ha mostrato come lavocazione della liturgia è quella direndere vivo e far fiorire il testo scrit-turistico.

3. Centralità insostituibile della Parola nella liturgia

“Massima è l’importanza della sa-cra Scrittura nella celebrazione liturgi-ca... Da essa prendono significato leazioni e i gesti liturgici” (SC 24). La Pa-rola nel culto occupa uno spazio ne-cessario e centrale. Vi esercita un ruo-lo determinante, poiché la forza dellaliturgia risiede nella Parola.

a. Nel Signore Gesù Cristo. In Cristola Parola precede ogni altra realtà.Nella parabola del seme della Parolaegli avverte i discepoli:”Se non com-

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prendete questa parabola, come po-trete capire tutte le altre parabole?”(Mc 4,13). Quando una donna anoni-ma in mezzo alla folla elogia sua Ma-dre per il privilegio della maternità fi-sica, di nuovo ammonisce:”Beati piut-tosto coloro che ascoltano la parola diDio e la osservano!” (Lc 11,28). Nelmoltiplicare il pane Gesù ha una suatecnica: prima annuncia la Parola epoi spezza il pane. Lo dimostra l’inti-mo legame tra la parabola del semedella Parola (Mc 4,1-20) e la primamoltiplicazione dei pani e dei pesci(Mc 6,34-44). A Emmaus il Signorerimprovera i discepoli come incapacidi credere alla Parola profetica (Lc24,25), ma poi “cominciando da Mosèe da tutti i profeti, spiegò loro in tuttele Scritture ciò che si riferiva a lui” (v.27), quindi entrò a tavola con loro.“Allora si aprirono loro gli occhi e loriconobbero” (v. 31). Il racconto è tut-to proteso verso la frazione del pane.Ma già la spiegazione della Parola è“gestazione eucaristica”, inizio vero eproprio del convito. Anche nell’eventodi Marta e Maria che accolgono il Si-gnore è evidenziato il primato dellaParola (Lc 10,38-42).

b. Nei Padri della Chiesa. Per i Padrinella Parola si riceve Cristo come lo siriceve nell’Eucaristia. È quanto intuivachiaramente Origene (+ 253/54) quan-do univa il sacramento della Parola alsacramento eucaristico:”È detto chenoi beviamo il sangue di Cristo nonsoltanto quando lo riceviamo secondoil rito dei misteri, ma anche quando ri-ceviamo le sue parole ove risiede la vi-ta, come egli dice di sé stesso: ‘Le mieparole che ho detto sono Spirito e Vi-ta’ “11. Girolamo non teme di collocare

il mistero della Scrittura immediata-mente accanto al mistero dell’Eucari-stia: “Noi mangiamo la sua carne ebeviamo il suo sangue non soltantonel mistero (Eucaristia), ma anche nel-la lettura degli Scritti sacri”. Infatti“vero cibo e vera bevanda che si rice-ve dalla parola di Dio, è la conoscenzadelle Scritture”12. Agostino (+ 430)precisa: “Mediante la parola si fa pre-sente il corpo e il sangue di Cristo. To-gli infatti la parola, ed è pane e vino;mettici la parola, ed è subito un’altracosa... Togli dunque la parola: è panee vino; mettici la parola e diventa sa-cramento”13. Altrove l’Ipponate ribadi-sce: “Quel pane che voi vedete sull’al-tare, santificato con la parola di Dio, èil corpo di Cristo”14. Sant’Ambrogio (+ 397) così spiega la forza della Paro-la nell’Eucaristia: “Tu forse dirai: que-sto pane è come l’altro. Sì! Prima chesiano pronunciate le parole della con-sacrazione è pane come l’altro; madopo la consacrazione da semplice pa-ne diventa carne di Cristo... Come av-viene questo? Mediante la potenzadelle parole pronunciate (attraverso ilsacerdote) da Cristo stesso”, e così in-vitava alla comunione frequente15.Proclo di Costantinopoli (+ 446) argo-menta:”Il miracolo che si compì nelpassato viene presentato ai nostri oc-chi come presente, giacché le divineletture ci presentano anno per annogli eventi del tempo passato e questiavvenimenti vengono celebrati devo-tamente nel loro ritorno annuale”16.

c. Nella celebrazione. Gli storici del-la religiosità pagana osservano che lareligione dell’antica Roma dava moltaimportanza ai riti e non prestava chescarsa attenzione alle dottrine, cioè

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alla Parola, di cui in effetti era priva.L’iniziazione ai misteri eleusini dell’an-tica Grecia consisteva nel vedere e toc-care le cose sacre. Nell’incontro di Cri-sto risorto con i discepoli di Emmaus(Lc 24,13-35), almeno inizialmentenulla si vede, nulla si tocca: si ascolta ilMaestro che illustra la sua risurrezionea partire dalle Scritture (Lc 24,25-27.32.44). Nel vangelo la beatitudinemaggiore consiste nel credere senzaaver visto (Gv 20,29; cf. Lc 11,28).Israele e la Chiesa sono il popolo del-l’udito e dell’ascolto.

Tutte le liturgie mostrano in atto ilprimato della Parola. Si provi ad aboli-re per un istante, per assurdo, la Paro-la e si provi a celebrare. Tutto diventaoscuro e privo di fondamento. Si ri-metta la Parola al centro. Tutto è chia-ro. Tutto ha significato. Senza la Paro-la non esiste azione liturgica: verreb-be a mancare lo spessore stesso deglieventi celebrativi 17. Non invano la li-turgia proclama sempre ed esclusiva-mente la parola biblica (OLM 12)18.Tutto proviene, si fonda e confluisceverso la Parola. Che fornisce lo schemaintangibile dell’intera celebrazione efunge da collegamento tra i vari mo-menti della sequenza rituale.

Nella Parola la liturgia trova la suaorigine, il suo svolgimento e il suo cul-mine (cf. DV 25). “Il popolo di Dio vie-ne adunato anzitutto per mezzo dellaParola del Dio vivente” (PO 4; cf. LG26)19. E Cristo si fa presente all’assem-blea nella Parola e a partire dalla Pa-rola (cf. SC 5-7). Il mistero divino dacelebrare è portato unicamente dallaParola e di fatto si celebrano i conte-nuti della Parola (PO 4), la quale per-tanto si trova al centro dell’intera

azione liturgica: nel dare significatocelebrativo ai vari momenti rituali, de-termina lo stesso rito sacramentale (SC24; cf. 35). Spesso le domeniche delTempo ordinario traggono il loro no-me dal vangelo del giorno. La Paroladell’Eucaristia nelle domeniche e festeè sempre anticipata nei primi vespridella liturgia delle Ore, ritorna nellelodi mattutine, è richiamata nei se-condi vespri. Quella stessa Parola chemotiva il giorno liturgico, viene pro-clamata nella liturgia della Parola, èattuata nell’omelia e conduce mista-gogicamente al convito eucaristico,culmine dell’azione liturgica. Con laParola si consacrano il pane e vino, eall’invito della Parola ci si accosta allamensa divina.

Ridando valore alla Parola si resti-tuisce valore e dignità alla liturgiastessa, che dalla divina Parola acquisi-sce il senso profondo e le sue infinitepotenzialità.

4. Parola e rito

Ogni azione liturgica si componedella liturgia della Parola e liturgiasacramentale. Questa struttura, ad untempo elementare e portante, divieneuno schema celebrativo da cui è im-possibile prescindere.

La Parola è un “gesto sonoro o ri-to verbale”, e il rito, secondo sant’A-gostino, è quasi “visibile verbum”20,“la Parola resa visibile”. L’espressio-ne mostra la simbiosi esistente traParola e rito, che insieme traduconola salvezza (cf. DV 21; 26). I due ele-menti formano un’unità organica,intrinseca e sostanziale, quindi un’u-

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nica e unitaria azione celebrativa.Per sua essenza costitutiva la liturgiaè Parola e rito: la Parola è il sacra-mento della liturgia, e la liturgia è ilsacramento della Parola.

a. La Parola “rito sonoro”. Il pri-mo momento celebrativo invariabil-mente è quello della proclamazionedella Parola, la quale svolge la fun-zione privilegiata d’introdurre e di-sporre la comunità alla celebrazioneplenaria del mistero salvifico, fino adiventare essa stessa celebrazione eazione sacramentale. Sulla base dellaParola, l’assemblea risponde ritual-mente al Signore. Perciò la celebra-zione della Parola va svolta semprecon lo sguardo rivolto alla mensa eu-caristica21. In realtà è data unicamen-te per esser celebrata nel rito, doveattua pienamente quanto dice nelmomento proclamativo.

b. Il rito “Parola visibile”. La cele-brazione rituale è parte essenzialedella liturgia della Parola: arricchiscela Parola esaltandola di tono e di livel-lo. Nel rito la Parola trova il suo supre-mo suggello e manifesta la sua effica-cia (OLM 3).

Il rito a sua volta acquisisce forzasantificatrice in quanto portatore del-la Parola. Pertanto, se il sacramentoda una parte rappresenta il momentoattivo e operante della Parola, dall’al-tra rende recepibile in forma visival’attuarsi rituale della Parola. Il ritonon è altro che la Parola espressa inazione e gesti sacramentali, o anche èuna forma della Parola, anzi, la formain cui la Parola si manifesta ed opera.Inoltre il rito è azione verbale dellaParola divina e umana in quanto, gra-zie ad esso, le parole rituali assumono

carattere operativo e le azioni caratte-re verbale.

Anche in Martin Lutero (+ 1546) laParola conduce e trova compimentonella Messa22. Dopo di lui la riformaprotestante ha fatto della liturgiadella Parola la sua principale formadi culto, relegando i sacramenti el’Eucaristia a celebrazione facoltati-va. Diventando un tutto a sé, la litur-gia della Parola ha assunto una fun-zione extra-sacramentale oppure an-ti-sacramentale. Il protestantesimoha celebrato la Parola a scapito delsacramento. Il cattolicesimo invece,alla Parola ha privilegiato il sacra-mento. In ambedue i casi si è spezza-ta l’unità essenziale tra Parola e sa-cramento.

Parola e rito si integrano a vicendae insieme “parlano”: dicono quelloche accade all’interno della celebra-zione. Il rito fa quello che la Parola di-ce, e questa fa del rito un vero e pro-prio segno salvifico. È questo illinguaggio di tipo performativo del ri-to, che tende a effettuare ciò che dicenel momento stesso in cui lo dice eper il fatto che lo dice: il rito attua in-tegralmente la Parola e la rende pie-namente operativa rispetto al misterocelebrato. La Parola, necessaria all’au-tenticità del rito, è come la chiave dilettura del rito stesso.

Di fronte talvolta alla “prolissitàverbosa” della liturgia (RLI 12), va ri-badito il giusto rapporto interpre-tativo tra Parola e rito. Sganciata dalrito, la Parola verrebbe come disidra-tata, svuotata della sua forza perfor-matrice. Sganciato dalla Parola, il ritosvolgerebbe una funzione quasi mera-mente pedagogica e morale.

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5. La Cena del Signore: liturgiadella Parola e liturgia eucaristica

a. Unico atto di culto. Le dueparti principali dell’Eucaristia sono laliturgia della Parola e la liturgia euca-ristica. Esse sono rispettivamente pre-cedute - quale dilatazione del mo-mento centrale - come da un ingressoo atrio, costituito dai riti di introdu-zione o prologo, e seguite da unaconclusione o chiusura, sostanziantesinei riti di congedo o epilogo (PNMR8). La Parola chiama e convoca in as-semblea celebrante (riti di introduzio-ne) e dopo il rito, la Parola celebratatende a tradursi in opere di carità (ritidi congedo).

Le due parti principali sono “cosìstrettamente congiunte tra di loro daformare un unico atto di culto. NellaMessa, infatti, viene imbandita tantola mensa della parola di Dio quanto lamensa del corpo di Cristo” (PNMR 8;cf. SC 35; 48; 51; 56; EM 10). Per quan-to differiscano per le loro caratteristi-che e si svolgano in sedi distinte, ledue mense, insieme e indivisibilmente,vanno verso un culmine comune: i ritidi comunione. In effetti il Signore cheparla (liturgia della Parola), invita allasua Cena (preghiera eucaristica) peroffrirsi quale pane di vita (riti di co-munione).

b. Disposizione armonica. La li-turgia della Parola precede, ma ancheaccompagna la Cena; questa, in certomodo, si attua fin dalla liturgia dellaParola. Le due parti si intersecano earmonizzano tra loro. “La Parola creal’Eucaristia, l’Eucaristia a sua voltaproclama la Parola”23. “Non solo la li-turgia della Parola precede il sacra-

mento, ma al cuore di ogni sacramen-to c’è sempre una liturgia della Paro-la”24. San Paolo ricorda: “Ogni voltache mangiate di questo pane e bevetedi questo calice, voi annunciate lamorte del Signore” (1 Cor 11,26): allu-sione evidente alla liturgia della Paro-la che ha luogo durante la Cena.

“Senza la Liturgia della Parola, laLiturgia eucaristica è la presenza di unmuto; senza il sacrificio-banchetto, laParola è la voce di un assente. In forzadella Liturgia eucaristica, la Parola èpresenza; in virtù della Parola, l’Euca-ristia è parlante”25. Parola e sacramen-to sono indivisibili: ambedue sonoportatori del mistero del Signore. L’u-na lo illumina, l’altro lo attua. La Pa-rola, proposta sacramentale, annunciail sacramento, e questo, risposta allaParola, la compie.

La migliore e più completa letturadella Parola si ha nella celebrazione. LeScritture vanno spiegate - per antono-masia - nel contesto della Cena, poichéquesta riconosce e dà forza celebrativaalla Parola. Non per nulla in At 2,42 sinarra che la prima comunità cristianaera assidua nell’ascoltare l’insegnamen-to degli Apostoli e nella frazione delpane. Così i discepoli di Emmaus com-prendono gli avvenimenti del triduopasquale e riconoscono il Signore risor-to, dopo aver ascoltato la spiegazionedelle Scritture e aver mangiato il panespezzato dal Signore (Lc 24,27-32.35). Ela Preghiera eucaristica V narra che,nello stesso tempo, Gesù “come ai di-scepoli di Emmaus ci svela il senso delleScritture e spezza il pane per noi”.

Se dai cristiani riformati, nel passa-to, la Cena era considerata quale ap-pendice facoltativa della celebrazione

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della Parola, per i cattolici la liturgiadella Parola quasi costituiva l’antefat-to o un preambolo all’Eucaristia. Lacelebrazione della Parola non è parsexigua, “parte minore” dell’Eucaristia,né questa semplice appendice di quel-la. La Parola tende all’azione sacra-mentale, e il sacramento si fonda sullaParola. Le due parti o insieme si sor-reggono, o l’una fa crollare l’altra.

Rilievi conclusivi

La Parola è per la liturgia. La litur-gia celebra la Parola. Fuori da questointangibile equilibrio si rischia di per-dere il fondamento e l’unità del datocelebrativo. L’azione liturgica (rispostarituale) deve essere conforme alla Pa-rola (proposta rituale) che è all’origi-ne del rito; questo traduce la Parola inazioni celebrative.

“La riforma, il progresso e l’adatta-mento della sacra liturgia”, dipendeda una “soave e viva conoscenza dellasacra Scrittura” (SC 24), ci insegna ilVaticano II. Però nelle “Conclusioni” alConvegno liturgico di Assisi nel 1986,

M. Magrassi rilevò che si era parlatopoco del binomio indiscindibile “Bib-bia e liturgia”. Eppure poi osservava:“Ciò che la Bibbia racconta, ciò che ladogmatica approfondisce sotto l’a-spetto sistematico, la liturgia lo pre-senta e lo attualizza nell’atto stesso dicelebrare”26.

Nonostante positivi ed encomiabilisegnali - secondo i Vescovi italiani -,ancora non è stato recepito abbastan-za “il nesso indissolubile tra i due or-dini di segni della Parola di Dio: comela Bibbia annunci ciò che nella cele-brazione si compie e come la liturgiarealizzi ciò che la Bibbia annuncia”(BCV 25), ossia l’unità sostanziale traliturgia della Parola e liturgiasacramentale. Difatti gli stessi Vescoviconstatano “la fatica a far sintesi traScrittura e catechismo, tra esperienzabiblica e liturgica, come pure la po-vertà biblica di tante omelie e spessola carente motivazione evangelica nel-l’esercizio della carità” (BVC 11).

A nostro avviso, facendo eco aCVMC (n.49), è necessario approfondi-re la liturgia quale veicolo del misteroannunciato dalla Parola.

—————————————1 Abbreviazioni e sigle

BVC - CEI, Commissione episcopale per la dottrina della fede e la catechesi, La Bibbia nella vitadella Chiesa (1995), in ECEI 5/2903-2958.CVMC - CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Epi-scopato italiano per il primo decennio del 2000 (2001).Dir - CCDS, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (2002).EM - ISCR, Eucharisticum mysterium (1967), in EV 2/1293-1367.NMI - GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001).OLM - Ordinamento delle Letture della Messa (21981), in EV 7/999-1125.PNMR - Principi e Norme per l’uso del Messale Romano (in CEI, Messale Romano, 21983).RLI - CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia (1983), in ECEI 3/1523-1548.TMA - GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Tertio millennio adveniente (1994), in EV14/1714-1820.

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WA - M. LUTHER, Werke. Kritische Gesamtausgabe, 1-58, Weimar 1833ss.2 Cf. GIROLAMO, Epist. 22,35, in PL 22,419-421.3 J. MARITAIN, Della grazia e dell’umanità di Gesù, Brescia 1971, 49, nota 3.4 Cf. L. BOUYER, La Parole divine et l’Église, in Bible et vie chrétienne 1 (1953), 7-70. 5 ID., Il rito e l’uomo. Sacralità naturale e liturgia, Brescia 1964, 121-153. Il canto “Genti tutte” reci-

ta: “la Parola del Signore pane e vino trasformò” e “Al mistero è fondamento / la Parola di Gesù”.6 In AAS 50(1958)916. 7 K. BARTH (+ 1968) afferma: “Al movimento di Dio che assume la nostra natura... corrisponde un

certo movimento da parte dell’uomo. Questo movimento... resta interamente determinato dallaParola di Dio” (Dogmatique, 1/1, II partie, Ginevra 1953, 145). Secondo un gioco molto bello resopossibile dalla lingua tedesca, Dio è la Parola originaria: Das Wort Gottes che costituisce l’uomocome parola seconda o derivata: der Ant-wort; questa è possibile solo se suscitata da quella. Oanche, riferendoci ancora alla lingua tedesca: prima c’è die Gabe, il dono di grazia offerto da Dioa noi, e quindi viene Hin-gabe, la dedizione, l’abbandono, la nostra risposta al dono di Dio.

8 A. NOCENT, La lettura della Sacra Scrittura, in AA. VV., Nelle vostre assemblee, Brescia 2 1975, 227.9 A. M. TRIACCA, Bibbia e liturgia, in NDL 185. 10 Cf. R. FALSINI, La celebrazione come luogo ermeneutico della Scrittura, in RPL 118(1983)33-40;

S. LANZA, La celebrazione come luogo ermeneutico della Scrittura. Punto di vista di un biblista,in RPL 118(1983)23-32; P. BEGUIERE, La Bible née de la liturgie, in LMD 26(1976)108-116.

11 ORIGENE, In Num. hom. 16,9, in PG 12,701.12 GIROLAMO, In Eccles. 3,13, in PL 23, 1092A.13 AGOSTINO, Disc. 229,3, in NBA 32/1,407.14 AGOSTINO, Disc. 227,1, Ivi, 387.15 AMBROGIO, Des sacrements 4, 4, 14, in SChr 25bis, 109.16 PROCLO di COSTANTINOPOLI, Sermo 15,1, in PL 54,508. 17 Mentre al contrario, strettamente parlando, senza l’eucologia - riformabile e in effetti riforma-

ta di epoca in epoca - si può celebrare. Solo la Parola è indispensabile e irriformabile.18 Sebbene, come già nella Liturgia delle Ore, per le celebrazioni penitenziali non sacramentali, il

Rito della Penitenza preveda “anche altre letture, tratte dai Padri o da altri scrittori” (n. 36). 19 PO 4 cita 1 Pt 1,23; At 6,7; 12,24.20 “Accedit verbum ad elementum, et fit sacramentum, etiam ipsum tamquam visibile verbum”

(AGOSTINO, Comm. a Gv 80,3, in NBA 24,1236). 21 “In tal modo i fedeli, ricevendo la parola di Dio e nutriti di essa, sono portati, nel rendimento

di grazie, a una partecipazione fruttuosa dei misteri della salvezza” (EM 10).22 La Messa è definita “parte del Vangelo, anzi la sostanza del Vangelo” (WA 6,525), “usus ipse

Evangelii” (WA 12,211).23 L. DEISS, La cena del Signore. L’eucaristia nella chiesa, Bologna 1977, 180.24 J. LEBON, Per vivere la liturgia, Roma 1988, 56. In questo senso i vescovi italiani fanno notare il

comportamento incoerente “di quanti, con leggerezza, giungono in ritardo alla celebrazione,in particolare a quella eucaristica” (BVC 26), trascurando sia la formazione dell’assemblea, siala proclamazione della Parola.

25 S. ROSSO, Eucaristia, in E. COSTA jr. (ed.), Enciclopedia di pastorale, 3. Liturgia, Casale Monfer-rato 1988, 217.

26 M. MAGRASSI, Conclusioni, in AA. VV., Assisi 1956-1986: Il movimento liturgico tra riforma con-ciliare e attese del popolo di Dio, Assisi 1987, 185.

—————————————

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Per poter comprendere come laSacrosanctum Concilium sia ilculmine di tutto il Movimento

Liturgico occorre, brevemente, ricor-dare le idee ed intuizioni che hannoaccompagnato alcuni pionieri del Rin-novamento.

Per P. Guéranger «la Liturgia è lapreghiera della Chiesa»2, preghierache nasce tutta dallo Spirito Santo, ve-ro ispiratore del canto del salmista edei profeti, dei cantici della Nuova Al-leanza e finalmente del «“canticonuovo” intonato dalla Chiesa. Da que-sta triplice fonte, aperta dallo Spirito,emana l’elemento divino chiamato Li-turgia»3. Egli vuole ritrovare così il tipovero della preghiera cristiana perduto-si attraverso i secoli. È entrata la pre-ghiera individuale al posto di quellasociale e il canto fu riservato ai giornisolenni. Poi è venuta la Riforma, poi ilrazionalismo e «i paesi cattolici si tro-vavano in braccio a questo spirito d’or-goglio nemico della preghiera: la pre-ghiera non è azione, dicono»4.

Sintetizzando poi gli sforzi spiritua-li dei secoli precedenti continuavaGuéranger: «A porre rimedio ad unmalessere indefinibile si fece ricorsoallo spirito di preghiera e alla preghie-ra stessa secondo dati metodi in libriche contengono, è vero, pensieri lode-voli e pii, ma pensieri umani. Tale nu-trimento è vuoto perché non conducealla preghiera della Chiesa, separa in-vece di unire»5. Egli vuole, quindi, af-

fermare «l’incontestabile superioritàdella preghiera liturgica sopra l’indivi-duale»6, perché «Gesù Cristo stesso èmezzo ed oggetto della Liturgia».

L’opera di Guéranger era destinataa portare i suoi frutti perché dall’am-biente monastico, nutrito dello spiritodell’abate di Solesmes, sarebbe uscitoil benedettino belga Beauduin (1873-1953), che avrebbe fatto fare alla Li-turgia un vero balzo in avanti sul pia-no teologico. Egli definisce la Liturgiacome «il culto della Chiesa».

«Il soggetto unico ed universale delculto della Chiesa, è il Cristo risuscitatoe glorioso, che sta alla destra del Pa-dre... È lui che esercita il nostro culto...Unico mediatore tra Dio e l’umanità,Pontefice eterno... della Nuova Al-leanza, pontefice unico che compie, quisulla terra, tutta la nostra Liturgia»7

.Questa visione porta il Beauduin

sulle vie che saranno quelle del Vati-cano II, perché quest’azione di Cristoaltro non potrà essere che l’opera del-la salvezza, vista «non come una pagi-na di storia, come un monumentocommemorativo o come un sistema fi-losofico (di verità astratte), ma comeuna realtà soprannaturale, semprepresente, sempre attiva, il cui centrovitale è il Cristo glorioso»8.

Per effetto di tale presenza attivadi Cristo, quindi, il culto della Chiesa sirivela come esercizio del sacerdozio diCristo e diventa storia della salvezzain atto, cioè il momento attivo col

La Sacrosanctum Concilium culmine del Movimento Liturgico1

di don Francesco Giuliani

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quale Cristo «ci costituisce in sua co-munità e ci sviluppa in suo Corpo mi-stico», perché il «vero culto (cristiano)si ha soltanto quando si diventa mem-bri del Corpo di Cristo»9. Riguardo alsacerdozio col quale Cristo esplica lasua azione cultuale nella Chiesa, ilBeauduin precisa il significato dicendoche: è personale, (cioè vuol dire che èil sacerdozio personale di Cristo adagire per mezzo di coloro che sonosuoi ministri in forza di un sacramen-to); è collettivo (noi diremo «comuni-tario», in quanto Cristo, assommandoin sé tutta l’umanità redenta, esercita«un’azione sacerdotale collettiva e so-lidale, a favore e a vantaggio di tuttala sua comunità»), ed è gerarchico(cioè, pur essendo «Cristo stesso a

esercitare qui in terra il suo sacerdo-zio», tuttavia, volendo renderlo visibi-le, si hanno «dei ministri, strumenti,che agiscono in suo nome e in suo po-tere»).

O. Casel, filologo delle lingue classi-che, fu impressionato dal fatto che l’a-zione liturgica, viene chiamata, nellefonti liturgiche, con i nomi di myste-rium - sacramentum. Persuaso che illinguaggio delle fonti liturgiche nonpuò essere interpretato al di fuori dellacultura di un ambiente, si rivolse allostudio del «mysterium», che nell’anti-chità indicava una certa forma cultualeben determinata e che veniva espressadalla cosiddetta «religione dei misteri»(misteri di Iside, Osiride…).

Partendo dal fatto che la «liturgia»cristiana è chiamata costantementemistero, Casel scopre che le compo-nenti essenziali di questo termine tec-nico-cultuale sono: • l’esistenza di un avvenimento pri-

mordiale di salvezza; • che questo avvenimento è reso

presente in un rito; • che l’uomo di ogni tempo attraver-

so il rito attua la sua e l’universalestoria di salvezza.Applicati, dunque questi elementi,

risulta che il culto cristiano realizzan-dosi sul piano e nella forma cultualedel mistero, non è tanto un’azionedell’uomo che cerca un contatto conDio (concetto naturale di «religione»),quanto un momento dell’azione salvi-fica di Dio sull’uomo (concetto «rivela-to» di «religione»). Perciò, Casel, defi-nisce la Liturgia come «l’azione ritualedell’opera salvifica di Cristo, ossia pre-senza, sotto il velo di simboli, dell’o-pera divina della redenzione»10.Cristo Pantocrator; Icona

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L’importanza di questa posizione diCasel è enorme, anche se al primo mo-mento non tutti la compresero. Met-tendo infatti a monte della Liturgia,come suo punto di partenza, l’avveni-mento salvifico di Cristo, la liturgianon è soltanto una «istituzione» ve-nutaci da Cristo, ma è la continuazio-ne rituale del mistero di Cristo. In al-tre parole: nella liturgia (nella formarituale segno-realtà), l’avvenimentostesso della salvezza viene reso pre-sente e attivo per gli uomini di ogniTempo e luogo e, conseguentemente,ogni azione liturgica rappresenta unsuccedersi di momenti nella storia del-la salvezza.

Fondamentale, per un certo chiari-mento di posizioni e per un maggioreslancio nell’approfondimento li-turgico, arriva come pietra milia-re nella storia della liturgia, l’En-ciclica di Pio XII Mediator Dei. LaLiturgia viene presentata dal-l’Enciclica, già nelle sue pagineintroduttive, come il mezzo prin-cipale dato alla Chiesa «per con-tinuare l’ufficio sacerdotale diCristo», e, più avanti, la liturgiaè definita come «l’esercizio delsacerdozio di Cristo» ossia lostesso suo sacerdozio in atto. Cri-sto, infatti, fin dal momento del-la sua Incarnazione «si rivelò almondo nella sua qualità di sacer-dote», nell’offerta che di se stes-so fece al Padre (Ebr 10, 5-7) eche consumò nel sacrificio cruen-to della Croce. Ma, oltre a ciò,Cristo volle che lo stesso «cultoda lui prestato e istituito nellasua vita terrena non venisse maia cessare» in mezzo agli uomini,

e, per questo, volle lasciare alla Chiesanon solo il suo potere di magistero edi governo, ma anche «il sacrificio e isacramenti da lui stesso istituiti», af-finché la Chiesa diventasse «ogni gior-no più un tempio santo, nel quale laMaestà divina ricevesse un culto gra-dito e legittimo»11. Di qui la definizio-ne: «La Liturgia è dunque il culto pub-blico che il nostro Redentore, capodella Chiesa, presta al Padre celeste, eche la comunità dei fedeli presta alsuo fondatore e per mezzo di lui alPadre. Più brevemente: la Liturgia è ilculto pubblico totale del Corpo misti-co di Cristo, capo e membra »12.

Per la Mediator Dei il punto di par-tenza per comprendere la liturgia èdunque Cristo, che nella sua qualifica

Cristo Pantocrator, mosaico, S. Sofia, Instabul, sec XIII

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di mediatore e sacerdote unico dell’u-manità offre al Padre un culto perfet-tissimo. Rifacendosi a Eb 10, 5-7, PioXII non solo pone l’Incarnazione comemomento iniziale della missione sacer-dotale di Cristo, ma dà ad essa unachiara finalità cultuale, in quanto «lagloria del Padre e la sempre maggioresantificazione degli uomini», costitui-scono di fatto, «il culto da lui istituitoe prestato durante la sua vitaterrena»13. Questo «culto sacerdotaledi Cristo» si sintetizza prima di tutto«nell’atto di sottomissione» che Cristofa al Padre entrando nel mondo e«che durerà per tutto il tempo dellasua vita», fino ad essere «portato acompimento in modo mirabile nel sa-crificio cruento della croce» e cheavrà, come conseguenza, la santifica-zione degli uomini.

La liturgia della Chiesa, allora, nonè altro che «la continuazione ininter-rotta» del culto già prestato da Cristodurante la sua vita terrena, e precisa-mente nella duplice dimensione di«glorificazione di Dio e santificazionedegli uomini». Questo principio, cheforma l’elemento base della naturateologica della liturgia, si fonda a suavolta su due punti complementari traloro: la natura cultuale della Chiesa, ela presenza di Cristo mediatore esacerdote nella Chiesa.

La liturgia risulta essere, allora, l’a-zione cultuale unitaria del capo e delcorpo della Chiesa in una simbiosi-osmosi” totale: la Chiesa in e per mez-zo di Cristo e Cristo nella e per mezzodella Chiesa.

Dal 1951 al 1961, anno di indizionedel concilio Vaticano II, si susseguiro-no alcuni, importanti documenti pon-

tifici i quali segnarono per la Liturgial’avvio di una riforma, che nella men-te di Pio XII doveva essere generale.

Essi sono nell’ordine:1. - 9 febbraio 1951: restaurazione

della veglia pasquale;2. - 6 gennaio 1953: introduzione

delle messe vespertine e nuove normeper il digiuno eucaristico;

3. - 23 marzo 1955: decreto di sem-plificazione delle rubriche del messalee del breviario;

4. - 16 novembre 1955: pubblica-zione del nuovo Rito della settimanasanta, accompagnata da una intelli-gente istruzione pastorale;

5. - 3 settembre 1958: istruzionesulla musica nella Liturgia, che ten-tava di affrontare in termini abba-stanza nuovi il problema della parteci-pazione attiva;

6. - 25 luglio 1960: nuovo codice dellerubriche, che ristrutturava, estendendo ilprincipio della «semplificazione» del1955, sia le rubriche generali, sia quelleproprie del breviario e del messale, sia lostesso calendario liturgico.

La prima caratteristica del modocon cui il Vaticano II introduce il di-scorso sulla liturgia nella Sacrosanc-tum Concilium, è data dal fatto chela liturgia non compare come “con-clusione” di un discorso sulla naturadel culto e sulle forme di attuazionedi esso, ma entra direttamente atrattare della Rivelazione come sto-ria della salvezza, discorso che co-minciava a mostrarsi come la chiavedi volta di tutta la liturgia.

La SC, infatti, vede come, soprat-tutto nei numeri 5-6-7, solo partendodalla presentazione della «rivelazio-ne-storia della salvezza» è possibile

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giungere gradualmente alla «Liturgia-azione salvifica di Cristo nella Chiesa».

La liturgia centrata sulla «storiadella salvezza»

La liturgia infatti, centrata sulla«storia della salvezza» acquisisce quelvalore esistenziale e perenne che nefa la ragione di vita del cristianesimo,non come proposizione dottrinale, macome momento nel quale «si attual’opera della nostra redenzione in mo-do tale che per essa il mistero di Cristoe la stessa autentica natura della Chie-sa si esprimono nella vita e si rivelanoagli altri» (SC 2).

Nel n.° 5 troviamo la storia dellasalvezza suddivisa in tre momenti: il1° momento, quello «profetico», mo-mento cioè di «annunzio» del pianodella salvezza, annunzio in cui vienegradualmente rivelato l’eterno amorecon il quale il Padre, «volendo salvitutti gli uomini» (1 Tm 2, 4), li vede eli elegge come figli nel suo Figlio (Ef1, 4; 2 Tm 1,9); è la rivelazione del«mistero nascosto dai secoli in Dio»(Col 1,26).

Il 2° momento, quello della «pie-nezza dei tempi», quello cioè in cui itempi di preparazione cessano e «laParola si fa carne» portando in sé il«vangelo» e la «salvezza»: la salvezza,da annunzio per gli uomini («Parola»),diventa realtà negli uomini («carne»).La salvezza entra nel tempo, per at-tuarsi in esso attraverso la presenza diDio nell’umanità di Cristo, in modoche tutti «quelli che accolgono Cristo(cioè la salvezza realizzata) diventinofigli di Dio» (Gv 1,12).

Il 3° momento che è insieme il risul-tato e la continuazione del II momen-to. Ossia il II momento della storia del-la salvezza, che è il tempo di Cristo, dàorigine e continua poi per sempre nelIII momento della storia, vale a direnel tempo della Chiesa. Dal Cristo mo-rente sulla croce è scaturito il meravi-glioso mistero della Chiesa. Al mo-mento in cui Cristo compie l’operadella salvezza, in quello stesso mo-mento sorge la Chiesa, cioè la salvezzacompiuta nell’umanità di Cristo diven-ta di pieno diritto una realtà per tuttigli uomini, attraverso i sacramenti (ac-qua-sangue-spirito) che appunto lacostituiscono in vera Chiesa e cioè inCorpo di Cristo (Chiesa-mistero).

La liturgia attuazione del MisteroPasquale

La SC 5, nel sottolineare queste trefasi successive dell’azione redentricedi Cristo, dice che esse sono state rea-lizzate da lui nel «mistero pasqualedella sua santa passione, della sua ri-surrezione dai morti e della sua glo-riosa ascensione». Introducendo l’ideadi «mistero pasquale», e speci-ficandolo con i genitivi della passione,della risurrezione e dell’ascensione, ilConcilio, praticamente, dà a questimomenti dell’opera di Cristo il «comu-ne denominatore» di mistero pasqua-le.

Con questa affermazione la Pasquadi Cristo, ossia la realtà della reden-zione operata da Cristo, viene posta:a) al centro della storia della salvezza,

e:b) al centro della Liturgia.

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La liturgia ultimo momento nellastoria della salvezza

Il discorso liturgico vero e propriodel concilio Vaticano II comincia solocon il n.° 6 della SC.

Dopo aver tracciato in sintesi i mo-menti di attuazione del mistero dellasalvezza e aver individuato l’attuazio-ne completa in Cristo, la SC richiamala «missione di Cristo».

«Come Cristo fu mandato dal Pa-dre, così egli mandò gli Apostoli, per-ché annunziassero... che il Figlio diDio ci aveva liberati... e perché attuas-sero, per mezzo del sacrificio e dei sa-cramenti - su cui gira tutta la Liturgia -quella stessa opera di salvezza che an-nunziavano ».

Qui abbiamo espressa non solo l’inti-ma relazione che passa tra Scrittura e li-turgia, ma la liturgia chiaramente ap-pare come momento della Rivelazione,storia della salvezza, in quanto attua-zione del mistero di Cristo, oggetto ditutta la Rivelazione. Questa attuazioneriguarda tanto il mistero di Cristo in sestesso - realizzazione nel tempo - quan-to il suo annunzio. Oggi la liturgia è an-ch’essa - come Cristo stesso - un avveni-mento di salvezza, nel quale continua atrovare compimento quell’annunzioche nel tempo antico prometteva larealtà di Cristo. La liturgia è quindi ilmomento-sintesi della storia della sal-vezza, perché congloba «annunzio» e«avvenimento» ossia AT e NT; ma allostesso tempo è il momento ultimo dellastessa storia, perché essendo la «conti-nuazione della realtà», che è Cristo, suocompito è quello di ultimare gradual-mente, nei singoli uomini e nell’uma-nità, l’immagine piena di Cristo.

La SC 7, concludendo, può quindiaffermare che la Liturgia è l’eserciziodell’ufficio sacerdotale di Cristo, eser-cizio che• implica la santificazione degli uo-

mini e insieme il perfetto culto diDio, e

• si esplica in un regime di segni.Come si vede, nella liturgia viene

messa al primo posto «la santificazionedegli uomini», perché solo con la san-tità l’uomo può rendere culto a Dio.Non bisogna infatti confondere il «cul-to», con le sue esteriori «espressioni».Queste sono tali e sono valide soloquando appunto «esprimono» uno sta-to di reale e totale adesione a Dio.Questo non può ottenersi dall’uomosul piano umano, ma solo quando l’on-tologica unità esistente in Cristo tral’uomo e Dio, viene comunicata all’uo-mo: a questo provvede appunto la li-turgia con i suoi «sacramenti». Per essiinfatti il mistero di Cristo diventa unarealtà che investe tutti gli uomini.

La liturgia presenza di Cristo

Per mezzo della Parola e dei sacra-menti Cristo continuerà ad esistere trae negli uomini, in una presenza conti-nua.

La SC 7 si prende cura di elencarealcuni momenti della liturgia nei qualiviene affermata questa presenza:1. nel sacrificio della messa e precisa-

mente nel sacerdote e nel sacra-mento, come presenza di vittima(sacramento) e presenza di offeren-te (Cristo eterno sacerdote);

2. nei sacramenti, perché «in essi» èCristo che agisce;

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3. nella Parola proclamata nella co-munità della Chiesa;

4. nella preghiera comunitaria, per-ché Cristo è sempre presente inuna comunità unita nel suo nome.

Liturgia e sacerdozio comune

«La liturgia è il culto della Chiesa»è una definizione che risale ai primitempi del movimento liturgico, ed eb-be sempre il primato tra i maggioripionieri della liturgia.

Nella SC 14 si nomina, seppure dipassaggio, “il sacerdozio comune”,per affermare che il popolo cristiano,«in quanto regale sacerdozio ha il do-vere e il diritto, in forza del Battesi-mo, di prendere parte alla Liturgia».

Inoltre, nella SC 26 - tenendo pre-sente che liturgia è culto della Chiesa -si afferma che «le celebrazioni liturgi-che non sono azioni private, ma ce-lebrazioni della Chiesa, sacramento diunità, e cioè popolo santo, radunato eordinato sotto l’autorità dei vescovi.

Perciò sono celebrazioni che appar-tengono all’intero corpo della Chiesa,la manifestano e la implicano; i singolimembri vi sono interessati in diversomodo, secondo la diversità di stato, diuffici e di partecipazione attuale».Non appare il termine «sacerdozio deifedeli», ma esso sta alla base dell’af-fermazione. Soggetto della celebra-zione è infatti tutta la Chiesa senza di-stinzione, e cioè in quanto compostadi capo e di membra. D’altra parte sevi è differenza di rapporti tra i singolie la liturgia, tale differenza non è da-ta dal «sacerdozio» degli uni e dal«non sacerdozio» degli altri, ma dalladiversa posizione («stato») che posso-no avere nel sacerdozio stesso.

Queste affermazioni rivestono unagrande importanza per la vita dellaChiesa, perché in esse viene enunziatala ragione ultima della partecipazionedei fedeli alla liturgia: non è né «privi-legio», né «concessione», ma «doveree diritto» fondato su un «sacerdozio»di origine «sacramentale», ottenutocol Battesimo.

—————————————1 Per la realizzazione di questo sussidio ho utilizzato come riferimento: D. SARTORE-A.M. TRIACCA-

C. CIBIEN, Liturgia, Cinisello Balsamo, 2001; il vol. 1 di Anamnesis: B. NEUNHEUSER-S. MARSILI-M.AUGÈ-R. CIVIL (a cura di), La Liturgia, Genova, 19946.

2 P. GUÉRANGER, L’anno liturgico, vol. I, Torino 1884, 2.3 P. GUÉRANGER, L’anno liturgico, 2.4 P. GUÉRANGER, L’anno liturgico, 5.5 P. GUÉRANGER, L’anno liturgico, 6ss.6 P. GUÉRANGER, L’anno liturgico, 7.7 L. BEAUDUIN, Essai de Manuel de Liturgie, in Mélanges liturgiques, Mont-César, Louvain 1954, 73.8 L. BEAUDUIN, Essai de, 76.9 L. BEAUDUIN, Essai de, 77.10 O. CASEL, Mysteriengegenwart, in Jahrbuch f. Liturgiewissenschaft, 8, 1928, 145.11 AAS 39, 1947, 528.12 AAS 39, 1947, 528.13 AAS 39, 1947, 527.

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“G li Apostoli, accogliendonel Cenacolo l’invito diGesù: « Prendete e man-

giate... Bevetene tutti... », sono en-trati, per la prima volta, in comunio-ne sacramentale con lui. Da quel mo-mento, sino alla fine dei secoli, laChiesa si edifica mediante la comu-nione sacramentale col Figlio di Dio

immolato per noi: «Fate que-sto in memoria di me... Fatequesto, ogni volta che nebevete, in memoria di me».”Il secondo capitolo dellaLettera enciclica Ecclesia de

Eucharistia sottolinea il ruolo insosti-tuibile dell’Eucaristia nell’edificazio-ne della Chiesa: il Concilio Vaticano IIha autorevolmente ricordato che lacelebrazione eucaristica è al centrodel processo di crescita della Chiesa.« Ogni volta che il sacrificio dellaCroce “col quale Cristo, nostro agnel-lo pasquale, è stato immolato” vienecelebrato sull’altare, si effettua l’o-pera della nostra redenzione. E insie-me, col sacramento del pane eucari-stico, viene rappresentata e prodottal’unità dei fedeli, che costituisconoun solo corpo in Cristo ».

“L’incorporazione a Cristo, realiz-zata attraverso il Battesimo, si rinno-va e si consolida continuamente conla partecipazione al Sacrificio eucari-stico, soprattutto con la piena parte-cipazione ad esso che si ha nella co-munione sacramentale. Possiamo di-re che non soltanto ciascuno di noi

riceve Cristo, ma che anche Cristo ri-ceve ciascuno di noi”. Infatti nellacomunione eucaristica si realizza il«dimorare» l’uno nell’altro, di Cristoe del discepolo, e il Popolo dellanuova Alleanza diventa “sacramen-to” per l’umanità, “segno e strumen-to della salvezza operata da Cristo,luce del mondo e sale della terra perla redenzione di tutti”. La Chiesa,che prosegue nel tempo la missionestessa di Cristo - «Come il Padre hamandato me, anch’io mando voi» -trae la forza spirituale necessaria aquesto scopo dal rinnovo del sacrifi-cio della Croce nell’Eucaristia e dallacomunione col corpo e con il sanguedi Cristo. “Così l’Eucaristia si pone co-me fonte e insieme come culmine ditutta l’evangelizzazione, poiché ilsuo fine è la comunione degli uominicon Cristo e in Lui col Padre e con loSpirito Santo.”

Attraverso la comunione eucaristi-ca, la Chiesa viene anche consolidatanella sua unità di corpo di Cristo, inquanto “la nostra unione con Cristo,che è dono e grazia per ciascuno, fasì che in lui siamo anche associati al-l’unità del suo corpo che è la Chiesa.L’Eucaristia rinsalda l’incorporazionea Cristo, stabilita nel Battesimo me-diante il dono dello Spirito.” Nellacomunione eucaristica ognuno riceveil dono di Cristo e del suo Spirito, cheporta a compimento in pienezza lenostre profonde aspirazioni all’unitàfraterna, e insieme “innalza l’espe-

Ecclesia de Eucharistia (3) di Stefano Lodigiani

Testi edocumenti

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rienza di fraternità insita nella comu-ne partecipazione alla stessa mensaeucaristica a livelli che si pongonoben al di sopra di quello della sem-plice esperienza conviviale umana”.Mentre l’umanità è soggetta ai “ger-mi di disgregazione” conseguenzadel peccato, la forza generatrice diunità del corpo di Cristo costruisce laChiesa e crea comunità fra gli uomi-ni, opponendosi così agli elementi didivisione.

Questo secondo capitolo dell’enci-clica si conclude con un paragrafoespressamente dedicato al culto resoall’Eucaristia fuori della messa. Il Pa-pa ribadisce che ha “un valore inesti-mabile nella vita della Chiesa” ed “èstrettamente congiunto con la cele-brazione del Sacrificio eucaristico”.Ai Pastori è affidato l’incarico di “in-coraggiare, anche con la testimo-nianza personale, il culto eucaristico,particolarmente le esposizioni delSantissimo Sacramento, nonché la so-

sta adorante davanti a Cristo presen-te sotto le specie eucaristiche. È bellointrattenersi con Lui e, chinati sul suopetto come il discepolo prediletto,essere toccati dall’amore infinito delsuo cuore.” Inoltre Giovanni Paolo IIsottolinea l’esigenza profonda “ditrattenersi a lungo, in spirituale con-versazione, in adorazione silenziosa,in atteggiamento di amore, davantia Cristo presente nel Santissimo Sa-cramento” e rende tutti partecipidella sua esperienza personale:“Quante volte, miei cari fra-telli e sorelle, ho fatto que-sta esperienza, e ne ho trat-to forza, consolazione, so-stegno!” Dopo aver ricorda-to l ’esempio di numerosisanti e le raccomandazioni del magi-stero, il Papa conclude: “L’Eucaristiaè un tesoro inestimabile: non solo ilcelebrarla, ma anche il sostare da-vanti ad essa fuori della Messa con-sente di attingere alla sorgente stes-sa della grazia.” (continua)

Testi edocumenti

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L a realtà della croce sta sempredi fronte a ogni discepolo diCristo. Quando guardiamo al-

la croce ricordiamo il grande amoreche Dio ha per noi. La croceè segno di questo amore,che è più forte del peccato edella morte. Inoltre, nonpossiamo guardare alla cro-ce senza ricordare le soffe-

renze che il Signore patì per la no-stra salvezza. Molto prima che il Si-gnore prendesse su di sé la croce dilegno per portarla in cima al Calva-rio, egli aveva preso su di sé moltealtre croci. Conobbe la sofferenzadella croce ogni volta che fu rigetta-to da coloro che desiderava salvare.Conobbe la sofferenza della croceogni volta che fu accusato ingiusta-mente.

Per queste ragioni il Signore haassociato la croce con il discepolato:“Se qualcuno vuol venire dietro ame rinneghi se stesso, prenda la suacroce e mi segua” (Mt 16,24). La vitadel discepolo è centrata su Dio enon su se stesso. Inoltre, solo viven-do l’amicizia con Dio possiamo rico-noscere chi siamo realmente: “Per-ché chi vorrà salvare la propria vita,la perderà; ma chi perderà la pro-pria vita per causa mia, la troverà”(Mt 16,25).

Il Signore ci dice che seguirlo si-gnifica essere vittime di ingiurie eprendere su di sé la croce della per-secuzione e della calunnia. Occorrericonoscere che le nostre convinzio-ni di fede non sono condivise datutti. Quando diciamo “Padre no-stro”, noi professiamo convinzionispecifiche riguardo a Dio, a noi stes-si, agli altri e al mondo. Le nostreconvinzioni di fede ci spingono acomportarci in una maniera diffe-rente dagli altri. Siamo chiamati avivere una vita quotidiana degnadella nostra vocazione di figli diDio. Per questo motivo possiamo ri-trovarci vittime di persecuzioni:“Carissimi, non siate sorpresi perl’incendio di persecuzione che si èacceso in mezzo a voi per provarvi,come se vi accadesse qualcosa distrano. Ma nella misura in cui parte-cipate alle sofferenze di Cristo, ral-legratevi perché anche nella rivela-zione della sua gloria possiate ralle-grarvi ed esultare. Beati voi se veni-te insultati per il nome di Cristo,perché lo spirito della gloria e lospirito di Dio riposa su di voi. Nessu-no di voi abbia a soffrire come omi-cida o ladro o malfattore o delato-re. Ma se uno soffre come cristiano,non ne arrossisca; glorifichi anzi Dioper questo nome” (1 Pt 4, 12,17).

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,13) di don Giovanni Biallo

InDialogo

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Nostro Signore è stato vittima dipersecuzioni da parte di coloro cheha salvato. Mai rispose alle offesenello stesso modo, ma al contrariocon amore e misericordia. Egli stessoci dice come rispondere a coloro checi aggrediscono:

“Amate i vostri nemici, fate delbene a coloro che vi odiano, benedi-te coloro che vi maledicono, pregateper coloro che vi maltrattano. A chiti percuote sulla guancia porgi an-che l’altra, a chi ti leva il mantellonon rifiutare la tunica. Dà a chiun-que ti chiede, e a chi prende del tuo,non richiederlo. Ciò che volete chegli uomini facciano a voi, anche voifatelo a loro. Se amate quelli che viamano, che merito ne avrete? Anchei peccatori concedono prestiti ai pec-catori per riceverne altrettanto.Amate invece i vostri nemici, fatedel bene e prestate senza sperarnenulla, e il vostro premio sarà grandee sarete figli dell’Altissimo; perchéegli è benevolo verso gli ingrati e imalvagi.

Siate misericordiosi come è mise-ricordioso il Padre vostro. Non giudi-cate e non sarete giudicati; non con-dannate e non sarete condannati;perdonate e vi sarà perdonato; datee vi sarà dato; una buona misura, pi-giata, scossa e traboccante vi saràversata in grembo, perché con la mi-sura con cui misurate, sarà misuratoa voi in cambio” (Lc 6,27-38).

Nonostante la gravità delle perse-cuzioni dirette verso di noi, non pos-siamo ricambiare male con male. Seci comportiamo o parliamo secondoil male, noi contribuiamo al potere

del male. Sarebbe come se diventas-simo complici delle forze che com-battono Dio. Se rispondiamo invececon il bene, noi rompiamo il poteredel male e rimaniamo fedeli alla no-stra vocazione di vivere come figli efiglie di Dio.

Il Signore dice nell’ultima beatitu-dine che coloro che sono perseguita-ti a causa della giustizia possederan-no il Regno dei cieli. La parola Regnonon è usata per indicare un partico-lare luogo, ma piuttosto, piùprofondamente, è usato perdescrivere la presenza santi-ficante, il potere supremodel Dio Vivente. Significa in-sieme la fonte della suarealtà e il fine verso cui tutto è diret-to. Perciò il Regno di Dio è insiemepresente e futuro. È insieme perso-nale, poiché tocca la vita di ciascunodi noi, e cosmico, poiché riguardal’intera creazione. In ultimo il Regnodi Dio verrà come un dono, è il desi-derio di Dio di stare al centro dellanostra vita e di accoglierci in una re-lazione d’amore.

La venuta di Cristo ha il significa-to di esprimere l’amore incondizio-nato di Dio verso la sua creazione,sottomessa al potere del peccato edella morte, e di restituirci alla suaamicizia. Attraverso Gesù Cristo ilRegno del Padre si rende manifestonello Spirito Santo. Questa è la veraBuona Notizia che il Signore procla-ma attraverso la sua Parola e le sueazioni. Ma il Regno che si manifestain Cristo deve essere accettato perso-nalmente da ciascuno di noi. Così di-

InDialogo

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ce Gesù nel Vangelo di Marco: “Iltempo è compiuto e il Regno di Dioè vicino; convertitevi e credete alVangelo” (Mc 1,15). Il Signore non cicostringe ad accettare il suo amore.Aspetta pazientemente la nostra li-bera risposta.

Se abbiamo fidu-cia nella guida diDio vivremo la no-stra vita in accordocon il Vangelo e ri-

fletteremo laluce di Cri-sto nel mon-do. Se ci la-sciamo ac-compagnare

da Cristo, chieden-dogli di realizzare lagiustizia nella nostravita saremo abilitatia vivere secondo ilVangelo, come dicesan Paolo: “Il regnodi Dio infatti non èquestione di cibo odi bevanda, ma ègiustizia, pace egioia nello SpiritoSanto: chi serve Cri-sto in queste cose èbene accetto a Dio estimato dagli uomi-ni. Diamoci dunquealle opere di pace ealla edificazione vi-cendevole” (Rm 14,17-19).

Così dice sant’ Efrem negliInni sulla Risurrezione:

La sua nascita ci dà la purificazione,il suo battesimo ci dà il perdono,

la sua morte è vita per noi,la sua ascensione

è la nostra esaltazione.Come non dovremmo ringraziarlo!

InDialogo

Ascensione, Girolamo Muziano, Roma, S. Maria in Vallicella, sec XVI

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La parola di Dio celebratadi don Nazareno Marconi

IV domenica del Tempo Ordinario 1 febbraioProfeti perseguitati

PRIMA LETTURADal libro del profeta Geremìa (1,4-5.17-19)

All’inizio di tutto c’è lo sguardo di Dio chesi posa su un uomo, da sempre, da prima diformarlo nel grembo materno. Dio sceglie peruna missione, e sceglie in assoluta libertà, avolte sconvolgendo le aspettative ed i giudiziumani, soprattutto di quanti conoscono bene ilfuturo profeta. Forse proprio per questo unprofeta non è ben accetto in patria, perché vie-ne scelto secondo i criteri di Dio e non secon-do le logiche o la stima degli uomini.

Non è dunque facile essere profeta, è natura-le che Geremia si ritrovi a “tremare davanti a lo-ro”, perché la Parola da portare non è sempreconsolante e positiva. Ma come Dio lo ha sceltonon per capacità o doni umani, riconoscibili daparte dei suoi vicini, ma solo per la sua grazia edil suo amore, così lo invia non grazie alle suequalità, ma protetto solo da Dio. La prima paro-la sul profeta e su ogni profeta è quindi l’umiltà:non per tuo merito, né sulla tua forza, ma soltan-to perché è il Signore che ti sceglie e ti manda.

Ed i nemici sono molti: “contro tutto il pae-se, i re, i suoi capi, i suoi sacerdoti e il popo-lo”. Ma il Signore sarà con lui “per liberarlo”.Siamo cinque secoli prima, ma in trasparenza,dietro il profeta sofferente, è facile riconoscerela figura di Gesù.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi

(12,31-13,13)

C’è un secondo significativo aspetto inquesto tema del profeta rifiutato in patria. LaChiesa, fin dai suoi albori, ha sperimentato

spesso un ascolto inaspettato del suo messag-gio. Il Vangelo rifiutato dagli Ebrei fu accoltodai pagani. L’annuncio di Paolo, rigettato daisapienti e dai benpensanti di Atene, fu accoltodagli scaricatori di porto e dalle donnette delporto di Corinto. È un classico dell’azione del-lo Spirito Santo, che ricorda con ciò il fattoche la conversione non dipende dalla efficien-za e preparazione dell’annunciatore. Non è labravura del profeta che converte i cuori, ma loSpirito del Signore. È lui che sa far breccia do-ve umanamente non ci aspetteremmo, perchérisulti con chiarezza che la conversione e lasalvezza sono un dono di Dio.

VANGELODal vangelo secondo Luca (4,21-30)

Anche Gesù, come Geremia, è combattu-to fin dall’inizio, scacciato dal suo stesso vil-laggio. Siamo solo all’inizio della sua predi-cazione, ma già Gesù si trova di fronte i suoiavversari, che vogliono gettarlo fuori dallemura, giù dal precipizio. Un anticipo del ve-nerdì santo, quando Gesù sarà crocifisso fuo-ri delle mura della città santa.

Non si stupirono dunque i discepoli, né laprima generazione cristiana, quando dovette-ro sperimentare il rifiuto e la persecuzione.Soprattutto quando le loro parole infuocateturbavano il conformismo, le coscienze acce-cate dal lusso e dal vizio, l’ordine costituito,o meglio il sopruso costituito.

Né Gesù, né la Chiesa sono contro ilmondo. Più volte Gesù ha affermato di nonessere venuto per condannare, ma per salva-re, per liberare e per consolare. Ma è innega-bile che la promessa di verità, giustizia e pa-ce non può non scontrarsi, prima o poi, conchi vive (e vive bene!) di falsità, sopruso eviolenza. La reazione ed il rifiuto da partedel mondo possono spesso costituire un me-

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tro di validità, un marchio di purezza per ilvangelo che annunciamo.

Il cristiano che vede rifiutata la sua testi-monianza di fede non si scoraggi: il buon se-me annaffiato dallo Spirito troverà certo unterreno fertile. E forse il Signore attraversogli insuccessi vuol allargare i nostri orizzon-ti, perché non ci limitiamo ad evangelizzareall’ombra dei nostri campanili, ma andiamoverso il mondo e nel pieno delle sue contrad-dizioni. Come Elia che andò a portare la suatestimonianza di fede con prodigi e segni aduna povera vedova nel territorio pagano diSidone, ed accolse un lebbroso pagano edidolatra che veniva addirittura dalla Siria.

I nazaretani vogliono uccidere Gesù, maegli, passando in mezzo a loro, se ne andò.Non si tratta solo di un piccolo miracolo con ilquale il Signore sfugge ad un agguato. Nelvangelo di Luca comincia qui un cammino chenon si fermerà più. Gesù continuerà a passareportando il Vangelo tra gli uomini fino alla viacrucis ed oltre, quando dopo la resurrezione idiscepoli lo vedranno salire, camminando ver-so il cielo. Allora avrà inizio il cammino dellaChiesa, che porterà il vangelo fino ai confinidel mondo. L’opposizione dei Nazaretani nonha fermato il piano di salvezza di Dio, anzi èstato un prezioso punto di inizio, come accadesempre quando gli uomini si illudono di soffo-care lo Spirito Santo.

Presentazione del Signore 2 febbraioCristo, luce delle genti.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Malachia (3,1-4)

Il testo di Malachia, che solitamente vie-ne letto cercando di identificare il messagge-

ro di cui parla in Giovanni Battista, in realtànon si preoccupa di attrarre l’attenzione sulmessaggero, ma sulla venuta del Signore.Prima ancora di esser stato debitamente an-nunciato, il Signore giungerà ed entrerà nelsuo tempio. Il profeta vuol sottolineare lasorpresa del fatto che il Signore venga inmezzo a noi. Il desiderio dell’umanità di in-contrare il Signore si è storicamente compiu-to, ma quando questo desiderio è vivo e verosi compie di nuovo ancora oggi. Il Signore,luce e guida per ogni uomo, si fa vicino, silascia incontrare. È questo il vangelo profeti-co, la buona notizia di cui Malachia si fa por-tatore. Una buona notizia che ha sempre unrisvolto impegnativo: quando si accende laluce i difetti divengono più chiari, i peccati sifanno più evidenti. Per questo l’incontro conDio è sempre invito alla conversione, chia-mata. Dio è luce e coloro che credono deb-bono venire a Lui, venire in piena luce di-sposti a farsi lavare da Lui, a farsi purificaredal fuoco del fonditore.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (2,14-18)

La vita terrena di Cristo è stata, ci dicel’autore della lettera agli Ebrei, un movimentodi progressiva immersione nella realtà umanafino a diventare in tutto simile ai fratelli. Ogniepisodio, grande o minuto della vita di Gesùnarrato dai vangeli, conferma questo basilareaspetto dell’incarnazione. Dio è venuto in Cri-sto a mettersi nei nostri panni, per essere pernoi luce e guida, salvatore non dall’esterno odall’alto, ma dall’interno della nostra condi-zione umana. Proprio per questo ha potutoportare a pienezza un ruolo sacerdotale di me-diazione tra Dio e l’umanità che tutto il siste-ma cultuale dell’Antico Testamento non erariuscito a realizzare.

La parola di Dio celebrata

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VANGELODal vangelo secondo Luca (2,22-40)

In questo testo Luca sottolinea forte-mente un aspetto su cui tornerà lungo tuttoil suo vangelo: Dio si manifesta nelle per-sone umili. Esse sono capaci di aprirsi al-l’amore, il valore divino per eccellenza. Ti-toli, onori, medaglie, articoli sui giornali oapparizioni televisive: amiamo istintiva-mente tutto ciò che brilla. La festa di oggi,in un mondo che vuol stare sotto i riflettori,propone invece il tema della vera luce,quella che viene da Dio.

La scala evangelica dei valori infatti èdel tutto diversa da quella del nostro mondo

contemporaneo. Le cose che portano l’uo-mo a considerarsi il centro di tutto allonta-nano da Dio. È invece importante la dispo-nibilità al Signore. Egli può far risplenderela sua luce sugli umili. La presentazione diGesù, vera festa della luce, sottolinea que-sto modo divino di agire. Maria è solo un’u-mile donna che deve sottomettersi alla puri-ficazione rituale, mentre ha generato il Fi-glio di Dio. Simeone, Anna, sono personemolto anziane ed il loro unico titolo di glo-ria è essere giusti e religiosi; ma lo SpiritoSanto li rende profeti. Gesù non è che unbambino disarmato, votato a soffrire. Magià alcuni credenti possono riconoscere inlui la vera Luce del mondo.

Presentazione di Gesù al Tempio, Giusto Dè Menabuoi, Padova, Battistero della Cattedrale, affresco sec XIV

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V domenica del Tempo Ordinario 8 febbraioIl Signore chiama.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (6,1-2.3-8)

Isaia, nella Gerusalemme dell’ottavo se-colo a.C. era un uomo importante: un giova-ne colto, probabilmente appartenente ad unafamiglia influente, destinato a diventare unconsigliere del re. Un giorno “vide il Signo-re”, assiso sul suo trono celeste, mentre ilembi del suo manto riuscivano addirittura acoprire il tempio di Salomone. Come nonsentirsi perduto, di fronte ad una così grandevisione, che gli ricordava quanto restasse co-munque un piccolo uomo peccatore, in unpiccolo popolo di peccatori?

Dio allora prende l’iniziativa e manda unangelo a toccargli le labbra con un tizzoneardente: era il metodo crudele, ma efficace,che veniva usato allora per purificare le pia-ghe infette. Dio perdona i suoi peccati, guari-sce il suo cuore timoroso, infiamma le suelabbra, ed ecco che quando il Signore chiede:“Chi sarà il mio messaggero?” il giovaneIsaia non ha più timori: “Eccomi, mandame”.

Dio si plasma il suo profeta, è lui che lopurifica e lo rende adatto al suo compito, alprofeta è richiesta solo la disponibilità delcuore a lasciarsi plasmare, quell’eccomicherisuona in ogni vocazione.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

(15,1-11)

Paolo afferma la sua radicale indegnità adessere apostolo: come Isaia si sente impuro,lui che aveva addirittura perseguitato la

Chiesa, ma il Signore risorto lo ha chiamatoed inviato. È la grazia che ora opera in lui,non le capacità o le forze umane.

VANGELODal vangelo secondo Luca (5,1-11)

Il Vangelo propone una scena molto di-versa, almeno in apparenza, dalla solenne vi-sione narrata nella prima lettura, ma lo è poitanto? Non abbiamo un giovane aristocraticocolto, ma un uomo semplice, un povero pe-scatore di Galilea: Pietro. Non siamo neltempio di Salomone, ma lungo le rive del la-go, dove si svolgeva il tranquillo lavoro quo-tidiano. Non c’è visione di troni celesti, diangeli e di manti preziosi; Gesù di Nazareth,rivestito di una semplice tunica di pannospiega la Parola di Dio mescolandosi a que-sta gente umile, gli ultimi della terra, ed ilsuo trono è la prua di una barca. Ma anchequi è Dio che sta cercando dei porta-parola,dei messaggeri che annuncino il suo Vange-lo. Pietro se ne accorge, scopre che Dio è conlui sulla barca quando vede le sue reti riem-pirsi, quando una pesca fortunata gli apre ilcuore al mistero, e sente subito, come Isaia,tutta l’enorme distanza tra lui ed il Signore.“Allontanati da me che sono un peccatore”,ma proprio a questi peccatori Gesù viene adaffidare l’annuncio del suo Regno. Non ab-biamo carboni ardenti per cancellare i loropeccati, l’azione di Gesù è molto più delica-ta: è bastato l’ascolto della sua parola ed ilriconoscimento del proprio peccato. In defi-nitiva Gesù non chiede loro altro che di se-guirlo. Sarà lui a cambiare lungo la strada iloro cuori trasformandoli da pescatori di pe-sci a pescatori di uomini. Anche questa un’a-zione grande, eppure delicata. Gesù non stra-volge la loro vita di pescatori, si limita a diri-gerla verso una pescache essi non avevano

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minimamente sognato. La pesca miracolosache hanno sperimentato sul lago non sarànulla a confronto della pesca miracolosa chesperimenteranno sui flutti della storia, racco-gliendo nelle reti del Vangelo uomini di tuttele parti del mondo.

Gesù viene incontro anche a noi, lì dovesiamo e ci chiama. La vocazione cristiana, lachiamata a collaborare con Dio per la salvez-za, ciascuno a suo modo, è certo la cosa piùgrande che può avvenire nella vita di un cre-dente. Una cosa così grande però accade conle forme ed i modi della piccolezza e dellasemplicità. Il Signore viene a chiamarci làdove siamo e ci chiede per il momento sol-tanto di seguirlo. Anche ai discepoli disse “vifarò pescatori di uomini”: la confidenza conGesù, il cammino insieme con lui, sono tuttociò che serve a trasformare un cuore, renden-dolo capace di farsi strumento di salvezzaper sé e per gli altri.

Le forme di questa chiamata sono ricchee diversificate quanto la fantasia dello Spi-rito Santo. Spesso nella vita della Chiesa siè ridotta la riflessione sulla vocazione aquelle che si chiamano le vocazioni di parti-colare consacrazione: farsi prete, frate, suo-ra, monaco o monaca ecc. È un tema impor-tante perché tutti possono essere prescelti,mentre spesso invece i giovani dicono: “Diopuò chiamare tutti… meno me!”. È soprat-tutto importante presentare questa vocazio-ne in maniera corretta: non si tratta di unascelta “eroica” o “straordinaria”. Dio chia-ma chi ha un cuore adatto al compito perchési sente piccolo ed indegno, chi ha orecchicapaci di ascoltare la sua Parola, chi ha oc-chi desiderosi di vederlo. Solo questo serve,e questo è necessario per vivere da cristianiogni impegno ed ogni chiamata. Potremmodire che accanto ai pescatori di uomini cisono i “coltivatori di uomini”: i genitori

chiamati a seminare e far crescere la vita.Ci sono “i curatori di uomini” chiamati adalleviare le sofferenze fisiche e morali deifratelli. Ci sono “i nutritori di uomini” chia-mati con i loro diversi lavori a collaborarealla creazione divina, perché tutti abbianociò che è giusto e buono per la vita. Per tuttila chiamata fondamentale è comunque unasola: Seguitemi!

VI domenica del Tempo Ordinario 15 febbraioBeati?

PRIMA LETTURADal libro del profeta Geremìa (17,5-8)

Il profeta Geremia, nel sesto secoloavanti Cristo, prende in giro quanti cercanosicurezza e forza affidandosi ad un uomo,un semplice mortale. È una dura requisito-ria quella del profeta: il piccolo regno diGiuda, tutto quello che restava dell’anticoregno di Davide, era minacciato dal potenteesercito babilonese. Come salvarsi? Alcuniconfidavano in una politica di alleanza conl’Egitto, una super-potenza del tempo, por-tata avanti dal nuovo re. Questi si ritenevatanto sagace e senza scrupoli da potersi de-streggiare tra Egitto e Babilonia, traendoprofitto dall’interesse ora dell’una, ora del-l’altra potenza militare ed economica. MaGeremia ricorda che anche il re più furboed abile è sempre un uomo, il suo potere èun potere umano. Cosa potrà fare contro lacarestia, l’invasione nemica e la morte, senon è neppure in grado di evitare la suapropria morte? La storia si ripete!

La perenne tentazione è quella di atten-dersi la salvezza dai potenti di questo mon-do. Tanti sono convinti che una amicizia al-

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tolocata possa garantire contro ogni imprevi-sto e paura.

Non è impossibile che proprio i propa-gandisti del tempo, gli antichi pubblicitaridel re e del partito dell’alleanza con l’Egit-to avessero inventato le immagini che ilprofeta usa per la sua accusa piena di ama-ra ironia. Sono immagini tipiche di un po-polo che vive ai margini del deserto e ne hapaura, mentre oltre i suoi confini l’Egittoha ricchezza garantita dal Nilo, che assicu-ra contro qualsiasi siccità e carestia. “Seseguiremo l’Egitto - dicevano certamentequesti politici - saremo come un alberopiantato lungo un ricco fiume, la loro ric-chezza garantirà anche il nostro benesse-re!”. Il profeta invece reagisce. Chi confidanell’uomo, chi cerca la salvezza, le risposteai suoi bisogni nei poteri umani e si allon-tana da Dio è destinato a diventare un albe-ro secco, sfruttato anche da chi promettevadi aiutarlo.

La beatitudine e la sicurezza che gli uo-mini possono garantire hanno fine, come laloro vita. Solo il Signore, che veglia sul cam-mino dei giusti, come ricorda il salmo re-sponsoriale, può garantire la salvezza.

È lo scontro tra due annunci: le promessedel mondo, allettanti ma ingannevoli e le cer-tezze di Dio, esigenti ma certe.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

(15,12.16-20)

Solo nella prospettiva della resurrezionee della vita eterna la nostra fede e l’annun-cio evangelico prendono il loro pieno sen-so. Un cristianesimo che si chiuda nell’o-rizzonte di questo mondo non potrà maicomprendere e condividere l’annuncio del-le Beatitudini.

VANGELODal vangelo secondo Luca (6,17.20-26)

Anche Gesù, come Geremia, aveva deipubblicitari da controbattere. Quelli che pre-dicavano la vita facile, che promettevano lagioia nella ricchezza, nel soddisfacimento ditutti gli appetiti, nelle pillole magiche chenon fanno sentire il dolore, nel successo enell’applauso delle folle. C’è poi così tantadifferenza dai messaggi che la società con-temporanea ci martella nelle orecchie dall’al-ba al tramonto?

Gesù come Geremia reagisce con fer-mezza, con una decisione ed una violenzache non possono non colpire l’attenzionedel lettore. Anche perché le troviamo pro-prio in questo vangelo di Luca, che per an-tica tradizione è stato definito l’evangelistadella mansuetudine di Cristo. GiustamentePascal commentava questo brano dicendo:“Il buon Gesù sa dire cose tremende”. Ge-sù, come Geremia, senza remore e timoriinvita i suoi seguaci a rimettere Dio al pri-mo posto.

Se la povertà aiuta a conquistare il regnodei cieli più di quanto faccia la ricchezza, per-ché la prima apre il cuore a Dio ed ai fratelli,mentre la seconda fa sentire forti e potenti dasoli… allora beati i poverie guai ai ricchi.

Se la fame rende sensibili ad ogni piccolodono di Dio ed insegna a dire grazie, mentrel’abbuffata dei sensi ci rende insensibili atutto quanto di veramente prezioso ci circon-da… allora beati voi che avete famee guai avoi che siete sazi!

Se la sofferenza apre il cuore alla compas-sione di chi soffre ancora più di noi, ed a Dioconsolatore degli afflitti; mentre lo stordimen-to del divertimento a tutti i costi, non ci fa sen-tire responsabili di nulla e di nessuno… allorabeati voi che piangete e guai a voi che ridete.

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Infine se l’incomprensione e la presa ingiro ci confermano ancora di più nel nostrodesiderio di seguire la via di Dio; mentre laricerca del successo e dell’applauso rendonoschiavi dei gusti della massa, abilmente pilo-tati dai potenti di questo mondo… allorabeati voi perseguitatie guai a voi uomini disuccesso.

Gesù conferma che la via dei profeti, dicoloro che non solo hanno seguito Dio, masi sono fatti annunciatori della sua parola,è sempre ed esclusivamente la prima. LeBeatitudini sono un brano che va sempreascoltato con tanto si lenzio pieno diumiltà.

VII domenica del Tempo Ordinario 22 febbraioAmatevi!

PRIMA LETTURADal primo libro di Samuèle (26,2.7-9.12-13.22-23)

Il re Saul inseguiva Davide per ucciderlo,nel timore di avere in lui un pericoloso riva-le. Il giovane pastore, che aveva liberatoIsraele abbattendo con un colpo di fionda ilgigante Golia, era stato costretto a fuggireper evitare l’ingiusta gelosia del suo re. Edecco che una notte, assieme al suo scudiero,Davide riesce a penetrare nel campo di Saul,mentre tutti dormono, compreso il re, che hasteso al bordo del giaciglio la propria lancia.Una occasione irripetibile! Il compagno diDavide propone di trafiggere Saul nel sonnoe così in un sol colpo liberarsi di un pericolo-so nemico, ed aprirsi la strada per il tronod’Israele. Ma Davide rifiuta: non ucciderà ilsuo nemico. Dall’alto della collina, di fronteall’accampamento grida verso Saul: “Ecco latua lancia. Non ho voluto stendere la mano

sul consacrato del Signore”. Davide ha sapu-to vincere la tentazione della vendetta, sisente pieno di rispetto per la vita di Saul e diperdono per colui che ha sbagliato.

Per la Bibbia è questo il momento in cuimostra di essere veramente Re, degno di sali-re sul trono di Gerusalemme con la benedi-zione di Dio.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

(15,45-49)

L’uomo fatto di terra, direbbe Paolo, ra-giona in termini di vendetta, di interessepersonale, di potere. L’uomo che vive ilVangelo è invece un uomo diverso, capacedi perdono e di amore fattivo per il prossi-mo. È una novità che giunge dal cielo, nonsi armonizza con i gusti di questa terra, maproprio per questo è salvezza e redenzioneper l’umanità.

VANGELODal vangelo secondo Luca (6,27-38)

Gesù è per eccellenza l’uomo che vienedal cielo, e per questo arriva a dire cose chenessuno aveva mai udito, neppure entro ilpopolo di Dio: «Amate i vostri nemici!». Èpossibile una cosa del genere? Gesù preci-sa: «Sarete così figli dell’Altissimo; per-ché egli è benevolo verso gli ingrati e imalvagi. Siate misericordiosi, come è mise-ricordioso il Padre vostro». La tentazionechiara è quella di ribellarsi ad una pretesache pare assurda, ma è una pretesa o non èforse un dono che Dio promette? Il coman-damento dell’amore, cuore dell’annunciocristiano, è un compito impossibile da svol-gere o un sogno che Dio trasforma inrealtà? Amare come Lui ci ama è impossi-

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bile per gli uomini, ma Gesù ha altre voltericordato, proprio parlando d’amore, checiò che è impossibile agli uomini è possibi-le a Dio «Perché tutto è possibile pressoDio». Ecco che l’amore ai nemici non ètanto un ordine assurdo che Gesù ci impo-ne, quanto un dono di somiglianza che ilPadre dà ai suoi figli. È Dio che ci rende si-mili a Lui e quindi anche capaci di amarecome ama Lui. Se vogliamo essere figlidell’Altissimo, se chiediamo al Padre di as-somigliargli sempre di più, esaudirà la no-stra preghiera. Questa è la buona notizia, ilVangelo che Gesù annuncia nel brano diquesta domenica!

Utopie? Sogni fuori dal mondo? Lo sa-rebbero, a tutti gli effetti, se la storia non cifacesse quotidianamente scontrare con esem-pi concreti di persone che, nella forza delloSpirito Santo, hanno saputo amare così. Enon è necessario cercare l’immagine eroicadel santo che offre la sua vita per la conver-sione di quanti lo martirizzano. Ogni giornoil mondo della droga riporta storie di madri epadri, che amano profondamente un figliononostante che sia diventato loro nemico. Unnemico che attimo per attimo distrugge la lo-ro vita ed ogni loro speranza. Nella stessa vi-ta di coppia quante volte l’amato o l’amatadiventano nemici. Basta un gesto che umilia,una parola che fa profondamente soffrire,che lacera e distrugge quanto di bello si è co-struito. Di fronte ad un tale “nemico” solol’amore che viene dal dono soprannaturaledel sacramento del matrimonio dà la forza diinterrompere una spirale di piccole e grandivendette e ricostruire su nuove basi, sul fon-damento del perdono.

Utopie? Sogni? Difficile sostenerlo, vi-sto che questo sogno nella storia umanaporta frutto da più di venti secoli. Una pro-messa divina che ha prodotto innumerevoli

gesti di dono e di perdono, ha rivoluzionatointere esistenze.

Non un sogno dunque, almeno per chiaccetta di credere. L’amore cristiano, l’a-more che giunge fino ad amare il nemico èuna meta verso la quale l’umanità deveogni giorno camminare, se vuole che la suavita cresca e non si lasci soffocare dallespire dell’egoismo.

Nel nostro mondo così violento, nellanostra società così individualista, questa vi-sione di una umanità che vive la gratuità el’amore senza limiti è sempre più indispen-sabile.

La parola di Dio celebrata

Cristo in trono, lunetta sulla parete est della cappella del sancta sanctorum

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Un aiuto per vivere la QUARESIMA

Note di storia.

La celebrazione della Pasqua nei primi tresecoli della vita della Chiesa non aveva unperiodo di preparazione. La comunità cristia-na viveva così intensamente l’impegno cri-stiano fino alla testimonianza del martirio danon sentire la necessità di un periodo di tem-po per rinnovare la conversione già avvenutacol Battesimo.

Nel IV secolo, l’unica settimana di di-giuno era quella che precedeva la Pasqua.Poi l’uso di iscrivere i peccatori alla peni-tenza pubblica quaranta giorni prima di Pa-squa, determinò la formazione di una“quadragesima” (quaresima) che cadevanella VI Domenica prima di Pasqua. Dalmomento poi che la Domenica non si cele-bravano riti penitenziali, si fissò questo at-to al Mercoledì precedente. Ogni Merco-ledì era infatti giorno di digiuno. Così ènato il “Mercoledì delle ceneri”. Siccome aPasqua venivano battezzati i catecumeni,la quaresima diventò il periodo di più in-tensa preparazione al loro battesimo, du-rante il quale l’intera comunità era coin-volta partendo da una naturale riflessionecomune sul valore e l’importanza del Bat-tesimo.

Quindi allo sviluppo della Quaresimaha contribuito prima di tutto la pratica deldigiuno in preparazione alla Pasqua, mo-mento centrale della fede cristiana, poi ladisciplina penitenziale, infine la prepara-zione dei catecumeni che saranno battezza-ti la notte di Pasqua. Questo fatto spiega ilcarattere cristocentrico ( = centrato sullafigura di Cristo, le sue parole ed azioni),

penitenziale e battesimale tipico della qua-resima.

Nei tre schemi liturgici con le letture del-le domeniche di quaresima i tre caratteri in-dicati sono alternativamente sottolineati:(anno A) - una Quaresima soprattutto batte-simale; (anno B ) - una Quaresima soprattut-to cristocentrica; (anno C ) - una Quaresimasoprattutto penitenziale.

Secondo la scansione liturgica quest’an-no siamo dunque invitati ad una celebrazio-ne della quaresima che sia soprattutto peni-tenziale, ci spinga cioè a riscoprire e valo-rizzare in maniera corretta il sacramentodella riconciliazione. Può essere utile ram-mentare schematicamente alcune idee basi-lari in proposito.

La riconciliazione cristiana

La RICONCILIAZIONE si radica nelBATTESIMO

Cristo ci ha radicalmente trasformati, cioèconvertiti, inserendoci nel suo Mistero pa-squale con il Battesimo. La Chiesa professala sua fede in un solo Battesimo, per il per-dono dei peccati. La penitenza, in senso cri-stiano, è fondata sulla stessa realtà battesi-male per il perdono dei peccati ed è poi ri-presa e resa segno espressivo per quanti rica-dono nel peccato, nel sacramento della Ri-conciliazione.

La RICONCILIAZIONE è con Dio e con ifratelli

La Quaresima è il tempo della grandeconvocazione di tutta la Chiesa perché silasci pur i f icare da Cristo suo sposo.

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La penitenza ha sempre come effetto la ri-conciliazione non solo con Dio, ma anchecoi fratelli, che a causa del peccato sem-pre hanno subito un danno. La penitenzaquaresimale non deve essere soltanto in-terna ed individuale, ma anche esterna esociale.

La RICONCILIAZIONE si nutre di Paro-la di Dio

La spiritualità della Quaresima è carat-terizzata da un più attento e prolungatoascolto della Parola di Dio perché è questaParola che illumina a riconoscere i propripeccati. L’esame di coscienza cristiano nonè un ripiegamento su se stessi, ma un aprir-si alla Parola della salvezza e un confrontocol Vangelo.

La RICONCILIAZIONE si raffor za conle opere di penitenza

Le opere della penitenza quaresimale de-vono essere compiute nella consapevolezzadel loro valore di segno sacramentale (cioèdi segno efficace). Il digiuno: anche se limi-tato al Mercoledì delle ceneri e al Venerdìsanto e l’astinenza dalle carni il venerdì, de-vono esprimere l’intimo rapporto che c’è traquesto segno e la conversione interiore. Sa-rebbe inutile astenersi dai cibi, se non ci siastenesse dal peccato. In questo modo il cri-stiano accetta la faticosa lotta al peccato conla mortificazione per accogliere sempre dipiù la grazia di Dio.

La RICONCILIAZIONE si vive in un cli-ma di preghiera

La Quaresima è tempo di più assidua eintensa preghiera, legata molto strettamen-

te alla conversione, per lasciare semprepiù spazio a Dio. La preghiera cristianacosì intesa non può essere il tentativo diaccaparrarsi Dio per averlo garante deipropri progetti, ma è disponibilità pienaalla sua volontà. La preghiera va fatta an-che comunitariamente per significare chetutta la Chiesa è comunità che prega e per-ciò penitente. Infine non va dimenticatala preghiera per ottenere la conversionedei peccatori.

La RICONCILIAZIONE fruttifica nellacrescita della carità

La Quaresima è tempo di più forte im-pegno di carità verso i fratelli. Non c’è ve-ra conversione a Dio senza conversioneall’amore fraterno concreto e vissuto. Van-no perciò sostenute le iniziative comunita-rie che concretizzino nell’attuale contestosociale le tipiche opere quaresimali. Adesempio operare perché i cristiani sappia-no ritrovare il senso del digiuno cristiano,come rinuncia ad un bene in vista di chine ha più bisogno, per questo vanno sti-molate le iniziative per la raccolta di aiutiin favore dei fratelli più bisognosi. La pa-storale della Quaresima dovrà inoltre cu-rare che le verifiche sulla conversione cri-stiana non avvengano solo a livello indivi-duale, ma anche comunitario.

La RICONCILIAZIONE si celebra solen-nemente e con decoro

Per tutto quanto detto è logico che inquesto tempo abbiano particolare impor-tanza e rilievo le celebrazioni penitenziali,certo senza tralasciare il sacramento dellaRiconciliazione celebrato individualmen-te.

La parola di Dio celebrata

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La parola di Dio celebrata

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Mercoledì delle Ceneri25 febbraioConvertitevi e credete al vangelo!

Il Mercoledì delle ceneri prende il nomedal rito dell’imposizione delle ceneri sul ca-po dei fedeli, un gesto antico di ammissionealla celebrazione della penitenza pubblica,un invito rivolto a tutta la comunità cristianadi oggi perché entri in stato di penitenza, in-tesa come conversione permanente. La cene-re è simbolo della distruzione della morteoperata dal peccato (è quanto resta di unfuoco!), ma è anche un invito alla speranza:con Dio c’è sempre una seconda possibilità,il ritorno alla comunione e al perdono, permezzo di Gesù Redentore (ceneri = croce,momento che precede la vittoria del mattinodi Pasqua!).

PRIMA LETTURADal libro del profeta Gioele (2,12-18)

Prima dell’esilio il regno di Giuda fu pro-babilmente devastato da una invasione di lo-custe. Si trattò di una catastrofe ecologica.Gioele era allora un levita al servizio deltempio di Gerusalemme e fu colpito profon-damente da questo avvenimento. Vi riconob-be un invito rivolto da ogni israelita perché siinterrogasse sulle proprie colpe che avevanomeritato un tale castigo. Pentendosi e tornan-do a Dio gli Ebrei potevano sperare che i fla-gelli naturali venissero eliminati e tornasse ilritmo ecologico della vita.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

(5,20-6,2)

Gesù realizza la riconciliazione tra Dioe gli uomini. Partecipe della nostra natura,

Egli è divenuto un polo di attrazione con-trapposto alla spinta verso il peccato. È en-trato nel vero rapporto con Dio, raddrizzan-do così l’orientamento che istintivamentediamo alla nostra esistenza. Ora tocca a noicamminare su questa pista, riconoscendoche oggi il Dio d’amore ci invita a viveresecondo l’amore.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (6,1-6.16-18)

Gesù denunzia il possibile snaturamentodi certi gesti di penitenza. Vi è una manieradi dare che non genera l’amore, ma il com-piacimento di se stessi. Vi è una preghierache non è volta verso Dio, ma all’esaltazio-ne di colui che la ostenta. Vi è un digiunoche non esprime la rinuncia ai desideri trop-po umani, ma piuttosto l’amplificazione diquegli stessi desideri. Tutto ciò allontana daDio, invece di avvicinarci a lui. All’iniziodel cammino quaresimale, simbolo dell’av-ventura della vita umana, il gesto delle ce-neri ci invita a riconoscere umilmente la no-stra condizione di creature attratte dal pec-cato e per questo bisognose di purificazionee di aiuto da parte di Dio. Siamo chiamatiinnanzi tutto a credere all’amore di Dio persentirci orientati a lui.

I domenica di Quaresima 29 febbraioLiberi per amare.

PRIMA LETTURADal libro del Deuteronòmio (26,4-10)

Guardare al proprio passato è sempre unesercizio interessante: aiuta a comprenderemeglio chi siamo. Il libro del Deuteronomio,

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circa 600 anni prima di Cristo, invita Israelea riconsiderare il proprio passato. Tutto ini-zia con Abramo, «un arameo errante» chesmette di vagare senza meta quando comin-cia a seguire la voce di Dio. La storia seguecon un piccolo clan di nomadi che la carestiastava per distruggere, ma seguendo l’ordinedivino giunge in Egitto dove diviene un po-polo numeroso. Nuova sofferenza si abbattesu di loro e sperimentano la schiavitù, l’op-pressione, la violenza gratuita. Dalla provasalì un grido verso il Signore, che ascoltò edintervenne. «Il Signore ci ha liberati, conmano potente!» confessa il popolo eletto. Ela liberazione giungerà fino al generoso donodi una terra ricca di frutti, dove abitare.

Per questo ogni anno Israele giungevadavanti al suo Dio e pieno di gratitudine of-friva le primizie del raccolto. Era una resti-tuzione simbolica di quanto Dio aveva ge-nerosamente donato. Una offerta che testi-moniava il ricordo di un amore generoso,che aveva liberato, guidato e nutrito il suopopolo.

Nel corso della sua storia però troppospesso Israele si era fermato ai doni di Dio,senza rendersi conto che erano semplicemen-te dei segni di qualcosa di molto più prezio-so: il suo amore.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (10,8-

13)

Paolo mostra che il giudaismo ha compre-so male il vero senso della chiamata divina. Ilrapporto di Israele con Dio è rimasto contras-segnato da una concezione alienante dell’esi-stenza religiosa: in cambio dell’osservanzascrupolosa della Legge, si doveva ottenere labenevolenza divina ed il successo finale. Que-sta visione delle cose, che condusse al rifiuto

di Gesù, falsa il volto di Dio, il cui amore èpura gratuità e si rivolge a tutti.

VANGELODal vangelo secondo Luca (4,1-13)

Il popolo di Israele aveva molte volte di-mostrato che era più attratto dai doni di Dio,che da Dio stesso. Anche ai suoi tempi Gesùsi trovò di fronte un popolo che attendevacerto un Messia, un liberatore e un salvatore;non però perché attraverso di lui era Diostesso a farsi uomo, a farsi vicino all’uma-nità, a testimoniare l’amore in modo concre-to e diretto. Ciò che attirava del Messia ven-turo era la promessa di una risposta ai desi-deri più immediati del popolo. Un Messiache sfamasse le folle trasformando le pietrein pane. Un Messia che garantisse il benesse-re, rendendo Israele il centro politico di ungrande impero che avrebbe soggiogato tutti iregni della terra. Un Messia che infine con-vincesse Dio a fare ciò che gli uomini desi-derano, e non viceversa.

Il Vangelo delle tentazioni ci rivela chequeste aspettative umane, con cui Gesù stori-camente si confrontò, non erano altro chel’incarnazione dei desideri del demonio. SeGesù avesse svolto la sua missione in questomodo non sarebbe stato il Messia del Signo-re, il Salvatore mandato da Dio, ma il servodel diavolo.

Gesù invece, da vero Servo del Signore, èvenuto per compiere in pienezza la volontàdel Padre. Come aveva fatto Abramo. Comeavevano fatto Mosè e quanti erano usciti conlui dall’Egitto. Come loro Gesù passerà tragli uomini seguendo un cammino che nonsegue i gusti del pubblico, non cerca l’ap-poggio o l’applauso, ma la verità e l’incontrocon Dio. Un cammino che sa dare il giustovalore alle cose e quindi crede che per la vita

La parola di Dio celebrata

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La parola di Dio celebrata

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dell’uomo è più necessaria la Parola di Dioche il pane, l’ascolto obbediente piuttostoche una falsa libertà senza mete né valori.

È in definitiva il contrasto tra due progettidi salvezza dell’uomo, quello che la liturgiadi questa prima domenica di quaresima pre-senta.

Da una parte un progetto tutto incentratosu un concetto di libertà come possibilità disoddisfacimento del desiderio. L’uomo vera-mente libero, secondo il demonio, è quelloche può liberamente desiderare e liberamentesoddisfare ogni suo desiderio.

Gesù entra nella tentazione con la fame,un desiderio più che legittimo visti i quarantagiorni di digiuno che aveva appena termina-to. Ma Gesù dimostra di essere libero anchedai suoi desideri. Libero di vincere il deside-rio del cibo. Libero da ogni ambizione disuccesso umano. Libero da ogni sete di pote-re. Grazie a questa libertà Gesù può piena-mente compiere i desideri del Padre e cosìsalvare l’umanità. Il suo progetto di salvezzasi fonda su una libertà intesa come serena di-sponibilità all’amore. Libero di amare, congenerosità, con altruismo, unito a Dio ed at-tento ad ogni uomo. Questo è l’uomo nuovoche Gesù vuole come costruttore del suo re-gno, un uomo libero dall’egoismo e dal pec-cato, libero per amare.

II domenica di Quaresima 7 marzoSegni della vicinanza di Dio.

PRIMA LETTURADal libro della Gènesi (15,5-12.17-18)

Il bellissimo racconto di Genesi presentaun incontro tra Dio ed Abramo: “conta le stel-le, se riesci a contarle, tale sarà la tua discen-

denza”. È una promessa che risponde al desi-derio più profondo dell’intera vita di Abramo.Il dubbio di una promessa troppo bella tocca ilcuore del patriarca, che per questo chiede aDio un segno. Il signore accetta e guida Abra-mo a ripetere un rituale che a noi appare stra-nissimo, ma che al tempo dei patriarchi eramolto comune. Quando due re o due capitribù si legavano insieme in un patto di allean-za, compivano gli stessi gesti. Passare in mez-zo agli animali divisi esprimeva un giuramen-to solenne: “che anch’io possa perdere la vitacome questi animali se non rispetto il patto, senon verrò in tuo aiuto ogni volta che ne avraibisogno”. Dio compie questo rito passandocome una fiamma ardente in mezzo agli ani-mali divisi, per far comprendere ad Abramoquanto il suo amore sia sicuro e la sua pro-messa di amicizia incrollabile.

Il Dio di Abramo però cambia il ritualedell’alleanza antica. In esso tutti e due i con-traenti giuravano, tutti e due passavano attra-verso gli animali divisi. Questo patto espri-meva così una amicizia che attendeva il con-traccambio, una alleanza basata sul reciprocotornaconto.

Il Dio di Abramo è invece fonte perennedi un amore gratuito, il nostro Dio ci ama an-che quando non sappiamo dargli nulla incontraccambio, anche quando non accoglia-mo il suo amore e non rispettiamo la sua vo-lontà.

La visione di Abramo è dunque il segnodi un amore divino che si china su di noi deltutto gratuitamente.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (3,17-

4,1)

Durante la prigionia, scrivendo ad una co-munità che gli è molto cara, Paolo esprime la

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propria tristezza nel vedere che alcuni desi-stono dal loro impegno. Essi non sono real-mente orientati verso Dio; sono spinti dai lo-ro istinti più immediati. Si può uscirne solocontemplando il grande amore con cui Dio ciha amati in Cristo. E giustamente Paolo ri-corda che Gesù non è morto per noi sullacroce quando eravamo giusti e buoni, maquando eravamo peccatori, quando sapevache non avremmo avuto nulla di buono dadargli in cambio.

VANGELODal vangelo secondo Luca (9,28-36)

Come Abramo anche i discepoli sul montedella trasfigurazione ebbero una visione, un

segno di Dio, che aveva come centro Gesù. Ilbianco luminoso dei suoi abiti, la luce del suovolto erano tutti segni inequivocabili, secondol’Antico Testamento, della presenza di Dio.

Anche qui, come nella prima lettura, il te-ma è l’annuncio di un amore gratuito, unamore generoso, un impegno unilaterale diDio per la nostra salvezza: l’amore di Dioespresso nella morte di Gesù per noi. Mosèed Elia, testimoni di tutta la grande tradizio-ne dell’Antico Testamento, parlavano infatticon Gesù della sua passione, che stava percompiersi a Gerusalemme.

La trasfigurazione inquadra così la pas-sione nella grande tradizione dell’amore diDio nell’Antico Testamento, come il suo ve-ro culmine. L’offerta che Gesù farà di sé sul-la croce è l’ultimo segno rimasto a Dio pertestimoniare all’umanità l’immensità del suoamore. Un amore generoso, un amore chenon pretende il contraccambio, ma lo chiedeumilmente come un mendicante. Come ogniinnamorato Dio accetta di diventare debole,di dipendere dal sìdell’umanità, che solo li-beramente può amarlo.

La trasfigurazione anticipa la passione inun contesto di gloria e di luce, le immaginiclassiche della presenza di Dio, perché i no-stri deboli occhi di uomini rischierebbero dinon riconoscere Dio nel volto tumefatto esfigurato di Gesù flagellato. Rischierebberodi non riconoscere un Dio che muore per noi,nell’abito di sangue che scorre sul corpo diGesù in croce.

Ecco dunque che la trasfigurazione gettaluce sulla passione. Non una luce consolato-ria di chi vuol nascondere dietro la gloria l’u-miliazione e lo scandalo, ma la luce che favedere fino in fondo la grandezza di quantoaccadrà.

Solo contemplando lungamente il Gesùtrasfigurato i discepoli potranno capire che

La parola di Dio celebrata

Trasfigurazione di Gesù, Giusto Dè Menabuoi, Padova, Battistero della Cattedrale, affresco sec XIV

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proprio il Figlio di Dio, l’unigenito del Pa-dre, che lui ha profondamente amato, questoFiglio è lo stesso che salirà il calvario. Allaluce della trasfigurazione il calvario apparein tutta la sua chiarezza quello che è: la mor-te di Dio per noi. Dio che non solo ha la vita,ma che è la vita stessa, rinuncia a ciò che èper noi. Quale segno più grande di amore?

III domenica di Quaresima 14 marzoIo sarò con te.

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (3,1-8.13-15)

In mezzo al deserto del Sinai Mosè senteuna voce, che lo chiama dalla fiamma di unroveto. Il roveto brucia senza consumarsi! Èil Dio dei suoi padri, il Dio di Abramo, diIsacco e di Giacobbe, che ha udito il grido didisperazione del suo popolo. Anche Mosèdovrà imparare ad udire lo stesso grido, do-vrà diventare sensibile alla stessa sofferenza.Solo così avrà il coraggio di affrontare il Fa-raone e portare a compimento la missione,che il Signore gli affida. Dio vuol liberare ilsuo popolo e donare loro una terra dove abi-tare sicuri. Io sarò con te, promette la vocedal roveto.

Quando Mosè chiede a nome di chi do-vrà presentarsi al suo popolo, Dio si qualifi-ca con un nome che riprende questa espres-sione. Il nome divino infatti è Io sono, maper una particolarità dell’ebraico questo no-me vuol dire Io sono e soprattutto Io sarò.A Mosè, che vuole scoprire il nome di Dio,il suo mistero, il Signore indica che questascoperta sarà possibile solo giorno per gior-no. Solo in un cammino insieme che inizianel presente, ma si proietta decisamente

verso il futuro, Mosè e poi tutte le genera-zioni di credenti, scopriranno sempre me-glio il mistero di Dio. La rivelazione del no-me divino è dunque più l’annuncio di uninizio che la fine di una ricerca. Solo viven-do con Dio i credenti ne scopriranno il mi-stero! È il Dio vivente quello che si accostaa Mosè e che ha udito il grido del suo popo-lo, e per questo non si potrà mai rinchiuder-lo in una definizione o nella formula ristret-ta di un nome. Solo con un lungo camminoinsieme si potrà conoscerne il mistero: Iosarò con te.

Non si tratterà di una scoperta facile, nétutto scorrerà liscio in questa esperienza diincontro con Dio. La vita al fianco del Si-gnore infatti non cancellerà il mistero delmale, della sofferenza, delle ingiustizie chepunteggiano tutta la storia dell’umanità. Lacertezza sempre più chiara che Dio è amo-re, che è il Padre buono che ci ama, comerivelerà Gesù, non impedirà ai credenti disperimentare persecuzioni ed ingiuste sof-ferenze. Ci saranno ancora tante schiavitùda cui essere liberati e tante volte il gridodell’oppresso salirà ancora verso il cielo.Ma questo momento segna un punto fermonella storia della fede: da ora in poi Dio siimpegna ad esser al fianco di chi soffre e dichi lotta per la liberazione del fratello: Iosarò con te.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

(10,1-6.10-12)

I Corinzi, convertiti dal mondo pagano,sono tentati di ricadere nelle colpe passate.Paolo li mette in guardia, rimeditando il rac-conto del cammino verso la terra promessa,tramandato dal libro dei Numeri. Gli Ebreinon hanno compreso il carattere spirituale

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della loro ricerca. Lungo il cammino hannoceduto alle tentazioni e sono periti. Che nonavvenga altrettanto anche per i cristiani chenon riconoscono il significato del loro cam-mino.

VANGELODal vangelo secondo Luca (13,1-9)

Il mistero delle persistenza del male e dellasofferenza, nonostante la vicinanza di Dio, at-traversa tutta la Bibbia e giunge fino a Gesù.Il Vangelo dimostra come si tendesse a risol-verlo in modo molto sbrigativo: ogni sofferen-za è sempre un castigo per il male commesso.Per questo le vittime di un crollo improvvisoo di un sopruso violento attuato dalle autoritàdovevano necessariamente essere dei peccato-ri. Gesù combatte questa mentalità, questomodo semplicistico di affrontare il mistero delmale nel mondo. Se da una parte il male non èuna dimostrazione della distanza di Dio, dal-l’altra non è neppure un segno negativo dellasua presenza: quasi che ogni male sia manda-to da Dio come un castigo.

Il male per noi resta un mistero, di fronteal quale la prima reazione deve essere quelladi uno stimolo ad un esame di coscienza.Non dobbiamo giudicare chi è colpito dalmale come peccatore castigato da Dio, anzidobbiamo riflettere su quante volte noiavremmo giustamente meritato un castigo edinvece siamo stati perdonati. La presenza delmale diventa quindi innanzi tutto sul pianopersonale un invito alla conversione.

Gesù non offre risposte sul mistero delmale, ma corregge una falsa immagine diDio: quella di un giudice pronto a colpirecon la sofferenza ogni peccato ed ogni erro-re. Dio non è come il padrone del fico dellaparabola evangelica, che vuol tagliarlo perpunirlo di non portare frutto. Il Signore è

piuttosto come il contadino, che ha pazienzae dà costantemente una nuova occasione diconversione a chi sbaglia. Il Signore ripeteanche al peccatore: Io sarò con teper accom-pagnarti nella lunga via della conversione.

San Giuseppe 19 marzoL’ombra del Padre.

PRIMA LETTURADal secondo libro di Samuele (7,4-5.12-14.16)

Diventato un re molto potente, Davide so-gna di costruire un tempio al Signore, di far-gli una casa nella città di Gerusalemme, lanuova capitale. Il profeta Natan gli annunciaallora la volontà di Dio: il Signore non vuoleuna casa costruita dalla mano dell’uomo.Egli sarà invece garante e difensore della ca-sa di Davide, cioè della sua discendenza. Gliassicurerà una continuità sulla terra promes-sa mantenendo per sempre la sua regalità.Questa promessa è il punto di partenza dellasperanza nel Messia coltivata per millennidal popolo ebraico. I cristiani credono chequesta speranza si è realizzata in Gesù, di-scendente di Davide attraverso Giuseppe.

Dio compie sempre le sue promesse, main maniera inaspettata. La dignità regale diDavide passa attraverso un povero falegna-me, la discendenza carnale trova il suo com-pletamento in una discendenza che è total-mente opera dello Spirito Santo.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Romani

(4,13.16-18.22)

San Paolo reagisce contro quelli che pre-tendevano di avere diritti su Dio per via della

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loro obbedienza alla legge. Ricorda perciòche Abramo fu giustificato per la sua fede,quando ancora non esisteva la legge rivelataa Mosè. Ciò che conta, prima di tutto, è la di-sponibilità a Dio. I veri discendenti dei pa-triarchi non sono i loro discendenti secondola carne, ma quelli che si appellano a loro se-condo lo Spirito. Questi si mettono al servi-zio del disegno divino e, sperando controogni speranza, continuano ad operare per lacrescita nella fede del popolo di Dio. Ognicredente diventa così un nuovo Abramo, pa-dre nella fede di una moltitudine di fratelli. Èquesta la definizione più bella che possiamodare di Giuseppe: vero padre nella fede per ilpopolo cristiano.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (1,16.18-21.24)

Attraverso Giuseppe si realizza la pro-messa divina. Gesù si inserisce così nella di-scendenza di Davide. Tuttavia Giuseppe de-ve accettare di eclissarsi totalmente. Quelloche avvenne in Maria non fu opera umana,ma frutto dello Spirito: anche la scelta delnome del bambino, privilegio riservato gelo-samente al padre, che esprimeva simbolica-mente ciò che lui si aspettava dal futuro diquesto figlio, fu un dono che venne dall’alto.Giuseppe non può avere progetti su Gesù:deve mettersi al servizio del disegno di Dio.Accettare di rimanere nell’ombra, mettendo-si al servizio del progetto di un altro, può es-sere facile, quando chi agisce è una personamediocre. Richiede invece una forza interio-re non comune, quando si tratta di una perso-na decisa e di carattere. Nessun dubbio cheGiuseppe, lo sposo di Maria, sia stata una diqueste persone: nelle circostanze difficili agìsempre con ponderazione, prontezza ed ener-gia.

Egli fu veramente un umile, uno di quelliche la Bibbia chiama “i poveri del Signore”.Si dedicò totalmente al servizio del disegnodi Dio svolgendo un compito umile e glorio-so al tempo stesso: essere per Gesù il segno,il sacramento tangibile, l’ombra del padreceleste. Fu un servo umile delle persone at-traverso cui quel disegno si compiva: Mariae Gesù. Discendente di Davide, padre legaledi Gesù, e quindi per la legge giudaica suovero padre, Giuseppe scompare nell’ombraquando la sua presenza non è più indispensa-bile, un vero modello per quanti voglionoservire con amore e gratuità. Un rimproverovivente per il nostro mondo contemporaneodove tutti vogliono essere protagonisti, pe-renni primi attori sotto i riflettori della storia.

IV domenica di Quaresima 21 marzoIo sono sempre con te.

PRIMA LETTURADal libro di Giosuè (5,9.10-12)

I racconti del libro dell’Esodo presentanoinnumerevoli segni dell’amore di Dio per ilsuo popolo. Uno dei più significativi, tantoche è diventato un proverbio, è la caduta del-la manna dal cielo. Era una sostanza dolce egranulosa, prodotto naturale, anche se raro,di alcuni arbusti del deserto. Secondo il librodell’Esodo, in maniera del tutto straordinariaper la sua quantità e puntualità, la mannaaveva, per qualche tempo, nutrito un interopopolo; come non riconoscervi la mano diDio?

Dopo il lungo cammino nel deserto, nelquale il Signore aveva sostenuto il suo popo-lo con il dono della manna, al confine con laterra promessa, la manna cessò. Ormai era

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tempo di seminare, mietere e nutrirsi dei pro-dotti della terra e del lavoro dell’uomo. Senella manna era facilissimo riconoscere lamano di Dio, ora il popolo doveva affronta-re, con maturità di fede, una prova più esi-gente: riconoscere l’azione della provvidenzanella vita di tutti i giorni. Imparare a scoprirel’amore di Dio, che è presente anche quandoi suoi segni non sono miracolosi ed eclatanti.Ringraziare per il faticoso prodotto del pro-prio lavoro è sicuramente più difficile cheringraziare per un miracolo che sfama senzafatica. Quando Dio ci responsabilizza e si na-sconde dietro le quinte della storia, il rischioè quello di dimenticare la sua presenza di Pa-dre buono, che provvede generosamente aisuoi figli.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

(5,17-21)

La vera terra promessa è, secondo Paolo,il nuovo mondo interiore, nato dalla scopertadell’amore misericordioso di Dio, manifesta-to in Gesù Cristo. Quale gioia per l’Apostolodelle genti essere messaggero di questa realtàofferta a tutti gli uomini. Ormai possiamo ac-cedere al vero rapporto con il Signore, graziea Colui che venne a riconciliarci, assumendola nostra condizione di peccatori. Gesù è ilvero Giosuè che ci conduce all’ingresso nellavera terra promessa della salvezza.

VANGELODal vangelo secondo Luca (15,1-3.11-32)

Attraverso la parabola del Figlio prodi-go Gesù rivela in pienezza quanto sia gra-tuito e generoso l’amore di Dio e quantospesso manchiamo di fede proprio in que-sto amore.

Il padre rivolge al figlio maggiore un du-ro rimprovero: proprio in vista di questo rim-provero rivolto agli scribi ed ai farisei Gesùaveva narrato la parabola.

Questi capi religiosi di Israele infatti siscandalizzavano del comportamento di Ge-sù, che andava incontro ai peccatori con se-gni e prodigi, pieno di immensa tenerezza,per riportarli ad ogni costo a Dio. Si rim-proverava un amore straordinario per chinon lo meritava, mentre verso i giusti ed ibuoni ci si limitava ad un “amore ordina-rio”, quotidiano, semplice.

Il figlio maggiore della parabola rimpro-vera il padre per i segni straordinari d’amoremostrati al fratello peccatore: la divisionedell’eredità, il perdono generoso, la festa diringraziamento.

Da parte sua questo fratello si lamenta,convinto di aver ragione: “Ecco, io ti servoda tanti anni e non ho mai trasgredito un tuocomando, e tu non mi hai dato mai un capret-to per far festa con i miei amici”. Nella suavita mai un miracolo, mai un gesto straordi-nario di amore, come un capretto donato peruna festa. Il figlio ritiene di essersi guada-gnato tutto con tanto sudore. In definitiva ilPadre cosa gli ha dato? Tutto ciò che ha se loè conquistato da solo!

Ma il Padre viene a correggere, constraordinaria pazienza, questo modo sbaglia-to di vedere la realtà.

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciòche è mio è tuo”. Tutto quanto il figliopossiede è un dono del Padre, un dono me-no evidente e miracoloso, ma non menovero e prezioso. Ma c’è di più; il figliomaggiore ha un dono enormemente prezio-so che non sa valutare, un dono invisibilema concreto più delle alte montagne: Il Pa-dre è sempre con lui. Quale amore piùgrande di una vicinanza costante del Pa-

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dre? Quale miracolo più significativo di unamore divino che si dimostra nello starci alfianco, nel sostenerci nella fatica, nell’in-coraggiarci nel dolore? Per comprendere lagrandezza del dono della vicinanza di Dioè utile guardarlo con gli occhi del figliopeccatore. La presenza quotidiana di Dionella nostra vita è un dono così prezioso,ma delicato, che solo chi l’ha perduta puòdescriverla in tutta la sua grandezza con itoni di una nostalgia profonda: “Allorarientrò in se stesso e disse: Quanti salariatiin casa di mio padre hanno pane in abbon-danza e io qui muoio di fame!”. Solo il fi-glio che ha abbandonato la casa pa-terna, sa dirci quanto sia più buono ilpane quotidiano nella casa del padre,che la manna straordinaria che qual-che volta vorremmo, disprezzandociò che abbiamo. Chi ha il dono dellafede, della quotidiana vicinanza diDio, ne gioisca con cuore sereno: egliha veramente la manna nascosta ed iltesoro prezioso.

Annunciazione del Signore 25 marzoEcco, concepirai e darai alla luce un figlio.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (7,10-14)

Sono momenti di prova per il pic-colo regno di Gerusalemme: l’inva-sione assira si fa minacciosa. Ma ec-co che il profeta Isaia annuncia al reAcaz, l’infedele e timoroso capo delpopolo eletto, che Dio invece rimanefedele. Lo mostrerà dando al re un fi-glio, erede della dinastia e delle pro-

messe fatte a Davide. Al di là di questa na-scita ormai prossima, il profeta intravedeun futuro più remoto: un giorno Dio in-vierà il Salvatore definitivo. Traducendocon la parola “vergine” il termine ebraicousato da Isaia e che significa normalmentesoltanto “giovane donna”, il testo grecodella Bibbia ha voluto sottolineare il carat-tere miracoloso del futuro discendente da-vidico. Anche questo è stato uno sguardoprofetico: quel discendente nascerà vera-mente da una madre vergine. Dio operasempre in modo inaspettato e molto piùgrande di ogni pensiero umano.

Annunciazione, Icona macedone, sec XIV

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SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (10,4-10)

Fin dal primo istante la vita di Gesù ètotalmente orientata verso Dio. E’ un verosacrificio, che avrà la sua piena manifesta-zione nella morte in croce. L’aspetto basila-re di questo sacrificio è la totale obbedien-za al Padre. L’annunciazione celebra l’ob-bedienza del Figlio ed insieme l’obbedien-za di Maria: si compia di me secondo la tuaParola.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,26-38)

Con il suo sì ad una parola incomprensibi-le al primo momento, Maria si rende piena-mente disponibile a Dio. In lei la grazia divinarealizza già ciò che si compirà totalmente nelsuo figlio: un dono pieno e definitivo di tuttase stessa a Dio. Attraverso un simile scambioil Signore può manifestare pienamente la suapotenza: la sua parola porterà frutto. Siamoqui al centro del mistero dell’azione divina: laparola, ricevuta nella fede, si fa carne.

Nel mistero del concepimento e dellanascita umana si trova il segno ed il signifi-cato più pieno dell’incarnazione. Ognibambino, essere di carne, nasce dalla carne.Ma può diventare realmente se stesso solose è anche frutto d’amore. Gesù figlio diDio, nasce dallo Spirito, generato da unadonna che per tutta la sua esistenza fu ani-mata dalla fede. In Maria si realizzò prima-mente la vocazione del popolo eletto. E lei,fiore di Israele, si apre totalmente alla pa-rola divina. Quella Parola può allora germi-nare, nel senso esatto del termine. Si espri-merà pienamente in Gesù, salvatore delmondo, capace di offrire a Dio il vero sa-crificio.

V domenica di Quaresima 28 marzoGuardare al futuro.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (43,16-21)

La seconda parte del libro profetico diIsaia dal capitolo 40 al 55, è opera di unautore ignoto, che la tradizione ha colloca-to entro l’opera del suo maestro e che perquesto chiama: il Secondo Isaia, o Deute-roisaia. Questo profeta ha compiuto la suamissione a Babilonia, in mezzo ai deporta-ti di cui condivideva il destino. Si senteportatore di un messaggio divino di conso-lazione, per quanti guardavano al passatocon nostalgia. Anche se i loro peccati lihanno portati alla tremenda punizione del-l’esilio, il Signore però non li ha abbando-nati, e manda un profeta in mezzo a loroperché la Parola divina risuoni ancora neiloro orecchi. Ed è come al solito una paro-la sconvolgente: un invito a non guardarepiù al passato, ma a proiettarsi decisamen-te verso il futuro: “Ecco, faccio una cosanuova: proprio ora germoglia, non ve neaccorgete?”. Nello stupore di queste paro-le c’è il perenne stupore di Dio di frontead una umanità che non si accorge dellasua grandezza. Dio dirige la storia, conti-nuamente, con novità e fantasia, con unapotente ed amorosa provvidenza, maquanti se ne accorgono? Quanti guardanoal futuro con la fiducia che scaturisce dal-la fede?

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (3,8-14)

Trasformato dalla scoperta di Gesù,Paolo considera ormai come spazzatura

La parola di Dio celebrata

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tutti i privilegi della sua vita passata: fraquesti privilegi vi è la conoscenza e l’os-servanza coraggiosa e fedele della Leggedi Mosè. Egli aveva creduto di potersenevantare per tranquillizzare la propria co-scienza davanti a Dio. Ma, dopo avere sco-perto in tutta verità la propria miseria, sirese conto di cosa fosse la misericordia di-vina. Avendo intuito il vero rapporto con ilDio d’amore, egli non vive più incentratosu se stesso: il suo impegno morale, i suoisuccessi ed anche i suoi frequenti e fru-stranti fallimenti; ma solo su Cristo. Sisente vivificato e salvato da questa nuovarealtà.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (8,1-11)

Il Dio di cui parla il profeta nella primalettura, che sa fare nuove tutte le cose, chesa perdonare e dare nuova fiducia, è il Pa-dre di Gesù. Come stupirsi che il Maestrodi Nazareth gli somigli così tanto? AncheGesù nella generosità del suo perdono,apre un avvenire del tutto nuovo alla don-na sorpresa in flagrante adulterio, e che lalegge del tempo condannava ad una morteatroce.

Quelli che chiedono, non senza un gu-sto sadico, l’applicazione della condanna,sono uomini che sanno solo guardare alpassato. In quel passato la donna era unapeccatrice colpevole, una che aveva di-strutto l’amore e la fiducia, una senza spe-ranza, né perdono. Ma questo sguardo ri-volto indietro impedisce loro di vedere ilpresente. Cosa si trovano ora di fronte?Una donna impaurita, presa di peso dal-l ’abbraccio del peccato e gettata cosìcom’era in mezzo alla piazza del paese. Ilmarito non compare sulla scena, né compa-

re l’altro, colpevole quanto e più di lei, mache una legge fatta dai maschi e per i ma-schi tutela e protegge. C’è solo una follaagitata e morbosamente curiosa contro dilei.

Gesù, l’uomo del futuro, il figlio delDio provvidente che costruisce invece didistruggere, vede il presente. Vede la suaangoscia, vede il peccato nel cuore di quan-ti si sentono autorizzati a farsi giudici spie-tati. Vede che c’è bisogno di un cambia-mento di cuore che riguardi tutti. Non solol’adultera, a cui il terrore ha già insegnato,brutalmente ma efficacemente la gravitàdella colpa commessa. Ma anche la folla,che si crede giusta ed onesta, deve cambia-re atteggiamento. Anche loro hanno peccatipassati da farsi perdonare. Anche loro han-no bisogno di un nuovo inizio, dopo averepreso seriamente coscienza degli errori delpassato.

Gesù compie questo doppio miracolonei cuori con una sola parola: “Chi è senzapeccato scagli per primo la pietra controdi lei”. Solo chi scruta il passato con l’oc-chio penetrante di Dio poteva lanciare unasfida così audace! Davanti allo sguardo diGesù nessuno si sente di mentire e tutti, acominciare dai più vecchi, se ne vanno. Edè importante sottolineare che se ne vannomigliori di come erano arrivati. La loropubblica confessione li ha riconciliati conla verità, li ha riconciliati con Dio, e li haanche resi capaci di un perdono generoso.Se ne vanno infatti, lasciando la loro pre-ziosa “preda” all’Unico che può ergersi agiudice.

Gesù, l’uomo-Dio che sa vedere il pre-sente, getta lo sguardo sul futuro e riesce avedere un futuro di pentimento e di miseri-cordia, nel quale la donna può ormai in-camminarsi e non peccare più.

La parola di Dio celebrata

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La veglia di preghiera inizia con l’Esposizione eucaristica preceduta da un canto cheesprime Adorazione. Si porta l’incenso collocandolo sotto l’altare mentre un lettore pro-clama:

Lettore O degnazione stupenda

Ogni uomo si commuova, tutto l’universo tremi, il cielo esulti,quando il Cristo, Figlio del Dio vivente è sull’altare, nelle mani del sa-cerdote.

O ammirabile grandezza! O degnazione stupenda! O umiltà subli-me! Il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, si umilia tanto per lanostra salvezza da nascondere se stesso sotto le umili apparenze di un

pezzetto di pane! Considerate, fratelli miei, l’umiltà di Dio e davanti a Luieffondete i vostri cuori. Umiliatevi anche voi e sarete esaltati. Di voi stessi nonriservate nulla, affinché vi accolga interamente colui che tutto a voi si dona.(san Francesco d’Assisi)

Si sosta in silenzio contemplando l’Amore divenuto Pane.

Guida Nella persona di Cristo, Dio Padre è diventato Pastore, Compagno eViandante discreto che sostiene il cammino di ogni uomo. Il Signore pascola ilsuo gregge, lo conduce ad acque tranquille, prepara la mensa e spezza il panedella vita.

Un salmista canta il Salmo 22 con la melodia di M. Frisina; l’assemblea ripete il ritor-nello dopo ogni strofa.

Il Signore è il mio pastore non manco di nulla.Il Signore è il mio pastore non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,ad acque tranquille mi conduce. rit.

Il Signore è il mio pastore(Con il Vangelo in mano)

di suor Clara Caforio, ef

Preghiamo

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Mi guida e rinfranca nel giusto cammino,per amore del suo santo nome. rit.

Se dovessi andare in valle oscura,io non potrò temere alcun male. rit.

Perché, o Signore, tu con me sei sempre,col bastone e il vincastro mi dai pace. rit.

Per me tu prepari una mensa,davanti agli occhi dei nemici. rit.

Cospargi di olio il mio capo,di gioia trabocca il mio calice. rit.

Felicità e grazia mi saranno compagneper tutti i giorni della vita. rit.

Signore, abiterò nella tua casaper la lunga distesa dei giorni. rit.

Guida Israele ha visto spesso Dio come Pastore del suo popolo; egli è il Pastorebuono che lo pasce facendolo riposare su pascoli erbosi. Il Signore lo guida per ilgiusto cammino, lo difende dai pericoli e gli dona sicurezza con la sua presenza.

Lettore Dal Vangelo di Giovanni (10,11-15)Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il merce-

nario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vedevenire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde;egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,come il Padre conosce me ed io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore.

Si fa un breve silenzio di adorazione.

Lettore Dal libro del Profeta Michea (2,12)Certo ti radunerò tutto, o Giacobbe, certo ti raccoglierò, o resto di Israele. Li

metterò insieme come pecore in un recinto sicuro, come una mandria in mezzo

Preghiamo

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al pascolo, dove muggisca lontano dagli uomini […], marcerà il loro Dio innanzia loro e il Signore sarà alla loro testa.

Si esegue un canto di meditazione.

Guida Le pecore del Signore trovano in Cristo riposo e protezione, non te-mono alcun male perché egli le guida lungo il pellegrinaggio terreno verso sen-tieri sicuri. Le valli oscure non sono più ostacoli insormontabili quando il cuoreè abitato dalla fede e dalla speranza, poiché ogni buio e catastrofe reca con sétracce di luce.

Tutti insieme si legge la preghiera che segue:

Se Cristo mi conduce il mio cuore è sicuro,se ho trovato posto nel suo greggela mia anima non teme,nella fiducia in colui che ha dato per me la sua vitaio cammino con gioia con il mio Signore.

Nel cammino della vitaviviamo sicuri in cammino dietro a Gesù:possiamo dargli fiducia, tutta la fiducia del cuore,perché solo lui sa condurcial vero riposo dei pascoli di vita.

Quanto siamo felicid’essere nelle mani di un tale pastore.Egli cerca il nostro vero bene,ci sa dare ad ogni ora l’alimento necessario. (Charles de Foucauld)

Guida Cristo, la Sapienza di Dio, ha apparecchiato per i suoi amici una men-sa, ha imbandito una cena per i poveri e per quanti agli occhi del mondo sonodeboli e sprovveduti.

Lettore Dal libro dei Proverbi (9,1-5)La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli

animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle aproclamare sui punti più alti della città: “Chi è inesperto accorra qui!” A chi è privodi senno essa dice: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato.Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”.

Preghiamo

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Al termine del brano si esegue un canto adatto.

Guida Dal momento in cui Dio Padre, per mezzo della morte e risurrezionedi Gesù, si è impegnato in prima persona nella lotta contro il male è diventatola nostra fortezza, il nostro rifugio. Nel suo amore trova ristoro e riposo ognifatica e dolore.

Il salmo viene proclamato tra i due cori dell’assemblea.

Salmo 61Dio è rupe, salvezza, roccia di difesa.

Solo in Dio riposa l’anima mia;da lui la mia salvezza.Lui solo è mia rupe e mia salvezza,mia roccia di difesa, non potrò vacillare.

Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,per abbatterlo tutti insieme, come muro cadente,come recinto che crolla?Tramano solo di precipitarlo dall’alto, si compiacciono della menzogna.Con la bocca benedicono, nel loro cuore maledicono.

Solo in Dio riposa l’anima mia,da lui la mia speranza.Lui solo è mia rupe e mia salvezza,mia roccia di difesa, non potrò vacillare.

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio.Confida sempre in lui, o popolo,davanti a lui effondi il tuo cuore,nostro rifugio è Dio.Sì, sono un soffio i figli di Adamo,una menzogna tutti gli uomini,insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio.

Si proclama insieme

Non confidate nella violenza,non illudetevi della rapina

Preghiamo

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alla ricchezza, anche se abbonda,non attaccate il cuore.Una parola ha detto Dio, due ne ho udite:il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia;secondo le tue opere tu ripaghi ogni uomo.

Adorazione prolungata

Guida Cristo è l’acqua che disseta, è la mensa imbandita. Cristo è il bel pa-store, Colui che cerchiamo e da cui continuamente veniamo cercati.

“ Dove vai a pascolare, o buon pastore,tu che porti sulle spalle tutto il gregge?Maestro mostrami il luogo del riposo,conducimi all’erba buona e nutriente,

chiamami per nome, perché io, che sono pecorella,possa ascoltare la tua voce e con essa possa avere la vita eterna.

Mostrami colui che l’anima mia ama!Così infatti ti chiama, perché il tuo nome è sopra ogni nome

e ogni comprensionerappresenta l’amore della mia anima verso di te.

Mi hai tanto amato da dare la tua vitaper il gregge del tuo pascolo.

Non si può immaginare un amore più grande di questo.Tu hai pagato la mia salvezza con la tua vita.

Fammi sapere dunque dove ti troviperché io possa trovare questo luogo salutare

e riempirmi di celeste nutrimento.Fa’ che accorra alla fonte frescae vi attinga la divina bevanda,

quella bevanda che tu offri a chi ha sete,come della sorgente del tuo costato aperto dalla lancia”

( Gregorio di Nissa)

Dopo avere letto il brano ci sia ancora spazio per un tempo di silenzio; il ministroconclude con la preghiera del Padre Nostro e quindi ripone il Santissimo Sacramento.Frattanto l’assemblea esegue un canto eucaristico.

Preghiamo

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Le Beatitudinidi suor Clara Caforio, ef

Per questa veglia di preghiera si può esporre il libro dei Vangeli su un leggio prepa-rato dignitosamente, o sull’altare stesso. Si possono portare alcune lampade, che vengo-no poste attorno al libro, e l’incenso.

Guida Sono molti gli uomini e le donne che, in questo nostrotempo tormentato da tensioni e conflitti di varia natura, piango-no, sono afflitti, hanno fame. Sono molti i poveri e le vittime del-l’ingiustizia che implorano compassione. O Padre, fonte di ognibontà insegnaci a metterci dalla loro parte, rendici capaci di farcipromotori di pace e di bene, sull’esempio di Gesù Cristo, tuo Figlioe Signore nostro.

Lettore Dal Vangelo di Luca (6,19 – 23)Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava

tutti. Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando

e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo.Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti».

Guida Gesù qui parla al presente, a differenza di quanto farà nelle beatitu-dini seguenti. A chi accetta la povertà, il regno di Dio appartiene fin da oggi. Imiti, i misericordiosi, i pacifici possiedono il regno nella speranza, mentre per ipoveri questo possesso è già una realtà. (R. Schutz)

Alcuni giovani portano due cartelloni, preparati precedentemente, che visualizzano at-traverso immagini di vario genere il senso delle beatitudini, deponendoli ai lati dell’altare.

Si esegue un canto.

Preghiamo

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Beati voi poveri

Guida Gesù esalta la povertà facendola diventare una beatitudine. Sonobeati agli occhi di Dio tutti quelli che non ripongono le loro speranze nella ric-chezza, quelli che non confidano nella logica dei potenti. Uomini e donne chevalutano i segni dei tempi sapendo che ogni materialismo e ogni forma di edo-nismo conducono solo all’annientamento della vera dignità della persona. Sonobeati quanti, fidandosi della pazienza del Padre, costruiscono la città della pacee della giustizia pur in mezzo a lotte e difficoltà.

Lettore Dal Vangelo di Matteo (14, 13 –21)Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: “Sento compas-

sione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e nonhanno nulla da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perchénon svengano lungo la strada”. E i discepoli gli dissero: “Dove po-tremo mai trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla co-sì grande?”. Ma Gesù rispose: “Date loro voi stessi da mangiare”.Gli risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci!”. Ed eglidisse: “Portatemeli qua”. E dopo avere ordinato alla folla di sedersi

sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronun-ziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distri-buirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodiciceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cin-quemila, senza contare le donne e i bambini.

Si sosta ripetendo, dopo un breve silenzio, a voce alta alcune frasi del Vangelo pro-clamato.

Guida “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”. Beato il di-scepolo che desidera e ricerca la giustizia e non si mette dalla parte dei su-perbi e degli ingannatori. Beato l’uomo che non siede in compagnia deglistolti.

Il salmo viene proclamato da due lettori.

Salmo 1Le due vie degli uomini

Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi,non indugia nella via dei peccatori

Preghiamo

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e non siede in compagnia degli stolti;ma si compiace della legge del Signore,la sua legge medita giorno e notte.

Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua,che darà frutto a suo tempoe le sue foglie non cadranno mai;riusciranno tutte le sue opere.

Non così, non così gli empi:ma come pula che il vento disperde;perciò non reggeranno gli empi nel giudizio,né i peccatori nell’assemblea dei giusti.

Il Signore veglia sul cammino dei giusti,ma la via degli empi andrà in rovina.

Al termine del salmo si esegue un canto o si ascolta un brano musicale. Un lettore prega poi a voce alta la preghiera che segue:

Lettore Come scoprirti interamente, tu che mi porti in te?Chi mi darà di sentirti, tu che io porto in me?Quando sono stato saziato allora ho fame;quando sono povero, allora sono ricco; quando io bevo, ho ancora sete.Ho sete di bere incessantemente, bevendo al di là di ogni sufficienza.Desidero possedere il tutto e bere, se è possibile, tutti gli abissi,e poiché ciò è impossibile, io ti dico che ho sempre sete,anche se nella mia bocca c’è sempre l’acqua che scorre, che deborda.Ma quando vedo gli abissi, mi sembra di non dissetarmi,perché desidero possedere tutto. (Simeone il Nuovo Teologo)

Segue un silenzio prolungato

Beati voi che ora piangete

Guida I poveri che ora piangono e hanno fame sono i credenti che soffronoqui sulla terra, quelli che percorrono un cammino segnato dalla sofferenza.Questa afflizione terrena prepara a ciascuno “una grande ricompensa nei cieli”.Le beatitudini lucane sono un’esortazione a non lasciarsi prendere dallosconforto e dal dubbio.

Preghiamo

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Lettore Dalla prima Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi (3, 1-5)Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Ate-

ne e abbiamo inviato Timoteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel Vange-lo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, perché nessuno si la-sci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi, infatti, sapete che a questo siamodestinati; già quando eravamo tra voi, vi preannunciavamo che avremmo dovu-to subire tribolazioni, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. Per questo,non potendo più resistere, mandai a prendere notizie sulla vostra fede, per ti-more che il tentatore vi avesse tentati e così diventasse vana la nostra fatica.

Breve silenzio.

Lettore Dalla prima Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi (3, 6-11)Ora che è tornato Timoteo, e ci ha portato il lieto annunzio della

vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conserva-te di noi, desiderosi di vederci come noi lo siamo di vedere voi, ci sen-tiamo consolati, fratelli, a vostro riguardo, di tutta l’angoscia e tribo-lazione in cui eravamo per la vostra fede; ora, sì, ci sentiamo rivivere,se rimanete saldi nel Signore. Quale ringraziamento possiamo rendere

a Dio riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti alnostro Dio, noi che con viva insistenza notte e giorno, chiediamo di poter vede-re il vostro volto e completare ciò che ancora manca alla vostra fede?

Voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù dirigere il nostrocammino verso di voi! Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amorevicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, per rendere sal-di e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio nostro Padre, al mo-mento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.

Si possono riprendere spontaneamente i versetti delle due letture e ripeterli a vocealta, mentre s’intercalano alcuni ritornelli dei canoni di Taizè. Dopo un opportuno silen-zio l’assemblea compie il rito del bacio al libro dei Vangeli.

La Veglia di preghiera si chiude con una riflessione, se a presiedere è un sacerdote oun diacono; diversamente la guida conclude con la preghiera del Padre nostro, seguitada un canto finale.

Preghiamo

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bero sorgere; pieno di pazienza,sereno, sempre gioviale e imparzia-le con tutti.Nello stesso tempo gli si richiede ilsenso della disciplina, unitamentead un carattere severonella giusta misura e aduna capacità carismaticadi imporsi senza far pesa-re l’autorità.

Assicurate queste primequalità umane bisognerà ac-certare che vi siano nel diret-tore di coro anche le qualità didatti-che e musicali:

sensibilità artistica, personalità eprestigio da cui possa derivare al-trettanto prestigio per il coro chedirige. Il coro infatti, specialmentedilettante, sarà tale quale è il suomaestro. Non è come nell’orche-stra dove il direttore, per lo più dipassaggio, ha a che fare con deimusicisti dalla personalità definitae autonoma e pertanto si limita astabilire l’interpretazione del pez-zo e non insegna a tirare l’archet-to ai violinisti o a soffiare dentrola tromba. Questo invece avvienenel coro: i coristi, che non hannogeneralmente un’impostazionevocale «personale», respirano, vo-calizzano, cantano come il loromaestro, quasi per imitazione.Pregi e difetti del maestro diven-

Ascoltiamo cosa il Donella ha dadirci circa la figura del direttore di co-ro per poi offrire qualche riflessionepersonale in merito a quanto segue.

Un coro non sussiste se qualcunonon lo fa vivere, non ha anima se nonc’è chi gli trasmette la sua anima, lasua ricchezza musicale e spirituale, lasua stessa vita. Questo motore, questaanima è il direttore. Nei tempi passatile cappelle, di pochi elementi, esegui-vano senza direzione; oggi ciò è im-pensabile, non tanto perché la cosasia tecnicamente impossibile, ma per-ché il direttore è divenuto una figuracarismatica nel quale la comunità co-rale si identifica e al quale si aggrappavitalmente. Di solito, il coro ha ancheun presidente, ma il direttore rimaneindiscutibilmente il perno, la ragionedi sopravvivenza del coro stesso. Nonè retorica. Se per il coro «professioni-sta» – più formale e sorretto da strut-ture organizzative esterne – ciò è veroparzialmente, per il coro dilettante èvero al cento per cento.

Il direttore di coro deve pertantopossedere, prima di ogni altra cosa,imprescindibili qualità umane:

deve essere un amico, un fratello e,se l’età glielo consente, quasi unpadre; elemento unificante dei varicoristi, quando occorre anche con-ciliatore dei contrasti che potreb-

Il direttore di coro di don Daniele Albanese

Pregarcantando

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tano inevitabilmente pregi e di-fetti del coro.Da ciò l’importanza che il direttoredi coro sia un completo musicista.Non gli devono mancare: musica-lità innata, senso ritmico precisocon la conoscenza del solfeggio el’immediatezza della lettura, buo-na intonazione, voce chiara, sicurae impostata, buon orecchio in mo-do da controllare tutto quanto ca-

pita nel coro, il saper suona-re il pianoforte o l’organo(per non dipendere conti-nuamente da altri anche nel-le prove).

Comunicativa e capa-cità di trasmettere la propriamusicalità: qualità innata cuideve aggiungersi la virtù ac-

quisita della didattica, con la qualemettersi in grado di insegnare ilcanto nella maniera più efficace enel tempo più breve, senza disper-sioni o lungaggini che stancano.

È difficile avere un buon corista,ancora più difficile trovare un buonmaestro di coro

perché non c’è una scuola appositache li prepari, neppure in conserva-torio; chi vuole farsi un’esperienzanon ha che da accordarsi con un di-rettore più anziano, già esperimen-tato che gli consenta di parteciparealle sue prove; non c’è altra possi-bilità.Perché i musicisti si sentono fru-strati a dirigere un coro amatorialequalunque, mirano più volentierialla direzione d’orchestra, o alme-no ad un coro stabile di teatro;

Perché al musicista che si dedica alcoro sono richiesti più sacrificio,più fatica, più disponibilità, piùumiltà che non in altri settori dellaprofessione; a meno che non sitratti di un appassionato dilettantea tutto disposto e senza pretese!

Un commento personale alla diffi-coltà nel reperimento di direttori dicoro, oramai merce rara.

Ha ragione il Donella a lamentareuna assenza di scuole di formazione ea indicare nella sequela di direttoripiù anziani l’unica occasione pratica-bile per un servizio di direzione coralequanto più serio e qualificato possibi-le. E bisogna dire che chi, come lo scri-vente, ha avuto di fatto questa possi-bilità, guardando, da corista, l’artedella direzione di un maestro profes-sionista, ha fruito di notevolissimi be-nefici. Non pochi sono i cosiddettitrucchi del mestiere, accorgimenti discienza ed esperienza in grado di ri-solvere più facilmente alcune diffi-coltà legate o all’apprendimento diuna linea melodica, o al canto a piùvoci, soprattutto quando non sullo sti-le strettamente corale.

Ma non è sempre detto, mi pare,che l’alternativa sia solo tra pura im-provvisazione e qualificata prepara-zione. Credo che esista un tertium,che questa volta datur.

Ed è quella tipologia di direttoreche, pur non conoscendo nulla dellatecnica di direzione, mostra un tipo digestualità quasi aderente agli impulsiritmici presenti nella linea melodica,direi naturale ed istintiva, e nonostan-te questo, anzi forse proprio per que-sto, plastica e precisa, netta, senza

Pregarcantando

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equivoci ed ambiguità. Ed è la “tecni-ca” migliore forse per la direzionedell’assemblea (certamente a corto dinozioni musicali), ma anche dello stes-so coro parrocchiale, molte volte com-posto da persone che non si discosta-no molto, per conoscenze musicali, daquelle che formano la media assem-blea.

Se a questo tipo di qualità ritmico-gestuale innata si aggiunge una buo-na intonazione (e non è strettamentenecessario neanche la conoscenza delsolfeggio perché in mancanza di altroil direttore potrebbe imparare perso-nalmente il canto con il supporto diun’audiocassetta prima di insegnarloal coro) credo di poter ravvisare il mi-nimum indispensabile per l’avvio diuna animazione musicale in parroc-chia.

Ma è vero anche che questo tipo didoni naturali non sono proprio dietrol’angolo!

Dovrebbe essere cura del sacerdo-te, che si suppone (e tante volte restapurtroppo una pia supposizione) ab-bia ricevuto una adeguata formazionemusicale nei suoi anni di seminario,cercare di individuare i possibili candi-dati alla delicata funzione didattico-umana-relazionale della direzione co-rale e invogliarli, nella misu-ra del possibile, a non accon-tentarsi del gradino del sem-plice avvio, come dicevamo,ma a migliorarsi sempre dipiù per offrire non solo adaltri, ma anche a loro stessi,nuove occasioni di apprendi-mento e maggiore esperien-za della realtà.

Pregarcantando

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La celebrazione della festa di sanGiuseppe ha origini antichissime risa-lenti ai primi secoli del cristianesimo,con particolare diffusione presso iCopti. Sempre in Oriente abbiamo leprime testimonianze di culto nel “Me-

nologio di Basilio II” del Xsec., che prevede un partico-lare ricordodi san Giu-seppe nel-l’ottava diNatale, ono-randolo conla Santissima

Madre di Dio. In Occidente la data

della commemorazio-ne di san Giuseppe sitrova fissata al 20 mar-zo fin dal sec. VIII. NelMedio Evo il culto asan Giuseppe ricevetteun rinnovato vigore,soprattutto grazie al-l’opera di alcuni santiche ne promossero ediffusero la devozione.Tuttavia la Chiesa ini-zia solo alla fine del-l’Ottocento a riceverela voce autorevole deiPapi, i quali, con il loromagistero, diedero unnuovo impulso alla de-vozione a san Giusep-pe mettendone in lucei tratti essenziali.

Le notizie bibliche riguardanti lafisionomia di san Giuseppe ci sonostate trasmesse unicamente dai primicapitoli del Vangelo di Luca e Mat-teo, e in Giovanni 6,42. Invece la tra-dizione abbonda di descrizioni parti-colareggiate che hanno talvolta of-fuscato la bellezza di quest’uomo di

San Giuseppe delle Clarisse Cappuccine

di Mercatello sul Metauro (PU)

I nostriamici

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Dio. I Padri della Chiesa, in particola-re san Girolamo, si sono fatti difen-sori dell’autenticità della vita di sanGiuseppe attenendosi alla Rivelazio-ne e, contrastando le fantasie degliapocrifi, sono divenuti così i primi te-stimoni delle sue virtù.

Giuseppe, il cui nome d’origineebraica significa “Iahweh aggiunga”,è considerato l’ultimo dei patriarchi,l’unico in Occidente di cui si celebra lamemoria liturgica. La figura dello Spo-so di Maria è stata spesso associata aquella di un altro patriarca: Giuseppefiglio di Giacobbe. In effetti, anche ledescrizioni che compaiono nel Vange-lo di Matteo hanno contribuito arafforzare quest’analogia: entrambi ipatriarchi ricevono il messaggio divinoattraverso dei sogni. Tuttavia la pro-gressione della Rivelazione manifestaanche in quest’occasione un passag-gio: dal sogno con simboli ed enigmi -in Giuseppe figlio di Giacobbe -, al so-gno con chiara manifestazione delprogetto di Dio e dell’opera da com-piere - in Giuseppe sposo della Vergi-ne -.

La descrizione di san Giuseppe ri-portata dagli Evangelisti è molto spo-glia di particolari, ma la Tradizionedella Chiesa, assistita dalla luce delloSpirito, ne ha sempre valorizzato lasantità sia nella devozione popolare,sia nel culto pubblico. Lecitamente,considerando la santità come la parte-cipazione più intima alla vita di Dio,chi, dopo la Madre di Gesù, è statotanto vicino alla divinità quanto Giu-seppe? Per questo motivo, alcuni santiebbero un’intensa amicizia con sanGiuseppe e si distinsero per la diffu-sione della sua devozione: ricordiamo

ad esempio san Bernardo, san Bona-ventura, san Bernardino da Siena, san-ta Teresa di Gesù, san Giovanni dellaCroce, san Francesco di Sales, san Vin-cenzo de’ Paoli e san Daniele Combo-ni. La magnifica presenza del Figlio diDio e la straordinaria dignità di suaMadre hanno messo in ombra la gran-dezza di questo santo: solo nel secon-do millennio il cammino ecclesiale nesta riconoscendo il ruolo nell’operadell’Incarnazione e metten-done in risalto la missionenella Chiesa.

La festa di san Giuseppe,sposo di Maria e patronodella Chiesa universale, inOccidente si celebra solenne-mente il 19 marzo; dopoaver unificato varie festivitàche ricorrevano nei mesi estivi e nellaterza settimana di Pasqua (1956) e la-sciato al 1 maggio la memoria facolta-tiva di san Giuseppe lavoratore.

La liturgia della solennità, sceglien-do i brani evangelici che si riferisconoa san Giuseppe e proponendoli allameditazione dei fedeli, ne ha reso evi-dente la santità della vita e il suo com-pito nella Chiesa. Gli inni in latino,inoltre sono una mirabile sintesi diquanto la tradizione ci ha donato; adesempio nella seconda strofa di quellodell’Ufficio delle letture si ricorda il“beato transito” di Giuseppe assistitodalla Vergine e da Gesù, spiegandocosì perché il santo sia invocato qualeprotettore dei moribondi. La liturgiaeucaristica offre l’opportunità di sce-gliere due passi del Vangelo che met-tono in luce il ruolo di Giuseppe nelmistero dell’Incarnazione del Figlio diDio (Mt 1,16.18-21.24) e della sua vita

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a Nazaret (Lc 2,41-51). La Liturgia del-le Ore invece ripropone nelle antifonealcune frasi evangeliche che descrivo-no la partecipazione di Giuseppe allaformazione della famiglia terrena diGesù: iniziando con i Primi Vespri tro-viamo gli episodi che si riferiscono al-l’annuncio della nascita di Gesù; al-l’Ufficio delle Letture l’adesione obbe-diente di Giuseppe al piano divino; al-le Lodi la nascita del Salvatore e la sua

manifestazione al mondo,sottolineando la funzioneprimaria del padre nella cu-stodia del fanciullo; infinealle Ore medie così come aiSecondi Vespri si evidenzia ilruolo dei genitori attraversola scena del ritrovamento diGesù dodicenne al Tempio di

Gerusalemme.Per cogliere la fisionomia di san Giu-

seppe la liturgia ci offre numerose op-portunità, ma secondo la sua configu-razione semplice ed essenziale, essaesprime significati profondi in pocheparole. La liturgia eucaristica della so-lennità del santo, come un abile artistache in poche pennellate è in grado didare forma al disegno, con la richiestadell’orazione sulle offerte delinea i trat-ti caratteristici di san Giuseppe: “…do-naci (o Padre) la stessa fedeltà e purez-za di cuore, che animò san Giuseppenel servire il tuo unico Figlio...”. Poichéè bene conoscere ciò che chiediamo aDio, esamineremo singolarmente i treelementi sottolineati, che nel Vangelosono sintetizzati nell’unico attributoconferito a Giuseppe: “giusto”.

Il termine fedeltà racchiude la pa-rola fede ed è questa la prima nota che

contraddistingue la vita di Giuseppe.Tutta la vita di Giuseppe è una progres-sione nella fede e la liturgia ha messoin risalto quest’aspetto nella scelta del-le letture: sia nella seconda lettura del-la Messa, dove è elogiata la grande fe-de di Abramo (Rm 4,13.16-18.22), sianella prima lettura dell’Ufficio (Eb11,1-16). Nel responsorio a quest’ulti-ma lettura troviamo, in sintesi, il cam-mino spirituale di san Giuseppe: “Fidu-cioso nella promessa di Dio, non vacil-lò, ma si rafforzò nella fede e diedegloria a Dio. Questo gli fu accreditatocome giustizia. La fede cooperava conle opere di lui, e per le opere quella fe-de divenne perfetta”.

Gli evangelisti non riportano alcu-na parola di Giuseppe, ma, attraversole azioni, possiamo cogliere alcuniaspetti della sua vita interiore (dalleopere si può dimostrare la fede, comela lettera di san Giacomo ci fa nota-re). Tutta la vita di Giuseppe è avvoltanel silenzio e mettere in luce ciò chenon è stato verbalizzato è un’impresaardua, non scevra da rischi d’artificio-sa fantasia, che potrebbe allontanaredalla verità, se non fosse fondata sul-la Parola, sulla testimonianza chehanno lasciato i santi e il magisterodei papi degli ultimi secoli. In partico-lare papa Giovanni XXIII, da pochi an-ni elevato agli onori degli altari, nu-triva una speciale devozione per sanGiuseppe, di cui portava il nome dibattesimo, e in diverse occasioni hatracciato un delicato profilo del san-to, donandoci un nobile esempio daseguire. Inoltre, raccolse gli atti deisuoi predecessori in onore di san Giu-seppe, con la Lettera Apostolica del19 marzo 1961, e lo nominò celeste

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protettore del Concilio Vaticano II. IlBeato Giovanni XXIII, additando la vi-ta di fede del santo, traeva alcuneconsiderazioni per i fedeli: “San Giu-seppe parla poco, ma vive intensa-mente, non sottraendosi ad alcunaresponsabilità, che la volontà del Si-gnore gli impone. Egli offre esempiodi attraente disponibilità alla divinachiamata, di calma in ogni evento, difiducia piena, attinta ad una vita disovrumana fede e carità e del granmezzo della preghiera… Chi ha fedenon trema, non precipita gli eventi,non sgomenta il prossimo”1.

La prova sicura della fede di Giu-seppe è riportata dall’evangelistaMatteo nella ripetizione del verbo“fece” ad ogni comando del messag-gero celeste. Nella sua obbedienza al-la volontà di Dio, Giuseppe dimostrauna fede pronta e attiva (il verbo gre-co utilizzato, “poieo”, richiama l’ope-ra della creazione); divenendo model-lo di disponibilità piena alla Parolaper tutti coloro che vogliono ascoltarela voce del Signore. Giuseppe testimo-nia la sua fede obbedendo anche alleleggi in vigore nel tempo: sia all’auto-rità che ordinava il censimento, siacompiendo tutti gli atti di culto stabi-liti dalla religione ebraica quali, adesempio, la circoncisione e la presen-tazione di Gesù al Tempio.

La vita di fede di Giuseppe conob-be i momenti di prova, tuttavia l’evan-gelista Matteo rileva, nel momentodifficile dell’accettazione del partoverginale di Maria, che il comporta-mento di Giuseppe era di “uomo giu-sto” e per questo non mancò l’assi-stenza divina che sciolse ogni timore egli affidò l’incarico di assumere la pa-

ternità del Figlio di Dio. Le iconeorientali della Natività esprimonomolto bene la prova di Giuseppe, rap-presentandolo lontano dalla grotta(per far vedere l’estraneità al concepi-mento di Gesù) e talvolta anche insi-diato dal Tentatore.

La fatica della vita di fede non furisparmiata a Giuseppe neppure quan-do, appena rallegratosi per l’adorazio-ne dei Magi a Gesù bambino, si videcostretto ad emigrare inpaese straniero senza cono-scere la data del ritorno. Imessaggi ricevuti in sogno,come ci sono descritti nelVangelo, non fornirono mol-ti particolari; così, come unuomo divenuto abile nel di-scernimento, anche Giusep-pe non ha rinunciato a considerare everificare la situazione del momento eoperare secondo le sue capacità; in se-guito fu necessario un nuovo inter-vento di Dio per convalidare la suascelta e guidarlo al ritorno dall’Egittonella nuova città dove abitare (cfr Mt2,22). Questo quadro della Famiglia diNazaret riepiloga la premura e la deci-sione di Dio nel seguire la storia del-l’Incarnazione: “la mano del Signore liguida e li protegge nei giorni dellaprova” (quarta strofa dell’inno dei Ve-spri). Una strada tracciata per il nostropellegrinaggio quotidiano di fede:quando il buio fitto non ci lascia scor-gere la meta, siamo invitati a metterciin ogni caso in cammino perché il Si-gnore non mancherà di illuminare lavia confermando o modificando il per-corso. San Giuseppe diventa così unnostro compagno nella fatica quoti-diana sostenendoci quando vacilliamo

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e rassicurandoci ogni volta che il timo-re di sbagliare la strada paralizza lenostre energie; anche lui, pur cosìprossimo a Gesù, ha sperimentato lafatica di aderire pienamente al pianodivino della salvezza. Giuseppe è unuomo pieno di speranza che ha attin-to la sua forza dalla meditazione assi-dua della Scrittura, secondo la tradi-zione ebraica; il Vangelo non riportadirettamente questo fatto, ma lo pos-

siamo dedurre dal comporta-mento di Gesù come fre-quentatore assiduo della Si-nagoga (cfr Lc 4,16) e pelle-grino fedele a Gerusalemmein occasione delle feste sta-bilite dalla legge (cfr Lc 2,41). Giuseppe, soprattuttodai salmi, aveva imparato a

“sperare nella grazia del Signore” e a“confidare in lui” (come richiama ilcanto al Vangelo): per questo in pienalibertà aderisce alla comunicazione diDio che gli rivela nuovi orizzonti neiquali egli s’inserisce, compiendo scelteche non avrebbe mai immaginato difare. L’evangelista Matteo definisce, aragione, Giuseppe “giusto”, comel’uomo descritto nel salmo 91 e cosìcommentato dal Papa Giovanni PaoloII: “Le radici del giusto affondano inDio stesso da cui riceve la linfa dellagrazia divina. La vita del Signore loalimenta e lo trasforma rendendoloflorido e rigoglioso, cioè in grado didonare agli altri e di testimoniare lapropria fede”2.

Il secondo elemento che contraddi-stingue Giuseppe è la purezza dicuore. Il santo è sempre stato stimatolo sposo fedele della Vergine; pur-

troppo alcune supposizioni degli apo-crifi hanno pensato di giustificare lapresenza dei fratelli di Gesù (cfr Lc8,20 e paralleli) attribuendoli a Giu-seppe come figli nati da nozze ante-riori a quelle con Maria. In tal modo ilsanto è stato considerato un uomo ve-dovo, quindi non molto giovane, cuifu data in sposa la Vergine. Tale ipote-si fu contestata fin dai primi secoli delcristianesimo, divenendo occasionepropizia per i Padri e i Teologi del Me-dio Evo di levare la voce a testimo-nianza della castità di Giuseppe. La ca-stità della Vergine (prima, durante edopo il parto), secondo i Padri dellaChiesa, sarebbe stata custodita in mo-do adeguato nell’uomo di virtù, ilquale ha sempre vigilato con umiltàper conservare la castità del corpo inun cuore indiviso. Anche i papi, in par-ticolare Pio XI, si sono fatti sostenitoridella magnifica e unica missione diGiuseppe quale custode del Redento-re e protettore della santità e vergi-nità di Maria.

La purezza di cuore di Giuseppe di-venta così il luogo dove l’amore di Diotrova accoglienza, lasciando spazio aldinamismo dello Spirito, come si affer-ma nell’Esortazione Apostolica Re-demptoris Custos, di cui quest’anno ri-corre il 15° anniversario della pubbli-cazione: “Giuseppe, obbediente alloSpirito, proprio in esso ritrovò la fontedell’amore, del suo amore sponsale diuomo, e fu questo amore più grandedi quello che «l’uomo giusto» potevaattendersi a misura del proprio cuoreumano”3. La dinamica dell’amore tri-nitario, per sua natura diffusiva, inve-stendo la vita verginale di Giuseppe,la rende feconda. La generazione spi-

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rituale diventa così evidente in Giu-seppe che non ha dato vita ad un’al-tra creatura, ma ha assecondato l’a-zione dello Spirito nella custodia delVerbo di Dio ricevendo un dono parti-colare “nella contemplazione dellaVerità stessa che abitava nella sua ca-sa”. “Lo Spirito Santo certamente haadornato in modo eminente san Giu-seppe di quelle qualità, l’amore e ildono, necessarie a costituire quellasingolare e altissima paternità”4.

La tradizione monastica ha saggia-mente accolto questo valore incompa-rabile nella vita di Giuseppe, per talemotivo, nel lezionario L’Ora dell’Ascol-to, è riportata al 19 marzo una terzalettura tratta dai Discorsi di san Bernar-do in cui si illustra la castità della Fami-glia di Nazaret: “…Dovette, perciò, es-sere detto lo sposo di lei, perché neces-sariamente così doveva essere ritenuto;come anche meritò di essere reputato ilpadre del Salvatore, pur non essendoloin realtà (cfr Lc 3,23) […] Servo fedele esaggio, scelto dal Signore per conforta-re la Madre sua e provvedere al di leisostentamento; il solo coadiutore fede-lissimo, sulla terra, del grande disegnodi Dio”.

La purezza di cuore di Giuseppe di-venta luogo di crescita per la vita di Ge-sù, e spazio di condivisione di un pro-getto comune nella relazione con Ma-ria: “Mediante il sacrificio totale di séGiuseppe esprime il suo generoso amo-re verso la Madre di Dio, facendole«dono sponsale di sé». Pur deciso a riti-rarsi per non ostacolare il piano di Dioche si stava realizzando in lei, egli perespresso ordine angelico la trattienecon sé e ne rispetta l’esclusiva apparte-nenza a Dio”5. L’evangelista Matteo nel

descrivere il messaggio celeste inviato aGiuseppe dapprima lo invita a prenderecon sé Maria, sua sposa (1,20); peròquando lo esorta a fuggire in Egittonon parla di “sua moglie” ma “delbambino e sua madre” (2,13. 20), ren-dendo evidente in tal modo una singo-lare unione matrimoniale in funzionedella persona e della missione di Gesù.

La tradizione orientale, nel tra-smetterci le immagini riguardanti laSacra Famiglia, ha sempreavuto attenzione particolarea non riprodurre atteggia-menti d’affetto impropri,per questo non si trovanoicone raffiguranti i corpi rav-vicinati di Giuseppe e Mariaperché il legame unico d’in-timità è lasciato solo allaMadre di Dio e al Figlio che ha gene-rato (come l’avvicinamento dei volti diGesù e Maria nella Madonna della Te-nerezza). Negli ultimi tempi assistia-mo però ad un allontanamento dallatradizione ortodossa, soprattutto nel-la creazione iconografica occidentale.

L’ultimo elemento che incontriamonella nostra petizione è il servizio alFiglio di Dio, che Giuseppe esercitòassumendosi la paternità di Gesù, ga-rantendo così lo svolgimento della vi-ta terrena in un ambito comune aquello di tutte le famiglie dell’uma-nità, come mette in risalto il responso-rio alla seconda lettura dell’Ufficio:“Dio mi ha reso come un padre per ilRe, Signore e custode della sua fami-glia”. La missione di Giuseppe divienequindi la custodia della Vergine e delFiglio di Dio che si realizza nell’obla-zione di sé, come ben manifestava Pa-

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pa Paolo VI: “La sua paternità si èespressa concretamente nell’aver fat-to della sua vita un servizio, un sacrifi-cio, al mistero dell’Incarnazione e allamissione redentrice che vi è congiun-ta: nell’aver usato dell’autorità legale,che a lui spettava sulla sacra Famiglia,per farle totale dono di sé, della suavita, del suo lavoro; nell’aver converti-to la sua umana vocazione all’amoredomestico nella sovrumana oblazione

di sé, del suo cuore e di ognicapacità, nell’amore posto aservizio del Messia germina-to nella sua casa”6.

Prima dell’accoglienzadella missione di padre delFiglio di Dio, Giuseppe hadovuto stabilire un legameconiugale con Maria ripo-

nendo nel matrimonio il luogo dellasua santificazione: “Insieme con l’as-sunzione dell’umanità, in Cristo è an-che «assunto» tutto ciò che è umanoe, in particolare, la famiglia, quale pri-ma dimensione della sua esistenza interra. In questo contesto è anche «as-sunta» la paternità umana di Giusep-pe”7.

San Giuseppe non si è mai sottrattoa tutti gli impegni della famiglia e so-prattutto a quello impegnativo dellapaternità. Abbiamo già visto le proveaffrontate per la cura e la difesa di Ge-sù bambino, ora daremo qualche ac-cenno all’azione educativa del fanciul-lo e al ruolo significativo di Giuseppe.

Dal silenzio in cui è avvolta la vita aNazaret secondo i Vangeli, possiamopensare allo svolgersi degli avveni-menti quotidiani in modo simile allealtre famiglie del tempo, senza nulladi diverso. Lo straordinario della vita

di Gesù a Nazaret era quindi solo lasua presenza, che trasformava la sem-plice vita di una famiglia in un luogod’accoglienza dove l’Amore cresceva,“se questo amore attraverso la suaumanità si irradiava su tutti gli uomi-ni, ne erano certamente beneficiari inprimo luogo coloro che la volontà di-vina aveva collocato nella sua piùstretta intimità: Maria sua madre e ilpadre putativo Giuseppe”8.

San Giuseppe accoglie la disposizio-ne divina che gli affida la paternità delFiglio di Dio entrando interamente nel-la dinamica relazionale tra padre e fi-glio, in una “singolarissima relazione”,“poiché l’amore «paterno» di Giusep-pe non poteva non influire sull’amore«filiale» di Gesù e viceversa”9. Il silen-zio verbale di Giuseppe nei Vangeli, inogni caso non è assenza di comunica-zione: infatti alcuni episodi lascianotrasparire uno stile di vita interiore chemanifesta la profonda saggezza delsanto. La descrizione del ritrovamentodi Gesù dodicenne al Tempio (Lc 2,41-52) è un esempio singolare di comeGiuseppe viva consapevolmente la suafunzione paterna. In primo luogo tro-viamo la manifestazione dei sentimentiche animano il servizio di Giuseppe alFiglio di Dio: la ricerca e l’angoscia peril mancato ritrovamento, l’atteggia-mento silenzioso di Giuseppe, Mariache si fa portavoce dei comuni senti-menti, dimostrando due aspetti del suocarattere: la profonda sensibilità d’ani-mo unita alla responsabilità nella cu-stodia del Figlio di Dio e la sinceraumiltà che conserva il silenzio anchenell’incomprensione alla risposta di Ge-sù. L’evangelista Luca è attento a sotto-lineare lo stupore dei genitori che con-

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templano Gesù nel Tempio e a comple-tare il quadro con la cornice di Gesùche partì con loro e stava loro sotto-messo. Giuseppe, sebbene Gesù stessoriveli chi è il suo vero padre (cfr. Lc2,49), non si sottrae all’impegno dellapaternità neppure quando non com-prende adeguatamente il piano di Dioche si compie nel Figlio, garantendoglicosì la possibilità di crescere «in sapien-za, età e grazia…».

Il valore del patrocinio di Giuseppesulla Chiesa universale che papa Pio IXgli affidò nel 1870, diventa particolar-mente propizio alla nostra epoca, cheha smarrito il ruolo della figura pater-na. Nella famiglia si è perduta l’imma-gine del padre come riflesso di un Al-tro, da cui tutto ha origine: essere pa-dre significa rivelare ai figli il volto pa-terno di Dio. L’esperienza di Giuseppeabbraccia tutta la dinamica della pater-nità: non solo quella legata alla gene-razione carnale, ma in modo peculiarea quella spirituale. La relazione tra pa-dre e figlio deve sempre essere plasma-ta dalla certezza che la paternità che siesercita sulla terra è solo un riflesso diquella di Dio, come disse Gesù: “E nonchiamate nessuno padre sulla terra,perché uno solo è il Padre vostro, quel-lo del cielo” (Mt 23,9). La qualità ne-cessaria per essere autenticamente“padre” e rivelare il Padre, è la consa-pevolezza di essere in primo luogo “fi-glio”. Giuseppe era ben consapevole dinon essere il padre di Gesù, infatti, nelVangelo è Maria ad attribuirgli tale ti-tolo, ma accoglie ugualmente il dise-gno di Dio che gli assegna l’incaricodella paternità. Alcune forme di lin-guaggio entrate nel vocabolario eccle-siale comune tradiscono l’incertezza di

assumersi il ruolo della paternità nellaguida spirituale. Ricorrere all’espedien-te di considerarsi “accompagnatorespirituale” può nascondere la volontàdi sottrarsi alla responsabilità che lapaternità comporta. L’esperienza diGiuseppe diventa paradigmatica di uncompito, quello della paternità, chenon sempre risponde adeguatamentealle esigenze dei figli, che comporta fa-tica e angoscia per trovare la veritàdella persona secondo il dise-gno di Dio e che talvolta nonpuò essere interamente com-preso. Giuseppe insegna acomportarsi da “padre” nonperché sia stato sempre certodell’orientamento da dare aGesù, ma perché si è presocura di lui, di tutta la sua per-sona con le sue esigenze e attese. Inquesto senso potremmo ritenere cheanche la paternità di Giuseppe ha co-nosciuto una progressione, crescendoinsieme con l’umanità del Figlio di Dio.

L’esempio di Giuseppe ci aiuta inol-tre a dare valore ad ogni attività cheDio ci consegna, senza misurare lagrandezza dell’opera, ma cercandosolo la gloria di Dio come umili servi-tori: “…quale grandezza acquista lafigura silenziosa e nascosta di san Giu-seppe per lo spirito con cui egli com-pie la missione affidatagli da Dio! Poi-ché la vera dignità dell’uomo non simisura dall’orpello di risultati strepito-si, ma dalle disposizioni interiori di or-dine e di buona volontà”10.

Gli evangelisti non raccontano nulladella vita di Gesù a Nazaret; solo cidanno l’indicazione del lavoro del pa-dre. “Anche sul lavoro di carpentierenella casa di Nazareth si stende lo stes-

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so clima di silenzio, che accompagnatutto quanto si riferisce alla figura diGiuseppe. È un silenzio, però, che svelain modo speciale il profilo interiore diquesta figura. I vangeli parlano esclusi-vamente di ciò che Giuseppe «fece»;tuttavia, consentono di scoprire nellesue «azioni», avvolte dal silenzio, unclima di profonda contemplazione.Giuseppe era in quotidiano contattocon il mistero «nascosto da secoli», che

prese «dimora» sotto il tettodi casa sua. Questo spiega, adesempio, perché santa Teresadi Gesù, la grande riformatri-ce del Carmelo contemplati-vo, si fece promotrice del rin-novamento del culto di sanGiuseppe nella cristianità oc-cidentale”11. In queste parole

troviamo il segreto della santità di Giu-seppe: l’unione con Dio. “Le anime piùsensibili agli impulsi dell’amore divinovedono a ragione in Giuseppe un lumi-noso esempio di vita interiore.

Inoltre, l’apparente tensione tra lavita attiva e quella contemplativa tro-va in lui un ideale superamento, possi-

bile a chi possiede la perfezione dellacarità. Seguendo la nota distinzionetra l’amore della verità e l’esigenzadell’amore, possiamo dire che Giusep-pe ha sperimentato sia l’amore dellaverità, cioè il puro amore di contem-plazione della verità divina che irra-diava dall’umanità di Cristo, sia l’esi-genza dell’amore, cioè l’amore altret-tanto puro del servizio, richiesto dallatutela e dallo sviluppo di quella stessaumanità”12.

La pietà popolare ha sempre con-siderato la grandezza della santità diGiuseppe, pur senza rilevare episodimiracolistici o fatti straordinari. Que-sto mette ancor più in risalto il profi-lo interiore di Giuseppe che, nellasemplicità della sua vita, ha saputofar trasparire la presenza di Dio.“San Giuseppe è il modello degliumili che il cristianesimo solleva agrandi destini; san Giuseppe è la pro-va che per essere buoni ed autenticiseguaci di Cristo non occorrono«grandi cose», ma si richiedono solovirtù comuni, umane, semplici, mavere ed autentiche”13.

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—————————————1 GIOVANNI XXIII, Allocuzione, 17 marzo 1963.2 GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 3 settembre 2003, n.4. 3 GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. Redemptoris Custos, 15.8.1989, n. 19. 4 Cfr. T. STRAMARE, San Giuseppe «Il Custode del Redentore», Edizioni Piemme, Casale Monfer-

rato 1990, 106-107.5 GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. Redemptoris Custos, 15.8.1989, n. 20.6 PAOLO VI, Allocuzione, 19 marzo 1966. 7 GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. Redemptoris Custos, 15.8.1989, n.21.8 Ibid., n. 27.9 Ibid., n. 27.10 GIOVANNI XXIII, Allocuzione, 1 maggio 1960.11 GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. Redemptoris Custos, 15.8.1989, n. 22.12 GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. Redemptoris Custos, 15.8.1989, n. 27.13 PAOLO VI, Allocuzione, 19 marzo 1969.