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L'uomo di Marte - likeonlink.files.wordpress.com Weir. L’uomo di Marte Newton Compton editori. 1 Giornale di bordo: Sol 6 Sono spacciato di brutto. Questa è la mia ponderata valutazione

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Titolo originale: The Martian

Copyright © 2011, 2014 by Andy WeirPublished in the United States by Crown

Publishers, an imprintof the Crown Publishing Group, a division of

Random House LLC,a Penguin Random House Company, New York.Originally self-published, in different form, as

an ebook in 2011.All rights reserved.

This translation published by arrangementwith Crown Publishers, an imprint

of the Crown Publishing Group, a division ofRandom House, Inc.

Traduzione dall’inglese di Tullio Dobner

Prima edizione ebook: ottobre 2014

© 2014 Newton Compton editori s.r.l.

Roma, Casella postale 6214

ISBN 978-88-541-7052-0

www.newtoncompton.com

Realizzazione a cura di Il Paragrafo,www.paragrafo.it

Andy Weir

L’uomo di Marte

Newton Compton editori

1

Giornale di bordo: Sol 6

Sono spacciato di brutto.Questa è la mia ponderata valutazione.Spacciato.Sono passati solo sei giorni dall’inizio di quelli

che sarebbero dovuti essere i più gloriosi duemesi della mia vita e sono finito in un incubo.

Non so nemmeno chi leggerà questo diario.Immagino che prima o poi qualcuno lo troverà.Magari di qui a cent’anni.

Per la cronaca… Non sono morto a Sol 6. Cosìcrede senza dubbio il resto dell’equipaggio e nonposso biasimarli. Forse decreteranno una giornatadi lutto nazionale in mia memoria e sulla miapagina di Wikipedia ci sarà scritto: “Mark Watneyè l’unico essere umano morto su Marte”.

E sarà anche giusto, probabilmente. Perché pocoma sicuro che muoio qui. Solo non a Sol 6 come

pensano tutti.Vediamo… da dove comincio?Il Programma Ares. Il genere umano che scende

su Marte per spedire per la primissima volta gentesu un altro pianeta ed espandere gli orizzontidell’umanità bla, bla, bla. Quelli dell’Ares 1hanno fatto il loro numero e sono tornati indietroda eroi. Sfilate e gloria e l’amore del mondo tutto.

Stessa cosa ha fatto Ares 2 in una diversalocalità di Marte. Al loro rientro a casa una bellastretta di mano e una tazza di caffè caldo.

Ares 3. Ecco, questa è stata la mia missione.D’accordo, non mia nel senso che miappartenesse. C’era la comandante Lewis aguidarla. Io ero solo uno dell’equipaggio. Anzi,ero il membro dell’equipaggio più basso in grado.Sarei stato “al comando” della missione se fossistato il solo rimasto.

Volete saperlo? Sono al comando.Chissà se questo giornale verrà recuperato

prima che il resto dell’equipaggio sia morto divecchiaia. Suppongo che siano rientrati sulla Terrasani e salvi. Ragazzi, se mi state leggendo: non è

stata colpa vostra. Voi avete fatto quello chedovevate. Al posto vostro avrei fatto lo stessoanch’io. Non vi biasimo e sono contento che siatesopravvissuti.

Forse farei bene a spiegare come funzionano lemissioni su Marte per eventuali non addetti ailavori che leggessero queste pagine. Entriamo inorbita intorno alla Terra alla solita maniera, conuna normale navicella che ci scarica su Hermes.Tutte le missioni Ares usano Hermes per andare evenire da Marte. È grossa davvero e costa unocchio della testa, perciò la NASA ne ha costruitauna sola.

Arrivati su Hermes, ci siamo preparati per ilnostro viaggio mentre altre quattro missioni senzaequipaggio ci rifornivano di propellente eprovviste. Sistemata ogni cosa, siamo partiti perMarte. Ma non a razzo. Sono passati i tempi dellepotenti accensioni di carburante chimico einserimenti in orbite marziane.

Hermes è alimentata da motori a ioni. Scaricanoargon in un getto ad altissima velocità che produce

una minuscola quantità di accelerazione. Inmancanza di una significativa resistenza di massa,una piccola quantità di argon (e un reattorenucleare come fonte di energia all’interno) cipermette di compiere l’intero viaggio in uno statodi accelerazione costante. Restereste di stucco sesapeste quanto velocemente si può viaggiare conuna minima accelerazione prolungata nel tempo.

Potrei sollazzarvi con racconti di quanto cisiamo divertiti durante la trasferta, ma non lo farò.In questo momento non sono in vena di riviverequella bella esperienza. Basti dire che siamoarrivati in prossimità di Marte 124 giorni doposenza esserci strangolati l’un l’altro.

Da lì siamo scesi sulla superficie con l’MDV(Mars descent vehicle). L’MDV è praticamente ungrosso barattolo munito di propulsori eparacadute. Il suo unico scopo è di trasferire seiesseri umani dall’orbita marziana alla superficiedel pianeta senza ammazzarne nessuno.

E adesso arriviamo al vero colpo di geniodell’esplorazione marziana: trovare tutta la nostraroba già bell’e pronta, arrivata in anticipo.

Un totale di quattordici missioni senzaequipaggio avevano depositato tutto il necessarioper le operazioni in superficie. Avevano fatto delloro meglio per far atterrare le sonde con imateriali più o meno nella stessa zona e cel’avevano fatta abbastanza bene. Le attrezzaturenon sono fragili come gli esseri umani e possonoreggere a urti abbastanza violenti. Ma hanno latendenza a rimbalzare e ruzzolare di qua e di là.

Naturalmente non ci hanno spediti su Marteprima d’aver avuto conferma che tutto il materialeera arrivato a destinazione e che i contenitorierano ancora intatti. Dall’inizio alla fine,comprendendo le missioni per l’invio delleattrezzature, una missione su Marte dura circa treanni. Tant’è vero che erano in corso alcunespedizioni di materiali di Ares 3 mentrel’equipaggio di Ares 2 stava ancora tornando acasa.

Il pezzo più importante delle attrezzature giuntein anticipo è ovviamente il MAV. Il veicolospaziale che serve per ripartire. Era con quelloche saremmo tornati su Hermes una volta

completate le operazioni di superficie. Il MAV erastato calato con un atterraggio morbido (alcontrario della grande gara di corsa del cangurodegli altri colli appesi ai palloni). Naturalmenteera in comunicazione costante con Houston e seavesse avuto qualche problema, noi saremmotransitati oltre Marte e tornati a casa senzanemmeno atterrare.

Il MAV è una gran bella macchinetta. Si dà ilcaso che grazie a una simpatica serie di reazionichimiche con l’atmosfera marziana, per ognichilogrammo di idrogeno che porti su Marte puoifabbricare tredici chilogrammi di propellente.Però è un processo lento. Per riempire il serbatoioci vogliono ventiquattro mesi. È per questo che loavevano spedito molto prima del nostro arrivo.

Potete immaginare la mia delusione quando hoscoperto che il MAV era sparito.

È stato un ridicolo susseguirsi di avvenimenti acondurmi quasi alla morte e uno ancora piùridicolo a far sì che mi salvassi..

La struttura è in grado di resistere a tempeste disabbia con venti fino a 150 chilometri orari.Dunque è comprensibile che, quando abbiamocominciato a essere bastonati da raffiche a 175chilometri orari, a Houston si siano innervositi.Noi ci siamo infilati tutti nelle nostre tute spazialie ci siamo stretti al centro dello Hab, in casoavesse perso pressione. Ma il problema non era loHab.

Il MAV è un veicolo spaziale. Ha molti elementidelicati. Sopporta le tempeste fino a un certopunto, ma non è che lo si può bombardare disabbia per l’eternità. Dopo un’ora e mezzo divento incessante, la NASA ci ha dato l’ordine diabortire. Nessuno voleva mandare a monte unamissione di un mese dopo soli sei giorni, malasciando ancora il MAV in balìa di quella tortura,saremmo rimasti bloccati lassù.

Per andare dallo Hab al MAV bisognava uscirenella tempesta. Era un rischio, ma che sceltaavevamo?

Tutti ce l’hanno fatta all’infuori di me.

La nostra principale parabola di comunicazioneche serviva a inviare segnali dallo Hab a Hermesha fatto da paracadute ed è stata strappata viadall’impeto del vento. Nel volo si è schiantatacontro la serie di antenne riceventi. Dopodiché unadi quelle antenne lunghe e sottili mi si è conficcatanel corpo. Mi ha strappato la tuta come unproiettile che passa attraverso un panetto di burroe mi ha aperto il fianco provocandomi il peggiordolore che abbia mai sentito in vita mia. Ricordovagamente d’aver espulso il fiato che avevo neipolmoni (mi è stato succhiato fuori, per la verità)mentre la tuta perdeva pressione facendomisbottare dolorosamente le orecchie.

L’ultima cosa che ricordo è Johanssen cheallungava inutilmente una mano verso di me.

Mi ha svegliato l’allarme ossigeno della tuta.Un bip-bip continuo ed esasperante che alla lungami ha fatto emergere dal profondo desiderio dimandare tutto affanculo e morire.

La tempesta si era placata. Io ero a faccia in giù,quasi completamente sepolto nella sabbia. Mentre

mi riavevo, ancora intontito, mi chiedevo comemai non fossi morto più di così.

La spinta dell’antenna era stata sufficiente atrapassarmi la tuta e il fianco, ma l’aveva fermatal’osso del bacino. Dunque avevo un solo buconella tuta (e un buco anche dentro di me,ovviamente).

Ero stato catapultato all’indietro per un belpezzo ed ero rotolato giù per un pendio scosceso.Arrivato in fondo mi ero ritrovato bocconi, motivoper il quale l’antenna era stata sforzata di traversotorcendo il tessuto in corrispondenza dellostrappo. Di conseguenza l’apertura era ridotta alminimo.

Intanto dalla ferita sgorgava un bel po’ di sangueche scendeva verso lo strappo. Quando il sanguearrivava a destinazione, l’acqua che vi eracontenuta evaporava immediatamente, favorita dalfluire dell’aria e dalla pressione bassa, lasciandoun residuo appiccicoso. Il sangue continuava acolare e continuava ad addensarsi in poltiglia. Aforza di accumularsi, il coagulo aveva ostruito le

fessure dello strappo e ridotto la perdita a unlivello che la tuta era in grado di contrastare.

Ammirevole il lavoro svolto dalla mia tuta.Sentendo il calo di pressione si era inondatacostantemente di aria prelevata dal mio serbatoiodi azoto per bilanciare la perdita. Una voltastabilizzato al minimo il deflusso, non avevadovuto far altro che immettere lentamente queltantino con cui ristabilire di volta in volta illivello giusto.

Dopo un po’ gli assorbitori di CO2 (anidridecarbonica) della tuta si sono saturati. Questo inpratica il vero limite del sistema di sopravvivenza.Non la quantità di ossigeno che porti con te, bensìla quantità di CO2 che riesci a eliminare. NelloHab ho l’ossigenatore, un macchinone chescompone il CO2 per restituire l’ossigeno. Ma latuta spaziale deve garantire il movimento, così èprovvista di un semplice sistema ad assorbimentochimico con filtri a esaurimento. E io avevodormito abbastanza a lungo perché i miei filtrifossero diventati inutilizzabili.

La tuta si è accorta del problema ed è entrata inquello stato di emergenza che gli ingegnerichiamano “salasso”. Non avendo modo di scindereil CO2, la tuta si è messa a espellere arianell’atmosfera marziana sostituendola con l’azoto.Tra fuoriuscita e salasso, ben presto ha esauritol’azoto. A quel punto le restava solo il serbatoio diossigeno.

Così ha fatto la sola cosa che poteva fare pertenermi in vita. Ha cominciato a pompare ossigenopuro. A quel punto rischiavo di morire diintossicazione, perché il quantitativo eccessivo diossigeno minacciava di bruciarmi sistema nervoso,polmoni e occhi. Una morte paradossale per unocon uno strappo nella tuta spaziale: troppoossigeno.

In ogni fase del processo c’erano allarmi,avvisi, allerte. Ma è stato quello dell’alto livellodi ossigeno a svegliarmi.

La quantità di addestramento a cui ci sisottopone per una missione spaziale è da capogiro.Solo per le esercitazioni in casi di emergenza

riguardanti la tuta spaziale avevo dedicato sullaTerra un’intera settimana. Sapevo cosa fare.

Ho allungato con cautela la mano al casco e hopreso il kit per le riparazioni. Non è altro che unimbuto con una valvola all’estremità sottile e unaresina incredibilmente appiccicosa dall’altraparte. L’idea è di aprire la valvola e applicare illato largo allo strappo. L’aria può fuoriuscireattraverso la valvola, così non interferisce conl’effetto sigillante della resina. Poi si chiude lavalvola e lo strappo è riparato.

La parte difficile era togliere di mezzol’antenna. L’ho tirata fuori il più velocementepossibile sopportando con una smorfia la vertigineprovocata dall’improvviso calo di pressione e ildolore pazzesco della ferita al fianco.

Ho piantato il kit di riparazione sullo strappo el’ho sigillato. Teneva. La tuta ha rabboccato l’ariamancante con altro ossigeno. Secondo i dati delmonitor che ho sul braccio ho visto che la tutaconteneva ora un 85 percento di ossigeno. Perchési sappia, l’atmosfera terrestre ne ha circa il 21.

Ma non correvo rischi se solo non fossi rimastotroppo a lungo in quello stato.

Mi sono arrampicato per il pendio verso loHab. Quando sono sbucato da dietro la cresta hovisto qualcosa che mi ha reso molto felice equalcosa che mi ha reso molto triste: lo Hab eraintatto (vai!) e il MAV non c’era più (buu!).

In quel momento ho capito che ero fottuto. Manon mi andava di morire così, là fuori. Mi sonotrascinato fino allo Hab e in qualche modo sonoriuscito a issarmi in un comparto stagno. Appenagiunto alla pressione giusta, mi sono tolto il casco.

Entrato nello Hab mi sono liberato della tuta eper la prima volta ho potuto osservare bene laferita. Aveva bisogno di una sutura. Per fortunasiamo stati tutti addestrati in procedure mediche dibase e lo Hab possiede eccellenti fornituremediche. Una rapida iniezione di anestetico locale,irrorazione della ferita, nove punti e fine delrammendo. Avrei preso antibiotici per un paio disettimane, ma a parte quello non c’erano problemi.

Anche sapendo che non c’era speranza, hocercato di azionare il sistema di comunicazione.

Nessun segnale, naturalmente. La parabolasatellitare primaria era saltata via, ricordate? E siera portata via le antenne di ricezione. Lo Hab eraprovvisto di sistemi di comunicazione secondarioe terziario, ma servivano entrambi per contattare ilMAV, che avrebbe usato i suoi sistemi molto piùpotenti per fare da ponte con Hermes. Peccato cheil trucchetto funzioni solo se il MAV è nei paraggi.

Non avevo modo di parlare con Hermes. Primao poi avrei localizzato la parabolica all’esterno,ma mi ci sarebbero volute settimane per rimetterlain sesto e sarebbe stato troppo tardi. In unasituazione di missione abortita, Hermes lascial’orbita entro ventiquattr’ore. Le dinamicheorbitali fanno sì che se si parte prima, il viaggio èpiù sicuro e breve, dunque perché tirarla per lelunghe?

Quando ho controllato la tuta, ho visto chel’antenna si era conficcata nel mio computer dibiomonitoraggio. In condizioni di EVA, attivitàextra-veicolare, le tute dei membri dell’equipaggiosono in rete, in modo che ciascuno conosca lecondizioni biofisiche di tutti i compagni. I miei

dovevano aver visto che la pressione della miatuta era scesa quasi a zero e che subito dopo i mieiindici di vitalità si erano bruscamente appiattiti.Aggiungiamoci d’avermi visto ruzzolare giù per unpendio nel bel mezzo di una tempesta di sabbiacon una lancia piantata nel corpo… Hanno pensatoche fossi morto, per forza.

Può anche darsi che abbiano brevementediscusso se venire a recuperare il mio corpo, ma ilregolamento parla chiaro. Nel caso in cui unmembro dell’equipaggio muoia su Marte, su Marteresta. Lasciare indietro il suo corpo diminuisce ilpeso che deve trasportare il MAV nel viaggio diritorno. Questo significa più propellente adisposizione e un più ampio margine di errorenella spinta per il ricongiungimento. Cose a cuinon si rinuncia per sentimentalismo.

Dunque ecco la situazione. Sono naufragato suMarte. Non ho modo di comunicare con Hermes ola Terra. Tutti mi credono morto. Sono in un Habprogettato per durare trentun giorni.

Se l’ossigenatore si guasta, finisco soffocato. Sesi guasta il rigeneratore dell’acqua, muoio di sete.Se si apre una falla nello Hab, esplodo o qualcosadel genere. Se non succede nessuna di queste cose,a un certo punto resterò senza niente da mangiare emorirò di fame.

Dunque, sì, sono spacciato.

2

Giornale di bordo: Sol 7

Bene, mi sono fatto una bella dormita e lasituazione non mi sembra più così disperata comeieri.

Oggi ho accumulato un po’ di scorte e ho fattouna rapida EVA per controllare l’attrezzaturaesterna. Ecco come stanno le cose:

la missione esplorativa sarebbe dovuta duraretrentun giorni. I prerifornimenti prevedono unesubero di vettovaglie che garantiscanoalimentazione per tutto l’equipaggio percinquantasei giorni. In questo modo, se una o duesonde avessero dei problemi, avremmo comunqueda mangiare abbastanza per portare a compimentola missione.

Quando tutto è andato alla malora eravamo inmissione da sei giorni, perciò è rimasto abbastanzacibo da nutrire sei persone per cinquanta giorni. Io

sono solo, quindi ne ho per trecento giorni. Equesto se non raziono i viveri. Dunque possoresistere un bel po’.

Sono messo bene anche quanto a tute EVA.Ciascun membro dell’equipaggio aveva indotazione due tute spaziali, una da volo daindossare durante discesa e decollo, e quella assaipiù ingombrante e robusta da indossare per leoperazioni di esplorazione della superficie. La miatuta spaziale da volo è strappata e naturalmente lealtre cinque le indossavano i miei compagniquando sono tornati su Hermes. Ma qui ci sonoancora tutte e sei le tute EVA e sono in condizioniperfette.

Lo Hab ha resistito alla tempesta senzaproblemi. Fuori la situazione non è altrettantorosea. Non trovo più la parabola satellitare. Ilvento deve essersela portata via per chilometri.

Naturalmente il MAV non c’è più. I mieicompagni l’hanno usato per tornare su Hermes.Quaggiù è rimasta la metà inferiore, la struttura diatterraggio. Inutile riportarla su quando il tuonemico è il peso. Comprende la sezione di

atterraggio, il generatore di propellente e tuttoquello che secondo la NASA non serve per ilviaggio di ritorno in orbita.

L’MDV è coricato su un fianco e ha uno squarcionello scafo. Il vento deve aver strappato via lacappottatura del paracadute di riserva (che nonavevamo dovuto usare per scendere su Marte).Una volta gonfiatosi, il paracadute ha trascinatol’MDV in balìa del vento mandandolo a cozzarecontro tutte le rocce disseminate nella zona. Nonche l’MDV possa servirmi più che tanto. I suoipropulsori non lo solleverebbero nemmeno vuoto.Ma sarebbe potuto tornarmi utile per qualchepezzo di ricambio. E non è detto che non sia cosìin futuro.

Entrambi i rover sono stati quasi completamentesepolti dalla sabbia, ma per il resto sono in buonostato. Le chiusure a pressione sono intatte. Èlogico. Nel caso di una tempesta la proceduraoperativa prevede che il veicolo si fermi e aspettiche passi. Sono costruiti in modo da resistere asituazioni critiche. Potrò disseppellirli con una odue giornate di lavoro.

Ho perso la possibilità di comunicare con lestazioni meteorologiche collocate a un chilometrodallo Hab in quattro direzioni. Per quel che ne sopuò darsi che funzionino perfettamente.Attualmente i sistemi di comunicazione dello Habsono così deboli che probabilmente a unchilometro non ci arrivano.

I pannelli solari erano ricoperti di sabbia equindi inservibili (indizio: per produrre elettricitài pannelli solari hanno bisogno di luce solare). Madopo che ho ripulito i pannelli, sono tornati inpiena efficienza. Qualsiasi cosa finisca per fare,avrò tutta l’energia che mi potrebbe servire.Duecento metri quadrati di pannelli solari conannesse pile a combustibile a idrogeno perimmagazzinare scorte di energia a volontà. Mibasterà andare a ripulire i pannelli di tanto intanto.

All’interno, è tutto a posto grazie alla solidaarchitettura dello Hab.

Ho eseguito una diagnostica completadell’ossigenatore. Due volte. Perfetto. Se qualcosadovesse andare storto con l’ossigenatore, posso

usare per un po’ quello di riserva. Ma è solo per leemergenze, mentre quello principale è inriparazione. Quello di riserva infatti non scindel’anidride carbonica per ricatturare l’ossigeno. Silimita ad assorbire il CO2 come fanno le tutespaziali. È progettato perché saturi i filtri dopocinque giorni, che per me diventano trenta (unasola persona a respirare invece di sei). Dunque daquel punto di vista ho una certa tranquillità.

Anche il depuratore dell’acqua funziona bene.La brutta notizia è che non ha backup. Se smette difunzionare berrò l’acqua di riserva mentreconfeziono un primitivo distillatore per far bollirel’orina. Perderò inoltre mezzo litro di acqua algiorno nella respirazione finché l’umidità delloHab arriverà al picco massimo e l’acquacomincerà a condensarsi su tutte le superfici. Aquel punto mi metterò a leccare il telone. Vai! Perora, in ogni caso, nessun problema con ildepuratore.

Allora: cibo, acqua e ricovero sono staticontrollati e comincerò a razionare i viveri fin dasubito. I pasti sono già ridotti al minimo, ma credo

di poter mangiare tre quarti di porzione per voltasenza soffrirne. In questo modo i miei trecentogiorni di viveri dovrebbero diventare quattrocento.Perlustrando l’area medica, ho trovato il flaconeprincipale di vitamine. Ci sono abbastanzacompresse multivitaminiche da durarmi anni.Dunque non avrò problemi nutrizionali (anche semorirò lo stesso di fame quando resterò senzacibo, alla faccia di tutte le vitamine del mondo).

Nell’area medica c’è della morfina per leemergenze. E ce n’è abbastanza per una doseletale. Credetemi, non morirò lentamente di fame.Se arriverò a quel punto, prenderò la scorciatoia.

Tutti i membri dell’equipaggio avevano duespecialità. Io sono un botanico e un ingegneremeccanico, in pratica sono il riparatore dellamissione con l’hobby delle piante. È possibile chese si guasta qualcosa le mie competenzemeccaniche mi salvino la vita.

Ho pensato a come sopravvivere a questasituazione. Non è del tutto disperata. Tra quattroanni gli umani torneranno su Marte con l’arrivo di

Ares 4 (sempre che non annullino il programma inseguito alla mia “morte”).

Ares 4 atterrerà nel cratere Schiaparelli, che è a3200 chilometri circa da dove mi trovo io, qui,nella piana di Acidalia Planitia. Di arrivarci dasolo non se ne parla. Ma se riuscissi a comunicarepotrei ottenere dei soccorsi. Non so comepotrebbero inventarsi qualcosa con le scarserisorse a disposizione, ma alla NASA ci sono unsacco di cervelloni.

Dunque questa è attualmente la mia missione.Trovare il modo di comunicare con la Terra. Senon ci riesco, trovare un modo per comunicare conHermes quando tornerà tra quattro anni conl’equipaggio di Ares 4.

Chiaramente non ho nessun piano persopravvivere per quattro anni con scorte di ciboper un anno solo. Ma facciamo un passo per volta.Al momento sono ben nutrito e ho uno scopo:riparare quella maledetta radio.

Giornale di bordo: Sol 10

Ho fatto tre EVA e non ho trovato traccia dellaparabolica.

Ho disseppellito uno dei rover e mi sono fattouna bella perlustrazione, ma dopo aver girovagatoper giorni credo sia ora di desistere. È probabileche la tempesta abbia fatto volare la parabolicamolto lontano e abbia quindi cancellato tutte letracce e i solchi che avrebbero potuto indicarmi ladirezione giusta. Probabilmente ha seppellitoanche l’antenna.

Oggi sono stato fuori quasi tutto il giorno aesaminare quel che resta dell’impianto dicomunicazione. Fa davvero pena. Per quel che puòaiutarmi, tanto varrebbe che mi mettessi a urlareverso la Terra.

Potrei mettere assieme un disco rudimentaleusando del metallo recuperato dalla base, ma quinon stiamo parlando di un semplice walkie-talkie.Comunicare da Marte alla Terra è una faccendaseria e richiede un’attrezzatura estremamente

specializzata. Non è che posso confezionarequalcosa con carta stagnola e gomma da masticare.

Oltre al cibo, devo razionare anche le mie EVA.Non si possono pulire i filtri del CO2. Una voltasaturati, è fatta. La missione prevedeva una EVA diquattro ore al giorno per ciascun membrodell’equipaggio. Per fortuna i filtri di CO2 sonoleggeri e di piccole dimensioni, così la NASA si èpresa il lusso di spedirne più del necessario. Nelcomplesso ho a disposizione 1500 ore di filtraggiodi CO2. Dopodiché per qualunque EVA voglia faredovrò affidarmi al sistema del salasso.

1500 ore sembrano tantissime, ma se vogliosperare di cavarmela mi si prospettano almenoquattro anni da passare quassù, dovendo dedicareun minimo di qualche ora alla settimana perripulire i pannelli solari. Comunque. Niente EVAinutili.

Passando ad altro, sto cominciando ad averequalche idea per il cibo. In questo potrebberotornarmi utili le mie competenze in botanica.

Perché portare un botanico su Marte? In fondo ilpianeta è famoso proprio perché non ci cresce unbel niente. Ebbene, l’idea era di scoprire quantopuò crescere bene qualcosa nella gravità marzianae vedere cosa si potrebbe eventualmente fare conil suolo marziano. La risposta succinta è: un belpo’… più o meno. Nel suolo marziano sonopresenti gli elementi fondamentali necessari per lacrescita delle piante, ma nel suolo terrestre c’è unsacco di altra roba che il suolo marziano non ha,anche quando venisse introdotto in un’atmosferaterrestre e rifornito di acqua in quantità. Attivitàbatterica, certi nutrienti forniti dalla vita animale ealtro ancora. Niente di tutto questo avviene suMarte. Uno dei compiti della missione era distudiare come crescono le piante quassù in variecombinazioni di suolo e atmosfera terrestre emarziana.

Per questo ho con me un piccolo quantitativo disuolo terrestre e un mucchietto di semi. Tuttavianon è che possa fare salti di gioia. Ho quel tanto diterra con cui si potrebbe riempire una fioriera dafinestra e gli unici semi che ho sono alcune specie

di erbe e felci. Sono i vegetali più rustici e facilida far crescere esistenti sulla Terra ed è per questoche la NASA li ha selezionati per il test.

Dunque io ho due problemi: non ho terra asufficienza e non ho da piantarci niente dicommestibile.

Ma sono un botanico, dannazione. Dovrei esserein grado di trovare un modo per farlo succedere.Altrimenti di qui a un anno sarò un botanico moltoaffamato.

Giornale di bordo: Sol 11

Chissà come stanno andando i Cubs.

Giornale di bordo: Sol 14

Mi sono laureato all’università di Chicago.Metà di quelli che studiavano botanica eranohippie che pensavano di poter tornare a non si sa

bene quale sistema di vita naturale. Nutrendo nonsi sa come sette miliardi di individui raccogliendosemplicemente il cibo offerto dalla natura.Passavano la gran parte del loro tempo aescogitare modi migliori per coltivare marijuana.A me non piacevano. Io sono sempre stato unpatito della scienza, non delle stronzate da NuovoOrdine Mondiale.

Quando li vedevo fare mucchi di compost ecercare di conservare ogni piccolo avanzo dimateria vivente, ne ridevo. “Guarda quanto sonoscemi quegli hippie! Guarda che patetici tentatividi simulare nel giardino dietro casa complessiecosistemi globali”.

Tipico che adesso mi ritrovi a fare esattamentela stessa cosa. Metto da parte ogni piccolo grumodi biomateria che trovo. Tutte le volte che finiscodi mangiare, gli avanzi vanno nel secchio delcompost. Quanto ad altro materiale biologico…

Allo Hab ci sono toilette sofisticate. La caccaviene di solito liofilizzata e messa sottovuoto peressere chiusa in sacchetti ermetici da abbandonareall’esterno.

Non più!Anzi, ho persino fatto una EVA per recuperare i

sacchi di cacca lasciati dai miei compagni primache se ne andassero. Poiché è completamentedessiccata, in questa particolare cacca non c’eranobatteri, mentre c’erano proteine complesse che nefacevano un utile concime. Con l’aggiuntadell’acqua l’attività batterica sarebbe ripresavelocemente, reintegrando tutta la popolazioneuccisa dalla Toilette Sterminatrice.

Ho trovato un contenitore capiente e ci ho messoun po’ d’acqua, poi ho aggiunto la cacca secca. Daallora ho continuato aggiungendovi la miapersonale. Più puzza, più efficace è la reazione.Sono i batteri al lavoro!

Dopo che avrò portato qui dentro un po’ di terramarziana, la stenderò mescolandoci la cacca. Poici spargerò sopra la terra terrestre. Potrestepensare che non sia un passo importante e invecelo è. Nella terra del nostro pianeta vivono decinedi specie di batteri che hanno una funzionedecisiva nella crescita vegetale. Si diffonderanno

e moltiplicheranno come… be’, come un’infezionebatterica.

Per secoli gli esseri umani hanno usato i propriescrementi come fertilizzante. È quella sostanzache chiamiamo liquame. Come terreno di colturanon è l’ideale perché diffonde malattie: ledeiezioni umane contengono patogeni che, guardaun po’, infettano gli umani. Ma non è un problemaper me. I soli patogeni in questi escrementi sonoquelli che ho già.

Nel giro di una settimana il suolo marziano saràpronto per farvi germinare delle piante. Ma io nonseminerò subito. Porterò dentro altro suolo inerte evi spargerò sopra altra terra viva. Essa “infetterà”la terra nuova e io raddoppierò il quantitativoiniziale. Dopo un’altra settimana lo raddoppieròun’altra volta. E così via. Naturalmente di volta involta vi aggiungerò anche il letame.

Il mio buco del culo sta contribuendo alla miasopravvivenza non meno del mio cervello.

Non si tratta di una mia genialata. Sono decenniche si studiano sistemi per trasformare la terra

marziana in terreno coltivabile. Io mi limito atestare la teoria per la prima volta.

Ho frugato nelle scorte di viveri e ho trovatoogni genere di cose da piantare. Piselli, peresempio. Fagioli in quantità. Ho anche trovatodelle patate. Se anche solo qualcuno dei mieiesemplari è ancora in grado di germinare dopo letrascorse vicissitudini, sarà un bel colpo. Con unaprovvista di vitamine praticamente inesauribile,per sopravvivere mi basta trovare calorie diqualunque genere.

Il pavimento dello Hab è di 92 metri quadrati.Ho intenzione di dedicarlo tutto alla mia impresa.Non m’importa di dover camminare sulla terra.Sarà un lavoraccio, ma è necessario che ricopratutto il pavimento di uno strato di almeno diecicentimetri. Questo significa che dovrò trasportaredentro lo Hab 9,2 metri cubi di terriccio marziano.Nella camera d’equilibrio posso introdurre forseun decimo di metro cubo per volta e raccogliere ilterriccio sarà un lavoro da bestia. Ma alla fine, setutto andrà per il verso giusto, avrò 92 metriquadrati di suolo coltivabile.

Diavolo, ehi, sono un botanico! Attenti ai mieipoteri fitologici!

Giornale di bordo: Sol 15

Uh! Che rogna spaccaschiena!Per dodici ore oggi sono entrato e uscito per

portar dentro terra. Sono riuscito a ricoprire soloun piccolo angolo di pavimento, cinque metriquadrati all’incirca. Di questo passo per portaredentro tutto il terriccio che mi serve mi civorranno settimane. Però se c’è una cosa che nonmi manca è proprio il tempo.

Le prime EVA sono state parecchio inefficienti.Riempivo piccoli contenitori e li portavo dentropassando attraverso la camera d’equilibrio. Poi misono fatto furbo e ho piazzato nella camera uncontenitore grande in cui ho versato il contenuto diquelli piccoli fino a riempirlo. In questo modo hoaccelerato di molto le operazioni, perché per

stabilizzare la pressione nella camera d’equilibrioci vogliono ogni volta una decina di minuti.

Sono tutto indolenzito. E le vanghe che ho adisposizione servono per prendere campioni, nonper grandi scavi. La schiena mi sta uccidendo. Hoinvestigato nelle scorte di medicinali e ho trovatodel Vicodin. L’ho preso dieci minuti fa. Prestodovrei sentirne l’effetto.

In ogni caso è bello vedere i progressi fatti. Èora di mettere i batteri al lavoro su questi minerali.Dopo pranzo. Oggi niente tre quarti di razione. Misono meritato un pasto pieno.

Giornale di bordo: Sol 16

Una complicazione alla quale non avevopensato: l’acqua.

Milioni di anni di esposizione della superficiemarziana hanno portato all’eliminazione di tuttal’acqua che c’era nel suolo. La laurea in botanicami assicura che per crescere le piante hanno

bisogno di terra bagnata. Per non parlare deibatteri che devono vivere nella terra per dareinizio al processo.

Per fortuna io ho dell’acqua. Ma non tantaquanta mi serve. Per diventare fertile il suolo habisogno di 40 litri d’acqua per metro cubo. Il mioprogetto finale è di 9,2 metri cubi di terra. Pernutrirla avrò quindi bisogno di 368 litri d’acqua.

Il sistema di riciclaggio dello Hab è eccellente.La miglior tecnologia disponibile sulla Terra. Cosìla NASA ha pensato: “Perché mandare su tantaacqua? Basta quanta ne serve per un’emergenza”.Per star bene gli esseri umani hanno bisogno di trelitri d’acqua al giorno. A noi ne hanno assegnati 50a testa, per un totale di 300 litri.

Sono disposto a sacrificare 50 litri alla miacausa. Questo significa bagnare 62,5 metriquadrati per una profondità di 10 centimetri. Dueterzi circa del pavimento dello Hab. Dovràbastare. Questo come programma a lungo termine.Per oggi il mio obiettivo è 5 metri quadrati.

Con le coperte e le uniformi dei miei compagniassenti ho confezionato un cordone che funga da

bordo di un’aiuola delimitata per il resto delperimetro dalla parete concava dello Hab. Èquanto di più prossimo sono riuscito a calcolare ai5 metri quadrati che mi servono. Ho riempitoquest’area con uno strato alto 10 centimetri. Poi hosacrificato 20 litri di preziosa acqua agli dèi dellaterra.

A questo punto la faccenda è diventatanauseante. Ho versato sulla terra il mio contenitoregrande pieno di cacca e per poco il puzzo non miha fatto vomitare. Ho mescolato terra e cacca conla vanga e l’ho ripareggiata. Poi vi ho sparsosopra il terriccio terrestre. Al lavoro, batteri.Conto su di voi. E l’odore resterà per qualchetempo. Non è che possa aprire una finestra.Comunque ci si abitua.

Per passare ad altro, oggi è il giorno delRingraziamento. A Chicago la mia famiglia siriunirà per festeggiare come sempre a casa deimiei. Secondo me non sarà una riunione moltoallegra visto che sono morto dieci giorni fa.Diavolo, è probabile che siano appena reduci dalmio funerale.

Chissà se scopriranno mai come è andataveramente. Sono stato così preso dal problema direstare vivo che non ho mai pensato a comedev’essere per i miei genitori. In questo momentostanno soffrendo il peggior dolore che si possadover patire. Darei qualunque cosa perchésapessero che sono ancora vivo.

Mi sento in dovere di sopravvivere non fossealtro per ricompensarli di tanta sofferenza.

Giornale di bordo: Sol 22

Cavoli! Si sta procedendo alla grande.Ho portato dentro tutta la sabbia marziana e

sono pronto. Adesso due terzi di pavimento sonocoperti di terriccio. E oggi ho eseguito la miaprima doppia vangatura. È passata una settimana eil terriccio marziano prima sterile è ora bellorigoglioso. Altri due rivoltamenti delle zolle e conle nuove aggiunte avrò coperto tutta l’areadesiderata.

Tutto questo lavoro mi ha fatto un gran bene almorale. Mi ha dato qualcosa con cui tenermioccupato. Ma quando il grosso è stato fatto e hopranzato ascoltando la collezione di musiche deiBeatles di Johanssen, mi è venuta un po’ dimalinconia.

Facendo quattro conti, tutto questo non misalverà dal morire di fame.

Per produrre calorie punterei sulle patate. Sonoprolifiche e hanno un contenuto caloricoragionevole (770 calorie per chilogrammo). Sonopiù che sicuro che quelle che ho qui germineranno.Il problema è che non posso coltivarne abbastanza.In 62 metri quadrati posso produrre forse 150 chilidi patate in 400 giorni. Il totale complessivo è di115.500 calorie, per una media quotidiana di 288.Con la mia statura e il mio peso, se sono dispostoa non saziarmi mai del tutto, mi servono 1500calorie al giorno.

Non ci vado nemmeno vicino.Dunque non posso presumere di sostenermi per

sempre con i prodotti della terra. Posso però

allungare la mia aspettativa di vita. Le patate midureranno 76 giorni.

Le patate continuano a crescere, dunque in quei76 giorni potrò produrre altre 22.000 calorie dipatate, che mi concederanno altri 15 giorni disopravvivenza. Dopodiché continuarediventerebbe insensato. Alla fine possoguadagnare circa 90 giorni.

Ne consegue che comincerò a morire di fame aSol 490 invece di Sol 400. È un progresso, ma lasperanza di cavarmela si basa sulla possibilità disopravvivere fino a Sol 1412, quando atterreràAres 4.

Parliamo di un migliaio di giorni di cibo chenon ho. E non ho un piano per procurarmelo.

Merda.

3

Giornale di bordo: Sol 25

Ricordate i vecchi quesiti di matematica che visottoponevano nell’ora di algebra? L’acqua cheentra in una data quantità per unità di tempo edesce a un’altra e dovete calcolare quando ilrecipiente sarà vuoto? Ebbene, questo è unconcetto fondamentale per il progetto “MarkWatney non muore” al quale sto lavorando.

Ho bisogno di creare calorie. E ne ho bisogno inquantità da durarmi per i 1387 sol fino all’arrivodi Ares 4. Se non vengo recuperato da Ares 4,sono morto comunque. Un sol dura 39 minuti più diun giorno terrestre, dunque corrisponde a 1425giorni. Il mio obiettivo è questo: 1425 giorni dicibo.

Ho una notevole scorta di multivitaminici, piùdel doppio di quanti me ne servano. E il contenutoproteico di ciascuna confezione alimentare è

cinque volte il minimo indispensabile, dunque conun razionamento oculato dei miei pasti il miofabbisogno proteico è coperto per almeno quattroanni. Quanto a nutrizione sono quindi più o menosistemato. Mi servono solo le calorie.

Ho bisogno di 1500 calorie ogni giorno. Percominciare ho a disposizione 400 giorni di cibo.Dunque, quante calorie devo produrre al giornodurante l’intero periodo per rimanere in vita percirca 1425 giorni?

Vi risparmio l’aritmetica. La risposta è circa1100. Per sopravvivere fino a quando arriveràAres 4 ho bisogno di ricavare dalla miacoltivazione 1100 calorie al giorno. Un po’ di più,per la precisione, perché siamo già a Sol 25 eancora non ho seminato niente.

Con i miei 62 metri quadrati di terrenocoltivabile, posso ottenere 288 calorie al giorno.Dunque per sopravvivere ho bisogno diquadruplicare la mia produttività.

Significa avere a disposizione una superficiepiù ampia e un quantitativo maggiore di acqua con

cui idratare il terriccio. Meglio affrontare iproblemi uno per volta.

Quanto terreno coltivabile posso creareveramente?

Lo Hab mi offre 92 metri quadrati. Diciamo cheriesca a utilizzarli tutti.

Ci sono anche cinque brande libere. Diciamoche metto terra anche su quelle. Sono un paio dimetri quadrati ciascuna, per un supplemento totaledi dieci. Siamo arrivati a 102.

Ci sono anche tre tavoli da laboratorio,ciascuno di un paio di metri quadrati di superficie.Ne voglio conservare uno da usare per me eassegnare due alla mia causa. Sono altri 4 metriquadrati per un totale di 106.

Ho due rover marziani. Sono pressurizzati inmaniera che gli occupanti possano usarli senzaindossare la tuta spaziale durante lunghi percorsiin superficie. Non c’è spazio utile all’interno datrasformare in terreno coltivabile e vogliocomunque tenermeli per andare in giro. Però sonoprovvisti entrambi di una tenda a scatto.

Usare tende a scatto come terreni da colturapresenta parecchi problemi, ma ciascuna offre 10metri quadrati di pavimento. Posto che riesca asuperare i problemi relativi, avrei a disposizionealtri 20 metri quadrati e porterei l’estensione delmio campo a 126.

126 metri quadrati di terreno coltivabile. Vale lapena lavorarci su. Ancora non ho l’acqua con cuiinumidire tutto quel terreno, ma come ho detto, unacosa per volta.

La prossima questione da considerare è a qualegrado di produttività posso coltivare patate. Avevobasato le mie previsioni sui dati della produzioneindustriale di patate sulla Terra. Ma i produttori dipatate non sono impegnati come me in unadisperata gara di sopravvivenza. Posso aumentarela produttività?

Per prima cosa posso dedicare attenzione a ognisingola pianta. Posso mondarle e proteggerne lasalute e impedire che l’una interferisca con l’altra.In secondo luogo quando esce in superficie lapianta con i fiori, posso interrarla più inprofondità, per poi piantare sopra di essa una

pianta più giovane. Un simile procedimento nonavrebbe senso per un normale produttore di patate,per il semplice fatto che loro lavorano suletteralmente milioni di piante.

Per giunta questo modo di operare esaurisce ilterreno. Un contadino che lo facessetrasformerebbe i suoi campi in uno sterile desertoin non più di dodici anni. Non sarebbe sostenibile.Ma a me non importa niente, io ho bisogno disopravvivere solo per quattro.

Con questa tattica calcolo di poter aumentare lamia produzione del 50 percento. E con i 126 metriquadrati di terreno coltivabile (un po’ più deldoppio dei 62 che ho adesso) arrivo a più di 850calorie al giorno.

Questo è progresso concreto. Correrei ancora ilrischio di morire di fame, ma rientrerei in un tassoaccettabile di sopravvivenza. Potrei farcelaarrivando quasi a morire di fame ma non del tutto.Potrei ridurre il mio consumo di calorieminimizzando il lavoro fisico. Potrei aumentare latemperatura dello Hab in modo che il mio corpoavrebbe bisogno di meno energia per mantenere a

livello la propria. Potrei tagliarmi via un braccio emangiarlo, aumentando la mia assunzione dicalorie di prima qualità e riducendo il miofabbisogno calorico generale.

No, non proprio.Diciamo dunque che riesca a preparare tutto

quel terreno coltivabile. Mi sembra che si possafare. Dove trovo l’acqua? Per passare da 62 a 126metri quadrati di terreno alto dieci centimetri hobisogno di altri 6,4 metri cubi di terriccio (e vai divanga, iu-huu!) e per renderli fertili ho bisogno dipiù di 250 litri d’acqua.

I 50 litri che ho servono a me da bere se ildepuratore si guasta. Dunque mi mancano 250 litriper raggiungere il mio obiettivo di 250 litri.

Puah. Me ne vado a letto.

Giornale di bordo: Sol 26

È stata una giornata spossante ma produttiva.

Ero stufo di pensare, così invece di cercare unsistema per trovare 250 litri d’acqua, mi sono datoda fare. Anche se è secca e al momentoinutilizzabile, ho comunque bisogno di portaredentro lo Hab un’altra fottuta montagna di terramarziana.

Ne ho portato dentro un metro cubo prima difinire in ginocchio.

Poi per un’oretta è passata di qui una tempestadi sabbia di minor entità che ha sporcato perbenino i pannelli solari. Così ho dovutorimettermi la tuta e fare un’altra EVA. Con le pallegirate dall’inizio alla fine. Spazzare un’enormearea di pannelli solari è noioso e moltoimpegnativo sul piano fisico. Fatta fuori anchequesta, però, me ne sono tornato nel mio PiccoloHab nella Prateria.

Era di nuovo tempo di vangatura doppia, così hopensato che tanto valeva mettermici. Mi ci è volutaun’ora. Un altro giro e tutta la terra che ho portatodentro sarà operabile.

Ho pensato anche che fosse venuta l’ora dicominciare a seminare qualcosa. Avevo rigirato le

zolle a sufficienza da potermi permettere di tenereda parte un angolino da non disturbare più. Avevododici patate a disposizione.

Per mia fortuna bastarda non sono né liofilizzatené macinate. Perché la NASA ha mandato su dodicipatate intere refrigerate ma non surgelate? Eperché le ha spedite quassù con noi come carico inambiente pressurizzato invece che in una cassa conil resto delle provvigioni per lo Hab? Perché ilRingraziamento cadeva nel periodo in cuisaremmo stati occupati in operazioni in superficiee i cervelloni della NASA hanno pensato chesarebbe stato bello pasteggiare tutti assieme. Nonsolo mangiare, ma proprio preparare il pranzo.Probabilmente c’è anche della logica in questoragionamento, ma chi se ne frega?

Ho tagliato ogni patata in quattro pezziassicurandomi che ciascuno avesse almeno dueocchi. Gli occhi sono le gemme da cui germogliala pianta. Ho aspettato qualche ora che siindurissero un po’, poi le ho piantate nel mioangolino, ben distanziate. Buona fortuna, patatinemie. La mia vita dipende da voi.

Normalmente per produrre una patata amaturazione completa ci vogliono novanta giorni.Ma io non posso aspettare tutto questo tempo.Dovrò affettare tutte le patate del primo raccoltoper seminare il resto del campo.

Alzando la temperatura dello Hab a 25,5 °C, ilclima mite farà crescere le piante più in fretta. Cisono poi anche le luci interne che forniranno unbuon quantitativo di “luce solare” e per il restosarò io a garantire tutta l’acqua che serve (quandoavrò escogitato un modo per produrre acqua). Nonci saranno momenti di brutto tempo o parassiti chepossano insidiare le mie piante, o erbacce checerchino di rubare loro spazio o elementi nutritivi.In queste condizioni tutte così favorevoli,dovrebbero produrre tuberi sani e fertili in non piùdi quaranta giorni.

Mi è sembrato di aver fatto abbastanza a lungoil Contadino Mark e l’ho chiusa lì.

Per cena un pasto completo. Me lo sonomeritato. E poi avevo bruciato una tonnellata dicalorie e le volevo indietro.

Ho frugato nelle cose della comandante Lewisfinché ho trovato la sua chiavetta personale. A tuttiera concesso di portare con sé qualsiasi tipo diintrattenimento digitale desiderasse e io ero stufodi ascoltare gli album di Johanssen con le musichedei Beatles. Era ora di sapere che cosa avessescelto Lewis.

Orrende teleporcate. Ecco cos’aveva.Innumerevoli serie complete di telefilm dai tempidei tempi.

Bene. A caval donato non si guarda in bocca. ETre cuori in affitto sia.

Giornale di bordo: Sol 29

Negli ultimi giorni ho portato dentro tutta laterra che mi serve. Ho anche predisposto i tavoli ele brande perché ne reggano il peso e ho persinoversato la terra sulle superfici rese disponibili.Ancora non c’è l’acqua con cui rendere il terreno

fertile, ma ho delle idee. Idee veramente brutte, masempre idee sono.

L’impresa di oggi è stata quella di preparare letende a scatto.

Il problema delle tende a scatto dei rover è chenon sono state progettate per un uso frequente.

L’idea era che uno apra una tenda, ci entri easpetti i soccorsi. La camera d’equilibrio non èaltro che una coppia di aperture munite di valvole.Porti la pressione a livello con la tua parte, entrinella camera, porti la pressione a livello dell’altraparte, esci. Questo significa che ogni volta usi unsacco di aria. E io ho bisogno di entrarci almenouna volta al giorno. Il volume totale di ogni tenda èpiuttosto basso, perciò consumarne l’aria in questomodo è uno spreco insostenibile.

Sono stato lì ore ad arrovellarmi su comecollegare la camera d’equilibrio di una tenda ascatto alla camera d’equilibrio dello Hab. Lo Habne ha tre. Sarei disposto a dedicarne due alletende. Sarebbe meraviglioso.

La cosa demoralizzante è che le camere diequilibrio delle tende a scatto possono essere

agganciate ad altre camere di equilibrio! Potrestiavere un ferito o non avere abbastanza tutespaziali. Bisogna poter far uscire le persone senzaesporle all’atmosfera marziana.

Ma lo scopo delle tende a scatto è di fartisoccorrere dai tuoi compagni a bordo di un rover.Le camere di equilibrio dello Hab sono molto piùgrandi e completamente diverse da quelle deirover. A ben pensarci non c’è motivo di voleragganciare una tenda a scatto allo Hab.

A meno che tu non sia finito tutto solo su Marte,tutti ti credano morto e tu stia ingaggiando unadisperata lotta contro il tempo e gli elementi perrestare vivo. Ma tolto questo caso limite, non c’èproprio motivo.

Così alla fine ho deciso di rassegnarmi allafregatura. Perderò dell’aria tutte le volte che entroo esco da una tenda. La buona notizia è che tutte letende a scatto sono provviste all’esterno di unavalvola per il rifornimento dell’aria. Nondimentichiamoci che questi sono ricoveri diemergenza. Può essere che l’occupante abbiabisogno di aria e allora gliela si può fornire da un

rover collegando un manicotto. Non è altro che untubo che trasferisce aria dal rover alla tenda.

Lo Hab e i rover hanno valvole identiche eutilizzano gli stessi manicotti, quindi ho potutocollegare le tende direttamente allo Hab. In questomodo reintegro automaticamente l’aria che perdocon le mie entrate e uscite (quelle che alla NASAchiamano “ingressi ed egressi”).

La NASA non scherzava con queste tended’emergenza. Appena ho premuto il bottoneantipanico a bordo del rover, la tenda a scatto èstata sparata fuori con un sibilo da far saltare itimpani. Si era materializzata in due secondi incorrispondenza della camera d’equilibrio.

Ho chiuso la camera dalla parte del rover e misono ritrovato con una bella tendina tutta mia.Inserire il manicotto dell’aria è stato un gioco (unavolta tanto usavo l’attrezzatura per lo scopo percui è stata progettata). Poi, dopo qualche avanti eindietro attraverso la camera d’equilibrio (con laperdita d’aria automaticamente reintegrata dalloHab) ci ho portato dentro la terra.

Lo stesso procedimento l’ho ripetuto per l’altratenda. Tutto è andato veramente bene.

Sospiro… l’acqua.Al liceo ho giocato molto a Dungeons and

Dragons. (Forse non immaginavate che al liceoquesto botanico/ingegnere meccanico fosse unmezzo nerd, invece lo ero.) Nel gioco facevo losciamano. Una delle magie di cui ero capace era“creare acqua”. Ho sempre pensato che fosse unincantesimo davvero stupido e non lo usavo mai.Ragazzi, cosa non darei in questo momento peressere capace di farlo davvero.

Comunque. Questo è un problema per domani.Per stasera devo tornare a Tre cuori in affitto.

Ieri sera mi sono fermato a metà dell’episodio incui il signor Roper aveva visto qualcosa e neaveva cannato il senso.

Giornale di bordo: Sol 30

Per procurarmi l’acqua che mi serve ho unpiano di una pericolosità che rasenta l’idiozia. Equando dico pericolosità, ragazzi, dico sul serio.Ma non ho molta scelta. Ho esaurito le idee e trapochi giorni dovrò fare forzatamente una nuovadoppia vangatura. Quando effettuerò quella finale,rivolterò le zolle su tutto il nuovo terriccio che hoportato dentro. Se prima non lo inumidisco,morirà.

Qui su Marte non c’è molta acqua. C’è delghiaccio ai poli, ma sono troppo distanti. Sevoglio dell’acqua, dovrò produrla dal nulla. Perfortuna ho la ricetta: prendi dell’idrogeno,aggiungici dell’ossigeno, brucia.

Prendiamoli uno per volta. Cominceròdall’ossigeno.

Ho un buon quantitativo di O2, ma nonabbastanza per ricavarne 250 litri d’acqua. La miaprovvista completa è costituita da due serbatoi adalta pressione a un’estremità dello Hab (piùnaturalmente l’aria dentro lo Hab stesso). Ciascunserbatoio contiene 25 litri di O2 liquido. Lo Hab li

userebbe solo in un’emergenza; per mantenere alivello costante l’atmosfera c’è l’ossigenatore. Lapresenza dei serbatoi di O2 si spiega con lanecessità di alimentare le tute spaziali e i rover.

L’ossigeno di scorta sarebbe comunquesufficiente solo per 100 litri d’acqua (50 litri di O2corrispondono a 100 litri di molecole con una Osola ciascuna). Significherebbe fine delle mie EVAe fine delle riserve di emergenza. E otterrei solomeno della metà dell’acqua che mi serve. Fuoriquestione.

Ma su Marte l’ossigeno è più facile da trovaredi quanto si pensi. L’atmosfera è al 95 percentoCO2. E si dà il caso che io abbia a disposizioneuna macchina il cui unico scopo è liberareossigeno dal CO2. Vai, l’ossigenatore!

Un problema: l’atmosfera è molto rarefatta,meno dell’un percento della pressione che c’èsulla Terra. Perciò è difficile da raccogliere. Fareentrare l’aria da fuori è quasi impossibile. Loscopo stesso dello Hab è impedire che una cosadel genere succeda. La minuscola quantità di

atmosfera marziana che entra quando uso unacamera d’equilibrio è risibile.

Ed ecco dove interviene il generatore dipropellente del MAV.

I miei compagni si sono portati via il MAVsettimane fa. Ma la parte inferiore è rimasta qui.La NASA non ha l’abitudine di mandare in orbitamasse che non servono a niente. Quaggiù hannolasciato la struttura per l’atterraggio, la rampad’ingresso e il generatore di propellente.Ricordate come il MAV produceva il propriopropellente con l’aiuto dell’atmosfera marziana? Ilprimo passo è la raccolta di CO2 in un recipientead alta pressione. Una volta che avrò alimentato ilgeneratore di propellente con l’energia dello Hab,avrò mezzo litro di CO2 all’ora, indefinitamente.Dopo dieci sol avrò raccolto 125 litri di CO2, chedopo essere passati per l’ossigenatorediventeranno 125 litri di O2.

Quanto basta per fabbricare 250 litri d’acqua.Dunque ho un piano per l’ossigeno.

L’idrogeno è un tantino più complicato.

Ho preso in considerazione una rapina ai dannidelle pile all’idrogeno, ma ne ho bisogno peravere energia di notte. Senza, farebbe troppofreddo. Io potrei coprirmi, ma il freddoucciderebbe la mia coltivazione. E ogni pila hacomunque solo una piccola quantità di H2. Nonvale proprio la pena sacrificare tanta utilità per unguadagno così misero. Se c’è un aspetto positivonella mia situazione è che l’energia non è unproblema. Non è il caso di rinunciarci.

Dunque devo arrivarci per un’altra via.Parlo spesso del MAV. Ma adesso voglio parlare

dell’MDV.Durante i più terribili ventitré minuti della mia

vita, io e quattro dei miei compagni abbiamocercato di non cacarci addosso mentre Martinezpilotava l’atterraggio dell’MDV. È stato più o menocome trovarsi dentro il cestello di un’asciugatrice.

Dapprima ci siamo staccati da Hermes eabbiamo decelerato la nostra velocità orbitale percominciare a cadere in modo adeguato. Tutto èandato liscio finché non siamo arrivatinell’atmosfera. Se credete che la turbolenza sia

forte su un jet che viaggia a 720 chilometri orari,immaginatevi come può essere a 28.000 chilometriorari.

Uno dopo l’altro si sono aperti automaticamentealcuni paracadute che hanno rallentato la nostradiscesa, poi Martinez ci ha pilotati manualmentesul suolo usando i propulsori per regolare lavelocità e controllare i nostri movimenti laterali.Aveva alle spalle anni di addestramento e ha fattoil suo lavoro straordinariamente bene. Il suoatterraggio ha superato ogni plausibile aspettativa,a soli nove metri dal bersaglio. Un successo cheva tutto a credito di Martinez.

Grazie, amico mio! Può darsi che tu mi abbiasalvato la vita!

Non per via dell’atterraggio perfetto, ma peraver lasciato indietro tutto quel propellente.Centinaia di litri di idrazina non utilizzata. Ognimolecola di idrazina contiene quattro atomi diidrogeno. Quindi ogni litro di idrazina haabbastanza idrogeno per due litri di acqua.

Oggi ho fatto una piccola EVA per controllare.Nei serbatoi dell’MDV sono rimasti 292 litri di

propellente. Abbastanza per fabbricare quasi 600litri d’acqua! Molto più di quella che mi serve!

C’è solo un piccolo inconveniente: liberareidrogeno dall’idrazina è… be’, è il modo in cuifunzionano i razzi. È una faccenda molto, moltocalda. E pericolosa. Se lo facessi in un’atmosferadi ossigeno, l’idrogeno rovente appena liberatoesploderebbe. Alla fine ci sarebbe un grossoquantitativo di H2O, ma io sarei troppo morto perrallegrarmene.

Fondamentalmente l’idrazina è molto semplice.I tedeschi l’hanno usata già nella seconda guerramondiale come carburante per i razzi di spintaausiliaria di certi aerei da combattimento (e ognitanto saltavano in aria insieme a essi).

Basta versarla su un catalizzatore (che possoestrarre dal motore dell’MDV) e si scinderà inazoto e idrogeno. Vi risparmio la chimica, ma ilrisultato finale è che cinque molecole di idrazinadiventano cinque molecole di innocuo N2 e diecimolecole di delizioso H2. Durante questo processopassa per una fase intermedia in cui diventa

ammoniaca. La chimica, da quella stronza inettache è, fa sì che parte dell’ammoniaca non reagiscacon l’idrazina e rimanga quindi ammoniaca. Vipiace l’odore dell’ammoniaca? Be’, nella miaesistenza progressivamente sempre più infernalediventerà un elemento costante.

La chimica è dalla mia. La domanda ora è: comefaccio a ottenere che questa reazione avvengalentamente e come faccio a raccoglierel’idrogeno? La risposta è: non lo so.

Immagino che qualcosa mi verrà in mente. Omorirò.

C’è comunque una questione molto più critica:non riesco a digerire che Cindy abbia sostituitoChrissy. Tre cuori in affitto potrebbe non esseremai più lo stesso dopo questa disgrazia. Chi vivràvedrà.

4

Giornale di bordo: Sol 32

Dunque con il mio piano per produrre acqua misono imbattuto in qualche problemuccio.

La mia idea è di fabbricare 600 litri di acqua(limite imposto dall’idrogeno che posso prelevaredall’idrazina). Ciò significa che ho bisogno di 300litri di O2 liquido.

Posso creare abbastanza facilmente l’O2. Ilgeneratore di propellente del MAV impiega ventiore per riempire di CO2 il suo serbatoio da diecilitri. L’ossigenatore può trasformare il CO2 in O2,dopodiché il regolatore atmosferico indicherà cheil contenuto di O2 dello Hab è alto e lo estrarràdall’aria per stoccarlo nei relativi serbatoiprincipali. Quando questi ultimi si sarannoriempiti, dovrò trasferire l’O2 ai serbatoi dei rover

e, se necessario, persino a quelli delle tutespaziali.

Ma non posso creare ossigeno moltovelocemente. Al ritmo di mezzo litro di CO2all’ora, per produrre l’ossigeno che mi serve mi civogliono venticinque giorni. Molto più di quantomi aggradi.

C’è poi il problema di immagazzinarel’ossigeno. I serbatoi di aria dello Hab, i rover etutte le tute spaziali corrispondono a una capienzacomplessiva di esattamente 374 litri. Perconservare tutto il materiale che mi serve perl’acqua, avrei bisogno di nientemeno che 900 litridi stoccaggio.

Ho preso in considerazione di usare uno deirover come “serbatoio”. Sarebbe certamenteabbastanza grande, solo che non è stato progettatoper ospitare una pressione di quel livello. È fattoper contenere (avete indovinato) una atmosfera. Ioho bisogno di recipienti che possano sopportareuna pressione cinquanta volte più grande. Sonosicuro che un rover scoppierebbe.

Dunque l’unico modo per immagazzinare gliingredienti che mi servono per l’acqua è di farlidiventare acqua. Perciò è questo che devo fare.

Il concetto è semplice, ma l’esecuzione saràincredibilmente pericolosa.

Grazie al generatore di propellente del MAV,ogni venti ore avrò dieci litri di CO2. Li pomperònello Hab con il metodo altamente scientifico disganciare il serbatoio dall’apparato di atterraggiodel MAV, portarlo dentro lo Hab e svuotarloaprendo la valvola.

Ci penserà l’ossigenatore a trasformarlo inossigeno secondo i suoi ritmi.

Poi rilascerò l’idrazina, molto lentamente,sull’iridio che agirà da catalizzatoretrasformandola in N2 e H2. Dirigerò l’idrogenoverso un’area circoscritta e lo brucerò.

Come si può vedere, questo piano offre molteoccasioni perché io muoia in un’esplosione.

Tanto per cominciare l’idrazina promette unamorte di quelle come si devono. Se faccio unerrore, là dove una volta c’era lo Hab non resterà

nient’altro che il “Cratere in memoria di MarkWatney”.

Posto che non faccia un casino con l’idrazina,resta ancora la questione dell’idrogeno dabruciare. Accenderò un fuoco. Dentro lo Hab. Diproposito.

Se chiedete a qualunque ingegnere della NASAqual è il peggior disastro che possa capitare alloHab, vi risponderà “fuoco”. Se gli chiedete qualene sarebbe la conseguenza, vi risponderà “bruciarevivi”.

Ma se ce la faccio, produrrò acqua incontinuazione senza bisogno di immagazzinareossigeno o idrogeno. Si mescolerà nell’atmosferacome umidità, che verrà però estratta dal sistemadi riciclaggio dell’acqua.

Non sono nemmeno costretto a bilanciare allaperfezione l’idrazina con il CO2 del generatore dipropellente. C’è un bel po’ di ossigeno nello Hab ece n’è molto altro di scorta. Devo solo stareattento a non produrre tanta acqua da restare acorto di O2.

Ho collegato al generatore di propellente delMAV l’alimentazione elettrica dello Hab. Perfortuna usano entrambi lo stesso voltaggio. Stalavorando, raccoglie CO2 per me.

Per cena mezza razione. In tutta la giornata dioggi mi sono limitato ad architettare un piano chemi ammazzerà e per questo non ho consumatomolta energia.

Stasera finirò l’ultimo episodio di Tre cuori inaffitto. Detto con franchezza, mi è più simpatico ilsignor Furley dei Roper.

Giornale di bordo: Sol 33

Questo potrebbe essere il mio ultimo scritto.So da Sol 6 che ho buone probabilità di morire

qui. Ma pensavo che sarebbe stato quando fossirimasto senza niente da mangiare. Non credevo chepotesse succedere così presto.

Sto per dar fuoco all’idrazina.

Nel progettare la nostra missione si è partiti dalpresupposto che qualsiasi elementodell’attrezzatura avrebbe potuto aver bisogno dimanutenzione, perciò dispongo di un arsenale distrumenti. Neppure l’impaccio della tuta spazialemi ha impedito di scalzare i pannelli dell’MDV, dadietro i quali prelevare i sei serbatoi di idrazina.Li ho collocati all’ombra di un rover perché non siscaldassero troppo. C’è più ombra e unatemperatura più bassa vicino allo Hab, ma peggioper loro. Se devono esplodere, che faccianosaltare un rover e non casa mia.

Poi ho forzato la camera di reazione. Mi ci èvoluto un po’ ed è andata a finire che ci ho apertouna crepa nel mezzo, ma sono riuscito a tirarlafuori. Buon per me che non abbia bisogno di unareazione perfetta. Anzi, in realtà una reazioneperfetta è proprio quello che non voglio.

Ho portato dentro la camera di reazione. Hovalutato brevemente se trasportare solo unserbatoio per volta per ridurre i rischi. Ma un paiodi calcoli a spanna mi hanno mostrato che per far

saltare lo Hab un solo serbatoio basta e avanza.Così li ho portati dentro tutti. Perché no?

Sui serbatoi ci sono delle valvole di sfogo chesi possono operare manualmente. Non sono moltosicuro del loro utilizzo. Di certo non è mai statoprevisto che le usassimo. Io credo che siano stateinserite per abbassare la pressione interna nellenumerose verifiche di controllo durante lacostruzione dei serbatoi e prima che venisserocaricati. Resta comunque il fatto che ho adisposizione queste valvole. Mi basta una chiaveinglese.

Ho liberato un manicotto di scorta daldepuratore dell’acqua. Usando un po’ di stoffastrappata a una delle uniformi (scusa, Johanssen),ho applicato il manicotto all’uscita della valvola.L’idrazina è liquida, perciò non ho che daindirizzarla verso la camera di reazione (cheadesso è piuttosto una “tazza di reazione”).

Frattanto il generatore di propellente del MAV vaavanti. Ho già portato dentro un serbatoio di CO2,l’ho svuotato e l’ho riportato al MAV per riempirlodi nuovo.

Dunque non ci sono più scuse. È ora dicominciare a fabbricare acqua.

Se troverete i resti carbonizzati dello Hab,vorrà dire che ho sbagliato qualcosa. Invio incopia questa annotazione a entrambi i rover, cosìc’è qualche probabilità in più che sopravviva.

Buonanotte al secchio.

Giornale di bordo: Sol 33 (2)

Mah, non sono morto.Per prima cosa ho indossato la dotazione interna

del mio abbigliamento EVA. Non la tuta in sé, che ètroppo ingombrante, ma gli indumenti che indossosotto, guanti e stivaletti compresi. Poi ho preso dalcomparto medico una maschera da ossigeno e dalkit chimico di Vogel degli occhiali da laboratorio.Quasi tutto il mio corpo era protetto e respiravoaria in scatola.

Perché? Perché l’idrazina è molto tossica. Se nerespiro troppa, mi ritrovo con problemi seri ai

polmoni. Se viene a contatto della pelle, mi ritrovocon ustioni chimiche per il resto della vita. Nonvolevo correre questi rischi.

Ho aperto la valvola tanto da far uscire unminimo di idrazina. Ho lasciato che una gocciacadesse nella tazza di iridio.

La goccia è scomparsa con un inconsistentesfrigolio.

Ma, cavoli, era quello che volevo. Avevoappena liberato idrogeno e azoto. Vai!

Una delle cose che qui abbondano sono i sacchi.Non sono molto diversi da quelli per leimmondizie, ma sono sicuro che costino almeno50.000 dollari perché sono targati NASA.

Oltre a essere la nostra comandante, Lewis eraanche geologa. Doveva raccogliere campioni diroccia e terra da tutta l’area operativa (per unraggio di dieci chilometri). I limiti di pesoimponevano restrizioni a quanto avrebbe potutoeffettivamente riportare sulla Terra, dunque in unprimo tempo avrebbe raccolto materiale e inseguito ne avrebbe selezionato i 50 chilogrammipiù interessanti da portare a casa. I sacchi

servivano per etichettare e archiviare i campioni.Alcuni erano piccole bustine, ma altri erano grandicome i sacchi da giardiniere per il taglio dell’erbae le foglie.

E ho anche del nastro isolante adesivo. Nastroadesivo dei più comuni, come quelli che compri inqualsiasi ferramenta. Il fatto è che neanche la NASAsa come migliorare il nastro adesivo.

Ho tagliato alcuni dei sacchi più grandi e li houniti con il nastro adesivo per fabbricare unaspecie di tenda. O per meglio dire unmegasaccone. Con quello ho potuto coprire tutto iltavolo su cui ho collocato il mio congegnoidrazinico da scienziato pazzo. Per impedire che laplastica toccasse il recipiente di iridio ho usatoscarabattole assortite a fare da spessore. Perfortuna i sacchi sono trasparenti, così possocontinuare a vedere cosa succede sotto.

Poi ho sacrificato alla mia causa una tutaspaziale. Avevo bisogno di un tubo flessibile. Delresto ho tute spaziali in eccesso. Sei in tutto, unaper ciascun membro dell’equipaggio. Perciò nonmi è dispiaciuto più che tanto assassinarne una.

Ho praticato un foro in cima alla plastica e hofissato il tubo con il nastro adesivo. Fissato adovere, mi pare.

Con altre striscioline degli indumenti diJohanssen ho appeso l’altra estremità del tubo alsoffitto dello Hab, angolando i lacci in maniera datenerli lontani dall’apertura. Ho ottenuto così unapiccola canna fumaria. Il tubo è largo circa uncentimetro. Speravo che bastasse.

Dopo la reazione l’idrogeno sarà surriscaldato eavrà voglia di salire. Così io lo lascerò percorrerela canna fumaria e bruciare quando esce dall’altraparte.

A questo punto dovevo inventare il fuoco.La NASA fa di tutto per assicurarsi che qui

dentro non ci sia nulla che possa bruciare. È tuttodi metallo o di plastica ignifuga e le uniformi sonosintetiche. Io avevo bisogno di una fiammaprolungata, di una fiamma pilota. Non ho l’abilitàdi mantenere un flusso costante di H2 in grado dialimentare una fiamma senza rimetterci la pelle. Ilmargine d’errore è troppo stretto.

Dopo aver frugato negli effetti personali di tuttii miei compagni (cavoli, se era privacy chevolevano, non avrebbero dovuto abbandonarmi suMarte con la loro roba) ho trovato la mia risposta.

Martinez è un devoto cattolico. Lo sapevo.Quello che non sapevo è che aveva portato con séuna piccola croce di legno. Sono sicuro che laNASA gli è saltata al collo, ma so anche cheMartinez è cocciuto più di un mulo.

Dalla sua icona sacra ho ricavato delle lungheschegge usando pinze e cacciavite. Penso che se unDio esiste, non se la prenderà, considerata lasituazione in cui mi trovo.

Se aver distrutto l’unico simbolo religioso cheavevo mi rende vulnerabile ai vampiri marziani,dovrò accettare il rischio.

Per ottenere una scintilla avevo cavi elettrici ebatterie in abbondanza. Solo che non si può farprendere fuoco un pezzo di legno con una piccolascintilla elettrica. Così ho raccolto strisce dicorteccia dalle palme qui intorno, poi ho preso unpaio di legnetti e li ho sfregati l’uno sull’altrocreando abbastanza frizione da…

No, non proprio. Ho sparato ossigeno puro suuna scheggia e vi ho fatto scattare sopra unascintilla. Si è accesa come un fiammifero.

Tenendo in mano la mia minitorcia, ho datoinizio a un lento flusso di idrazina. Ha sfrigolatosull’iridio ed è scomparsa. Di lì a pochi attimisono cominciati i primi scoppiettii di fiammadall’altra estremità del mio camino.

La cosa principale da tenere d’occhio era latemperatura. La scissione dell’idrazina èestremamente esotermica. Così ci ho lavorato unpoco per volta, sempre attento all’indicazione diuna termocoppia che avevo collegato alla cameradi iridio.

Fatto sta che il procedimento funzionava!Un serbatoio di idrazina contiene poco più di 50

litri, abbastanza per produrre 100 litri d’acqua.Sono limitato dalla mia produzione di ossigeno,ma adesso sono tutto eccitato, perciò sonodisposto a usare metà delle mie scorte. Per farlabreve, mi fermerò quando il serbatoio sarà mezzovuoto e alla fine avrò 50 litri d’acqua!

Giornale di bordo: Sol 34

Madonna, mi ci è voluta una vita. Ci sono statodietro tutta la notte, ma alla fine ce l’ho fatta.

Avrei potuto finire più in fretta, ma ho pensatoche dovendo incendiare carburante per razzi in unospazio chiuso la prudenza fosse d’obbligo.

Ragazzi, credetemi, questo posto è diventato unagiungla tropicale.

Qui dentro sfioriamo i 30 °C e l’umidità èpazzesca. Ho appena scaricato nell’aria unatonnellata di calore e 50 litri d’acqua.

Durante questo processo il povero Hab hadovuto fare il papà di un marmocchio pasticcione.Ha continuato a reintegrare l’ossigeno che ho usatoe il depuratore dell’acqua sta cercando diriportare l’umidità ambientale a un livellosopportabile. Per il caldo non c’è niente da fare.Lo Hab non ha un climatizzatore. Su Marte fafreddo. Dover eliminare un eccesso di calore nonè cosa che ci fossimo aspettati.

Ormai mi sono abituato a sentire l’allarme chestrilla tutto il tempo. Quello antincendio si è

finalmente fermato, adesso che non c’è più fuocoin vista. Presto dovrebbe smettere anche l’allarmedel livello di ossigeno troppo basso. L’allarmedell’umidità troppo alta impiegherà un po’ di più.Il depuratore dell’acqua sarà occupato per tutta lagiornata.

Per un momento c’è stato anche un altro allarme.Il serbatoio principale del depuratore era pieno.Fantastico! Giusto il tipo di problema che voglioavere!

Ricordate la tuta spaziale che ho vandalizzatoieri? L’ho appesa al suo posto e ci ho versatodentro secchi d’acqua presi dal depuratore. La tutaregge la pressione di un’atmosfera. Dovrebbepoter reggere qualche secchiata d’acqua.

Mamma mia se sono stanco. Sono rimastosveglio tutta la notte ed è ora di dormire. Mascivolerò nel mondo dei sogni in uno stato d’animodi serenità come non ne ho più goduto da Sol 6.

Finalmente per me le cose si stanno mettendosul binario giusto. Non solo, ma procedono dibuon passo! E in conclusione ho una probabilità disopravvivere!

Giornale di bordo: Sol 37

Sono fottuto e morirò!Okay, calmiamoci. Sono sicuro di poter

superare anche questa.Sto scrivendo quest’annotazione per te, caro

futuro archeologo in visita su Marte, da Rover 2.Ti chiederai come mai in questo momento io nonmi trovi nello Hab. Perché sono scappatoterrorizzato, ecco perché! E adesso non so cosadiavolo fare.

Meglio che spieghi cos’è successo. Se questasarà la mia ultima nota, almeno saprai perché.

In questi ultimi giorni mi sono allegramentededicato alla fabbricazione dell’acqua. Tuttoandava a meraviglia e io galleggiavo nel miocompiacimento (capito che cosa facevo?“Galleggiavo”).

Ho persino truccato il compressore delgeneratore di propellente del MAV. Una cosa molto

tecnica (ho aumentato il voltaggio della pompa).Così adesso produco acqua più velocemente.

Dopo la mia prima ondata da 50 litri, ho decisodi adeguare la produzione al ritmo a cui miprocuro l’O2. Non voglio scendere sotto i 25 litridi scorta. Così quando il livello si abbassa troppo,smetto di giocare con l’idrazina finché l’O2 nonrisale ben oltre il limite dei 25.

Nota importante: quando dico di aver prodotto50 litri d’acqua, faccio una supposizione. Non horigenerato 50 litri d’acqua. La terra con cui horiempito lo Hab era estremamente secca e haavidamente assorbito gran parte dell’umidità. Ed èproprio lì che voglio che finisca l’acqua, perciònon mi preoccupo e non mi sono meravigliatoquando il depuratore non si è nemmenolontanamente avvicinato ai 50 litri.

Adesso che ho truccato la pompa ottengo 10 litridi CO2 ogni quindici ore. Ho ripetuto ilprocedimento quattro volte. La mia aritmetica midice che, comprendendo i miei 50 litri iniziali,

dovrei aver introdotto nel sistema 130 litrid’acqua.

Ebbene, la mia aritmetica è una sporcabugiarda!

Ho ottenuto 70 litri nel depuratore e nella tutaspaziale trasformata in serbatoio. C’è parecchiacondensa sulle pareti e sul soffitto e la terra stacertamente assorbendo una dose notevole, maquesto non spiega la sparizione di 60 litri.Qualcosa non andava.

È a quel punto che mi sono accorto dell’altroserbatoio di O2.

Lo Hab ha due serbatoi di scorta. Uno suciascun lato della struttura, per motivi di sicurezza.Lo Hab può decidere quale usare a piacimento.Risulta che reintegrava l’atmosfera dal Serbatoio1. Quando ho aggiunto O2 al sistema (tramitel’ossigenatore) lo Hab ha distribuito equamente ilguadagno tra i suoi due serbatoi. Il Serbatoio 2 si èlentamente riempito di ossigeno.

Questo non è un problema. Lo Hab fasemplicemente il suo mestiere. Ma significa anche

che per tutto il tempo non ho fatto che accumulareO2. E questo vuol dire che non lo sto consumandocosì velocemente come pensavo.

Lì per lì mi sono detto: “Vai! Altro ossigeno!Adesso posso produrre acqua più in fretta!”. Mapoi ho fatto un’altra considerazione menosimpatica.

Segui la mia logica: sto guadagnando O2. Ma ilquantitativo che porto dentro da fuori è costante.Dunque l’unica ragione per cui “aumenta” è che nesto usando meno di quanto credessi. Ma ho avviatola reazione dell’idrazina partendo dal presuppostoche l’avrei usato tutto.

L’unica spiegazione possibile è che non stavobruciando tutto l’idrogeno liberato.

Con il senno di poi è ovvio che fosse così. Manon mi era mai venuto in mente che partedell’idrogeno non bruciasse. Se ne usciva filandofelice e beato oltre la fiamma. Maledizione, Jim,io sono un botanico, non un chimico!

La chimica è un casino, così nell’aria c’èdell’idrogeno che non è bruciato. Tutt’intorno a

me. Mescolato all’ossigeno. Se ne sta lì…sospeso. Ad aspettare una scintilla per poter faresplodere lo Hab!

Quando sono giunto a questa conclusione e misono ricomposto, ho preso una bustina a tenutaermetica di quelle per i campioni, l’ho agitata unpo’ nell’aria e l’ho chiusa.

Poi una rapida EVA fino a un rover, in cuiteniamo gli analizzatori atmosferici. Azoto: 22percento. Ossigeno: 9 percento. Idrogeno: 64percento.

Da allora sono nascosto in questo rover.Lo Hab è diventato Idrogenville.Se non è scoppiato tutto è perché sono molto

fortunato. Anche una minima scarica di energiastatica avrebbe potuto originare il mio Hindenburgpersonale.

Dunque, sono qui sul Rover 2. Posso restarciuno o due giorni al massimo, prima che i filtri diCO2 del rover e della mia tuta spaziale si saturino.Questo è il tempo che ho per trovare unasoluzione.

In questo momento lo Hab è una bomba.

5

Giornale di bordo: Sol 38

Sono ancora nascosto a farmela sotto nel rover,ma ho avuto tempo per pensare. E so comerisolvere il problema dell’idrogeno.

Ho pensato al regolatore atmosferico. Tienesotto controllo che cosa c’è nell’aria ed eseguecompensazioni. È per questo che l’eccesso di O2che sto importando finisce nei serbatoi. Però non èprevisto che sappia eliminare l’idrogeno dall’aria.

Per separare i gas il regolatore usa ilcongelamento. Quando decide che c’è troppoossigeno, comincia a raccogliere aria in unserbatoio e la raffredda a 90 kelvin. In questomodo l’ossigeno si liquefa, mentre l’azoto (puntodi condensazione: 77 kelvin) resta gassoso.Dopodiché mette via l’O2.

Ma io non posso usare questo procedimento perl’idrogeno, perché per diventare liquido

l’idrogeno deve scendere sotto i 21 kelvin. E ilregolatore non può scendere a temperature cosìbasse. Vicolo cieco.

Ecco la soluzione: l’idrogeno è pericolosoperché può esplodere. Ma può esplodere solo sec’è in giro dell’ossigeno. L’idrogeno senzaossigeno è inoffensivo. E il compito del regolatoreè appunto quello di estrarre ossigeno dall’aria.

Per impedire che il regolatore riduca più delconsentito la presenza di ossigeno nello Hab cisono quattro diversi dispositivi. Ma sonoprogettati perché contrastino eventuali irregolaritàdi funzionamento, non sabotaggi predeterminati (ahah ah!).

Per farla breve, sono in grado di manomettere ilregolatore perché estragga dall’aria dello Habtutto l’ossigeno presente. Poi posso indossare unatuta spaziale (per poter respirare) e fare quello chedevo senza il pericolo di saltare in aria.

Userò uno dei serbatoi di O2 per indirizzarepiccole scariche di ossigeno sull’idrogeno eprodurrò una scintilla con un paio di cavi elettricie una batteria. Incendierò l’idrogeno, ma solo fino

a quando non avrò esaurito il piccolo quantitativodi ossigeno.

Ripeterò l’operazione tenendo sotto controllo lescariche di ossigeno fino a quando avrò bruciatotutto l’idrogeno.

C’è solo un piccolissimo difetto nel mio piano:ammazzerò la mia terra.

La terra è fertile solo grazie alla presenza deibatteri che ci crescono dentro. Se elimino tuttol’ossigeno, i batteri moriranno. Non ho 100miliardi di minuscole tute spaziali.

La mia è una soluzione solo per metà.Meglio prendersi una pausa per riflettere.La comandante Lewis è stata l’ultima a usare

questo rover. Era in programma che lo utilizzassedi nuovo a Sol 7, ma invece se ne è andata a casa.C’è ancora il suo personale kit da viaggio. Ci hofrugato dentro e ho trovato una barretta proteica euna chiavetta personale, probabilmente piena dimusica da ascoltare durante la gita.

Ottimo momento per mettere qualcosa sotto identi e sentire che brani aveva scelto la nostrabrava comandante.

Giornale di bordo: Sol 38 (2)

Disco music. Ti venisse un accidente, Lewis.

Giornale di bordo: Sol 39

Credo di esserci arrivato.I batteri presenti nel terreno sono abituati agli

inverni. Diventano meno attivi e sopravvivono conun minor quantitativo di ossigeno. Se abbasso latemperatura dello Hab a 1 °C, andrannopraticamente in ibernazione. È un fenomeno chesulla Terra si verifica in continuazione. In questomodo riescono a sopravvivere per un paio digiorni. Se vi domandate come fanno i batteri sullaTerra a sopravvivere per periodi di freddo piùlunghi, la risposta è che non sopravvivono. Sono ibatteri che stanno più giù nel sottosuolo, dove fapiù caldo, a riprodursi e a risalire in superficie

per sostituire quelli morti. Avranno ancora bisognodi ossigeno, ma non molto. Io credo che un 1percento dovrebbe bastare. È un quantitativo chedovrebbe far respirare i batteri, ma senza poteralimentare una fiamma. Così l’idrogeno nonscoppierà.

Ma ne consegue un altro problema. È un pianoche non piacerà alle piante di patate.

Non è tanto l’ossigeno a mandarle in crisi, ma ilfreddo le ammazzerà. Dunque dovrò invasarle(insaccarle, per meglio dire) e trasferirle su unrover. Non hanno ancora germogliato, quindi nonhanno bisogno di luce.

Trovare un sistema per mantenere calore quandoa bordo del rover non c’è nessuno è stata una bellaseccatura. Ma ce l’ho fatta. Del resto, l’unica cosache quassù non mi manca è il tempo.

Dunque, ecco il piano. Prima di tutto insacco lepiante di patate e le porto al rover (assicurandomiche il riscaldamento sia in funzione). Poi abbassola temperatura dello Hab a 1 °C. Poi riduco ilcontenuto di O2 a 1 percento. Poi brucio

l’idrogeno con una batteria, un paio di fili e unserbatoio di O2.

Già. Un’idea grandiosa senza nessunapossibilità di fiaschi catastrofici.

Questa era una battuta sarcastica, per chi nonavesse capito.

Partiamo.

Giornale di bordo: Sol 40

Le cose non sono andate per il verso giusto alcento percento.

Dicono che nessun piano sopravvive al primocontatto con la sua attuazione. Devo convenirne.Ecco cos’è successo.

Mi sono fatto coraggio e sono tornato allo Hab.Quando ci sono arrivato, mi sono sentito un po’ piùfiducioso. Tutto era come lo avevo lasciato. (Checosa mi aspettavo? Che i marziani avesserosvaligiato la mia abitazione?)

Mi ci sarebbe voluto un po’ per raffreddare loHab, così mi sono messo subito all’operaabbassando il regolatore della temperatura a 1 °C.

Ho cominciato a mettere le piante di patate neisacchi e ne ho approfittato per controllarle. Hannogià messo delle belle radici e stanno pergermogliare. Non avevo però pensato ancora acome trasportarle dallo Hab ai rover.

La risposta era semplice. Le ho infilate tuttenella tuta spaziale di Martinez, poi le ho trascinatecon me al rover che avevo scelto come vivaiotemporaneo.

Ho manomesso il riscaldamento perché non sispegnesse e sono tornato allo Hab.

Quando sono rientrato, ho sentito che latemperatura era già molto bassa. Era scesa a 5 °C.Avevo i brividi e, mentre guardavo il mio alito chemi si condensava davanti alla bocca, mi sonoprotetto con strati supplementari di indumenti. Perfortuna non sono un uomo molto grosso. I vestiti diMartinez si adattavano a stare sopra i miei e quellidi Vogel sopra quelli di Martinez. Sono tuttiindumenti del cavolo, da indossare in ambienti

climatizzati. Anche con tre strati addosso,continuavo a sentire freddo. Per scaldarmi megliomi sono infilato sotto le coperte sulla mia branda.

Quando la temperatura è scesa a 1 °C, ho attesoancora un’ora per essere sicuro che i batteripresenti nel terriccio si convincessero che era oradi rallentare i processi vitali.

Poi mi sono trovato in difficoltà con ilregolatore. Ci ho sbattuto il muso con tutta quantala mia boria. Non vuole proprio saperne diestrarre dall’aria troppo O2. Il minimo a cui sonoriuscito a scendere è stato del 15 percento. Giuntoa quel livello il regolatore si è categoricamenterifiutato di estrarne dell’altro, ignorando tutte lemie manovre. Mi ero ingenuamente illuso dipoterlo riprogrammare, ma è saltato fuori che iprotocolli di sicurezza sono tutti in ROM.

È logico. Lo scopo è quello di impedire chel’atmosfera diventi letale. Nessuno alla NASA hapensato: “Ehi, mettiamoci dentro la possibilità diuna carenza fatale di ossigeno che farà schiattaretutti quanti!”.

Perciò sono dovuto ricorrere a un piano piùprimitivo.

Per monitorare le percentuali di gas presentinell’aria il regolatore usa un set di prese diversoda quello che utilizza per il processo diseparazione. L’aria che viene scomposta tramitecongelamento entra da un’unica, grande presapresente sull’unità principale. Ma l’aria chedev’essere analizzata entra da nove piccolebocchette, dalle quali viene successivamenteinviata all’unità principale. In questo modo ilsistema può verificare una buona situazione mediadelle condizioni dell’aria dentro lo Hab senzalasciarsi ingannare da una unica situazione diirregolarità in un’area molto circoscritta.

Ho chiuso con il nastro adesivo otto dellebocchette lasciandone attiva una soltanto. Poi,sempre con il nastro adesivo, ho fissatol’imboccatura di un sacco grande sull’apertura delcollo di una delle tute spaziali (quella diJohanssen, questa volta). All’altra estremità delsacco, ho praticato un piccolo foro che ho

collegato e fissato con il nastro sull’unicabocchetta rimasta aperta.

Poi ho gonfiato il sacco con O2 puro preso daiserbatoi della tuta. “Porca merda!”, ha pensato ilregolatore, “meglio che elimini immediatamentetutto questo O2!”.

Perfetto!Alla fine ho deciso di non indossare una tuta

spaziale. La pressione atmosferica era a posto.Avevo solo bisogno di ossigeno. Così dal repartomedico ho preso una bombola di O2 e unrespiratore. In questo modo potevo muovermimolto più liberamente. C’era persino una cinghiaelastica con cui fissarmi la mascherina alla faccia!

Avevo però bisogno di una tuta spaziale percontrollare il vero livello di ossigeno nello Hab,ora che il computer principale si era convinto chec’era O2 al cento percento. Vediamo… la tuta diMartinez era sul rover. Quella di Johanssen stavafacendo fesso il regolatore. Quella di Lewisserviva da serbatoio dell’acqua. Non volevo tirare

in ballo la mia (è fatta su misura, andiamo!). Me nerimanevano due.

Ho preso quella di Vogel e ho attivato i sensoridell’aria interni senza agganciare il casco. Quandol’ossigeno è sceso al dodici percento, ho indossatola maschera. Ho guardato il livello scendereancora. Quando ha toccato l’1 percento, ho spentoil regolatore.

Non ho modo di riprogrammarlo, ma di sicuroposso spegnerlo del tutto, il bastardo.

Nello Hab ci sono torce d’emergenza un po’dappertutto in caso di blackout totale. Ne ho presauna, ho strappato via i LED che conteneva e hoavvicinato il più possibile due cavi sbucciati.Quando l’accendevo, producevo una piccolascintilla.

Ho preso una bombola di O2 dalla tuta di Vogel,vi ho fissato una cinghia a entrambe le estremità eme la sono appesa a una spalla. Poi ho collegatoun tubicino al serbatoio e l’ho tenuto chiuso quasidel tutto schiacciandolo con il pollice. Ho apertola valvola in maniera da far uscire un flusso

minimo di O2, abbastanza ridotto da non potereccedere la pressione che esercitavo con ilpollice.

Sono montato su un tavolo con la torcia in unamano e il tubicino dell’ossigeno nell’altra, hoalzato le braccia e ho fatto un primo tentativo.

E, che il diavolo mi porti se non ha funzionato!Ho soffiato l’O2 sulla scintilla, ho fatto scattarel’interruttore della torcia e dal tubo è uscita unabella fiammata. Naturalmente è partito subitol’allarme antincendio. Ma da qualche tempo aquesta parte lo sento così spesso che quasi non mene accorgo più.

Poi ci ho riprovato. E ancora. Piccoli getti.Niente di spettacolare. Me la prendevoserenamente comoda.

Ero entusiasta! Era il miglior piano che avessimai escogitato! Non solo stavo eliminandol’idrogeno, ma stavo producendo altra acqua!

Tutto è andato a meraviglia, fino all’esplosione.

Un attimo prima bruciavo allegramenteidrogeno. Un attimo dopo ero dall’altra parte dello

Hab e un mucchio di cose erano finite a gambeall’aria. Mi sono rialzato in piedi e ho visto loHab sottosopra.

Il mio primo pensiero è stato: “Ho un male canealle orecchie!”.

Poi ho pensato: “Mi gira la testa”, e sono cadutoin ginocchio. Poi sono caduto lungo e disteso. Finoa quel punto mi girava la testa. Me la sonoispezionata con entrambe le mani in cerca di unaferita che speravo con tutto il cuore di non trovare.Mi è sembrato che non mancasse niente.

Ma tastandomi testa e faccia ho individuato ilproblema vero. Nello scoppio avevo perso lamaschera dell’ossigeno. Stavo respirando azotopraticamente puro.

Il pavimento era disseminato di oggetti arrivatida tutte le parti. Nessuna speranza di trovare labombola di O2 del reparto medico. In un casinocome quello non avevo speranza di trovare un belniente prima di perdere i sensi.

Poi ho visto la tuta di Lewis appesa al suoposto. Lo spostamento d’aria non l’aveva portata

via. Tanto per cominciare era pesante di suo, e poiconteneva 70 litri d’acqua.

Mi sono precipitato da quella parte, hovelocemente aperto l’O2 e ho infilato la testanell’incollatura (avevo tolto da tempo il casco peravere facile accesso all’acqua). Ho respirato unpo’ finché mi è passato il senso di vertigine, poi hopreso un bel respiro profondo e l’ho tenuto.

Sempre trattenendo il fiato, ho dato un’occhiataalla tuta spaziale con collegato il sacco che avevousato per ingannare il regolatore. La brutta notiziaera che non li avevo mai tolti. La buona notizia erache ci aveva pensato l’esplosione. Otto delle novebocchette erano ancora ostruite, ma una almenoavrebbe raccontato al regolatore come stavano lecose in realtà.

Così sono andato a riaccenderlo.Dopo i due secondi che gli servono per avviarsi

(era fatto in maniera che partisse alla svelta perragioni che non c’è bisogno di spiegare), haimmediatamente identificato il problema.

Nello stridente allarme del livello troppo bassodi ossigeno che risuonava in tutto lo Hab, il

regolatore ha riversato a tutta birra ossigeno puronell’atmosfera. Separare l’ossigeno dall’atmosferaè un procedimento complicato e lento, maaggiungerlo è semplice quanto aprire una valvola.

Ho scavalcato l’ammasso di oggetti finiti perterra e ho infilato nuovamente la testa nella tutaspaziale di Lewis per prendere un’altra bellaboccata. Di lì a tre minuti il regolatore avevareintegrato l’ossigeno nell’aria dello Hab.

Solo a quel punto mi sono accorto di quantofossero bruciati i vestiti che avevo addosso.Avevo scelto il momento opportuno per infilarmitre strati di abiti sovrapposti. I danni eranosoprattutto alle maniche. Lo strato più esterno nonc’era più. Quello di mezzo era bruciacchiato e inalcuni punti carbonizzato. Quello più interno, cioèla mia uniforme, era abbastanza in buono stato.Sembra che abbia avuto di nuovo fortuna.

Per finire, il computer principale mi indicavache la temperatura era risalita a 15 °C. Si eraverificato qualcosa di molto ardente e moltoesplosivo e non sapevo bene cosa. Né come.

Ed è a questo punto che mi trovo ora. Sono qui achiedermi cosa diavolo sia successo.

Dopo tutta quella fatica e dopo essere saltato inaria, mi sento sfinito. Domani dovrò fare unmilione di verifiche dell’attrezzatura e cercare dicapire che cosa è scoppiato, ma ora come ora hosolo voglia di dormire.

Stasera sono di nuovo sul rover. Anche senzaidrogeno, sono poco propenso a restare a bordo diuno Hab con un trascorso di esplosioniimmotivate. E poi non posso essere sicuro che nonci sia una perdita.

Questa volta mi sono portato un pasto come sideve da consumare e qualcosa da ascoltare chenon sia disco music.

Giornale di bordo: Sol 41

Ho passato la giornata a fare diagnosiapprofondite di tutti i sistemi dello Hab. È statoincredibilmente noioso, ma siccome la mia

sopravvivenza dipende da queste macchine, è unacosa che andava fatta. Non posso presumere cheun’esplosione non abbia provocato danni a lungotermine.

Ho cominciato con i test più critici. Il numerouno era l’integrità del telo dello Hab. Eroabbastanza fiducioso di trovarlo ancora intattoperché avevo dormito per qualche ora sul roverprima di tornare allo Hab e la pressione eraancora buona. Il computer non registrava alcuncambiamento della pressione avvenuto durantequel periodo, a parte una fluttuazione del tuttosecondaria basata sulla temperatura.

Poi ho controllato l’ossigenatore. Se smette difunzionare quello e non sono in grado di ripararlo,sono un uomo morto. Nessun problema.

Poi il regolatore atmosferico. Anche qui nessunproblema.

Climatizzatore, batterie, serbatoi di scorta di O2e N2, depuratore dell’acqua, tutte e tre le camered’equilibrio, sistemi d’illuminazione, computerprincipale… dall’inizio alla fine, un controllo

dopo l’altro, sentendomi sempre meglio nelconstatare che ogni singolo sistema era in perfettecondizioni operative.

Alla NASA, glielo devo riconoscere, quandofabbricano questi gingilli fanno sul serio.

Poi sono arrivato alla fase più delicata: ilcontrollo della terra. Ho raccolto campioni un po’dappertutto (non dimentichiamoci che ora tutto ilpavimento dello Hab è diventato un campocoltivato) e ho preparato dei vetrini.

Quando ho infilato un vetrino nel microscopiomi tremavano un po’ le mani. Ho richiamatol’immagine sullo schermo ed eccoli lì! Batterivigorosi e attivi all’opera! Sembra proprio che aSol 400 non morirò di fame. Mi sono lasciatoandare a sedere e ho aspettato di tornare arespirare normalmente.

Poi mi sono messo a dare una bella ripulita. Eho avuto tutto il tempo di riflettere su quello cheera accaduto.

Dunque, cosa era accaduto? Be’, avrei unateoria.

Secondo il computer principale durantel’esplosione la pressione interna è schizzata a 1,4atmosfere e la temperatura è salita a 15 °C in menodi un secondo. Ma la pressione è ridiscesavelocemente a un’atmosfera. Questo avrebbe sensose fosse stato in funzione il regolatore, che ioinvece avevo spento.

La temperatura è rimasta ancora per qualchetempo a 15 °C, dunque era presumibile che fosseancora presente un’espansione dovuta al calore.Invece la pressione era ridiscesa, ma alloradov’era andata a finire quella di poco prima?Alzare la temperatura mantenendo all’interno lostesso numero di atomi dovrebbe dare per risultatoun innalzamento permanente della pressione.Invece non è andata così.

Ho capito quasi subito cos’era avvenuto.L’idrogeno (l’unico elemento da bruciare) si ècombinato con l’ossigeno (da cui la combustione)e si è trasformato in acqua. L’acqua è mille voltepiù densa di un gas. Così il calore ha aumentato lapressione e la trasformazione di idrogeno eossigeno in acqua l’ha riabbassata.

Domanda da un milione di dollari: da dovediavolo è arrivato l’ossigeno? Il piano era quellodi evitare un’esplosione limitando l’ossigeno. E haanche funzionato per qualche tempo, prima delloscoppio.

Credo di avere la mia risposta. Ed è stataun’illuminazione come un calcio nel culo.Ricordate quando ho deciso di non indossare unatuta spaziale? Quella decisione per poco non mi haucciso.

La bombola di O2 del reparto medico mescolaossigeno puro con l’aria dell’ambiente e tifornisce la miscela attraverso una maschera. Lamaschera ti si fissa alla faccia grazie a una cinghiaelastica che ti gira intorno alla testa. L’aderenzanon è a tenuta stagna.

So che cosa state pensando. Dalla mascherausciva ossigeno. Invece no. Io l’ossigeno lorespiravo. Quando inalavo, rendevo quasi totalel’aderenza della maschera alla mia faccia grazie aun fenomeno di risucchio.

Il problema era nell’esalazione. Sapete quantoossigeno assorbite dall’aria con un respiro

normale? Non lo so nemmeno io, ma non è il 100percento. Ogni volta che espellevo fiato,aggiungevo ossigeno al sistema.

Solo che non ci avevo pensato. E invece avreidovuto pensarci. Se i polmoni catturassero tuttol’ossigeno, la rianimazione bocca a bocca nonfunzionerebbe. Se non ci ho pensato è perché sonoun perfetto idiota! E la mia perfetta idiozia perpoco non mi è costata la vita!

Devo assolutamente essere più prudente.È stato un bene che prima dell’esplosione

avessi bruciato quasi tutto l’ossigeno presente.Altrimenti sarebbe stata la fine. Per fortunal’esplosione non è stata abbastanza violenta dadisintegrare lo Hab. Ma è stata abbastanza forte dafarmi quasi partire i timpani.

Tutto questo ha avuto inizio quando ho notato uncalo di 60 litri nella produzione di acqua. Tra unconsumo volontario di idrogeno da una parte e untantino di esplosione inattesa dall’altra, mi sonorimesso in pista. La notte scorsa il depuratore hafatto il suo bravo compitino e ha estratto dall’aria50 litri di acqua nuova. È conservata nella tuta

spaziale di Lewis, che d’ora in poi chiamerò “lacisterna”, perché mi sembra una genialata. Gli altri10 litri sono stati assorbiti direttamente dal terrenoarido.

Molto lavoro pesante oggi. Mi sono meritato unpasto intero. E per celebrare la mia prima notte diritorno nello Hab, mi concederò una pausa e miguarderò un po’ di bieca TV del XX secolo pergentile concessione della comandante Lewis.

Hazzard? Facciamoci un giro.

Giornale di bordo: Sol 42

Oggi ho dormito fino a tardi. Me lo meritavo.Dopo quattro notti di sonno orrendo sul rover, lamia cuccia mi sembrava il letto di piume piùsoffice e infinitamente beatifico che sia mai statocreato.

A tempo debito ho staccato le chiappe dal lettoe ho finito di rimettere a posto quello che eravolato in giro nell’esplosione.

Oggi ho riportato dentro le piante di patata. Egiusto in tempo. Stanno germogliando. Hanno unbell’aspetto sano e felice. Qui non si tratta dichimica, medicina, batteriologia, analisinutrizionale, dinamiche esplosive o altre stronzatedi cui mi sono occupato in questi ultimi tempi.Questa è botanica. Sono sicuro di poter almeno farcrescere qualche pianta senza combinare uncasino.

Giusto?Sapete che cosa non funziona per niente?

L’acqua. Ne ho fabbricati solo 130 litri. Me neservono altri 470. Pensereste che dopo che misono quasi ammazzato per ben due volte avreismesso di giocare con l’idrazina. Niente da fare.Ridurrò idrazina e brucerò ossigeno nello Habogni dieci ore per altri dieci giorni. Questa voltauserò una strategia migliore. Invece di illudermiche la reazione sia totale, farò frequenti “pulizie diidrogeno” con una piccola fiamma. Lo brucerògradualmente invece di lasciare che salga a livelliammazza-Mark.

Avrò un sacco di tempi morti. Dieci ore perchéciascun serbatoio di CO2 si riempia. Ci voglionosolo venti minuti per ridurre l’idrazina e bruciarel’idrogeno. Passerò il resto del tempo a guardarela TV.

E… siamo seri! È ovvio che il generale Lee nonpotrà mai essere raggiunto da un’auto dellapolizia. Perché Rosco non va alla fattoria dei Dukee non li arresta quando non sono in macchina?

6

Venkat Kapoor tornò nel suo ufficio, mollò lacartella sul pavimento e piombò a sedere nella suapoltrona di pelle. Per un momento guardò fuoridelle finestre. Dal suo ufficio nel Building 1 sidominava il grande parco al centro del JohnsonSpace Center. Sull’altro lato del parco decine dicostruzioni occupavano in ordine sparso tuttol’orizzonte, fino al Mud Lake in lontananza.Quando posò lo sguardo sullo schermo delcomputer notò che c’erano 47 e-mail chechiedevano con urgenza la sua attenzione. Cheaspettassero. Era stata una giornata triste. C’erastata la funzione commemorativa per Mark Watney.

Il Presidente aveva tenuto un discorso in cuiaveva lodato il coraggio e il sacrificio di Watney,e la tempestività e l’efficienza con cui lacomandante Lewis aveva portato in salvo tutti glialtri. La comandante Lewis e i membrisopravvissuti del suo equipaggio avevano

trasmesso i loro elogi per il compagno scomparsodalle profondità dello spazio tramite il sistema dicomunicazione a lunga portata di Hermes.Avevano altri dieci mesi di viaggio da affrontare.

Aveva tenuto un discorso anchel’amministratore, ricordando a tutti che il volospaziale è incredibilmente pericoloso e che nonindietreggeremo davanti alle avversità.

Avevano chiesto a Venkat se volesse intervenireanche lui. Aveva declinato l’invito. A che pro?Watney era morto. Qualche bella parola da partedel direttore delle operazioni marziane nonsarebbe servita a riportarlo in vita.

«Tutto bene, Venk?», si informò una voceconosciuta dalla porta.

Venkat ruotò la poltrona. «Credo di sì», rispose.Teddy Sanders si tolse un frammento di filo

rosso dal blazer altrimenti immacolato. «Avrestipotuto dire qualcosa».

«Non avevo voglia di farlo. Lo sai».«Sì, lo so. Nemmeno io. Ma io sono

l’amministratore della NASA. Ci si aspetta cheparli. Sicuro di stare bene?»

«Sì, sto bene».«Bene», disse Teddy sistemandosi i gemelli ai

polsini. «Allora rimettiamoci al lavoro».«Senz’altro». Venkat si strinse nelle spalle.

«Cominciamo da te che mi autorizzi a usare ilsatellite».

Teddy si appoggiò al muro con un sospiro. «Cirisiamo».

«Sì», ribatté Venkat. «Ci risiamo. Qualcheproblema?»

«Okay, illustramelo di nuovo. Qual è di precisoil tuo obiettivo?».

Venkat si sporse dalla poltrona. «Ares 3 è statoun fiasco, ma qualcosa di quella spedizionepossiamo ancora salvarla. Abbiamo ricevuto fondiper cinque missioni Ares. Credo che possiamoconvincere il Congresso a finanziarcene unasesta».

«Non so, Venk…».«È semplice, Teddy». Venkat parlava con

convinzione. «Hanno evacuato dopo sei sol. Lassùsono rimaste attrezzature e provviste sufficientiquasi a un’intera missione. Costerebbe solo una

frazione di una spedizione normale. Normalmenteper organizzare una base ci vogliono quattordiciinvii di rifornimenti. Potremmo spedire quel chemanca con solo tre sonde. Forse due».

«Venk, quella base è stata investita da unatempesta di sabbia a 175 chilometri orari. Sarà incondizioni pietose».

«Ed è il motivo per cui ho bisogno di vederequalcosa», disse Venkat. «Mi bastano un paio diimmagini della base. Potremmo ricavarne molteinformazioni utili».

«Per esempio? Credi che manderemmo dellagente su Marte senza essere assolutamente sicuriche tutto sia in perfette condizioni operative?»

«Non è necessario che sia tutto perfetto»,obiettò subito Venkat. «Manderemmo ricambi pertutto quello che si è rotto».

«E come facciamo a sapere che cosa si è rottobasandoci solo su qualche immagine?»

«È solo un primo passo. Hanno desistito perchéil vento era una minaccia per il MAV, ma lo Hab èin grado di sopportare condizioni assai piùcritiche. Potrebbe essere ancora tutto intero».

«E in che stato è sarebbe evidente. Se hamollato gli ormeggi, allora è crollato ed è finito inmille pezzi. Se è ancora in piedi, allora tuttoquello che c’è dentro è ancora sano e salvo. E irover sono solidi. Reggerebbero a qualsiasitempesta di sabbia possa montare su Marte.Lasciami soltanto dare un’occhiata, Teddy, nonchiedo di più».

Teddy andò alle vetrate a contemplare la selvadi edifici dall’altra parte del parco. «Non ci seisolo tu a chiedere tempo satellite, sai? Stiamoallestendo le spedizioni per Ares 4. Dobbiamoconcentrarci sul cratere Schiaparelli».

«Non capisco, Teddy. Che problema c’è?»,domandò Venkat. «Io sto parlando della possibilitàdi assicurare al progetto una missione in più.Abbiamo dodici satelliti in orbita intorno a Marte,non vedo perché non potresti dedicarne a me uno odue per un paio d’ore. Ti do io le finestre giusteper ciascuno quando saranno nella posizionemigliore per scattare immagini di Ares 3…».

«Non è questione di tempo satellite, Venk», lointerruppe Teddy.

Venkat si irrigidì. «Allora… ma… cosa…».Teddy si girò verso di lui. «Siamo

un’organizzazione di dominio pubblico. Qui nonesistono informazioni segrete o sicure».

«E allora?»«Tutte le immagini che catturiamo vanno

direttamente al pubblico».«Di nuovo: e allora?»«Il corpo di Mark Watney si troverà nell’arco di

venti metri dallo Hab. Forse parzialmente sepoltonella sabbia, ma ancora molto visibile. E conun’antenna che gli sporge dal petto. In qualunqueimmagine della zona della base vedremmo anchelui».

Venkat lo fissò in silenzio, poi la suaespressione si indurì. «E questo sarebbe il motivoper cui per due mesi hai respinto la mia richiestadi immagini da Marte?»

«Venk, per piacere…».«Sul serio, Teddy?», sbottò Venkat. «Hai paura

di ripercussioni nelle pubbliche relazioni?»«Solo ora l’ossessione dei media per la morte

di Watney sta cominciando a spegnersi un po’»,

rispose con calma Teddy. «Sono due mesi che cibombardano. La commemorazione di oggi haofferto all’opinione pubblica un modo per metterciuna pietra sopra e a questo punto i media possonodedicarsi a qualcos’altro. L’ultima cosa al mondoche vogliamo è rivangare proprio adesso questatriste storia».

«E allora che cosa facciamo? Non è che sidecompone. Lì è e lì sarà per sempre».

«Per sempre no», lo corresse Teddy. «Nel girodi un anno la normale attività meteorologica locoprirà di sabbia».

«Un anno?», lo apostrofò Venkat alzandosi inpiedi. «Non farmi ridere. Non possiamo aspettareun anno».

«Perché no? Ares 4 verrà lanciato solo fracinque anni. Abbiamo tutto il tempo».

Venkat trasse un respiro profondo e rifletté perun momento.

«Okay, mettiamola così: siamo molto sensibilial cordoglio della famiglia di Watney. Ares 6potrebbe riportare la salma sulla Terra. Nondiciamo che questo sia lo scopo della missione,

ma facciamo capire che ne sarebbe parteessenziale. Confezionandola in questa maniera,otterremmo un atteggiamento più benevolo dalCongresso. Ma non se aspettiamo un anno. Tra unanno non importerà più niente a nessuno».

Teddy si passò una mano sul mento. «Mmm…».

Mindy Park alzò gli occhi al soffitto. Non avevamolto altro da fare. Il turno delle tre di notte eratra i più noiosi. Solo un fiume incessante di caffèla teneva sveglia.

Quando aveva accettato il trasferimento, laprospettiva di monitorare lo stato dei satelliti inorbita intorno a Marte le era sembrata moltoemozionante. Ma i satelliti hanno la tendenza abadare a se stessi. Il suo lavoro era in effetti soloquello di spedire e-mail quando si rendevanodisponibili delle immagini.

«Un master in ingegneria meccanica», borbottò.«E lavoro in una cabina per fototessere accaventiquattro».

Bevve un altro sorso di caffè.

Un palpito dello schermo annunciò che c’eraun’altra serie di fotografie pronte da inviare.Controllò il nome sull’ordine. Venkat Kapoor.

Inviò i dati direttamente ai server interni eredasse un’e-mail al dottor Kapoor. Nell’inserirelatitudine e longitudine dell’immagine, riconobbela posizione.

“31,2° Nord, 28,5° Ovest… Acidalia Planitia…Ares 3?”.

Per curiosità richiamò sul monitor la primadelle diciassette immagini.

Come aveva sospettato, era la base di Ares 3.Aveva sentito dire che ne avrebbero scattate dellefoto. Con un certo imbarazzo e un tantino divergogna, cercò tracce del corpo di Mark Watney.Dopo un minuto di perlustrazione infruttuosa, sisentì contemporaneamente sollevata e delusa.

Proseguì nell’esplorazione del restodell’immagine. Lo Hab era intatto. Il dottorKapoor ne sarebbe stato felice.

Si portò la tazza alle labbra e lì si impietrì.«Come…», mormorò. «Ma…».

Entrò in intranet nel sito della NASA e cercò lespecifiche delle missioni Ares. Dopo una brevericerca, si mise al telefono.

«Ehi, sono Mindy Park del SatCon. Ho bisognodei log di Ares 3, dove li trovo?… Sì… Certo…Okay… Grazie».

Dopo aver trascorso un altro po’ di tempo inintranet, tornò ad appoggiarsi allo schienale dellasua poltrona. Non aveva più bisogno del caffè perstare sveglia.

Staccò di nuovo il ricevitore del telefono.«Pronto, sicurezza? Sono Mindy Park del SatCon.Ho bisogno del numero per le emergenze deldottor Venkat Kapoor… Sì, è un’emergenza».

Sulle spine, Mindy guardò entrare Venkat. Che ildirettore delle operazioni marziane visitasse ilSatCon era inusuale. Vederlo in jeans e T-shirt eraancora più inusuale.

«Lei è Mindy Park?», le chiese con il cipiglio diun uomo che ha dormito solo due ore.

«Sì», rispose lei con un tremito nella voce. «Lechiedo scusa per averla disturbata».

«Presumo che abbia una buona ragione.Allora?»

«Ehm», fece lei abbassando gli occhi. «Ehm, sì.Bene. È per le foto che aveva ordinato. Ehm.Venga a vedere».

Venkat avvicinò una poltroncina alla suapostazione e si sedette. «Ha a che vedere con ilcorpo di Watney? È per questo che è così scossa?»

«Ehm, no», rispose Mindy. «Ehm. Ecco…».Indicò lo schermo torcendo la bocca erimproverandosi per la sua goffaggine.

Venkat esaminò l’immagine. «Sembra che loHab sia tutto intero. Questa è una buona notizia.Anche i pannelli solari sono in ordine. Bene anchei rover. Non vedo la parabolica. Non mi sorprendeperò. Allora, cosa c’era di tanto urgente?»

«Ehm», fece di nuovo lei toccando lo schermocon la punta del dito. «Quelle».

Venkat si protese per guardare più attentamente.Subito sotto lo Hab, accanto ai rover, c’erano duecerchi bianchi nella sabbia. «Bah, sembrerebberopezzi di tela dello Hab. Forse non è in condizioni

ottimali. Suppongo che qualche pezzo sia statostrappato via e…».

«Ehm», lo interruppe lei. «A me sembrano letende a scatto dei rover».

Venkat guardò di nuovo. «Mmm, ma sa chepotrebbe aver ragione?».

«Come hanno fatto ad aprirsi?», chiese Mindy.Venkat alzò le spalle. «Probabile che la

comandante Lewis abbia ordinato di aprirledurante l’evacuazione. Non una cattiva idea. Averedei ricoveri d’emergenza pronti nel caso il MAVnon avesse funzionato e lo Hab si fossesquarciato».

«Sì, ehm», ribatté Mindy aprendo un documentosullo schermo. «Questo è il log intero dei sol dauno a sei. Dal touchdown dell’MDV al decollod’emergenza del MAV».

«D’accordo, e allora?»«L’ho letto bene. Più di una volta. Non hanno

mai fatto scattare le tende». Sull’ultima parola lesi ruppe la voce.

«Be’, non so…», borbottò Venkat corrugando lafronte. «Evidentemente lo hanno fatto e non lo

hanno registrato».«Hanno fatto scattare due tende d’emergenza e

non l’hanno detto a nessuno?»«Già, non è molto logico. Forse è stata la

tempesta a far aprire le tende a scatto».«E dopo che si sono aperte da sole, si sono

staccate dai rover e sono andate a piazzarsi unaaccanto all’altra a venti metri di distanza?».

Venkat tornò a esaminare l’immagine. «Be’, èevidente che in qualche modo si sono aperte».

«Come mai i pannelli solari sono puliti?»,chiese Mindy che cominciava a sforzarsi ditrattenere le lacrime. «C’è stata una tempesta disabbia terrificante. Perché i pannelli non sonoricoperti di sabbia?»

«Potrebbe essere stato un vento forte, no?»,rispose Venkat titubante.

«Le ho detto che non ho trovato da nessuna parteil corpo di Watney?», aggiunse lei tirando su con ilnaso.

Gli occhi di Venkat, ancora fissi sull’immagine,s’ingigantirono. «Oh…», disse sottovoce. «Oh,mio Dio…».

Mindy si coprì la faccia con le mani e pianse insilenzio.

«Merda!», esplose Annie Montrose. «Mi statesparando una cazzata, vero? Per prendermi per ifondelli!».

Da sopra la sua immacolata scrivania dimogano, Teddy scoccò un’occhiataccia alladirettrice del suo ufficio pubbliche relazioni.«Questo non aiuta, Annie». Si rivolse al suodirettore delle operazioni marziane. «Quanto sicurisiamo?»

«Quasi al cento percento», rispose Venkat.«Merda!», ripeté Annie.Teddy spostò leggermente a destra una

cartelletta sulla sua scrivania in modo daallinearla al tappetino del mouse. «Quel che è, è.Dobbiamo affrontarlo».

«Hai idea della magnitudo della tempesta dimerda che scoppierà?», ribatté Annie. «Non cisiete voi a dover affrontare ogni santo giorno queidannati giornalisti. Ci sono io!».

«Una cosa alla volta», disse Teddy. «Venk, checosa ti rende così sicuro che sia vivo?»

«Per cominciare, niente corpo», spiegò Venkat.«Poi ci sono le tende a scatto che si sono gonfiate.E i pannelli solari sono puliti. A proposito,vediamo di ringraziare Mindy Park del SatCon peraver notato tutti questi particolari.

«Ma», continuò Venkat, «è possibile che il suocorpo sia stato seppellito dalla tempesta di Sol 6.È possibile che le tende siano scattate da sole eche il vento le abbia spostate. Un vento a trentachilometri orari alzatosi successivamente sarebbestato forse abbastanza forte da pulire i pannellisolari, ma non tanto forte da trasportare sabbia.Non è probabile, ma è possibile».

«Così in queste ultime ore ho controllato tuttoquello che potevo. La comandante Lewis è uscitadue volte sul Rover 2. La seconda volta è stata aSol 5. Secondo le registrazioni, al rientro lo avevaricaricato collegandolo all’alimentatore delloHab. Non è stato più usato e tredici ore dopohanno evacuato il pianeta».

Spinse verso Teddy una fotografia.

«Questa è una delle immagini di ieri notte.Come vedi, il Rover 2 è girato con la parteposteriore verso lo Hab. La presa per la ricarica ènel muso e il cavo non è abbastanza lungo perarrivarci».

Teddy ruotò distrattamente l’immagine permetterla parallela al bordo della scrivania.«Doveva averlo parcheggiato con il muso rivoltoallo Hab, altrimenti non avrebbe potuto inserire laspina», disse. «Dopo Sol 5 è stato spostato».

«E già», fece eco Venkat posandogli davantiun’altra foto. «Ma qui c’è la prova vera e propria.Nell’angolo destro in basso si vede l’MDV. È statosmontato. Sono più che certo che non lo avrebberofatto senza dircelo».

«Ma il colpo di grazia è sulla destradell’immagine», concluse Venkat puntando il dito.«L’apparato d’atterraggio del MAV. Sembra che ilgeneratore di propellente sia stato completamenterimosso con danni considerevoli alle gambedell’impianto. È semplicemente impossibile checiò sia avvenuto prima del decollo. Avrebbe

esposto il MAV a un rischio inaccettabile e Lewisnon lo avrebbe mai consentito».

«Ehi», intervenne Annie. «Perché non sentiamoLewis? Andiamo al CAPCOM e chiediamolodirettamente a lei».

Invece di risponderle, Venkat rivolse unosguardo d’intesa a Teddy.

«Perché», le rispose Teddy, «se veramenteWatney è vivo, non vogliamo che l’equipaggio diAres 3 lo sappia».

«Cosa?», proruppe Annie. «Come fate a nondirglielo?»

«Hanno ancora dieci mesi di viaggio per tornarea casa», spiegò Teddy. «I viaggi spaziali sonopericolosi. È necessario che siano vigili e chenulla li distragga. Sono tristi per aver perso uncompagno, ma se dovessero scoprire di averloabbandonato vivo sul pianeta sarebbe devastante».

Annie si girò a guardare Venkat. «E tu seid’accordo?»

«Non c’è nemmeno da ragionarci», risposeVenkat. «Che affrontino questo trauma emotivo

quando non sono in volo a bordo di un veicolospaziale».

«Questo sarà l’avvenimento di cui si parlerà dipiù dai tempi di Apollo 11», disse Annie. «Comepensate di tenerglielo nascosto?».

Teddy alzò le spalle. «Facile. Siamo noi acontrollare tutte le comunicazioni con loro».

«Fanculo», imprecò Annie aprendo il suolaptop. «Quando volete darlo in pasto alpubblico?».

«Tu cosa dici?»«Vediamo», rispose Annie. «Possiamo trattenere

le foto per ventiquattr’ore prima che ci siarichiesto di divulgarle. Dovremo emettere ancheun comunicato. Meglio che la gente non si facciaopinioni per conto proprio. Faremmo la figuradegli imbecilli».

«Va bene», concordò Teddy. «Butta giù untesto».

«Ci sarà da divertirsi», bofonchiò lei.«E poi?», chiese Teddy a Venkat.«Il primo passo sono le comunicazioni», disse

Venkat. «Da quel che si vede nelle foto, è chiaro

che l’antenna è fuori discussione. Dobbiamotrovare un altro modo per parlare. Quando saremoin grado di parlare, potremo valutare la situazioneed escogitare un piano».

«Va bene», disse Teddy. «Mettiamoci al lavoro.Prendi chiunque vuoi da qualsiasi dipartimento.Aggiungi tutte le ore di straordinario che vuoi.Trova la maniera di parlare con lui. Da adesso inavanti il tuo compito è questo».

«D’accordo».«Annie, assicurati che nessuno fiuti la situazione

prima che siamo noi ad annunciarlo».«Va bene», annuì Annie. «Chi altri lo sa?»«Noi tre e Mindy Park del SatCon», disse

Venkat.«Parlerò con lei», promise Annie.Teddy si alzò e aprì il suo cellulare. «Io vado a

Chicago. Sarò di ritorno domani».«Perché?», volle sapere Annie.«È lì che vivono i genitori di Watney», rispose

Teddy. «Prima che la notizia appaia su giornali etelevisione devo loro una spiegazione di persona».

«Saranno felici di sapere che il loro figlio èvivo», commentò Annie.

«Già, è vivo», ribatté Teddy. «Ma se lamatematica non è un’opinione, è destinato a moriredi fame prima che possiamo in qualche modocercare di soccorrerlo. Non mi aspetto unaconversazione molto confortante».

«Fanculo», brontolò Annie, pensierosa.

«Niente? Niente di niente?», gemette Venkat.«Stiamo scherzando? Ci avete messo sopra ventiesperti per venti ore di fila. Abbiamo una rete dicomunicazioni da non so quanti miliardi di dollari.E non sapete trovarmi nessun modo per parlarecon lui?».

I due uomini presenti nel suo ufficio diederovistosi segni di disagio.

«Non ha la radio», si giustificò Chuck.«Per la precisione», ribatté Morris, «la radio ce

l’ha, ma non ha una parabolica».«Il fatto è», riprese Chuck, «che senza la

parabolica il segnale dovrebbe essere veramentemolto forte…».

«Forte da grigliare bistecche», contribuì Morris.«…perché arrivi fino a lui», concluse Chuck.«Abbiamo pensato ai satelliti intorno a Marte»,

disse Morris. «Sono molto più vicini. Ma lamatematica non ci assiste. Persino SuperSurveyor3, che ha il trasmettitore più potente, avrebbebisogno di un’energia quattordici voltemaggiore…».

«Diciassette volte», disse Chuck.«Quattordici volte», insisté Morris.«No, sono diciassette. Hai dimenticato

l’amperaggio minimo necessario al sistema diriscaldamento per mantenere…».

«Va bene, ragazzi», li interruppe Venkat. «L’ideame la sono fatta».

«Scusa».«Scusa».«Scusate voi se sono insofferente», disse

Venkat. «Ieri notte ho dormito solo due ore».«Non c’è problema», rispose Morris.«Del tutto comprensibile», fece eco Chuck.«Allora», riprese Venkat. «Spiegatemi com’è

possibile che un’unica tempesta ci abbia messi

nell’impossibilità di comunicare con Ares 3».«Scarsa immaginazione», disse Chuck.«Totale incapacità di prevederla», convenne

Morris.«Quanti sistemi di comunicazione di backup ha

una missione Ares?», domandò Venkat.«Quattro», rispose Chuck.«Tre», precisò Morris.«No, sono quattro», ribadì Chuck.«Ha detto sistemi di backup», precisò Morris.

«Dunque senza contare il sistema primario».«Ah, giusto. Tre».«Dunque sono quattro sistemi in totale», disse

Venkat. «Spiegatemi come abbiamo fatto a perderlitutti e quattro».

«Allora», cominciò Chuck, «il sistemaprincipale usa la grande antenna parabolica. Che èvolata via nella tempesta. Gli altri sistemi, quellidi backup, erano sul MAV».

«È così», confermò Morris. «In un certo senso ilMAV è una macchina per le comunicazioni. Puòparlare con la Terra, Hermes, persino i satellitiintorno a Marte se necessario. E ha tre sistemi

indipendenti, in maniera da garantire sempre lecomunicazioni a meno di una grandinata dimeteoriti».

«Il problema è che il MAV se lo sono portati viala comandante Lewis e gli altri quando hannoevacuato il pianeta», aggiunse Chuck.

«E da quel momento, di quattro sistemi dicomunicazione indipendenti ne è rimasto solo uno.E quell’uno è distrutto», finì Morris.

Venkat si pizzicò il naso. «Come abbiamo fatto anon includere questa eventualità?».

Chuck si strinse nelle spalle. «Non ci è maivenuto in mente. Nessuno ha mai pensato chequalcuno potesse trovarsi su Marte senza un MAV».

«Andiamo, diamine!», sbottò Morris. «Quanteprobabilità c’erano?».

Chuck si girò verso di lui. «Una su tre,basandoci su dati empirici. Sono un bel po’, se cipensi».

Era una brutta gatta da pelare e Annie lo sapeva.Non solo avrebbe dovuto recitare il più clamorosomea culpa pubblico in tutta la storia della NASA,

ma ogni secondo della sua ammissione sarebbestato ricordato per l’eternità. Ogni movimentodelle sue braccia, l’intonazione della sua voce eogni espressione del suo viso sarebbero stati vistida milioni di persone un numero infinito di volte.Non solo nell’immediato, ma per decenni a venire.In qualsiasi servizio mandato in onda in ricordodel caso Watney sarebbe stato incluso anche quellospezzone.

Prese posto davanti ai microfoni sentendosiabbastanza sicura d’essere capace di non lasciartrasparire questa sua profonda preoccupazione.

«Grazie a tutti voi per essere intervenuti con uncosì breve preavviso», esordì rivolgendosi aigiornalisti. «Dobbiamo fare un annuncioimportante. Vi invito ad accomodarvi».

«Di che si tratta, Annie?», chiese Bryan Hessdella NBC. «È successo qualcosa a Hermes?».

«Sedetevi, prego», ripeté Annie.Ci fu qualche momento di confusione e qualche

discussione su chi dovesse sedersi dove,dopodiché fu finalmente ristabilito l’ordine.

«È un annuncio breve ma molto importante»,disse allora Annie. «In questo momento nonrisponderò a nessuna domanda, ma fra un’ora circaci sarà una conferenza stampa vera e propria condomande e risposte. In queste ultime ore abbiamoesaminato una serie di immagini satellitariprovenienti da Marte e abbiamo avuto confermache, allo stato attuale delle cose, l’astronauta MarkWatney è ancora vivo».

Ci fu un intero secondo di silenzio assoluto, poila sala esplose in un baccano assordante.

Passata una settimana, il clamoroso annuncioera ancora la notizia principale di tutti i networkdel mondo.

«Non ne posso più di conferenze stampaquotidiane», mormorò Venkat a Annie.

«Io comincio a non poterne più di conferenzestampa a scadenza oraria», gli rispose leisottovoce.

Si trovavano con un numero imprecisato di altrimanager e alti dirigenti della NASA sul piccolopalco della sala stampa. Davanti a loro era

assiepata una schiera di reporter avidi diconoscere anche la più irrisoria novità sullasituazione.

«Scusate il ritardo», disse Teddy entrando dauna porta laterale. Si tolse di tasca un mazzetto dischede, le compattò tra le mani e si schiarì lavoce. «Nei nove giorni trascorsi dall’annuncio cheMark Watney è vivo abbiamo ricevuto un sostegnomassiccio da parte di tutti i settori. Li stiamoutilizzando senza remore in ogni modo che ci èpossibile».

La sala fu attraversata da una serie di risatine.«Ieri, dietro nostra richiesta, l’intera rete SETI è

stata orientata su Marte, nel caso in cui Watneystesse inviando un segnale radio molto debole.Non è così, ma resta come dimostrazione dellivello di impegno che tutti stanno mettendonell’aiutarci».

«Il mondo intero sta seguendo la vicenda e noifaremo del nostro meglio per tenere tutti sempreinformati. Ho appena saputo che la CNN dedicheràogni giorno feriale un segmento di mezz’ora diaggiornamento sul caso. Assegneremo a quel

programma alcuni dei nostri addetti alle pubblicherelazioni in maniera che la gente possa avere leultimissime notizie il più velocemente possibile».

«Abbiamo modificato le orbite di tre satellitiper ottenere tempi più lunghi di osservazione dellabase di Ares 3 con la speranza di catturare prestoun’immagine di Mark all’esterno. Se riusciremo avederlo, basandoci sulle attività che svolge e ilportamento generale, potremo trarre conclusionisul suo stato di salute fisica».

«Gli interrogativi sono numerosi: per quantotempo può durare? Quanto cibo gli resta? Èpossibile farlo soccorrere da Ares 4? Comefacciamo a parlare con lui? Le risposte a questedomande non sono quelle che vogliamo sentire».

«Non posso promettere che riusciremo asalvarlo, ma una cosa la posso promettere: tutta laNASA si occuperò solo ed esclusivamente di comefar tornare a casa Mark Watney. Questa sarà lanostra unica e incrollabile ossessione finché o saràrientrato sulla Terra o ne sarà confermata la mortesu Marte».

«Bel discorso», si complimentò Venkat entrandonell’ufficio di Teddy.

«Detto con il cuore, dalla prima parolaall’ultima», disse Teddy.

«Oh, lo so».«Cosa posso fare per te, Venk?»«Ho un’idea. Be’, il JPL ha un’idea. Io faccio da

messaggero».«Le idee mi piacciono», replicò Teddy

indicandogli la poltrona.Venkat si sedette.«Possiamo recuperarlo con Ares 4. È molto

rischioso. Abbiamo esposto l’ipotesiall’equipaggio. Non solo sono disponibili, maadesso ce la stanno mettendo tutta per riuscirci».

«Naturale», commentò Teddy. «Gli astronautisono matti per principio. E di animo veramentenobile. Quale sarebbe l’idea?»

«Siamo ancora nella fase delle grandi linee»,cominciò Venkat, «ma il JPL pensa che si possamanomettere l’MDV per salvare Mark».

«Ma Ares 4 non è stato ancora lanciato. Perchémanomettere un MDV? Perché non costruire

qualcosa di più adatto?»«Non abbiamo il tempo necessario per

preparare un veicolo ad hoc. E per la verità nonpuò nemmeno sopravvivere fino all’arrivo di Ares4, ma questo è un altro problema».

«Allora spiegami dell’MDV».«Il JPL lo svuota, lo alleggerisce e ci aggiunge

dei serbatoi. L’equipaggio di Ares 4 atterra allabase di Ares 3. Poi, con una scarica propulsivacompleta, e intendo proprio completa, possonoripartire. Non sono in grado di tornare in orbita,ma possono arrivare alla base di Ares 4 su unatraiettoria obliqua che sarebbe, be’, una manovraveramente da fiato in gola. E arrivati alla basetroverebbero un MAV».

«E come fanno ad alleggerire?», volle sapereTeddy. «Non sono già ai limiti?»

«Eliminando tutto l’equipaggiamento disicurezza e di emergenza».

«Ma che meraviglia», commentò Teddy. «Cosìmettiamo a rischio la vita di altre sei persone».

«Sissignore», confermò Venkat. «Sarebbe piùsicuro lasciare l’equipaggio di Ares 4 sull’Hermes

e mandare giù solo il pilota con l’MDV. Ma cosìfacendo salterebbe la missione e preferisconorischiare la vita».

«Sono astronauti», disse Teddy.«Sono astronauti», convenne Venkat.«Comunque, questa è un’idea folle che non

autorizzerò mai».«Ci lavoreremo ancora», promise Venkat.

«Cercheremo di renderla meno pericolosa».«Fatelo. Qualche idea su come tenerlo in vita

per quattro anni?»«No».«Lavorate anche a quello».«Lo faremo», rispose Venkat.Teddy si girò a guardare il cielo dalla finestra.

Stava scendendo la notte. “Come sarà?”, si chiese.“È bloccato lassù. Pensa di essere totalmente soloe che noi abbiamo rinunciato a lui. Che effetto hasulla psicologia di un essere umano?”.

Tornò a rivolgersi a Venkat. «Chissà cosa stapensando in questo momento».

Giornale di bordo: Sol 61

Ma come fa Aquaman a controllare le balene?Sono mammiferi! Non ha senso.

7

Giornale di bordo: Sol 63

Ho finito da qualche tempo di fabbricare acqua.Non corro più il pericolo di farmi esplodere. Lepatate crescono bene. Sono settimane che nientecospira con l’intento di uccidermi. E mi lasciointrattenere troppo piacevolmente dalla TV deglianni Settanta perché non debba preoccuparmene.Qui su Marte la situazione è stabile.

È ora che cominci a pensare a lungo termine.Anche se trovassi il modo di far sapere alla

NASA che sono vivo, non c’è nessuna garanzia chesiano in grado di salvarmi. Devo metterci del mio.Devo pensare a come raggiungere Ares 4.

Non sarà facile.Ares 4 atterrerà nel cratere Schiaparelli, a 3200

chilometri da qui. Anzi, il loro MAV è già arrivato.Lo so perché ho visto Martinez che lo mandavagiù.

Il MAV impiega 18 mesi per produrre il suopropellente, quindi è sempre il primo elementodell’attrezzatura che la NASA spedisce adestinazione. Anticipando l’invio di 48 mesi ci siassicura tutto il tempo supplementare che potrebberendersi necessario se la reazione nella creazionedi carburante dovesse procedere più lentamentedel previsto. Ma soprattutto è il modo migliore perottenere un atterraggio morbido con grandeprecisione facendo teleguidare il mezzo da unpilota in orbita. Far effettuare l’operazionedirettamente da Houston è fuori discussione: lorosono a una distanza variabile tra 4 e 20 minuti-luce.

Per arrivare su Marte il MAV di Ares 4 haimpiegato undici mesi. È partito prima di noi ed èarrivato quassù più o meno quando ci siamoarrivati noi. Come previsto, Martinez lo ha fattoposare come una piuma. È stata una delle ultimecose che abbiamo fatto prima di pigiarci comesardine sul nostro MDV per scendere in superficie.Ah, i bei tempi andati, quando avevo con me unequipaggio.

Sono fortunato. 3200 chilometri non sono unacosa terribile. Sarebbero potuti essere 10.000. Esiccome sono nella parte più pianeggiante diMarte, i primi 650 chilometri sono di comodasuperficie abbastanza liscia (vai, AcidaliaPlanitia!), ma il resto è un mezzo inferno tuttobitorzoluto e crivellato di crateri.

Ovviamente dovrò usare un rover. E sapete unacosa? Non sono progettati per lunghe percorrenzein superficie.

Mi si prospetta una fase di studio con una dosedi sperimentazione. Dovrò diventare la miapiccola NASA personale ed escogitare il modo dispingermi in esplorazione lontano dallo Hab. Labuona notizia è che ho molto tempo a disposizione.Quasi quattro anni.

Certe cose vanno da sé. Dovrò usare un rover.Ci vorrà molto tempo, quindi dovrò portarmi delleprovviste. Durante il viaggio dovrò ricaricare e irover non hanno pannelli solari, quindi dovròrubarne alcuni dall’impianto dello Hab. Durante ilviaggio avrò bisogno di respirare, mangiare ebere.

Per mia fortuna ho qui nel computer tutte lespecifiche tecniche per ogni cosa.

Dovrò truccare un rover. In pratica devotrasformarlo in uno Hab mobile. Ho deciso cheuserò Rover 2. Dopo averci passato due giornidurante il Grande Panico dell’Idrogeno di Sol 37,abbiamo stabilito un certo legame.

Troppa roba perché la si possa affrontare tuttaassieme. Dunque per adesso mi concentreròsull’energia.

La nostra missione aveva un raggio operativo didieci chilometri. Sapendo che non ci saremmomossi in linea retta, la NASA ha fatto in modo che irover abbiano un’autonomia di 35 chilometri.Presumendo un terreno non eccessivamenteaccidentato. Ogni rover ha una batteria da 9000wattora.

Il primo passo è saccheggiare Rover 1 einstallare la sua batteria su Rover 2. Una botta evia: ho raddoppiato in un colpo solo la miaautonomia.

C’è una sola complicazione. Il riscaldamento.

Parte della batteria serve per riscaldare il rover.Su Marte fa veramente freddo. Secondo ilprogramma avremmo dovuto completare tutte leEVA in meno di cinque ore. Io invece dovrò viverciper ventiquattro ore e mezzo al giorno. Secondo lespecifiche tecniche, il sistema di riscaldamentociuccia 400 watt. Mantenendolo in funzioneconsumerei 9800 watt al giorno. Più di metà dellamia scorta di energia, ogni singolo giorno!

Però ho una fonte di energia gratuita: me stesso.Un paio di milioni di anni di evoluzione mi hannomunito di una tecnologia “a sangue caldo”. Possodunque spegnere il riscaldamento e indossare piùindumenti. Il rover è anche ben isolato. Dovràbastare, perché ho bisogno di tutta l’energiadisponibile.

Secondo la mia noiosa aritmetica, perpercorrere un chilometro il rover consuma 200watt all’ora, perciò usando tutti i 18.000 watt soloper viaggiare (meno un quantitativo irrilevante percomputer, apparecchi di sostegno alla vita e altro)posso percorrere 90 chilometri. Adesso sì chefacciamo sul serio.

Non riuscirò a percorrere veramente 90chilometri con una singola carica. Dovròvedermela con colline e terreno irregolare, trattisabbiosi e che so io. Ma è un’approssimazioneconfortante. Mi dice che per arrivare ad Ares 4impiegherò come minimo 35 giorni. Sarebberoprobabilmente più di 50. Ma è almeno plausibile.

Alla vertiginosa velocità massima di 25chilometri orari del rover, esaurirò la batteria intre ore e mezzo. Posso viaggiare al crepuscolo eusare le ore soleggiate del giorno per ricaricare. Inquesta stagione ho a disposizione circa tredici oredi luce. Quanti moduli dovrò rubare dall’impiantoenergetico dello Hab?

Grazie ai generosi contribuenti americani, ho100 metri quadrati dei pannelli solari più costosimai realizzati. Hanno una stupefacente efficienzadel 10,2 percento, ed è un bene che sia così perchésu Marte non c’è la stessa luce solare di cuigodiamo sulla Terra. Da 500 a 700 watt soltantoper metro quadrato (in confronto con i 1400 dellaTerra).

In breve: ho bisogno di portar via 28 metriquadrati di celle fotovoltaiche. Sono 14 pannelli.

Posso caricarne due serie di sette sul tetto.Sporgeranno dai lati, ma se saranno ben assicurati,non avrò di che lamentarmi. Tutti i giorni, dopoche ho completato la tappa quotidiana, li poso e…aspetto. Sarà una gran rottura.

Comunque è un inizio. Missione per domani:trasferire la batteria di Rover 1 su Rover 2.

Giornale di bordo: Sol 64

Certe volte le cose sono facili e certe volte nonlo sono. Staccare la batteria da Rover 1 è statofacile. Ho sganciato i due morsetti fissati alla basedella batteria che è venuta via subito. Sempliceanche staccare i cavi, solo un paio di connettori unpo’ complicati.

Quanto a collegarla a Rover 2, invece, tutt’altrastoria. Non c’è un posto dove metterla!

È maledettamente enorme. Non so nemmenocome ho fatto a trascinarla da un veicolo all’altro.E bene che siamo in gravità marziana.

È semplicemente troppo ingombrante. Sulpianale non c’è posto per alloggiarne una seconda.Non c’è posto nemmeno sul tetto. Lì devonoandarci i pannelli solari. Non c’è posto neppurenella cabina, e comunque non passa attraverso lacamera d’equilibrio.

Calma, però, perché ho trovato una soluzione.Per casi di emergenza che non hanno nessuna

relazione con questo, la NASA mette a disposizionedella missione sei metri quadrati extra di tela daHab e una resina dall’efficacia veramenteimpressionante. Lo stesso tipo di resina, in verità,che mi ha salvato la vita a Sol 6 (il kit diriparazione che ho usato per lo strappo nella miatuta).

Nell’eventualità di una falla nello Hab, tuttidevono correre nelle camere d’equilibrio. Laprocedura prevede che si lasci che lo Hab sisquarci piuttosto che morire cercando diimpedirlo. Si indossa la tuta e si esamina l’entità

del danno. Trovata la falla, la si ripara con la teladi riserva e la resina. Poi si rigonfia lo Hab e tuttotorna come nuovo.

I sei metri quadrati di tela di riservacorrispondevano opportunamente a un rettangolodi un metro per sei. Ho tagliato strisce di diecicentimetri e le ho usate per confezionare unaspecie di imbracatura.

Con le strisce e la resina ho preparato due anellidi dieci metri di circonferenza. Poi ho applicatodei grossi pezzi di tela a entrambe le estremità.Così facendo ho ottenuto una coppia di rozzebisacce per il mio rover.

Questa faccenda somiglia ogni giorno di più aCarovane verso il West.

La resina fa presa quasi istantanea. Ma la tenutaaumenta se si aspetta un’ora. Così ho fatto io. Poiho indossato la tuta e sono uscito.

Ho trascinato la batteria di fianco al rover e ciho passato intorno uno dei due anelli. Poi holanciato l’altra bisaccia oltre il tetto. Dall’altraparte l’ho riempita di sassi. Quando i due pesi si

sono più o meno equivalsi, ho potuto tirare giù isassi e far salire la batteria.

Vai!Ho staccato la batteria di Rover 2 e l’ho

collegata a Rover 1. Poi sono salito a bordoattraverso la camera d’equilibrio e ho controllatotutti i sistemi. Tutto a posto.

Allora ho fatto qualche giretto nei paraggi perassicurarmi che l’imbracatura tenesse. Ho trovatoqualche roccia abbastanza grossa su cui montaregiusto per dare uno scossone al veicolo. Labatteria non è cascata. Fantastico.

Per un po’ mi sono lambiccato su comecollegare direttamente anche la seconda batteria.La mia conclusione è stata: “Fanculo”.

Non ho bisogno di avere un rifornimentocostante di energia. Quando la batteria 1 siscarica, posso uscire, staccare la batteria 1 eattaccare la batteria 2. Perché no? È un’EVA di unadecina di minuti, una sola volta al giorno. Dovròscambiare di nuovo le batterie quando le stocaricando, ma anche questa volta, dove sta ilproblema?

Ho passato il resto della giornata a ripulire ipannelli solari dello Hab. Presto li saccheggerò.

Giornale di bordo: Sol 65

Con i pannelli solari è stato tutto molto piùsemplice che con la batteria.

Sono sottili, leggeri e semplicemente posati alsuolo. E godo di un vantaggio ulteriore: sono statoio a collocarli lì.

Va bene, d’accordo, non ero solo. Abbiamolavorato insieme, io e Vogel. E, ragazzi, se non cihanno fatto una testa così per questa operazione.Solo per i pannelli solari ci siamo sorbiti quasiun’intera settimana di esercitazioni. E poi altreancora tutte le volte che secondo loro avevamo unpo’ di tempo libero. Per la missione i pannellisono un elemento fondamentale. Se avessimo rottole celle o le avessimo rese inservibili, lo Hab nonavrebbe potuto produrre energia e la missionesarebbe fallita.

Vi chiederete che cosa stessero facendo gli altrimentre noi assemblavamo i pannelli. Gli altriallestivano lo Hab. Non dimentichiamoci che tuttoquello che costituisce il mio regno glorioso èarrivato quassù dentro delle casse. Abbiamodovuto erigere il campo a Sol 1 e 2.

Ogni singolo pannello è sostenuto da unaleggerissima grata a un angolo di 14 gradi.Ammetto di non sapere il perché dei 14 gradi.Qualcosa a che vedere con l’ottimizzazionedell’energia solare. In ogni caso, rimuovere ipannelli è stato semplice e lo Hab non ne sentirà lamancanza. Dovendo occuparsi dellasopravvivenza di un solo essere umano invece disei, una diminuzione del 14 percento nellaproduzione di energia è irrilevante.

Poi si è trattato di caricarli sul rover.Ho pensato di eliminare il contenitore per i

campioni di roccia. Non è altro che un grandesacco di tela agganciato al tetto. Troppo piccoloper contenere i pannelli solari. Ma dopo averriflettuto bene, ho deciso di lasciarlo dov’èpensando che possa fare da ottimo ammortizzatore.

I pannelli si impilano molto bene (sono costruitiperché così sia, per facilitare il trasporto suMarte), e non ho avuto la minima difficoltà asistemare le due cataste sul tetto. Sporgono adestra e a sinistra, ma siccome non devo passare innessun tunnel, non m’importa.

Abusando di altro materiale di emergenza adisposizione dello Hab, ho legato i pannelli condelle cinghie di fortuna. Vicino alle due estremità,il rover ha delle maniglie esterne. Servono peraiutarci a caricare rocce sul tetto. E a me sonoservite da perfetti ancoraggi per le mie cinghie.

Mi sono tirato indietro e ho ammirato il miolavoro. Diamine, mi meritavo di sentirmisoddisfatto. Non era mezzogiorno e avevo finito.

Sono tornato allo Hab, ho mangiato qualcosa eper il resto del sol mi sono occupato della miapiantagione. Sono passati 39 sol da quando hopiantato le patate (corrispondenti a 40 giorniterrestri) ed era venuto il momento di mietere eriseminare.

Crescevano anche meglio di come mi fossiaspettato. Su Marte non ci sono insetti, parassiti o

malattie da fronteggiare e lo Hab mantienecostantemente una temperatura e un’umiditàperfette per lo sviluppo vegetale.

Sono piccole in confronto a quelle chemangiamo di solito, ma va bene così. A me bastaaverne quanto mi serve per far crescere piantenuove.

Le ho estratte stando attento a mantenere in vitale piante. Poi le ho tagliate in pezzettini inciascuno dei quali ci fosse almeno un occhio e leho ripiantate in della terra nuova. Se continuano acrescere così bene, potrò resistere per molto,molto tempo quassù.

Dopo tanta fatica fisica, mi sono meritato unapausa. Oggi ho frugato nel computer di Johanssen eho trovato una scorta infinita di libri digitali.Sembra che sia una grande fan di Agatha Christie. IBeatles, Agatha Christie… dev’essere un’anglofilao giù di lì.

Ricordo che da ragazzino mi piaceva un saccoguardare in TV i gialli di Hercule Poirot.Comincerò da Poirot a Styles Court. Sembra chesia il primo.

Giornale di bordo: Sol 66

È arrivato il momento (crescendo musicale daitoni sinistri) per qualche missione!

La NASA battezza le sue missioni con nomi didivinità e cose varie, dunque perché io no? Diconseguenza, le missioni sperimentali del roversaranno missioni “Sirius”. Ci arrivate? Cani, no?Be’, se non vi suona nessun campanello, fanculo.

Sirius 1 è fissata per domani.La missione: partire con pannelli solari e

batterie a pieno carico, viaggiare finché restosenza energia e vedere di quanto mi sonoallontanato.

Non farò l’idiota. Non andrò in linea retta dalloHab verso l’ignoto. Andrò avanti e indietro pertratti di mezzo chilometro. Sarò sempre a unabreve distanza a piedi da casa.

Questa sera caricherò le due batterie per esserepronto per una gitarella d’assaggio domani.Calcolo tre ore e mezzo di guida, perciò avrò

bisogno di portarmi filtri nuovi per l’anidridecarbonica. E con il riscaldamento spento,indosserò tre strati di indumenti.

Giornale di bordo: Sol 67

Sirius 1 completata!Più precisamente, Sirius 1 è stata abortita dopo

un’ora. Immagino che la si possa definire un“fallimento”, ma io preferisco l’espressione“esperienza di apprendimento”.

Tutto è cominciato per il meglio. Mi sonoportato in una bella zona pianeggiante a unchilometro dallo Hab e lì ho cominciato ad andareavanti e indietro per tratti di 500 metri.

Mi sono reso conto quasi subito che come testsarebbe stato una schifezza. Dopo qualcheandirivieni, avevo compresso il suolo abbastanzada avere un fondo solido. Un bel terreno compattoche garantisce un’efficienza nel consumoenergetico fuori dalla norma. Niente di simile a

quello che avrei trovato in un viaggio a lungadistanza.

Così ho cambiato l’impostazione. Mi sonomesso a guidare su traiettorie diverse, sempreall’interno di un chilometro dallo Hab. Un testmolto più realistico.

Dopo un’ora ho cominciato a sentire freddo. Equando dico freddo, dico freddo vero.

Nel rover fa sempre freddo quando ci entri. Senon hai disattivato il riscaldamento, la temperaturadiventa subito confortevole. Mi aspettavo chefacesse freddo, ma santa miseria!

Per un po’ me la sono cavata. Il calore del miocorpo e i tre strati di indumenti mi hanno aiutato el’isolamento del rover è di qualità eccelsa. Ilcalore uscito dal mio corpo ne scaldava la cabina.Ma un isolamento perfetto è un concetto puramenteteorico e alla lunga il calore se ne è uscito nellegrandi distese marziane mentre il mio corpo hacominciato a raffreddarsi sempre di più.

Nel giro di un’ora battevo i denti ed erodiventato insensibile. Quanto bastava perché

desistessi. Impossibile intraprendere un lungoviaggio in condizioni simili.

Ho acceso il riscaldamento e sono tornato drittoallo Hab.

Rientrato a casa per un po’ mi sono covato ilmio broncio. Tutti i miei piani così brillantimandati in fumo dalla termodinamica. Maledettaentropia!

Sono bloccato. Il dannato riscaldamento sidivorerà ogni giorno metà dell’energia prodottadalle batterie. Potrei abbassarlo, immagino. Stareal freddino senza congelare a morte. Anche così nefarei fuori almeno un quarto.

Bisogna che ci pensi su. Devo chiedere a mestesso: “Cosa farebbe Hercule Poirot?”. È unproblema su cui devo mettere al lavoro le mie“piccole cellule grigie”.

Giornale di bordo: Sol 68

Fanculo.

Ho trovato una soluzione, ma… ricordatequando ho bruciato propellente per razzi nelloHab? Questo è più pericoloso.

Userò l’RTG.L’RTG (generatore termoelettrico a radioisotopi)

è uno scatolone di plutonio. Ma non del genere chesi usa per le bombe nucleari. No, no. questoplutonio è molto più pericoloso!

Il plutonio-238 è un isotopo incredibilmenteinstabile. È così radioattivo che diventa roventeper conto proprio. Come potete intuire, unmateriale che può letteralmente friggere un uovocon le sue radiazioni è da prendere con le pinze.

L’RTG ospita il plutonio, ne cattura le radiazioniin forma di calore e trasforma il calore inelettricità. Non è un reattore. Le radiazioni nonpossono essere incrementate o diminuite. È unprocesso puramente naturale che si verifica alivello atomico.

Già negli anni Sessanta la NASA ha cominciato ausare gli RTG per alimentare sonde robotiche.Rispetto all’energia solare presentano moltivantaggi. Non sono influenzati dalle tempeste;

lavorano giorno e notte; il processo avviene alchiuso, così non c’è bisogno di rivestire la tuasonda di delicate celle fotovoltaiche.

Ma non hanno mai usato RTG di grandidimensioni in missioni con equipaggio primadell’esistenza del Programma Ares.

Perché? Dovrebbe essere più che ovvio perché!Non volevano che gli astronauti si trovasserogomito a gomito con una incandescente palla dimorte radioattiva!

Sto esagerando un po’. Il plutonio è immerso inun letto di pastiglie sigillate e isolate in manierada pregiudicare eventuali fuoriuscite di radiazionianche nel caso che si crepasse il contenitoreesterno. Così per il Programma Ares, si decise dicorrere il rischio.

Una missione Ares ruota tutta intorno al MAV. Èil componente più importante. È uno dei pochisistemi che non può essere sostituito o modificato.È l’unico elemento che, in caso dimalfunzionamento, provoca la rinuncia totale allamissione.

I pannelli solari vanno benissimo a brevetermine e vanno bene a lungo termine se ci sonodegli esseri umani che possano tenerli puliti. IlMAV però se ne sta buono buono per anni aprodurre propellente e, quando ha finito, aspettatranquillo l’arrivo del suo equipaggio. Ma anchequando non fa niente, ha bisogno di energia, perchéla NASA possa monitorarlo da lontano e farglieseguire delle autodiagnosi.

La prospettiva di annullare una missione perchéun pannello solare si è sporcato era inaccettabile.Avevano bisogno di una fonte di energia piùaffidabile. Così il MAV è stato munito di un RTG.Contiene 2,6 chilogrammi di plutonio-238, per untotale di 1500 watt di calore. Trasformabili in 100watt di elettricità. Il MAV si alimenta con questaenergia fino all’arrivo dell’equipaggio.

100 watt non bastano a mantenere in funzione ilriscaldamento, ma a me non interessa il consumodi energia elettrica. A me interessa il calore. Unsistema di riscaldamento da 1500 watt è cosìpotente che mi costringerebbe a strappare via

l’isolante dal rover per impedire che sisurriscaldi.

Appena disimballati e attivati i rover, lacomandante Lewis ha espletato la piacevoleincombenza di sbarazzarsi dell’RTG. Lo ha staccatodal MAV, lo ha portato lontano quattro chilometrida noi e lo ha seppellito. Per quanto si siaprovveduto a ridurne la pericolosità, è pur sempreun nocciolo radioattivo e la NASA non voleva chefosse troppo vicino agli astronauti.

Nelle istruzioni per la missione non eraspecificato dove mollare l’RTG. Si diceva solo “adalmeno quattro chilometri di distanza”. Dunque staa me trovarlo.

Ci sono due fattori a mio vantaggio. Per primacosa quando Lewis è partita per la sua corvée iostavo assemblando i pannelli solari con Vogel e hovisto che si dirigeva a sud. In secondo luogo, incorrispondenza del punto dove lo ha sepolto, hapiantato un paletto di tre metri con una bellabandierina verde. Sullo sfondo del panoramamarziano il verde spicca come meglio nonpotrebbe. Serviva per avvertirci di tenerci a

distanza nel caso che in seguito ci fossimo persidurante un’EVA su un rover.

Dunque il mio piano è il seguente: procedere asud per quattro chilometri e mettermi a cercare unabandiera verde.

Avendo reso inservibile Rover 1, per la mia gitadovrò usare il rover mutante. Mi servirà da utilecollaudo. Potrò constatare fino a che punto la miadoppia bisaccia per la batteria regge a un viaggiovero e proprio e come se la cavano i pannellisolari fissati sul tetto.

Chiamerò questa missione Sirius 2.

Giornale di bordo: Sol 69

Quassù su Marte non sono un outsider. Ci sonoda un bel po’. Ma prima d’oggi non mi era maisuccesso di non trovarmi in vista dello Hab.Verrebbe da pensare che non faccia una grandedifferenza, ma non è così.

Mentre procedevo verso il luogo di sepolturadell’RTG, ho preso atto all’improvviso dellasituazione: Marte è una landa desolata e qui iosono completamente solo. Già lo sapevo, certo.Ma c’è differenza tra saperlo e sperimentarloeffettivamente. Intorno a me non c’erano altro chepolvere, sassi e uno sconfinato deserto vuoto intutte le direzioni. Il famoso colore rosso delpianeta è dovuto all’ossido di ferro che ricopreogni cosa. Dunque non è solo un deserto. È undeserto così vecchio che sta letteralmentearrugginendo.

Lo Hab è l’unica traccia di civiltà che ho adisposizione e vederlo sparire mi ha messo moltopiù a disagio di quanto mi piaccia confessare.

Mi sono lasciato alle spalle questi pensiericoncentrandomi su quello che avevo davanti a me.Ho trovato l’RTG precisamente dove dovevaessere, quattro chilometri a sud dello Hab.

Non è stato difficile. La comandante Lewis lo haseppellito in cima a una collinetta. Probabilmentevoleva essere sicura che tutti vedessero labandiera e ha funzionato alla perfezione! Solo che

invece di evitarlo, io mi ci sono fiondato sopra el’ho disseppellito. Cosa che non corrispondemolto alle sue intenzioni.

È un grosso cilindro tutto costellato didissipatori di calore. Percepivo il calore cheemanava persino attraverso i guanti della tuta.Davvero sconcertante. Specialmente quando si sache l’origine del calore sono radiazioni.

Inutile caricarlo sul tetto, visto che avevocomunque in programma di tenerlo in cabina. Cosìl’ho portato dentro con me, ho spento ilriscaldamento e ho ripreso la via di casa.

Nei dieci minuti che mi ci sono voluti pertornare allo Hab, anche con il riscaldamentospento l’interno del rover ha toccato la scomodatemperatura di 37 °C. Non c’è dubbio che l’RTG miavrebbe tenuto al caldo.

La gita mi ha anche dimostrato che la miaimbracatura funziona. Otto chilometri di terrenosconnesso e i pannelli solari e la batteria se nesono rimasti buoni buoni al loro posto.

Dichiaro che Sirius 2 è stata una missioneriuscita!

Ho passato il resto della giornata a vandalizzarel’interno del rover. Il compartimento pressurizzatoè fatto di fibra di carbonio. All’interno c’è unostrato isolante coperto di plastica rigida. Perrimuovere la plastica ho usato un metodosofisticato (martello), dopodiché ho tolto ipannelli di schiuma compressa dell’isolamento(ancora martello).

Eliminato l’isolamento, ho indossato la tuta e hoportato fuori l’RTG. Ho aspettato che il rover siraffreddasse e l’ho riportato dentro. Ho guardatola temperatura salire piano piano. Molto piùlentamente che durante il tragitto di ritorno dallatomba dell’RTG.

Ho eliminato con una certa cautela altromateriale di isolamento (martello) e ho controllatodi nuovo. Dopo altri cicli analoghi, ho raggiunto ilpunto in cui l’RTG ha cominciato a stentare amantenere la temperatura all’interno della cabina.Diciamo anzi che la sua è diventata una battagliapersa. Con il passare del tempo, la temperaturasarebbe lentamente scesa sotto un limiteaccettabile. Niente di male. Vuol dire che quando

sarà necessario, darò qualche colpetto diriscaldamento.

Ho portato i pezzi di isolamento che ho toltonello Hab. Usando tecniche di costruzioneall’avanguardia (nastro adesivo), li ho rimessiassieme in un rettangolo. Ho pensato che se sifosse messo a fare veramente troppo freddo, avreipotuto fissarlo a una delle paratie denudate delrover e aiutare quindi l’RTG a vincere la sua“battaglia per il caldo”.

Domani sarà Sirius 3 (che è semplicemente unaripetizione di Sirius 1, ma senza congelamento).

Giornale di bordo: Sol 70

Oggi vi scrivo dal rover. Sono a metà di Sirius3 e tutto procede bene.

Sono partito alle prime luci e ho giratoripetutamente intorno allo Hab cercando dimantenermi su terreno ancora intatto. La primabatteria è durata poco meno di due ore. Dopo una

rapida EVA per girare i cavi, sono ripartito. Allaresa dei conti, ho percorso 81 chilometri in 3 ore e27 minuti.

Questo è un risultato magnifico! Intendiamoci, ilterreno intorno allo Hab è piatto davvero, come intutta Acidalia Planitia. Non ho idea di quanto sareiefficiente sul percorso a ostacoli alla volta di Ares4.

La seconda batteria non si è esaurita del tutto,ma non posso consumare la sua energia fino infondo prima di fermarmi: non dimentichiamo cheho sempre bisogno di sostenere le mie funzionivitali mentre ricarico. Il CO2 viene assorbitotramite un processo chimico, ma se la ventola chelo spinge smette di funzionare, soffoco. Altrettantoimportante è la pompa dell’ossigeno.

Dopo la gita, ho montato i pannelli solari. Èstato un lavoro duro. L’ultima volta c’era Vogel adaiutarmi. Non sono pesanti, ma sono scomodi damaneggiare. Dopo averne piazzati una metà, hopensato che avrei potuto trascinarli invece chetrasportarli e così facendo ho accelerato lamanovra.

Ora sto solo aspettando che si ricarichino lebatterie. Mi annoio, così intanto aggiorno il diario.Ho nel mio computer tutti i libri di Poirot. Sarannod’aiuto. Del resto per una ricarica ci vogliono bendodici ore.

Come, direte voi? Dodici ore sarebbero unosbaglio? Prima avevo detto tredici ore? Be’, amicimiei, chiariamo la situazione.

L’RTG è un generatore. È un quantitativo dienergia misero a confronto con quel che consumail rover, ma non è da buttar via. Sono 100 watt.Riduce di un’ora il tempo che mi serve per unaricarica completa. Perché non usarlo?

Chissà cosa penserebbe la NASA se sapesse chemi balocco in questo modo con l’RTG. Immaginoche si nasconderebbero sotto le loro scrivaniestretti ai loro regoli calcolatori.

Giornale di bordo: Sol 71

Come previsto, mi ci sono volute dodici ore perricaricare completamente le batterie. Appena finitosono corso a casa.

È ora di pianificare Sirius 4. E credo che saràun’escursione che durerà più di un giorno.

Sembra che abbia risolto il problemadell’energia e della ricarica delle batterie. Il cibonon è un problema, ho lo spazio necessario per leprovviste che mi servono. L’acqua è ancora menoproblematica dei viveri. Mi bastano due litri algiorno.

Quando partirò davvero per Ares 4, dovròportare con me l’ossigenatore. Ma è ingombrante enon voglio mettermici adesso. Così per Sirius 4 miaccontenterò dei filtri per l’O2 e il CO2.

Il CO2 non è un problema. Ho iniziato questagrande avventura con 1500 ore di filtri da CO2,più altri 720 per le emergenze. Tutti i sistemiusano filtri standard (Apollo 13 è stato una lezioneimportante). Da allora ho usato 131 ore di filtroper le mie varie EVA. Me ne restano 2089. Ilfabbisogno di 87 giorni. Ne ho quanti ne voglio.

Con l’ossigeno non sono messo altrettanto bene.Il rover è progettato perché vi ci vivano trepersone per due giorni, con un piccolosupplemento di sicurezza. Perciò i suoi serbatoi diO2 possono farmi sopravvivere per sette giorni.Non basta.

Su Marte non c’è praticamente pressioneatmosferica. All’interno del rover ce n’è perun’atmosfera. Perciò i serbatoi di ossigeno sonoall’interno (per approfittare di un minordifferenziale di pressione). Perché è importante?Perché vuol dire che posso portare con me altriserbatoi di ossigeno mantenendoli alla stessapressione di quelli di bordo senza dover fareun’EVA.

Così oggi ho prelevato uno dei due serbatoi diossigeno liquido dello Hab e l’ho trasferito sulrover. Secondo la NASA, per un giorno di vita unessere umano ha bisogno di 588 litri di ossigeno.A una pressione normale l’O2 liquido è circa 1000volte più denso dell’O2 allo stato gassoso. Perfarla breve: con il serbatoio dello Hab ho

abbastanza ossigeno per 49 giorni. Più chesufficienti.

Sirius 4 sarà un viaggio di 21 giorni.Forse sembrerà un po’ lungo, ma ho in mente un

obiettivo preciso. E comunque per arrivare adAres 4 mi ci vorranno almeno 40 giorni. Comemodello in scala mi sembra che possa andare.

Mentre io sono via, lo Hab potrà badare a sestesso, ma per le patate la faccenda è diversa.Saturerò il terreno con quasi tutta l’acqua che ho.Poi disattiverò il regolatore atmosferico perchénon estragga altra acqua dall’aria. Si formeràun’umidità micidiale e l’acqua si condenserà sututte le superfici. In questo modo assicurerò allepatate un’irrigazione costante durante tutta la miaassenza.

Il CO2 è un problema più complesso. Le patatehanno bisogno di respirare. So cosa statepensando. «Mark, vecchio mio! Tu producianidride carbonica! Fa tutto parte del maestosociclo della natura!».

Il problema è: dove lo metto? È chiaro cheespello CO2 a ogni respiro, ma non ho doveimmagazzinarlo. Potrei spegnere l’ossigenatore eil regolatore atmosferico e con il tempo riempirelo Hab del mio alito. Ma il CO2 per me è mortale.Avrei bisogno di spararne fuori un quantitativo inuna volta sola e scappare.

Ricordate il generatore di propellente del MAV?Raccoglie CO2 dall’atmosfera marziana. Allorapotrei risolvere il problema pompando dentro loHab il contenuto di un serbatoio da dieci litri diCO2 liquido. Mi ci vorrà meno di un giorno.

Dunque la lista è stata spuntata fino in fondo.Dopo che avrò immesso CO2 nello Hab, spegneròil regolatore atmosferico e l’ossigenatore, verseròuna tonnellata di acqua sulla mia piantagione epotrò andarmene.

Sirius 4. Un imponente passo in avanti nella miaricerca. E potrò cominciare domani.

8

«Salve e grazie di essere qui», disse CathyWarner alla telecamera. «Oggi sul Mark WatneyReport della CNN: ripetute EVA negli ultimigiorni… cosa significa? Che progressi ha fatto laNASA nell’organizzazione di un’operazione disoccorso? E in che modo questo influenzerà ipreparativi di Ares 4?».

«Oggi c’è qui con noi il dottor Venkat Kapoor,direttore delle operazioni marziane per conto dellaNASA. Dottor Kapoor, grazie di essere venuto».

«Trovarmi qui è un piacere, Cathy», risposeVenkat.

«Dottor Kapoor», disse Cathy, «Mark Watney èl’uomo più osservato in tutto il sistema solare,direi, non le pare?».

Venkat annuì. «Sicuramente il più osservatodalla NASA. Tutti e dodici i nostri satelliti marzianiscattano foto ogni volta che sono in corrispondenza

della sua base. L’Agenzia spaziale europea stafacendo lo stesso con i suoi due».

«E nell’insieme a che intervalli ottenete questeimmagini?»

«Ogni pochi minuti. Alle volte c’è un intervallopiù lungo dovuto al tipo di orbita percorsa dalsatellite. Ma è un monitoraggio abbastanzacostante perché si possano ricostruire tutte le sueEVA».

«Ci parli di queste ultime EVA».«Dunque», cominciò Venkat, «sembra che stia

preparando Rover 2 per un’escursione prolungata.A Sol 64, ha tolto la batteria dall’altro rover e l’hacaricata a Rover 2 con un’imbracatura che si ècostruito da sé. Il giorno dopo ha rimossoquattordici pannelli solari e li ha caricati sul tettodel rover».

«Poi ha fatto un giretto, giusto?», lo imboccòCathy.

«Sì. È andato più o meno a zonzo per un’oraprima di tornare allo Hab. Credo che stessetestando il rover. Quando l’abbiamo visto la voltasuccessiva, due giorni dopo, si è allontanato per

quattro chilometri ed è rientrato. Un altro testincrementale, secondo noi. Poi, in questi ultimigiorni, ha caricato il rover di provviste».

«Senta, dottore», disse Cathy, «tra gli analistiprevale la teoria secondo cui l’unica speranza cheha Mark di essere soccorso è raggiungendo la basedi Ares 4. Lei pensa che sia giunto alla medesimaconclusione?»

«Probabile», rispose Venkat. «Non sa che lostiamo osservando. Dal suo punto di vista, Ares 4rappresenta la sua unica speranza».

«Pensa che si stia preparando ad andarci? Agiudicare dalle sue attività, così sembrerebbe».

«Io spero di no», ribatté Venkat. «Alla base diAres 4 c’è solo il MAV. Nessun’altra attrezzatura oprovvista. Il viaggio sarebbe molto lungo e moltopericoloso e dovrebbe abbandonare la relativasicurezza che gli offre lo Hab».

«Perché dovrebbe correre questo rischio?»«Comunicazioni», rispose Venkat. «Una volta

raggiunto il MAV, potrebbe contattarci».«Dunque sarebbe una buona cosa, no?»

«Poter comunicare sarebbe un’ottima cosa. Maattraversare 3200 chilometri di superficiemarziana per raggiungere Ares 4 è un’impresaincredibilmente pericolosa. Preferiremmo chestesse dov’è. Se potessimo parlargli, è certamentecosì che gli diremmo».

«Ma non può restarsene buono lì per sempre,no? Prima o poi dovrà arrivare a quel MAV».

«Non necessariamente», obiettò Venkat. «Il JPLsta sperimentando modifiche all’MDV perché dopoessere atterrato possa fare un breve trasferimentosorvolando la superficie marziana».

«Avevo sentito che questa ipotesi era stataabbandonata perché ritenuta troppo pericolosa»,osservò Cathy.

«Nella prima proposta, sì. In seguito sono stateelaborate strategie più sicure».

«A soli tre anni e mezzo dal lancio dell’Ares 4,c’è abbastanza tempo per apportare modificheall’MDV e collaudarle?»

«Non posso darle una risposta definitiva.Ricordi però che abbiamo predisposto una discesasulla Luna da zero in soli sette anni».

«Un precedente confortante». Cathy sorrise.«Dunque a questo punto quante probabilità ha?»

«Non ne ho idea», rispose Venkat. «Ma faremotutto ciò che è nelle nostre possibilità perriportarlo a casa vivo».

Mindy si guardò intorno con palpabilenervosismo. Non si era mai sentita così infima invita sua. Alla sua sinistra sedeva il dottor VenkatKapoor, che era quattro gradini più in alto di leinella gerarchia dirigenziale.

Accanto a lui c’era Bruce Ng, il direttore delJPL. Per quella riunione aveva lasciato Pasadenaper essere fisicamente presente a Houston. Maidisposto a sprecare tempo prezioso, digitavafuriosamente sul suo laptop. A guardare le sueocchiaie c’era da spaventarsi a cercare diimmaginare quante ore di straordinario dedicasseal lavoro.

Mitch Henderson, il direttore di volo di Ares 3,continuava a girarsi da una parte e dall’altra nellasua poltrona con un auricolare wireless infilatonell’orecchio. Gli arrivava il flusso di tutte le

comunicazioni in tempo reale da Mission Control.Non era di turno, ma si teneva sempre aggiornato.

Entrò Annie Montrose che s’inoltrò in salariunioni continuando a scrivere un testo sul suosmartphone. Senza mai staccare gli occhi daldisplay, evitò con destrezza persone e poltrone eandò a sedersi al solito posto. Guardando ladirettrice alle pubbliche relazioni Mindy provòuna fitta di invidia. Annie era tutto ciò che Mindydesiderava essere: sicura di sé, con una carica diprestigio, bella e universalmente rispettata in tuttala NASA.

«Come me la sono cavata oggi?», domandòVenkat.

«Iiih», rispose Annie riponendo lo smartphone.«Non dovresti dire cose come “riportarlo a casavivo”. Ricorda alla gente che potrebbe morire».

«Credi che lo dimenticherebbero?»«Hai voluto la mia opinione. Non ti piace?

Mettitela in quel posto».«Che fiorellino delicato che sei, Annie. Com’è

che sei finita a dirigere le pubbliche relazioni perla NASA?»

«Sa il cazzo», rispose lei.«Ragazzi», intervenne Bruce, «fra tre ore devo

prendere un aereo per LA. Sappiamo se Teddyviene o no?»

«Smettila di rompere, Bruce», lo stigmatizzòAnnie. «Nessuno di noi è felice di essere qui».

Mitch abbassò il volume dell’auricolare e sirivolse a Mindy. «Lei chi sarebbe, di nuovo?»

«Ehm», disse Mindy, «sono Mindy Park. Lavoroa SatCon».

«È un direttore o che so io?»«No, lavoro solo al SatCon. Non sono nessuno».«Le ho assegnato l’incarico di rintracciare

Watney», spiegò Venkat a Mitch. «È lei che ciprocura le immagini».

«Ah», fece Mitch. «Non il direttore di SatCon?»«Bob ha altro da fare oltre a Marte. Mindy è la

persona che manovra tutti i satelliti marziani e litiene puntati su Mark».

«Perché Mindy?», volle sapere Mitch.«È stata lei ad accorgersi che era vivo».«Ottiene una promozione perché era seduta al

posto giusto quando è arrivata l’immagine giusta?»

«No», rispose Venkat accigliandosi. «Ottieneuna promozione perché ha intuito che dovevaessere vivo. Smettila di baccagliare, Mitch. La staimettendo a disagio».

Mitch sollevò le sopracciglia. «Non intendevo.Chiedo scusa, Mindy».

Con gli occhi abbassati sul tavolo, Mindy riuscìa balbettare un: «…kay».

Entrò Teddy. «Scusate il ritardo». Si sedette edestrasse delle cartellette dalla borsa. Le impilòcon cura, aprì la prima e allineò i fogli checonteneva. «Cominciamo. Venkat, come va conWatney?»

«Vivo e in buona salute», rispose Venkat.«Nessun cambiamento rispetto alla e-mail che ti hospedito oggi».

«Come siamo messi con l’RTG? Il pubblico lo sagià?», chiese Teddy.

«Finora tutto bene», gli rispose Annie. «Leimmagini sono di dominio pubblico, ma nonabbiamo l’obbligo di riferire loro quali sono lenostre analisi. Nessuno ci è ancora arrivato».

«Perché lo ha ripescato?»

«Perché ha bisogno di calore, credo», risposeVenkat. «Vuole che il rover faccia viaggi lunghi.Per mantenere una temperatura accettabile usamolta energia. L’RTG può riscaldarne la cabinasenza consumare la batteria. Per la verità è unabuona idea».

«Fino a che punto pericolosa?», volle sapereTeddy.

«Finché il contenitore è intatto, non c’è nessunpericolo. Anche se si dovesse crepare, non correràrischi se le bilie che contiene non si deteriorano.Ma se si spezzassero anche le bilie, non avrebbescampo».

«Allora speriamo che non succeda», disseTeddy. «JPL, come stiamo andando con i lavorisull’MDV?»

«Avevamo già un progetto tempo fa», risposeBruce. «Lo avete rifiutato».

«Bruce», lo ammonì Teddy.Bruce sospirò. «L’MDV non è stato progettato

perché possa ripartire o compiere voli laterali.Aumentare il quantitativo di propellente non serve.Avremmo bisogno di un motore più potente e non

abbiamo tempo per inventarne uno. Dunque l’unicaè alleggerire l’MDV. Per questo abbiamo un’idea».

«L’MDV potrebbe scendere in superficie con ilsuo peso normale. Se facciamo in modo che loscudo termico e lo strato esterno dello scafo sipossano staccare, dopo l’atterraggio ad Ares 3potrebbero eliminare gran parte del peso e avere adisposizione un veicolo più leggero per latraversata fino ad Ares 4. Stiamo facendo i calcoliin questo momento».

«Tenetemi informato», si raccomandò Teddy.Poi si rivolse a Mindy. «Signorina Park, benvenutanelle alte sfere».

«Signore», rispose Mindy. Cercò di tenere abada il groppo che aveva in gola.

«Di che entità è il buco più grande che abbiamoattualmente nell’osservazione di Watney?»

«Ehm», fece Mindy. «Ogni ventiquattr’oreabbiamo un intervallo di diciassette minuti.Dovuto alle traiettorie orbitali».

«Mi ha dato una risposta immediata», notòTeddy. «Bene. Mi piacciono le personeorganizzate».

«Grazie, signore».«Voglio che il buco scenda a quattro minuti»,

disse Teddy. «Le do autorità totale sulle traiettoriedei satelliti e sugli aggiustamenti orbitali. Lofaccia succedere».

«Sì, signore», disse Mindy senza avere laminima idea su come accontentarlo.

Teddy lanciò uno sguardo a Mitch. «Mitch, nellatua e-mail mi hai detto che c’era qualcosa diurgente».

«Infatti», confermò Mitch. «Per quanto tempoterremo all’oscuro l’equipaggio di Ares 3? Lorosono tutti convinti che Watney sia morto. Ed è unautentico salasso del loro morale».

Teddy guardò Venkat.«Mitch», disse Venkat, «abbiamo discusso di

questo…».«No, voi ne avete discusso», lo interruppe

Mitch. «Loro credono di aver perso un compagno.Sono angosciati».

«E quando scopriranno di aver abbandonato uncompagno?», lo apostrofò Venkat. «Secondo te sisentiranno meglio?».

Mitch si mise a battere un dito sul tavolo.«Hanno il diritto di sapere. Credi che lacomandante Lewis non sappia gestire la verità?»

«È una questione di morale», insisté Venkat.«Devono concentrarsi sul viaggio di ritorno acasa…».

«La faccio io la chiamata», tagliò corto Mitch.«Sono io che devo decidere che cosa è meglio perl’equipaggio. E io dico che adesso li informiamodi come stanno le cose».

Dopo un momento di silenzio tutti gli occhi sifermarono su Teddy.

«Mi spiace, Mitch», disse Teddy dopo unmomento di riflessione. «Su questo concordo conVenkat. Ma appena avremo un piano di recupero,potremo informare Hermes. È necessario che cisia una speranza, altrimenti non ha sensoavvertirli».

«Stronzate», ringhiò Mitch incrociando lebraccia. «Tutte stronzate».

«So che non ti piace», ribatté con calma Teddy.«Ma sistemeremo tutto. Solo che prima dobbiamo

avere un’idea praticabile su come salvareWatney».

Teddy lasciò trascorrere qualche secondo disilenzio prima di proseguire.

«Va bene, il JPL è sull’opzione di salvataggio»,concluse indirizzando un cenno del capo a Bruce.«Ma rientrerebbe nella missione di Ares 4. Comefa a restare vivo fino ad allora? Venkat?».

Venkat aprì una cartelletta e diede una scorsa aidocumenti che conteneva. «Ho fatto controllare ericontrollare da ogni squadra la longevità dei lorosistemi. Siamo più che sicuri che lo Hab puòcontinuare a funzionare per quattro anni.Specialmente con la presenza di un umano cherisolva i problemi via via che emergono. Non c’èperò modo di aggirare l’ostacolo del cibo. Tra unanno comincerà a patire la fame. Dobbiamoassolutamente inviargli delle provviste. Moltosemplice».

«Uno dei prerifornimenti per Ares 4?», azzardòTeddy. «Facendolo atterrare invece alla base diAres 3».

«È quello che stiamo pensando, sì», confermòVenkat. «Il problema è che avevamo programmatodi lanciare le forniture tra un anno. Non sonoancora pronte».

«Nella migliore delle ipotesi, per far arrivareuna sonda su Marte ci vogliono otto mesi. Laposizione in cui si trovano attualmente Terra eMarte… non è delle più favorevoli. Calcoliamo dipoterci arrivare in nove mesi. Presumendo che stiarazionando i suoi viveri, ne ha pertrecentocinquanta giorni. Questo significa chedobbiamo aver pronta la spedizione in tre mesi. Eil JPL non ha ancora cominciato».

«Siamo parecchio alle strette», commentòBruce. «Un prerifornimento si organizza in seimesi. Noi siamo attrezzati per predisporne unaserie in contemporanea, non per allestirne una infretta e furia».

«Spiacente, Bruce», ribatté Teddy. «So chechiediamo molto, ma devi trovare un modo».

«Troveremo un modo», dichiarò Bruce. «Masolo le spese di straordinari saranno da incubo».

«Tu comincia. Io ti trovo i soldi».

«C’è anche il problema della spinta iniziale»,riprese Venkat. «L’unico modo per far arrivare suMarte una sonda con i pianeti nelle loro posizioniattuali è consumando una montagna di propellente.Abbiamo un solo booster capace di una spintasufficiente, il Delta IX che è in questo momentosulla rampa pronto per l’EagleEye 3, la sonda perSaturno. Dovremo prendercelo. Ho parlato conquelli dell’ULA e non riescono a preparare un altrobooster in tempo».

«Quelli dell’EagleEye 3 non la manderanno giù,ma non abbiamo alternative», disse Teddy. «Se ilJPL riesce a produrre il carico in tempo,rimanderemo la loro missione».

Bruce si strofinò gli occhi. «Faremo del nostromeglio».

«Se non lo farete, morirà di fame», disse Teddy.

Venkat bevve un altro sorso di caffè guardandocon odio il computer. Un mese prima avrebbeconsiderato impensabile bere caffè alle nove disera. Adesso era diventato carburante necessario.Turni da stabilire, fondi da allocare, progetti da

rigirare, altri progetti da manomettere e rapinare aman bassa… Mai si era trovato a fare tanteacrobazie in una volta sola. Iniziò a digitare:

La NASA è una grande organizzazione. Non si adatta bene acambiamenti improvvisi. La sola ragione per cui ce la stiamocavando è l’estrema criticità delle circostanze. Tutti contribuisconoall’impegno comune di salvare Mark Watney senza frizioni negativetra i diversi settori. Non so dirle quanto sia raro questo fenomeno.Anche così, questa operazione verrà a costare decine di milioni,forse centinaia di milioni di dollari. Solo le modifiche all’MDV sonoun progetto a parte che necessita dell’allestimento di una squadraintera. Si spera che l’interesse dell’opinione pubblica renda il suocompito più facile. Le siamo infinitamente grati per il suo costanteappoggio in seno al Congresso e speriamo che possa convincere lacommissione ad assegnarci i fondi di emergenza che ci servono.

Fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.Quando alzò gli occhi vide che stava entrandoMindy. Indossava T-shirt e i calzoni di una tuta eaveva raccolto i capelli alla rinfusa in una coda dicavallo. Quando gli orari di lavoro si allunganotroppo, l’estetica tende a risentirne.

«Scusi se la disturbo», disse Mindy.«Nessun problema», rispose Venkat. «Una pausa

mi farà bene. Che succede?»«È in movimento», riferì lei.

Venkat s’accomodò contro lo schienale della suapoltrona. «Possibile che sia un giro di collaudo?».

Mindy scosse la testa. «Ha lasciato lo Hab e siè allontanato in linea retta per quasi due ore, hafatto una breve EVA, poi è andato avanti per altredue. Pensiamo che l’EVA fosse per il cambio dellebatterie».

Venkat emise un sospiro pesante. «Forse è soloun test più lungo, no? Una gita prolungata conpernottamento?»

«È a 76 chilometri dallo Hab», rispose Mindy.«Se è un test notturno, non si manterrebbe a unadistanza tale da poter tornare indietro a piedi?»

«Sì, lo farebbe», convenne Venkat.«Dannazione. Abbiamo messo i nostri cervelli apensare a ogni ipotesi plausibile. È assolutamenteimpossibile che riesca ad arrivare ad Ares 4 inquelle condizioni. Non lo abbiamo mai vistocaricare sul rover l’ossigenatore o il depuratoredell’acqua. È impossibile che abbia tutte lestrutture e le provviste che gli servono per potervivere abbastanza a lungo».

«Io non credo che stia andando ad Ares 4»,obiettò Mindy. «Se è così, sta seguendo unpercorso molto strano».

«Cioè?»«È andato verso sud-sudovest. Il cratere

Schiaparelli è a sudest».«Va bene, allora forse c’è ancora speranza»,

commentò Venkat. «In questo momento cosa fa?»«Ricarica. Ha installato tutti i pannelli solari»,

rispose Mindy. «L’ultima volta che lo ha fatto, glici sono volute dodici ore. Pensavo di fare un saltoa casa e chiudere gli occhi per un po’, se non haniente in contrario».

«Senz’altro, ottima idea. Vedremo domani cosasta facendo. Forse tornerà allo Hab».

«Forse», ripeté Mindy poco convinta.

«Ben ritrovati», disse Cathy alla telecamera.«Stiamo facendo due chiacchiere con MarcusWashington del Servizio postale degli Stati Uniti.Dunque, signor Washington, se ho capito lamissione Ares 3 ha causato al Servizio postale una

situazione senza precedenti. Vuole spiegarlo ainostri telespettatori?»

«Senza dubbio», rispose Marcus. «Per più didue mesi tutti hanno creduto che Mark Watneyfosse morto. In quell’arco di tempo il serviziopostale ha emesso un francobollo commemorativoin suo onore. Sono stati stampati ventimila pezzidistribuiti agli uffici postali di tutta la nazione».

«Ma poi si è saputo che è vivo», disse Cathy.«Già», annuì Marcus. «E noi non stampiamo

francobolli per i vivi. Così abbiamo interrottoimmediatamente l’operazione e ritirato ifrancobolli, ma ormai se ne erano vendute alcunemigliaia».

«Era mai successo prima?», chiese Cathy.«No. Non una sola volta in tutta la storia del

servizio postale».«Scommetto che adesso valgono un bel po’».Marcus ridacchiò. «Può darsi. Ma come ho

detto, ne abbiamo vendute alcune migliaia.Saranno rari, ma non rarissimi».

Rise anche Cathy rivolgendosi all’obiettivo.«Abbiamo parlato con Marcus Washington del

Servizio postale degli Stati Uniti. Se avete unfrancobollo commemorativo di Mark Watney,meglio che lo conserviate. Grazie di essere statocon noi, signor Washington».

«Grazie di avermi invitato», ribatté Marcus.«La nostra prossima ospite è la dottoressa Irene

Shields, psicologa di volo delle missioni Ares.Benvenuta nel nostro programma, dottoressa».

«Grazie», disse Irene sistemandosi meglio ilmicrofono appuntato alla scollatura.

«Lei conosce di persona Mark Watney?»«Naturalmente», rispose Irene. «Ho avuto

incontri mensili con ciascun membrodell’equipaggio per darne una valutazionepsicologica».

«Che cosa ci può dire su di lui? Della suapersonalità, della sua mentalità?»

«Tanto per cominciare è molto intelligente»,dichiarò Irene. «Lo sono tutti, ovviamente, maWatney ha uno spiccato spirito di iniziativa ed èparticolarmente bravo nel risolvere i problemi».

«Qualità che potrebbero salvargli la vita»,commentò Cathy.

«Senz’altro», concordò Irene. «È anche dicarattere espansivo. Di solito di buonumore,dotato di un buon senso dell’umorismo. Le battutegli riescono facili. Nei mesi precedenti al lancio lasquadra è stata sottoposta a un addestramentosnervante. Alla fine mostravano tutti sintomi distress e malumore. Mark non faceva eccezione, mala differenza stava nel modo in cui lo manifestava,aumentando la dose di battute di spirito e facendoridere tutti gli altri».

«Un simpaticone, si direbbe», osservò Cathy.«Lo è», disse Irene. «È stato scelto per questa

missione in parte per via della sua personalità. Imembri di un equipaggio Ares devono viveregomito a gomito per tredici mesi. La compatibilitàdi carattere è un elemento chiave. E Mark non solosi inserisce bene in qualunque gruppo sociale, maè un catalizzatore naturale nell’aumentarel’efficienza del gruppo. Per il suo equipaggio lasua “morte” è stata un colpo terribile».

«E i suoi compagni lo credono ancora morto,giusto? L’equipaggio di Ares 3?»

«Sì, purtroppo», confermò Irene. «Le alte sferehanno deciso di non dir loro niente almeno per ora.Dev’essere stata sicuramente una decisionedifficile da prendere».

«Bene», disse Cathy dopo qualche secondo disilenzio. «Sa che glielo devo chiedere. Che cosasta passando nella sua mente in questo momento?Come reagisce un uomo come Mark Watney a unasituazione come questa? Rimasto solo su unpianeta deserto senza sapere che stiamo cercandodi aiutarlo».

«Non c’è modo di dare una risposta certa»,disse Irene. «La minaccia più grave è che smetta disperare. Se decidesse che non c’è nessunapossibilità di sopravvivere, smetterebbe diprovarci».

«Dunque al momento va ancora bene, giusto?Sembra che stia lavorando sodo. Sta preparando ilrover per un lungo viaggio e lo sta collaudando. Ilsuo piano è di farsi trovare nel punto in cuiatterrerà Ares 4».

«Questa è una delle interpretazioni, sì», risposeIrene.

«Ce n’è un’altra?».Irene preparò con attenzione la sua risposta

prima di aprire bocca. «Di fronte alla morte, unapersona vuole essere sentita. Non si vuole morireda soli. È possibile che voglia semplicementeraggiungere la radio del MAV per poter parlare conqualcun altro prima di morire».

«Se ha perso la speranza, non gli importa disopravvivere. L’unica sua preoccupazione sarebbequella di raggiungere la radio. Dopodichésceglierà probabilmente una via più semplice deldecesso per inedia. Nelle scorte mediche di unamissione Ares c’è abbastanza morfina per unadose letale».

Dopo qualche secondo di silenzio assoluto nellostudio, Cathy si rivolse alla telecamera. «Torniamosubito».

«Salve, Venk». La voce di Bruce proveniva dalvivavoce sulla scrivania di Venkat.

«Ciao, Bruce», rispose Venkat continuando abattere sui tasti del suo computer. «Grazie di aver

trovato tempo per parlarmi. Volevo discutere delprerifornimento».

«Come no. Cos’hai in mente?»«Diciamo che facciamo un perfetto atterraggio

morbido. Come fa Mark a sapere che ilrifornimento è arrivato? E come può sapere dovecercarlo?»

«Ci abbiamo pensato», rispose Bruce. Equalche idea ce l’abbiamo».

«Sono tutto orecchi», disse Venkat salvando ildocumento e chiudendo il laptop.

«Gli stiamo mandando in ogni caso un sistemadi comunicazioni, giusto? Possiamo fare inmaniera che si attivi dopo l’atterraggio. Sicollegherà sulle frequenze del rover e della tutaEVA. Dovrà essere un segnale forte, però».

«I rover possono comunicare solo con lo Hab efra di loro. Si è partiti dal presupposto che ilsegnale di origine sia nel raggio di ventichilometri. I ricevitori non sono molto sensibili. Ele tute EVA lo sono ancora meno. Se abbiamo unsegnale abbastanza forte dovremmo farcela.Appena fatto atterrare il prerifornimento, ci

facciamo dare la posizione esatta dai satelliti e latrasmettiamo a Mark in modo che possaraggiungerla».

«Ma probabilmente non sarà in ascolto», obiettòVenkat. «Perché dovrebbe farlo?»

«Per questo abbiamo un piano. Stiamopreparando un mazzo di striscioni verde brillante.Abbastanza leggeri da fluttuare mentre scendonoanche nell’atmosfera di Marte. Su ciascunostriscione ci sarà scritto: “MARK: ACCENDI LARADIO”. Stiamo già lavorando a un meccanismo diapertura. Durante la fase di atterraggio,naturalmente. L’idea sarebbe sui mille metri dallasuperficie».

«Mi piace», disse Venkat. «Basterà che ne vedauno. E sicuramente se vede sventolare unostriscione verde vorrà sapere di che si tratta».

«Venk», disse Bruce. «Se porta la“Watneymobile” ad Ares 4, tutto questo nonservirà a niente. Voglio dire che possiamo anchefarlo atterrare ad Ares 4, se dovesse succedere,però…».

«Però sarebbe senza uno Hab, già», finì per luiVenkat. «Una cosa per volta. Fammi sapere quandoavrete pronto un meccanismo di rilascio per queglistriscioni».

«Contaci».Terminato il colloquio, Venkat riaprì il laptop e

tornò al lavoro. Trovò ad attenderlo una e-mail diMindy Park. “Watney è di nuovo in movimento”.

«Sempre in linea retta», disse Mindy indicandoun punto sul monitor.

«Vedo», annuì Venkat. «Poco ma sicuro che nonsta andando verso Ares 4. A meno che stiaaggirando un ostacolo naturale».

«Non c’è niente intorno a cui girare», ribattéMindy. «È in Acidalia Planitia».

«Quelli sono i pannelli solari?», chiese Venkatindicandoli sullo schermo.

«Sì», confermò Mindy. «Ha fatto il suo solitotragitto di due ore, è uscito, poi altre due ore.Adesso è a 156 chilometri dallo Hab».

Fissarono entrambi il monitor.

«Aspetti…», mormorò Venkat. «Aspetti, no,non…».

«Cosa?», domandò Mindy.Venkat prese un blocchetto di Post-it e una

penna. «Mi dia la posizione e la posizione delloHab».

Mindy controllò lo schermo. «Attualmente sitrova a… 28,9° Nord, 29,6° Ovest». In pochi colpialla tastiera richiamò un altro file. «Lo Hab è a31,2° Nord, 28,5° Ovest. Che cosa ha visto?».

Venkat finì di trascrivere i numeri. «Venga conme», disse partendo immediatamente.

«Ehm», balbettò Mindy inseguendolo. «Doveandiamo?»

«In sala ristoro», rispose Venkat. «Avete ancoraquella mappa di Marte appesa al muro?»

«Sì. Ma è solo un poster comprato in un negoziodi articoli da regalo. Nel mio computer ho mappedigitali ad alta definizione…».

«Non mi servono», disse lui. «Su quelle nonposso disegnare». Poi, entrando nel piccolo localeper il personale in pausa, indicò la mappa diMarte. «Ma posso disegnare su quella».

L’unica persona presente, un tecnico informaticodel SatCon che si concedeva una tazza di caffè,trasalì allarmato nel vederli entrare di corsa.

«Bene, sono segnate le linee di latitudine elongitudine», si compiacque Venkat. Consultò ilsuo Post-it, poi fece scorrere la punta di un ditosulla mappa e tracciò una X. «Questo è lo Hab»,disse.

«Ehi», intervenne il tecnico. «Sta disegnandosul nostro poster?»

«Ve ne comprerò uno nuovo», rispose Venkatsenza girarsi. Poi tracciò un’altra X. «Questo è ilpunto dove si trova adesso. Datemi un righello».

Mindy guardò a destra e a sinistra. Non trovòniente di utile e prese il quaderno del tecnico.

«Ehi!», protestò lui.Usando il bordo del quaderno come guida,

Venkat tirò una riga dallo Hab a un punto oltrequello in cui si trovava Mark. Poi indietreggiò diun passo.

«Sissignore! Ecco dove sta andando!», esclamòeccitato.

«Oh!», fece Mindy.

La riga passava esattamente al centro di unvistoso punto giallo stampato sulla mappa.

«Pathfinder!», esclamò Mindy. «Sta andando alPathfinder!».

«Sissignore!», ripeté Venkat. «Adessocominciamo a raccapezzarci. È a circa 800chilometri da lui. Con le provviste che ha adisposizione può arrivarci e anche tornareindietro».

«E riportare allo Hab con sé il Pathfinder e ilSojourner», aggiunse Mindy.

Venkat estrasse il cellulare. «Abbiamo perso icontatti con il Pathfinder nel 1997. Se riesce ametterlo in funzione, potremo comunicare. Puòdarsi che debba semplicemente ripulire i pannellisolari. E anche se ci fosse qualche problema piùserio, è un ingegnere!». Compose un numeromentre aggiungeva: «Riparare gli apparecchi è ilsuo mestiere!».

Sorridendo per quella che gli sembrava la primavolta da settimane, si portò il telefono all’orecchioe aspettò una risposta. «Bruce? Sono Venkat. Ètutto cambiato. Watney sta andando al Pathfinder.

Sì! Lo so, giusto! Trovami tutti quelli che hannolavorato a quel progetto e falli venireimmediatamente al JPL. Io prenderò il primo volo».

Riattaccò osservando la mappa con un sorrisosoddisfatto. «Mark, vecchio volpone figlio d’uncane!».

9

Giornale di bordo: Sol 79

È la sera del mio ottavo giorno di viaggio.Finora Sirius 4 è stato un successo.

Sono entrato in una routine. Ogni mattina misveglio all’alba. Per prima cosa controllo i livellidi ossigeno e CO2. Poi mangio una razione diprima colazione e bevo una tazza d’acqua. Infinemi lavo i denti usando il minimo di acquaindispensabile e mi faccio la barba con un rasoioelettrico.

Il rover non ha una toilette. Era previsto cheusassimo i sistemi di recupero presenti nellenostre tute. Solo che non ce la fanno a contenere laproduzione fisiologica di venti giorni.

La mia orina del mattino finisce in uncontenitore di plastica risigillabile. Quando loapro il rover puzza come il cesso di una stazionedi servizio per camionisti. Potrei portarla fuori e

lasciare che si autoelimini bollendo. Ma holavorato tanto per produrre quell’acqua e mai epoi mai sarei disposto a sprecarla. La aggiungeròal depuratore quando sarò tornato a casa.

Ancor più prezioso è il mio concime organico.È fondamentale per la mia piantagione di patate eio ne sono la sola fonte presente sul pianeta.

Per fortuna quando passi molto tempo nellospazio impari a farla in un sacchetto. E se avetepensato che sia dura quando apro il contenitore peril “bisogno piccolo”, immaginatevi il fetorequando faccio “il bisogno grosso”.

Concluse queste belle operazioni preliminari,esco a recuperare i pannelli solari. Perché nonl’ho fatto la sera prima? Perché cercare dismontare e impilare pannelli solari nell’oscuritàpiù totale non è divertente. L’ho imparato a miespese.

Sistemati i pannelli, rientro, metto sudell’abominevole musica anni Settanta e riparto.Procedo adagio a 25 chilometri orari, la velocitàmassima del rover. All’interno si sta comodi.Mentre l’RTG cuoce la cabina, io viaggio

indossando un paio di calzoncini confezionati lìper lì e una maglietta leggera. Quando comincia afare troppo caldo, stacco dalla parete l’isolamentofissato con il nastro adesivo. Quando fa troppofreddo, lo rincollo.

Prima che la prima batteria si esaurisca riesco aviaggiare per quasi due ore. Poi faccio un’EVAveloce per girare i cavi e sono di nuovo al volanteper l’altra metà della mia tappa quotidiana.

Il terreno è molto regolare. Il pianale del roverè più alto di tutti i sassi che ci sono da queste partie le ondulazioni sono dolci, levigate da ere ditempeste di sabbia.

Quando finisce anche la seconda batteria, è oradi fare un’altra passeggiatina fuori. Scarico ipannelli solari dal tetto e li dispongo per terra. Neiprimi sol li allineavo tutti in fila. Adesso li mollodove capita, cercando di metterli il più vicinopossibile al rover per pura pigrizia.

A questo punto arrivo alla parte incredibilmentenoiosa della mia giornata. Mi ritrovo ad aspettareper dodici ore senza aver niente da fare. Del rovercomincio a non poterne più. La cabina ha le

dimensioni di un furgone. Può sembrare uno spaziopiù che ragionevole, ma provate a essereimprigionati in un furgone per otto giorni. Nonvedo l’ora di tornare a occuparmi del mio campodi patate nel vasto spazio aperto dello Hab.

Ho nostalgia dello Hab. A che punto dideviazione mentale sono arrivato?

Ho degli orrendi telefilm anni Settanta del cazzoda guardare e una scorta di romanzi di Poirot daleggere. Ma il più del tempo lo passo pensando acome arrivare ad Ares 4. Prima o poi dovrò farlo.Come diavolo farò a sopravvivere per 3200chilometri dentro questa scatola? Mi ci vorrannoprobabilmente cinquanta giorni. Avrò bisogno deldepuratore dell’acqua e dell’ossigenatore, forsealcune delle batterie principali dello Hab, poiun’altra scorta di pannelli solari per caricare tuttoquanto… Dove la schiaffo tutta ’sta roba? Questisono i pensieri che mi affliggono durante i lunghigiorni di noia.

Arriva un momento che fa buio e mi sentostanco. Mi sdraio in mezzo alle provviste di cibo, iserbatoi di acqua, il serbatoio supplementare di

O2, pile di filtri per CO2, contenitore di piscia,sacchetti di cacca ed effetti personali. Oltre acoperta e guanciale, a fare da giaciglio ho anchedelle tute di volo di quelle in dotazioneall’equipaggio. Fondamentalmente dormo tutte lenotti in mezzo a una montagna di cianfrusaglie.

A proposito di sonno… buonanotte.

Giornale di bordo: Sol 80

Secondo i miei calcoli sono a un centinaio dichilometri dal Pathfinder. Tecnicamente sarebbela “Carl Sagan Memorial Station”. Ma con tutto ilrispetto dovuto a Carl, io la posso chiamare comecavolo mi pare. Io sono il sovrano di Marte.

Come ho detto, è un viaggio lungo e noioso. Esono ancora nel pieno della prima metà. D’altraparte, ragazzi, sono ben un astronauta, no? Leinterminabili escursioni scassacazzi sono il miomestiere.

Il problema della navigazione non è da poco.

Il radiofaro dello Hab arriva a quarantachilometri, perciò dove mi trovo io mi è inutile.Sapevo che sarebbe stato un problema già mentreorganizzavo questa piccola gita, così hoarchitettato un piano brillante che non hafunzionato.

Nel computer ci sono mappe dettagliate, così hopensato che avrei potuto navigare sfruttando deipunti di riferimento. Mi sbagliavo. Ho scopertoche non si può navigare basandosi su punti diriferimento se non si trova un solo dannato puntodi riferimento.

Il luogo del nostro atterraggio è nel delta di unfiume scomparso da chissà quanto. La NASA lo hascelto perché è un buon posto dove trovare deifossili microscopici nel caso ce ne siano. Inoltrel’acqua ha sicuramente trascinato frammenti diroccia e campioni di terra provenienti da migliaiadi chilometri di distanza. Scavando un po’,potremmo ricostruire un ampio tratto di storiageologica.

Fantastico dal punto di vista scientifico, ma ilsucco è che lo Hab si trova in una distesa del tutto

uniforme.Ho pensato di costruire una bussola. Il rover è

pieno di fonti di elettricità e nel kit dei medicinalic’è un ago. Un solo problema: Marte non ha campomagnetico.

Così per navigare ho usato Phobos. Gira intornoa Marte così velocemente che sorge e tramonta duevolte al giorno, correndo da ovest verso est. Non èun sistema accuratissimo, ma funziona.

A Sol 75 la situazione è migliorata. Horaggiunto una valle con un’altura a ovest. Mi haofferto un bel terreno pianeggiante da percorrere emi è stato solo necessario mantenermi lungo lependici delle colline. L’ho battezzata “ValleLewis” in onore della nostra impavida condottiera.Se ne gongolerà, la nostra fanatica di geologia.

Tre sol più tardi, la Valle Lewis si è aperta inun’ampia spianata. Dunque di nuovo sono rimastosenza punti di riferimento e ho dovuto farmiguidare da Phobos. Ci dev’essere un simbolismoin questa cosa. Phobos è il dio della paura ed è dalui che mi sto facendo guidare. Non è un buonsegno.

Oggi però ho avuto finalmente un colpo difortuna. Dopo aver vagato per due sol nel deserto,ho trovato qualcosa con cui navigare. È un crateredi cinque chilometri, così piccolo da non averenemmeno un nome registrato. Ma sulle mappec’era, così per me è diventato il Faro diAlessandria. Appena l’ho visto, ho saputo conprecisione dove mi trovavo.

Ora per la verità mi ci sono accampato vicino.Mi sono lasciato finalmente alle spalle le aree

vuote della mappa. Domani avrò come punto diriferimento il Faro e più avanti il cratere Hamelin.Sono messo bene.

Ora è il momento del mio prossimo compito:starmene seduto a non fare niente per dodici ore.

Sotto allora!

Giornale di bordo: Sol 81

Per un niente oggi non sono arrivato alPathfinder, ma sono rimasto a secco. E mi

mancavano solo ventidue chilometri!Una tappa senza nulla di rilevante. Nessun

problema di navigazione. Mentre il Faroscompariva in lontananza, si delineava sempremeglio il bordo del cratere Hamelin.

È passato ormai molto tempo da quando holasciato Acidalia Planitia. Ormai mi sono inoltratonon poco in Ares Vallis. Le piane desertichelasciano il passo a un terreno più irregolare,disseminato di espulsioni vulcaniche che la sabbianon ha mai seppellito. Guidare è diventataun’incombenza, adesso devo stare più attento.

Finora sono passato sopra i sassi sparsi per lavalle. Ma scendendo più a sud, i sassi stannodiventando più grandi e più numerosi. Ogni tantodevo passare intorno a qualche frammento diroccia più grande per non danneggiare lesospensioni. La buona notizia è che non dovròfarlo a lungo. Arrivato al Pathfinder, non avrò cheda girarmi e tornare sui miei passi.

Ho avuto condizioni atmosferiche ottime.Nessun vento significativo, meno che maitempeste. Su questo punto devo dichiararmi

fortunato. Ci sono buone probabilità che le traccelasciate dal mio rover in questi ultimi sol restinointatte. Così potrei tornare alla Lewis Valleysemplicemente ripercorrendole.

Oggi, dopo aver piazzato i pannelli solari, misono fatto una passeggiata. Non ho mai perso divista il rover, non ho sicuramente intenzione diperdermi mentre sono in giro a piedi. Ma proprionon me la sono sentita di imbucarmi di nuovo inquell’angusto e puzzolente nido di topi. Nonsubito.

È una sensazione strana. Dovunque vada, sono ilprimo. Esco dal rover? Primo uomo ad aver messopiede lì! Salgo su un dosso? Primo uomo a saliresu quel dosso! Do un calcio a un sasso? Quel sassonon si muoveva da un milione di anni!

Sono il primo uomo a percorrere una lungadistanza su Marte. Il primo uomo a trascorrere suMarte più di trentuno sol. Il primo uomo a farcrescere un ortaggio su Marte. Il primo, il primo, ilprimo!

Non mi ero aspettato di essere il primo inniente. Quando siamo atterrati ero il quinto

membro dell’equipaggio a bordo dell’MDV, ildiciassettesimo essere umano a mettere piede suMarte. L’ordine d’uscita era stato stabilito anniprima. Un mese prima del lancio ci avevanotatuato il nostro “numero marziano”. Johanssenaveva quasi rifiutato il “15” che gli era statoassegnato perché aveva paura che facesse male.Una donna che era passata per la centrifuga, ilVomit Comet, esercitazioni di atterraggio pesante ecorse di dieci chilometri. Una donna che in unasimulazione aveva riparato un guasto del computerdell’MDV mentre rotolava su se stessa a testa ingiù. Ma che aveva paura dell’ago di un tatuaggio.

Gesù, come mi mancano quei ragazzi.Gesù, darei chissà cosa per cinque minuti di

conversazione con uno qualunque di loro. Unoqualunque, dovunque. Su qualsiasi argomento.

Sono la prima persona a essere solo su un interopianeta.

Okay, basta piagnucolare. Sto pur avendo unaconversazione con qualcuno, la misteriosa personache leggerà questo diario. È un resoconto un po’partigiano, ma bisognerà accontentarsi. Probabile

che muoia, però, dannazione, qualcuno saprà checosa avevo da dire.

E lo scopo di questo viaggio è procurarmi unaradio. Prima di morire potrei persino rimettermi incontatto con il genere umano.

Dunque ecco un’altra primizia: domani sarò laprima persona a recuperare una sonda marziana.

Giornale di bordo: Sol 82

Vittoria! L’ho trovato!Ho avuto la certezza di essere al posto giusto

quando in lontananza ho scorto i Twin Peaks. I duepiccoli rilievi sono a meno di un chilometro dalpunto di atterraggio. Meglio ancora, si trovavanosul lato opposto della zona di sbarco. Non avevoche da puntare verso di loro e trovare il modulo diatterraggio, il lander.

Ed eccolo là! Proprio dove doveva essere!Sono uscito tutto eccitato e mi sono precipitatoverso la sonda.

Lo stadio finale di discesa del Pathfinder era untetraedro coperto di palloni. I palloni avevanoassorbito l’urto dell’atterraggio. Appena lo stadiosi era posato, i palloni si erano sgonfiati e iltetraedro si era aperto esponendo la sonda.

Si tratta in realtà di due componenti separati, illander, e il rover Sojourner. Il lander era lastruttura fissa, mentre il Sojourner è andato in giroa dare un’occhiata da vicino ai sassi dei dintorni.Io porterò via tutti e due, ma la parte importante èil lander. Quella è la parte che può comunicare conla Terra.

Non so spiegare la felicità che ho provatoquando l’ho trovato. È stato un lavoraccio arrivarequi e ce l’ho fatta.

Il lander era sprofondato per metà nella sabbia.Ne ho liberato la gran parte scavando alacrementee con il giusto riguardo, anche se il grandetetraedro e i palloni sgonfiati sono ancora immersinella sabbia.

Nessuna difficoltà a ritrovare il Sojourner. Lamacchinina era a soli due metri dal lander. Miricordo vagamente che l’ultima volta che

l’avevano visto era un po’ più distante.Probabilmente era entrato in una modalità disopravvivenza passiva mettendosi a girare intornoal lander nel tentativo di comunicare.

Ho caricato velocemente il Sojourner sul miorover. È piccolo, leggero, e passa tranquillamenteper la camera d’equilibrio. Altro paio di manichecon il lander.

Non mi illudevo di riportarlo tutto intero alloHab. È semplicemente troppo grosso, ma a meserve solo la sonda vera e propria. Era venuto ilmomento di indossare il mio cappello da ingegneremeccanico.

La sonda si trovava sul pannello centrale deltetraedro aperto. Ciascuno degli altri tre lati eraagganciato al pannello centrale tramite un cardinemetallico. Come vi direbbe chiunque del JPL, lesonde sono aggeggi delicati. Il peso è una dellecontroindicazioni più critiche, perciò non sonomolto resistenti.

I cardini sono saltati via al primo colpo dipalanchino!

Poi è venuto il difficile. Ho cercato di sollevareil pezzo centrale e non ci sono riuscito.

Come gli altri tre pannelli, anche quello centraleera posato su un letto di palloni sgonfi.

Col passare degli anni i palloni si eranostracciati e riempiti di sabbia.

Potevo tagliarli via, ma per farlo avrei dovutoscavare. Non sarebbe stato troppo gravoso, è solosabbia, ma ero intralciato dagli altri tre pannelli.

Mi sono reso conto rapidamente che nonm’importava un fico secco dello stato degli altripannelli. Sono tornato al mio rover, ho tagliatostrisce di tela dello Hab e le ho intrecciateconfezionando una corda, rudimentale maresistente. Della sua resistenza non mi assumo ilmerito. Per quello ringraziamo la NASA. Io ho solointrecciato una cosa simile a una fune.

Ne ho legata un’estremità a un pannello e l’altraal rover. Il rover è fatto per muoversi su terreniestremamente accidentati, spesso molto ripidi. Nonsarà veloce, ma quanto a coppia motrice è unaforza della natura. Ho trascinato via il pannello

come un boscaiolo che porta via la base di untronco tagliato.

A quel punto mi ero procurato uno spazio dovescavare. Poi ho tagliato via i palloni a uno a uno,via via che li disseppellivo. Mi ci è voluta un’ora.

Infine ho sollevato il pannello centrale e misono incamminato fiducioso verso il mio rover!

Così almeno avevo in mente di fare. Peccato cheil dannato gingillo pesasse ancora un pandemonio.Più o meno duecento chilogrammi. Anche nellagravità marziana sono un po’ troppi. All’internodello Hab potrei trasportarlo abbastanzafacilmente, ma sollevarlo con indosso l’ingombrodi una tuta EVA? Neanche a parlarne.

Così l’ho trascinato al rover.Poi un’altra impresa: caricarlo sul tetto.Al momento il tetto era libero. Anche se le

batterie erano quasi piene, quando mi sono fermatoho esposto lo stesso i pannelli solari. Perché no?Energia gratis.

Ci avevo già pensato e avevo una soluzione. Perarrivare fin lì avevo occupato tutto il tetto delrover con due pile di pannelli solari. Per tornare

indietro, li avrei impilati tutti uno sopra l’altro peravere mezzo tetto a disposizione per la sonda. È unpo’ più pericoloso, perché una catasta così altapotrebbe cascare. Con l’aggravante della rogna didover fare una pila di pannelli così alta. Ma ciriuscirò.

Non posso gettare tranquillamente la corda dauna parte all’altra del rover e issare il Pathfinderlungo la fiancata. Non voglio romperlo.Intendiamoci, è già rotto, i contatti sono andatipersi nel 1997. Ma non voglio scassarlo più dicosì.

Mi è venuta un’idea, ma per oggi mi sonostancato abbastanza e mi restavano poche ore diluce.

Adesso sono a bordo del rover a guardare ilSojourner. Mi sembra in ordine. Non ci sono dannivisibili all’esterno. Non vedo niente di troppocotto dal sole. Il denso strato di polvere marzianalo ha protetto da danni a lungo termine.

Penserete che il Sojourner non può essermi digrande aiuto. Non può comunicare con la Terra.Perché dovrei prenderlo a cuore?

Perché ha un sacco di pezzi mobili.Se stabilisco un contatto con la NASA, posso

parlare con loro alzando una pagina di testo perchéla riprenda la telecamera del lander. Ma loro comefanno a parlare con me? Le sole parti mobili dellander sono l’antenna direzionale (che deve restarepuntata sulla Terra) e il braccio della telecamera.Dovremmo inventarci un sistema perché la NASApossa parlare ruotando l’obiettivo dellatelecamera. Un procedimento spaventosamentelento.

Ma il Sojourner ha sei ruote indipendenti cheruotano a una velocità abbastanza elevata. Moltopiù facile comunicare con quelle. Potrei disegnarele lettere dell’alfabeto sulle ruote. La NASApotrebbe girare le ruote per compitarmi le parole.

Tutto questo presumendo che riesca a farfunzionare la radio del lander.

Ora di fare la nanna. Domani mi aspetta un belpo’ di lavoro spaccaschiena. Ho bisogno diriposare.

Giornale di bordo: Sol 83

Dio, se non sono tutto rotto.Ma è l’unico modo che sono riuscito a

escogitare per caricare il lander sul tetto senzadanneggiarlo.

Ho costruito una rampa con sassi e sabbia.Proprio come facevano gli antichi egizi.

E se c’è una cosa che ad Ares Vallis non manca,sono i sassi!

Prima ho cercato di stabilire che angolo diinclinazione dovevo ottenere. Ho impilato un po’di pietre vicino al lander e l’ho trascinato su e giùdi nuovo. Poi ho reso l’inclinazione più accentuatae mi sono assicurato di riuscire a portare su e giùil lander anche così. Ho ripetuto l’operazionefinché ho trovato l’angolazione migliore per larampa che dovevo costruire: 30 gradi. Di piùsarebbe stato troppo rischioso. Potrei perdere lapresa e lasciar scivolare il lander giù per larampa.

Il tetto del rover è a più di due metri d’altezzadal suolo. Dunque ho bisogno di una rampa lunga

quasi quattro metri. Mi ci sono messo.Con i primi sassi è stato facile. Poi hanno

cominciato a diventare sempre più pesanti. Illavoro fisico con addosso una tuta spaziale è unsuicidio. Ogni sforzo viene amplificato dai ventichilogrammi di tuta che ti porti sulle spalle e seilimitato nei movimenti. Nel giro di venti minutiansimavo.

Così ho imbrogliato. Ho aumentato la miamiscela di O2. E mi ha aiutato un sacco.Probabilmente è bene che non diventi un’abitudine.C’è anche il vantaggio che non mi scaldavotroppo. Il calore filtra dalla tuta più velocementedi quanto lo generi il mio corpo. Perché latemperatura sia sopportabile interviene il sistemadi riscaldamento, ma il lavoro fisico faceva sì chela tuta non avesse bisogno di scaldarsi più chetanto.

Dopo ore di lavoro da schiavo, ho finito dicostruire la mia rampa. Nient’altro che una pila disassi contro il rover, ma arrivava al tetto.

Per prima cosa sono salito e ridisceso pestandoi piedi per assicurarmi che il fondo fosse stabile,

poi ho tirato su il lander. Ha funzionato ameraviglia!

L’ho legato al tetto senza riuscire a smettere disorridere di soddisfazione. Mi sono accertato chefosse assicurato ben bene e ho persino impilato ipannelli solari in un’unica, grande catasta (perchésprecare la rampa?).

Solo allora mi è venuto in mente. Appena mifossi spostato la rampa sarebbe crollata e i sassiavrebbero potuto danneggiare le ruote o ilcomplesso delle sospensioni. Per evitare chesuccedesse, dovevo smontare la rampa.

Povero me.Disfare la rampa è stato più facile che

costruirla. Non c’era più bisogno che ogni singolapietra venisse sistemata in maniera da nonmuoversi. Le ho semplicemente buttate dovecapitava. Mi ci è voluta solo un’ora.

E adesso ho finito!Domani riparto con i miei duecento chilogrammi

supplementari di radio guasta.

10

Giornale di bordo: Sol 90

Sette giorni dal Pathfinder e sette giorni piùvicino a casa.

Come speravo le tracce lasciate durantel’andata mi hanno indicato il percorso da seguireper la Lewis Valley. Poi sono stati quattro sol diguida agevole. Le colline alla mia sinistra hannoimpedito che mi perdessi e il terreno era buono.

Ma tutte le cose belle finiscono. Ora sono dinuovo in Acidalia Planitia. Qui le tracce cheavevo lasciato sono sparite da un po’. Sonotrascorsi sedici giorni da quando sono passato diqui. In un tempo così lungo basta un meteo anchesolo timidamente instabile per ripulire tutto.

Durante il viaggio d’andata avrei dovuto faredegli ometti con i sassi tutte le volte che mifermavo. In una spianata come questa sarebberostati visibili da chilometri di distanza.

D’altra parte, quando ripenso alla fatica dicostruire quella dannata rampa… uff.

Dunque ho rivestito i panni del pellegrinoerrante per il deserto, navigo usando Phobos espero di non sbandare più che tanto. Mi bastaarrivare nel raggio di quaranta chilometri dalloHab e ritroverò il radiofaro.

Mi sento ottimista. Per la prima volta penso dipoter forse riuscire ad abbandonare da vivo questopianeta. Con questa prospettiva nella mente, tuttele volte che faccio un’EVA raccolgo campioni diterra e rocce.

Ho cominciato convinto che fosse mio dovere.Se sopravvivrò, i geologi mi adoreranno peraverlo fatto. Ma poi ho cominciato a divertirmi.Adesso mentre guido aspetto con piacere quelsemplice atto di insaccare sassi.

È solo perché è così bello sentirsi di nuovo unastronauta. Tutto lì. Non un agricoltore miomalgrado, non un ingegnere elettrotecnico, non uncamionista su lunghe percorrenze. Un astronauta.Faccio quello che fanno gli astronauti. Mimancava.

Giornale di bordo: Sol 92

Oggi ho intercettato per due secondi il segnaledel radiofaro dello Hab, poi l’ho perso. Ma è unbuon segno. Da due giorni procedoapprossimativamente in direzione nord-nordovest.Devo essere a cento chilometri e più dallo Hab. Èun miracolo che abbia colto un palpito di segnale.Dev’essere stato un momento di condizionimeteorologiche perfette.

Durante le mie giornate di noia mortale vadoavanti con L’uomo da sei milioni di dollaridall’inesauribile collezione di telefuffa anniSettanta della comandante Lewis.

Ho appena visto un episodio in cui Steve Austincombatte contro una sonda venusiana difabbricazione russa atterrata per sbaglio sullaTerra. Da esperto di viaggi interplanetari, viassicuro che nella storia non c’è nessunainesattezza scientifica. È fatto abbastanza comuneche le sonde atterrino sul pianeta sbagliato. Inoltre

lo scafo così largo e piatto è ideale per l’altapressione presente nell’atmosfera venusiana. E,come sappiamo bene, spesso le sonde si rifiutanodi ubbidire alle direttive e scelgono invece diaggredire a vista gli esseri umani.

Finora il Pathfinder non ha cercato diuccidermi. Ma lo tengo d’occhio.

Giornale di bordo: Sol 93

Oggi ho trovato il segnale dello Hab. D’ora inavanti non potrò più perdermi. Secondo ilcomputer sono a 24.718 metri.

Domani sarò a casa. Adesso sarò salvo anchenel caso di un guasto catastrofico al rover. Da quiposso arrivare allo Hab a piedi.

Non so se l’ho già detto prima, ma ne hoveramente i coglioni pieni di essere su questorover. Ho passato tanto di quel tempo seduto osdraiato che ho tutta la schiena ingrippata. Di tutti imiei compagni, quello di cui sento maggiormente

la mancanza in questo momento è Beck. Lui mirimetterebbe a posto la schiena dolente.

Anche se non mancherebbe di rompermi le pallepure lui. «Perché non fai esercizi di stretching? Iltuo corpo è importante! Mangia più fibre», o cheso io.

Nello stato in cui sono accetterei volentieri unalezioncina salutista.

Durante l’addestramento abbiamo dovutoesercitarci nella temutissima eventualità chechiamiamo “Orbita Mancata”. Se durantel’ascensione del MAV si verificasse unmalfunzionamento del secondo stadio, entreremmoin un’orbita, ma troppo bassa per poter agganciareHermes. Sfioreremmo lo strato più altodell’atmosfera in un’orbita che andrebberapidamente degenerando. La NASA azionerebbedalla Terra Hermes perché venga a prenderci.Dopodiché partiremmo via a tutta birra prima cheHermes rallenti troppo.

Per questa esercitazione ci facevano passare tremiserabili giorni di fila a bordo del simulatore delMAV. Sei persone dentro un veicolo di risalita

progettato per un volo di ventitré minuti. Ha latendenza a diventare un po’ piccolo. E quando dico“un po’ piccolo” voglio dire che “avevamo vogliadi ammazzarci a vicenda”.

Darei non so cosa per essere di nuovo con queiragazzi in quella scatola da sardine.

Dio mio, fai che il Pathfinder possa essererimesso in funzione.

Giornale di bordo: Sol 94

Casa dolce casa!Oggi vi scrivo dal mio gigantesco, cavernoso

Hab!La prima cosa che ho fatto appena entrato è stata

stendere le braccia e agitarle correndo in circolo.Una sensazione bellissima! Ho vissuto perventidue sol su quel dannato rover senza potercompiere nemmeno un passo senza infilarmi latuta.

Per arrivare ad Ares 4 dovrò subire quellatortura per il doppio del tempo, ma questo è unproblema da affrontare in futuro.

Dopo qualche giro celebrativo dello Hab, misono messo al lavoro.

Per prima cosa ho attivato l’ossigenatore e ilregolatore atmosferico. Un controllo dei livellidell’aria mi ha rassicurato che era tutto a posto.C’era ancora del CO2, perciò le piante non eranosoffocate anche se non c’ero io a esalare per loro.

Naturalmente ho svolto una verifica esaustivadelle condizioni della mia piantagione e ho trovatoche le mie patate stavano bene.

Ho aggiunto alla scorta di concime i mieisacchetti di cacca. Un profumino che non vi dico.Ma appena mescolata al terriccio, l’odore è scesoa un livello tollerabile. Nel depuratore dell’acquaho versato il mio contenitore di pipì.

Sono stato via per più di tre settimane lasciandoun alto tasso di umidità nello Hab a protezionedelle mie piante. Tutta quell’acqua nell’aria puòprovocare problemi elettrici in quantità, così ho

dedicato qualche ora a un check-up completo deirelativi sistemi.

Per un po’ me la sono presa comoda. Avreivoluto rilassarmi per il resto della giornata, maavevo altro da fare.

Ho indossato la tuta, sono tornato al rover e hoscaricato dal tetto i pannelli solari. Nelle oresuccessive li ho reinstallati al loro posto ericollegati al sistema di alimentazione dello Hab.

Tirare giù il lander dal tetto è stato infinitamentepiù facile che mettercelo sopra. Ho smontato unagamba dall’apparato di atterraggio MAV e l’hotrascinata al rover. Appoggiandola allo scafo esprofondandola nel terreno per renderla stabile, misono procurato una rampa di fortuna.

Avrei dovuto portarmi la gamba sul luogo dovesi trovava il Pathfinder. Si impara vivendo.

Impossibile infilare il lander nella camerad’equilibrio. È troppo grosso. Probabilmentepotrei smontarlo e portarlo dentro un pezzo allavolta, ma c’è una ragione fondamentale che losconsiglia.

Non avendo un campo magnetico, Marte non hadifese contro le potenti radiazioni solari. Se vifossi esposto io, mi beccherei tanto di quel cancro,che avrebbe il cancro persino il cancro. Perciò iltelo dello Hab fa da scudo alle ondeelettromagnetiche. Ciò significa che, se portassidentro il lander, sarebbe lo Hab stesso a bloccareogni eventuale trasmissione.

A proposito di cancro, è ora che mi sbarazzidell’RTG.

Mi veniva male all’idea di salire di nuovo abordo del rover, ma andava fatto. Se nell’RTG sifosse aperta una falla, mi avrebbe ammazzatoseduta stante.

La NASA aveva calcolato che quattro chilometrierano una distanza di sicurezza e non ero certo io avolerli contraddire. Sono tornato al punto in cui loaveva scaricato in origine la comandante Lewis,l’ho tuffato nella stessa buca e sono tornato alloHab.

Domani comincio a lavorare al lander.Ora mi godo un lungo e saporito sonno su una

branda vera e propria. Con la confortante certezza

che quando mi sveglierò la mia piscia mattutinafinirà in una toilette.

Giornale di bordo: Sol 95

Oggi solo riparazioni!La missione Pathfinder finì per un ignoto guasto

fatale del lander. Quando il JPL perse i contatti conil lander, non poté più sapere che cosa fosse statodel Sojourner. È possibile che sia in condizionimigliori. Forse ha solo bisogno di alimentazione.Non poteva averla da pannelli solari incrostati dipolvere.

Ho posato il piccolo rover sul mio banco dilavoro e ho aperto una finestrella per guardarcidentro. La batteria era una non ricaricabile al litiocloruro di tionile. L’ho dedotto da alcunienigmatici indizi: la forma dei connettori, lospessore dell’isolamento e il fatto che sopra cifosse scritto “LiSOCl2 NON-RCHRG”.

Ho pulito al meglio i pannelli solari e ci hopuntato sopra una piccola lampada flessibile. Labatteria è morta e defunta, ma può darsi che lecelle funzionino ancora e il Sojourner puòalimentarsi prendendo energia direttamente daloro. Vedremo se succede qualcosa.

Poi è venuto il momento di esaminare il papàdel Sojourner. Mi sono infilato nella tuta e sonouscito.

Normalmente il punto debole di un lander è labatteria. È il componente più delicato e quandomuore non c’è modo di recuperarla.

Quando il livello di batteria è basso, un landernon può limitarsi a sospendere le attività e mettersiin attesa. Senza un minimo di temperatura, i suoicomponenti elettronici non funzionano più. Dunqueci sono elementi che scaldano l’elettronica. SullaTerra è un problema che si verifica raramente ma,cavoli, qui stiamo parlando di Marte.

Con il tempo i pannelli solari si coprono dipolvere. Poi viene l’inverno con temperature piùbasse e un minor numero di ore di luce. Tuttoquesto si combina in un grande “vaffanculo” da

Marte al vostro lander. Si arriva a un punto che permantenere la temperatura usa più energia di quellaottenibile dalla fioca luce del giorno che riesce afiltrare attraverso la polvere.

Una volta esaurita la batteria, gli apparatielettronici si raffreddano e smettono di funzionaree tutto il sistema si spegne. I pannelli solariricaricheranno parzialmente la batteria, ma non c’èniente che possa innescare la ripartenza delsistema. Quella è una decisione che possonoprendere solo gli apparati elettronici, che non sonopiù in grado di funzionare. Alla lunga la batteriache adesso non viene più usata perde la suacapacità di mantenere la carica.

Questa è la più comune causa di morte. E iosicuramente spero con tutto il cuore che sia statoquesto a uccidere il Pathfinder.

Usando alcuni avanzi dell’MDV ho costruito unaspecie di tavolo e una rampa, poi ho trascinato illander su questo mio nuovo banco da lavoroall’esterno dello Hab. Lavorare con addosso unatuta EVA è abbastanza seccante in sé. Stare chinatotutto il tempo sarebbe stata una tortura.

Ho preso la mia cassetta degli attrezzi e hocominciato a smanettare. Aprire il pannelloesterno non è stato difficile e nemmeno identificarela batteria. Ci sono etichette JPL dappertutto. È unabatteria Ag-Zn da 40 Ah con un voltaggio ottimaledi 1,5. Caspita. Riuscivano a far funzionare le cosecon niente a quei tempi.

Ho staccato la batteria e sono tornato dentro.L’ho controllata con i miei strumenti di misura ecom’era da aspettarsi è morta, stecchita, defunta.Strisciando i piedi su un tappeto tirerei fuori unacarica più forte.

Ma sapevo di che cosa aveva bisogno il lander:1,5 volt.

A confronto con tutte le stronzate che ho messoinsieme con sputo e fil di ferro a partire da Sol 6,questa era una bazzecola. Nel mio kit ci sono deiregolatori di tensione! Mi ci sono voluti soloquindici minuti per inserire un regolatore su uncavo di alimentazione di riserva e un’altra ora peruscire e portare il cavo fin dove era alloggiata labatteria.

Poi c’è la questione del calore. Conviene chegli apparati elettronici siano sopra i -40 °C. Oggila temperatura è di un freschetto -63 °C.

La batteria era voluminosa ed era facile daidentificare, ma non avevo idea di dove sitrovassero gli elementi termici. Anche se lo avessisaputo, alimentarli direttamente sarebbe statorischioso. Facile che bruciassi tutto quanto ilsistema di riscaldamento.

Così ho preferito tornare al mio vecchio Rover1 trasformato in “Magazzino di pezzi di ricambio”a rubare il suo sistema di riscaldamentoambientale. Ho saccheggiato quel povero rovercosì tanto che sembra che l’abbia parcheggiato inun brutto quartiere della città.

Ho piazzato l’apparato sul mio “banco dalavoro” esterno e l’ho collegato all’alimentazioneelettrica dello Hab. Poi l’ho inseritonell’alloggiamento che aveva ospitato la batteriadel lander.

Adesso aspetto. E spero.

Giornale di bordo: Sol 96

Speravo davvero di trovare al mio risveglio unlander funzionante, ma non mi è andata bene. Lasua antenna ad alto guadagno è dove l’ho vistal’ultima volta. Perché conta qualcosa? Be’, ve lospiego…

Se il lander resuscita (e qui c’è un “se” grossocosì), cerca di stabilire un contatto con la Terra. Ilproblema è che non c’è nessuno in ascolto. Non èpensabile che la squadra del Pathfinder sia ancorapresente e operativa al JPL nella remota eventualitàche la loro sonda morta da anni venga riparata daun astronauta naufrago.

Tutte le mie speranze sono riposte nel DeepSpace Network e nel SETI. Sono loro quelli con lemaggiori probabilità di intercettare un segnale delPathfinder, nel qual caso lo riferirebbero al JPL.

Il JPL capirebbe subito che cosa sta succedendo,specialmente dopo che avranno triangolato ilsegnale trovando la mia base di atterraggio.

Comunicherebbero al lander dove si trova laTerra e il lander punterebbe di conseguenza

l’antenna ad alto guadagno. Ecco perchédall’angolazione dell’antenna posso sapere sel’apparecchio si è sintonizzato.

Finora niente.C’è ancora speranza. Può esserci un ritardo

dovuto a un gran numero di ragioni. Il sistema diriscaldamento del rover è progettato per scaldarel’aria a un’atmosfera e la rarefatta aria marzianane pregiudica gravemente l’efficienza. Dunque èpossibile che gli apparati elettronici abbianobisogno di più tempo per scaldarsi.

La Terra poi è visibile solo durante il giorno. Ioho riparato (sperabilmente) il lander ieri sera.Adesso è mattina, quindi per quasi tutto il tempointercorso era notte. Niente Terra.

Neppure il Sojourner dà segni di vita. Per tuttala notte se ne è stato nel gradevole e climatizzatoambiente dello Hab con un bel po’ di luce sui suoilucidi e scintillanti pannelli solari. Forse staeffettuando un’estesa autoanalisi o semplicementenon fa niente finché non riceve informazioni dallander o che so io.

L’unica cosa che posso fare è non pensarci,almeno per ora.Pathfinder LOG: SOL 0INIZIATA SEQUENZA AVVIOORA 00:00:00INDIVIDUATA PERDITA POTENZA, ORA/DATA

INAFFIDABILICARICAMENTO OS…

VXWARE OPERATING SYSTEM (C) WIND RIVERSYSTEMS ESEGUE

DIAGNOSI HARDWARE:TEMPERATURA INT.: -34 °CTEMPERATURA EST.: INATTIVOBATTERIA: FULLHIGAIN: OKLOGAIN: OKSENSORE VENTO: INATTIVOMETEOROLOGIA: INATTIVOASI: INATTIVOIMAGER: OKRAMPA ROVER: INATTIVOSOLAR A: INATTIVOSOLAR B: INATTIVOSOLAR C: INATTIVOANALISI HARDWARE COMPLETA

STATUS TRASMISSIONEATTESA SEGNALE TELEMETRIA…ATTESA SEGNALE TELEMETRIA…ATTESA SEGNALE TELEMETRIA…

SEGNALE ACQUISITO…

11

«Sta arrivando qualcosa… sì… sì! È ilPathfinder!».

La sala affollata esplose in una salva diapplausi e grida di giubilo. Venkat calò unapossente manata sulla schiena di un tecnicosconosciuto, mentre Bruce agitava nell’aria ilpugno chiuso.

Il centro di controllo appositamente allestito peril Pathfinder era a modo suo un piccolocapolavoro. Negli ultimi venti giorni una squadradi ingegneri del JPL aveva lavorato giorno e notteper radunare vecchi computer, riparare componentiguasti, mettere tutto in rete e installare un softwarecreato in tutta fretta che permettesse ai vecchisistemi di interagire con il moderno Deep SpaceNetwork.

Il locale che era stato scelto era una sala dariunioni: il JPL non aveva spazi pronti per esigenzeimprovvise. Già piena zeppa di computer e

periferiche, con l’aggiunta di tutti quegli spettatoristipati in tutti i varchi tra le varie postazioni,l’atmosfera era diventata decisamenteclaustrofobica.

Una équipe dell’Associated Press se ne stavaschiacciata contro il muro in fondo alla sala acercare invano di non intralciare i tecnici mentreregistravano con le telecamere il momentofatidico. Il resto dei media si sarebbe dovutoaccontentare della trasmissione in diretta dell’APin attesa di una conferenza stampa.

Venkat si complimentò con Bruce. «Dannazione,Bruce. Questa volta hai tirato veramente fuori unconiglio dal cilindro! Bel lavoro!».

«Io sono solo il direttore», si schermì Bruce.«Vanno ringraziati i ragazzi che hanno fattofunzionare tutta questa roba».

«E lo farò!». Venkat era raggiante. «Ma primadevo parlare al mio nuovo migliore amico!».

Si rivolse all’uomo munito di cuffie seduto allaconsole delle comunicazioni. «Come si chiama,nuovo migliore amico?», gli chiese.

«Tim», rispose il tecnico senza staccare gliocchi dallo schermo.

«Adesso che succede?», volle sapere Venkat.«Abbiamo inviato in automatico la telemetria di

ritorno. Ci metterà poco più di undici minuti.Dopodiché il Pathfinder darà inizio alletrasmissioni ad alto guadagno. Dunque devonopassare ventidue minuti prima che ci arrivi dinuovo qualcosa».

«Venkat ha un dottorato in fisica, Tim», disseBruce. «Non c’è bisogno che gli spieghi comefunziona con i tempi di trasmissione».

Tim alzò le spalle. «Non si può mai sapere con idirettori».

«Cosa c’era nella trasmissione che abbiamoricevuto?», domandò Venkat.

«Solo dati base. Un’autodiagnosi hardware.Molti dei suoi sistemi non sono attivi per il fattoche erano collegati ai pannelli che Watney hatolto».

«La telecamera?»«Dice che l’imager funziona. Appena possiamo

facciamo una panoramica».

Giornale di bordo: Sol 97

Ha funzionato!Merda secca, ha funzionato!Mi sono appena messo la tuta per controllare il

lander. L’antenna ad alto guadagno è puntatadirettamente sulla Terra! Il Pathfinder non puòsapere dove si trova, dunque non ha modo disapere dov’è la Terra. Il solo modo perché loscopra è per aver ricevuto un segnale.

Sanno che sono vivo!Non so nemmeno cosa dire. Era un piano folle e

non so perché, ma ha funzionato! Presto parlerò dinuovo con qualcuno. Ho passato tre mesi da uomopiù solo in tutta la storia dell’umanità e finalmenteè finita.

Non è mica detto che per questo verrò salvato,no. Ma non sarò solo.

Mentre ero alle prese con il recupero delPathfinder, cercavo di immaginare come sarebbestato questo momento. Pensavo che mi sarei messo

a saltare su e giù per un po’, cacciare qualche urlo,magari mostrare il dito medio al suolo (perchéquesto pianeta del cazzo è mio nemico), ma non èquello che è successo. Quando sono rientrato nelloHab e mi sono tolto la tuta, mi sono seduto sul miostrato di terra e ho pianto. Ho frignato per qualcheminuto come un bambino piccolo.

Quando finalmente mi è passata la crisi e ormaitiravo solo su con il naso, mi sono sentito invadereda una grande calma.

Era una calma buona.Allora ho pensato: “Adesso che forse vivrò,

devo essere meno disinvolto nell’affidare algiornale di bordo i momenti imbarazzanti. Come sifa a cancellare le annotazioni? Non c’è un modoimmediato… Mi ci dedicherò più tardi. Adesso hocose più importanti da fare.

Ho gente con cui parlare!

Venkat salì sorridendo sulla pedana nella salastampa del JPL.

«Poco più di un’ora fa abbiamo avuto unarisposta dall’antenna direzionale », disse ai

giornalisti. «Abbiamo ordinato immediatamente alPathfinder di darci un’immagine panoramica e ciauguriamo che Watney abbia qualche messaggioper noi. Domande?».

Si alzò una selva di mani.«Cathy, cominciamo da lei», disse Venkat

indicando l’inviata della CNN.«Grazie», rispose lei. «Avete avuto contatti con

il rover Sojourner?»«Purtroppo no», ammise Venkat. «Il lander non è

stato in grado di collegarsi al Sojourner e noi nonabbiamo modo di contattarlo direttamente».

«Cosa potrebbe non funzionare sul Sojourner?»«Non saprei nemmeno avanzare un’ipotesi»,

rispose Venkat. «Dopo essere rimasto su Marte pertutto quel tempo, può essergli successo di tutto».

«La probabilità maggiore?»«Secondo noi potrebbe averlo portato nello

Hab. Attraverso il telone il segnale del lander nonarriverebbe al Sojourner». Puntò il dito su un altrogiornalista. «Lei laggiù», disse.

«Marty West, NBC News», si presentò lui.«Come comunicherete con Watney dopo che avrete

messo tutto in moto?»«Dipenderà da Watney», rispose Venkat. «Noi

possiamo solo operare con la telecamera. Potràscrivere dei messaggi e mostrarceli. Ma quanto anoi, parlare a lui è un po’ più complicato».

«Perché?»«Perché noi abbiamo solo la base su cui è

montata la telecamera. È l’unico elemento mobile.Ci sono vari modi per inviare informazioni usandola rotazione della base, ma non abbiamo modo diindicare a Watney quale utilizziamo. Dovrà esserelui a inventarsi qualcosa e dirlo a noi. Seguiremole sue istruzioni».

Indicò un’altra corrispondente. «Prego», disse.«Jill Holbrook, BBC. Con intervalli di tempo di

trentadue minuti e nient’altro che una base rotantecon cui comunicare, sarà una conversazioneterribilmente lenta, no?»

«Infatti», confermò Venkat. «Attualmente adAcidalia Planitia è primo mattino e qui a Pasadenasono appena passate le tre antimeridiane.Resteremo qui tutta la notte ed è solo un inizio.Basta con le domande adesso. Mancano pochi

minuti all’arrivo della panoramica. Vi terremoaggiornati».

Venkat scomparì da una porta laterale prima chequalcuno cercasse di sapere qualcos’altro e tornòin tutta fretta nella sala dove avevano allestito ilcentro di controllo del Pathfinder. Si fece largotra i presenti per raggiungere la console dicomunicazione.

«Allora, Tim?»«Niente», rispose il tecnico. «Ma stiamo qui a

fissare questo schermo vuoto perché è mille voltepiù interessante delle foto di Marte».

«Sei uno spiritosone, Tim», lo apostrofò Venkat.«Ne prendo nota».Arrivò anche Bruce. «Ancora qualche

secondo», annunciò.Il tempo trascorse nel silenzio.«C’è qualcosa», disse a un tratto Tim. «Sì. È la

panoramica».Sospiri di sollievo e mormorii sostituirono il

silenzio colmo di tensione di poco prima. Sulloschermo cominciò a formarsi l’immagine dasinistra verso destra alla velocità di lumaca dovuta

alle limitazioni di banda dell’antiquato sistema ditrasmissione in dotazione alla sonda.

«Superficie marziana…», disse Venkat mentre lelinee si andavano lentamente riempiendo. «Altrasuperficie…».

«Un pezzetto di Hab!», esclamò Bruce puntandoil dito sullo schermo.

«Hab», confermò Venkat sorridendo. «Adessoun po’ di più… Ancora Hab… È un messaggio? Sì,è un messaggio!».

Quando l’immagine diventò più dettagliatamostrò una nota scritta a mano e sospesa con unasottile bacchetta metallica all’altezza dellatelecamera.

«Abbiamo un messaggio da Mark!», annunciòVenkat ai presenti.

Scrosciarono gli applausi, che si spensero inpochi secondi. «Cosa dice?», chiese qualcuno.

Venkat si chinò avvicinandosi allo schermo.«Dice… “Scriverò domande qui. Mi ricevete?”».

«Bene», commentò Bruce.«Dice così», ribadì Venkat.

«Un altro messaggio», disse Tim guardandol’immagine che finiva di completarsi sul monitor.

Venkat si chinò di nuovo. «Questo dice: “Puntatequi per sì”».

Incrociò le braccia. «Benissimo. Siamo incomunicazione con Mark. Tim, punta la telecamerasu “sì”. Poi comincia a scattare foto a intervalli didieci minuti finché non ci sottopone un’altradomanda».

Giornale di bordo: Sol 97 (2)

“Sì!”. Hanno detto: “Sì!”.Era dalla sera del ballo del liceo che non ero

stato così eccitato per un “sì”.Okay, calmiamoci.Non ho molta carta su cui scrivere. Queste

schede dovevano servire per etichettare icampioni. Ne ho una cinquantina. Posso usareentrambi i versi e volendo posso ancheriutilizzarle grattando via la domanda precedente.

Il pennarello che sto usando durerà molto piùdelle schede, quindi l’inchiostro non è unproblema. Ma devo preparare tutti i miei scrittinello Hab. Non so con quale pappa allucinogenasia fatto quell’inchiostro, ma sono più che sicuroche nell’atmosfera di Marte evaporerebbe in unlampo.

Per alzare le schede uso pezzi dell’antennaandata distrutta. C’è una dose di ironia in questo.

Dovremo trovare qualcosa di più rapido di unoscambio di domande da sì/no ogni mezz’ora. Latelecamera può ruotare di 360 gradi e ho pezzid’antenna in quantità. Mi ci vuole un alfabeto. Manon posso semplicemente usare le lettere dalla Aalla Z. Ventisei lettere più la scheda con ladomanda assommerebbero a ventisette schededisposte a cerchio nel lander. Ne avrei una ogni 13gradi. Anche se il JPL puntasse la telecamera allaperfezione, è abbastanza probabile che non capireiche lettera intende.

Dunque dovrò usare l’ASCII. È così chefunzionano i caratteri nei computer. Ogni carattereha un codice numerico tra 0 e 255. I valori tra lo 0

e il 255 si possono esprimere con due cifreesadecimali. Con coppie di cifre esadecimalipossono mandarmi qualunque carattere, compresinumeri, punteggiatura e tutto il resto.

Come faccio a sapere quale valore vieneattribuito a un carattere? Lo so perché il laptop diJohanssen è una miniera di informazioni. Ero certoche da qualche parte conteneva anche una tavolaASCII. È una cosa che fanno tutti i fanatici diinformatica.

Dunque preparerò delle schede dallo 0 al 9 edalla A alla F. Sono sedici cartoncini da collocareintorno alla telecamera, con l’aggiunta di quelloper la domanda. Con diciassette schede abbiamoarchi di intervallo di più di ventun gradi ciascuno.Molto più efficiente.

Mettiamoci al lavoro!Compitate con ASCII. 0-F a incrementi di 21 gradi. Osserverò

camera da 11:00 ora mia. Finito messaggio, tornate in questaposizione. Aspettate 20 minuti dopo completamento per scattare foto(così posso scrivere la risposta). Ripetete processo a partire da ogniora.

S…T…A…T…O

Nessun problema fisico. Tutti i componenti Hab funzionanti.Consumo ¾ razione per volta. Riuscita coltivazione in Hab in terrenoreso fertile. Nota: situazione non responsabilità equipaggio Ares 3.Sfortuna.

C…O…M…E…V…I…V…OInfilzato da frammento antenna. Svenuto per decompressione.

Finito faccia in giù, sangue sigillato strappo. Risvegliato dopoequipaggio partito. Computer bio-monitor distrutto da antenna.Logico equipaggio mi pensasse morto. Non colpa loro.

C…O…L…T…I…V…A…Z…I…O…N…E…?Lunga storia. Botanica estrema. Ho 126 m2 di terreno coltivato a

patate. Aumenterà disponibilità cibo, ma non abbastanza da durarefino ad arrivo Ares 4. Modificato rover per viaggi lunga percorrenza,intendo trasferirmi Ares 4.

V…I…S…T…O… – …S…A…T…E…L…L…I…T…EIl governo mi spia con i satelliti? Mi serve cappello stagnola! Mi

serve anche sistema più veloce comunicazione. Questo troppo lento.Idee?

P…O…R…T…A…S…J…R…N…R…F…U…O…R…IRover Sojourner portato fuori, piazzato un metro a nord di lander.

Se potete contattarlo, io posso disegnare cifre hex su ruote e voipotete mandarmi sei byte per volta.

S…J…R…N…R…N…O…N…R…S…P…N…DDannazione. Altre idee? Necessita comunicazione più veloce.C…I…L…A…V…O…R…I…A…M…OLa Terra sta per tramontare. Riprendo 08:00 ora mia domattina.

Dite famiglia sto bene. Saluti cari all’equipaggio. Dite comandanteLewis musica disco fa schifo.

Mentre cercava di organizzare i documenti cheaveva sulla scrivania, Venkat batté ripetutamente lepalpebre nel tentativo di far funzionare meglio gliocchi annebbiati dalla fatica. La scrivania che gliera stata messa a disposizione al JPL era nient’altroche un tavolino pieghevole in fondo a uno deilocali adibiti alle pause del personale. Per tutto ilgiorno c’era gente che entrava e usciva a prenderespuntini e merendine, ma almeno aveva ilvantaggio del caffè sempre a portata di mano.

«Mi scusi», disse un uomo avvicinandosi al suotavolino.

«Sì, la Diet Coke è finita», gli disse Venkatsenza alzare la testa. «Non so quando SiteServices ricarica il frigo».

«Per la verità sono qui per parlare con lei,dottor Kapoor».

«Ah sì?», ribatté Venkat alzando gli occhi.Scosse la testa. «Abbia misericordia, sono rimastoin piedi tutta la notte». Tracannò il suo caffè. «Chenome mi ha detto?»

«Jack Trevor», rispose il suo interlocutore, unuomo magro e particolarmente pallido. «Lavoro

alla programmazione».«Che cosa posso fare per lei?»«Abbiamo un’idea per la comunicazione».«Sono tutt’orecchi».«Abbiamo esaminato il vecchio software del

Pathfinder. Abbiamo allestito dei duplicati dicomputer che stiamo testando. Gli stessi computerche hanno usato per individuare un problema cheper poco non aveva ammazzato la missione sulnascere. Una storia davvero interessante. Si èscoperto che nella scaletta operativa del Sojournerc’era un’inversione di priorità e…».

«Restiamo sul pezzo, Jack», lo interruppeVenkat.

«Giusto. Dunque risulta che il Pathfinder siaprovvisto di un procedimento di aggiornamento delsistema operativo. Dunque possiamo modificare ilsoftware in tutto quello che vogliamo».

«E questo come ci aiuterebbe?»«Il Pathfinder ha due sistemi di comunicazione.

Uno per parlare con noi, l’altro per parlare con ilSojourner. Possiamo cambiare il secondo sistemaperché trasmetta sulla frequenza del rover di Ares

3. E possiamo fargli credere di essere il radiofarodello Hab».

«Potete far comunicare il Pathfinder con ilrover di Mark?»

«È l’unica opzione. La radio dello Hab è morta,ma il sistema di comunicazione a bordo del rovercomunica con lo Hab e l’altro rover. Il problema èche per implementare un nuovo sistema dicomunicazione è necessario che entrambi gli agentiusino il software giusto. Possiamo aggiornare daqui il Pathfinder, ma non il rover».

«Dunque», ricapitolò Venkat, «potete fare inmodo che il Pathfinder parli al rover, ma nonpotete fare in modo che il rover ascolti orisponda».

«Così è. L’idea sarebbe che il nostro testocompaia sullo schermo del rover e che tutto quelloche scriverà Watney venga spedito a noi. Perottenerlo è necessario modificare il software delrover».

Venkat sospirò. «Che senso ha questadiscussione se non possiamo aggiornare ilsoftware del rover?».

Jack sorrise. «Noi non possiamo fare lamodifica», disse, «ma Watney sì! Noi mandiamo idati e lui inserisce l’aggiornamento nel sistema delrover».

«Di quanti dati stiamo parlando?»«Ho messo una squadra a lavorare sul software

del rover. Il file patch sarà di 20 MB come minimo.Possiamo inviare a Watney un byte ogni quattrosecondi o giù di lì con il sistema alfabetico. Perfargli arrivare l’intero patch ci vorranno tre anni ditrasmissioni costanti. Ovviamente non va bene».

«Ma è venuto a parlare con me, dunque unasoluzione c’è, giusto?», indagò Venkat resistendoalla tentazione di gridare.

«Ma certo!», esclamò Jack trionfante. «In fattodi trattamento dei dati i programmatori sono dellevere carogne».

«Mi illumini».«Ecco la genialata», disse Jack abbassando la

voce in tono cospiratorio. «Attualmente il roveranalizza i byte del segnale e identifica la sequenzaspecifica inviata dallo Hab. In tal modo vengono

escluse le interferenze delle onde radio naturali.Se i byte non sono quelli giusti, il rover li ignora».

«D’accordo, e allora?»«Allora significa che nel codice sorgente c’è un

punto in cui si trovano i byte che stabiliscono lasintassi. Noi possiamo inserire una piccola stringadi codice, una ventina di istruzioni, in modo che ibyte di controllo sintattico vengano trascritti in unfile di log prima che ne venga controllata lavalidità».

«Suona promettente…», mormorò Venkat.«Lo è!», proruppe Jack. «Per prima cosa

aggiorniamo il Pathfinder in modo che sappiacome parlare al rover. Poi spieghiamo a Watneycome aggiungere al software del rover quelle ventiistruzioni. Poi facciamo inviare il software nuovoal rover dal Pathfinder. Il rover archivia i byte inun file di log. Infine Watney lancia il file comeeseguibile e il rover si aggiorna da solo!».

Venkat corrugò la fronte. La sua mente privata diun giusto quantitativo di sonno stava cercando diassorbire più informazioni di quante fosse in gradodi accogliere.

«Ehm», si fece sentire Jack. «Non la vedomanifestare grande entusiasmo».

«Dunque avete solo bisogno di mandare aWatney quelle venti istruzioni?», domandò Venkat.

«Quelle e come editare i file. E dove inserire leistruzioni nei file».

«Solo questo?»«Solo questo!».Per un momento Venkat rimase zitto. «Jack,

regalerò a tutta la sua squadra souvenir autografatidi Star Trek».

«Preferisco Guerre stellari», ribatté ilprogrammatore girandosi per andarsene. «Solo latrilogia originale, naturalmente».

«Naturalmente», fece eco Venkat.Jack era appena uscito, che a Venkat si avvicinò

una donna.«Sì?», chiese Venkat.«Non trovo la Diet Coke. L’abbiamo finita?»«Sì», rispose Venkat. «Non so quando Site

Services rifornisce il frigo».«Grazie», disse lei.

Venkat stava per rimettersi al lavoro quandosquillò il suo cellulare. Lanciò un potente gemitoal soffitto e afferrò il telefonino.

«Pronto?», disse con tutta l’allegria che aveva adisposizione.

«Ho bisogno di un’immagine di Watney».«Salve, Annie. Anche per me è un piacere

risentirti. Come va a Houston?»«Risparmiami le stronzate, Venkat. Ho bisogno

di una foto».«Non è così semplice», spiegò Venkat.«Parlate con lui tramite una telecamera del

cazzo. Perché non si può avere un’immagine?»«Noi gli compitiamo il nostro messaggio,

aspettiamo venti minuti, e dopo scattiamo una foto.Nel frattempo Watney è già nello Hab».

«Allora digli di farsi vedere quando prenderetela prossima foto», pretese Annie.

«Possiamo mandargli il nostro messaggio solouna volta ogni ora e solo quando Acidalia Planitiaè girata dalla parte della Terra», disse Venkat.«Non sprecheremo un messaggio solo per dirgli diposare per una foto. E comunque indosserebbe la

tuta spaziale. Non si riuscirebbe a vederenemmeno la faccia».

«Venkat, mi serve qualcosa», insisté Annie.«Siete in contatto da ventiquattr’ore e i mediastanno dando fuori di matto. Vogliono un’immagineper la loro storia. Sarà in tutti i telegiornali delmondo».

«Hai le foto dei suoi messaggi. Accontentati».«Non bastano», protestò Annie. «Quelli dei

media mi si stanno infilando in gola. E mi vengonosu per il culo. Da entrambe le direzioni, Venkat!S’incontreranno in mezzo!».

«Dovranno aspettare qualche giorno.Cercheremo di stabilire un collegamento tra ilPathfinder e il computer del rover…».

«Qualche giorno?», sbottò Annie con la vocestrozzata. «In questo preciso momento, in tutto ilmondo, non c’è nient’altro che valga qualcosa.Questa è la storia più grossa dai tempi di Apollo13. Dammi quella cazzo di foto!».

Venkat sospirò. «Cercherò di procurarmene unadomani».

«Grandioso! Non sto nella pelle».

Giornale di bordo: Sol 98

Quando si mette a compitare, devo stare moltoattento alla telecamera. Va a mezzo byte per volta.Così guardo un paio di cifre e le controllo sullatavola ASCII che mi sono fatto. Viene fuori unalettera.

Non voglio dimenticarne neppure una, così leincido nella polvere con una bacchetta. Ilprocedimento di cercare la lettera nella miatabella e tracciarla nella polvere mi prende unpaio di secondi. Mi capita di perdere qualchenumero, mentre non sto guardando l’obiettivo. Disolito riesco a intuirlo dal contesto, ma ogni tantonon ci arrivo.

Stamane mi sono alzato ore prima delnecessario. Era un po’ come la mattina di Natale!Non vedevo l’ora che arrivassero le otto. Ho fattocolazione, ho controllato il funzionamento dialcune delle attrezzature dello Hab senza che ce ne

fosse bisogno e ho letto un po’ di Poirot.Finalmente è arrivato il gran momento!

POSHACKRVRXCOMPTHFDRPREPXMSGLU

Sì. Mi ci è voluto un minuto. “Possibile hackrover per comunicare Pathfinder. Preparati permessaggio lungo”.

L’esercizio ha richiesto un po’ di ginnasticamentale, ma la notizia è splendida! Se ce lafacciamo davvero, l’unica limitazione che avremosarà quella dei tempi di trasmissione! Hopreparato un messaggio che diceva: “Roger”.

Ero perplesso sul significato di “messaggiolungo”, ma mi sono comunque preparato al peggio.Sono uscito con quindici minuti di anticipo sulloscoccare dell’ora e ho lisciato un grande tratto diterreno. E ho scelto l’asta d’antenna più lunga traquelle avanzate in maniera da poter scriverenell’area lisciata senza doverci entrare con i piedi.

Poi me ne sono stato lì buono. In attesa.Allo scoccare dell’ora è arrivato il messaggio.

LANhexeditCOMPRVR,OPENFILE-/usr/lib/habcomm.so-SCROLLIDXSIN: 2AAE5,

SOVRASCR141BYTCONDATAPROXMSG,RESTAINVISTAXFOTO20MINDOPOFATTO

Gesù. Va bene…Vogliono che lanci “hexedit” sul computer del

rover, che apra quindi il file /usr/lib/habcomm.so,che lo scorra fino alla stringa indicizzata sullasinistra dello schermo con 2AAE5, e chesostituisca quei byte con una sequenza di 141 chela NASA mi invierà con il prossimo messaggio.Bene, si può fare.

Inoltre, non so perché, ma vogliono che resti quiper la prossima foto. Mistero. Quando indosso latuta di me non si vede assolutamente niente.Persino la visiera del casco riflette troppo la luce.Comunque, se è questo che vogliono…

Sono tornato dentro e ho trascritto il messaggioper dopo. Poi ho buttato giù una veloce risposta esono tornato fuori. Di solito appendo la miascheda e rientro. Questa volta sono dovutorimanere fuori ad aspettare che mi facessero unafoto.

Ho mostrato un “evvai” con il pollice alzato inallegato al mio messaggio, che era: “Ehiiii!”.

Tutta colpa dei telefilm anni Settanta.

«Chiedo una foto e mi becco Fonzie?». Il tonodi Annie era di rimprovero.

«Hai avuto la tua foto, smettila di lamentarti»,rispose Venkat con il ricevitore del telefonoincastrato tra collo e spalla. Prestava piùattenzione alle bozze che aveva davanti che allaconversazione.

«Ayyyyyy!», fece Annie in tono di scherno. «Sipuò sapere cosa gli è venuto in mente?».

«Hai conosciuto Mark Watney di persona?».«D’accordo, d’accordo», si arrese Annie. «Ma

voglio immediatamente una foto della sua faccia».«Non si può fare».«Perché?»«Perché se si toglie il casco, muore. Devo

andare, Annie, c’è qui uno dei programmatori delJPL ed è urgente. Ciao!».

«Ma…», disse Annie mentre Venkat chiudeva lacomunicazione.

Jack, fermo sulla soglia, disse: «Non è urgente».«Sì, lo so», rispose Venkat. «Cosa posso fare

per lei?»

«Stavamo pensando», cominciò Jack. «Questamodifica alla programmazione del rover potrebberichiedere una serie di istruzioni particolareggiate.È possibile che ci sia bisogno di comunicare piùvolte con Watney».

«Benissimo», disse Venkat. «Prendete tutto iltempo che vi serve, che tutto sia fatto nel modomigliore».

«Potremmo accelerare le cose con un tempo ditrasmissione più breve», notò Jack.

Venkat gli rivolse uno sguardo dubbioso. «Aveteun piano per avvicinare la Terra a Marte?»

«Non c’è bisogno di coinvolgere la Terra»,rispose Jack. «In questo momento Hermes è asettantatré milioni di chilometri da Marte. Sonosolo quattro minuti luce. Beth Johanssen èun’ottima programmatrice. Potrebbe assistereMark nell’operazione».

«Fuori questione», sentenziò Venkat.«È lei la sysop, l’operatrice di sistema della

missione», insisté Jack. «Le sue competenzeriguardano esattamente il funzionamento deisistemi operativi».

«Non si può fare, Jack. L’equipaggio non saancora niente».

«Ma che vi prende? Perché non glielo dite?»«Watney non è la sola persona di cui sono

responsabile», si giustificò Venkat. «Ho altricinque astronauti nello spazio cosmico che devonoconcentrarsi sul loro viaggio di ritorno. Nessuno cipensa, ma in questo momento sono statisticamentein una condizione di pericolo più grave di Watney.Lui è su un pianeta. Loro sono nello spazio».

Jack alzò le spalle. «Va bene, vuol dire che lofaremo alla maniera lenta».

Giornale di bordo: Sol 98 (2)

Avete mai trascritto 141 byte che vi arrivano inordine sparso, mezzo byte per volta?

È una noia mortale. E se non avete una penna èun casino.

Prima avevo semplicemente scritto lettere nellasabbia. Questa volta invece avevo bisogno di

avere gli esadecimali su qualcosa di portatile. Lamia prima idea è stata: usa un laptop!

Tutti i membri dell’equipaggio hanno un laptoppersonale. Quindi io ne avevo a disposizione sei.O per meglio dire ne avevo avuti sei. Ora ne hocinque. Avevo pensato di poterlo utilizzaretranquillamente all’aperto. È tutta elettronica ebasta, giusto? In un lasso di tempo breve sarebberimasto abbastanza caldo da poter funzionare e nonaveva bisogno di aria.

Morto all’istante. Lo schermo si è spento primaancora che uscissi dalla camera d’equilibrio. Saltafuori che “L” in “LCD” sta per “liquido”. O si ècongelato o si è lessato. Magari posto unasegnalazione da utente: “Portato prodotto susuperficie di Marte. Smesso di funzionare. 0/10”.

Così ho usato una telecamera. Ne ho a bizzeffe,progettate appositamente per funzionare su Marte.Ho scritto i byte nella sabbia via via che me lihanno inviati, ho scattato una foto e li ho trascrittiall’interno dello Hab.

Adesso è notte, basta messaggi. Domani immettoi dati nel programma del rover, dopodiché lascerò

fare ai cervelloni del JPL.

Nell’atmosfera dell’improvvisata sala dicontrollo del Pathfinder aleggiava un odorepercettibile. Il sistema di ventilazione non eraprogettato per la presenza di tutta quella gente eciascuno di loro aveva lavorato incessantementesenza molto tempo per l’igiene personale.

«Venga quassù, Jack», chiamò Venkat. «Oggisarà lei l’angelo custode di Tim».

«Grazie», rispose Jack prendendo il suo postoaccanto a Tim. «Salve, Tim!».

«Jack», disse Tim.«Quanto ci vorrà per il patch?», domandò

Venkat.«Dovrebbe essere praticamente istantaneo»,

rispose Jack. «Watney ha già immesso lo hack enoi abbiamo confermato che funziona. Abbiamoaggiornato l’OS del Pathfinder senza problemi.Abbiamo inviato il patch per il rover che ilPathfinder ha ritrasmesso. Quando Watney renderàil patch eseguibile e riavvierà il sistema del rover,dovremmo ottenere un collegamento».

«Gesù, che cosa complicata», brontolò Venkat.«Provi lei una volta o l’altra ad aggiornare un

server Linux», disse Jack.«Sa che era una battuta, vero?», chiese Tim

dopo qualche secondo di silenzio totale. «Volevaessere divertente».

«Oh», fece Venkat. «Io sono un uomo di fisica,non un uomo di computer».

«Lui non fa ridere nemmeno gli uomini dicomputer».

«Tu sei una persona molto sgradevole, Tim»,commentò Jack.

«Il sistema è online», annunciò Tim.«Cosa?»«È online. PTI».«Porca vacca!», sbottò Jack.«Ha funzionato!», annunciò Venkat a tutti i

presenti in sala.[11:18] JPL: Mark, sono Venkat Kapoor. Ti stiamo osservando da

Sol 49. Il mondo intero fa il tifo per te. Andare al Pathfinder è stataun’impresa straordinaria. Stiamo lavorando a piani per recuperarti. IlJPL sta modificando l’MDV di Ares 4 per eseguire un brevesorvolo. Verranno a prelevarti e ti porteranno con loro allo

Schiaparelli. Stiamo preparando un invio di provviste per nutrirti finoall’arrivo di Ares 4.

[11:29] WATNEY: Felice di saperlo. Ce la sto mettendo davverotutta per non morire. Voglio che sia chiaro che non è stata colpadell’equipaggio. A proposito: cos’hanno detto quando hanno saputoche sono vivo? E poi: “Ciao mamma!”.

[11:41] JPL: Dicci della tua “coltivazione”. A razioni di ¾ abbiamocalcolato che le tue scorte alimentari dovrebbero durare fino a Sol400. La tua coltivazione modifica questa stima? Quanto alla tuadomanda: ancora non abbiamo detto all’equipaggio che sei vivo.Volevamo che si concentrassero sulla loro missione attuale.

[11:52] WATNEY: La coltivazione è di patate, ottenuta da quelleche avremmo dovuto preparare per il Ringraziamento. Procedonoalla grande, ma il terreno coltivabile a disposizione non basta alla miasopravvivenza. Finirò i viveri intorno a Sol 900. Inoltre: diteall’equipaggio che sono vivo! Cosa cazzo vi ha preso?

[12:04] JPL: Sottoporremo quesiti dettagliati a dei botanici everificheremo il risultato del tuo lavoro. È in gioco la tua vita, quindivogliamo essere sicuri. Sol 900 è un’ottima notizia. Ci dà molto piùtempo per preparare la missione di scorte supplementari. Ti pregoanche di badare al linguaggio. Tutto quello che scrivi vieneritrasmesso in diretta in tutto il mondo.

[12:15] WATNEY: Guardate! Un paio di tette grosse! –> (.Y.)

«Grazie, signor Presidente», disse Teddyparlando al telefono. «Ho apprezzato la telefonatae trasmetterò le sue congratulazioni a tuttal’organizzazione».

Chiuse la comunicazione e posò il telefonosull’angolo della scrivania, perfettamente allineatoal bordo.

Mitch bussò sulla porta aperta del suo ufficio.«È un momento buono?», chiese.«Entra, Mitch», lo invitò Teddy. «Siediti».«Grazie». Mitch andò ad accomodarsi su un

elegante divano in pelle. Abbassò il volumedell’auricolare.

«Come va al Controllo Missione?», domandòTeddy.

«Meglio non potrebbe», rispose Mitch. «ConHermes tutto fila liscio. E sono tutti su di giri perquello che sta succedendo al JPL. Oggi percambiare è stata una giornata estremamentepositiva!».

«Già, l’hai detto», convenne Teddy. «Un altropasso verso il ritorno di Watney sano e salvo».

«Sì, a questo proposito», ribatté Mitch.«Probabilmente sai perché sono qui».

«Me lo posso immaginare», disse Teddy.«Volete che dica all’equipaggio che Watney èvivo».

«Sì», confermò Mitch.«E tu vieni a sottopormelo qui mentre Venkat è a

Pasadena così lo tieni in fuorigioco».«Non avrei il dovere di chiedere

l’autorizzazione né a te, né a Venkat, né a nessunaltro. Io sono il direttore di volo. Sarebbe dovutaessere responsabilità mia fin dal principio, ma voidue vi siete messi in mezzo e mi avete fermato.Lasciando stare tutto questo, noi abbiamo accettatodi informarli quando ci fosse stata una speranza. Eadesso la speranza c’è. Abbiamo modo dicomunicare, abbiamo in lavorazione un piano disalvataggio e la sua fattoria agricola ci garantisceil tempo che ci serve per fargli arrivare delle altreprovviste».

«D’accordo, diteglielo», disse Teddy.Mitch rimase in silenzio. «Così?»«Sapevo che prima o poi saresti venuto, così ci

ho già pensato e ho preso la mia decisione.Procedete, metteteli al corrente».

Mitch si alzò. «D’accordo. Grazie», dissementre usciva.

Teddy ruotò la poltrona e contemplò il cielonotturno dalle vetrate. Pensò al debole puntinorossiccio in mezzo alle stelle. «Tieni duro,Watney», mormorò. «Stiamo arrivando».

12

Watney dormiva pacificamente sulla sua branda.Cambiò leggermente posizione cullato da un sognopiacevole che lo faceva sorridere. Il giorno primaaveva effettuato tre EVA, tutte dedicate a faticosiinterventi di manutenzione sullo Hab. Perciòdormiva di un sonno profondo e riposante comenon gli accadeva da tempo.

«Buongiorno, ciurma!», esclamò Lewis. «È ungiorno nuovo di zecca! Sol 6! Tutti in piedi, abili escattanti!».

Watney unì la propria voce a un coro di gemiti.«Andiamo», li incalzò Lewis, «senza tante

storie. Avete dormito quaranta minuti di più che sefoste sulla Terra».

Il primo a lasciare la sua branda fu Martinez.Era dell’aeronautica militare e non avevadifficoltà a adeguarsi ai ritmi da marina militareimposti da Lewis. «’giorno, comandante», salutòcon brio.

Johanssen si alzò a sedere ma non fecenient’altro di conciliante verso il mondo crudelefuori delle sue coperte. Era una softwarista incarriera e le mattine non erano mai state il suoforte.

Vogel abbandonò lentamente il suo giaciglioconsultando l’orologio. Indossò in silenzio la tutadi volo, lisciando al meglio tutte le pieghe chepoté. Sospirò mentalmente alla tetra prospettiva diun altro giorno senza una doccia.

Watney si girò dall’altra parte schiacciandosi ilguanciale sulla testa. «Andatevene via, disturbatoridella quiete», brontolò.

«Beck!», chiamò Martinez scrollando il medicodella missione. «Sveglia!».

«Sì, sì, certo», bofonchiò Beck.Johanssen cascò dalla branda e rimase sul

pavimento.Lewis sfilò il cuscino dalle mani di Watney.

«Datti una mossa, Watney!», disse. «Per ognisecondo della nostra presenza qui lo zio Sam pagacentomila dollari».

«Donna cattiva rubacuscino», piagnucolòWatney rifiutandosi di aprire gli occhi.

«Quand’eravamo sulla Terra, ho tirato giù dalleloro brande maschi da un quintale e mezzo l’uno.Vuoi vedere cosa so fare a 0,4 g?»

«No, preferisco di no», rispose Watneyalzandosi a sedere.

Finito di resuscitare le truppe, Lewis si sedettealle comunicazioni a controllare gli eventualimessaggi giunti di notte da Houston. Watney sitrascinò allo stipo con le razioni e prese una primacolazione a caso.

«Passamene una con le uova, per piacere»,chiese Martinez.

«Tu sai riconoscere la differenza?», ribattéWatney consegnando a Martinez una confezione.

«Mica tanto», rispose Martinez.«Beck, tu che vuoi?», domandò Watney.«Va bene tutto, quel che capita», rispose Beck.Watney lanciò una confezione anche a lui.«Vogel, tu le solite salsicce?»«Ja, per piacere», rispose Vogel.«Lo sai che sei uno stereotipo, vero?»

«E mi ci trovo bene», ribatté Vogel prendendo lacolazione che gli veniva offerta.

«Ehi, Sunshine», chiamò Watney rivolgendosi aJohanssen. «Fai colazione stamane?»

«Mnrrn», grugnì Johanssen.«Sono sicuro che era un no», azzardò Watney.Mangiarono in silenzio. Dopo un po’ Johanssen

andò a prendere una cialda di caffè dallo stipo. Viaggiunse maldestramente dell’acqua calda e lotrangugiò nella speranza che l’aiutasse a svegliarsidel tutto.

«Aggiornamenti sulla missione da Houston»,riferì Lewis. «I satelliti indicano l’arrivo di unatempesta, ma prima che sia qui possiamo svolgerequalche attività in superficie. Vogel, Martinez, voivenite fuori con me. Johanssen, tu resti bloccata aseguire l’evoluzione meteo. Watney, i tuoiesperimenti con il terreno sono stati promossi aoggi. Beck, tu analizzi allo spettrometro i campionidell’EVA di ieri».

«Dovete proprio uscire quando sta per arrivareuna tempesta?», chiese Beck.

«Houston lo ha autorizzato», rispose Lewis.

«A me sembra inutilmente pericoloso».«Venire su Marte è stato inutilmente

pericoloso», replicò Lewis. «Dunque?».Beck si strinse nelle spalle. «Niente. Siate

prudenti».

Tre sagome umanoidi guardarono a est. Le lorovoluminose tute spaziali li rendevano quasiidentici. Solo la bandierina dell’Unione Europeache aveva sulla spalla distingueva Vogel da Lewise Martinez, che avevano quella a stelle e strisce.

L’oscurità a est ondeggiava e lampeggiava neiraggi del sole nascente.

«La tempesta», disse Vogel nel suo inglese dalforte accento. «È più vicina di quanto ci hannoriferito da Houston».

«Abbiamo tempo», disse Lewis. «Concentratevisull’operazione che vi è stata assegnata. QuestaEVA è per le analisi chimiche. Vogel, il chimico seitu, dunque stabilisci tu che cosa e dove dobbiamoscavare».

«Ja», rispose Vogel. «Siete pregati di scendereper trenta centimetri e raccogliere campioni di

terreno. Almeno cento grammi ciascuno. Moltoimportante sono i trenta centimetri di profondità».

«Sarà fatto», disse Lewis. «Restate entro i centometri dallo Hab», aggiunse.

«Mmm», rispose Vogel.«Signorsì», rispose Martinez.Si separarono. Decisamente evolute dai tempi

dell’Apollo, le tute EVA di Ares consentivano unalibertà di movimento molto maggiore. Scavare,chinarsi e raccogliere campioni erano ordinariaamministrazione.

«Di quanti campioni hai bisogno?», chiese dopoun po’ Lewis.

«Facciamo sette a testa?»«Va bene», confermò Lewis. «Io per ora sono a

quattro».«Io cinque», si fece sentire Martinez.

«Naturalmente non possiamo aspettarci che lamarina tenga il passo dell’aviazione, giusto?».

«Ah», fece Lewis, «è così che vuoi giocartela?»«Dico solo quello che vedo, comandante».«Qui Johanssen», giunse via radio la voce della

sysop. «Houston ha elevato il livello della

tempesta da due a tre. Sarà qui tra quindiciminuti».

«Torniamo alla base», ordinò Lewis.

Lo Hab tremava sotto le sferzate del ventoimpetuoso con gli astronauti stretti l’uno all’altroal centro del ricovero. Ora indossavano tutti e seila tuta spaziale nel caso dovessero precipitarsifuori per un decollo d’emergenza sul MAV.Johanssen osservava il suo laptop mentre gli altriosservavano lei.

«Venti sostenuti a più di 100 chilometri orari»,informò i compagni. «Con punte di 125».

«Gesù, qui andiamo a finire a Oz», commentòWatney. «A quale velocità si abortisce?»

«Tecnicamente a 150 chilometri orari», risposeMartinez. «Più di così e c’è pericolo che il MAV sirovesci».

«Nessuna previsione sul percorso dellatempesta?», chiese Lewis.

«Noi siamo nella fascia periferica», risposeJohanssen con gli occhi fissi sullo schermo.«Peggiorerà prima di migliorare».

Sotto la feroce aggressione della tempesta, iltelo dello Hab s’increspava e i sostegni interni sipiegavano e rabbrividivano a ogni sferzata. Ilfrastuono aumentava di minuto in minuto.

«D’accordo», disse Lewis. «Prepararsi adabortire. Andiamo al MAV e speriamo che vadatutto bene. Se il vento rinforza troppo, partiamo».

Abbandonarono lo Hab a coppie, ricomponendoil gruppo all’esterno della Camera d’equilibrio 1.Erano sottoposti ad autentiche mazzate di vento esabbia, ma riuscivano a restare in piedi.

«La visibilità è quasi zero», constatò Lewis.«Se qualcuno si perde, l’obiettivo è sul telemetrodella mia tuta. Quando ci saremo allontanati dalloHab il vento sarà più violento, perciòpreparatevi».

S’incamminarono facendo forza contro quelladel vento, Lewis e Beck in prima fila e Watney eJohanssen a chiudere la comitiva.

«Ehi», ansimò Watney. «Potremmo ormeggiareil MAV. Così sarebbe meno probabile che sicapotti».

«Come?», sbuffò Lewis.

«Potremmo usare come cavi d’ormeggio quellidei pannelli solari». Prese fiato per qualchesecondo prima di continuare. «Potremmo usare irover come ancore. Il problema sarebbe quello difar passare il cavo intorno a…».

Un rottame volante colpì Watney e lo trasportòvia nel vento.

«Watney!», urlò Johanssen.«Cos’è successo?», chiese Lewis.«Qualcosa lo ha colpito!», gridò Johanssen.«Watney, rispondi», chiamò Lewis.Nessuna risposta.«Watney, rispondi», ripeté Lewis.Silenzio anche la seconda volta.«Non è più collegato», intervenne Johanssen.

«Non so dov’è!».«Comandante», disse Beck, «prima che

perdessimo la telemetria, ho sentito partire il suoallarme di decompressione!».

«Merda!», imprecò Lewis. «Johanssen, dov’eraquando l’hai visto per l’ultima volta?»

«Esattamente davanti a me», rispose Johanssen.«Poi all’improvviso non c’era più. Volato via

verso ovest».«Okay», disse Lewis. «Martinez, tu vai al MAV e

preparalo per il lancio. Tutti gli altri daJohanssen».

«Dottor Beck», disse Vogel camminandofaticosamente nella tempesta, «quanto puòresistere una persona in decompressione?»

«Meno di un minuto», rispose Beck con la vocestrozzata dall’emozione.

«Non vedo niente», si lamentò Johanssen mentregli altri la raggiungevano.

«In fila verso ovest», ordinò Lewis. «Piccolipassi. Probabilmente è a terra. Vediamo di noncalpestarlo».

Avanzarono nel caos tenendosi in vista l’unocon l’altro.

Martinez cadde dentro la camera d’equilibriodel MAV e lottando contro il vento richiuse ilportello. Quand’ebbe pressurizzato l’ambiente, sisbarazzò in fretta e furia della tuta. Si arrampicònella cabina per l’equipaggio, s’infilò nel postodel pilota e avviò il sistema.

La lista di controllo per i lanci d’emergenza inuna mano, con l’altra azionò rapidamente una seriedi interruttori. Uno dopo l’altro, i sistemi di bordoindicarono di essere in modalità prelancio. Deivari indicatori che si accendevano, ne notò uno inparticolare.

«Comandante», chiamò via radio. «Il MAV haun’inclinazione di 7 gradi. A 12,3 si coricherà».

«Ricevuto», rispose Lewis.«Johanssen», intervenne Beck consultando il

display del computer che aveva sul braccio, «ilbio-monitor di Watney ha mandato qualcosa primadi interrompersi. Il mio computer dice solo“Errore trasmissione”».

«Ce l’ho anch’io», rispose Johanssen. «Non hafinito di trasmettere. Mancano dei dati e non c’è ilchecksum. Dammi un secondo».

«Comandante». Era di nuovo Martinez.«Messaggio da Houston. La missione èufficialmente annullata. La tempesta è decisamentetroppo forte».

«Ricevuto», disse Lewis.

«Ci hanno mandato l’aggiornamento quattrominuti e trenta secondi fa», aggiunse Martinez, «inbase a dati satellitare di nove minuti fa».

«Capito», disse Lewis. «Continua a preparare illancio».

«Ricevuto», disse Martinez.«Beck», disse Johanssen. «Ho il pacchetto in

versione raw. Testo standard. PS 0, RC 0, TP 36,2.Arriva fin qui».

«Ricevuto», rispose Beck in tono di sconforto.«Pressione del sangue zero, ritmo cardiaco zero,temperatura normale».

Per qualche tempo il canale rimase muto.Continuarono ad avanzare nel vento e nella sabbiasperando in un miracolo.

«Temperatura normale?», chiese Lewis con unfilo di speranza che le animava la voce.

«Ci vuole un po’ di tempo perché…», balbettòBeck. «Ci vuole del tempo perché scenda».

«Comandante», tornò in linea Martinez. «Oral’inclinazione è di 10,5 gradi con il vento chespinge verso gli 11».

«Ricevuto», disse Lewis. «Sei ai comandi?»

«Affermativo», rispose Martinez. «Possolanciare in qualsiasi momento».

«Se si inclina di più, puoi lanciare prima checaschi del tutto?»

«Ehm», rispose Martinez colto alla sprovvistada quella domanda. «Sì, comandante. Assumo ilcontrollo manuale e vado a tutto gas. Lo mettodritto e torno al decollo preprogrammato».

«Ricevuto», disse Lewis. «Tutti agganciati allatuta di Martinez. Vi porterà alla camerad’equilibrio del MAV. Entrate e preparatevi allancio».

«E tu, comandante?», chiese Beck.«Io cerco ancora un po’. Muovetevi. E tu,

Martinez, se cominci a pendere di più, parti».«Pensi davvero che ti lascerei indietro?»,

ribatté Martinez.«Ti ho appena ordinato di farlo», rispose Lewis.

«Voi tre filate al MAV».Sottomettendosi malvolentieri all’ordine di

Lewis, si avviarono verso il modulo di decollo. Lapotenza del vento ostacolava ogni loro passo.

Lewis proseguì nell’altra direzione senzariuscire a vedere il suolo. Ricordò una cosa eprese dallo zaino un paio di punte da trivellazioneper il prelievo di campioni di roccia. Le avevaaggiunte agli altri attrezzi quella mattinaprevedendo di effettuare qualche prelievogeologico prima di completare la missione.Trascinò le punte lunghe un metro sul terrenoimpugnandone una per parte.

Percorsi venti metri, si girò e ripartì nelladirezione opposta. Camminare in linea retta sidimostrò impossibile. Non solo non avevariferimenti visivi, ma il vento continuava aspostarla. A ogni passo che compiva, l’enormequantitativo di sabbia portata dal vento leseppelliva i piedi. Tenne duro stringendo i denti.

Beck, Johanssen e Vogel s’infilarono tuttiinsieme nella camera d’equilibrio del MAV. Lospazio era previsto per due, ma ci si stava in tre incaso d’emergenza. Mentre la pressione siequilibrava, dalla radio giunse la voce di Lewis.

«Johanssen», chiese, «la camera a infrarossi delrover potrebbe servire?»

«Negativo», rispose Johanssen. «Gli infrarossinon attraversano la sabbia meglio della lucevisibile».

«Cosa sta pensando?», chiese Beck dopoessersi tolto il casco. «È una geologa. Sa anche leiche l’infrarosso non vede attraverso una tempestadi sabbia».

«Brancola», commentò Vogel aprendo ilportello interno. «Dobbiamo andare a stenderci. Infretta, prego».

«Tutto questo non mi piace», disse Beck.«Neanche a me, dottore», rispose Vogel

appendendosi alla scaletta, «ma la comandante ciha dato degli ordini. L’insubordinazione nonaiuterebbe».

«Comandante», disse via radio Martinez,«siamo inclinati a 11,6 gradi. Un’ultima botta diquelle buone e andiamo giù».

«Che mi dici del radar di prossimità?»,domandò Lewis. «Potrebbe individuare la tuta diWatney?»

«Niente da fare», rispose Martinez. «È fatto pervedere Hermes in orbita, non il metallo in una

singola tuta spaziale».«Prova lo stesso», disse Lewis.«Comandante», intervenne Beck indossando le

cuffie e sdraiandosi sul suo lettinoantiaccelerazione, «so che non vuoi sentirmelodire, ma Wat… Mark è morto».

«Ricevuto», disse Lewis. «Martinez, prova ilradar».

«Roger», trasmise via radio Martinez.Mise il radar online e aspettò che completasse

un rilevamento intero. «Che ti ha preso?», chieselanciando un’occhiataccia a Beck.

«Il mio amico è appena morto», rispose Beck.«E non voglio che muoia anche la miacomandante».

Martinez lo redarguì ancora con un’occhiatasevera. Controllò l’esito del radar e riferì viaradio: «Contatto negativo sul radar di prossimità».

«Niente?», chiese Lewis.«Fatica a vedere lo Hab», rispose Martinez. «La

tempesta sta incasinando tutto. Anche se così nonfosse, in una tuta spaziale non c’è abbastanzametallo… Cazzo!».

«Allacciarsi!», urlò ai compagni.«Caschiamo!».

Il MAV s’inclinò più velocemente emettendo unaserie di scricchiolii.

«13 gradi», annunciò Johanssen dal suo lettino.«Abbiamo passato il punto di non ritorno»,

comunicò Vogel mentre finiva di allacciare lecinghie. «Non ce la facciamo a tirarlo su».

«Non possiamo lasciarla qui!», urlò Beck. «Checaschi! Lo rimetteremo a posto!».

«32 tonnellate, propellente incluso», disseMartinez allungando le mani sui controlli. «Setocca terra, ci saranno danni strutturali ai serbatoi,al telaio e probabilmente anche al motore delsecondo stadio. Non potremo mai ripararlo».

«Non la possiamo abbandonare!», protestòBeck. «Semplicemente inaccettabile».

«Un trucco ce l’ho. Se non funziona, ubbidirò alsuo ordine».

Chiamò online il sistema di manovra orbitale eazionò una scarica di sostegno dal muso del MAV. Ipiccoli propulsori originarono una forza in

opposizione con la massa del modulo spaziale chesi andava lentamente adagiando.

«Hai azionato il sistema di manovra orbitale?»,domandò Vogel.

«Non so se funzionerà», rispose Martinez. «Nonci stiamo inclinando molto velocemente. Credo diriuscire a rallentare la caduta…».

«Le calotte aerodinamiche saranno state espulseautomaticamente», osservò Vogel. «Con tre buchinel fianco dello scafo, sarà un’ascensione tutta ascossoni ».

«Grazie dell’informazione», ribatté Martinezcontinuando a dare gas e a tener d’occhio l’indicedi inclinazione. «Dài…».

«Sempre 13 gradi», riferì Johanssen.«Che succede là dentro?», domandò via radio

Lewis. «Non parla più nessuno. Fatevi vivi».«In attesa», rispose Martinez.«12,9», riferì Johanssen.«Funziona», disse Vogel.«Per ora», precisò Martinez. «Non so per

quanto tempo possiamo consumare propellente».«12,8 adesso», disse Johanssen.

«Il propellente per l’OMS è al 60 percento»,riferì Beck. «Quanto ce ne vuole per agganciareHermes?»

«Mi basta il 10 percento se non faccio qualchecasino», rispose Martinez modificandol’angolazione della spinta.

«12,6», disse Johanssen. «Ci stiamoraddrizzando».

«Oppure è il vento che si è abbassato un po’»,ipotizzò Beck. «Propellente al 45 percento».

«C’è pericolo di danno agli ugelli», avvertìVogel. «L’OMS non prevede spinte prolungate».

«Lo so», rispose Martinez. «Ma possoagganciare anche senza gli ugelli anteriori senecessario».

«Ci siamo quasi…», annunciò Johanssen.«Okay, siamo sotto i 12,3».

«Fine OMS», annunciò Martinez spegnendo ipropulsori.

«Stiamo ancora risalendo», riferì Johanssen.«11,6… 11,5… attestati a 11,5».

«Propellente OMS al 22 percento», disse Beck.«Sì, ho visto», rispose Martinez. «Basterà».

«Comandante», chiamò via radio Beck, «adessodevi venire a bordo».

«Concordo», fece eco Martinez. «È perso,comandante. Watney, lo abbiamo perso».

Aspettarono in silenzio la risposta della lorocomandante.

«Ricevuto», disse finalmente Lewis. «Arrivo».Assicurati ciascuno al proprio lettino e pronti al

lancio, nessuno parlò più. Beck guardò il lettinovuoto di Watney e si accorse che Vogel stavafacendo lo stesso. Martinez effettuò un’analisi deipropulsori del cono anteriore. Non era piùgarantita la precisione del loro utilizzo. Prese notadel malfunzionamento sul suo registro.

La camera pressurizzò. Lewis si tolse la tuta edentrò nella cabina. Si coricò nel suo lettino e siallacciò le cinture in silenzio, la faccia tesa in unamaschera inespressiva. Solo Martinez si azzardò aparlare.

«Sempre ai comandi», riferì a bassa voce.«Pronto al lancio».

Lewis chiuse gli occhi e annuì.

«Chiedo scusa, comandante», disse Martinez.«Mi devi dare l’ordine a…».

«Lancia», disse lei.«Sì, signora», rispose lui e attivò la sequenza.L’incastellatura di lancio espulse le grappe di

fissaggio che caddero al suolo. Qualche secondodopo gli accenditori infiammarono il propellente ei motori principali cominciarono a sollevare ilMAV.

Il modulo acquistò lentamente velocità. Appenafu in sospensione, il vento lo spinse lateralmentefuori rotta. Rilevato il problema, il software diascensione inclinò il veicolo verso il vento percontrastarlo.

Il consumo di propellente alleggerì il moduloaumentandone l’accelerazione. L’incremento aritmo esponenziale lo portò rapidamenteall’accelerazione massima, un limite stabilito nonin base alla potenzialità della macchina quantopiuttosto in virtù della fragilità degli organismiumani trasportati.

A quella velocità, gli ugelli dell’OMS rimastiaperti fecero sentire il loro effetto negativo. Il

veicolo fu scosso violentemente e gli astronauti alsuo interno furono sbatacchiati nei loro lettini.Martinez e il software di ascensione mantennero ilveicolo in asse, ma fu una battaglia costante. Laturbolenza durò solo nello strato più bassodell’atmosfera, poi, via via che diventò piùrarefatta, i sobbalzi si placarono.

All’improvviso tutta la potenza si spense. Ilprimo stadio aveva completato il suo lavoro.L’equipaggio si trovò per qualche secondo inassenza di peso, poi entrò in funzione il secondostadio e la pressione ricominciò. Fuori, il primostadio ormai vuoto si staccò dal modulo, perandare a schiantarsi in qualche area sconosciutadel pianeta sottostante.

Il secondo stadio spinse il modulo ancora più inalto e in un’orbita bassa. Consumatosi più in frettadel grosso primo stadio in una spinta molto piùuniforme, sembrò quasi un ripensamento.

Il motore si fermò bruscamente e al fragore dipoco prima si sostituì una calma opprimente.

«Motore principale spento», annunciò Martinez.«Tempo di ascensione: otto minuti, quattordici

secondi. In rotta per l’aggancio a Hermes».Normalmente un lancio senza incidenti meritava

dei festeggiamenti. Quello fu seguito solo dalsilenzio, rotto dal pianto sommesso di Johanssen.

Quattro mesi dopo…

Beck cercò di non pensare al doloroso motivoper cui conduceva esperimenti di crescita di piantea zero g. Registrò le dimensioni e la forma dellefoglie di felce, scattò fotografie e prese appunti.

Finite le sue incombenze scientifiche per quelgiorno, controllò l’orologio. In perfetto orario.Mancava poco allo scarico dati. Oltrepassòfluttuando il reattore diretto alla scaletta delSemicono-A.

Percorrendo la scaletta con i piedi in avanti,presto dovette aggrapparsi saldamente perresistere alla forza centripeta provocata dallarotazione dell’astronave. Quando raggiunse ilSemicono-A era a 0,4 g.

La gravità centripeta di Hermes non era unlusso, ma serviva invece a preservarli in buonecondizioni fisiche. Senza di essa, avrebberotrascorso la loro prima settimana su Marte nellaquasi totale incapacità di camminare. Leesercitazioni in condizioni di zero gsalvaguardavano la salute di cuore e ossa, ma nonerano stati inventati sistemi preventivi chepotessero garantire loro la piena funzionalitàmotoria a partire da Sol 1.

Visto che il sistema c’era, tanto valevaservirsene anche per il viaggio di ritorno.

Johanssen era alla sua postazione. Lewis sedevadi fianco a lei con Vogel e Martinez poco distanti.Lo scarico dati portava e-mail e video da casa.Era il momento saliente della giornata.

«È già arrivato?», chiese Beck entrando sulponte di comando.

«Quasi», rispose Johanssen. «Siamo al 98percento».

«Ti vedo di buonumore, Martinez», osservòBeck.

«Ieri mio figlio ha compiuto tre anni». Eraraggiante. «Dovrebbero esserci delle foto dellafesta. Tu invece?»

«Niente di speciale», disse Beck. «Lerecensioni di alcuni colleghi di un saggio che hoscritto qualche anno fa».

«Completo», annunciò Johanssen. «Tutte le e-mail personali sono state inviate ai rispettivilaptop. C’è anche un aggiornamento telemetricoper Vogel e un aggiornamento di sistema per me.Ah… c’è un messaggio vocale per tuttol’equipaggio».

Si girò a lanciare un’occhiata a Lewis.Lewis si strinse nelle spalle. «Sentiamo».Johanssen fece partire il messaggio e si

appoggiò allo schienale.«Hermes, parla Mitch Henderson», cominciò.«Henderson?», si meravigliò Martinez. «Che ci

parla direttamente senza farlo fare al Capcom?».Lewis alzò la mano per chiedere silenzio.«Ho delle novità», continuò la voce di Mitch.

«Non c’è un modo sofisticato di metterla: MarkWatney è ancora vivo».

Johanssen emise un’esclamazione strozzata.«Co…», cominciò Beck senza riuscire a

proseguire.Vogel era dietro di lui con la bocca spalancata

in un’espressione di totale incredulità.Martinez guardò Lewis. La comandante chinò la

testa e si prese il mento in una mano.«So che è una sorpresa», seguitò Mitch. «E so

che avrete molte domande. Risponderemo a quelledomande. Ma per il momento vi do le informazioniessenziali».

«È vivo e sta bene. Lo abbiamo scoperto duemesi fa e abbiamo deciso di non dirvelo. Abbiamopersino censurato alcuni messaggi personali. Ioero fortemente contrario a questa presa diposizione. Ve lo stiamo dicendo adesso perchésiamo riusciti finalmente a comunicare con lui eabbiamo un piano di soccorso praticabile. Si trattadi farlo prelevare da Ares 4 con un MDVmodificato. Vi daremo un resoconto completo ditutto quello che è successo, ma non è in nessuncaso colpa vostra. È una cosa che Mark ha

continuato a ripetere tutte le volte che ne ha avutooccasione. È stata solo sfortuna».

«Prendetevi il tempo necessario a digerirequesta notizia sicuramente inaspettata. Per ilmomento sono sospese tutte le vostrecomunicazioni scientifiche. Mandateci tutte ledomande che volete e vi risponderemo. Hendersonchiude».

La fine del messaggio lasciò il ponte dicomando in un silenzio carico di sconcerto.

«È… È vivo?», mormorò Martinez. Poi sorrise.Vogel annuì con forza. «Vive».Johanssen fissava lo schermo del suo laptop con

occhi sbigottiti.«Porca merda», esclamò ridendo Beck.

«Porchissima merda! Comandante! È vivo!».«L’ho lasciato indietro», disse sottovoce Lewis.Quando gli astronauti videro l’espressione sul

volto del comandante, i festeggiamenti cessaronod’incanto.

«Ma», obiettò Beck, «siamo partiti tuttiinsieme…».

«Voi avete eseguito i miei ordini», lo interruppeLewis. «Io l’ho lasciato indietro. L’ho lasciato inun posto senza vita, un posto irraggiungibile, l’holasciato nel nulla totale».

Con lo sguardo, Beck chiese soccorso aMartinez. Martinez aprì la bocca, ma non trovòparole da dire.

Lewis abbandonò il ponte a capo chino.

13

Per finire il telo dello Hab di Ares 3 gliimpiegati della Deyo Plastics avevano fatto idoppi turni. Si parlava di tripli turni se la NASAavesse alzato nuovamente la portatadell’ordinazione. Nessuno si era spaventato. Laretribuzione per gli straordinari era spettacolaree gli stanziamenti erano illimitati.

Il filato di fibra di carbonio passavalentamente nella pressa che lo serrava fra duefoglie polimeriche. Il materiale così ottenutoveniva ripiegato quattro volte e incollatoinsieme. Il telo spesso che ne risultava venivarivestito di resina liquida e messo nella camerariscaldante a indurirsi.

Giornale di bordo: Sol 114

Adesso che può parlare con me, la NASA nonchiude più il suo dannato becco.

Vogliono aggiornamenti continui su tutti i sistemidello Hab e hanno riempito una stanza di gente checerca di microgestire la mia coltivazione. Èincredibile che un branco di babbei venga a diredalla Terra a me, un botanico, come far cresceredelle piante.

Cerco di ignorarli completamente. Non vogliofare la figura del presuntuoso, ma nondimentichiamo che io sono il miglior botanicopresente sul pianeta.

C’è però un effetto collaterale molto positivo:e-mail! Mi arrivano gli scarichi di dati come ai beitempi di Hermes. Ovviamente mi girano le e-maildi amici e parenti, ma la NASA mi spedisce ancheuna selezione di messaggi provenienti dalpubblico. Ho ricevuto e-mail da rock star,campioni sportivi, attori e attrici e persino dalPresidente.

Una me l’ha mandata la mia alma mater,l’università di Chicago. Dicono che quando unocoltiva qualcosa da qualche parte, ha ufficialmente

“colonizzato” quel posto. Dunque tecnicamente ioho colonizzato Marte.

Beccati questa, Neil Armstrong!Ma la mia e-mail preferita è quella di mia

madre. Esattamente come me l’aspettavo. Grazie alcielo sei vivo, tieni duro, non morire, ti saluta tuopadre eccetera.

L’ho letta cinquanta volte di fila. Ehi, nonfraintendete, non sono un mammone. Sono un uomomaturo che mette i pannolini solo in occasioniparticolari (in una tuta spaziale non puoi farne ameno). È del tutto normale e assolutamente virileche abbia a cuore una lettera della mia mammina.Non è che sono un bambino al campeggio chesoffre di nostalgia di casa, giusto?

Confesso che dover uscire per andare al roverquattro volte al giorno a controllare la posta è unabella rogna. Riescono a spedirmi un messaggiodalla Terra a Marte, ma non sanno come fare altridieci metri per arrivare allo Hab. Comunque non èil caso di lagnarsi. Le mie possibilità di uscirevivo da questa situazione sono grandementeaumentate.

Dalle ultime che mi hanno mandato sembra cheabbiano risolto il problema del peso dell’MDV diAres 4. Dopo che sarà atterrato quassù,abbandoneranno lo scudo termico, tuttol’equipaggiamento di sostegno vitale e una serie diserbatoi vuoti. Poi potranno portarci tutti e sette(l’equipaggio di Ares 4 più io) fino alloSchiaparelli. Sono già al lavoro sui miei compitiper le operazioni in superficie. Forti, no?

In altre parole, sto imparando l’alfabeto Morse.Perché? Perché è il nostro sistema di backup per lecomunicazioni. La NASA ha giudicato pocoprudente affidarsi a una sonda vecchia di decennicome unico mezzo di comunicazione.

Se il Pathfinder s’incanta, scriverò i mieimessaggi usando dei sassi che la NASA vedràattraverso i satelliti. Non potrà rispondere, maavremo almeno una forma di comunicazioneunilaterale. Perché l’alfabeto Morse? Perchéusando dei sassi è più facile fare punti e linee chelettere.

Come sistema di comunicazione è unamerdaccia. Speriamo di non doverlo usare.

Completate tutte le reazioni chimiche, il teloveniva sterilizzato e trasferito in un ambientepulito. Lì un tecnico tagliava una striscia lungoil bordo e la divideva in rettangoli chesottoponeva a una serie di test rigorosi.

Passata l’ispezione, il telo veniva ritagliatonella forma desiderata. Gli orli venivanoripiegati, cuciti e saldati con altra resina. Unaltro tecnico spuntava una lista di ispezionifinali verificando personalmente tutte le misureprecedenti e dava la sua approvazione perl’utilizzo.

Giornale di bordo: Sol 115

A denti stretti i botanici impiccioni hannodovuto ammettere che ho fatto un buon lavoro.Anche secondo loro avrò abbastanza da mangiarefino a Sol 900. Sulla base di questo punto diriferimento, la NASA ha determinato i particolaridella missione di invio di provviste.

All’inizio avevano dato anima e corpo perorganizzare un lancio che mi portasse delle scorteprima di Sol 400. Ma grazie alla mia piantagionedi patate ho guadagnato altri 500 sol per me eanche per loro.

Lanceranno l’anno prossimo durante laHohmann Transfer Window, e il carico impiegherànove mesi per arrivare qui. Dovrebbe atterrareintorno a Sol 856. Avrò viveri in quantità, unossigenatore di scorta, un depuratore per l’acqua eun sistema di comunicazione. Tre sistemi dicomunicazione, per essere precisi. Immagino chevogliano escludere ogni possibilità negativa, vistala mia tendenza a trovarmi nei pressi dei sistemi diricetrasmissione quando stanno per fracassarsi.

Oggi mi è arrivata la prima e-mail da Hermes.La NASA sta limitando i contatti diretti. Immaginoche temano che dica qualcosa tipo: “Mi aveteabbandonato su Marte, pezzi di merda!”. So chedev’essere stato un bel colpo per l’equipaggioricevere notizie da Fantasmi da Marte, ma santamiseria!, preferirei che certe volte la NASA nonfacesse troppo la tata. In ogni caso alla fine mi

hanno fatto arrivare un messaggio dellacomandante:

Watney, ovviamente siamo molto felici di sapere che seisopravvissuto. Come persona responsabile della tua situazione, vorreipoter fare di più per esserti d’aiuto diretto. Sembra comunque che laNASA abbia un buon piano di soccorso. Sono sicura che continueraia dare dimostrazione della tua incredibile intraprendenza e che neuscirai alla grande. Non vedo l’ora di offrirti una birra sulla Terra.

Lewis

La mia risposta:Comandante, responsabile della mia situazione è la pura scalogna,

non tu. Tu hai preso la decisione giusta e hai salvato tutti gli altri. Soche dev’essere stato difficile, ma qualunque analisi verrà fatta di quelgiorno mostrerà che era la decisione giusta. Riporta a casa tutti inostri e io sarò felice così.

Però accetto la birra.Watney

I lavoranti ripiegarono con cura il telo e locollocarono in un contenitore da spedizione atenuta stagna pieno di argon. Il tecnico delleverifiche incollò un adesivo. «Progetto Ares 3;Telo Hab; Foglio AL102».

Il contenitore fu caricato su un volo charter espedito alla Edwards Air Force Base in

California. L’aereo mantenne una quotainsolitamente alta con grande consumo dicarburante per garantire che il volo fosse piùuniforme.

Giunto a destinazione, il contenitore futrasportato a Pasadena come carico speciale contutte le precauzioni del caso. A Pasadena fuconsegnato all’Unità di assemblaggio veicolispaziali del JPL. Nei cinque mesi successiviingegneri in tuta bianca prepararono i materialidel Prerifornimento 309. Oltre all’AL102,c’erano altri dodici fogli di Telo Hab.

Giornale di bordo: Sol 116

È quasi venuto il momento del secondo raccolto.Bella lì.Mi piacerebbe tanto avere un cappello di paglia

e delle bretelle.La mia risemina di patate è andata bene.

Comincio a vedere che i raccolti su Marte sono

estremamente abbondanti grazie all’attrezzatura disostegno vitale da miliardi di dollari che ho adisposizione. Ora ho quattrocento piante di patatesane, ciascuna delle quali produce un bel po’ dipatatine piene di calorie per la gioia del miodesinare. Saranno mature tra non più di diecigiorni!

E questa volta non le pianterò di nuovo. Questesaranno la mia scorta di cibo. Tutte patate naturali,biologiche, cresciute su Marte. Roba che non sisente tutti i giorni, ammettetelo.

Vi chiederete magari come le conservo. Non èche posso semplicemente ammucchiarle daqualche parte, perché ne marcirebbero fin troppeprima che riuscissi a mangiarle. Farò così, invece,una cosa che sulla Terra non funzionerebbe mai: lesbatto fuori.

La maggior parte dell’acqua verrà risucchiatadalle condizioni di quasi vuoto; quel che resta sicongelerà. Qualunque batterio avesse intenzione difar marcire le mie patate schiatterà urlando.

Intanto ho ricevuto un’e-mail da Venkat Kapoor:Mark, alcune risposte ai tuoi precedenti:

No, non diremo alla nostra Squadra botanica di “andare a farsifottere”. Capisco che è da molto tempo che sei tutto solo, ma adessosiamo in ballo e ti conviene ascoltare quello che abbiamo da dire.

I Cubs hanno chiuso la stagione all’ultimo posto dell’NL Central.La velocità di trasferimento dei dati è troppo bassa per le

dimensioni dei file musicali, anche se compressi. Dunque la tuarichiesta di “Qualsiasi cosa, Dio mio, QUALSIASI COSA piuttostoche disco” è respinta. Goditi la tua febbre del sabato sera.

C’è anche una notizia non del tutto piacevole. La NASA haistituito una commissione. Vogliono vedere se la situazione che haportato al tuo abbandono su Marte è conseguenza di qualche erroreevitabile. È solo un preavviso. Potrebbero avere delle domande dafarti.

Tienici informati sulle tue attività.Kapoor

La mia risposta:Venkat, di’ a quelli della commissione che dovranno fare la loro

caccia alle streghe senza di me. E quando inevitabilmenteincolperanno la comandante Lewis, sappiano che lo contesteròpubblicamente. Sono sicuro che farà lo stesso tutto l’equipaggio.

Per finire, sii così gentile da riferire a ciascuno di loro che la loromadre è una prostituta.

WatneyPS: Anche le loro sorelle.

Le sonde con gli invii preliminari per Ares 3furono lanciate per quattordici giorni consecutividurante la Hohmann Transfer Window. Il

Prerifornimento 309 fu il terzo a essere inviato.Il viaggio di 251 giorni avvenne senza problemicon solo due correzioni di rotta di minima entità.

Dopo una serie di manovre di frenaggio perrallentarne la spinta, entrò nella fase finale didiscesa su Acidalia Planitia. In un primomomento contrastò l’ingresso nell’atmosferagrazie allo scudo termico. Poi azionò unparacadute e abbandonò lo scudo ormai esaurito.

Quando il radar di bordo vide che era a trentametri dal suolo, tagliò il paracadute e gonfiò ipalloni intorno allo scafo. Cadde senza graziasulla superficie e rimbalzò e ruzzolò per qualchemetro prima di fermarsi del tutto.

Il computer di bordo sgonfiò i palloni e riferìalla Terra la riuscita dell’atterraggio.

Poi aspettò per ventitré mesi.

Giornale di bordo: Sol 117

Il depuratore si è messo a fare i capricci.

Sei persone consumerebbero diciotto litrid’acqua al giorno. Così il depuratore ne trattaventi. Ultimamente però resta indietro. Ne depuradieci al massimo.

Genero forse dieci litri di acqua al giorno? No,non sono il recordman mondiale di minzione. Sonole patate. All’interno dello Hab l’umidità è moltosuperiore ai limiti più alti previsti dallaprogettazione, perciò il depuratore la filtradall’aria in continuazione.

Non mi preoccupa. Dovesse essere necessario,posso pisciare direttamente sulle piante. Le pianteconsumeranno la parte di acqua di cui hannobisogno e il resto si condenserà sulle pareti. Certo,potrei inventarmi qualcosa con cui raccogliere lacondensa. Il fatto è che l’acqua non può andare danessuna parte. È un sistema chiuso.

D’accordo, tecnicamente sto mentendo. Lepiante non sono interamente neutrali nei confrontidell’acqua. Da una parte di essa prelevanol’idrogeno (rilasciando l’ossigeno) e lo usano perfare i carboidrati complessi che costituiscono lapianta in sé. Ma è una perdita esigua, mentre io dal

propellente dell’MDV produco qualcosa come 600litri d’acqua. Potrei farmi dei bagni e me neavanzerebbe ancora in grandi quantità.

Alla NASA invece stanno perdendo la testa. Perloro il depuratore dell’acqua è un elemento disopravvivenza fondamentale. Non c’è backup esono convinti che senza depuratore morirei dischianto. La prospettiva di un guastodell’attrezzatura li atterrisce. Per me è “acquapassata”.

Così invece di prepararmi al raccolto, devo fareviaggi supplementari di andata e ritorno dal roverper rispondere alle loro domande. Ogni nuovomessaggio mi dà istruzioni per nuove soluzioni emi riferisce i risultati dei tentativi precedenti.

Finora abbiamo accertato che non èl’elettronica, non è il sistema di refrigerazione,non è la strumentazione e non è la temperatura. Iosono sicuro che scopriremo che c’è un buchino daqualche parte, dopodiché la NASA farà riunioni perquattro ore prima di dirmi di chiuderlo con un po’di nastro adesivo.

Lewis e Beck aprirono il Prerifornimento 309.Impacciati dalle ingombranti tute EVA, estrasserole varie porzioni di telo dello Hab e leadagiarono sul terreno. Allo Hab erano dedicatetre intere sonde di prerifornimento.

Seguendo la procedura sulla quale si eranoesercitati centinaia di volte, unirono i fogli con lespeciali strisce sigillanti che garantivanogiunture a tenuta stagna.

Dopo aver eretto la struttura principale delloHab, montarono le tre camere d’equilibrio. IlFoglio AL102 era quello con un’apertura checombaciava perfettamente con la Camera 1. Becktese il telo facendolo aderire alle striscesigillanti sull’esterno della camera d’equilibrio.

Una volta collegate tutte le camered’equilibrio, Lewis riempì lo Hab di aria e AL102sentì la pressione per la prima volta. Lewis eBeck attesero un’ora. Non ci fu nessun calo dipressione. L’allestimento della base era okay.

Giornale di bordo: Sol 118

La mia conversazione con la NASA suldepuratore dell’acqua fu tediosa e irta diparticolari tecnici. Così mi rimetterò aparafrasarla:

Io: «Si è evidentemente intasato qualcosa.Perché non lo apro e non controllo le tubatureinterne?».

NASA (dopo 5 ore di discussioni): «No. Farestiun casino e moriresti».

Così l’ho smontato.Sì, lo so. La NASA ha un esercito di persone

ultraintelligenti e io farei bene a ubbidire a quelloche mi dicono. E sono anche troppo maldispostoconsiderato che hanno passato tutta la giornata apensare a come salvarmi la vita.

È solo che comincio a essere stufo che mi sivenga a dire come mi devo pulire il culo.L’indipendenza era una delle qualità cherichiedevano nella scelta degli astronauti per Ares.È una missione da tredici mesi, gran parte dellaquale da trascorrere a molti minuti-luce dalla

Terra. Cercavano persone che sapessero agire dipropria iniziativa.

Se fosse qui la comandante Lewis, farei quelloche mi dice lei, senza dubbio. Ma un comitato dianonimi burocrati sulla Terra? Spiacente, mi vagiusto un pochino di traverso.

Sono stato davvero molto attento. Via via chetoglievo un pezzo lo etichettavo e ho messo tuttosullo stesso tavolo. Nel computer ho tutti glischemi, perciò non ho incontrato sorprese.

E, proprio come sospettavo, ho trovato un tuboostruito. Il depuratore dell’acqua è stato costruitoper purificare l’orina ed eliminare l’eccesso diumidità dall’aria (si espelle con il fiato quasi tantaacqua quanto con la pipì). Io ho mescolato la miaacqua con il terriccio saturandola di minerali. Iminerali si sono accumulati nel depuratore.

Ho pulito i tubi e ho rimesso tutto insieme. Ilproblema è stato completamente risolto. Prima opoi dovrò rifarlo, ma non per un centinaio di solalmeno. Niente di terribile.

Ho detto alla NASA che cosa ho fatto. La nostraconversazione (parafrasata) è andata così:

Io: «L’ho smontato, ho trovato il problema el’ho riparato».

NASA: «Cazzone».

AL102 s’increspò sotto i colpi brutali dellatempesta. Sottoposto a pressioni maggiori diquelle dei test a cui era stato sottoposto, fuviolentemente ripiegato lungo la giunturaermetica della camera d’equilibrio. Altre sezionidel telo ondeggiarono lungo le loro giunturereagendo come un foglio unico e uniforme, manon andò altrettanto bene ad AL102. La camerad’equilibrio non si mosse quasi per nullalasciando che fosse AL102 a subire tutta la forzadella tempesta.

La sola frizione degli strati di plasticaripetutamente piegati l’uno contro l’altro scaldòla resina. Le nuove condizioni ambientali cosìmodificate permisero alle fibre di carbonio disepararsi.

AL102 si allungò.Non molto. Solo quattro millimetri. Ma le fibre

di carbonio, distanziate di solito di 500 micron,

ora avevano nel mezzo uno spazio otto voltesuperiore.

Passata la tempesta, il solitario astronautarimasto indietro eseguì una ispezione totale delloHab. Ma non notò niente di anormale. La parteindebolita del telo era nascosta da una strisciasigillante.

Progettato per una missione di 31 sol, AL102proseguì ben oltre la prevista data di scadenza. Isol si avvicendarono con l’astronauta solitarioche entrava e usciva quasi tutti i giorni dalloHab. La Camera 1 era quella più vicina al roverche utilizzava regolarmente, così l’astronauta lapreferiva alle altre due.

Quando pressurizzava, la camera si espandevaleggermente e quando depressurizzava sirestringeva. Ogni volta che l’astronauta usava lacamera d’equilibrio, la tensione su AL102diminuiva per poi aumentare di nuovo.

Tira, stressa, molla, tendi…

Giornale di bordo: Sol 119

La notte scorsa mi sono svegliato in uno Habscosso dal vento.

La tempesta di sabbia di media intensità cessòall’improvviso come era cominciata. Era solo unaterza categoria con venti a 50 chilometri orari.Niente di preoccupante. Ti mette comunque un po’a disagio sentir fischiare il vento quando seiabituato al silenzio assoluto.

Sono in ansia per il Pathfinder. Se la tempestadi sabbia lo ha danneggiato, non mi posso piùcollegare con la NASA. La logica vorrebbe che nonme ne dessi pensiero. È quassù da decine di anni eun venticello non può fargli niente.

Quando uscirò avrò la conferma che ilPathfinder funziona ancora benissimo prima didedicarmi alla faticosa e noiosa incombenza delcaso.

Sì, ogni volta che arriva una tempesta di sabbiainevitabilmente viene il momento della PuliziaPannelli, una venerabile tradizione rispettata datutti i bravi marziani come sono io. Mi ricorda

quand’ero ragazzo a Chicago e dovevo spalareneve. Devo rendere atto a mio padre di non avermai preteso che fosse per rafforzare il miocarattere o insegnarmi il valore del duro lavoromanuale.

«Gli spalatori sono cari», soleva dire. «Tu seigratis».

Una volta avevo cercato sostegno da mia madre.«Non fare il pappamolle», mi aveva suggerito lei.

Passando ad altro, mancano sette sol al raccoltoe ancora non ho preparato niente. Per prima cosaho bisogno di una zappa e poi ho bisogno di unricovero esterno dove mettere le patate. Non possoimpilarle fuori dello Hab. La prossima tempestaforte darebbe il via alla Grande Migrazione dellePatate Marziane.

Sono comunque lavori che dovranno aspettare.Oggi ho già la giornata piena. Dopo la pulizia deipannelli solari, devo controllare tutto quantol’impianto per assicurarmi che la tempesta nonl’abbia danneggiato. Lo stesso poi dovrò fareanche con il rover.

Meglio che mi ci metta.

La Camera d’equilibrio 1 si depressurizzòlentamente a 0,006 atmosfere. Dentro di essa, intuta spaziale, Watney attese che il ciclo sicompletasse. Era una cosa che aveva fattoletteralmente centinaia di volte. Dell’apprensioneche poteva aver avuto a Sol 1 non restava più laminima traccia. Ora era solo un intervallo noiosoprima di uscire all’aperto.

Mentre la depressurizzazione proseguiva,l’atmosfera dello Hab compresse la camerad’equilibrio e AL102 si tese per l’ultima volta.

A Sol 119, nello Hab si aprì una falla.Lo strappo iniziale fu di meno di un millimetro.

Le fibre di carbonio in perpendicolare avrebberodovuto impedire allo strappo di allargarsi. Ma gliabusi reiterati avevano distanziato le fibreverticali e indebolito quelle orizzontali.

L’apertura sparò fuori a tutta forza l’atmosferadello Hab. In un decimo di secondo lo strappodiventò lungo un metro, parallelo alla striscia chene sigillava la giuntura. Risalì per tutta la sualunghezza fino a trovarne il punto d’inizio. La

camera d’equilibrio non era più agganciata alloHab.

Mentre l’atmosfera dello Hab usciva a velocitàesplosiva dalla falla, la pressione priva di ostacoliscagliò la camera d’equilibrio come una palla dicannone. La forza dell’espulsione scaraventò unWatney esterrefatto contro il portello interno dellacamera d’equilibrio.

La camera volò per quaranta metri prima dipiombare al suolo. Watney, che ancora non si erariavuto del tutto dal primo choc, ne subì un altroandando a sbattere con la faccia contro il portelloanteriore.

L’urto fu assorbito dalla visiera che si sgretolòin centinaia di minuscoli cubetti. Cozzò con latesta contro la volta del casco e perse i sensi.

La camera d’equilibrio rotolò sul terreno peraltri quindici metri. La spessa imbottitura dellatuta risparmiò a Watney la rottura di molte ossa.Lui cercò di raccapezzarsi, ma era troppo intontito.

Quando finalmente smise di rotolare, la camerad’equilibrio si fermò su un fianco in una nuvola dipolvere.

Disteso sulla schiena, Watney guardava all’insùattraverso l’apertura del casco privato di visiera.Sulla faccia gli colava lentamente il sangue di unaferita alla fronte.

Ripresa più o meno conoscenza, cercò diorientarsi. Girando la testa guardò attraverso ilfinestrino del portello posteriore. Vide lo Habcrollato in un ammasso di pieghe in fondo a unadistesa di rottami.

Poi gli giunse all’orecchio un sibilo. Ascoltòcon attenzione e decise che non proveniva dallasua tuta. Da qualche parte nella camerad’equilibrio grande come una cabina del telefono,l’aria stava uscendo da una piccola falla.

Ascoltò bene il sibilo, poi toccò l’avanzo divisiera del casco. Guardò di nuovo fuori.

«Che scherzo del cazzo sarebbe?», disse.

14

Trascrizione audio: Sol 119

Ah sì? E allora vaffanculo! Affanculo questacamera d’equilibrio, affanculo lo Hab e affanculotutto quanto questo cazzo di pianeta!

Dico sul serio, adesso basta! Ne ho asufficienza! Mi restano pochi minuti prima di finirel’aria e col cavolo che li spreco stando a questogiochetto di merda che mi ha rifilato Marte. Ne hole palle così piene che potrebbero esplodermi!

Non ho che da starmene seduto qui. L’aria finiràdi uscire e io morirò.

Fine della trasmissione. Basta caricarmi disperanze, basta alimentare illusioni, bastascervellarmi per risolvere problemi. Questa voltail mio capitolo è chiuso per sempre!

Trascrizione audio: Sol 119 (2)

E va bene… Mi sono sfogato e adesso devotrovare il modo di restare vivo. Di nuovo.D’accordo, vediamo cosa posso inventarmi…

Sono nella camera d’equilibrio. Dal finestrinovedo lo Hab, che è ad almeno 50 metri.Normalmente la camera d’equilibrio è attaccataallo Hab. Dunque questo è un problema.

La camera d’equilibrio è su un fianco e sento unsibilo costante. Dunque o c’è una perdita o ci sonodei serpenti. In entrambi i casi sono nei pasticci.

Se non bastasse, durante… non so cosa cazzo èstato ma qualcosa sì… sono stato sballottato qua elà come la palla di un flipper e ho distrutto lavisiera del casco. Quando si ha a che fare convarchi giganteschi nella propria tuta spaziale l’ariaè notoriamente poco collaborativa.

A vederlo da qui mi sembra che lo Hab siacompletamente sgonfio e accasciato. Dunque anchese avessi una tuta EVA ancora integra con cui usciredalla camera, non avrei dove andare. Ipotesiaffossata.

Devo darmi un minuto per pensare. E devouscire da questa tuta. Non riesco a muovermi in

uno spazio così stretto. E poi non è che mi stiaservendo più che tanto.

Trascrizione rapporto orale: Sol 119 (3)

La situazione non è così grave.Sono sempre fottuto, intendiamoci. Ce l’ho

sempre nel culo, intendiamoci. Solo non così inprofondità.

Non so cos’è successo allo Hab, maprobabilmente il rover è tutto intero. Non èl’ideale, ma almeno non è una cabina telefonicacon un buco.

Naturalmente ho il mio kit di riparazioni nellatuta. Lo stesso che mi ha salvato la vita a Sol 6.Ma non scaldatevi troppo. Alla tuta non puòservire. Il kit è una valvola di forma conica conuna resina superesistente dalla parte della base.Piccolo com’è può rimediare a lacerazioni che nonsuperino gli otto centimetri. E in ogni caso, con

uno strappo di nove centimetri, sarei morto benprima d’aver estratto il kit.

Ma è pur sempre qualcosa che forse posso usareper eliminare la perdita dalla camera d’equilibrio.E attualmente questa è la mia priorità assoluta.

È una perdita piccola. Senza la visiera, la tutaEVA sta bilanciando con efficacia l’intera camerad’equilibrio. È la tuta a immettere l’aria che vapersa dalla falla. Ma prima o poi finirà.

Devo trovare dov’è la perdita. A giudicare dalrumore, dev’essere vicino ai piedi. Adesso che misono tolto la tuta, posso girarmi e guardaremeglio…

Non vedo niente… la sento, ma… è quaggiù daqualche parte, ma non so dove.

Mi viene in mente un solo modo per trovarla:accendere un fuoco!

Sì, lo so. Molte delle mie idee includonoqualcosa da incendiare. E sì, accenderevolontariamente un fuoco in uno spazio minuscoloe chiuso di solito non è una grande trovata. Ma hobisogno del fumo. Me ne basta un filino.

Come al solito ho a che fare con robaappositamente progettata perché non bruci mai. Manon c’è accorgimento antincendio escogitato dallaNASA abbastanza accorto e lungimirante daostacolare un piromane risoluto con un serbatoiodi ossigeno puro.

Purtroppo anche la tuta EVA è interamente dimateriale non infiammabile. Lo stesso vale per lacamera d’equilibrio. Anche tutto quello che hoindosso è ignifugo, tutti i tessuti presenti.

Il mio programma era stato quello di controllarei pannelli solari e riparare quanto necessario dopola tempesta della notte scorsa. Dunque ho con mela mia cassetta degli attrezzi. La quale tuttaviacontiene utensili solo di metallo o di plastica noninfiammabile.

Poi mi è venuto in mente che qualcosa diinfiammabile ce l’ho addosso: i miei capelli.Dovrò accontentarmi. Tra gli arnesi c’è anche uncoltello affilato. Mi taglierò via un po’ di peli daun braccio e ne farò un mucchietto.

Il passo successivo è quello dell’ossigeno. Nonho niente di così raffinato come un flusso di

ossigeno puro. La sola cosa che posso fare èarmeggiare con i controlli della tuta per aumentarela percentuale di ossigeno presente in tutta quantala camera. Credo che se lo porto al quarantapercento dovrebbe bastare.

Ora mi serve una scintilla.Ci sono circuiti elettronici nella tuta, ma sono

attivati da una tensione bassissima. Non credo cheriuscirei a farne sprigionare una scarica ecomunque non voglio manomettere la tuta. Sevoglio andare dalla camera d’equilibrio al roverho bisogno che funzioni.

Ci sono circuiti elettronici anche nella camera,ma venivano alimentati dallo Hab. Immagino chela NASA non abbia mai considerato che cosasarebbe successo se la camera fosse stata sparata acinquanta metri. Branco di indolenti.

Difficile che la plastica bruci, ma chiunqueabbia giocato con un palloncino sa che è un ottimoaccumulatore di energia statica. Con quella dovreipoter far partire una scintilla toccando uno degliarnesi di metallo.

Ironia della sorte: è esattamente così che èmorto l’equipaggio di Apollo 1. Auguratemi buonfortuna!

Trascrizione rapporto orale: Sol 119 (4)

Sono in una scatola piena di odore di pelibruciati. Non è un buon odore.

Al mio primo tentativo ho acceso il fuoco, ma ilfumo se n’è andato in giro da tutte le parti. Era ilmio respiro a disperderlo. Così ho trattenuto ilfiato e ho provato di nuovo.

Al secondo tentativo il fumo è stato dispersodalla mia tuta EVA. La tuta rabbocca costantementel’aria mancante con un dolce flusso di aria cheesce dalla mia visiera rotta. Così ho spentol’ossigenazione della tuta, ho trattenuto il fiato e hoprovato di nuovo. Ho dovuto fare in fretta perchéla pressione ha cominciato a scendere.

Nel terzo tentativo i movimenti veloci delbraccio che facevo per far partire la scintilla

hanno rovinato tutto. Bastano i miei movimenti percreare quel tanto di turbolenza che diffonde il fumoin tutta la camera.

La quarta volta ho tenuto la tuta spenta, hotrattenuto il fiato e, quando è venuto il momento diaccendere il fuoco, l’ho fatto molto adagio. Alloraho visto il filo di fumo scendere verso ilpavimento della camera d’equilibrio e scomparireattraverso una crepa sottilissima.

Eccola, la mia falla!Ho ripreso precipitosamente a respirare e ho

riaperto l’ossigeno nella tuta. Durante il miopiccolo esperimento la pressione era scesa a 0,9atmosfere. Ma nell’aria c’era tutto l’ossigenonecessario per me e per il mio focherello di peli.La tuta ha riportato subito la situazione allanormalità.

Esaminando la frattura, vedo che è davverominima. Ripararla con il mio kit sarebbe unoscherzo, ma ora che ci penso non mi sembra unabuona idea.

Dovrò rimettere a posto la mia visiera. Ancoranon so bene come, ma il mio kit per le riparazioni

e la sua resina resistente alla pressione sonoprobabilmente molto importanti. E non possoneppure farlo un poco per volta. Una volta rotto ilsigillo del kit, i due componenti della resina simescolano e ho sessanta secondi a disposizioneprima che si indurisca. Non posso prelevarne soloun pochino per riparare la crepa nel pavimento.

Avessi un po’ di tempo, potrei farmi venire inmente una soluzione per la visiera. Allora potreirubare qualche secondo durante l’intervento perpassare un po’ di resina sulla crepa. Ma non hotempo.

La mia scorta di N2 è scesa al quarantapercento. Devo riparare quella crepa subito e devofarlo senza usare il kit.

Prima idea: il piccolo olandesino.1 Mi lecco ilpalmo e metto la mano sulla crepa.

Benissimo… Non è una chiusura perfetta, perciòc’è perdita d’aria… adesso comincia a fare piùfreddo… si comincia a non stare troppo bene…Okay, proposta respinta.

Passiamo all’idea numero due. Nastro adesivo!Ne ho nella mia scatola degli attrezzi.

Incolliamocene su un pezzo e vediamo se rallentala perdita. Mi chiedo quanto durerà prima che lapressione lo strappi. Lo sto applicando ora.

Ecco fatto… Tiene ancora…Fatemi dare un’occhiata alla tuta… I dati del

display mi dicono che la pressione è stabile.Sembra che il nastro adesivo abbia sigillato lacrepa piuttosto bene. Vediamo se regge…

Trascrizione rapporto orale: Sol 119 (5)

È passato un quarto d’ora e il nastro sta ancoratenendo. Sembra che il problema sia risolto.

Un po’ deludente, se vogliamo. Stavo giàlavorando a un sistema per chiudere la falla con ilghiaccio. Nella mia tuta ho una scorta d’acqua didue litri. Avrei potuto disattivare il sistema diriscaldamento della tuta e lasciare che latemperatura della camera d’equilibrio scendesse azero. Poi avrei… Be’, lasciamo perdere.

Comunque avrei potuto farlo con il ghiaccio.Tanto per dire.

D’accordo. Passiamo al prossimo problema:come riparo la tuta? Il nastro adesivo può chiudereuna crepa, ma non può trattenere un’atmosfera dipressione su un’area grande come la mia visiera.

Il kit è troppo piccolo, ma utile lo stesso. Possospalmare resina lungo il bordo del pezzo che si èrotto e coprirlo con qualcosa. La domanda è: cosauso per coprire il buco? Qualcosa che sopporti unbel po’ di pressione.

Mi guardo intorno e l’unica cosa che vedo chepossa reggere a un’atmosfera di pressione è la tutastessa. Ho tessuto in abbondanza e sono anche ingrado di tagliarlo. Ricordate quando ho ritagliatostrisce dalla tela dello Hab? Quelle stesse cesoiesono in questa cassetta degli attrezzi. Se taglio viaun pezzo dalla tuta, creo un altro buco. Ma sarebbeun buco di cui posso controllare ubicazione eforma.

Sì… credo di aver trovato una soluzione. Mitaglierò via un braccio!

Calma, intendevo una manica, non il miobraccio. La taglierò appena sotto il gomitosinistro. Poi la taglierò in lunghezza ricavandoneun rettangolo. Sarà abbastanza grande da coprire lafrattura della visiera e sarà fissato con la resina.

Tessuto in grado di reggere alla pressione?Okay.

Resina in grado di sigillare la stoffa reggendoalla pressione? Okay.

E come la mettiamo con il buco della manicaamputata? A differenza della visiera, il tessutodella tuta è flessibile. Schiaccio l’apertura dellamanica e la saldo con la resina. Quando avròindossato la tuta, dovrò premermi il bracciosinistro contro il fianco, ma c’è abbastanza spazio.

Dovrò usare solo un velo di resina, ma èletteralmente il collante più potente che uomoconosca. E non dev’essere una chiusura perfetta.Mi basta che duri il tempo necessario per mettermiin salvo.

E dove sarebbe “in salvo”? Non ne ho la piùpallida idea.

Un problema alla volta, grazie. Al momento storiparando la tuta EVA.

Trascrizione rapporto orale: Sol 119 (6)

Tagliare la manica è stato facile; lo è stato anchetagliarla in lunghezza per farne un rettangolo.Queste cesoie sono forti da matti.

Pulire la falla nella visiera dai residui di vetro èstato un lavoro più lungo del previsto. Èimprobabile che forino il tessuto della tuta, ma nonvoglio correre rischi. E poi non mi va l’idea chedei pezzi di vetro mi finiscano in faccia quando laindosserò.

Poi è venuto il momento critico. Spezzato ilsigillo del kit, avevo sessanta secondi prima che laresina si indurisse. Ho scalzato il collante con ledita e l’ho spalmato lungo il bordo dell’aperturadella visiera. Quindi ho usato l’avanzo persigillare l’apertura della manica.

Ho tenuto schiacciato il rettangolo di stoffadella tuta sul casco con entrambe le mani mentrecon un ginocchio premevo la manica.

Sono rimasto così finché non ho finito di contare120 secondi. Giusto per non sbagliare.

Mi è sembrato che avesse funzionato piuttostobene. La chiusura sembra solida e la resina è duracome marmo. Mi sono però incollato una mano alcasco.

Basta ridere, per piacere.A ripensarci usare le mani per spalmare la

resina non è stato geniale. Per fortuna avevoancora la mano sinistra libera. Dopo qualchesbuffo e una sfilza di imprecazioni, sono riuscito aprendere la cassetta degli attrezzi. Mi sonoliberato con la lama di un cacciavite (sentendomiveramente stupido dall’inizio alla fine). È stato unprocedimento delicato perché non volevosbucciarmi le dita. Ho dovuto infilare il cacciavitetra casco e resina. Mi sono liberato la mano e nonl’ho fatta sanguinare, perciò giudicoquest’operazione riuscita. Anche se per qualchegiorno avrò grumi di resina coagulata sulle dita

come un bambino che ha giocato con la KrazyGlue.

Ho usato il computer sul braccio per portare lapressione della tuta a 1,2 atmosfere. La pezza sulcasco si è gonfiata ma non è saltata via. La manicasi è gonfiata a sua volta minacciando di strappareil rammendo, ma non si è lacerata.

Poi ho guardato il display per verificare fino ache punto le saldature tenevano.

Risposta: non tanto.L’aria schizzava letteralmente fuori. In 60

secondi ne era uscita abbastanza da far salire lapressione dell’intera camera a 1,2 atmosfere.

La tuta ha una durata di utilizzo di otto ore.Corrispondono a 250 millilitri di ossigeno liquido.Per maggior sicurezza, la tuta può contenere unintero litro di O2. Ma questa è solo una metà dellastoria. Il resto dell’aria è azoto. È lì per aumentarela pressione. Quando c’è una perdita nella tuta, èl’azoto a compensare. La tuta ha a disposizioneuna scorta di due litri di N2 liquido.

Diciamo che il volume della camerad’equilibrio è pari a due metri cubi. La tutagonfiata ne prende probabilmente una metà.Dunque ha impiegato cinque minuti per aggiungere0,2 atmosfere a un metro cubo. Sono 285 grammidi aria (fidatevi della mia aritmetica). L’aria chec’è nei serbatoi pesa circa un grammo percentimetro cubo, dunque ho appena perso 285millilitri.

I tre serbatoi insieme hanno 3000 millilitri dipartenza. In gran parte sono stati usati permantenere la pressione nel periodo in cui c’era unafalla nella camera d’equilibrio. Si aggiunga anchela mia respirazione che ha trasformato l’ossigenoin anidride carbonica, quella che è stata catturatadai filtri CO2 della tuta.

Secondo i dati riportati dal display, vedo che ho410 millilitri di ossigeno e 738 millilitri di azoto.Insieme sono quasi 1150 millilitri. Dividendoli peruna perdita di 285 millilitri al minuto…

Quando uscirò dalla camera d’equilibrio, questatuta EVA durerà solo quattro minuti.

’Fanculo!

Trascrizione rapporto orale: Sol 119 (7)

Bene, ci ho pensato su.A che mi serve andare al rover? Cambierei

semplicemente tipo di trappola. Avere un po’ piùdi spazio sarebbe simpatico, ma alla fine morireilo stesso. Niente depuratore per l’acqua, nienteossigenatore, niente da mangiare. Sceglietene unoa caso, sono tutte e tre condizioni fatali.

Devo riparare lo Hab. So cosa devo fare, cisiamo esercitati durante l’addestramento. Marichiede parecchio tempo. Dovrò rovistare dentroil telo crollato per recuperare il tessuto di scortaper le riparazioni. Poi devo trovare la falla erammendarla con una toppa a tenuta stagna.

Ma mi ci vorranno ore e la mia tuta EVA è dabuttare.

Devo trovarmene un’altra. Nel rover di solitoc’era quella di Martinez. Me l’ero portata dietro

fino al Pathfinder e ritorno, nel caso mi servisseun ricambio. Ma poi l’avevo rimessa nello Hab.

Maledizione!D’accordo, dunque per andare al rover ho

bisogno di un’altra tuta ancora. Quale? Quella diJohanssen è troppo piccola per me (un donnino, lanostra Johanssen). Quella di Lewis è pienad’acqua. Anzi, ormai è piena di ghiaccio che stalentamente sublimando. La tuta smembrata eincollata che ho con me è la mia originale. Restanoquelle di Martinez, Vogel e Beck.

Ho lasciato quella di Martinez vicino alla miabranda nel caso mi servisse una tuta in tutta fretta.Naturalmente dopo quella decompressione cosìimprovvisa potrebbe essere finita chissà dove. Ècomunque un posto da dove cominciare.

Prossimo problema: sono a una cinquantina dimetri dallo Hab. Correre in 0,4 g con addossoun’ingombrante tuta spaziale non è facile. Almeglio posso percorrere due metri al secondo.Fanno un totale di preziosi 25 secondi, quasi unottavo dei miei quattro minuti. Devo ridurli.

Ma come?

Trascrizione rapporto orale: Sol 119 (8)

Faccio rotolare questa dannata camera.È praticamente una cabina telefonica coricata su

un fianco. Ho fatto qualche esperimento.Credo che per farla rotolare debba colpire la

parete con tutte le forze. E contemporaneamentedevo essere a mezz’aria. Non posso fare pressionesu altre parti della camera d’equilibrio. Le forze sieliderebbero a vicenda e non la muoverei di unmillimetro.

Per prima cosa mi sono catapultato da unaparete contro l’altra. La camera è scivolata un po’,ma niente di più.

Poi ho tentato una superflessione per staccarmidal fondo (0,4 g, vai!) tirando contro la parete uncalcio a piedi uniti. Anche questa volta la camerasi è mossa pochissimo.

La terza volta ce l’ho fatta. Il trucco stava nelpiantare bene i piedi sul fondo, vicino alla parete,per poi lanciarmi verso l’alto della parete opposta

e colpirla con la schiena. Quando ci ho provato,poco fa, ho ottenuto una spinta sufficiente da farrotolare la camera d’equilibrio di una faccia versolo Hab.

La camera è larga un metro, dunque…sospirone… devo ripetere la manovra più o menocinquanta volte.

Già prevedo un mal di schiena della Madonna.

Trascrizione rapporto orale: Sol 120

Ho un mal di schiena della Madonna.La sofisticata e raffinata tecnica del “sbattermi

contro il muro” ha qualche difetto. Funziona solouna volta su dieci e fa un male cane. Ho dovutoprendermi delle pause, stendermi e faregenericamente opera di convinzione per indurmiad andare a cozzare ripetutamente contro la parete.

Ci ho messo tutta la dannata notte, ma ce l’hofatta.

Ora sono a dieci metri dallo Hab. Non possoavvicinarmi più di così perché l’ultimo tratto èpieno di tutti gli oggetti sparati fuori dalladecompressione. La mia camera non è un ATV. Nonposso rotolare su tutta quella roba.

Quando lo Hab è crollato era mattina. Ora èmattina di nuovo. Sono rimasto dentro questadannata scatola per un giorno intero. Ma presto mene vado.

Ora ho indossato la tuta e sono pronto.Va bene… Okay… Rivediamo il piano ancora

una volta: usare le valvole manuali per stabilizzarela camera d’equilibrio. Uscire e correre allo Hab.Infilarsi sotto il telo crollato. Trovare la tuta diMartinez (o quella di Vogel se mi capitasse per lemani per prima). Andare al rover. Salvo.

Se il tempo scade prima d’aver trovato una tuta,correrò al rover comunque. Sarò nei guai, ma avròla possibilità di pensare e materiali con cuilavorare.

Un respiro profondo… via!

Giornale di bordo: Sol 120

Sono vivo! E sono sul rover!Le cose non sono andate proprio secondo i

piani, ma non sono morto, quindi è stato unsuccesso.

Ho equilibrato la pressione nella camera senzaintoppi. In meno di trenta secondi ero fuori. Hosaltellato verso lo Hab (il modo più veloce dimuoversi in questa gravità), attraversando il trattopieno di oggetti sparati fuori dalladecompressione. Ne è volata di roba, mecompreso.

Facevo fatica a vedere qualcosa. Avevo lavisiera coperta dalla mia pezza. Per fortuna ho unatelecamera sul braccio. La NASA ha scoperto chegirarsi completamente per guardare qualcosaindossando una tuta spaziale era un terribilespreco di tempo. Così hanno montato una piccolatelecamera sulla manica destra. Le immaginivengono proiettate sull’interno della visiera.Questo ci permette di guardare qualcosa

semplicemente puntando il braccio nella suadirezione.

La pezza non era molto liscia o riflettente, cosìle immagini che vedevo io erano in una versionealquanto stropicciata, ma mi è bastato per nonperdermi.

Ho puntato dritto verso il punto da cui si erastaccata la camera d’equilibrio. Sapevo che lìavrei trovato un varco abbastanza grande da poterentrare facilmente. Così è stato. E, ragazzi, chebrutto strappo! Ripararlo sarà una gran bellarogna.

È a quel punto che hanno cominciato a emergerei difetti del mio piano. Avevo un solo braccio concui rovistare. Il braccio sinistro era imprigionatocontro il fianco, con il pezzo di manica di tuta aballonzolare liberamente. Così per muovermi sottoil telo, ero costretto a usare l’unico braccio adisposizione giusto per tenere il telo alzato. Mi harallentato.

Da quel che vedevo, l’interno dello Hab era asoqquadro. Si era spostato tutto. Tavoli e brandeerano a metri di distanza dal loro posto. Gli oggetti

più leggeri erano o sparsi da tutte le parti, ocatapultati all’esterno. E tutto era ricoperto di terrae piante di patate straziate.

Avanzando con notevole difficoltà sono arrivatodove avevo lasciato la tuta di Martinez.Incredibilmente era ancora lì!

“Vai!”, ho pensato ingenuamente. “Problemarisolto”.

Purtroppo la tuta era incastrata sotto un tavolo,schiacciato dal telo crollato. Se avessi avutoentrambe le braccia, avrei potuto liberarla, ma conun braccio solo mi era impossibile.

Il tempo stava per scadere, così mi sono tolto ilcasco. L’ho posato lì accanto e allungando ilbraccio oltre il tavolo ho recuperato il kit diriparazione di Martinez. L’ho trovato con l’aiutodella telecamera sul braccio. L’ho gettato nelcasco e sono uscito di corsa.

Sono arrivato al rover appena in tempo. Lacamera d’equilibrio del rover si è riempita dimeravigliosa aria a un’atmosfera quando le mieorecchie cominciavano già a schioccare per laperdita di pressione.

Appena mi sono infilato dentro sono crollato aterra ad ansimare per un momento.

Dunque sono di nuovo a bordo del rover. Comedurante la Grande Spedizione di Recupero delPathfinder. Che bellezza. Almeno questa volta nonpuzza così tanto.

Probabile che a quest’ora alla NASA sianoalquanto preoccupati per me. Probabile cheabbiano visto la camera d’equilibrio tornare versolo Hab, dunque sapranno che sono vivo, mavorranno sapere come sto. E si dà il caso che sia ilrover a comunicare con il Pathfinder.

Ho cercato di spedire un messaggio, ma ilPathfinder non risponde. Non c’è dameravigliarsi. È alimentato direttamente dallo Habe lo Hab è offline. Durante la mia breve eterrorizzata sgambettata all’esterno ho visto che ilPathfinder è ancora dove l’ho lasciato e che glioggetti sparati dallo Hab non sono arrivati finoalla sonda. Se riesco ad alimentarlo, dovrebbefunzionare come prima.

Quanto alla mia situazione attuale, il grandepasso avanti è costituito dal casco. Sono

intercambiabili, quindi posso sostituire quellosfondato con il casco di Martinez. Resta ilproblema della mezza manica, ma la perditaprincipale era attraverso la visiera. E con il kitrecuperato posso sigillare meglio la manica condell’altra resina.

Ma è un intervento che devo rimandare. Sonosveglio da ventiquattr’ore. Non corro pericoliimmediati, perciò adesso dormo.

Giornale di bordo: Sol 121

Dopo una bella dormita, oggi mi sono portatoparecchio avanti.

Per prima cosa ho ricementato la manica. Inprecedenza avevo spalmato uno strato molto sottiledi resina, perché l’avevo usata quasi tutta perrappezzare la visiera. Questa volta avevo un kitintero solo per la manica. Ho ottenuto unincollaggio perfetto.

Continuo ad avere una tuta spaziale con una solamanica, ma almeno non perde più.

Ieri ho perso quasi tutta la mia aria, ma mi erarimasta mezz’ora di ossigeno. Come ho giàspiegato, un corpo umano non ha bisogno di moltoossigeno. Il problema era mantenere la pressione.

Avendo tempo, ho potuto approfittare dellascorta per il rifornimento d’aria alle tute a bordodel rover. Cosa che non potevo fare finché avevouna tuta con una perdita.

Il serbatoio di rifornimento è una misurad’emergenza. Nel suo utilizzo ordinario, il rovercomincia la sua missione con tute piene di aria etorna quando l’aria non è ancora finita. Non è statoprogettato per viaggi lunghi e nemmeno per essereusato per due giorni di fila. Tuttavia, giusto in casodi un’emergenza, all’esterno ha delle manichette dirifornimento. All’interno lo spazio è giàabbastanza limitato e la NASA ha concluso che isistemi d’emergenza supplementari riservatiall’aria dovessero essere all’esterno.

Ma il rifornimento avviene lentamente, piùlentamente di quanta aria veniva persa dalla mia

tuta. Dunque a me non poteva tornare utile primache avessi scambiato i caschi. Ora, con una tutachiusa e in grado di mantenere la pressione,rabboccare i serbatoi è stato un giochetto.

Dopo il rifornimento e dopo essermi assicuratoche la tuta non perdeva più, mi sono occupato dialcune altre questioni che richiedevano unintervento immediato. Per quanto mi fidi della miaabilità manuale, volevo una tuta con due maniche.

Sono tornato allo Hab. Questa volta, non avendoi minuti contati, ho potuto usare un paletto per farleva sotto il tavolo e liberare la tuta di Martinez,che mi sono trascinato al rover.

Dopo un’accurata diagnosi per assicurarmi chefosse integra, ho potuto entrare finalmente in unatuta EVA perfettamente funzionante! Mi ci sonovoluti due viaggi per recuperarla, ma ce l’ho fatta.

Domani riparo lo Hab.

Giornale di bordo: Sol 122

La prima cosa che ho fatto oggi è stato allinearedei sassi vicino al rover per compitare “A-okay”.Tanto per far felice la NASA.

Sono entrato di nuovo nello Hab per valutare idanni. La mia priorità sarà quella di riparare lastruttura in maniera che possa trattenere lapressione. Dopodiché potrò risistemare le coseche sono andate rotte.

Normalmente lo Hab è una cupola con sostegniflessibili che ne mantengono la forma e un tessutorigido a fare da pavimento. La pressione internaera funzionale al suo sostegno. Senza pressione iltelo era collassato. Ho ispezionato i pali e non neho trovato nessuno rotto. Sono semplicementecascati. Dovrò riaccoppiarne alcuni, ma è facile.

Lo squarcio dove prima c’era la Camera 1 èenorme, ma rimediabile. Ho strisce adesive e teladi scorta. Sarà un lavoro lungo, ma sono sicuro dipoter rimettere lo Hab insieme. Fatto quello,riattiverò l’alimentazione elettrica e rianimerò ilPathfinder. Dopodiché sarà la NASA a dirmi comeriparare tutto quello a cui non sono stato capace ditrovare una soluzione da solo.

Niente di tutto questo mi preoccupa. Ho unproblema molto più importante.

La piantagione è morta.Con la perdita totale della pressione, l’acqua è

evaporata quasi tutta. La temperatura inoltre è benal di sotto dello zero. Nemmeno i batteri presentinel terreno potrebbero sopravvivere a una similecatastrofe. C’erano delle piante anche nelle tende ascatto fuori dello Hab. Ma sono morte anchequelle. Le avevo collegate allo Hab con dellemanichette per rifornirle di aria e mantenerle allagiusta temperatura. Quando lo Hab è crollato, sisono depressurizzate anche le tende a scatto.Anche se così non fosse stato, le piante sarebberomorte di freddo.

Ora su Marte le patate si sono estinte.Altrettanto è stato per i batteri presenti nel

terreno. Finché sarò qui non farò crescerenessun’altra pianta.

Avevamo pianificato tutto. La mia piantagionemi avrebbe garantito cibo fino a Sol 900. A Sol856 una sonda mi avrebbe portato dei rifornimenti,

ben prima che le mie scorte si esaurissero. Senzala piantagione, quel piano è andato a farsi friggere.

Dubito che l’esplosione abbia danneggiato lerazioni di viveri. E le patate già maturate sarannoanche morte, ma sono pur sempre cibo. Miaccingevo a raccoglierle, perciò immagino chetanto valga farlo adesso.

Le razioni mi dureranno fino a Sol 400. Nonposso prevedere con sicurezza quanto dureranno lepatate finché non saprò quante sono. Ma posso fareun’ipotesi. Avevo 400 piante, con una mediaprobabile di cinque patate ciascuna. Fanno 2000.A 150 calorie cadauna, per sopravvivere dovròmangiarne dieci ogni sol. Questo significa che neavrò per 200 sol. Tirata la somma finale, ho damangiare fino a Sol 600.

Ora di Sol 856 sarò defunto da tempo.

1 Riferimento alla leggenda di Hans Brinker, il bambino olandese chesalvò il suo villaggio dall’inondazione tenendo un dito nella fessura diuna diga per tutta la notte. (n.d.t.)

15

[8:12] WATNEY: Test.[08:25] JPL: Ricevuto! Ci hai fatti stare con il cuore in gola.

Grazie per il “A-okay”. La nostra analisi delle immagini satellitarimostra un distacco completo della Camera 1. Confermi? Tuecondizioni?

[8:39] WATNEY: Se per “distacco” volete dire “sparato fuoricome da un cannone” la risposta è sì. Graffio sulla fronte. Qualchedisguido con la mia tuta EVA (spiegherò dopo). Ho riparato lo Hab el’ho ripressurizzato (i serbatoi d’aria principali erano intatti). Hoappena riattivato l’alimentazione. La piantagione è morta. Horecuperato tutte le patate che ho potuto e le ho stoccate all’esterno.Ne ho contate 1841. Mi dureranno 184 giorni. Aggiungendo lerestanti razioni della missione comincerò a patire la fame a Sol 584.

[08:52] JPL: Sì, risulta anche a noi. Stiamo lavorando a soluzioniper il problema cibo. Quali sono le condizioni dei sistemi Hab?

[09:05] WATNEY: I serbatoi primari di aria e acqua erano integri.Il rover, i pannelli solari e il Pathfinder erano fuori della portatadell’esplosione. Farò una diagnosi dei sistemi dello Hab mentreaspetto la vostra prossima risposta. A proposito, con chi stoparlando?

[09:18] JPL: Venkat Kapoor a Houston. Pasadena inoltra i mieimessaggi. D’ora in avanti sarò io a condurre direttamente lecomunicazioni con te. Per prima cosa controlla l’ossigenatore e ildepuratore. Sono gli elementi più importanti.

[09:31] WATNEY: Fatto. L’ossigenatore funziona alla perfezione.Il depuratore è completamente offline. Probabile che l’acquaall’interno sia gelata e qualche tubo si sia crepato. Sono sicuro dipoterlo riparare. Anche il computer principale funziona senzaproblemi. Qualche idea su che cosa abbia provocato lo scoppio delloHab?

[09:44] JPL: L’ipotesi più accreditata è usura del telone incorrispondenza della Camera 1. Il ciclo di pressurizzazione hasottoposto la giuntura a stress ripetuti finché ha ceduto. D’ora inavanti per tutte le EVA usa in alternanza le Camere 2 e 3. Ti faremoanche avere una lista di controllo e le procedure per un esamedettagliato del telo.

[09:57] WATNEY: Ore e ore a scrutare una parete, fantastico!Fatemi sapere se vi viene in mente un modo per non farmi morire difame.

[10:11] JPL: Senz’altro.

«Siamo a Sol 122», disse Bruce. «Per fararrivare una sonda su Marte abbiamo tempo fino aSol 584. Sono 462 sol, che equivalgono a 475giorni».

I capi dipartimento del JPL corrugarono la frontee si strofinarono gli occhi.

Bruce si alzò in piedi. «Le posizioni relative diTerra e Marte non sono ideali. Il viaggiorichiederà 414 giorni. Per montare la sonda sulbooster ed effettuare tutte le ispezioni ci vogliono

13 giorni. Ci restano quindi solo 48 giorni perpreparare questa sonda».

La sala si riempì di sommesse manifestazioni disconforto. «Gesù», mormorò qualcuno.

«Si riparte da zero», riprese Bruce. «Ora siamofocalizzati sul cibo. Tutto il resto è diventatopuramente decorativo. Non abbiamo tempo per unatterraggio controllato. Dovremo scaricare e basta.Non potremo metterci dentro niente di delicato.Dite addio a tutte le altre stronzate che avevamointenzione di spedirgli».

«Chi ci dà il booster?», volle sapere NormToshi, che era il responsabile della procedura dirientro.

«EagleEye 3», rispose Bruce. «La sonda perSaturno. È programmata per il mese prossimo. LaNASA ha sospeso le operazioni per darci ilbooster».

«Quelli dell’EagleEye non l’avranno presabene», commentò Norm.

«Ne sono più che convinto», convenne Bruce.«Ma è l’unico booster che abbiamo abbastanzapotente per questo lancio. La qual cosa mi porta al

punto seguente: abbiamo un solo tentativo adisposizione. Se fallisce, Mark Watney muore».

Guardò a uno a uno i presenti e aspettò cheassimilassero la gravità della situazione.

«Qualcosa a nostro favore c’è», ripresefinalmente. «Abbiamo già pronti alcuni elementidelle missioni di prerifornimento per Ares 4.Possiamo attingere da lì e risparmiare un po’ ditempo. Inoltre stiamo inviando cibo, quindiparliamo di materiale robusto. Anche se ci fossequalche problema di rientro e la sonda impattassead alta velocità, il cibo è sempre cibo.

«E non abbiamo bisogno di essere precisi. Senecessario, Watney può spostarsi di centinaia dichilometri. Ci basta atterrare abbastanza vicino alui perché ci arrivi. Dunque l’operazione si riducea un prerifornimento standard ad atterraggio duro.Noi abbiamo solo il dovere di fare il più in frettapossibile. Perciò mettiamoci al lavoro».

[08:02] JPL: Abbiamo elaborato un piano per farti avere damangiare. Ci stiamo lavorando da una settimana. Possiamo farteloarrivare in tempo, ma saremo sul filo. Sarà solo cibo con una radio.

Senza una discesa controllata non possiamo mandarti unossigenatore, un depuratore o altro del genere.

[08:16] WATNEY: Nessun reclamo da qui! Fatemi avere damangiare e sarò un campeggiatore felice. Ho rimesso in funzionetutti i sistemi dello Hab. Ora che ho sostituito le manichette che sierano crepate, il depuratore ha ripreso a funzionare come si deve.Quanto alle scorte di acqua, mi restano 620 litri. Ho cominciato con900 litri (300 di partenza e altri 600 dalla riduzione dell’idrazina).Dunque quasi 300 litri sono andati persi in sublimazione. Ma ora cheil depuratore funziona di nuovo, ne ho a sufficienza.

[08:31] JPL: Bene, continua a informarci di qualsiasi problemameccanico o elettronico. A proposito, il nome della sonda che tiinviamo è Iris. È il nome della dea greca che attraversava il cielo allavelocità del vento. È anche la dea degli arcobaleni.

[08:47] WATNEY: Viene a salvarmi una sonda gay. Capito.

Rich Purnell bevve un sorso di caffè nel silenziototale di tutto l’edificio. Sottopose il software cheaveva scritto a un ultimo collaudo. Tutto a posto.Sprofondò nella sua poltrona con un sospiro disollievo. Guardò l’orologio del computer e scossela testa. 03:42.

Era più che raro che un esperto di astrodinamicalavorasse fino a notte fonda. Il suo compito eratrovare le orbite precise e le correzioni di rottanecessarie per una determinata missione. Di solito

era una delle fasi iniziali di un progetto, perchétutte le altre si basavano sull’orbita prestabilita.

Questa volta invece era tutto il contrario. Irisaveva bisogno di una rotta orbitale, ma nessunosapeva quando sarebbe stata lanciata.

I pianeti si muovono in continuazione. Una rottacalcolata per una specifica data di lancio funzionasolo per quella data. Anche la differenza di un sologiorno potrebbe far mancare del tutto l’obiettivo.

Dunque Rich doveva calcolare molte traiettorie.L’arco di tempo entro il quale sarebbe statalanciata Iris era di venticinque giorni. Avevacalcolato una traiettoria per ciascuno.

Cominciò a scrivere una e-mail al suo capo.Mike, ti allego le rotte per Iris a incrementi di 1-giorno. Meglio

cominciare subito i ricalcoli e la messa a punto perché sianoaccettate ufficialmente. E avevi ragione, sono rimasto su quasi tuttala notte.

Ma non è stata una tragedia, niente di simile alla tortura di dovercalcolare le orbite per Hermes. So che sbuffi quando entro neidettagli tecnici, quindi sarò breve: è molto più complicato calcolare laspinta bassa e costante dei propulsori a ioni di Hermes che le spintepotenti che si usano per le sonde dei prerifornimenti.

Tutte e 25 le rotte durano 414 giorni e variano leggermente soloper la durata della spinta e l’angolazione. Il fabbisogno di propellente

è praticamente lo stesso per tutte le orbite e rientra ampiamente neilimiti di capacità del booster dell’EagleEye.

È un vero peccato. La Terra e Marte sono in una posizionedavvero pessima. Sarebbe quasi più semplice…

S’interruppe.Aggrottò le sopracciglia e fissò lo sguardo nel

vuoto.«Mmm», mormorò.Prese la tazza e andò a riempirla di altro caffè.

Teddy contemplò la sala affollata. Era rarovedere tutti insieme una simile quantità di pezzigrossi della NASA. Rifilò il piccolo mazzo diappunti che aveva preparato posandoliprecisamente perpendicolari a se stesso.

«So che siete tutti presi», esordì. «Grazie diaver trovato tempo per questa riunione. Hobisogno di un rapporto sullo stato attuale delProgetto Iris da tutti i dipartimenti. Venkat,cominciamo da te».

«La squadra per la missione è pronta», dichiaròVenkat leggendo dallo schermo del suo laptop.«C’è stata qualche piccola divergenza tra le

squadre di controllo delle missioni diprerifornimento di Ares 3 e Ares 4. Quelli di Ares3 sostenevano che spettava a loro occuparseneperché finché su Marte c’è Watney, la missioneAres 3 è ancora in corso. Quelli di Ares 4obiettano che la sonda che si sta preparando è statapresa da loro. Io ho finito per assegnare il progettoad Ares 3».

«Rimostranze di Ares 4?», chiese Teddy.«Sì, ma si rassegneranno. Hanno da occuparsi di

altre tredici missioni di prerifornimento. Nonhanno tempo per tenere il broncio».

«Mitch», disse Teddy rivolgendosi alcontrollore di volo. «Come va con il lancio?».

Mitch si tolse un auricolare dall’orecchio.«Abbiamo allestito una sala di controllo», disse.«Dirigerò io il lancio, poi passerò ai ragazzi diVenkat il controllo del viaggio e dell’atterraggio».

«Media?», domandò Teddy rivolgendosi aAnnie.

«Sto dando alla stampa aggiornamentiquotidiani», rispose la responsabile alle pubblicherelazioni. «Tutti sanno che se questo piano non

funziona Watney è spacciato. È dai tempi diApollo 11 che il pubblico non è così coinvoltonella costruzione di un veicolo spaziale. Da duesettimane il Watney Report è il programma numerouno della CNN nella sua fascia oraria».

«Che ci sia attenzione è un bene», commentòTeddy. «Ci aiuta a ottenere stanziamenti diemergenza dal Congresso». Posò lo sguardo su unuomo fermo vicino alla porta d’ingresso.«Maurice, grazie d’esserti reso disponibilepraticamente senza preavviso».

Maurice annuì.Teddy lo indicò agli altri. «Per coloro che non

lo conoscono, lui è Maurice Stein di CapeCanaveral. Era lui l’incaricato della rampa dilancio di EagleEye 3, dunque eredita lo stessoruolo per Iris. Perdonami d’averti coinvolto,Maurice».

«Nessun problema, felice di poter essered’aiuto».

Teddy rovesciò il primo foglietto e lo posò afaccia in giù accanto al mazzo. «Come va con ilbooster?»

«Per il momento è tutto a posto», riferì Maurice.«Ma la situazione non è delle migliori. L’EagleEye3 era pronto a partire. I booster non sono fatti perrestare eretti per lunghi periodi sottoposti allostress della gravità. Stiamo aggiungendo nuovisupporti esterni che toglieremo prima del lancio. Èpiù facile che smontarlo. C’è inoltre il problemadel carburante che è corrosivo, dunque abbiamodovuto svuotare i serbatoi. Intanto eseguiamo ognitre giorni ispezioni complete di tutti i sistemi».

«Bene, grazie», disse Teddy. Rivolse la suaattenzione a Bruce Ng, che sostenne il suo sguardocon occhi vistosamente arrossati.

«Bruce, ringrazio anche te d’esserti precipitatoqui. Com’è il tempo in California?»

«Non ne ho idea», rispose Bruce. «Sono semprechiuso dentro».

Qualcuno ridacchiò per qualche secondo.Teddy passò al foglietto successivo. «È venuto

il momento della domanda saliente, Bruce. Comesta venendo Iris?»

«Siamo indietro», rispose Bruce scuotendostancamente la testa. «Facciamo più in fretta che

possiamo, ma non è abbastanza in fretta».«Posso trovare soldi per gli straordinari», si

offrì Teddy.«Stiamo già lavorando giorno e notte».«In che ordine di grandezza siamo quanto a

ritardo?», volle sapere Teddy.Bruce si strofinò gli occhi e sospirò. «Ci stiamo

lavorando da ventinove giorni, perciò ce nerestano diciannove. Quelli della rampa hannobisogno di tredici giorni per montarla sul booster.Siamo indietro di almeno due settimane».

«È un ritardo che secondo te resterà costante?»,domandò Teddy prendendo nota sul suo foglietto.«O aumenterà?».

Bruce si strinse nelle spalle. «Se non avremoaltri problemi, due settimane sono e resteranno.Ma abbiamo sempre dei problemi».

«Dammi un numero», lo sollecitò Teddy.«Quindici giorni», rispose Bruce. «Se avessimo

altri quindici giorni, sono sicuro che faremmo intempo».

«Va bene», disse Teddy prendendo un altroappunto. «Creiamo quindici giorni».

Si girò verso il medico consulente per lamissione Ares 3. «Dottor Keller», chiese,«possiamo ridurre il consumo di cibo di Watneyper far durare più a lungo le razioni?»

«Spiacente, ma la risposta è no», affermòKeller. «La sua assunzione è già scesa al minimodi calorie indispensabili. Anzi, considerata l’entitàdello sforzo fisico a cui si sottopone, stamangiando molto meno di quanto dovrebbe. E puòsolo peggiorare. Presto la sua dieta si limiterà apatate e integratori vitaminici. Sta tenendo da partealcune razioni ricche di proteine da utilizzare piùavanti, ma sarà lo stesso denutrito».

«Dopo che avrà finito il cibo, per quanto tempopotrà sopravvivere ancora?», domandò Teddy.

«Presumendo ampie scorte di acqua, potrebberesistere tre settimane. Meno di un classicosciopero della fame, ma non dimentichiamoci chegià all’inizio sarà magro e denutrito».

Venkat richiamò la loro attenzione alzando lamano. «Teniamo presente che Iris farà unatterraggio duro. Potrebbe dover viaggiare perqualche giorno per recuperare i rifornimenti. E ho

il sospetto che quando stai letteralmente morendodi fame, guidare un rover non sia molto facile».

«Ha ragione», confermò il dottor Keller. «Dopoche sarà rimasto senza cibo per quattro giorni,faticherà a stare in piedi, figuriamoci controllareun rover. Inoltre ci sarà un brusco calo delle suefacoltà mentali. Farà fatica persino a restaresveglio».

«Dunque la data dell’atterraggio è quella»,concluse Teddy. «Maurice, puoi montare Iris sulbooster in meno di tredici giorni?».

Maurice si appoggiò alla parete e si prese ilmento nella mano. «Be’… se si tratta di montarlotout court, ci vogliono solo tre giorni. Gli altridieci sono per i test e le ispezioni».

«Quanto si possono stringere?»«Lavorando assolutamente senza interruzioni,

potrei montarla in due giorni. Compreso iltrasporto da Pasadena a Cape Canaveral. Ma nonpossiamo abbreviare le ispezioni. Sonoscadenzate. Facciamo controlli e ricontrolli aintervalli prestabiliti per vedere se c’è qualcosache nel frattempo si deforma o modifica in qualche

modo. Se abbreviamo gli intervalli, invalidiamo leispezioni».

«Quanto spesso quelle ispezioni rilevano unproblema?», volle sapere Teddy.

Si fece silenzio assoluto.«Vorrei capire», cominciò Maurice con qualche

titubanza. «Stai suggerendo di saltare leispezioni?»

«No», rispose Teddy. «Ora come ora ti stochiedendo quanto spesso le ispezioni fannoemergere un problema».

«Diciamo una volta ogni venti lanci».Teddy lo trascrisse. «E quanto spesso il

problema che trovano è tale da provocare ilfallimento di una missione?»

«Mah, non saprei. Diciamo metà delle volte?».Teddy trascrisse anche quello. «Dunque se

saltiamo le ispezioni e i test abbiamo unaprobabilità di insuccesso su quaranta, giusto?»,calcolò Teddy.

«Equivale al 2,5 percento», intervenne Venkat.«Di norma impone l’arresto del conto alla

rovescia. Non possiamo correre un rischio cosìalto».

«“Di norma” era molto tempo fa», ribatté Teddy.«Il 97,5 percento è meglio di zero. Qualcuno ha daoffrire un sistema più sicuro per guadagnaretempo?».

Scrutò la sala. Incontrò espressioni impassibili.«Benissimo», concluse circolettando qualcosa

dei suoi appunti. «Accelerando il montaggio esaltando le ispezioni guadagniamo undici giorni.Se Bruce riesce a inventarsi qualcos’altro eridurre qualcosa dei suoi tempi, a Maurice saràconcessa qualche ispezione».

«E gli altri quattro giorni?», chiese Venkat.«Sono sicuro che Watney riuscirà a farsi durare

quel che ha per quattro giorni in più, purdenutrendosi», rispose Teddy lanciandoun’occhiata al dottor Keller.

«Io…», cominciò Keller. «Io non possoconsigliare…».

«Basta così», tagliò corto Teddy. Si alzò e sirisistemò il blazer. «Capisco la posizione diciascuno di voi. Abbiamo delle procedure.

Trascurare quelle procedure significa rischiare.Rischiare significa guai per il vostro dipartimento.Ma questo non è il momento adatto per coprirvi ilculo. Se non accettiamo di correre dei rischi, MarkWatney muore».

Si rivolse a Keller. «Fai in modo che il cibo gliduri quattro giorni più a lungo», disse.

Keller annuì.

«Rich», chiamò Mike.Rich Purnell era concentrato sul monitor del suo

computer. La sua nicchia lavorativa era unadiscarica di scartoffie, diagrammi e libri. Nonc’era superficie su cui non campeggiasse qualchebicchiere da caffè vuoto; sul pavimento c’eranodappertutto contenitori di pietanze da asporto.

«Rich», chiamò di nuovo Mike un po’ più forte.Rich alzò la testa. «Sì?».«Cosa diavolo stai facendo?»«Un piccolo esperimento ipotetico. Una cosa

che mi è venuta voglia di controllare».«Be’… va bene, immagino», disse Mike, «ma

prima devi fare il lavoro che ti è stato assegnato.

Ho chiesto quelle correzioni satellitari duesettimane fa e ancora non me le hai calcolate».

«Ho bisogno di usare il supercomputer», sigiustificò Rich.

«Hai bisogno del supercomputer per dellecorrezioni satellitari di ordinariaamministrazione?»

«No, è per quell’altra cosa a cui sto lavorando»,precisò Rich.

«Rich, sul serio. Devi fare il tuo lavoro».Rich rifletté per un momento. «Secondo te

sarebbe un buon momento per una vacanza?»,chiese poi.

Mike sospirò. «Sai una cosa, Rich? Credo cheora sarebbe il momento ideale perché tu ti prendauna vacanza».

«Perfetto!». Rich sorrise. «Comincio subito».«Come no», ribatté Mike. «Vai a casa.

Riposati».«Oh, ma non vado a casa», disse Rich tornando

ai suoi calcoli.Mike si schiacciò le palpebre con i pollici.

«D’accordo, come preferisci. Per quelle orbite

satellitari?…».«Sono in vacanza», disse Rich senza distogliere

gli occhi dal monitor.Mike se ne andò con un’alzata di spalle.

[08:01] WATNEY: Notizie del mio pacco dono?[08:16] JPL: Un po’ in ritardo sui tempi, ma ce la faremo. Nel

frattempo vogliamo che tu ti rimetta al lavoro. Ottima cosa che loHab sia in buono stato. La manutenzione ti richiede solo dodici orealla settimana. Riempiremo il resto del tuo tempo con ricerche edesperimenti.

[08:31] WATNEY: Splendido! Non ne potevo più di star qui adappiattirmi il culo. Ne avrò per anni. Tanto vale che mi usiate.

[08:47] JPL: È quello che pensavamo. Ti faremo avere ilprogramma appena la squadra scientifica l’avrà stilato. Sarannosoprattutto EVA, campioni geologici, analisi del suolo e test medicisettimanali che ti farai da te. Credimi se ti dico che tu rappresenti lamiglior occasione di “permanenza su Marte” che ci è data dai tempidel lander Opportunity.

[09:02] WATNEY: L’Opportunity non è mai tornato sulla Terra.[09:17] JPL: Scusa. Analogia infelice.

La Spacecraft Assembly Facility del JPL,conosciuta anche come la «stanza pulita», era ilpoco noto luogo di nascita delle più famoseastronavi nella storia dell’esplorazione marziana.Mariner, Viking, Spirit, Opportunity e Curiosity,

solo per menzionarne alcune, erano tutte nate inquella stanza.

Quel giorno l’alacre attività di un gran numerodi tecnici era tutta dedicata alla chiusura di Irisnello speciale contenitore appositamente costruitoper la sua spedizione.

I tecnici non in servizio seguivano la proceduradal ponte d’osservazione. Da due mesi raramenteerano stati a casa; un dormitorio provvisorio erastato allestito nel locale della mensa. Normalmentea quell’ora un terzo del personale sarebbe stato aletto, ma nessuno voleva perdersi quel momento.

Il caposquadra finì di stringere l’ultimo bullone.Quando staccò la chiave, tutti i tecnici silasciarono andare in un applauso prolungato. Moltidi loro erano in lacrime.

Dopo sessantatré giorni di lavoro massacrante,Iris era pronta.

Annie salì sul podio e regolò l’altezza delmicrofono. «I preparativi per il lancio sono staticompletati», annunciò. «Iris è pronta a partire. Illancio è fissato per le nove e quattordici minuti».

«Una volta lanciata, la sonda resterà in orbitaper almeno tre ore. Durante quel periodo ilControllo Missione effettuerà la telemetria esattaper la spinta iniziale verso Marte. Completataquesta fase, la missione verrà passata nelle manidella squadra addetta ai prerifornimenti di Ares 3,che ne monitorerà il volo interplanetario nei mesiche seguiranno. Perché arrivi su Marte ci vorranno414 giorni».

«A proposito del carico», chiese un giornalista,«ho sentito dire che non c’è solo cibo, giusto?»

«Infatti». Annie sorrise. «Abbiamo acclusocento grammi di beni voluttuari. Ci sono letterescritte a mano della sua famiglia, un messaggio delPresidente e una chiavetta USB con musiche di tuttele epoche».

«Anche disco?», domandò qualcuno.«Niente disco», assicurò Annie innescando

risatine in tutta la sala.Prese la parola Cathy Warner della CNN. «Se

questo lancio fallisse, a Watney resta qualche altrapossibilità?»

«In tutti i lanci c’è una componente di rischio»,rispose Annie aggirando la domanda, «ma nonabbiamo motivo di prevedere problemi di sorta.Le condizioni meteorologiche a Cape Canaveralsono ottime con temperature miti. Non si potrebbechiedere di meglio».

«C’è qualche limite di spesa a questaoperazione di soccorso?», chiese un altro inviato.«Qualcuno comincia a chiedersi quando i costipotrebbero arrivare a un punto tale da esseregiudicati troppo alti».

«Qui non si tratta di tirare le somme», dichiaròAnnie che si era preparata per una domanda delgenere. «Si tratta di tirar fuori una vita umana daun pericolo immediato. Se vogliamo guardarla dallato finanziario, consideriamo il valore dellaprolungata missione di Mark Watney. Il suo lungosoggiorno e la sua lotta per la sopravvivenza cioffrono un quantitativo di informazioni su Marteche non potremmo mai ottenere dall’interoprogramma Ares».

«Tu credi in Dio, Venkat?», domandò Mitch.

«Sicuro, in molti dèi», rispose Venkat. «Sonoinduista».

«Chiedi loro di aiutarci con questo lancio».«Lo farò».Erano al Controllo Missione. Mitch andò alla

sua postazione in una stanza che fremevadell’attività di decine di tecnici, ciascunoconcentrato sui preparativi finali per il lancio.

Indossò le cuffie e diede un’occhiataall’indicazione cronometrica sul gigantescoschermo centrale. Attivò le cuffie e disse: «Parla ildirettore di volo. Diamo inizio al controllo di statodel lancio».

«Roger, Houston», rispose il direttore alcontrollo del lancio dalla Florida. «Dal CLCDR,verifica che tutte le postazioni siano occupate e isistemi pronti», trasmise via radio. «Datemi ungo/no-go per il lancio. Voce?»

«Go», fu la risposta.«Conteggio».«Go», rispose un’altra voce.«QAM1».«Go».

Mitch fissava lo schermo con il mentoappoggiato alle mani unite. Vi si vedeva la rampadi lancio. Sul booster, avvolto dalle nuvole divapore acqueo del sistema di raffreddamento,c’era ancora la scritta EagleEye 3.

«QAM2».«Go».«QAM3».«Go».Venkat appoggiò la schiena al muro. Lui era

dell’amministrazione. Il suo lavoro, lo aveva fatto.A quel punto poteva solo guardare e sperare. I suoiocchi erano fissi sulla schiera di monitor a muro.Mentalmente rivedeva i salti mortali, i giochi diprestigio, le bugie spudorate e gli azzardi ai limitidel codice penale con cui aveva messo assiemequella missione. Tutto avrebbe avuto la suagiustificazione solo se il piano avesse funzionato.

«FSC».«Go».«Prop Uno».«Go».

Teddy era nella sala di osservazione VIP dietroal Controllo Missione. Per la sua autorità avevadiritto al posto migliore, al centro della prima fila.Aveva posato la sua borsa ai piedi e teneva tra lemani una cartelletta blu.

«Prop Due».«Go».«PTO».«Go».Annie Montrose passeggiava nel suo ufficio

privato accanto alla sala stampa. I nove televisorimontati a parete erano sintonizzati su nove diversinetwork; ciascun network mostrava la rampa dilancio. Tramite il suo computer poteva constatareche altrettanto facevano anche i network stranieri.Il mondo intero stava trattenendo il fiato.

«ACLC».«Go».«LWO».«Go».Bruce Ng era nella mensa del JPL con le

centinaia di ingegneri che avevano dato a Iris tuttoquello che avevano. Guardavano la trasmissione in

diretta su un grande schermo. Alcuni continuavanoa muoversi senza riuscire a trovare una posizionecomoda. Altri si tenevano per mano. A Pasadenaerano le 06:13, ma tutti i dipendenti erano presenti.

«AFLC».«Go».«Guida».«Go».A milioni di chilometri da lì, l’equipaggio di

Hermes era riunito in ascolto intorno allapostazione di Johanssen. Nessuno badava ai dueminuti di ritardo nella trasmissione. Non avevanomodo di aiutare, non c’era bisogno di interagire.Johanssen aveva gli occhi inchiodati sulloschermo, anche se vi poteva vedere solo l’indicedella potenza del segnale audio. Beck si torceva lemani. Vogel sostava immobile, a occhi bassi.Martinez pregò in silenzio per un po’, poi vide chenon c’era motivo di nasconderlo. Poco in disparte,la comandante Lewis assisteva a braccia conserte.

«PTC».«Go».«Direttore Lancio Veicolo».

«Go».«Houston, qui Controllo Lancio, abbiamo go per

il lancio».«Roger», disse Mitch dando un’occhiata al

conto alla rovescia. «Qui è Volo, go per il lancioin orario».

«Roger, Houston», rispose Controllo Lancio.«Lancio in orario».

Quando il cronometro arrivò a 00:00:15, inetwork ebbero quello che stavano aspettando.Ebbe inizio il conto alla rovescia verbale.«Quindici», cominciò a scandire una vocefemminile, «quattordici… tredici… dodici…undici».

A Cape Canaveral erano accorsi a migliaia, unafolla come non si era mai vista ad assistere illancio di una missione senza equipaggio.Ascoltarono in religioso silenzio la voce che sidiffondeva lungo le tribune.

«…dieci… nove… otto… sette…».Tutto preso dai suoi calcoli orbitali, Ritch

Purnell aveva perso la cognizione del tempo. Nonsi accorse che i suoi colleghi migravano nella

grande sala riunioni dove era stato collocato untelevisore. La sua mente registrò un insolitosilenzio in ufficio, senza che la constatazionesalisse al livello di coscienza.

«…sei… cinque… quattro…».«Inizio sequenza accensione».«…tre… due… uno…».Le grappe si staccarono e il booster decollò in

un nuvolone di vapore e fiamme, sollevandosi inprincipio molto lentamente e accelerando a vistad’occhio. La folla ne sostenne la partenza congrida di incitamento.

«…e decollo della sonda di rifornimento Iris»,concluse la voce dell’addetta al conto allarovescia.

Mitch non aveva tempo di seguire sullo schermoprincipale lo spettacolo del booster che solcava ilcielo. «Assetto?», gridò.

«Assetto buono, Volo», fu la risposta immediata.«Traiettoria?», chiese.«In traiettoria».«Altitudine mille metri», intervenne qualcun

altro.

«Abbiamo raggiunto il livello di aborto sicuro»,annunciò un altro tecnico indicando che da quelpunto in avanti se necessario il lancio potevaprecipitare senza danni nell’oceano Atlantico.

«Altitudine millecinquecento metri».«Cominciato rollio e beccheggio».«Sfarfalla un po’, Volo».Mitch si girò verso il direttore della fase di

ascensione. «Dimmelo di nuovo».«Balla un po’. Se ne sta occupando il sistema di

guida a bordo».«Tienilo d’occhio», disse Mitch.«Altitudine duemilacinquecento metri».«Beccheggio e rollio completati, ventidue

secondi al distacco».

Nel progettare Iris, il JPL aveva tenuto contodella possibilità di un atterraggio catastrofico.Invece di normali razioni-pasto, quasi tutto il ciboera in forma di cubetti proteinici, che sarebberorimasti commestibili anche se Iris non avesseazionato i palloni e avesse urtato la superficie delpianeta a una velocità incredibile.

Siccome quella di Iris era una missione senzaequipaggio, non c’era limite all’accelerazione. Ilcontenuto della sonda era in grado di sopportareforze alle quali nessun essere umano sarebbesopravvissuto. Ma sebbene fossero stati testati glieffetti di forza-g estreme sui cubetti di proteine, laNASA non aveva fatto altrettanto nel caso disimultanea vibrazione laterale. Avessero avuto piùtempo, avrebbero verificato.

L’innocuo tremito provocato da un piccolosquilibrio nella miscela del carburante si riflettésul carico. Iris, saldamente montata dentro il suoguscio sopra il booster, non si mosse. I cubettiproteinici dentro Iris invece sì.

A livello microscopico, i cubi di proteine eranoparticelle solide di cibo sospese in denso oliovegetale. Le particelle di cibo si compressero ameno della metà delle loro dimensioni originali,mentre l’olio ne fu influenzato solosuperficialmente. Questo modificò in manierasostanziale la proporzione volumetrica tra solido eliquido, con la conseguenza che l’aggregato sicomportò come se fosse solo liquido. Noto come

“liquefazione”, questo processo trasformò i cubiproteici da masse solide in poltiglie fluide.

Chiuse dentro celle che in origine eranocompletamente piene, ora le sostanze compresse esemidisciolte avevano spazio in cui oscillare.

Lo sfarfallio provocò anche uno squilibrio nelcarico spingendo la sostanza liquefatta verso unlato della propria cella. Lo spostamento del pesoaggravò il problema e lo sfarfallio aumentò.

«Lo sfarfallio diventa violento», riferì ildirettore della fase di ascensione.

«Violento quanto?», chiese Mitch.«Più di quanto ci piaccia», fu la risposta. «Ma

gli accelerometri lo hanno rilevato e hannocalcolato un nuovo centro di massa. Il computer diguida sta rettificando la spinta dei motori.Andiamo ancora bene».

«Tenetemi informato», disse Mitch.«Tredici secondi al distacco».L’inaspettato spostamento del peso non aveva

provocato un disastro. Tutti i sistemi eranoprogettati per reagire alle peggiori situazioni

possibili; ciascuno eseguì i propri compiti inmaniera ammirevole. Il veicolo continuò la suacorsa verso l’orbita grazie a una sola correzione dirotta infinitesimale, eseguita automaticamente dasoftware altamente sofisticato.

Il primo stadio esaurì il suo carburante e ilbooster consumò per una frazione di secondo lasua forza di inerzia mentre le grappe del primostadio venivano sganciate tramite bulloniesplosivi. Il vettore ausiliario ormai vuoto siallontanò dal veicolo e cominciò a precipitare,mentre i motori del secondo stadio si preparavanoall’accensione.

L’iniziale spinta massiccia non c’era più. Lapoltiglia di proteine galleggiava libera nelcontenitore. In due secondi si sarebbe riespansa esolidificata. Ma le fu concesso solo un quarto disecondo.

All’accensione del secondo stadio, il veicolo fusottoposto a una spinta improvvisa di forzaformidabile. Non dovendo più contrastare il pesomorto del primo stadio, l’accelerazione fustraordinaria. I trecento chilogrammi di poltiglia

andarono a sbattere sul fondo del loro contenitore.Il punto d’impatto fu su un lato di Iris, ben lontanoda dove si sarebbe dovuta trovare la massa delcarico trasportato.

Sebbene Iris fosse fissata con quattro grandibulloni, tutta la forza fu concentrata su uno solo. Ilbullone era in grado di resistere a forze immense,se necessario a sopportare anche tutto il peso delcarico. Ma non era progettato perché sostenessel’impatto improvviso di una massa di trecentochilogrammi.

Il bullone si spezzò. A quel punto il carico sispostò sui quattro bulloni rimanenti. Passato ilmomento della massima accelerazione, costoropoterono onorare facilmente il loro impegno, comenon era stato possibile al loro compagno caduto.

Se i tecnici della rampa avessero avuto il temponecessario a eseguire tutte le normali ispezioni, sisarebbero accorti del piccolo difetto che avevauno dei bulloni. Un difetto che non lo indebolivase non minimamente, non tanto da mettere arepentaglio una missione normale. Tuttavia, lo

avrebbero comunque sostituito con un bullone incondizioni perfette.

Il carico fuori assetto esercitò una forzadifferenziata sui quattro bulloni restanti, conprevalenza su quello difettoso. Dopo che allalunga quest’ultimo cedette, in rapida successionecedettero anche gli altri tre.

Iris si staccò dai supporti nel suo guscioandando a cozzare contro lo scafo esterno.

«Aaaahhh!», proruppe il direttore della fase diascensione. «Volo, abbiamo una forteprecessione!».

«Cosa?», sbottò Mitch mentre su tutte le consolesi accendevano spie lampeggianti e partivanoallarmi acustici.

«La forza su Iris è a 7 g», riferì qualcuno.«Perdita del segnale intermittente», riferì un

altro.«Direzione decollo, cosa sta succedendo?»,

gridò Mitch.«Sta scoppiando un casino. Ruota sull’asse

verticale con una precessione di diciassette

gradi».«Che rotazione?»«Almeno cinque giri al secondo e naturalmente

sta uscendo di traiettoria».«Si riesce a farla arrivare in orbita?»«Non riesco a comunicare, tutti i segnali sono

caduti».«Com!», gridò Mitch al direttore delle

comunicazioni.«Ci sto lavorando, Volo», fu la risposta. «C’è un

problema nel sistema a bordo».«G in forte aumento, Volo».«La telemetria a terra indica duecento metri

sotto la traiettoria prestabilita».«Abbiamo perso i dati della sonda, Volo».«Persi del tutto?», chiese.«Affermativo, Volo. Segnale intermittente dalla

nave, ma niente sonda».«Cazzo», imprecò Mitch. «Si è sganciata dentro

il guscio».«Effetto trottola, Volo».«Ce la fa ad andare in orbita in qualche

modo?», chiese Mitch. «Anche un’orbita

superbassa? Potremmo sempre tentare di…».«Segnale perso, Volo».«Perso anche qui».«Anche qui».A parte il coro degli allarmi, in sala cadde il

silenzio.Dopo un momento Mitch chiese: «Ristabilire?»«Niente da fare», rispose Com.«Terra?», chiese Mitch.«GC», fu la risposta. «Il veicolo ha già lasciato

il contatto visivo».«SatCon?», chiese Mitch.«Nessuna acquisizione satellitare di segnale».Mitch tornò a guardare lo schermo principale.

Ora era vuoto, eccetto che per la grande scritta“LOS” in lettere bianche.

«Volo», disse una voce via radio, «ilcacciatorpediniere Stockton riferisce caduta didetriti dal cielo. La fonte corrisponde all’ultimaposizione rilevata di Iris».

Mitch si prese la testa nelle mani. «Roger»,disse.

Poi pronunciò le parole che tutti i direttori divolo sperano di non dover mai dire: «GC, Volo.Chiudere le porte a chiave».

Era il segnale di avvio delle procedurepostfallimento.

Dalla sala di osservazione VIP, Teddy vide losconforto invadere tutto il personale del ControlloMissione. Trasse un respiro profondo e lo esalò.Guardò mestamente la cartelletta blu checonteneva il suo ottimistico discorso in elogio diun lancio perfetto. Lo ripose nella sua borsa edestrasse la cartelletta rossa, quella che conteneval’altro discorso.

Dalle finestre del suo ufficio Venkatcontemplava il centro spaziale. Un centro spazialein cui era concentrato il più avanzato sapereumano di missilistica e che tuttavia aveva appenafallito un’operazione di lancio.

Squillò il suo cellulare. Di nuovo sua moglie.Senza dubbio preoccupata per lui. Lasciò cherispondesse la casella vocale. Non ce la faceva adaffrontarla. Né lei né nessun altro.

Il suo computer emise un segnale acustico. Videche era una e-mail del JPL. Gli inoltrava unmessaggio dal Pathfinder:

[16:03] WATNEY: Com’è andato il lancio?

16

Martinez:La dottoressa Shields dice che devo scrivere messaggi personali a

ciascun membro dell’equipaggio. Dice che così mi tengo a strettocontatto con l’umanità. Secondo me è una stronzata. Ma non possofarci niente, è un ordine.

Con te, posso parlar chiaro: se muoio, ho bisogno che tu vada daimiei genitori. Vorranno sentire raccontare di prima mano di come èandata su Marte. Mi serve che sia tu a farlo.

Non sarà facile parlare a dei genitori del loro figlio morto. Tichiedo molto ed è per questo che lo chiedo a te. Mi verrebbe da dirtiche tu sei il mio migliore amico e tutto il resto, ma sarebbe patetico.

Non sto mollando. Cerco solo di considerare ogni esito possibile. Èquello che faccio.

Guo Ming, direttore dell’Amministrazionespaziale nazionale cinese, esaminava lascoraggiante montagna di scartoffie cheoccupavano la sua scrivania. In passato, quando laCina voleva lanciare un missile, lo lanciavano ebasta. Ora una serie di accordi internazionali liobbligava ad avvertire prima le altre nazioni.

Era una condizione, osservò tra sé Guo Ming,che non veniva imposta agli Stati Uniti. Vero anche

che gli americani annunciavano pubblicamente iloro programmi di lancio con largo anticipo,quindi era praticamente la stessa cosa.

Compilò un modulo tenendosi su un filo dirasoio: mettendo in chiaro la data del lancio e latraiettoria del volo, mentre faceva tutto il possibileper “nascondere segreti di stato”.

Davanti all’ultimo requisito sbuffò. «Ridicolo»,brontolò. La Taiyang Shen non aveva alcun valorestrategico militare. Era una sonda senzaequipaggio che sarebbe rimasta in orbita intornoalla Terra meno di due giorni. Dopodiché sarebbeentrata in un’orbita solare tra Mercurio e Venere.

Sarebbe stata la prima sonda eliologica cinese aorbitare intorno al Sole.

Ciononostante il consiglio di Stato pretendevache tutti i lanci avvenissero nella massimasegretezza possibile. Anche lanci che non avevanoniente da nascondere. In questo modo le altrenazioni non potevano insinuare che un certo lanciocontenesse carichi classificati basandosi sullamancanza di trasparenza.

Il suo lavoro burocratico fu interrotto daqualcuno che bussava alla porta.

«Avanti», disse Guo Ming contento di potersospendere la tediosa incombenza.

«Buonasera, signore», salutò il sottodirettoreZhu Tao.

«Bentornato, Tao».«Grazie, signore. È bello essere di nuovo a

Beijing».«Come è andata a Jiuquan?», domandò Guo

Ming. «Spero che non facesse troppo freddo. Nonho mai capito perché il nostro centro di lanciodebba essere in mezzo al deserto di Gobi».

«Freddo faceva, sì, ma sopportabile», risposeZhu Tao.

«E come vanno i preparativi?»«Sono felice di riferire che tutto procede in

orario».«Eccellente». Guo Ming sorrise.Zhu Tao si sedette e fissò in silenzio il suo

principale.Guo Ming attese guardandolo, ma Zhu Tao né si

alzò per andarsene, né aprì bocca.

«C’è altro, Tao?», domandò Guo Ming.«Mmm…», fece Zhu Tao. «Naturalmente ha

sentito della sonda Iris, vero?»«Sì, ho sentito». Guo corrugò la fronte. «Una

cosa terribile. Quel pover’uomo morirà di fame».«Forse», disse Zhu Tao. «Forse no», aggiunse.Guo Ming inclinò la testa guardandolo negli

occhi. «Cosa mi stai dicendo?»«Alludo al booster del Taiyang Shen, signore. I

nostri ingegneri hanno fatto i calcoli e haabbastanza carburante per entrare in un’orbitamarziana. Potrebbe farcela in 419 giorni».

«Stai scherzando?».«Mi ha mai sentito scherzare, signore?».Guo Ming si alzò e cominciò ad accarezzarsi il

mento. «Davvero possiamo spedire il TaiyangShen su Marte?», chiese cominciando a camminareavanti e indietro.

«No, signore», rispose Zhu Tao. «Èassolutamente troppo pesante. Con lo scudotermico che abbiamo progettato è la sonda senzaequipaggio più pesante che abbiamo mai costruito.È per questo che il booster è così potente. Ma

potremmo inviare fino a Marte un carico piùleggero».

«Di che massa stiamo parlando?», volle sapereGuo Ming.

«941 chilogrammi, signore».«Ehm», commentò Guo Ming, «scommetto che

alla NASA saprebbero come lavorare su questolimite. Perché non ci hanno contattati?»

«Perché non lo sanno», rispose Zhu Tao. «Tuttala nostra tecnologia dei vettori ausiliari èclassificata. Anzi, il ministro della Sicurezzastatale diffonde addirittura informazioni false sullenostre capacità. E lo fa per ovvie ragioni».

«Dunque loro non sanno che possiamo aiutarli»,concluse Guo Ming. «Se decidiamo di non farlo,nessuno saprà che avremmo potuto».

«Proprio così, signore».«Tanto per curiosità, diciamo che decidiamo di

aiutarli. Che succede?»«Il nostro nemico sarebbe il fattore tempo,

signore», rispose Zhu Tao. «Tenuto conto delladurata del viaggio e delle scorte che restano alloro astronauta, la sonda dovrebbe essere lanciata

entro un mese. Anche così patirebbe un po’ lafame».

«Più o meno quando è previsto il lancio delTaiyang Shen».

«Sì, signore. Ma loro hanno impiegato due mesiper costruire Iris e hanno contratto così tanto itempi che il lancio è fallito».

«Problema loro», tagliò corto Guo Ming.«Mettiamo che siamo noi a fornire il booster. Noilanciamo da Jiuquan. Non possiamo certotrasportare in Florida un missile che pesaottocento tonnellate».

«Qualunque accordo dovrebbe basarsi sulladisponibilità degli americani di rimborsarci per ilbooster», notò Zhu Tao. «Ed è probabile che ilconsiglio di Stato pretenderebbe favori politici dalgoverno degli Stati Uniti».

«Un rimborso sarebbe inutile», obiettò GuoMing. «Questo è stato un progetto costoso e ilconsiglio di Stato non ha fatto che lamentarsi findall’inizio. Se ottenessero un sostanzioso recuperodei soldi spesi, se lo terrebbero. Non ci darebberomai la possibilità di costruirne un altro».

Si agganciò le mani dietro la schiena. «E ilpopolo americano sarà anche sentimentale, ma nonlo è di certo il loro governo. Il loro dipartimentodi Stato non mollerebbe niente di veramenteimportante in cambio della vita di un solo uomo».

«Dunque non c’è speranza?», chiese Zhu Tao.«La speranza c’è sempre», lo corresse Guo

Ming. «Ma con gravi difficoltà. Se questodiventasse un negoziato tra diplomatici, non siverrebbe mai a una soluzione. Dobbiamo fare inmodo che resti una questione tra scienziati. Daagenzia spaziale ad agenzia spaziale. Mi cerco uninterprete e chiamo l’amministratore della NASA.Lavoreremo a un accordo e lo presenteremo ainostri governi come fatto compiuto».

«Ma che cosa possono fare loro per noi?»,domandò Zhu Tao. «Così facendo noi regaliamoloro il nostro booster e rinunciamo al TaiyangShen».

Guo Ming sorrise. «Ci daranno qualcosa chenon potremmo avere senza di loro».

«E cioè?»«Un astronauta cinese su Marte».

Zhu Tao si alzò in piedi. «Ovvio», mormoròsorridendo. «Non hanno ancora selezionato imembri dell’equipaggio di Ares 5. Insisteremoperché prendano uno dei nostri. Uno chesceglieremo e addestreremo noi. La NASA e ildipartimento di Stato accetteranno di sicuro. Macome la mettiamo con il nostro consiglio diStato?».

Le labbra di Guo Ming s’inarcarono in unsorriso astuto. «I cinesi che soccorronopubblicamente gli americani? Un astronauta cineseche scende su Marte? Il mondo intero che vede laCina allo stesso livello degli Stati Uniti nellacorsa allo spazio? Quelli del consiglio di Statovenderebbero le proprie madri per un colpo comequesto».

Teddy ascoltò con il telefono all’orecchio. Lavoce del suo interlocutore finì ciò che aveva dadire e rimase in silenzio in attesa di una risposta.

Con lo sguardo posato su nulla in particolare,Teddy elaborò quanto aveva appena udito.

Dopo qualche secondo rispose: «Sì».

Johanssen:Il record di vendite del tuo poster ha sbaragliato quelle di tutti i

nostri messi assieme. Tu sei la bomba sexy che è andata su Marte.Sei appesa nelle stanze di tutti gli studentati del mondo.

Con un corpo da sballo come quello, perché sei così nerd? E lo sei,sai? Nerd patologica. Io ho dovuto lavorare come una bestia alcomputer per far parlare il Pathfinder con il rover e oh, mammamia. Con la NASA che mi diceva passo per passo tutto quello chedovevo fare.

Dovresti cercare di essere più cool. Metterti gli occhiali neri e ungiubbotto di pelle. Girare con un coltello a serramanico. Aspirare aun livello di cool conosciuto solo come… “botanist cool”.

Sapevi che la comandante Lewis si è fatta una chiacchierata connoi maschi? Se qualcuno ti avesse importunato, era fuori. Mi sa chedopo che ha comandato marinai per una vita, le è venuto qualchepregiudizio.

Comunque, il punto è che sei una nerd. Ricordami di darti unatirata di slip tra le chiappe la prossima volta che ti vedo.

«Okay, eccoci qui di nuovo», cominciò Brucerivolgendosi ai cervelli riuniti del JPL. «Avete tuttisentito parlare del Taiyang Shen, quindi sapete chei nostri amici cinesi ci stanno offrendo un’altraoccasione. Questa volta però sarà più dura».

«Il Taiyang Shen sarà pronto per il lancio traventotto giorni. Se la data non cambia, il nostrocarico raggiungerà Marte a Sol 624, sei settimane

dopo che Watney sarà presumibilmente rimastosenza niente da mangiare. La NASA sta giàlavorando a espedienti per allungare la duratadelle sue scorte».

«Abbiamo scritto una pagina di storia quandoabbiamo completato Iris in sessantatré giorni.Adesso dobbiamo farcela in ventotto».

Osservò per qualche istante le espressioni diincredulità sul volto dei presenti.

«Ragazzi», disse, «questa sarà la nave spazialepiù fragorosa che abbiamo mai costruito. L’unicomodo per finire così in fretta è rinunciare alsistema di atterraggio».

«Come?», esclamò Jack Trevor sconcertato.Bruce annuì. «Mi avete sentito. Niente sistema

di atterraggio. Avremo bisogno del sistema diguida per le correzioni della rotta di ingresso. Mauna volta entrata nell’atmosfera marziana, sischianterà al suolo».

«Ma è una follia!», proruppe Jack. «Urterà lasuperficie a una velocità semplicementepazzesca!».

«Infatti», annuì Bruce. «Calcolando unaresistenza aerodinamica media dovutaall’atmosfera, impatterà a trecento metri alsecondo».

«A che cosa può servire a Watney una sondapolverizzata?», chiese Jack.

«Se il cibo che contiene non si brucia durantel’atterraggio, Watney potrà mangiarlo», fu larisposta di Bruce.

Cominciò a tracciare un rudimentale schemaorganizzativo sulla lavagna. «Voglio due squadre»,cominciò.

«La squadra uno fabbricherà il guscio esterno, ilsistema di guida e i propulsori. Ci basta che arrivisu Marte. Voglio il sistema più sicuro possibile. Lacosa migliore sarebbe propellente gassoso. Unaradio direzionale per poterci parlare e un softwaredi navigazione satellitare standard».

«La squadra due si occuperà del carico. Devetrovare un modo per proteggere il cibo durantel’impatto. Se le barrette di proteine colpisconoterra a trecento metri al secondo, produrranno una

polvere al profumo di proteine. Abbiamo bisognoche dopo l’impatto si possano mangiare».

«Abbiamo a disposizione 941 chilogrammi.Almeno 300 è necessario che siano di cibo. Allavoro».

«Ehm, dottor Kapoor?», chiese Rich facendocapolino nell’ufficio di Venkat. «Ha un minuto?».

Venkat gli fece segno di entrare. «Lei sarebbe?…».

«Rich», rispose l’ingegnere entrando timorosonell’ufficio con un mazzo di fogli disordinati strettitra le braccia. «Rich Purnell, dell’aerodinamica».

«Piacere di conoscerti», disse Venkat. «Cosaposso fare per te, Rich?»

«Qualche tempo fa ho trovato una cosainteressante. Ci ho lavorato parecchio». Lasciòcadere i suoi fogli sulla scrivania di Venkat. «Unmomento che cerco il riepilogo…».

Venkat contemplò desolato la sua scrivania finoa poco prima in ordine e ora invasa da decine edecine di fogli fitti di calcoli.

«Eccolo!», esclamò trionfante Rich sfilando unodei fogli. Poi la sua espressione si rattristò. «No,non è questo».

«Rich», intervenne Venkat, «forse faresti meglioa dirmi di che si tratta, ti pare?».

Rich guardò il caos che aveva creato sulla suascrivania e sospirò. «Ma avevo un riepilogo cosìben fatto…».

«Un riepilogo di cosa?»«Di come salvare Watney».«Ci stiamo già lavorando», disse Venkat. «È

un’ultima spiaggia, ma…».«Il Taiyang Shen?». Rich fece una smorfia.

«Non funzionerà. Non si può fare una sonda perMarte in un mese».

«Ma noi, quant’è vero Iddio, ci proviamo lostesso», scattò Venkat con una certa irritazione.

«Oh, scusi, sto facendo il difficile?», ribattéRich. «Non sono bravo con le persone. Certe voltefaccio il difficile. Vorrei solo che me lo si dicesse.Comunque, il Taiyang Shen è fondamentale. Anzi,la mia idea non potrebbe funzionare senza. Ma unasonda su Marte? Bah. Non scherziamo».

«D’accordo», si arrese Venkat. «Quale sarebbela tua idea?».

Rich allungò una mano e pescò un foglio dallascrivania. «Eccolo qui!». Lo porse a Venkat con unsorriso infantile.

Venkat prese il riepilogo e vi diede una scorsa.Più andava avanti nella lettura, più i suoi occhi siingigantivano. «Sei sicuro?»

«Assolutamente sì!», dichiarò Rich raggiante.«L’hai detto a nessuno?»«A chi dovevo dirlo?»«Non lo so», rispose Venkat. «Qualche amico».«Non ne ho».«D’accordo, tienitelo sotto il cappello».«Non uso il cappello».«Era un modo di dire».«Davvero?», chiese Rich. «È un modo di dire

stupido».«Rich, stai facendo il difficile».«Ah. Grazie».

Vogel:Essere il tuo backup mi si è ritorto contro.

La NASA deve aver pensato che botanica e chimica siano similiperché finiscono tutti e due in “ica”. Fatto sta che ho finito perdiventare il tuo chimico di backup.

Ricordi quando ti hanno fatto sprecare un giorno intero perspiegarmi i tuoi esperimenti? È stato nel pieno della fase intensa dipreparazione alla missione. Può darsi che te ne sia dimenticato.

Hai cominciato il mio addestramento offrendomi una birra. Perprima colazione. I tedeschi sono incredibili.

Comunque, adesso che ho tempo da buttar via, la NASA mi hascaricato addosso una montagna di lavoro. E sulla lista ci sono tuttele tue stronzate di chimica. Così adesso devo fare noiosissimiesperimenti con provette e terriccio e livelli di pH e zzzzzzzzzz…

Ora la mia vita è una lotta disperata per la sopravvivenza… conqualche titolazione qua e là.

Francamente ho il sospetto che tu sia un supercattivo. Sei unchimico, hai un accento tedesco, avevi una base su Marte… cosapuò esserci di più cattivo?

«Cosa cazzo è il “Progetto Elrond”?», chieseAnnie.

«Ho dovuto inventarmi qualcosa», si giustificòVenkat.

«E da dove salta fuori questo “Elrond”?»,insisté Annie.

«Perché è una riunione segreta?», azzardòMitch. «L’e-mail diceva che non dovevo parlarneneppure alla mia assistente».

«Spiegherò tutto quando arriva Teddy», disseVenkat.

«Perché “Elrond” significa “riunionesegreta”?», domandò Annie.

«Dobbiamo prendere una decisione epocale?»,chiese Bruce Ng.

«Infatti», disse Venkat.«Tu come facevi a saperlo?», sbottò Annie

seccata.«Elrond», disse Bruce. «Il Consiglio di Elrond.

Da Il Signore degli Anelli. È la riunione in cuidecidono di distruggere l’Anello».

«Dio mio», gemette Annie. «Nessuno di voiaveva qualcuno con cui fare sesso al liceo, vero?».

«Buongiorno», disse Teddy entrando in salariunioni. Si sedette e posò le mani sul tavolo.«Qualcuno sa il perché di questa riunione?»,domandò.

«Un momento», intervenne Mitch. «Non ne saniente neanche Teddy?».

Venkat respirò a fondo. «Uno dei nostri espertiin astrodinamica, Rich Purnell, ha elaborato unmodo per far tornare Hermes su Marte. La rotta

che ha calcolato consentirebbe a Hermes unpassaggio ravvicinato intorno a Marte a Sol 549».

Silenzio.«Ci stai prendendo per il culo?», lo apostrofò

Annie.«Sol 549? Com’è possibile?», si meravigliò

Bruce. «Neppure Iris sarebbe atterrata prima diSol 588».

«Iris era un veicolo a spinta unica», risposeVenkat. «Hermes ha un motore a ioni a spintacostante. È in accelerazione continua. Inoltre almomento attuale Hermes ha una velocità altissima.Sulla rotta di incrocio con la Terra che stannopercorrendo ora, per il prossimo mese dovrannodecelerare per scendere alla velocità del nostropianeta».

Mitch si passò una mano sulla nuca. «Mammamia… 549. Sono trentacinque sol prima cheWatney resti senza cibo. Risolverebbe tutto».

Teddy si sporse verso Venkat. «Sentiamo», loesortò. «Che cosa comporterebbe?»

«Se facessero questa “Manovra Rich Purnell”»,spiegò Venkat, «comincerebbero ad accelerare già

da ora per conservare la loro velocità eaumentarla. Non intercetterebbero la Terra, mapasserebbero abbastanza vicino a noi da poterusare l’effetto fionda, un assist gravitazionale concui correggere la rotta. Contemporaneamente, nellastessa finestra, recupererebbero una sonda dirifornimento con provviste supplementari per ilprolungamento del viaggio».

«Dopodiché sarebbero in un’orbita inaccelerazione verso Marte, dove arriverebbero aSol 549. Come ho detto, si tratta solo di un flyby,un passaggio ravvicinato. Non ha niente a chevedere con una normale missione Ares.Passerebbero a una velocità troppo alta per poterentrare in orbita. Il resto della manovra li riportasulla Terra. Sarebbero a casa 211 giorni dopo ilflyby».

«Che utilità può avere un flyby?», obiettò Bruce.«Non hanno nessun modo per ripescare Watney dalpianeta».

«Già», ammise Venkat. «Qui arriviamo allaparte brutta. Bisogna che Watney raggiunga il MAVdi Ares 4».

«Schiaparelli!?», proruppe Mitch sbalordito. «Èdistante tremiladuecento chilometri!».

«3235 chilometri, per la precisione»,puntualizzò Venkat. «Non è impossibile. È arrivatofino al punto di sbarco di Pathfinder ed è tornatoindietro. Sono più di 1500 chilometri».

«Di terreno piatto, tutto deserto», intervenneBruce. «Per arrivare allo Schiaparelli…».

«Basti dire», lo interruppe Venkat, «chel’impresa sarebbe molto difficile e pericolosa. Maabbiamo tutti i migliori scienziati che ci possonoservire per aiutarlo a truccare il rover. Cisarebbero modifiche anche per il MAV».

«Cos’è che non va con il MAV?», domandòMitch.

«È progettato per un’orbita bassa intorno aMarte», spiegò Venkat. «Ma Hermes passerebbe anotevole distanza, perciò per intercettarlo il MAVdeve superare completamente la gravità di Marte».

«Come?»«Togliendo peso. Molto peso. Posso mettere

squadre intere a lavorare su questi problemi, sedecidiamo di procedere».

«Prima», disse Teddy, «hai parlato di una sondadi rifornimento per Hermes. Abbiamo questacapacità?»

«Sì», rispose Venkat. «Con Taiyang Shen. Cheuseremmo per un rendezvous nelle vicinanze dellaTerra. Certamente molto più facile che farearrivare una sonda su Marte».

«Capisco», disse Teddy. «Dunque dobbiamoscegliere tra due opzioni: inviare a Watneyabbastanza cibo da durare fino ad Ares 4 o inviareimmediatamente Hermes a recuperarlo. Entrambi iprogetti prevedono l’uso del Taiyang Shen, perciòpossiamo mettere in atto solo uno dei due».

«Sì», confermò Venkat. «Dobbiamo scegliere».Si concessero tutti un momento per riflettere.«Come la mettiamo con l’equipaggio di

Hermes?», domandò Annie rompendo il silenzio.«Non avrebbero qualche difficoltà adaggiungere…». Fece qualche rapido calcolomentale. «533 giorni alla loro missione?»

«Non esiterebbero», affermò Mitch. «Nemmenoper un secondo. È per questo che Venkat ha indetto

questa riunione». Gli rivolse un’occhiataccia.«Vuole che siamo noi a decidere».

«È così», ammise Venkat.«Dovrebbe farlo Lewis», obiettò Mitch.«Inutile chiederglielo», lo rintuzzò Venkat. «È

necessario che prendiamo noi questa decisione. Èuna questione di vita o di morte».

«Lewis è la comandante della missione», insistéMitch. «Le decisioni di vita o di morte sono il suostramaledetto mestiere».

«Calma, Mitch», disse Teddy.«Calma un cazzo», protestò Mitch. «Tutte le

volte che qualcosa è andato storto, non avete fattoaltro che svicolare lasciando fuori l’equipaggio.Non gli avete detto che Watney era ancora vivo.Adesso non gli dite che c’è un modo di salvarlo».

«Abbiamo già un modo per salvargli la vita»,disse Teddy. «Stiamo solo discutendo diun’alternativa».

«La sonda che va a schiantarsi al suolo?»,ribatté Mitch. «C’è davvero tra noi uno che credeche possa funzionare?».

«Va bene, Mitch», disse Teddy. «Hai esposto iltuo punto di vista e noi abbiamo sentito. Andiamoavanti». Si rivolse a Venkat. «Hermes è in grado difunzionare per 533 giorni oltre il termine stabilitoper la missione?»

«Dovrebbe», rispose Venkat. «Può darsi chel’equipaggio debba riparare questo o quello, masono addestrati. Non dimentichiamo che Hermes èstato costruito perché facesse tutte e cinque lemissioni Ares. È solo a metà della sua aspettativadi vita».

«È la cosa più costosa mai costruita»,commentò Teddy. «Non possiamo costruirne unaltro. Se qualcosa va storto, l’equipaggiomorirebbe e con loro morirebbe il ProgrammaAres».

«Perdere l’equipaggio sarebbe una sciagura»,disse Venkat. «Ma non perderemmo Hermes.Possiamo manovrarlo da terra. Finché il reattore ei motori a ioni continueranno a lavorare, possiamosempre recuperarlo».

«I viaggi spaziali sono pericolosi», commentòMitch. «Non ha senso fare della sicurezza

l’argomento di questa discussione».«Dissento», ribatté Teddy. «Questa è senza

dubbio una discussione su cosa è più sicuro. E suquante vite sono in gioco. Entrambi i piani sonorischiosi, ma rifornire Watney mette in pericolouna sola vita mentre la Manovra Rich Purnell nemette in pericolo sei».

«Prendi in considerazione il grado di rischio,Teddy», disse Venkat. «Mitch ha ragione. La sondasenza controllo dell’atterraggio è un rischio moltoalto. Potrebbe mancare Marte, potrebbe entrarecon l’angolazione sbagliata e bruciare, potrebbeschiantarsi a una velocità eccessiva e distruggereil carico di cibo… Noi calcoliamo una probabilitàdi successo al trenta percento».

«E un rendezvous con Hermes vicino alla Terraè più fattibile?», chiese Teddy.

«Molto più fattibile», rispose Venkat. «Conritardi di trasmissione sotto il secondo, possiamocontrollare la sonda direttamente dalla Terrainvece di affidarci a sistemi automatizzati. Almomento dell’aggancio, il maggiore Martinez puòpilotare la sonda da Hermes senza alcun ritardo di

trasmissione. E Hermes ha un equipaggio umano,in grado di spianare qualunque intoppo dovessepresentarsi. E non dobbiamo fare nessunatterraggio. Le provviste non devono sopravviverea un impatto di trecento metri al secondo».

«In conclusione», tirò le somme Bruce,«abbiamo da una parte un’alta probabilità diammazzare una persona e dall’altra una bassaprobabilità di ammazzare sei persone. Cheallegria. Come diavolo facciamo a prendere unadecisione di questo genere?»

«Ne parliamo e poi Teddy prende la decisione»,disse Venkat. «Non so cos’altro potremmo fare».

«Potremmo lasciare che sia Lewis…»,cominciò Mitch.

«Sì, a parte quello», tagliò corto Venkat.«Domanda», si fece sentire Annie. «Io che ci

faccio qui? Mi sembra che sia roba per voialtricervelloni».

«Il tuo contributo è necessario», disse Venkat.«Non decideremo in questo istante. Abbiamobisogno di esaminare internamente i particolarisenza far rumore. Qualcosa potrebbe trapelare e

allora tu devi essere pronta a destreggiarti tra ledomande».

«Quanto tempo abbiamo per decidere?»,domandò Teddy.

«La finestra per dare inizio alla manovra sichiude tra trentanove ore».

«D’accordo», concluse Teddy. «A tutti ipresenti: discuteremo di questo solopersonalmente o per telefono, mai per e-mail. Enon ne parlerete con nessuno, se non con lepersone presenti qui adesso. Ci manca solo chel’opinione pubblica ci faccia pressione per unarischiosa impresa di salvataggio da cowboy chepotrebbe essere impossibile».

Beck:Ehi, come va?Adesso che mi trovo in una “situazione critica”, non devo più

rispettare le regole della buona educazione. Posso essere sincero contutti.

Avendo questo in mente, devo dire… bello mio… che bisogna chedici a Johanssen che cosa provi. Se non lo fai, lo rimpiangerai persempre.

Non ti caccerò balle: potrebbe finire male. Non ho idea di checosa pensi di te. Né di qualsiasi altra cosa. È stramba.

Ma aspetta la fine della missione. Adesso sei con lei suun’astronave per altri due mesi. E poi se qualcuno di voi mette inpiedi qualche storia mentre la missione è in corso, Lewis loammazza.

Venkat, Mitch, Annie, Bruce e Teddy siritrovarono per la seconda volta in altrettantigiorni. In tutto lo Space Center il “ProgettoElrond” era entrato in una zona d’ombra, avvoltoin un velo di segretezza. In molti ne conoscevanola denominazione, nessuno ne conosceva lo scopo.

Si facevano congetture di ogni genere. C’era chipensava che fosse un programma completamentenuovo, mentre altri temevano che fosse una mossaper annullare Ares 4 e 5. I più erano convinti chefosse stato avviato Ares 6.

«Non è stata una decisione semplice», disseTeddy alla sua élite riunita. «Ma io ho deciso diprocedere con Iris 2. Niente Manovra RichPurnell».

Mitch picchiò il pugno sul tavolo.«Faremo tutto il possibile perché funzioni»,

dichiarò Bruce.

«Se mi è lecito chiedere», cominciò Venkat, «mipiacerebbe sapere che cosa ti ha aiutato ascegliere».

Teddy sospirò. «È una questione di rischi»,spiegò. «Iris 2 mette a repentaglio una sola vita.Rich Purnell ne mette in pericolo sei. So che RichPurnell ha migliori probabilità di riuscita, ma noncredo che le probabilità siano sei volte superiori».

«Vigliacco», disse Mitch.«Mitch…», lo riprese Venkat.«Sei uno sporco vigliacco», ribadì Mitch

ignorando Venkat. «A te importa solo di ridurre alminimo le tue perdite. La tua priorità è la riduzionedel danno. Non ti importa un cazzo della vita diWatney».

«Certo che mi importa», rispose Teddy. «E sonostanco del tuo atteggiamento infantile. Puoi pestarei piedi finché vuoi, ma noi abbiamo il dovere dicomportarci da adulti. Questo non è uno showtelevisivo. La soluzione più rischiosa non èsempre la migliore».

«Lo spazio è pericoloso», scattò Mitch. «Ed è ilnostro mestiere. Se vuoi stare sempre dalla parte

della sicurezza, vai a lavorare in una compagnia diassicurazioni. E, a proposito, non è nemmeno arischio la tua di vita. L’equipaggio è in grado discegliere autonomamente».

«No, non lo è», lo contraddisse Teddy. «I suoicompagni sono troppo coinvolti emotivamente. Edè evidente che lo sei anche tu. Non mi giocheròaltre cinque vite per salvarne una. Soprattuttoquando potremmo salvarlo senza rischiarnealcuna».

«Cazzate!», tuonò Mitch balzando in piedi. «Staisolo cercando di convincere te stesso che un inviodi rifornimenti con un atterraggio incontrollatopotrà funzionare solo per non dover correre unrischio tu. Hai semplicemente deciso disacrificarlo, bastardo cacasotto!».

Uscì sbattendo la porta.Venkat aspettò qualche secondo, poi lo seguì.

«Vedo di calmarlo», disse.Bruce affondò nella sua poltrona. «Mamma

mia», brontolò innervosito. «Siamo scienziati,santo cielo. Ma che ci prende?».

Annie raccolse in silenzio le sue carte e leripose nella borsa.

Teddy la guardò. «Scusa per quello che èsuccesso, Annie», le disse. «Cosa vuoi farci?Certe volte negli uomini il testosterone ha ilsopravvento…».

«Io speravo che ti prendesse a calci nel culo»,ribatté lei.

«Cosa?»«So che ti stanno a cuore gli astronauti, ma ha

ragione lui. Sei davvero uno schifoso vigliacco. Seavessi le palle, forse potremmo salvare Watney».

Lewis:Salve, comandante.Tra l’addestramento e la nostra gita su Marte ho passato due anni

lavorando con te. Credo di conoscerti piuttosto bene. Quindi credoche tu ti stia ancora considerando responsabile della mia sorte,nonostante ti abbia chiesto nella mia precedente e-mail di non farlo.

Ti sei trovata ad affrontare una situazione impossibile e hai presouna decisione difficile. È quello che fanno i comandanti. E la tuadecisione è stata giusta. Se avessi aspettato ancora, il MAV sisarebbe rovesciato.

Sono sicuro che hai considerato tutte le possibili soluzioni, perciòsai che non c’è niente di diverso che avresti potuto fare (salvo“usare poteri paranormali”).

Penserai probabilmente che perdere un membro dell’equipaggiosia la cosa peggiore che possa accadere. Non è vero. La cosapeggiore è perdere tutto l’equipaggio. Tu hai impedito che finissecosì.

Ma c’è una cosa più importante che dobbiamo discutere: cos’èquesta storia della disco music? Posso capire i telefilm anni Settantaperché a tutti piacciono i capelloni con colletti enormi. Ma la disco?

La disco?

Vogel controllò la posizione e l’orientamento diHermes rispetto alla traiettoria prestabilita. Comeal solito corrispondeva. Oltre a essere il chimicodella missione, era anche un provetto astrofisico.Anche se i suoi compiti da navigatore eranorisibili.

Il computer conosceva la rotta. Sapeva quandoinclinare l’astronave perché i motori a ioni fosseroorientati nella maniera giusta. E conosceva in ognimomento l’ubicazione del veicolo (facilmentecalcolata dalla posizione di Sole e Terra sullabase dell’ora precisa indicata dall’orologioatomico di bordo).

Le esaustive conoscenze di astrodinamica diVogel non sarebbero mai entrate in gioco se nonnel caso di un guasto fatale del computer, o

qualche altro imprevisto dalle conseguenzecritiche.

Finito il controllo, eseguì una diagnostica deimotori. Funzionavano alla perfezione. Tuttoquesto, lo faceva dal suo alloggio. Tutti i computerdi bordo erano in grado di controllare ognifunzione dell’astronave. Da tempo non era piùnecessario andare di persona a controllare lo statodei motori.

Esaurite le sue mansioni quotidiane, ebbefinalmente tempo di leggere le e-mail.

Esaminava quali messaggi la NASA avevaritenuto che valesse la pena inviargli, leggeva perprimi i più interessanti e rispondeva quandonecessario. Le sue risposte venivano salvate peressere inviate alla Terra al prossimo collegamentodi Johanssen.

Un messaggio di sua moglie attirò la suaattenzione. Era intitolato “unsere kinder” (“i nostrifigli”) e conteneva solo un’immagine allegata.Inarcò un sopracciglio. Gli erano balzatiall’occhio alcuni piccoli particolari. Per primacosa kinder si sarebbe dovuto scrivere con la

prima lettera maiuscola. Era un errore che moltodifficilmente avrebbe fatto Helena, maestra discuola elementare a Brema. Inoltre tra di lorochiamavano sempre affettuosamente i figli dieAffen, le scimmie.

Quando cercò di aprire l’immagine, il suoprogramma gli rispose che il file era illeggibile.

S’incamminò per lo stretto corridoio. Glialloggi dell’equipaggio erano sul lato esternodello scafo in rotazione costante per massimizzarela simulazione di gravità. La porta di Johanssenera come al solito aperta.

«Johanssen. Buonasera», disse Vogel.Osservavano tutti gli stessi periodi di sonno, edera quasi ora di coricarsi.

«Oh, salve», lo salutò Johanssen alzando losguardo dal suo computer.

«Ho un problema nel computer», spiegò Vogel.«Forse mi aiuterai».

«Certo».«Sei nella tua pausa personale», notò Vogel.

«Magari domani quando sei in servizio è meglio?»

«Va benissimo anche adesso», lo rassicurò lei.«Cosa c’è che non va?»

«Un file. È un’immagine, ma il mio computernon la vede».

«Dov’è il file?», chiese lei digitando qualcosasulla tastiera.

«È nel mio spazio condiviso. Si chiama“kinder.jpg”».

«Vediamo un po’…».Le dita di Johanssen volarono sulla tastiera e

sullo schermo si aprirono e chiusero una serie difinestre. «Effettivamente c’è un header difettoso»,disse. «Probabilmente il download non hafunzionato bene. Fammi provare con un editoresadecimale, vediamo se viene fuori qualcosa…».

Dopo un momento disse: «Non è un jpg. È untesto in ASCII standard. Sembrerebbe… be’, non socos’è. Sembra una serie di formule matematiche».Indicò lo schermo. «Tu ci capisci qualcosa?».

Vogel si chinò a guardare. «Ja», annuì. «È unamanovra per una modifica della rotta di Hermes.Dice che si chiama “Manovra Rich Purnell”».

«Che roba è?», mormorò Johanssen.

«Io non ho mai sentito parlare di questamanovra», rispose lui. Lesse altre stringhe. «Ècomplicata… molto complicata…».

S’impietrì. «Sol 549?», esclamò. «Mein Gott!».

L’equipaggio di Hermes trascorreva il pocotempo personale in un’area chiamata “Rec”. C’eragiusto lo spazio per sei persone sedute intorno a untavolo, e quanto a gravità il locale era agli ultimiposti della scala delle priorità. La sua posizione alcentro dell’astronave consentiva solo 0,2 g.

Era comunque abbastanza perché tuttiriuscissero a stare seduti mentre ascoltavanopensierosi quello che Vogel stava loro riferendo.

«…e la missione si concluderebbe con il ritornoa Terra 211 giorni più tardi», concluse.

«Grazie, Vogel», disse Lewis. Aveva già sentitola spiegazione quando Vogel era stato da lei, maJohanssen, Martinez e Beck l’ascoltavano per laprima volta. Concesse loro un momento perdigerirla.

«Davvero potrebbe funzionare?», chieseMartinez.

«Ja». Vogel annuì. «Ho analizzato i numeri.Sono tutti giusti. È una proposta brillante.Straordinaria».

«Come farebbe lui ad alzarsi da Marte?»,domandò Martinez.

Lewis si sporse sul tavolo. «C’era dell’altro nelmessaggio», cominciò. «Dovremmo raccogliere unrifornimento nei pressi della Terra e lui devearrivare al MAV di Ares 4».

«Perché tanto mistero?», chiese Beck.«Secondo il messaggio», rispose Lewis, «la

NASA ha respinto la proposta. Preferiscono farcorrere un grosso rischio a Watney che farnecorrere uno piccolo a tutti noi. Ovviamentechiunque sia stato a nascondere il progetto nellaposta di Vogel è contrario».

«Dunque stiamo parlando di andare direttamentecontro la decisione della NASA?», domandòMartinez.

«Sì», confermò Lewis, «è esattamente di questoche stiamo parlando. Se eseguiamo questamanovra, bisogna che ci mandino una sonda con un

rifornimento, altrimenti non ce la possiamo fare.Abbiamo l’occasione di forzare loro la mano».

«Lo facciamo?», domandò Johanssen.Tutti guardarono Lewis.«Non vi mentirò», disse lei. «Potete star sicuri

che io non ci penserei due volte, ma questa non èuna decisione normale. Questa è un’ipotesi che èstata espressamente cassata dalla NASA. Dunqueparliamo di ammutinamento. E non è una parolache pronuncio alla leggera».

Si alzò e camminò lentamente intorno al tavolo.«Lo facciamo solo se siamo tutti d’accordo. Eprima che mi rispondiate, valutate le conseguenze.Se ci va male il rendezvous del rifornimento, cilasciamo la pelle. Se sbagliamo l’effetto fiondadella gravità terrestre, ci lasciamo la pelle».

«Se facciamo tutto alla perfezione, aggiungiamo533 giorni alla nostra missione. 533 giorni diviaggio spaziale imprevisto in cui qualsiasi cosapuò andare storta. La manutenzione diventerà unafaticaccia. Potrebbe guastarsi qualcosa che nonsiamo in grado di riparare. Se fosse qualcosa

nell’ambito dei sistemi per la nostrasopravvivenza, ci lasceremmo la pelle».

«Io ci sto!», disse Martinez con un sorriso.«Buono lì, cowboy», lo rintuzzò Lewis. «Tu e io

siamo dei militari. Facile che quando torniamo acasa finiamo davanti alla corte marziale. Quanto avoi, vi garantisco che non vi rispediscono piùnello spazio».

Martinez si appoggiò alla parete e incrociò lebraccia con un mezzo sorriso. Gli altri meditaronoin silenzio sulle parole della loro comandante.

«Se lo facciamo», disse Vogel, «saranno più dimille giorni nello spazio. È abbastanza spazio peruna vita intera. A me non ne serve altro».

«Sembra che ci stia anche Vogel», notò Martinezcontinuando a sorridere. «Oltre a me,ovviamente».

«Facciamolo», disse Beck.«Se tu credi che funzionerà», disse Johanssen a

Lewis, «io di te mi fido».«Va bene», disse Lewis. «Se tentiamo, cosa c’ è

da fare?».

Vogel alzò le spalle. «Io calcolo la rotta e laimplemento», disse. «Cos’altro?»

«Overriding a distanza», rispose Johanssen. «Ilsistema di avocazione dalla Terra della guidadell’astronave per riportarla a casa se moriamotutti. Possono assumere il controllo di Hermes daControllo Missione».

«Ma noi siamo qui», obiettò Lewis. «Possiamodisfare tutto quello che tentano di fare loro,giusto?»

«Non proprio», rispose Johanssen.«L’overriding remoto ha la priorità su tutti icontrolli di bordo. Parte dal presupposto che c’èstato un disastro e che i sistemi di controllo dellanave sono diventati inaffidabili».

«Puoi disabilitarlo?», chiese Lewis.«Vediamo…». Johanssen rifletté. «Hermes ha

quattro computer di volo in esubero, ciascunocollegato a tre sistemi di comunicazione inesubero. Se uno qualunque dei computer riceve unsegnale da uno qualunque dei sistemi dicomunicazione, il Controllo Missione puòsovrapporsi. Non possiamo spegnere i sistemi di

comunicazione perché perderemmo telemetria eguida. Non possiamo spegnere i computer perchéci servono per controllare la nave. Dovròdisattivare l’overriding remoto su ciascunsistema… Fa parte del sistema operativo… dovròentrare nel codice… Sì. Lo posso fare».

«Sicura?», domandò Lewis. «Puoi spegnerlo?»«Non dovrebbe essere difficile», rispose

Johanssen. «È una modalità d’emergenza, non unprogramma di sicurezza. Non è protetto dacodifiche pirata».

«Codifiche pirata?». Beck sorrise. «Haiintenzione di fare la hacker?»

«Sì», confermò Johanssen ricambiando ilsorriso. «Mi sa proprio di sì».

«D’accordo», disse Lewis. «Sembra chepossiamo farlo. Ma non voglio che nessuno sisenta costretto dallo spirito di corpo. Aspetteremoventiquattr’ore. In questo periodo ciascuno potràcambiare idea. Non avrà che da parlare con me inprivato o mandarmi una e-mail. Io annulleròl’operazione e non dirò mai a nessuno chi è stato».

Mentre gli altri lasciavano il piccolo locale,Lewis si tenne indietro. Guardandoli uscire, livide sorridere. Tutti e quattro. Era la prima voltada quando avevano lasciato Marte che li vedevaridiventati se stessi. Capì all’istante che nessunoavrebbe cambiato idea.

Sarebbero tornati su Marte.

Tutti sapevano che presto a dirigere le missionici sarebbe stato Brendan Hutch.

Aveva scalato i ranghi della NASA a una velocitàche in una grande organizzazione succubedell’inerzia non si era mai vista. Era ammirato peressere un lavoratore meticoloso e tutti i suoisubordinati ne conoscevano e rispettavano abilitàe propensione al comando.

Brendan era responsabile del ControlloMissione dall’una di notte alle nove del mattino. Ilcostante, eccellente rendimento in quel ruolo gliavrebbe sicuramente meritato una promozione. Eragià stato dato l’annuncio che sarebbe stato ilcontrollore di volo di backup per Ares 4 ed era in

vantaggio su tutti per avere la direzione assoluta diAres 5.

«Volo, qui CAPCOM», disse una voce nelle suecuffie.

«Vai, CAPCOM», rispose Brendan. Anche seerano nella stessa stanza, il protocollo radioveniva osservato comunque.

«Imprevisto aggiornamento di stato da Hermes».Con Hermes a novanta secondi-luce, le

conversazioni vocali erano impraticabili. Eccettoche per le relazioni con i media, Hermes avrebbecomunicato via testo finché non fosse stato moltopiù vicino.

«Roger», disse Brendan. «Leggimi».«Non… non capisco, Volo», fu la risposta

confusa. «Non è un vero rapporto di stato, è unasola frase».

«Cosa dice?»«Il messaggio dice: “Houston, attenzione,

Houston: Rich Purnell è un missilista dagli occhid’acciaio”».

«Cosa?», chiese Brendan. «Chi diavolo è RichPurnell?».

«Volo, Telemetria», intervenne un’altra voce.«Vai, Telemetria», disse Brendan.«Hermes è fuori rotta».«CAPCOM, avverti Hermes che stanno

sbandando. Telemetria, prepara un vettore dicorrezione…».

«Negativo, Volo», lo interruppe Telemetria.«Non è uno sbandamento. Hanno modificato larotta. L’uplink di strumentazione mostra unarotazione deliberata di 27,812 gradi».

«Co… cosa diavolo?», balbettò Brendan.«CAPCOM, chiedigli cosa diavolo».

«Roger, Volo… messaggio inviato. Minimotempo di risposta tre minuti e quattro secondi».

«Telemetria, possibile che ci sia stato un guastoalla strumentazione?»

«Negativo, Volo. Li stiamo seguendo conSatCon. La posizione rilevata corrisponde alcambio di rotta».

«CAPCOM, cerca nei tuoi log e vedi che cosa hafatto il turno precedente. Controlla se è stataordinata una importante modifica di rotta e chissàcome nessuno ce lo ha detto».

«Roger, Volo».«Guida, Volo», disse Brendan.«Vai, Volo», fu la risposta del controllore alla

guida.«Calcolami per quanto tempo possono

mantenere questa rotta prima che sia irreversibile.A che punto non potranno più intercettare laTerra?»

«Ci sto già lavorando, Volo».«E qualcuno mi trovi chi diavolo è Rich

Purnell!».

Mitch si lasciò cadere seduto sul divanonell’ufficio di Teddy. Posò i piedi sul tavolino egli sorrise. «Volevi vedermi?».

«Perché lo hai fatto, Mitch?», domandò Teddy.Il tono era severo.

«Fatto cosa?»«Sai benissimo di cosa parlo».«Oh, alludi all’ammutinamento su Hermes?»,

ribatté Mitch con aria innocente. «Sai, ne verrebbefuori un gran bel titolo. L’ammutinamentodell’Hermes. Suona bene».

«Sappiamo che sei stato tu», lo accusò confreddezza Teddy. «Non sappiamo come, masappiamo che hai spedito loro la manovra».

«Dunque non avete prove».Teddy lo fissò con malanimo. «No. Non ancora.

Ma ci stiamo lavorando».«Ah, sì?», lo apostrofò Mitch. «E questo è

veramente il modo migliore che avete di usare ilvostro tempo? Dico, abbiamo da pianificare unaspedizione di rifornimento nello spazio, per nonparlare di un modo di far arrivare Watney alloSchiaparelli. Abbiamo parecchia carne al fuoco».

«Puoi dirlo forte, che abbiamo parecchia carneal fuoco!», esplose Teddy. «Grazie alla tua trovata,adesso siamo obbligati ad andare avanti conquesto progetto».

«Presunta trovata», precisò Mitch alzandol’indice. «Immagino che Annie annuncerà ai mediache abbiamo deciso di tentare questa manovra cosìrischiosa, giusto? E lei non farà paroladell’ammutinamento, vero?»

«Ovvio», sentenziò Teddy. «O faremmo la figuradegli idioti».

«Allora mi sa che siamo tutti scagionati!».Mitch sorrise. «Non si può licenziare della genteper aver messo in atto una politica della NASA.Anche Lewis è a posto. Quale ammutinamento? Emagari Watney vivrà. Lieto fine per tutti!».

«Potresti aver ammazzato tutto l’equipaggio»,obiettò Teddy. «Ci hai mai pensato?».

«Chiunque abbia passato loro la manovra»,disse Mitch, «si è limitato a inoltrareun’informazione. Lewis ha deciso di eseguirla. Seavesse lasciato che le sue emozioni offuscassero lasua capacità di giudizio, sarebbe un comandante dimerda. E Lewis non è un comandante di merda».

«Se riuscirò mai a dimostrare che sei stato tu,troverò la maniera di sbatterti fuori», lo ammonìTeddy.

«Senz’altro», rispose Mitch stringendosi nellespalle. «Ma se io non fossi disposto a correre deirischi per salvare delle vite, sarei…». Rifletté perun momento. «Be’, sarei te».

17

Giornale di bordo: Sol 192

Madonna!Tornano qui per me!Non so nemmeno come reagire. Ho un groppo in

gola!E ho una caterva di lavoro da sbrigare prima di

prendere quell’autobus per casa.Non possono mettersi in orbita. Se non sarò

nello spazio quando passeranno, il massimo chepotranno fare sarà salutarmi con la manina.

Devo raggiungere il MAV di Ares 4. È una cosache ha accettato persino la NASA. E quando le tatedella NASA consigliano una traversata in superficiedi 3200 chilometri, allora sai di essere nei guai.

Schiaparelli, ecco che arrivo!Be’… non subito subito. Prima devo far fuori la

suddetta caterva di lavoro.

In confronto all’epica spedizione che ho inprogramma adesso, la mia gita al Pathfinder èstata come sgranchirsi le gambe in giardino. Hoazzardato non so quante scorciatoie e se l’ho fattafranca è perché avevo da sopravvivere solo per 18sol. Questa volta è tutto diverso.

Per andare al Pathfinder ho percorso in media80 chilometri a sol. Se riesco a mantenere questabuona andatura per Schiaparelli, mi ci vorranno 40sol. Diciamo 50 per sicurezza.

Ma non c’è di mezzo solo il viaggio. Quandoarriverò, dovrò accamparmi ed effettuare una seriedi modifiche al MAV. La NASA calcola che mi civorranno 30 sol, 45 per sicurezza. Fratrasferimento e modifiche al MAV, fanno 95 sol.Mettiamo 100 perché 95 non sopporta che non sifaccia un arrotondamento.

Dunque ho bisogno di sopravvivere lontanodallo Hab per 100 sol.

«E il MAV?», vi sento chiedere (nella miafebbrile immaginazione). «Non conterrà dellescorte? Come minimo aria e acqua?».

Nossignori. Non ha un fico secco.

Ha dei serbatoi per l’aria, ma sono vuoti. Unamissione Ares ha bisogno in ogni caso di un belpo’ di O2, N2 e acqua. Perché mandarne altriquantitativi con il MAV? È molto più semplice chel’equipaggio rifornisca il MAV dallo Hab. Perbuona sorte dei miei compagni, la procedura dellamissione ha imposto a Martinez di riempire iserbatoi del MAV a Sol 1.

Il flyby sarà a Sol 549, dunque devo partireentro il 449. Mi restano 257 sol per mettere inmoto le chiappe.

Sembra un sacco di tempo, vero?In quel tempo devo modificare il rover perché

possa trasportare i “Tre Grandi ”: il regolatoreatmosferico, l’ossigenatore e il depuratoredell’acqua. Tutti e tre devono essere in un’areapressurizzata, ma il rover non è abbastanza grande.Tutti e tre devono essere costantemente infunzione, ma le batterie del rover non reggono alungo un simile consumo.

Il rover dovrà anche trasportare tutto il miocibo, la mia acqua, i pannelli solari, la miabatteria di scorta, i miei attrezzi, alcune parti di

ricambio e il Pathfinder. Come mio unico mezzodi comunicazione con la NASA, il Pathfinderviaggerà sul tetto, stile nonnetta dei BeverlyHillbillies.

Ho un sacco di problemi da risolvere, ma ho unmucchio di gente in gamba che sa come risolverli.Praticamente il pianeta Terra tutto intero.

La NASA sta ancora lavorando ai dettagli, mal’idea è di usare entrambi i rover. Uno su cuiviaggiare e l’altro a fare da rimorchio con ilcarico.

Al secondo rover dovrò apportare modifichestrutturali. E per “modifiche strutturali” intendo“aprire un grande buco nello scafo”. Solo cosìpotrò ficcarci dentro i Tre Grandi, per poi coprirel’apertura con della tela da Hab lasciandolaallentata. Quando pressurizzerò il rover la tela sigonfierà, ma andrà bene lo stesso. Come faccio atagliar via un bel pezzo di scafo dal rover?Lascerò che ce lo spieghi il mio amorevoleassistente Venkat Kapoor:

[14:38] JPL: Sono sicuro che ti stai chiedendo come ritagliareun’apertura nella fiancata del rover.

Dai nostri esperimenti risulta che un trapano per campioni diroccia riesce a forare lo scafo. L’usura sulla punta è minima (lerocce sono più dure della fibra di carbonio). Puoi praticare dei buchiin fila e scalpellare quindi gli spazi tra l’uno e l’altro.

Spero che ti piaccia trapanare. La punta è larga un centimetro, ifori saranno a intervalli di 0,5 cm per una lunghezza di taglio totale di11,4 m. Sono 760 fori. Per ciascuno ci vogliono 160 secondi ditrapano.

Problema: non era previsto che i trapani venissero usati per lavorida officina meccanica. Dovevano servire per raccoglierevelocemente campioni di roccia. Le batterie durano solo 240 secondi.Hai due trapani, ma potrai comunque praticare solo tre fori prima diricaricare. E per ricaricare ci vogliono 41 minuti.

Sono 173 ore di lavoro, limitando le ore EVA a 8 al giorno. Fanno21 giorni di trapano e sono troppi. Tutte le nostre idee s’impernianosu questo lavoro di taglio. In caso contrario, abbiamo bisogno ditempo per farci venire in mente qualcosa di diverso.

Dunque vogliamo che colleghi un trapano direttamente allo Hab.Il trapano funziona a 28,8 V per 9 ampere. Solo il sistema di

ricarica del rover è nell’ambito di questa tensione. Usa corrente a 36V, per un massimo di 10 ampere. Visto che ne hai due, a noi sta benese ne modifichi uno.

Ti manderemo le istruzioni su come abbassare il voltaggio einserire un nuovo interruttore, ma sono sicuro che sai già come farlo.

Domani giocherò con l’alta tensione. È una diquelle cose su cui non si sa immaginare cosapotrebbe mai andare storto!

Giornale di bordo: Sol 193

Oggi sono riuscito a non ammazzarmi anche setrafficavo con l’alta tensione. Oddio, non è poicosì emozionante. Per prima cosa ho staccato lacorrente.

Come mi è stato detto, ho trasformato il cavo diricarica del rover in un cavo per l’alimentazionedel trapano. Ottenere il voltaggio giusto è stata unasemplice questione di aggiungere delle resistenze,che ho in gran numero nel mio kit di elettronica.

Poi ho dovuto costruire il mio personaleinterruttore a nove ampere. Ho messo in parallelotre interruttori da tre ampere. Impossibile che noveampere riescano a passare senza farli saltare tutti etre in rapida successione.

Poi ho dovuto modificare l’alimentazione di untrapano. Più o meno quello che ho già fatto con ilPathfinder. Ho tolto la batteria e l’ho sostituitacon un cavo collegato allo Hab. Questa volta peròè stato molto più facile.

Il Pathfinder era troppo grande e non passavada nessuna delle mie camere d’equilibrio, così

avevo dovuto fare tutto all’esterno. Avete maiprovato a fare lavoretti di elettronica da dentro unatuta spaziale? Uno spaccamento cosmico. Avevodovuto costruirmi persino un banco usando legambe della piattaforma d’atterraggio del MAV, sericordate.

Nessun problema invece a portare il trapanoattraverso la camera d’equilibrio. È alto solo unmetro e ha la forma di un martello pneumatico.Raccoglievamo i nostri campioni di rocciarestando in piedi, come gli astronauti dell’Apollo.

Un’altra differenza rispetto alla rozzaoperazione eseguita sul Pathfinder è che per iltrapano avevo lo schema elettrico. Ho tolto labatteria e ho collegato i cavi di alimentazione alsuo posto. Poi sono uscito con il trapano e il suocavo nuovo, l’ho collegato al caricatoremodificato del rover e l’ho acceso.

Funzionava che era un bijoux! La punta si èmessa a girare allegramente con gioiosoabbandono. Sono riuscito non so come a fare tuttogiusto al primo tentativo. Sotto sotto ero sicuro difriggere il motore.

Non era ancora mezzogiorno. Mi sono detto:perché non mettermi a crivellare un po’?

[10:07] WATNEY: Modifiche alimentazione completate. Collegatoun trapano che funziona benissimo. Ho ancora parecchie ore di luce.Mandatemi una descrizione di quel foro che volete che faccia.

[10:25] JPL: Felice di saperlo. Cominciare a tagliare è un’ottimaidea. Per essere chiari, saranno effettuate modifiche a Rover 1,quello che abbiamo chiamato “trailer”. Rover 2 (quello con lemodifiche che hai fatto tu per andare a prendere il Pathfinder) perora deve rimanere come è.

Taglieremo via un pezzo del tetto davanti alla camera d’equilibriosul retro del veicolo. L’apertura dev’essere lunga almeno 2,5 m elarga tutti i 2 m del vano a pressione.

Prima di cominciare a tagliare disegna il rettangolo sul trailer eposiziona il trailer in modo che la telecamera del Pathfinder veda ildisegno. Ti sapremo dire se hai fatto giusto.

[10:43] WATNEY: Roger. Se per quell’ora non mi avete sentito,prendete una foto alle 11:30.

I rover sono progettati perché si possanoagganciare l’uno all’altro. In questo modo sesuccede un casino puoi portare i tuoi compagni insalvo. Per la stessa ragione, i rover possonoscambiarsi aria attraverso tubi di connessione.Durante il mio lungo viaggio questa simpatica

caratteristica mi consentirà di condividere la miaatmosfera con il trailer.

Da quel rover avevo già da tempo preso labatteria, quindi non era più in grado di muoversi inautonomia. Così l’ho agganciato al mio roverincredibilmente riveduto e corretto e l’horimorchiato vicino al Pathfinder.

Venkat mi ha detto di “disegnare” la forma delmio taglio, ma si è dimenticato di dirmi come. Nonho pennarelli che possano funzionare all’aperto.Così ho vandalizzato il letto di Martinez.

Le nostre brande sono fondamentalmente delleamache. Fili leggeri intrecciati in qualcosa su cuisia comodo adagiarsi per dormire. Quandocostruisci roba da spedire su Marte ogni grammo èimportante.

Ho disfatto la rete di Martinez e ho portato fuoriil filo, che ho incollato sullo scafo del trailersecondo il taglio che avevo in programma di fare.Sì, certo che il nastro adesivo funziona nel quasivuoto. Il nastro adesivo funziona dappertutto. Ilnastro adesivo è magico e bisognerebbe venerarlo.

Ho capito cos’ha in mente la NASA. Sul retro deltrailer c’è una camera d’equilibrio che eviteremodi manomettere. Il taglio sarà appena oltre e cisarà abbastanza spazio perché i Tre Grandipossano starci in piedi.

Non ho idea di come la NASA intenda alimentarei Tre Grandi per ventiquattr’ore e mezzo al giornoavendo ancora abbastanza energia perché ilveicolo possa muoversi. Scommetto che non losanno neanche loro. Ma sono in gamba,s’inventeranno qualcosa.

[11:49] JPL: Quello che riusciamo a vedere del taglio che haiprogettato va bene. Presumiamo che l’altra parte sia identica. Hail’autorizzazione a cominciare a trapanare.

[12:07] WATNEY: Così ha detto anche lei.[12:25] JPL: Sul serio, Mark? Sul serio?

Per prima cosa ho depressurizzato il trailer.Datemi del matto, ma preferisco che il trapano nonmi si spari in faccia.

Poi ho dovuto scegliere da dove cominciare.Avevo pensato che potesse essere più facile sulfianco, ma mi sbagliavo.

Sarebbe stato meglio il tetto. La fiancata èmassacrante perché bisogna reggere il trapanoparallelo al terreno. Non stiamo parlando delBlack & Decker di papà. Questo è lungo un metro,e va sempre e comunque tenuto per i manici.

Fare in modo che pizzicasse è stata dura. L’hoschiacciato contro lo scafo e l’ho acceso, ma lapunta si è messa a ballare da tutte le parti. Così hofatto ricorso ai miei fidati martello e cacciavite.Con qualche colpetto, ho scalfito la fibra dicarbonio.

Ora che la punta aveva dove appoggiarsi, hopotuto cominciare a trapanare rimanendo sul posto.Come aveva predetto la NASA, per passareattraverso mi ci sono voluti due minuti e mezzo.

Stessa procedura per il secondo foro, praticatomolto più facilmente. Dopo il terzo foro, sultrapano si è accesa la spia del surriscaldamento.

Non era fatto per funzionare senza interruzioneper tanto tempo. Per fortuna ha sentito che il calorestava aumentando e mi ha avvertito. Così l’holasciato a raffreddare per qualche minutoappoggiato al mio banco da lavoro. Se una cosa di

buono si può dire di Marte è che fa veramente unfreddo cane. L’atmosfera rarefatta non conducebene il calore, ma prima o poi raffredda ogni cosa.

Avevo già tolto il coperchietto del trapano (ilcavo di alimentazione da qualche parte doveva purentrare). Un piacevole effetto collaterale è checosì il trapano si raffredda ancor più velocemente.Sebbene dopo poche ore debba ogni volta pulirlometicolosamente dall’accumulo di polvere.

Alle 17:00, quando il Sole ha cominciato atramontare, avevo trapanato 75 fori. Un buoninizio, ma ne avevo ancora a tonnellate. Prima opoi (probabilmente domani) dovrò cominciare atrapanare fori che non posso raggiungere da terra.Per questo avrò bisogno di qualcosa su cuimontare.

Non posso usare il mio “banco da lavoro”. C’èsopra il Pathfinder e quello poco ma sicuro chenon voglio proprio toccarlo. Ma mi avanzanoancora tre gambe della piattaforma di atterraggiodel MAV. Sono sicuro di poter mettere assiemequalcosa di simile a una rampa.

Comunque tutto questo è per domani. Per staserauna bella mangiata: una razione intera per cena.

Oooooh sì. Proprio così. O mi recuperano a Sol549 o muoio. Questo vuol dire che ho 35 sol dicibo in più. Potrò ben togliermi uno sfizio unavolta ogni tanto.

Giornale di bordo: Sol 194

Vado a una media di un foro ogni 3,5 minuti.Includendo le pause per far raffreddare il trapano.

L’ho calcolato dopo aver passato tutta lamaledetta giornata a trapanare. Dopo otto ore dinoioso e intenso lavoro fisico, avevo la bellezza di137 buchi da esibire.

Lavorare dove non arrivavo non è stato poi cosìcomplicato. Alla fine non ho dovuto modificareuno dei sostegni del MAV. Ho usato un contenitoreper campioni geologici (altrimenti noto come “unascatola”).

Prima che fossi in contatto con la NASA,lavoravo anche più di otto ore. Posso restare fuoriper dieci prima ancora di cominciare a usare l’ariadi riserva. Ma alla NASA ci sono un sacco di Nellynervose che non vogliono che stia fuori più a lungodi quanto stabilito dal regolamento.

Con il lavoro di oggi sono a un quarto circa dellavoro di taglio. Diciamo quantomeno a un quartodel lavoro di trapano. Poi avrò da scalpellare 759pezzettini. E non so come la prenderà la fibra dicarbonio. Ma la NASA lo farà un migliaio di voltegiù sulla Terra e poi mi dirà qual è il sistemamigliore.

Comunque di questo passo per finire ditrapanare mi ci vorranno altri quattro sol di lavoro(alias rottura di palle).

Ho fatto fuori la scorta di telefuffa anni Settantadi Lewis. E ho letto tutti i gialli di Johanssen.

Ho già frugato a caccia di svaghi tutta la robadei miei altri compagni. Ma tutto quello che si eraportato dietro Vogel è in tedesco, Beck ha portatosolo riviste mediche e Martinez non ha portatoniente.

Mi ha preso una noia mortale, così ho deciso discegliere una canzone tematica!

Qualcosa di appropriato. E naturalmentedev’essere un pezzo preso dall’orribile collezioneanni Settanta di Lewis. In nessun altro modosarebbe accettabile.

Ci sono un buon numero di ottimi candidati: Lifeon Mars? di David Bowie, Rocket Man di EltonJohn, Alone Again (Naturally) di GilbertO’Sullivan.

Però alla fine ho scelto Stayin’ Alive dei BeeGees.

Giornale di bordo: Sol 195

Un altro giorno, un’altra serie di fori: 145questa volta (sto migliorando). Sono a metà.Questo lavoro sta diventando veramenteinsopportabile.

Ma almeno mi tengono su i messaggiincoraggianti di Venkat!

[17:12] WATNEY: Oggi 145 fori. 357 in totale.[17:31] JPL: Pensavamo che a quest’ora saresti stato più avanti.

Testa di c…Io comunque la sera mi annoio ancora.

Suppongo che sia un bene. Niente che non vadanello Hab. C’è un piano per salvarmi e la faticafisica mi fa dormire splendidamente.

Ho nostalgia di quando coltivavo patate. Senzadi loro lo Hab non è più lo stesso.

C’è ancora terra dappertutto. Inutile sgobbareper portarla di nuovo fuori. Non avendo di meglioda fare, conduco qualche test. Incredibile ma vero,alcuni batteri sono sopravvissuti. È unapopolazione forte e in crescita. È davverostraordinario, se si considera che è stata espostaper più di ventiquattr’ore a una situazione di quasivuoto in temperature subartiche.

La mia ipotesi è che intorno ad alcuni dei batterisi siano formate delle sacche di ghiaccio cheavevano all’interno una bolla di pressione adattaalla vita e che la temperatura non è scesaabbastanza da ucciderli. Con centinaia di milioni

di batteri, basta un solo sopravvissuto per evitarel’estinzione.

La vita ha una tenacia fantastica. I batteri nonvogliono morire più di quanto lo voglia io.

Giornale di bordo: Sol 196

Ho fatto un casino.Ho fatto un casino di quelli grossi. Ho fatto un

errore che potrebbe uccidermi.Come faccio sempre, ho iniziato la mia EVA

verso le 08:45. Ho cominciato il mio lavoro sulloscafo del trailer con cacciavite e martello. È unarottura tremenda dover intaccare ogni volta lasuperficie prima di trapanare, così cominciofacendo tutte in una volta le scanalature che miservono per una giornata di trapano.

Dopo averne scalpellate 150 (sì, sonoun’ottimista), mi sono messo a trapanare.

Era lo stesso di ieri e dell’altro ieri. Finisci diforare e ti sposti. Finisci di forare e ti sposti.

Finisci di forare una terza volta, poi metti giù iltrapano ad aspettare che si raffreddi. Ripeti ilprocedimento fino all’ora di pranzo.

Alle 12:00 mi sono preso una pausa. Sonorientrato nello Hab, ho mangiato di buon appetito eho giocato un po’ a scacchi con il computer (chemi ha fatto a pezzi). Poi di nuovo fuori per la miaseconda EVA quotidiana.

Alle 13:30 si è verificato il mio disastro, anchese lì per lì non me ne sono reso conto.

I momenti peggiori nella nostra vita vengonopreannunciati da piccoli indizi. Quel minuscolonodulo al fianco che prima non c’era. Tornare acasa da tua moglie e vedere due bicchieri da vinonel lavello. Tutte le volte che senti:“Interrompiamo questo programma…”.

Per me è stato quando il trapano non si èavviato.

Solo tre minuti prima funzionava benissimo.Avevo finito di praticare un foro e lo avevo posatoa raffreddarsi. Come sempre.

Ma quando ho voluto riprendere il lavoro, iltrapano era morto. Non si accendeva nemmeno la

spia dell’alimentazione.Non mi sono spaventato. Non fossi più riuscito

a farlo funzionare, avevo un altro trapano. Mi cisarebbe voluta qualche ora per sistemarel’alimentazione, ma non era motivo di ansia.

Il fatto che non si accendesse la lucedell’alimentazione stava probabilmente asignificare che qualcosa non andava nel cavo. Conuna rapida occhiata dal finestrino della camerad’equilibrio ho constatato che nello Hab le lucierano accese. Dunque non c’era un problemaall’alimentazione generale. Ho controllato i mieiinterruttori nuovi e come prevedibile erano saltatitutti e tre.

Evidentemente il trapano aveva succhiato un po’troppo amperaggio. Niente di terribile. Hoazionato i tre interruttori e mi sono rimesso allavoro. Il trapano si è acceso normalmente e io horipreso a fare buchi.

Niente di tanto allarmante, giusto? Almeno cosìho pensato io.

Ho finito la giornata alle 17:00 dopo averpraticato 131 fori. Non bene come ieri, ma ho

perso del tempo quando il trapano ha smesso difunzionare.

Poi ho fatto rapporto.[17:08] WATNEY: Oggi 131 fori. Totale 488. Piccolo problema

trapano: scattati gli interruttori. Potrebbe esserci un corto che siverifica a intermittenza, probabilmente nel punto di attacco del cavodi alimentazione. Potrei doverlo rifare.

In questo momento la distanza tra Terra e Marteè di poco più di diciotto minuti-luce. Di solito laNASA risponde entro venticinque minuti. Nondimentichiamo che io faccio tutte le miecomunicazioni da Rover 2, che inoltra tuttoattraverso il Pathfinder. Non posso starmene tuttoquel tempo nello Hab ad aspettare una risposta edevo rimanere nel rover finché non mi dannol’accusata ricevuta.

[17:38] WATNEY: Non ho ricevuto risposta. Ultimo messaggioinviato 30 minuti fa. Prego accusare ricevuta.

Ho aspettato un’altra mezz’ora. Ancora niente.Primi sintomi di apprensione.

Tempo fa, quando la Brigata Nerd del JPL hahackerato il rover e il Pathfinder per farlo

diventare un client di Instant Messaging per poveriinetti, mi aveva inviato un bigino per la soluzionedi eventuali problemi. Ho eseguito la primaistruzione:

[18:09] WATNEY: system_command: STATUS[18:09] SYSTEM: Ultimo messaggio inviato 00h3m fa. Ultimo

messaggio ricevuto 26h17m fa. Ultima risposta ping da sondaricevuta 04h24m fa. ATTENZIONE: 52 ping senza risposta.

Il Pathfinder non parlava più con il rover. Daquattro ore e ventiquattro minuti aveva smesso diinviare ping di risposta. Con un rapido calcolosono risalito alle 13:30 di oggi.

Lo stesso momento in cui è morto il trapano.Ho cercato di dominare il panico. Nel mio

bigino c’è una lista di cose da provare nel caso siperda la comunicazione. Sono (nell’ordine):

1. Verificare che il Pathfinder sia ancoraalimentato.

2. Reboot rover.3. Reboot Pathfinder sospendendo e riattivando

alimentazione.

4. Installare software comm del rover sulcomputer dell’altro rover e provare da lì.

5. Se entrambi i rover non rispondono, ilproblema è probabilmente nel Pathfinder.Controllare molto attentamente connessioni. Pulireil Pathfinder da polvere marziana.

6. Inviare messaggio in alfabeto Morse consassi, includendo tentativi effettuati. Il problemapuò essere risolvibile tramite aggiornamentoremoto del Pathfinder.

Sono arrivato solo al primo punto. Hocontrollato le connessioni del Pathfinder e hoscoperto che il polo negativo non era piùcollegato.

Non avete idea del sollievo! Ero beatificato.Tutto sorridente ho preso il mio kit di elettronica emi sono preparato a ricollegare il polo. L’ho toltodalla sonda per dargli una bella pulita (comemeglio potevo con i guanti della mia tuta spaziale)e ho notato una cosa strana. L’isolamento era fuso.

Ho riflettuto su questo sviluppo. Di solitol’isolamento fuso significa che c’è stato un corto

circuito. È passata più corrente di quanta il cavo èin grado di sostenere. Ma la porzione di filovisibile non era carbonizzato o bruciacchiato el’isolamento del polo positivo non era per nientefuso.

Allora, una dopo l’altra, si sono manifestate leorribili realtà di Marte. Impossibile che il cavo sibruciasse. La bruciatura è la conseguenzadell’ossidazione. E nell’aria non c’è ossigeno. Uncorto doveva esserci stato comunque, ma con ilpolo positivo ancora intatto, l’eccesso di potenzadoveva essere arrivata da qualche altra parte…

E contemporaneamente erano saltati gliinterruttori del trapano…

Oh… merda…L’impianto interno del Pathfinder aveva anche

una messa a terra collegata allo scafo. Servivaperché non si accumulasse energia statica nellecondizioni meteorologiche marziane (in assenza diacqua le frequenti tempeste di sabbia possono dareorigine a cariche statiche impressionanti).

Lo scafo era posato sul Pannello A, uno deiquattro lati del tetraedro che aveva portato il

Pathfinder su Marte. Gli altri tre lati sono ancoraa Ares Vallis, dove li ho lasciati io.

Tra il Pannello A e il banco da lavoro c’erano ipalloni di polietilene che il Pathfinder avevausato per l’atterraggio. Io ne avevo stracciati unabuona quantità per trasportarlo, ma ce n’eranoancora molti, abbastanza da avvolgere il PannelloA ed essere in contatto con lo scafo. Vale la penache aggiunga che quel polietilene è conduttivo.

Alle 13:30 ho appoggiato il trapano al banco dalavoro. Era privo del coperchietto del vano dellebatterie perché lì avevo fatto entrare il cavo dialimentazione. Il banco da lavoro è di metallo.Appoggiando il trapano in un certo modo, si puòcreare un contatto metallo-su-metallo.

E questo è esattamente quello che era accaduto.L’energia elettrica è passata dal polo positivo

del trapano attraverso il banco da lavoro,attraverso il polietilene, attraverso lo scafo delPathfinder, attraverso un groviglio di circuitielettronici estremamente sensibili e insostituibilied è uscita dal polo negativo del cavo dialimentazione del Pathfinder.

Il Pathfinder opera a 50 milliampere. Si èbeccato 9000 milliampere che sono sfrecciatiattraverso i delicati componenti elettronicifriggendo tutto quello che hanno trovato sulla lorostrada. Gli interruttori sono saltati, ma quando eragià tardi.

Il Pathfinder è morto. Ho perso la capacità dicontattare la Terra.

Sono solo.

18

Giornale di bordo: Sol 197

Uffa…Una volta, giusto una, mi piacerebbe che

qualcosa andasse come l’avevo progettata, sapete?Marte continua a tentare di uccidermi.Be’… non è stato Marte a folgorare il

Pathfinder. Quindi correggerò: Marte e la miastupidità continuano a tentare di uccidermi.

Okay, basta autocommiserazione. Non sonocondannato a morte certa. Semplicemente sarà unpo’ più complicato del previsto. Ho tutto quelloche mi serve per sopravvivere. E Hermes staancora venendo a prendermi.

Ho scritto un messaggio in Morse usando isassi. “PF FRITTO CON 9 AMP. MORTO DEF. PIANORESTA. VADO MAV”.

Se riesco ad arrivare al MAV di Ares 4, sono aposto. Ma avendo perso il contatto con la NASA,

per arrivarci dovrò progettare da me il mioMaxicamper Marziano.

Per il momento ho sospeso tutti i lavori. Nonvoglio andare avanti senza un piano. Sono sicuroche la NASA ha una carrettata di idee, ma ora devospremere le meningi per tirarne fuori una da me.

Come ho accennato, i Tre Grandi (regolatoreatmosferico, ossigenatore e depuratore) sonoelementi fondamentali. Per la mia gita alPathfinder ero riuscito a farne a meno. Avevousato i filtri di CO2 per regolare l’atmosfera eavevo portato con me abbastanza ossigeno e acquaper l’intera trasferta. Questa volta non funzionerà.Ho bisogno dei Tre Grandi.

Il problema è che devono essere in funzionetutto il tempo e consumano un sacco. Le batteriedel rover hanno una scorta di 18 kilowattora. Ilsolo ossigenatore consuma 44,1 kilowattora persol. Visto il mio problema?

Sapete una cosa? “Kilowattora per sol” proprionon si riesce a dire. Inventerò una nuova unitàscientifica. Un kilowattora per sol è… potrebbe

essere qualsiasi cosa… ehm… non sono bravo inqueste cose… sì, lo chiamerò un “ninja-pirata”.

Messi insieme, i Tre Grandi hanno bisogno di69,2 ninja-pirata, quasi tutti per l’ossigenatore e ilregolatore atmosferico. (Al depuratore ne bastano3,6.)

Ci saranno delle riduzioni. Quella più facile èper il depuratore dell’acqua. Ho 620 litri di acqua(ne avevo molta di più prima che lo Habcrollasse). A me servono solo tre litri di acqua asol, dunque la mia scorta mi durerà 206 sol. Sonosolo 100 sol dopo che sono partito e prima diessere prelevato (o di morire nel tentativo).

Conclusione: non ho affatto bisogno deldepuratore. Berrò quanto mi serve e scaricheròfuori i miei scarti biologici. Sì, Marte, hai capitobene, ti piscerò e cagherò in faccia. Così impari acercare continuamente di uccidermi.

Ecco fatto. Ho risparmiato 3,6 ninja-pirata.

Giornale di bordo: Sol 198

Colpo gobbo con l’ossigenatore!Ho passato quasi tutto il giorno a leggermi le

specifiche tecniche. Riscalda il CO2 a 900 °C, poilo passa per una cella elettrolitica di zirconio perseparare gli atomi di carbonio. Il grossodell’energia viene consumata per scaldare il gas.Perché è importante? Perché io sono solo uno el’ossigenatore era fatto per sei. Un sesto diquantità di CO2 significa un sesto di energia perriscaldarlo.

La scheda dice che consuma 44,1 ninja-pirata,ma finora ne ha usati solo 7,35 per via del caricoridotto. Adesso sì che si comincia a ragionare!

Poi c’è la questione del regolatore atmosferico.Il regolatore testa l’aria, decide che cosa non vabene e corregge il problema. Troppo CO2? Loelimina. Troppo poco O2? L’aggiunge. Senza ilregolatore, l’ossigenatore è inutile. Perché possaessere trattato, il CO2 deve essere separato.

Il regolatore analizza l’aria con unospettroscopio, poi separa i gassuperraffreddandoli. Elementi diversi si

liquefanno a temperature differenti. Sulla Terra,superraffreddare tutta quest’aria consumerebbe unquantitativo ridicolo di energia. Ma (cosa di cuisono acutamente consapevole) questa non è laTerra.

Qui su Marte il superraffreddamento si ottienepompando aria in un componente che si trovaall’esterno dello Hab. Alla temperatura che c’èall’esterno, che è tra -150 °C e 0 °C, l’aria siraffredda velocemente. Quando fa più caldo si usauna refrigerazione supplementare, ma i giornifreddi possono liquefare l’aria gratuitamente. Ilvero consumo di energia si ha quando bisognascaldarla di nuovo. Se rientrasse nello Hab senzaessere stata riscaldata, io morirei congelato.

«Un momento!», state dicendo. «L’atmosfera diMarte non è liquida. Perché l’aria dello Hab sicondensa?».

L’atmosfera dello Hab è cento volte più densa,quindi diventa liquida a temperature molto piùalte. Il regolatore prende il meglio di due mondi.Letteralmente. Nota a margine: l’atmosfera di

Marte in effetti si condensa ai poli. Sì, lì sisolidifica in ghiaccio secco.

Problema: il regolatore succhia 21,5 ninja-pirata. Anche portando via qualche batteria dalloHab riuscirei ad alimentare il regolatore per nonpiù di un sol; men che mai avrei abbastanzaenergia per muovere il rover.

C’è da pensare ancora.

Giornale di bordo: Sol 199

Ci sono. So come alimentare l’ossigenatore e ilregolatore atmosferico.

Il problema con i piccoli contenitori a pressioneè la tossicità del CO2. Puoi avere tutto l’ossigenodel mondo, ma quando il CO2 sale oltre l’unpercento cominci a provare un senso di vertigine.Al due percento è come essere ubriachi. Al cinquepercento è difficile mantenersi coscienti. All’ottopercento finisce che ne muori. Restare vivi non è

una questione di ossigeno, bensì di eliminare ilCO2.

Per questo ho bisogno del regolatore. Ma non hobisogno di avere sempre l’ossigenatore. Mi bastaeliminare dall’aria il CO2 e sostituirlo condell’ossigeno. Qui nello Hab ho 50 litri diossigeno liquido in due serbatoi da 25. Sono50.000 litri in forma gassosa, abbastanza dacoprire 85 giorni. Non abbastanza da farmirespirare fino al momento dei soccorsi, macomunque un bel po’.

Il regolatore può separare il CO2 e raccoglierloin un serbatoio e può aggiungere ossigeno alla miaaria prendendo quanto è necessario dai mieiserbatoi. Quando sarò a corto di ossigeno, vuoldire che campeggerò fuori per una giornata elascerò che l’ossigenatore usi tutta la mia energiaper eliminare il CO2. In questo modo eviterò chel’ossigenatore usi l’energia che mi serve perviaggiare.

Dunque avrò il regolatore sempre in funzione,ma attiverò l’ossigenatore solo nei giorni in cui

deciderò di usarlo.Passiamo ora al problema successivo. Dopo che

il regolatore ha congelato il CO2, ossigeno e azotosono ancora in forma di gas, anche se a -75 °C. Seil regolatore me li restituisse nell’aria senzariscaldarli, nel giro di poche ore diventerei unghiacciolo. Per impedire che questo avvenga, ilregolatore riscalda l’aria di ritorno usando la granparte dell’energia che consuma.

Ma io ho un modo migliore per riscaldarli.Qualcosa che la NASA non prenderebbe inconsiderazione nemmeno nel suo giorno piùomicida.

L’RTG!Sì, l’RTG. Può darsi che ve lo ricordiate dalla

mia emozionante gita al Pathfinder. Un simpaticopezzo di plutonio così radioattivo da emettere1500 watt di calore, che usa per produrre 100 wattdi elettricità. Appunto: che fine fanno gli altri 1400watt? Vengono irradiati in forma di calore.

Durante il tragitto per andare al Pathfinder hodovuto addirittura rimuovere l’isolamento dalleparatie del rover per scaricare l’eccesso di calore

prodotto da quel maledetto plutonio. Rincolleròquell’isolamento perché avrò bisogno di quelcalore per riscaldare l’aria di ritorno delregolatore.

Ho fatto due conti. Per riscaldare costantementel’aria il regolatore usa 790 watt. I 1400 wattdell’RTG coprono abbondantemente questoconsumo, oltre a garantirmi una temperaturaragionevole all’interno del rover.

Come prova, ho spento gli elementi diriscaldamento del regolatore e ho preso nota delsuo consumo di energia. Dopo qualche minuto li horiaccesi. Gesù, quant’era fredda l’aria di ritorno.Ma ho ottenuto i dati che volevo.

Con il riscaldamento in funzione, il regolatoreha bisogno di 21,5 ninja-pirata. Con il sistemaspento (rullo di tamburi) un solo ninja-pirata.Proprio così: quasi tutta l’energia serviva perriscaldare.

Come quasi tutti i problemi della vita, anchequesto si può risolvere con una scatola diradiazione pura.

Per tutto il resto della giornata non ho fatto checontrollare e ricontrollare i miei calcoli econdurre altri esperimenti. I conti tornano. Loposso fare.

Giornale di bordo: Sol 200

Oggi ho trasportato pietre.Avevo bisogno di sapere che grado di efficienza

ha il binomio rover/trailer. Per andare alPathfinder percorrevo 80 chilometri con 18kilowattora. Questa volta il carico sarà molto piùpesante. Mi trascinerò dietro il trailer e tutto ilresto.

Ho manovrato il rover e vi ho agganciato iltrailer. Abbastanza facile.

Ormai è da qualche tempo che il trailer èdepressurizzato (del resto è crivellato di un paiodi centinaia di buchini), così ho aperto entrambi iportelli della camera d’equilibrio per avere campolibero e ci ho buttato dentro un po’ di sassi.

Ho dovuto calcolare il peso a braccio. La cosapiù pesante che porterò con me è l’acqua. 620chilogrammi. Altri 200 chilogrammi saranno quellidelle mie patate liofilizzate. Avrò probabilmentepiù pannelli solari di prima e forse una batteriadello Hab. Più naturalmente il regolatoreatmosferico e l’ossigenatore. Piuttosto che star lì apesare tutto quanto, ho tirato a indovinare e hodeciso che erano 1200 chilogrammi.

Corrisponde al peso approssimativo di mezzometro cubo di basalto. In due ore di faticamonumentale durante le quali ho piagnucolatoparecchio, ho caricato un analogo quantitativo dipietre.

Poi, con entrambe le batterie a pieno carico, hogirato sul rover intorno allo Hab fino a consumarlecompletamente.

Alla spericolata velocità massima di 25chilometri orari, non è una corsa emozionante,ricca di colpi di scena. Ma mi ha notevolmentesorpreso che mantenesse quella velocità con tuttoquel peso extra. Il rover ha una coppia motriceformidabile.

Ma le leggi della fisica sono delle piccolestronzette prepotenti e si sono vendicate del pesosupplementare. Quando ho esaurito l’energia,avevo percorso solo 57 chilometri.

Sto parlando di 57 chilometri di terrenopianeggiante senza dover alimentare il regolatore(che con gli elementi riscaldanti spenti nonconsumerà molto). Per stare sul sicuro, diciamo 50chilometri al giorno. A quest’andatura per arrivareallo Schiaparelli mi ci vorrebbero 64 giorni.

Ma questo di puro viaggio.Ogni tanto dovrò fermarmi per un giorno intero

e lasciare che l’ossigenatore usi tutta la potenza.Quante volte? Dopo un’altra serie di calcoli hoconcluso che il mio budget di 18 ninja-pirata puòfar produrre all’ossigenatore pressappoco 2,5 soldi O2. Dunque dovrò fermarmi ogni due o tre solper rifornirmi di ossigeno. Il mio viaggio di 64 solè diventato di 92!

Troppo. A dover vivere dentro il rover per tuttoquel tempo finisce che mi stacco la testa dal colloda solo.

Comunque sono sfinito per aver trasportatopietre e per aver frignato perché trasportavopietre. Credo di essermi tirato qualcosa nellaschiena. Per il resto di oggi me la prendo comoda.

Giornale di bordo: Sol 201

Sì, mi sono strappato un muscolo della schiena.Mi sono svegliato in preda a un dolore orribile.

Così mi sono preso una pausa dai miei progettiper il rover. Ho passato invece la giornata aprendere farmaci e a giocare con le radiazioni.

Per prima cosa mi sono imbottito di Vicodin. Unurrà alle scorte medicinali di Beck!

Poi sono andato sulla tomba dell’RTG. Era dovel’avevo lasciato, nella buca a quattro chilometridallo Hab. Solo un idiota lo avrebbe tenuto piùvicino di così. Perciò, appunto, io me lo sonoriportato allo Hab.

O mi ammazza o no. Molto è stato fatto perevitare che possa succedergli qualcosa. E se io

non mi posso fidare della NASA, di chi mi potreifidare? (Per il momento dimenticherò che la NASAci ha raccomandato di seppellirlo molto lontano.)

Per tornare indietro l’ho caricato sul tetto delrover. Madonna se non spara fuori calore.

Ho del tubo di plastica flessibile che puòtornare utile per piccole riparazioni del depuratoredell’acqua. Ho portato l’RTG dentro lo Hab e conla massima cautela ho incollato un tubicinofacendolo passare sopra i deflettori termici.Usando un imbuto confezionato con un foglio dicarta, ho fatto scorrere acqua nel tubo facendolofinire in un contenitore da campioni.

Come volevasi dimostrare, l’acqua si erascaldata. Non è una grande sorpresa, ma è bellovedere che i princìpi di termodinamica sicomportano bene.

C’è un inconveniente: il regolatore atmosfericonon è sempre in funzione. La velocità dellareazione di separazione tramite congelamentodipende dalle condizioni meteorologiche. Dunquel’aria gelida di ritorno non arriva in un flussocontinuo. E l’RTG genera calore costante e

prevedibile. Non può incrementare la produzionein base al fabbisogno.

Dunque riscalderò acqua con l’RTG per creareuna riserva di calore in cui farò passare l’aria diritorno. In questo modo non dovrò preoccuparmi diquando l’aria rientra. E dentro il rover non subiròcambi improvvisi di temperatura.

Una volta esauriti gli effetti del Vicodin, laschiena mi faceva male più di prima. Devocontenermi. Non posso mandar giù pillole incontinuazione. Dunque mi prenderò qualche giornodi vacanza. A questo scopo mi sono preparato unapiccola invenzione…

Ho tagliato via l’amaca dalla branda diJohanssen. Poi nel telaio ci ho messo un pezzodella tela da Hab di riserva, creando una concaall’interno della branda con del telo in abbondanzache esce dal telaio e finisce sul pavimento.Quando ho bloccato i lembi esterni del telo condei sassi, ho creato una vasca da bagno!

Mi sono bastati cento litri per riempirla, perchéè poco profonda.

Poi ho rubato la pompa dal depuratore. (Possoandare avanti parecchio senza che sia in funzione.)Ho collegato la pompa al mio scaldaacquafabbricato con l’RTG e ho infilato nella vascaentrambe le estremità del tubo che vi ho applicato.

Sì, so che sembra ridicolo, ma è da quando eroancora sulla Terra che non mi faccio un bagno e homal di schiena. E poi dovrò comunque passarecento sol in compagnia dell’RTG. Qualche sol inpiù non farà una grande differenza. Questa è la miarazionalizzazione del cavolo e che nessuno me latocchi.

Mi ci sono volute due ore perché l’acqua salissea 37 °C. A questo punto ho spento la pompa e misono immerso. Oh, ragazzi! La sola cosa che hopotuto dire è stata: «Ahhhhhh».

Perché diavolo non ci ho pensato prima?

Giornale di bordo: Sol 207

Ho passato la settimana scorsa a riprendermidal mal di schiena. Il dolore non erainsopportabile, ma su Marte non ci sonochiropratici, così ho preferito non rischiare.

Ho fatto bagni caldi due volte al giorno, sonorimasto a lungo sdraiato sulla mia branda e hoguardato telefuffe anni Settanta. Ho già visto tuttala collezione di Lewis, ma non avevo molto altroda fare. Mi sono ridotto alle repliche.

Ho pensato tantissimo.Posso migliorare la situazione con qualche

pannello solare in più. I 14 pannelli che avevoportato con me al Pathfinder mi fornivano i 18kilowattora che le batterie potevanoimmagazzinare. Durante gli spostamenti caricavo ipannelli sul tetto. Il trailer mi permette di montarnealtri 7 (mancherà mezzo tetto, per via dell’aperturache vi ho praticato).

Il fabbisogno di energia per quest’altro viaggiosarà determinato dall’ossigenatore. Tutto si riducea quanta potenza posso assicurare in un singolo sola quel piccolo bastardo famelico. Vogliominimizzare i giorni di sosta. Più corrente riuscirò

a dare all’ossigenatore, più ossigeno libererà e piùa lungo potrò viaggiare tra un “sol d’aria” el’altro.

Facciamo gli avidi. Diciamo che riesco atrovare posto per altri 14 pannelli invece di 7. Nonso bene come, ma facciamo finta che ci riesca.Avrei a disposizione 36 ninja-pirata aggiuntivi, perun totale di cinque sol di ossigeno per ogni sold’aria. Dovrei fermarmi una sola volta ogni cinquesol. Molto più ragionevole.

Se poi riuscissi a caricare di energia un’altrabatteria, potrei percorrere 100 chilometri a sol!Più facile a dirsi che a farsi, però. Quei 18kilowattora extra sono duri da ottenere. Dovreiprendere dallo Hab due pile a combustione da 9kilowattora e caricarle sul rover o sul trailer. Nonsono come le batterie del rover, non sono né dipiccole dimensioni né portatili. Sono abbastanzaleggere, ma anche molto ingombranti. Potreidoverle caricare all’esterno e questo mitoglierebbe spazio per i pannelli solari.

100 chilometri a sol è alquanto ottimistico. Madiciamo che potrei farne 90, fermandomi ogni

quinto sol a ricostituire il tasso di ossigeno. Ciarriverei in 45 sol. Sarebbe bello davvero!

Passando ad altro, mi è venuto in mente che giùalla NASA staranno probabilmente dando di matto.Mi guardano con i satelliti e sono sei giorni chenon mi vedono uscire dallo Hab. Con la schienache stava meglio, era ora che mandassi loro unmessaggino.

Così mi sono fatto un’EVA. Questa volta sonostato molto prudente nello spostare sassi. Semprein alfabeto Morse ho scritto: “COLPO STREGA. ORAMEGLIO. CONTINUO MOD ROVER”.

E con questo avevo affaticato la schiena giàabbastanza. Non voglio esagerare.

Credo che mi farò un bagno.

Giornale di bordo: Sol 208

È ora di fare un esperimento con i pannelli.Per prima cosa ho messo lo Hab in modalità di

basso consumo: niente luci interne, tutti i sistemi

non essenziali offline, riscaldamento internosospeso. Sarò comunque fuori per quasi tutto ilgiorno.

Poi ho smontato 28 pannelli dall’impiantosolare e li ho trascinati al rover. Per quattro ore hoarmeggiato impilandoli in un modo o un altro. Ilpovero rover sembrava il macinino dei BeverlyHillbillies. Non trovavo nessun sistema chefunzionasse.

L’unico modo per caricarli sul tetto tutti e 28 erafare cataste così alte che sarebbero sicuramentecrollate alla prima curva. Se li avessi legati tuttiinsieme, sarebbero caduti in un colpo solo. Seavessi trovato la maniera di assicurarli allaperfezione al rover, il rover si sarebbe rovesciato.Non mi sono nemmeno disturbato a provarci.Balzava all’occhio che sarebbe finita così e nonvolevo rompere qualcosa.

Non ho ancora staccato il ritaglio dal trailer. Hopraticato la metà dei fori, ma non ho ancoracompromesso nulla. Se lascio il ritaglio al suoposto, potrei caricarci sopra sette pannelli.Sarebbe perfetto, sarebbe il doppio di quello che

mi ero portato dietro quando sono andato aprendere il Pathfinder.

Il problema è che ho bisogno di quell’apertura.Il regolatore dev’essere nell’area pressurizzata enel rover così com’è non ci sta. C’è poi anchel’ossigenatore che deve essere in un’areapressurizzata mentre è in funzione. Mi servirà soloogni cinque sol, ma non posso farne a meno. No,l’apertura ci vuole.

Così com’è, posso caricare 21 pannelli. Devotrovare dove ficcare gli altri 7. C’è un solo postodove metterli: le fiancate del rover e del trailer.

Una delle mie prime invenzioni sono state le“bisacce da sella” che avevo messo in groppa alrover. In una c’era la batteria supplementare(rubata da quello che adesso è il trailer), mentrenell’altra avevo messo delle pietre a fare dacontrappeso.

Questa volta non avrò bisogno delle bisacce.Posso restituire la seconda batteria al suo postooriginale sul trailer. Anzi, mi risparmierò la rognadell’EVA che dovevo fare tutti i giorni perscambiare i cavi. Quando avrò collegato i due

veicoli, condivideranno le risorse, elettricitàcompresa.

Dunque ho reinstallato la batteria sul trailer. Mici sono volute due ore, ma adesso l’ho tolta dimezzo. Ho sfilato le mie bisacce da sella e le homesse da parte. Potrebbero tornarmi comode. Dalmio soggiorno al Club Marte ho imparato che tuttopuò tornare utile.

Avevo liberato i fianchi del rover e del trailer.Dopo averli osservati per un po’, ho trovato la miasoluzione.

Preparerò delle staffe a L che sporgono dalpianale con il gancio all’insù. Due staffe per latoin maniera da ricavarne una mensola. Sullemensole posso caricare i pannelli appoggiandoli alrover. Poi li assicurerò allo scafo con della cordafai da te.

Saranno quattro “mensole” in totale, due sulrover e due sul trailer. Se le staffe sporgonoabbastanza da ospitare due pannelli, potreicaricarne altri otto. Sarebbe un pannello in più diquelli che avevo in mente.

Domani preparo le staffe e le monto. L’avreifatto oggi, ma è venuto buio e mi sono impigrito.

Giornale di bordo: Sol 209

Notte fredda quella scorsa. I pannelli solarierano ancora staccati dall’impianto, così hodovuto lasciare lo Hab in modalità a bassoconsumo. Ho riacceso il riscaldamento (non sonomatto del tutto), ma ho fissato la temperaturainterna a 1 °C per risparmiare energia. Svegliarminel freddo mi ha trasmesso un sorprendente sensodi nostalgia. In fondo sono cresciuto a Chicago.

Ma la nostalgia dura quel che dura. Mi eroripromesso di dedicare la giornata allafabbricazione delle staffe, così posso rimontare ipannelli al loro posto. Dopodiché posso ancheriaccendere il dannato riscaldamento.

Sono andato all’apparato di atterraggio del MAVa cercare metallo per supportare le mie mensole. IlMAV è costruito soprattutto con elementi in lega,

ma le gambe dovevano assorbire lo chocdell’atterraggio e per questo ci voleva il metallo.

Mi sono portato dentro una zampa perrisparmiarmi la seccatura di lavorare da dentrouna tuta EVA. Era un graticcio a forma triangolaredi barre metalliche tenute insieme con dei bulloni.L’ho smontata.

Per dare la forma giusta alle staffe ho usato unmartello e… be’, nient’altro. Piegare una sbarra aL non richiede una grande precisione.

Avevo bisogno di fori dove far passare ibulloni. Per fortuna il mio trapano ammazza-Pathfinder mi ha facilitato di molto quel compito.

Temevo che fissare le staffe al pianale del roversarebbe stato un problema, invece è stato piuttostosemplice. Il pianale viene via. Dopo un interventocon trapano e bulloni, ho fissato le staffe e l’horimontato sul rover. Lo stesso ho fatto con iltrailer. Nota importante: il pianale su cui poggia lastruttura del veicolo non fa parte del vano apressione. I fori che vi ho trapanato non farannoscappar fuori la mia aria.

Ho collaudato le staffe prendendole a sassate. Èper questo genere di sofisticate attività di ricercache siamo così famosi noi scienziati interplanetari.

Quando mi sono convinto che le staffe non sisarebbero spezzate al primo segno di utilizzo, hotestato il mio nuovo portapacchi. Due pile di settepannelli solari sul tetto del rover; altre sette sultrailer, due pannelli per ogni mensola. Ci stavanotutti.

Dopo aver legato i pannelli, ho fatto un giretto.Ho dato qualche accelerazione e decelerazione dibase, ho sterzato in curve sempre più strette e hoeseguito persino una frenata brusca. Non si èmosso niente.

Ventotto pannelli solari, caro mio! E spazio perun pannello extra!

Dopo qualche meritata esultanza, ho scaricato ipannelli e li ho riportati all’impianto. Nientemattina da Chicago per me domani.

Giornale di bordo: Sol 211

Sono ancora qui che sorrido da un orecchioall’altro. Il sorriso di un uomo che ha incasinato lasua automobile e non l’ha sfasciata.

Oggi ho scaricato dal rover e dal trailer tuttoquello che non serve. E sono stato anche parecchioaggressivo. Lo spazio all’interno di corpi apressione ha un valore impagabile. Più roba inutileriesco a tirar via dal rover, più spazio avrò per mestesso. Più roba inutile tirerò via dal trailer, piùprovviste potrò caricare e meno dovrò metternenel rover.

Prima eliminazione: ogni veicolo ha una pancaper i passeggeri. Ciao ciao!

Poi: non c’è ragione che nel trailer ci sia unsistema di sostegno alla vita. Serbatoi di ossigeno,serbatoi di azoto, filtri di CO2… tutto inutile. Iorespirerò l’aria del rover (che ha una copiapropria di ciascuno di quegli apparecchi), eporterò via regolatore e ossigenatore. Tra icomponenti dello Hab e il rover, avrò due sistemidi sostegno alla vita di troppo. Bastano eavanzano.

Poi ho smontato dal trailer il sedile di guida e ilquadro di controllo. Il collegamento con il rover èfisico. Il trailer non fa nient’altro che esseretrascinato e rifornito di aria. Non ha bisogno né dicontrolli, né di cervelli. Ho comunque risparmiatoil suo computer. È piccolo e leggero, perciò loporto con me. Dovesse andare storto qualcosa conil computer del rover, avrò questo di riserva.

A questo punto nel trailer c’era spazio davendere. Era ora di sperimentare.

Lo Hab ha dodici batterie da 9 kilowattora.Sono poco maneggevoli, alte più di due metri,larghe mezzo e spesse tre quarti. Facendole piùgrandi richiedono minor massa per kilowattora. Sì,è controintuitivo, ma quando la NASA si è resaconto di poter aumentare il volume per diminuirela massa, non ci ha visto più dalla gioia. La massaè la parte costosa dell’invio di oggetti su Marte.

Ne ho staccate due. Basta che le rimetta a postoprima della fine della giornata e andrà tutto bene.Lo Hab usa le batterie soprattutto di notte.

Tenendo aperti entrambi i portelli della camerad’equilibrio del trailer ho potuto introdurre la

prima batteria. Dopo aver giocato un po’ a Tetrisin versione vita reale, ho trovato il modo disistemare la batteria in modo tale da riuscire a farpassare la seconda. Insieme occupano tutta la metàanteriore del trailer. Se qualche ora fa non avessieliminato tutta la roba inutile, non sarei mairiuscito a metterle dentro tutte e due.

La batteria del trailer è nel pavimento, ma i cavidi alimentazione passano attraverso il vano apressione, così ho potuto inserire direttamentenella linea le batterie dello Hab (impresa non dapoco in quella dannata tuta EVA).

Da un controllo del sistema effettuato dal roverho constatato di aver collegato i cavi nel modogiusto.

Potrà sembrare un dettaglio, invece è fantastico.Significa che posso avere a disposizione 29pannelli solari e 36 kilowattora di riserva. Allafine sono riuscito a garantirmi i miei 100chilometri al giorno.

Per quattro giorni ogni cinque, in ogni caso.

Secondo il mio calendario, fra due giorni laCina lancerà la sonda di rifornimento per Hermes(se non ci saranno ritardi). Se salta quel lancio,l’equipaggio sarà nella merda profonda. Sono piùnervoso per questo che per qualsiasi altra cosa.

Io sono vissuto per mesi in pericolo mortale, inun certo senso mi ci sono abituato. Ma sono dinuovo nervoso. Morire sarebbe una porcata, mache muoiano i miei compagni sarebbe moltopeggio. E non saprò com’è andato il lancio finchénon sarò arrivato allo Schiaparelli.

Buona fortuna, ragazzi.

19

«Ehi, Melissa…», disse Robert. «Ti arrivo? Mivedi?»

«Forte e chiaro, tesoro», rispose Lewis. «Ilcollegamento video è stabile».

«Dicono che ho cinque minuti», la informòRobert.

«Meglio che niente», disse Lewis. Fluttuava nelsuo alloggio e toccò con delicatezza la paratia perfermarsi. «Una volta tanto è bello vederti in temporeale».

«Già», ribatté Robert. Sorrise. «Quasi non ci siaccorge del ritardo. Devo dire che sarei piùcontento se stessi tornando a casa».

Lewis sospirò. «Anch’io, tesoro».«Non fraintendermi», si affrettò ad aggiungere

Robert. «Capisco perché lo stai facendo. Però,egoisticamente parlando, mi manca mia moglie.Dico, ma stai volando?».

«Come?», disse Lewis. «Ah, sì. Al momento lanave non ruota. Non abbiamo gravità centripeta».

«Come mai?»«Perché tra pochi giorni ci agganciamo al

Taiyang Shen. Non possiamo girare mentre siamoin fase d’attracco».

«Capisco», rispose Robert. «Allora, come va abordo? Nessuno che ti crea qualche grana?»

«Nessuno». Lewis scosse la testa. «È un ottimoequipaggio e io sono fortunata».

«Oh, ho una cosa per te!», esclamò Robert. «Hotrovato un pezzo pregiato per la tua collezione!».

«Ah, sì? Cosa?»«Un originale a otto tracce di Abba’s Greatest

Hits. Ancora nella sua confezione sigillata».Lewis sgranò gli occhi. «Sul serio? Del 1976 o

una ristampa?»«Assolutamente 1976!».«Fantastico! Sei una favola!».«Lo so».

Con un ultimo fremito l’aereo di linea si fermòdavanti a uno degli ingressi al terminal.

«Mio Dio», sospirò Venkat massaggiandosi ilcollo. «Non avevo mai volato così a lungo».

«Mmm», mugolò Teddy strofinandosi gli occhi.«Meno male che a Jiuquan ci andiamo solo

domani», gemette Venkat. «Quattordici ore e mezzodi volo in una volta sola bastano e avanzano».

«Non farti troppe illusioni», lo ammonì Teddy.«Abbiamo ancora da passare la dogana eprobabilmente dovremo riempire una catasta dimoduli perché siamo funzionari governativiamericani… Passeranno ore prima che possiamodormire un po’».

«Baaaa».Recuperarono il bagaglio a mano e

abbandonarono l’aereo con gli altri passeggeri nonmeno stanchi di loro.

Il salone dell’Aeroporto internazionale diBeijing echeggiava della cacofonia comune a tutti igrandi terminal del mondo. Mentre i cittadinicinesi del loro stesso volo si separavanodirigendosi verso l’ingresso loro riservato, Venkate Teddy si accodarono alla lunga fila davanti alcontrollo immigrazione.

Alle spalle di Venkat, Teddy scrutò ogni angolodel salone nella speranza di individuare unqualunque tipo di negozio dove procurarsi dellacaffeina in qualsiasi forma.

«Scusate, signori», si rivolse loro una voce.Era un giovane cinese in polo e jeans. «Mi

chiamo Su Bin Bao», disse loro in un ingleseperfetto. «Sono un dipendentedell’Amministrazione spaziale nazionale cinese.Sarò la vostra guida e interprete durante il vostrosoggiorno nella Repubblica popolare».

«Piacere di conoscerla, signor Su», risposeTeddy. «Io sono Teddy Sanders e questo è il dottorVenkat Kapoor».

«Abbiamo bisogno di dormire», disseimmediatamente Venkat. «Appena passata ladogana, la prego di accompagnarci al nostroalbergo».

«Posso fare di meglio, dottor Kapoor», ribattéSu con un sorriso. «Voi siete ospiti ufficiali dellaRepubblica popolare della Cina. Avetel’autorizzazione a non passare il controllo

doganale. Posso portarvi subito al vostroalbergo».

«Lei è un tesoro», disse Venkat.«Riferisca i nostri ringraziamenti alla

Repubblica popolare della Cina», aggiunse Teddy.«Non mancherò», rispose Su Bin senza smettere

di sorridere.

«Helena, amore mio», disse Vogel a sua moglie.«Stai bene, vero?»

«Sì», rispose lei. «Sto bene. Ma mi manchi».«Mi spiace».«Non ci si può far niente». Helena si strinse

nelle spalle.«Come stanno le nostre scimmiette?»«Benissimo». Helena sorrise. «Eliza si è presa

una cotta per un compagno di classe nuovo eVictor è stato nominato portiere della squadra delliceo».

«Che bello!», esclamò Vogel. «Ho sentito chesei al Controllo Missione. Come mai? La NASAnon ha saputo ritrasmettere il segnale fino aBrema?»

«Avrebbero potuto farlo», rispose la moglie.«Ma era più facile per loro portarmi a Houston.Una vacanza gratis negli Stati Uniti. Ti sembra cheavrei potuto rifiutare?»

«Ben fatto. E mia madre come sta?»«Bene, per quanto possibile», rispose Helena.

«Ha i suoi giorni buoni e quelli meno buoni.L’ultima volta che sono stata a trovarla non mi hariconosciuta. In un certo senso è meglio così. Nondeve stare in pensiero per te come faccio io».

«Non è peggiorata?», chiese lui.«No, è più o meno come quando l’hai vista

l’ultima volta. Ma i dottori sono sicuri che saràancora qui quando torni».

«Bene», disse lui. «Temevo d’averla già vistaper l’ultima volta».

«Alex», chiese Helena, «è una cosa sicura?»«Quanto più possibile, sì», la tranquillizzò lui.

«La nave è in condizioni perfette e quando avremoricevuto il Taiyang Shen, avremo tutte le provvistenecessarie per il resto del viaggio».

«Sii prudente».«Lo sarò, amore mio», promise Vogel.

«Benvenuto a Jiuquan», disse Guo Ming. «Hafatto buon viaggio?».

Teddy si accomodò nel secondo posto in ordinedi miglior ubicazione nella sala di osservazionementre Su Bin gli traduceva le parole di GuoMing. Attraverso la vetrata dominava il ControlloMissione Center di Jiuquan. Era incredibilmentesimile a quello di Houston, rifletté Teddy, sebbenenon fosse ovviamente in grado di leggere nientedelle scritte in cinese che comparivano sui grandischermi.

«Sì, grazie», rispose. «La vostra ospitalità èencomiabile. Il jet privato che ci ha messo adisposizione per portarci qui è stato un tocco digrande gentilezza».

«La mia squadra si è trovata molto bene alavorare con quella che ci avete mandato voi»,replicò Guo Ming. «Quest’ultimo mese è statomolto interessante. Agganciare una sondaamericana a un booster cinese. Credo che sia laprima volta che succede».

«È la dimostrazione che l’amore per la scienzaè un sentimento universale in tutte le culture»,commentò Teddy.

Guo Ming annuì. «La mia squadra ha volutosottolineare in particolare l’alto senso etico delvostro Mitch Henderson. È un uomo molto devotoal suo lavoro».

«Un gran rompipalle», disse Teddy.Su Bin non tradusse subito, ma poi si rassegnò.Guo Ming rise. «Questo può dirlo lei», rispose.

«Io no».

«Allora spiegamelo di nuovo», chiese Amy asuo fratello Beck. «Perché devi fare unapasseggiata nel vuoto?»

«Probabilmente non succederà», rispose lui.«Devo solo essere pronto».

«Ma perché?»«Nel caso la sonda non si agganci come deve.

Se qualcosa non dovesse funzionare, tocca a meuscire ad andare a prenderla».

«Non potete spostare Hermes per l’attracco?»

«Impossibile», disse Beck. «Hermes è una naveenorme. Non è adatta a manovre raffinate».

«E perché proprio tu?»«Perché io sono lo specialista delle attività

extraveicolari».«Ma io credevo che tu fossi il dottore».«E lo sono», confermò Beck. «Tutti qui

svolgono più di un ruolo. Io sono il dottore, ilbiologo e lo specialista di EVA. La comandanteLewis è la nostra geologa. Johanssen è la sysop eresponsabile del reattore. E così via».

«E quello carino?», chiese Amy. «Martinez, no?Lui cosa fa?»

«Lui pilota l’MDV e il MAV», rispose Beck. «Èanche sposato con un figlio, intriganterovinafamiglie».

«Ah be’. E Watney? Lui che faceva?»«È il nostro botanico e ingegnere. E non parlare

di lui al passato».«Ingegnere? Come Scotty?»«Pressappoco», le concesse Beck. «È bravo a

riparare le cose».«Scommetto che gli torna utile adesso».

«Puoi dirlo forte».

I cinesi avevano messo a disposizione degliamericani una piccola sala riunioni. Per glistandard di Jiuquan, la saletta andava consideratacome spaziosa. Quando entrò Mitch, Venkat stavastudiando alcuni documenti contabili e fu quindifelice dell’interruzione.

«Sono tipi bizzarri, questi nerd cinesi»,commentò Mitch lasciandosi cadere in unapoltrona. «Ma hanno fabbricato un bel vettoreausiliario».

«Bene», si rallegrò Venkat. «E come va con gliadattamenti del booster alla nostra sonda?»

«Abbiamo controllato tutto e sembra tutto aposto», ripose Mitch. «Il JPL ha seguito allaperfezione le specifiche tecniche che ci hannodato. Si adatta come un guanto».

«Qualche preoccupazione o riserva?», domandòVenkat.

«Sì. Sono preoccupato di quello che homangiato ieri sera. Ho idea che c’era dentro unocchio».

«Sono sicuro che non c’era un occhio».«Era un piatto speciale che hanno preparato per

me gli ingegneri», spiegò Mitch.«Allora è possibile che ci fosse dentro un

occhio», rettificò Venkat. «Ti odiano».«Perché?»«Perché sei uno scassacazzi, Mitch», disse

Venkat. «Uno scassacazzi matricolato. Per tutti».«Fa niente. Basta che la sonda arrivi a Hermes,

poi per quel che mi frega possono anche bruciarmiin effigie».

«Saluta papà!», disse Marissa prendendo lamano di David e agitandola davanti all’obiettivo.«Saluta papà!».

«È troppo piccolo per sapere cosa stasuccedendo», commentò Martinez.

«Tu pensa a come andrà fiero in mezzo agli altribambini tra non molto», ribatté lei. «“Il mio papà èandato su Marte. Tuo papà cosa fa?”».

«Sì, sono abbastanza straordinario», ammiseMartinez.

Marissa continuò ad agitare la mano di Daviddavanti alla telecamera. David era più interessatoalla sua altro mano, attivamente occupata arovistarsi una narice.

«Veniamo a noi», disse. «Sei incazzata».«Si vede?», chiese Marissa. «Ho cercato di

nasconderlo».«Stiamo assieme da quando avevamo quindici

anni. So quando sei incazzata».«Ti sei offerto volontario per prolungare la

missione di 533 giorni», lo accusò lei. «Idiota».«Sì», rispose Martinez. «Dev’essere quella la

ragione».«Quando tornerai, tuo figlio sarà già all’asilo.

Non avrà ricordi di te».«Lo so».«E io devo aspettare altri 533 giorni per fare

sesso!».«Anch’io», si difese lui.«Io devo preoccuparmi di te per tutto il tempo»,

aggiunse lei.«Sì, di questo mi spiace».Marissa sospirò. «Lo supereremo».

«Lo supereremo», concordò lui.

«Benvenuti al Mark Watney Report della CNN.Oggi abbiamo con noi il direttore delle operazionimarziane, Venkat Kapoor. Parla con noi viasatellite dalla Cina. Dottor Kapoor, grazie diessere intervenuto».

«Piacere mio», rispose Venkat.«Dunque, dottor Kapoor, ci racconti del Taiyang

Shen. Perché andare in Cina a lanciare una sonda?Perché non lanciarla dagli Stati Uniti?»

«Hermes non entrerà in un’orbita terrestre»,spiegò Venkat. «Transiterà nei pressi del nostropianeta diretto a Marte. E viaggia a una velocitàimpressionante. Abbiamo bisogno di un vettoreausiliario, quello che chiamiamo booster, capacenon solo di superare la gravità terrestre, ma diraggiungere l’attuale velocità di Hermes. L’unicoesistente al momento con una simile potenza è ilTaiyang Shen».

«Ci dica qualcosa della sonda in sé».«È stato un lavoro frettoloso», rispose Venkat.

«Il JPL ha avuto solo trenta giorni per prepararla.

Osservando il più possibile tutti i criteri disicurezza ed efficienza. È praticamente un gusciopieno di cibo e altre provviste. Ha un normalesistema di propulsione satellitare per le manovre,ma niente di più».

«E questo basta per farlo arrivare a Hermes?»«È il Taiyang Shen a portarlo su Hermes. I

propulsori servono solo per le piccole correzionie l’attracco. Il JPL inoltre non ha avuto il tempo diprogettare un sistema di guida. Dunque verràcontrollato a distanza da un pilota umano».

«Chi lo controllerà?», volle sapere Cathy.«Il maggiore Rick Martinez, il pilota di Ares 3.

Quando la sonda sarà in vista di Hermes,subentrerà lui a guidarla all’attracco».

«E se ci fosse qualche problema?»«Lo specialista in passeggiate spaziali di

Hermes, il dottor Chris Beck, sarà pronto aintervenire. Se necessario, uscirà ad afferraremanualmente la sonda e la trascinerà al portelloned’attracco».

«Non ha un’aria molto scientifica», osservòCathy con una risatina.

«Vuole qualcosa di ancor meno scientifico?», lasfidò Venkat sorridendo. «Se per qualche ragionenon sarà possibile effettuare l’attracco, Beckaprirà la sonda e trasferirà quello che contienenella camera d’equilibrio».

«Come portare a casa i sacchetti della spesa?»,chiese Cathy.

«Esattamente», confermò Venkat. «E calcoliamoche ci vorranno quattro viaggi di andata e ritorno.Ma questo è solo un eventuale caso limite. Nonprevediamo nessun problema nella manovrad’attracco».

«Direi che avete considerato ogni possibilesituazione», commentò allora Cathy divertita.

«Infatti», disse Venkat. «Se non riescono adavere quei rifornimenti… Be’, hanno bisogno diquei rifornimenti».

«Grazie per aver accettato di rispondere allenostre domande», concluse Cathy.

«È sempre un piacere, Cathy».

Il padre di Johanssen non riusciva a star fermosulla sua sedia, troppo nervoso per sapere cosa

dire. Dopo un po’ si tolse di tasca il fazzoletto e siasciugò il sudore dalla testa stempiata.

«E se la sonda non vi arriva?», chiese.«Cerca di non pensarci», rispose Johanssen.«Tua madre è così preoccupata che non ce l’ha

nemmeno fatta a venire».«Mi spiace», mormorò Johanssen abbassando

gli occhi.«Non mangia, non dorme, ha sempre la nausea.

E io non sto molto meglio. Come hanno potutofartelo fare?»

«Papà, non sono loro che me lo fanno fare. Misono offerta volontaria».

«Allora perché hai fatto una cosa del genere atua madre?»

«Addolora anche me», mormorò Johanssen.«Ma Watney è un membro del mio equipaggio. Nonposso lasciarlo morire».

Suo padre sospirò. «Avremmo dovuto dartiun’educazione meno altruistica».

Lei rise sottovoce.«Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio? Io

sono il direttore d’area di vendita di una fabbrica

di salviette. Perché mia figlia è nello spazio?».Johanssen si strinse nelle spalle.«Hai sempre avuto la testa da scienziata, tu»,

continuò lui. «Ed era fantastico! Studentessamodello. Frequentavi tipi tutti materia grigiatroppo spaventati per provare cose nuove. Tuttacasa e scuola, niente mattane. La figlia da sogno diogni padre».

«Grazie, papà, io…».«Ma poi hai pensato bene di montare su una

bomba gigantesca che ti ha sparato su Marte. E lointendo alla lettera».

«Tecnicamente», lo corresse lei, «il booster miha portato solo in orbita. A portarmi su Marte èstato il motore nucleare a ioni».

«Ah, molto meglio!».«Papà, andrà tutto bene. Dillo alla mamma, dille

che andrà tutto bene».«A che cosa servirebbe?», ribatté lui. «Resterà

a digiuno con il cuore in gola finché non saraitornata a casa».

«Lo so, ma…».«Cosa? Ma cosa?»

«Non morirò. Giuro. Anche se dovesse andaretutto storto».

«Cosa intendi dire?».Johanssen corrugò la fronte. «Tu di’ a mamma

che non morirò e basta».«Come? Non capisco».«Non voglio spiegartelo adesso», dichiarò

Johanssen.«Senti», rispose suo padre protendendosi verso

l’obiettivo, «io ho sempre rispettato la tua intimitàe la tua indipendenza. Non ho mai cercato dificcare il naso nella tua vita, non ho mai cercato dicontrollarti. Credo di essere stato piuttosto bravoin questo, no?»

«Sì».«Allora in cambio di essermi tenuto fuori dei

tuoi affari per una vita intera, lasciami ficcare ilnaso quest’unica volta. Perché non me lo vuoidire?».

Sua figlia lasciò trascorrere alcuni secondi insilenzio. «Hanno un piano», confessò alla fine.

«Chi?»

«Hanno sempre un piano», disse lei.«Predispongono sempre tutto in anticipo».

«Che piano?»«Hanno scelto me come superstite. Sono la più

giovane. Ho le competenze necessarie per tornarea casa viva. E sono quella con la corporatura piùpiccola, che ha bisogno di meno cibo».

«Beth», domandò suo padre, «cosa succede sela sonda manca il bersaglio?»

«Moriranno tutti eccetto me», rispose lei.«Prenderanno la pillola e moriranno. Lo farannosubito in maniera da non consumare cibo. Lacomandante Lewis ha deciso che a sopravviveredebba essere io. Me lo ha detto ieri. Non credoche la NASA lo sappia».

«E le provviste ti basteranno per farti tornaresulla Terra?»

«No», disse Johanssen. «Abbiamo da mangiareper sei persone per un mese. Se resto solo io, neavrò per sei mesi. Con una dieta ridotta possotirare fino a nove. Ma per tornare me ne servonodiciassette».

«E allora come puoi sopravvivere?»

«Le scorte di cibo non saranno l’unica fontealimentare», disse lei.

Lui sbarrò gli occhi. «Oh… oh, mio Dio…».«Tu alla mamma di’ che ho provviste a

sufficienza, d’accordo?».

Al Controllo Missione di Jiuquan, i tecniciamericani e cinesi esultarono insieme.

Sul grande schermo si vedeva la spirale di fumodel Taiyang Shen disperdersi nel gelido cielo delGobi. La sonda, ormai non più visibile a occhionudo, era in viaggio verso la sua orbita.L’assordante boato iniziale si era ridotto albrontolio di un tuono distante.

«Lancio perfetto», si felicitò Venkat.«Naturalmente», disse Zhu Tao.«Ci avete dato una mano veramente

impagabile», disse Venkat. «E ve ne siamoimmensamente grati!».

«Chiaramente».«E, come d’accordo, vi siete guadagnati un

posto su Ares 5. E così vincono tutti!».«Mmm».

Venkat gli scoccò un’occhiata. «Non mi sembramolto contento».

«Ho dedicato quattro anni della mia vita aTaiyang Shen», rispose Zhu Tao. «Lo stesso hannofatto un numero imprecisato di ricercatori,scienziati e ingegneri. Tutti hanno dato l’anima perquesta impresa mentre io ingaggiavo una costantebattaglia politica per continuare ad avere ifinanziamenti necessari».

«Alla fine abbiamo costruito una sondabellissima. La sonda senza equipaggio più grandee più robusta che sia mai stata realizzata. E adessoè in un capannone. Non volerà mai. Il consiglio diStato non finanzierà un altro booster come quello».

Solo adesso si girò verso il collega americano.«Poteva essere un duraturo traguardo della ricercascientifica. Adesso è un corriere che va aconsegnare un pacco. Manderemo su Marte unastronauta cinese, ma quale scienza porteràindietro che non avrebbe potuto portare qualcunaltro? Per il sapere umano questa operazione è unaperdita secca».

«Be’», obiettò con prudenza Venkat, «è però unguadagno secco per Mark Watney».

«Mmm», fece Zhu Tao.

«Distanza 61 metri, velocità 2,3 metri alsecondo», disse Johanssen.

«Nessun problema», disse Martinez con gliocchi incollati ai suoi monitor. In uno riceveva isegnali della telecamera che riprendeva ilPortellone d’attracco A, mentre l’altro glicomunicava costantemente i dati telemetrici dellasonda.

Lewis galleggiava nel vuoto dietro le postazionidi Johanssen e Martinez.

Dalla radio giunse la voce di Beck. «Contattovisivo». Era nella Camera d’equilibrio 3 (in piedigrazie agli stivali magnetici), già in tuta e con ilportello aperto. Se fosse stato necessario, lavoluminosa unità SAFER che aveva sulla schiena gliavrebbe consentito movimenti liberi nello spazio.Il cordone a cui era agganciato era avvolto a untamburo fissato alla parete.

«Vogel», disse Lewis al microfono. «Sei inposizione?».

Vogel era in piedi nella Camera d’equilibrio 2ancora pressurizzata. Indossava la tuta ma non ilcasco. «Ja, in posizione e pronto», rispose.Toccava a lui intervenire nel caso si fosse dovutorecuperare Beck.

«Va bene, Martinez», disse Lewis, «tiraladentro».

«Ricevuto, comandante».«Distanza 43 metri, velocità 2,3 metri al

secondo», annunciò Johanssen.«Tutti i parametri entro i limiti previsti», riferì

Martinez.«Lieve rotazione della sonda», annunciò

Johanssen. «Velocità rotazionale relativa di 0,05rivoluzioni al secondo».

«Finché sta sotto a 0,3 va bene», disse Martinez.«Il sistema di cattura ce la fa».

«La sonda è a distanza di recupero manuale»,riferì Beck.

«Ricevuto», disse Lewis.

«Distanza 2 metri, velocità 2,3 metri alsecondo», annunciò Johanssen. «L’angolazione èbuona».

«La rallento un po’», disse Martinez inviandoalla sonda le istruzioni del caso.

«Velocità 1,8… 1,3…», riferì Johanssen.«0,9… stabile a 0,9 metri al secondo».

«Distanza?», chiese Martinez.«12 metri», rispose Johanssen. «Velocità stabile

a 0,9 metri al secondo».«Angolazione?»«Angolazione buona».«Allora siamo in linea per l’autocattura», disse

Martinez. «Vieni da papà».La sonda giunse dolcemente a poche spanne dal

portellone d’attracco. Il braccio di cattura, unlungo triangolo di metallo, entrò nell’imbuto delportello della sonda strisciando lievemente lungoun lato. Quando ebbe raggiunto il meccanismoretrattile dentro la sonda, il sistema automaticobloccò il braccio e cominciò a tirare, allineando eorientando automaticamente la sonda in asse con ilportellone d’attracco. Dopo che all’interno

dell’astronave echeggiarono una serie di tonfisordi, il computer riferì la riuscitadell’operazione.

«Attracco completato», comunicò Martinez.«Serra tutto come si deve», si raccomandò

Johanssen.«Beck», disse Lewis, «i tuoi servigi non

saranno richiesti».«Roger, comandante», disse Beck. «Chiudo la

camera».«Vogel, rientra», ordinò Lewis.«Ricevuto, comandante».«Pressione camera al cento percento», riferì

Beck. «Rientro… Ci sono».«Sono dentro anch’io», fece eco Vogel.Lewis premette un bottone sulla sua cuffia.

«Houst… cioè… Jiuquan, attracco sondacompletato. Nessuna complicazione».

«Splendida notizia, Hermes», rispose la voce diMitch. «Quando le avrete trasferite a bordo eispezionate, fatemi un rapporto sullo stato di tuttele provviste».

«Roger, Jiuquan».

Lewis si tolse la cuffia e si girò verso Martineze Johanssen. «Scaricate la sonda e mettete via leprovviste. Io aiuto Beck e Vogel a togliersi latuta».

Martinez e Johanssen volarono per il corridoioverso il Portellone d’attracco A.

«Allora», chiese Martinez, «chi avrestimangiato per primo?».

Lei gli lanciò un’occhiataccia.«Perché io credo di essere quello più saporito»,

continuò lui. Fletté il braccio. «Guarda qui. Chebel muscolone carnoso, eh?»

«Non sei spiritoso».«Allevato a terra, sai? Nutrito a mais».Lei scosse la testa accelerando lungo il

corridoio.«Eddai! Pensavo che la cucina messicana ti

piacesse!».«Non ti sto ascoltando», ringhiò lei.

20

Giornale di bordo: Sol 376

Ho chiuso finalmente con le modifiche delrover!

La parte ostica è stata trovare il modo diconservare i sistemi di sostegno alla vita. Tutto ilresto è stato solo lavoro. Una montagna di lavoro.

Non sono stato molto diligente con il giornale dibordo, quindi ecco qui un riepilogo: per primacosa ho dovuto finire di fare buchi con il trapanoammazza-Pathfinder. Poi ho dovuto scalpellare unmiliardo di pezzetti di lamiera tra un foro e l’altro.D’accordo, erano 759, ma a me sono sembrati unmiliardo.

A quel punto avevo un buco grande grande neltrailer. Ho limato i bordi perché non fosserotroppo taglienti.

Ricordate le tende a scatto? Ho ritagliato ilfondo da una delle tende rimaste e il telo che ne ho

ricavato era delle dimensioni e della forma giuste.Per fissarlo all’apertura dall’interno del trailer housato le strisce adesive. Ho pressurizzato il trailere, dopo aver eliminato tutte le perdite che hoindividuato, mi sono ritrovato con un grossobubbone di tela che sporgeva dallo scafo delveicolo. Adesso l’area pressurizzata è abbastanzaspaziosa da contenere l’ossigenatore e ilregolatore atmosferico.

Unico inconveniente: devo sistemare all’esternol’AREC. Il fantasioso nome di “componente esternodel regolatore atmosferico” lascia ben intendere inche maniera il regolatore separa l’aria tramite ilgelo. Perché sprecare un sacco di energia percongelare qualcosa quando all’esterno ci sonotemperature estremamente basse?

Il regolatore pompa aria nell’AREC e lascia chesia Marte a congelarla. Lo fa lungo un tubo chepassa attraverso una valvola nella parete delloHab. L’aria di ritorno rientra da un altro tubosimile.

Far passare il tubo nel telo del trailer non èstato difficile. Ho a disposizione una scorta di

valvole di riserva. Si tratta fondamentalmente dipezze di telo da Hab di dieci centimetri per diecicon inserita una valvola al centro. Perché ce le ho?Pensate che cosa succederebbe in una normalemissione se si guastasse la valvola del regolatore.Dovrebbero annullare la missione. Meglioallegare pezzi di ricambio.

L’AREC è di dimensioni abbastanza contenute.Ho montato una mensola su cui collocarlo subitosotto quelle dei pannelli solari. Adesso è tuttopronto per il momento in cui trasferirò fisicamenteregolatore e AREC.

C’è ancora molto da fare.Non ho fretta, ho fatto tutto con calma. Un’uscita

di quattro ore al giorno per il lavoro e il resto deltempo a rilassarmi nello Hab. In aggiunta, ognitanto un giorno intero di sospensione dei lavori,specialmente quando avevo dolori alla schiena.Adesso non posso permettermi di farmi male.

Cercherò di essere più bravo con questo diario.Ora che c’è una possibilità che mi salvi, è piùprobabile che la gente lo legga. Sarò più diligentee scriverò tutti i giorni.

Giornale di bordo: Sol 380

Ho finito l’accumulatore di calore.Ricordate i miei esperimenti con l’RTG e i bagni

caldi che mi sono fatto? Stesso principio, ma conuna miglioria: immergere l’RTG. In questo modonessuna parte di calore va sprecata.

Ho cominciato con un grande contenitore rigidoda campioni (o “scatola di plastica” per quelli chenon lavorano alla NASA). Ho fatto entrare un tubodalla parte superiore aperta e l’ho fatto scendereall’interno lungo un lato. Sul fondo l’ho arrotolatoin una spirale. L’ho fissato così e ne ho chiusol’estremità. Usando la punta da trapano piùpiccola, ho praticato decine di forellini nellaspirale. L’idea è di far passare l’aria gelata diritorno dal regolatore attraverso l’acqua sottoforma di bollicine. La superficie più ampiaagevolerà il passaggio del calore nell’aria.

Poi ho preso un contenitore da campioniflessibile di media grandezza (“sacchetto con zip”)

e ho cercato di chiuderci dentro l’RTG. Ma l’RTG hauna forma irregolare e non sono riuscito a toglieretutta l’aria dal sacchetto. Dentro non deveessercene. Invece di trasferirsi all’acqua, parte delcalore finirebbe nell’aria, che si surriscalderebbee scioglierebbe il sacchetto.

Ho fatto più di un tentativo, ma è semprerimasto un tantino di aria all’interno che non sonoriuscito a eliminare. È diventato tutto moltofrustrante finché non mi sono ricordato di avereuna camera d’equilibrio.

Ho indossato la tuta, sono andato nella Camera2 e l’ho depressurizzata fino al vuoto assoluto. Hoficcato l’RTG nel sacchetto e l’ho chiuso. Perfettoconfezionamento sottovuoto.

Poi ho eseguito una serie di test. Ho messo l’RTGinsaccato in fondo al contenitore e ho riempito ilcontenitore d’acqua. Ce ne stanno venti litri, chel’RTG ha riscaldato in poco tempo. Guadagnava ungrado a minuto. L’ho lasciato fare fino a 40 °Cabbondanti. Allora ho collegato al mio congegno iltubo dell’aria di ritorno del regolatore e sono statoa vedere cosa succedeva.

Ottimo! L’aria ci passava ribollendo propriocome speravo. Meglio ancora, le bolle agitavanol’acqua distribuendo il calore in maniera uniforme.

Ho lasciato la mia invenzione in funzione perun’ora e lo Hab ha cominciato a raffreddarsi. Ilcalore prodotto dall’RTG non riesce a compensarela perdita dell’impressionante area superficialedello Hab. Non è un problema. Ho già accertatoche è sufficiente a tenere caldo il rover.

Ho riattaccato il tubo dell’aria di ritorno alregolatore e la situazione è tornata alla normalità.

Giornale di bordo: Sol 381

Ho riflettuto sulle leggi che riguardano Marte.Sì, lo so, è una cosa stupida su cui riflettere, ma

ho un sacco di tempo libero.C’è un trattato internazionale che dice che

nessuna nazione può rivendicare nulla che non sitrovi sulla Terra. Secondo un altro trattato, se non

sei sul territorio di una qualsiasi nazione, siapplica il diritto marittimo.

Dunque Marte è “acque internazionali”.La NASA è un’organizzazione non militare

americana ed è proprietaria dello Hab. Dunquefinché sono dentro lo Hab, sono in vigore le leggiamericane, appena metto il piede fuori, sono inacque internazionali. Poi, quando sono a bordo delrover, sono di nuovo sottoposto alle leggistatunitensi.

Ed ecco il bello: a un certo punto raggiungerò loSchiaparelli e requisirò il lander di Ares 4. Perquesto non sono stato autorizzato esplicitamente, enessuno può farlo finché non sarò a bordo di Ares4 e non avrò messo in funzione il sistema ditelecomunicazione. Quando sarò a bordo di Ares4, prima di cominciare a parlare con la NASA avròassunto il controllo di uno scafo in acqueinternazionali senza permesso.

Questo fa di me un pirata!Un pirata spaziale!

Giornale di bordo: Sol 383

Vi chiederete forse cos’altro faccio nel miotempo libero. Passo gran parte del tempo sedutosulle mie pigre chiappe a guardare la TV. Ma è lostesso che fate voi, quindi non giudicate.

In più pianifico il mio viaggio.La gita al Pathfinder è stata una scampagnata.

Terreno pianeggiante e regolare dall’inizio allafine. L’unico problema che ho avuto era lanavigazione. Ma per andare allo Schiaparellidovrò superare enormi dislivelli.

Ho una mappa satellitare approssimativadell’intero pianeta. Non è molto dettagliata, ma ègià una fortuna che ce l’abbia. La NASA non avevaprevisto che sarei partito dallo Hab perun’escursione di 3200 chilometri.

Acidalia Planitia (dove mi trovo io) è su unaquota relativamente bassa. Lo stesso vale perSchiaparelli. Ma tra una località e l’altra il terrenosale e scende anche di dieci chilometri. Vuol diredover affrontare molti tratti pericolosi.

La traversata sarà abbastanza tranquilla finchéresterò in Acidalia, ma sono solo i primi 650chilometri. Da lì in avanti comincia il terrenocrivellato di crateri di Arabia Terra.

Un aiuto ce l’ho. E giuro che è un dono delcielo. Per qualche ragione geologica, esiste unavalle chiamata Mawrth Vallis situataperfettamente dove serve a me.

Milioni di anni fa era un fiume. Adesso è unavalle che si protende nel brutale terreno di Arabia,orientata quasi con precisione su Schiaparelli. Èuna zona di gran lunga meno accidentata del restodi Arabia Terra e a giudicare dalla mappa sembrache se ne esca con una salita abbastanza graduale.

Fra Acidalia e Mawrth Vallis, mi aspettano1350 chilometri di terreno relativamente agevole.

Quanto agli altri 1850… be’, non mi andràaltrettanto bene. Soprattutto quando verrà ilmomento di scendere effettivamente nelloSchiaparelli. Povero me.

In ogni caso. Mawrth Vallis. Ottimo.

Giornale di bordo: Sol 385

L’aspetto peggiore del viaggio per andare arecuperare il Pathfinder è stata la prigionia dentroil rover. Sono stato costretto a vivere in unambiente sottodimensionato che era pieno di robaraffazzonata e puzzava di olezzi organici. Come aitempi del college.

Battutaccia!Seriamente: un’autentica schifezza. Sono stati 22

sol di abiezione e sconforto.Ho intenzione di partire per Schiaparelli 100

sol prima della data del mio recupero (o morte) egiuro davanti a Dio che se devo restare dentro ilrover per tutto quel tempo mi scuoio vivo da solo.

Ho bisogno di un posto dove alzarmi in piedi efare qualche passo senza andare a sbattere daqualche parte. E, no: uscire in una stramaledettatuta EVA non conta. Ho bisogno di spaziopersonale, non 50 chilogrammi di rivestimento.

Così oggi ho cominciato a fabbricare una tenda.Qualcosa in cui tirare il fiato mentre le batterie si

ricaricano; un posto dove sdraiarmi comodamenteper dormire.

Di recente ho sacrificato una delle mie duetende a scatto per costruire il pallone del trailer,ma l’altra è ancora in ottimo stato. Ancor meglio,ha un attacco per agganciarla alla camerad’equilibrio del rover. Prima di trasformarla in uncampo di patate, il suo scopo originario era di fareda scialuppa di salvataggio per il rover.

È collegabile indifferentemente alla camerad’equilibrio di uno o l’altro dei due veicoli, ma iol’attaccherò al rover e non al trailer. Il rover ha ilcomputer e i controlli. Se avrò bisogno diverificare lo stato di un qualunque componente(quelli di sostegno alla vita, per esempio, o lavelocità di ricarica della batteria), dovrò poterviaccedere. In questo modo potrò entrarciliberamente. Niente EVA.

Inoltre durante il viaggio terrò la tenda ripiegatadentro il rover. In caso di emergenza, vi potròentrare alla svelta.

La tenda a scatto è la base della mia “camera daletto”, ma non interamente. La tenda non è molto

spaziosa, non molto più grande del rover. Ma hal’attacco per la camera d’equilibrio ed è questo ilpunto essenziale da cui partire. La mia idea è diraddoppiare l’area del pavimento e raddoppiarel’altezza. Avrei così un bello spazio in cuirilassarmi.

Per il pavimento userò il tessuto originale delledue tende a scatto. Se usassi il telo da Hab, che èflessibile, la mia camera da letto diventerebbe unagrande palla. Messa in pressione, avrebbe latendenza ad assumere una forma sferica, che non èuna forma utile.

Per impedire che ciò avvenga, il tessuto di cui èfatto il pavimento dello Hab e delle tende a scattoè diverso. Si srotola in una serie di piccolisegmenti che non possono aprirsi per più di 180gradi, così rimane piatto.

La base delle tende a scatto è esagonale. Ne houna che mi è avanzata da quello che adesso èdiventato il pallone del trailer. Quando avrò finito,la camera da letto sarà di due esagoni adiacenti,circondati da pareti e sormontati da un soffittorudimentale.

Mi ci vorrà una carrettata di colla.

Giornale di bordo: Sol 387

La tenda è alta 1,2 metri. Non è fatta per starcicomodi. È fatta perché degli astronauti vi sirannicchino dentro in attesa che i loro compagnivengano a salvarli. Io voglio due metri. Vogliopoter stare in piedi! E non mi pare di chiederetroppo.

Sulla carta non è difficile. Devo tagliare deipezzi di tela nella forma giusta, attaccarli assiemee fissarla al telo e al fondo che esistono già.

Ma stiamo parlando di un bel po’ di tessuto. Hocominciato questa missione con sei metri quadratie li ho usati quasi completamente. Soprattutto perrattoppare lo squarcio apertosi nello Hab quando èscoppiato.

Dannata Camera 1.Tornando alla mia camera da letto, mi ci

vorranno trenta metri quadrati di telo. Molto ma

molto più di quanto me ne resta. Per fortuna ho unascorta alternativa di telo da Hab: lo Hab.

Il problema (seguitemi attentamente qui, lascienza è alquanto complicata) è che, se taglio viaun pezzo dallo Hab, l’aria non resterà più dentro.

Dovrò depressurizzare lo Hab, ritagliare i pezziche mi servono e rimettere lo Hab insieme (piùpiccolo). Ho passato la giornata a calcolare di chedimensioni e forme mi servono i miei pezzi di tela.Siccome non posso permettermi di sbagliare, horifatto i miei conti tre volte. Ho persino preparatoun modellino di carta.

Lo Hab è una cupola. Se prendo del telo vicinoal pavimento, posso tirar giù quello che resta erincollarlo lungo il fondo. Diventerà una cupolasbilenca, ma non dovrebbe provocare danni. Bastache trattenga la pressione. Mi è sufficiente cheresista altri 62 sol.

Ho disegnato con il pennarello i pezzi datagliare. Poi sono stato lì per non so quanto tempoa rimisurare tutto per essere matematicamentesicuro di non aver sbagliato niente.

Altro oggi non ho fatto. Può sembrare pocacosa, ma i calcoli e il progetto mi hanno presotutto il giorno. Adesso è ora di cena.

Sono settimane che mangio patate.Teoricamente, con il mio piano di tre quarti dirazione per volta, dovrei consumare ancora le miescorte di viveri. Ma è difficile mantenere una dietaquotidiana a base di razioni ridotte di un quarto,così adesso sto mangiando patate.

Ne ho abbastanza da durare fino al lancio,quindi non patirò la fame. Però sono stufo marciodi patate. E poi hanno un sacco di fibra, così…Limitiamoci a dire che è un bene che io sia l’unicoindividuo presente su questo pianeta.

Ho tenuto da parte cinque pasti per le occasionispeciali. Su ciascuna confezione ho scritto il nome.Mangerò “Partenza” il giorno in cui lascerò persempre lo Hab. Mangerò “Metà strada” quandoraggiungerò la tacca dei 1600 chilometri e“Arrivo” quando sarò a destinazione.

Il quarto pasto è “Sopravvissuto a qualcosa cheavrebbe dovuto uccidermi” perché qualchestramaledetta stronzata succederà, ci metto la mano

sul fuoco. Non so cosa, ma succederà. Il roverandrà in panne, o mi verranno delle emorroidifatali, o verrò attaccato da marziani ostili oqualche altra porcata. Quando succederà (se me lacavo), mangerò quel pasto particolare.

Il quinto è riservato al giorno in cui mi lancerò.Si chiama “Ultimo pasto”.

Forse come nome non è un granché.

Giornale di bordo: Sol 388

Ho cominciato la giornata con una patata. L’homandata giù con del caffè marziano. È così che hobattezzato “l’acqua calda con una pillola dicaffeina solubile”. Ho finito il caffè vero da mesi.

Il primo punto all’ordine del giorno era uninventario accurato dello Hab. Dovevo togliere dimezzo tutto quello che avrebbe avuto problemi conuna perdita di pressione atmosferica. Chiaro chesolo qualche mese fa tutto quello che c’era dentroha subìto un tracollo per un’improvvisa

depressurizzazione, ma questa volta sarebbe statoun fenomeno controllato e tanto valeva fare le cosebene.

Prima di tutto l’acqua. Al momento del crollodello Hab ho perso 300 litri in sublimazione.Questa volta non accadrà. Ho svuotato ildepuratore e ho sigillato tutti i serbatoi.

Il resto del tempo l’ho passato a raccoglierecianfrusaglie e ho schiaffato tutto in Camerad’equilibrio 3. Qualsiasi cosa su cui avevoqualche dubbio che potesse danneggiarsi in unacondizione di quasi-vuoto. Tutte le penne, i flaconidi vitamine (probabilmente non necessario ma noncorro rischi), le scorte mediche eccetera.

Poi ho eseguito una chiusura controllata delloHab. I componenti critici sono progettati perchésopravvivano al vuoto. Una depressurizzazionedello Hab è tra le molte eventualità che la NASAprende in considerazione. Uno dopo l’altro, hospento tutti i sistemi finendo con il computerprincipale.

Mi sono messo la tuta e ho depressurizzato loHab. L’ultima volta il telo collassò e fu un

macello. Non è previsto che succeda adesso. Lacupola dello Hab è sostenuta soprattutto dallapressione dell’aria, ma anche da pali flessibili chesi incrociano all’interno. È così che viene eretto almomento del montaggio.

Ho osservato il telo appoggiarsi dolcemente aipaletti di rinforzo. Per confermare ladepressurizzazione ho spalancato entrambi iportelli della Camera 2. Ho lasciato stare la 3,quella che ho mantenuto in pressione per il suocarico di oggetti vari.

Poi mi sono messo a tagliare!Non sono un tecnico specializzato in tessuti e il

mio progetto per la camera da letto non è elegante.È solo un perimetro di sei metri e un soffitto. No,non ci saranno angoli di nessun genere (ai corpi apressione non piacciono). Si gonfierà in una formapiù arrotondata.

In conclusione avevo bisogno di tagliare solodue grandi strisce, una per le pareti e una per ilsoffitto.

Dopo aver amputato lo Hab, ho tirato giù il telorimasto e l’ho fissato al fondo sigillandolo. Avete

mai montato una tenda da campeggio? Da dentro?Indossando un’armatura medievale? Un autenticospasso.

Ho ripressurizzato a un ventesimo di atmosferaper vedere se teneva la pressione.

Ah ah ah! Certo che no! Era il gran ballo delleperdite! Mi sono messo subito a cercarle.

Sulla Terra, le particelle più piccole si leganoall’acqua o si dissolvono completamente. SuMarte restano lì. Lo strato di sabbia piùsuperficiale è come polvere di talco. Sono uscitocon un sacchetto a grattare la superficie. Horaccolto un po’ di sabbia normale, ma anche moltapolvere.

Ho mantenuto un ventesimo di atmosfera dentrolo Hab lasciando che l’aria nuova compensassequella che andava persa. Poi ho dispersoall’interno la sabbia che avevo raccolto lasciandoche i granelli più piccoli andassero dovevolevano. Naturalmente sono stati velocementeattratti nei punti da cui usciva l’aria. Così,individuandoli, uno a uno li ho sigillati tutti con laresina.

Mi ci sono volute ore, ma alla fine sono riuscitoa saldare bene il fondo. Ammetto che adesso loHab ha un aspetto alquanto “raffazzonato”. Ha unlato più basso. Quando vado lì, devo stare chino.

Ho portato la pressione a un’atmosfera e hoaspettato un’ora. Niente perdite.

È stato un giorno lungo che mi ha notevolmenteprovato. Sono distrutto, ma non riesco a dormire.Ogni rumore me la fa fare sotto dalla paura. È loHab che sta per scoppiare? No? Okay… E quellocos’era? Niente? Okay.

Aver affidato la mia vita al mio patetico lavoromanuale è terribile.

Meglio prendere un sonnifero dalle scorte dimedicinali.

Giornale di bordo: Sol 389

Cosa diavolo hanno messo in quelle pillole? Èquasi pomeriggio.

Dopo due tazze di caffè marziano mi sonosvegliato un po’. Non prenderò mai più una diquelle pasticche. Non è che qui io abbia orariprestabiliti di sonno e veglia.

Fatto sta che, come potete intuire dal fatto chenon sono morto, lo Hab è rimasto in piedi per tuttala notte. La giuntura è ermetica. Orribile davedere, ma solida.

Il lavoro di oggi è stato la camera da letto.Montare la camera da letto è stato molto più

facile che risigillare lo Hab. Perché questa voltanon sono stato costretto a indossare la tuta. Hofatto tutto stando dentro la cupola sbilenca. Perchéno? È solo un telo. Quando ho finito possoarrotolarlo e portarlo in una camera d’equilibrio.

Per prima cosa ho effettuato un piccolointervento chirurgico sulla rimanente tenda ascatto. Avevo bisogno di conservare il connettoreper l’aggancio alla camera d’equilibrio del rover eun tratto di tela circostante. Tutto il resto andavaeliminato. Perché tagliar via quasi tutto il telo soloper sostituirlo con altro telo? Cuciture.

La NASA è brava a fare le cose. Io no. La partedifficile di questa struttura non sarà il telo.Saranno le cuciture. E avrò cuciture meno estesese non cercherò di usare il telo della tendaesistente.

Dopo aver distrutto quasi tutta la tenda avanzata,ho giuntato i due pavimenti con le strisce adesive.Dopodiché ho aggiunto i nuovi pezzi di telo.

Ma quanto è stato più facile senza avereaddosso la tuta EVA. Mille volte più facile!

Poi dovevo testare il risultato. Anche questavolta l’ho fatto dentro lo Hab. Ho portato con meuna tuta dentro la tenda e ho chiuso il portellodella piccola camera d’equilibrio. Poi ho attivatola tuta EVA senza mettere il casco. Le ho ordinatodi portare la pressione a 1,2 atmosfere.

C’è voluto un po’ e ho dovuto disattivare alcuniallarmi della tuta. (“Ehi, guarda che manca ilcasco!”.) Ha fatto fuori quasi tutto l’azoto, ma allafine è andata in pressione.

Allora me ne sono stato lì buono ad aspettare.Ho respirato. La tuta ha regolato l’aria. È andatotutto bene. Ho tenuto costantemente d’occhio i dati

che mi trasmetteva la tuta per vedere se stavarimpiazzando dell’aria “andata persa”. Dopoun’ora senza variazioni di rilievo, ho dichiaratoriuscito il mio primo collaudo.

Ho arrotolato la mia camera da letto (l’hoaccartocciata, per la verità) e l’ho portata nelrover.

Sapete una cosa: in questi giorni non faccio chemettermi la tuta. Scommetto di aver stabilito unnuovo record anche qui. Un astronauta in unanormale missione su Marte, quante volte esceall’aperto? Una quarantina? Io ho già fatto non soquante centinaia di EVA.

Nel rover, ho agganciato la camera da letto allacamera d’equilibrio da dentro. Poi ho schiacciatoil tasto di rilascio perché si aprisse. Indossavoancora la tuta EVA perché non sono un idiota.

La camera da letto è stata sparata fuori e si ègonfiata in tre secondi. Dal boccaporto apertodella camera d’equilibrio vi si poteva accederedirettamente e sembrava che mantenesse lapressione.

Come avevo già fatto in precedenza, hoaspettato un’ora. E come già in precedenza, hafunzionato alla grande. Questa volta non è andatacome con la ricucitura della cupola al pavimento,questa volta l’ho beccata al primo tentativo.Soprattutto perché non sono stato costretto a faretutto con la tuta addosso.

L’intenzione originale era di lasciare in pace lamia camera da letto per tutta la notte e controllarlal’indomani mattina. Però mi sono imbattuto in unproblema: per poterlo fare, non posso uscire. Ilrover ha una sola camera d’equilibrio e a essaavevo collegato la camera da letto. Non avevomodo di uscire senza staccare la camera da letto enon avevo modo di riattaccare e pressurizzare lacamera da letto senza essere dentro il rover.

Mette addosso una certa irrequietezza. La primavolta che collauderò la mia stanza nuova per unanotte intera dovrò esserci dentro. Ma questoavverrà in seguito. Per oggi basta così.

Giornale di bordo: Sol 390

Bisogna guardare la realtà in faccia. Non hoaltri preparativi da fare. Non “sento” di aver finitoproprio tutto, ma è pronto per partire:

Viveri: 1692 patate. Compresse vitaminiche.Acqua: 620 litri.Ricovero: rover, trailer, camera da letto.Aria: scorte cumulate rover e trailer: 14 litri O2

liquido, 14 litri N2 liquido.Sostegno vita: ossigenatore e regolatore

atmosferico, 418 ore di filtri usa-e-getta peremergenze.

Energia: riserva di 36 kilowattora. Capacità dicarico di 29 pannelli solari.

Calore: 1400 watt RTG. Serbatoio artigianale perriscaldare l’aria di ritorno del regolatore.Radiatore elettrico sul rover come riserva.

Disco music: scorte per una vita.

Parto da qui a Sol 449. Ho quindi adisposizione 59 sol per testare ogni cosa e

riparare tutto quello che non funziona come deve.Decidere quindi cosa verrà con me e cosa resteràindietro. Tracciare una rotta per Schiaparelliusando una sgranata mappa satellitare. Espremermi le meningi cercando di pensare a tuttele cose importanti che ho dimenticato.

Da Sol 6 in poi la sola cosa che ho voluto èstata andarmene da qui. Ora la prospettiva dilasciare lo Hab mi spaventa a morte. Ho bisognodi incoraggiamento. Devo chiedere a me stesso:«Che cosa farebbe un astronauta di Apollo?».

Berrebbe tre whisky al succo di limone, sirecherebbe alla rampa di lancio sulla sua Corvettee poi partirebbe per la Luna in un modulo dicomando più piccolo del mio rover. Madonna, seerano forti quei ragazzi.

21

Giornale di bordo: Sol 431

Sto pensando a come fare i bagagli. È piùcomplicato di quel che si penserebbe.

Ho due corpi a pressione, il rover e il trailer.Sono collegati da manichette, ma non per questosono stupidi. Se uno perde pressione, l’altrochiude all’istante i condotti che li uniscono.

C’è una logica tragica in tutto questo: se si apreuna falla nel rover, sono morto. Inutile stare apianificare operazioni di recupero. Ma se si apreuna falla nel trailer, me la posso cavare lo stesso.Dunque è indispensabile che tutte le coseimportanti siano nel rover.

Tutto quello che andrà nel trailer devesopportare senza problemi una situazione di quasi-vuoto e temperature da congelamento. Non chepreveda niente del genere, ma sapete anche voi,meglio prepararsi al peggio.

Per il carico di viveri mi verranno comode lebisacce da sella che avevo confezionato perandare a prendere il Pathfinder. Non possomettere le patate all’interno del rover o del trailer,perché in un ambiente caldo e pressurizzatomarcirebbero. Ne terrò alcune a bordo del roverper averle a portata di mano, ma il grosso saràall’esterno, in quel gigantesco congelatore che èquesto pianeta. Il trailer sarà pieno zeppo.Conterrà due voluminose batterie da Hab, ilregolatore atmosferico, l’ossigenatore e il miocongegno riscaldante. Mi converrebbe tenerequest’ultimo sul rover, ma deve essere vicinoall’uscita dell’aria di ritorno del regolatore.

Anche il rover sarà stracarico. In movimentoterrò la camera da letto ripiegata vicino allacamera d’equilibrio, sempre pronta aun’espulsione d’emergenza. Avrò sempre con meanche le due tute EVA ancora integre e tutto quelloche potrebbe servirmi per delle riparazioni daeffettuare al momento: kit di attrezzi, parti diricambio, la mia scorta ormai quasi esaurita disigillante, il computer principale dell’altro rover

(non si sa mai!) e tutti e 620 i miei gloriosi litri diacqua.

E una scatola di plastica come toilette. Una diquelle con il coperchio che chiude bene.

«Come va con Watney?», domandò Venkat.Mindy sollevò lo sguardo dal suo computer con

un sussulto. «Dottor Kapoor?».«Ho sentito che gli avete scattato una foto

durante un’EVA».«Ehm, sì», rispose Mindy. Digitò qualcosa sulla

tastiera. «Ho notato che verso le nove del mattino,ora locale, c’è sempre qualcosa di cambiato. Lagente ha tendenze abitudinarie, così ho pensato chegli piacesse mettersi a lavorare intorno aquell’ora. Ho eseguito qualche piccoloriallineamento e ho fatto in modo di ottenerediciassette immagini tra le nove e le nove e dieci.In una c’era lui».

«Bell’intuizione. Posso vederla?»«Senz’altro». Richiamò l’immagine a video.Venkat socchiuse gli occhi esaminando una

figura un po’ sfuocata. «Non si può avere niente di

meglio?»«È una foto presa da un satellite orbitante»,

rispose Mindy. «L’NSA ha aumentato al massimo ladefinizione con il miglior software che hanno».

«Un momento», si meravigliò Venkat. «Che cosaha detto? L’NSA?»

«Sì, è stata la Sicurezza nazionale a chiamarciper offrirci il loro aiuto. Lo stesso software cheusano per migliorare le immagini ottenute daisatelliti spia».

Venkat scosse la testa. «Sorprendente quantaburocrazia va a farsi benedire quando tutti fannoinsieme il tifo per la vita di un solo uomo»,commentò. Puntò il dito sullo schermo. «Qui cosasta facendo?»

«Credo che stia caricando qualcosa sul rover».«Quand’è stata l’ultima volta che ha lavorato al

trailer?», volle sapere Venkat.«Un po’ di tempo fa. Perché non ci scrive più

niente?».Venkat si strinse nelle spalle. «Ha da fare. È al

lavoro per quasi tutte le ore diurne e allineare

sassi per scrivere messaggi richiede tempo e forzafisica».

«Allora…», azzardò Mindy a disagio. «Comemai è venuto qui di persona? Avremmo potuto faretutto questo via posta elettronica».

«Per la verità sono venuto a parlare con lei»,spiegò Venkat. «Il suo incarico è cambiato. D’orain avanti invece di controllare i satelliti intorno aMarte, la sua sola responsabilità sarà sorvegliareMark Watney».

«Cosa? E le correzioni di rotta e gliallineamenti?»

«Se ne occuperà qualcun altro», rispose Venkat.«D’ora in poi lei si concentrerà sull’esame delleimmagini di Ares 3».

«Ma è un declassamento», protestò Mindy. «Iosono un ingegnere orbitale, ma così mi trasformatein una versione nobilitata di un guardone».

«È solo temporaneo», la rassicurò Venkat. «Esarà ricompensata. Il fatto è che lei lo sta giàfacendo da mesi ed è diventata un’espertanell’identificare gli elementi di Ares 3 nelle foto

satellitari. Non abbiamo nessun altro in grado difarlo».

«Perché all’improvviso è così importante?»«È agli sgoccioli», disse Venkat. «Noi non

sappiamo a che punto è con le modifiche al rover.Però sappiamo che ha ancora solo sedici sol perportarle a termine. Abbiamo bisogno di sapere conprecisione che cosa sta facendo. Ci sono media esenatori che mi tempestano giorno e notte dirichieste sulla situazione su Marte. Mi ha chiamatoun paio di volte persino il Presidente».

«Ma vedere a che punto è non è di alcun aiuto»,obiettò Mindy. «Se è rimasto indietro, noicomunque non possiamo farci niente. È un compitoinsensato».

«Da quanto tempo lavora per il governo?»,ribatté Venkat. Poi sospirò.

Giornale di bordo: Sol 434

È venuto il momento di testare il miogiocattolino.

La qual cosa presenta un problema. Se vogliofare davvero un giro di collaudo, a differenza dellamia preparazione per il Pathfinder, dovrò tirarfuori dallo Hab gli elementi di sostegno alla vita.Quando togli dallo Hab il regolatore atmosferico el’ossigenatore, quello che ti resta è… una tenda.Un bel tendone a cupola che non è in grado disostenere la vita.

Non è pericoloso come sembra. Come sempretutto dipende da come gestisci l’anidridecarbonica. Quando il CO2 presente nell’aria toccal’uno percento, cominci ad avere sintomi diavvelenamento. Dunque io devo tenere la misceladello Hab sotto quel livello.

Il volume interno dello Hab è intorno ai 120.000litri. Respirando normalmente, per far salire illivello di CO2 all’uno percento mi ci vogliono duegiorni (senza aver praticamente neppure intaccatoil livello di O2).

Dunque se tolgo per un po’ il regolatore el’ossigenatore non c’è niente di male.

Sono entrambi troppo grossi per passareattraverso la camera d’equilibrio del trailer. Permia fortuna però sono arrivati su Marte con“richieste alcune operazioni di montaggio”. Eranotroppo voluminosi per essere spediti interi, quindiè facile smontarli.

In una serie di viaggi ho trasportato sul trailer ivari pezzi smontati. Li ho fatti passare uno allavolta per la camera d’equilibrio. Rimontarliall’interno è stata una rottura cosmica,lasciatemelo dire. C’era a malapena lo spazio peri vari componenti e per il nostro intrepido eroerestava veramente poco.

Poi ho preso l’AREC. Si trova fuori dello Habcome sarebbe sulla Terra l’unità esterna di uncondizionatore d’aria. In un certo senso è qualcosadi simile. L’ho trasportato al trailer e l’ho fissatoalla sua mensola. Quindi l’ho collegato ai tubi chepassano attraverso il “pallone” ed entrano nelvano a pressione del trailer.

Il regolatore deve inviare aria all’AREC,dopodiché l’aria di ritorno deve passare in formadi bollicine attraverso il mio congegno diriscaldamento. Il regolatore ha anche bisogno di unserbatoio a pressione che contenga il CO2 estrattodall’aria.

Per questo, quando ho scoperchiato un pezzo ditrailer per fare spazio, ho lasciato al suo posto unserbatoio. Sarebbe stato per l’ossigeno, ma unserbatoio è un serbatoio. Grazie al cielo tutti i tubie le valvole per l’aria di qualunque componentedella missione sono standardizzati. Non è unerrore. È stata una decisione voluta per renderepiù facili le riparazioni sul campo.

Una volta collocato al suo posto l’AREC, hocollegato ossigenatore e regolatore alla rete dialimentazione del trailer e ho aspettato cheandassero a regime. Ho condotto una diagnosicompleta di entrambi e ho avuto conferma chestavano funzionando correttamente. Allora hospento l’ossigenatore. Ricordatevi che lo useròsolo per un sol ogni cinque.

Mi sono trasferito sul rover, il che significa cheho dovuto fare dieci rognosi metri di EVA. Da lì homonitorato la situazione di sostegno alla vita. Valela pena notare che dal rover non posso monitoraredirettamente i sistemi di sostegno (che sono tuttisul trailer), ma il rover può raccontarmi tuttoquello che mi serve sull’aria. Ossigeno, anidridecarbonica, temperatura, umidità e tutto il resto.Tutto a posto.

Ho indossato nuovamente la tuta e ho svuotatonell’aria del rover un intero candelotto di CO2. Hoguardato il computer del rover prendersi un colponel constatare l’improvviso aumento di CO2 alivelli letali. Poi, con il passare del tempo, ilivelli sono tornati normali. Il regolatore faceva ilsuo bel lavoro. Bravo ragazzo!

Sono tornato allo Hab lasciando tutto infunzione. Andrà avanti per la notte intera e domanimattina controllerò com’è andata. Non è un testvero e proprio, perché non ci sono io là dentro arespirare l’ossigeno e a produrre CO2, ma bisognaprocedere un passo alla volta.

Giornale di bordo: Sol 435

È stata una notte strana. La logica mi diceva chein una sola notte non poteva succedere niente dibrutto, ma è stato un po’ inquietante sapere di nonavere altro supporto vitale se non i radiatori per ilriscaldamento. La mia vita dipendeva da certicalcoli fatti in precedenza. Se mi ero lasciatoscappare un simbolo o avevo sbagliato a tirare unasomma, magari non mi svegliavo più.

Invece mi sono svegliato e il computerprincipale indicava il lieve aumento di CO2 cheavevo previsto. Sembra che vivrò per un altro sol.

Vivere un altro sol sarebbe un ottimo titolo perun film di James Bond.

Ho controllato il rover. Tutto in ordine. Se nonsi muove, una sola carica delle batterie tiene infunzione il regolatore per più di un mese (con ilriscaldamento spento). È un buon margine disicurezza. Se durante il mio viaggio dovessesuccedere il finimondo, avrò tempo per rimediare.

Sarò limitato più dal consumo di ossigeno chedall’eliminazione del CO2, e di ossigeno ne ho inquantità.

Ho deciso che era un buon momento per provarela camera da letto.

Sono salito sul rover e ho attaccato dall’internola camera da letto al portello esterno della camerad’equilibrio. Come ho spiegato prima, è il solomodo di farlo. Poi l’ho sguinzagliata su un Marteignaro.

Come desiderato, la pressione del rover hagonfiato il telo all’esterno. Dopodiché è stato ilcaos. La pressione improvvisa ha squarciato lacamera da letto come un palloncino bucato. Si èsgonfiata in un lampo lasciando se stessa e il roverprivi di aria. Io indossavo la mia tuta EVA; nonsono un completo idiota. Per questo motivo mi èconcesso di…

Vivere un altro sol! (Con Mark Watney nellaparte di… probabilmente Q. Io non sono un JamesBond.)

Ho trascinato la camera da letto squarciata nelloHab e l’ho esaminata ben bene. Aveva ceduto

lungo la giuntura tra parete e soffitto. Abbastanzacomprensibile. In un contenitore a pressionecorrisponde a un angolo retto. La fisica detestaquesto genere di cose.

Prima di tutto l’ho rappezzata, poi ho ritagliatostrisce da uno scampolo di telo da applicare lungola giuntura. Adesso lungo il punto di contatto traparete e soffitto ho un rinforzo doppio con doppioquantitativo di resina. Forse basterà. A questopunto tiro un po’ a indovinare. Le mie stupefacenticompetenze di botanica non mi stanno aiutandomolto per questo genere di operazioni.

Domani provo di nuovo.

Giornale di bordo: Sol 436

Ho finito le pillole di caffeina. Niente più caffèmarziano per me.

Perciò questa mattina ho impiegato un po’ di piùper svegliarmi e ho sviluppato velocemente un maldi tesa di quelli brutali. Una delle poche cose

buone di chi vive su Marte in una villamultimilionaria è l’accesso a ossigeno puro. Perqualche ragione un’alta concentrazione di O2ammazza quasi qualsiasi tipo di emicrania. Non soperché. Non m’importa. Quello che importa è chenon devo soffrire.

Ho provato di nuovo la camera da letto. Misono messo la tuta a bordo del rover e horilasciato la camera come l’altra volta. Questavolta però ha retto. Buona cosa, ma avendoconstatato la fragile natura del mio operato, hovoluto che questo test delle giunture sottopressione durasse più a lungo.

Dopo aver aspettato per qualche minuto con latuta addosso, ho deciso di utilizzare meglio il miotempo. È vero che non posso lasciare l’universocostituito da rover e camera da letto insiemequando la camera da letto è collegata alla camerad’equilibrio, però posso starmene a bordo delrover e chiudere lo sportello.

È quello che ho fatto, così ho potuto sbarazzarmidella scomoda tuta spaziale. La camera da letto eradall’altra parte del portello della camera

d’equilibrio, sempre ben pressurizzata. Dunque stoconducendo ancora il mio collaudo, ma non sonopiù costretto a indossare la tuta. Hoarbitrariamente deciso che il test durerà otto ore,così per tutto quel periodo ero intrappolato nelrover.

Ho usato questo tempo per progettare il viaggio.Non ho trovato molto da aggiungere a quello chegià sapevo. Tirerò dritto da Acidalia Planitia aMawrth Vallis e attraverserò la vallata da unaparte all’altra. Lungo un percorso a zigzag,scenderò in Arabia Terra. Da quel momento inavanti comincerà il gran ballo.

A differenza di Acidalia Planitia, Arabia Terra ècostellata di crateri. E ogni cratere rappresentadue violenti cambi di quota. Prima giù, poi su. Cel’ho messa tutta per trovare le vie più breviintorno agli avvallamenti. Sono sicuro che dovròmodificare la mia rotta quando la staròeffettivamente percorrendo. Nessun pianosopravvive al primo contatto con il nemico.

Mitch prese il suo posto in sala riunioni. Erapresente la solita ghenga: Teddy, Venkat, Mitch,Annie. Questa volta però c’erano anche MindyPark e un uomo che Mitch non aveva mai visto.

«Che c’è, Venk?», chiese subito Mitch. «Comemai questa riunione improvvisa?»

«Abbiamo degli sviluppi, rispose Venkat.«Vuole illustrarceli, Mindy?»

«Ehm, sì», disse Mindy. «Sembra che Watneyabbia completato l’aggiunta del trailer. Ha usatofondamentalmente il progetto che gli abbiamomandato noi».

«Qualche idea sul grado di stabilità?», vollesapere Teddy.

«È molto stabile», rispose Mindy. «Il pallone èrimasto gonfio senza problemi per alcuni giorni.Poi ha anche costruito una specie di… di stanza».

«Una stanza?», si meravigliò Teddy.«Credo che abbia usato del telo da Hab»,

spiegò Mindy. «Si aggancia alla camerad’equilibrio del rover. Credo che per costruirlaabbia tagliato un pezzo di Hab. Non so a cosaserva».

Teddy si rivolse a Venkat. «Perché l’avrebbefatto?»

«Noi crediamo che sia un laboratorio», risposeVenkat. «Quando arriverà allo Schiaparelli, dovràlavorare parecchio al MAV. Sarà più facile farlosenza dover indossare la tuta. Probabile che abbiain mente di svolgere tutto il lavoro che può inquella stanza».

«Furbo», commentò Teddy.«Watney è un uomo furbo», convenne Mitch.

«Come ha risolto il problema del sostegno invita?»

«Credo che abbia trovato un modo», disseMindy. «Ha spostato l’AREC».

«Chiedo scusa», intervenne Annie. «Cosasarebbe l’AREC?»

«È l’unità esterna del regolatore atmosferico»,spiegò Mindy. È situato all’esterno dello Hab ed èper questo che mi sono accorta che non c’era più.È probabile che l’abbia montato sul rover. Non c’èaltro motivo di spostarlo, dunque credo che abbiaricomposto l’intero sistema di sostegno alla vitada portare con sé».

«Molto soddisfacente», disse Mitch. «Le cose sistanno mettendo per il verso giusto».

«Non cantar vittoria troppo presto, Mitch», loammonì Venkat. Indicò il nuovo arrivato. «Vipresento Randall Carter, uno dei nostrimeteorologi marziani. Randall, riferisci anche aloro quello che mi hai detto».

Randall annuì. «Grazie, dottor Kapoor». Girò illaptop per mostrare agli altri una mappa di Marte.«In queste ultime settimane in Arabia Terra si èandata formando una tempesta di sabbia. Niente ditremendo in termini di magnitudo. Non ostacoleràin alcun modo il suo viaggio».

«Allora dov’è il problema?», chiese Annie.«È una tempesta di polvere a bassa velocità»,

spiegò Randall. «I venti sono lenti, ma comunqueabbastanza veloci da sollevare dalla superficieparticelle molto piccole e addensarle in nuvolemolto fitte. Se ne creano cinque o sei ogni anno. Ilproblema è che durano mesi, coprono enormiestensioni del pianeta e riempiono l’atmosfera dipolvere».

«Continuo a non vedere il problema», disseAnnie.

«La luce», rispose Randall. «Nella zona dellatempesta la luce solare che riesce a raggiungere lasuperficie è molto poca. Attualmente è solo il ventipercento del normale. E il rover di Watney èalimentato dai pannelli solari».

«Merda», imprecò Mitch schiacciandosi i pugnisugli occhi. «E non possiamo avvertirlo».

«Se ha meno potenza», chiese Annie, «non puòsemplicemente ricaricare più a lungo?»

«Così com’è il piano adesso già prevede chericarichi per un giorno intero», disse Venkat. «Sela luce è ridotta al venti percento, per accumularelo stesso quantitativo di energia gli ci vorrà untempo cinque volte superiore. Il viaggio chedovrebbe essere di 40 sol diventerebbe di 225.Perderebbe il passaggio di Hermes».

«Ma Hermes non può aspettarlo?», domandòAnnie.

«È un flyby», le rispose Venkat. «Hermes nonentrerà in un’orbita marziana. Se lo facesse,l’equipaggio non tornerebbe più a casa. Hanno

bisogno di conservare la loro velocità per latraiettoria di ritorno».

«Possiamo solo sperare che trovi il modo dicavarsela», sospirò Teddy dopo un lungo momentodi silenzio generale. «Noi possiamo seguirlo lungoil suo percorso e…».

«No, non possiamo», lo interruppe Mindy.«Non possiamo?».Mindy scosse la testa. «Attraverso la polvere i

satelliti non vedranno niente. Quando entrerà nellazona della tempesta, noi non lo vedremo più finchénon sarà sbucato dall’altra parte».

«Be’…», cominciò Teddy. «Merda».

Giornale di bordo: Sol 439

Prima di rischiare la vita su questo trabiccolo,devo collaudarlo.

Non parlo dei piccoli test che ho fatto finora. Sì,ho messo alla prova la produzione di energia, isistemi di sostegno alla vita, il bubbone del trailer

e la camera da letto. Ma devo collaudare anche ilfunzionamento di tutti gli elementi insieme.

Caricherò tutto quello che devo portare con mee girerò in circolo. Non mi allontanerò mai più di500 metri dallo Hab e se va tutto a puttane inqualche modo me la cavo lo stesso.

Oggi ho dedicato la giornata a caricare il rovere il trailer per il test. Voglio che il pesocomplessivo equivalga a quello che avrò durante ilviaggio vero e proprio. Inoltre, se il caricodovesse spostarsi dentro i veicoli o romperequalcosa, voglio saperlo in anticipo.

Una concessione al buonsenso l’ho fatta: holasciato nello Hab il grosso delle mie scorted’acqua e ho caricato solo quanto mi serve per ilperiodo del test. Ci sono mille modi perché perdapressione in questo abominio meccanico di miacreazione e non voglio vedere tutta la mia acquaandarsene in vapore se dovesse accaderequalcosa.

In viaggio avrò con me 620 litri d’acqua. Percompensare il peso mancante ho caricato con tuttoil resto anche 600 chili di sassi.

Giù sulla Terra, le università e i governipagherebbero milioni pur di mettere le mani su deisassi marziani. Io li uso da zavorra.

Questa notte faccio anche un altro piccoloesperimento. Mi sono accertato che le batteriefossero ben cariche, poi ho scollegato il rover e iltrailer dall’alimentazione dello Hab. Dormirònello Hab, ma ho lasciato in funzione il sistema disostegno vitale del rover. Tengo aperta anchel’aria per tutta la notte e domani vedo quantaenergia è stata consumata. Ho sorvegliato ilconsumo mentre era collegato allo Hab e non hoconstatato sorprese. Ma questa sarà la prova delnove. L’ho battezzata “test del distacco”.

Forse avrei dovuto trovare di meglio.

L’equipaggio di Hermes si era riunito nel Rec.«Facciamo rapidamente il punto della

situazione», disse Lewis. «Siamo rimasti tuttiindietro con i nostri incarichi scientifici. Prima tu,Vogel».

«Ho riparato il cavo che non funzionava diVASIMR 4», riferì Vogel. «Era il nostro ultimo cavo

di quella portata. Dovesse ripetersi il problema,per trasportare la corrente dovremo intrecciarecavi di portata inferiore. Inoltre c’è un calo dipotenza nel reattore».

«Johanssen», chiese Lewis, «che cos’ha ilreattore?»

«Sono stata io ad abbassare il regime», spiegòJohanssen. «Sono i diaframmi di raffreddamento.Non smaltiscono più il calore bene come prima. Sistanno sporcando».

«Com’è possibile?», si meravigliò Lewis.«Sono all’esterno dello scafo. Non c’è niente concui possano reagire».

«Credo che raccolgano della polvere o qualchepiccola perdita d’aria di Hermes. Fatto sta che,qualunque sia la ragione, si ossidano.L’ossidazione sta ostruendo il microreticolato deidiaframmi riducendone la superficie. Menosuperficie equivale a minor dissipazione delcalore. Così ho abbassato il reattore quanto bastaper non generare un aumento di calore».

«Possibilità di riparare i diaframmi?»

«Sono su scala microscopica», risposeJohanssen. «Abbiamo bisogno di un laboratorio.Di solito vengono sostituiti dopo ogni missione».

«Saremo in grado di mantenere l’energia che ciserve per il resto della missione?»

«Sì, se il processo di ossidazione si mantiene aquesto livello».

«Bene, tu continua a tener d’occhio il reattore.Beck, come stiamo con il sostegno alla vita?»

«Zoppica», rispose Beck. «Siamo rimasti nellospazio più del previsto. Ci sono dei filtri chenormalmente verrebbero sostituiti alla fine dellamissione. Ho trovato il modo di pulirli con unbagno chimico che ho preparato in laboratorio, maè un sistema che consuma anche i filtri stessi. Perora va ancora bene, ma come si fa a sapere checosa si guasterà in futuro?»

«Sapevamo che sarebbe successo», ribattéLewis. «Nel programma Hermes è prevista unarevisione totale dopo ogni missione, mentre noiabbiamo prolungato Ares 3 da 396 a 898 giorni.Qualcosa si romperà. Quando accadrà, avremotutto l’aiuto possibile dalla NASA. Noi abbiamo

solo il dovere di tenere il grado di manutenzione almassimo livello. Martinez, come va con il tuoalloggio?».

Martinez aggrottò la fronte. «Sta ancoracercando di cuocermi. Il climatizzatore non riescea starci dietro. Secondo me è qualcosa che non vanelle tubature in cui scorre il refrigerante. Non ciposso mettere le mani perché sono nello scafo.Possiamo usare il locale per metterci materiali chenon siano sensibili alle alte temperature, ma più dicosì non si può fare».

«Dunque ti sei trasferito nell’alloggio diMark?»

«È di fianco al mio e ha lo stesso problema».«Dove dormi allora?»«Nella Camera 2. È l’unico posto dove posso

stare senza che qualcuno mi calpesti».«Non va bene», disse Lewis scuotendo la testa.

«Se una delle chiusure non tenesse, moriresti».«Non so pensare a dove altro dormire», si

giustificò lui. «Lo spazio qui dentro è minimo e sedormo in corridoio intralcio tutti».

«E va bene», disse Lewis. «D’ora in avantidormirai nella stanza di Beck. Beck può dormirecon Johanssen»,

Johanssen arrossì e abbassò gli occhiimbarazzata.

«Ah…», fece Beck. «Lo sai?».«Pensavi che non lo sapessi?», ribatté Lewis.

«La nave è piccola».«E non sei arrabbiata?»«Se questa fosse una missione normale, lo

sarei», rispose Lewis. «Ma adesso la recita vaavanti a braccio. Fate in modo che non interferiscacon i vostri doveri e a me va bene così».

«Sesso ad altissima quota!», esclamò Martinez.«Forte!».

Rossa in faccia come un peperone, Johanssen sinascose la faccia nelle mani.

Giornale di bordo: Sol 444

Mi sto specializzando. Magari quando tutto saràfinito posso fare il collaudatore di rover marziani.È andata bene. Ho girato in tondo per cinque solcon una media di 93 chilometri a sol. Un po’meglio di quel che pensassi. Qui il terreno èpianeggiante e uniforme, perciò in una casisticacorrisponde all’estremo positivo. Quandocomincerò ad andare su e giù e intorno ai macigni,non percorrerò altrettanta strada.

La camera da letto è una bellezza. Bellaspaziosa e comoda. La prima notte ho avuto unpiccolo problema di temperatura. Faceva unfreddo della malora. Rover e trailer regolavanopiù che bene il proprio clima, ma in camera daletto non faceva abbastanza caldo.

Tema della mia vita.Il rover ha un radiatore elettrico munito di una

piccola ventola. Io non lo uso perché c’è già l’RTGche produce tutto il calore di cui ho bisogno, cosìho staccato la ventola e l’ho reinstallata vicinoalla camera d’equilibrio. Quando l’ho rimessa infunzione, non ho dovuto far altro che puntarla indirezione della camera da letto.

È una soluzione a bassa tecnologia, ma funziona.Grazie all’RTG fa abbastanza caldo. Avevo solobisogno di diffonderlo nella maniera giusta. Unavolta tanto l’entropia è stata dalla mia parte.

Ho scoperto che le patate crude sonocattivissime. Nello Hab le cucino usando unpiccolo microonde. Sul rover non ho niente delgenere. Avrei potuto facilmente portare con me ilmicroonde dello Hab, ma l’energia necessaria acuocere dieci patate al giorno avrebbe inciso inmaniera tangibile nella distanza percorribile. Hostabilito velocemente una piccola routine. Per laverità aveva qualcosa di sinistramente familiare.L’avevo fatto per ventidue miserabili sol durante ilviaggio per recuperare il Pathfinder. Questa voltaperò avevo la camera da letto e fa una belladifferenza. Invece di ritrovarmi rintanato nel rover,ho il mio piccolo Hab personale.

Quando mi sveglio, mangio una patata per primacolazione. Poi sgonfio la camera da lettodall’interno. È un po’ complicato, ma ho messo apunto il mio sistema.

Per prima cosa indosso una tuta EVA. Poi chiudoil portello interno della camera d’equilibriolasciando aperto quello esterno (con la camera daletto agganciata). Così facendo isolo la camera daletto dal resto del rover. Io ci resto dentro e aquesto punto ordino alla camera d’equilibrio didepressurizzare. Lei crede di espellere l’aria dauna piccola zona, mentre invece sta sgonfiandotutta la camera da letto.

Tolta la pressione, tiro dentro il telo e loripiego. Poi lo stacco dal boccaporto esterno echiudo il portello corrispondente. Questa è la partepiù scomoda. Mentre ripressurizza, devocondividere la camera d’equilibrio con tuttoquanto il telo della camera da letto ripiegato.Ristabilita la pressione, apro il portello interno epiù o meno casco dentro il rover. Dopodiché mettoda parte la camera da letto e rientro nella camerad’equilibrio per una normale uscita su Marte.

È un procedimento complicato, ma così facendostacco la camera da letto senza doverdepressurizzare la cabina del rover. Ricordiamoci

che nel rover ho caricato tutta la roba a cui nonpiace il vuoto.

Il passo successivo è raccogliere i pannellisolari che ho esposto il giorno prima e ricaricarlisu rover e trailer. Poi faccio un rapido controllodel trailer. Entro dalla sua camera d’equilibrio edò praticamente un’occhiata generale a tuttal’attrezzatura. Non mi tolgo nemmeno la tuta. Mibasta assicurarmi che non ci sia niente dievidentemente anormale.

Poi torno sul rover. Mi tolgo la tuta e mi mettoalla guida. Guido per quasi quattro ore, finchéresto senza energia.

Allora parcheggio, di nuovo in tuta e di nuovofuori. Metto giù i pannelli solari e ricarico lebatterie.

Poi monto la camera da letto. La sequenza èpraticamente quella che uso per smontarla allarovescia. Si può dire che in fondo la camerad’equilibrio gonfia se stessa. Perché se vogliamola camera da letto non è che un’estensione dellacamera d’equilibrio.

Anche se potrei, non gonfio la camera da lettotroppo rapidamente. È una cosa che ho fatto solocome test perché volevo vedere dove perdeva.Però non è una buona idea. Lo stress è eccessivo ealla lunga da qualche parte qualcosa cede. Non misono divertito molto quando lo Hab mi hacatapultato fuori come una palla di cannone. Nonsono ansioso di ripetere l’esperienza.

Una volta gonfiata la camera da letto, possotogliermi la tuta e tirare il fiato. Passo il miotempo soprattutto guardando telefuffa anni Settanta.Per quasi tutta la giornata non sono molto diversoda un disoccupato a casa sua.

Ho ripetuto tutto questo per quattro sol, fino aquando è venuto il mio “giorno d’aria”.

Un giorno d’aria è quasi del tutto identico aqualsiasi altro giorno, eccetto che per le quattroore di guida. Posati i pannelli solari, ho accesol’ossigenatore in modo che si lavorasse il CO2accumulato dal regolatore.

L’ossigenatore ha convertito tutto il CO2 inossigeno e per farlo ha consumato tutta l’energia

prodotta durante il giorno.Il test è riuscito. Sarò pronto in tempo.

Giornale di bordo: Sol 449

Oggi è il gran giorno. Parto alla volta diSchiaparelli.

Rover e trailer sono pronti. Lo sonopraticamente da quando ho concluso il miocollaudo. Ora però oltre al resto ho caricato anchel’acqua.

In questi ultimi giorni ho cucinato tutte le patatenel microonde dello Hab. Mi ci è voluto un po’,perché ce ne posso mettere solo quattro alla volta.Poi le ho esposte di nuovo all’atmosfera marzianaa congelare. Una volta cotte e congelate, le horiposte nelle bisacce del rover. Sembrerà unospreco di tempo, invece è fondamentale. Durante ilviaggio, invece di mangiare patate crude, lemangerò, fredde sì, ma precotte. Per prima cosasaranno molto più buone. Ma soprattutto saranno

cotte. La cottura scinde le proteine contenute nelcibo, che diventa più digeribile. Inoltre nericaverò un maggiore quantitativo di calorie e hobisogno di assimilarne il massimo possibile.

In questi ultimi giorni ho anche effettuatocontrolli diagnostici di tutti i sistemi: regolatore,ossigenatore, RTG, AREC, batterie, sostegno vitaledel rover (nel caso abbia bisogno di un backup),pannelli solari, computer del rover, camered’equilibrio e tutte le parti mobili e tutti icomponenti elettronici. Ho controllato anche imotori. Sono otto in tutto, uno per ogni ruota,quattro sul rover e quattro sul trailer. I quattro deltrailer non saranno alimentati, ma non mi dispiaceaverli come scorta.

Tutto pronto per la partenza. Non vedoproblemi.

Dello Hab è rimasto praticamente solo il guscio.L’ho spogliato di tutte le attrezzature principali egli ho strappato via anche un bel tocco di telo.L’ho saccheggiato di tutto quello che poteva darmie in cambio lui mi ha tenuto in vita per un anno emezzo. È stato come L’albero di Shell Silverstein.

Oggi ho eseguito lo shutdown finale. L’impiantodi riscaldamento, l’impianto di illuminazione, ilcomputer principale eccetera. Tutti i componentiche non ho rubato per il mio viaggio perSchiaparelli.

Avrei potuto lasciare tutto in funzione. Non chepossa importare qualcosa a qualcuno. Ma secondoil protocollo originale, a Sol 31 (quello chesarebbe dovuto essere il nostro ultimo giorno dimissione in superficie), lo Hab doveva esseredisattivato e sgonfiato, perché la NASA non volevache al momento del lancio del MAV nelle vicinanzeci fosse una grossa tenda piena di ossigenocombustibile.

Probabilmente ho eseguito lo shutdown inomaggio a quella che sarebbe dovuta essere lamissione Ares 3. Un pezzetto di quel Sol 31 che miè stato negato.

Con tutto spento, all’interno dello Hab ha presoil sopravvento un silenzio innaturale. Ho trascorsoqui dentro 449 sol in compagnia del sottofondodell’impianto di riscaldamento, prese d’aria eventole. Adesso c’era una quiete mortale. Era un

silenzio da far venire i brividi che non sapreidescrivere. Sono già stato lontano dai rumori delloHab, ma sempre su un rover o dentro una tuta, tuttecose che hanno rumori propri.

Ma adesso non c’era più niente. Non mi ero maireso conto di quanto totale sia il silenzio chedomina Marte. È un mondo deserto, praticamenteprivo di un’atmosfera in grado di trasmettere isuoni. Riuscivo a sentire il mio battito cardiaco.

Ma basta elucubrazioni filosofiche.Al momento sono sul rover. (Dovrebbe essere

ovvio, ora che il computer principale dello Hab èspento per sempre.) Ho due batterie cariche, tutti isistemi in funzione e mi aspettano 45 sol diviaggio.

O Schiaparelli o morte!

22

Giornale di bordo: Sol 458

Mawrth Vallis! Finalmente!Non è niente di straordinario in sé, ho viaggiato

solo per dieci sol. Ma come traguardo ha un buonvalore psicologico.

Finora il rover e il mio sistema di sostegnovitale riveduto e corretto sono stati ammirevoli.Meritano comunque un elogio per aver funzionatodieci volte più a lungo di quanto previsto dallaloro progettazione.

Oggi è il mio secondo “giorno d’aria” (il primoè stato cinque sol fa). Mentre concepivo il miopiano di viaggio immaginavo che i giorni d’ariasarebbero stati spaventosamente noiosi. Adessoinvece li aspetto con ansia. Sono i miei giorni diriposo.

In un giorno normale mi alzo, ripiego la camerada letto, raccolgo i pannelli solari, guido per

quattro ore, metto fuori i pannelli solari, srotolo lacamera da letto, controllo tutta l’attrezzatura (inparticolare il telaio e le ruote del rover), facciorapporto in alfabeto Morse alla NASA nel casoabbia a portata di mano sassi in numerosufficiente.

In un giorno d’aria, mi sveglio e accendol’ossigenatore. I pannelli solari sono già fuori dalgiorno prima. È già tutto pronto. Poi ho tutto ilgiorno per trastullarmi in camera da letto o nelrover. In camera da letto ho tutto lo spazio che miserve per non sentirmi in prigione e nel computerho tutta la telefuffa che voglio.

Tecnicamente sono entrato nella Mawrth Vallisgià ieri. Questo però l’ho scoperto solo guardandola mappa. L’ingresso della valle è così ampio chenon potevo vedere le pareti né da una parte nédall’altra.

Adesso però sono sicuramente dentro un canyon.E il fondo è bello pianeggiante. Esattamente quelloche speravo. È sorprendente pensare che questavalle non sia stata creata da un fiume che hascavato lentamente la montagna. È stata creata da

una megainondazione durata un solo giorno.Dev’essere stato uno spettacolo impressionante.

Mi fa un certo effetto pensare che non sono piùin Acidalia Planitia. Ci ho passato 457 sol, quasiun anno e mezzo, e non ci tornerò mai più. Chissàse in futuro mi succederà di averne nostalgia.

Se ci sarà un “futuro”, non mi dispiaceràprovare un po’ di nostalgia. Ora come ora, vogliosolo andare a casa.

«Bentornati al Mark Watney Report della CNN»,disse Cathy alla telecamera. «Stiamo parlando conil nostro frequente ospite, il dottor Venkat Kapoor.Dottor Kapoor, immagino che ciò che la gentedesidera sapere è: il destino di Mark Watney èsegnato?»

«Noi speriamo di no», rispose Venkat. «Ma èvero che l’impresa a cui si accinge è titanica».

«Secondo i vostri ultimi dati satellitari, latempesta di polvere in corso in Arabia Terra nonsta diminuendo d’intensità e bloccherà l’ottantapercento della luce solare, giusto?»

«È così».

«E la sola fonte di energia di Watney sono i suoipannelli solari, vero?»

«Sì, è vero».«Il suo rover molto modificato è in grado di

operare al venti percento di potenza?»«Noi non abbiamo trovato nessun modo perché

così possa essere, no. Solo il suo sistema disostegno alla vita richiede un quantitativo dienergia superiore».

«Quanto tempo ancora prima che entri nellatempesta?»

«Ha appena fatto il suo ingresso in MawrthVallis. Alla sua andatura attuale, sarà ai marginidella tempesta a Sol 471. Vale a dire fra dodicigiorni».

«Ovviamente si accorgerà che c’è qualcosa chenon va», osservò Cathy. «Con una visibilità cosìridotta, non gli ci vorrà molto per rendersi contoche ha un problema nel rifornimento di energia.Potrebbe a quel punto semplicemente tornareindietro?»

«Purtroppo tutto congiura contro di lui», fu larisposta di Venkat. «Il margine della tempesta non

è una linea magica. È solo un’area in cui lapolvere è un po’ meno densa. Più si inoltrerà, piùlo strato di polvere sarà fitto. Ma tutto avverrà inmaniera subdola, con l’oscurità che aumenteràleggermente di giorno in giorno. Troppolentamente per accorgersene».

Venkat sospirò. «Prima di rendersi conto diavere problemi di visibilità, percorrerà centinaiadi chilometri chiedendosi il perché del calo diefficienza dei suoi pannelli solari. Mentre sisposta in direzione est, la tempesta procede aovest. Ci finirà in mezzo e non potrà venirnefuori».

«Allora stiamo assistendo all’evolversi di unatragedia?», domandò Cathy.

«La speranza non muore mai», sentenziò Venkat.«Forse intuirà il pericolo prima di quel chepensiamo noi e riuscirà a tornare a invertire larotta in tempo. Forse la tempesta si dissolveràinaspettatamente. Forse troverà il modo dimantenere l’efficienza dei sistemi di bordoimpiegando meno energia di quanto noi riteniamoindispensabile. Ormai quanto a sopravvivenza su

Marte, Mark Watney è un esperto. Se c’è qualcunoche ce la può fare, è lui».

«Dodici giorni», disse Cathy alla telecamera.«Tutta la Terra guarda senza poter fare niente».

Giornale di bordo: Sol 462

Un altro sol senza novità. Domani è giornod’aria, quindi oggi è un po’ come il mio venerdìsera.

Ho percorso circa metà di Mawrth Vallis. Comeavevo sperato, è tutto terreno favorevole. Nessunimportante cambio di quota. Quasi nessunostacolo. Tutta sabbia levigata con sassi non piùgrandi di mezzo metro.

Vi chiederete forse come me la cavo con lanavigazione. Per arrivare al Pathfinder, guardavoil transito di Phobos in cielo per stabilire l’asseest-ovest. Ma quella è stata una gita facile aconfronto di questa, con molti punti di riferimentoad aiutarmi a non perdere l’orientamento.

Questa volta non me la posso cavare così a buonmercato. La mia “mappa” (chiamata così pergenerosità) consiste in immagini satellitari a unarisoluzione troppo bassa perché possa aiutarmidavvero. Sono in grado di individuare solo puntidi riferimento di grandi dimensioni, come craterilarghi 50 chilometri. Nessuno aveva mai previstoche venissi da queste parti. Se ero in possesso diimmagini ad alta risoluzione della regione in cui sitrovava il Pathfinder è solo perché servivano perl’atterraggio, nel caso in cui Martinez fosse finitomolto distante dal nostro obiettivo.

Questa volta perciò dovevo trovarmi un sistemaaffidabile per stabilire la mia posizione su Marte.

Latitudine e longitudine. La chiave sta qui. Laprima è facile. Gli antichi marinai terrestri cierano arrivati subito. L’asse della Terra, inclinatodi 23,5 gradi, punta su Polaris. Marte haun’inclinazione di poco più di 25 gradi, diconseguenza punta su Deneb.

Fabbricare un sestante non è difficile. Servonoun tubo attraverso cui guardare, un pezzo di spago,

un peso e qualcosa su cui tracciare i gradi. Io hoconfezionato il mio in meno di un’ora.

Tutte le notti esco con il mio sestante etraguardo Deneb. A pensarci è un po’ stupido.Sono nella mia tuta spaziale su Marte e navigo construmenti del XVI secolo. Eppure funzionano.

Per la longitudine il problema è diverso. Agliinizi, sulla Terra, per stabilire la longitudine eranecessario conoscere con precisione l’ora, perconfrontarla poi con la posizione del sole nelcielo. La parte difficile era inventare un orologioche funzionasse su uno scafo galleggiante (sullebarche i pendoli non funzionano). Ci lavoraronotutte le migliori menti scientifiche dell’epoca.

Per fortuna io possiedo orologi accurati. Giustoin questo momento nel mio campo visivo ci sonoben quattro computer. E ho Phobos.

Phobos è incredibilmente vicino a Marte e cigira intorno in meno di un giorno marziano.Viaggia da ovest a est (al contrario del Sole e diDeimos) e tramonta ogni undici ore. Enaturalmente percorre una rotta molto prevedibile.

Ogni singolo sol io me ne sto fermo per trediciore ad aspettare che i pannelli solari ricarichino lebatterie. È garantito che durante questo arco ditempo Phobos tramonti almeno una volta. Quandolo fa, ne prendo nota. Poi inserisco il dato in unacarogna di formula di mia creazione e so qual è lamia longitudine.

Dunque per stabilire la longitudine è necessarioche Phobos tramonti, mentre per avere la latitudineè necessario che sia notte in modo che possaavvistare Deneb. Non è un sistema molto veloce.Ma devo sopportarlo solo una volta al giorno.Quando sono parcheggiato calcolo dove mi trovo esulla base del risultato stabilisco il mio percorsodel giorno dopo. È una sorta di succedersi diapprossimazioni. Credo che finora abbiafunzionato. Ma chi lo sa? Mi ci vedo: sono lì conuna mappa in mano a grattarmi la testa e a cercaredi capire come cavolo sono finito su Venere.

Mindy Park zumò con destrezza sull’ultimaimmagine satellitare. Al centro era visibile il

bivacco di Watney, con i pannelli solari disposti incircolo com’era sua abitudine.

L’officina era gonfia. Diede un’occhiata alladata impressa sull’immagine e vide che eramezzogiorno locale. Trovò rapidamente il rapportoaggiornato: Watney lo collocava sempre vicino alrover tutte le volte che c’erano sassi inabbondanza, solitamente sul lato nord.

Per risparmiare tempo, Mindy avevavelocemente imparato l’alfabeto Morse, così nonera costretta tutte le mattine a cercare lettera perlettera. Aprì la posta elettronica e indirizzò una e-mail alla crescente lista di persone che esigevanodi essere informate ogni giorno dei progressi diWatney.

IN ORARIO PER ARRIVO A SOL 494.

Di malavoglia aggiunse: “Nota: cinque sol atempesta di polvere”.

Giornale di bordo: Sol 466

Mawrth Vallis è stata divertente finché è durata.Ora sono in Arabia Terra.

Mi ci sono appena affacciato, se sono corrette lalatitudine e la longitudine che ho rilevato. Maanche senza i miei calcoli, è chiaro che il fondo stacambiando.

Negli ultimi due sol ho viaggiato quasicostantemente su un pendio, risalendo la pareteterminale di Mawrth Vallis. Era una salita dolce,ma continua. Ora sono a una quota molto più alta.Acidalia Planitia (dove è rimasto lo Hab solo eabbandonato) è 3000 metri sotto quota zero eArabia Terra è 500 metri sotto. Dunque sono salitoper due chilometri e mezzo.

Volete sapere che cosa significa quota zero?Sulla Terra è il livello del mare. Naturalmentequesto riferimento su Marte non funziona. Così leteste d’uovo in camice da laboratorio si sonomesse tutte insieme e hanno deciso che su Marte laquota zero è dovunque la pressione dell’aria sia di610,5 pascal. Corrisponde a circa 500 metri più sudi dove mi trovo ora io.

Adesso la faccenda si fa complicata. In AcidaliaPlanitia, se uscivo dalla mia rotta, potevoriprendere la direzione giusta basandomi su nuovidati. In un secondo tempo, nella Mawrth Vallis, eraimpossibile sbagliare perché stavo procedendo trale pareti di un canyon.

Qui sono in un quartiere meno raccomandabile.Il tipo di quartiere dove passi con tutti gli sportellidel rover bloccati e agli incroci non ti fermi maidel tutto. D’accordo, non è proprio così, ma lostesso da queste parti è meglio non uscire dallarotta giusta.

In Arabia Terra ci sono crateri orribili egrandissimi che devo aggirare. Se i mieirilevamenti sono troppo approssimativi, finiscosull’orlo di qualche voragine. Impossibile pensaredi scendere da una parte e risalire dall’altra.Viaggiare in salita consuma energia a tonnellate.Su un terreno pianeggiante posso macinare 90chilometri al giorno. Su un pendio ripido mi vabene se ne faccio 40. E comunque i pendii sonopericolosi. Un errore e potrei ribaltare il rover.Non voglio nemmeno pensarci.

Sì, lo so anch’io che a un certo punto dovrò purscendere nello Schiaparelli. Quello non me loposso evitare. Dovrò stare attentissimo.

Allora: se finisco sull’orlo di un cratere, mitocca tornare indietro fino a un punto da cui poterproseguire girandoci intorno. E da queste partiparliamo di un autentico labirinto di crateri. Devoessere sempre all’erta, occhi dappertutto. Devonavigare servendomi non solo di latitudine elongitudine ma anche di punti di riferimento.

La mia prima impresa sarà di passare attraversoi crateri Rutherford e Trouvelot. Non dovrebbeessere troppo difficile, visto che distano centochilometri l’uno dall’altro. Questa non possosbagliarla nemmeno io, giusto?

Giusto?

Giornale di bordo: Sol 468

Sono riuscito a infilarmi alla grande nella crunatra Rutherford e Trouvelot. D’accordo, era una

cruna larga cento chilometri, ma insomma!Attualmente mi sto godendo il mio quarto giorno

d’aria. Sono in viaggio da venti sol. Finora sono inperfetto orario. Secondo le mie mappe, hopercorso 1440 chilometri. Non sono a metà strada,ma quasi.

Ogni volta che mi sono accampato ho raccoltocampioni di sabbia e roccia. La stessa cosa avevofatto andando al Pathfinder. Questa volta però soche la NASA mi sta spiando. Così per ognicampione segno anche il sol. Conosceranno la miaposizione maledettamente meglio di me e a tempodebito potranno correlare i campioni con i lororilevamenti precisi dei luoghi in cui li ho raccolti.

Potrebbe essere tutto lavoro sprecato. Quandomi lancerò, il MAV non potrà trasportare più ditanto. Per intercettare Hermes, devo raggiungereuna velocità di fuga, ma il MAV è stato progettatosolo per entrare in un’orbita intorno al pianeta.L’unico modo perché possa aumentare la velocitàprestabilita è rinunciando a gran parte del peso.

Almeno questa è una manipolazione alla qualedovrà lavorare la NASA e non io. Quando avrò

raggiunto il MAV, sarò di nuovo in contatto con loroe saranno loro a dirmi che modifiche devoapportare.

Probabilmente mi diranno: «Grazie d’averraccolto dei campioni, però adesso li lasci lì.Insieme con un braccio. Scegli tu quello che ti èpiù antipatico». Ma siccome non si può maisapere, intanto io raccolgo i campioni, poi sivedrà.

Per qualche giorno dovrei viaggiare abbastanzaagevolmente. Il prossimo ostacolo importante è ilCratere Marth. Ce l’ho preciso preciso sul miopercorso per Schiaparelli. Per aggirarlo dovròallungare la strada di cento chilometri, ma non c’èalternativa. Punterò al bordo meridionale. Più miavvicino al bordo, meno tempo sprecherò pergirarci attorno.

«Hai letto gli aggiornamenti di oggi?», chieseLewis, recuperando il suo pasto dal microonde.

«Sì», rispose Martinez prima di bere un sorsodal suo bicchiere.

Lewis si sedette al tavolo davanti a lui e aprìcon cautela la confezione fumante. Decise dilasciar raffreddare il cibo per un po’ prima dimangiare. «Ieri Mark è entrato nella tempesta».

«Sì, ho visto», disse lui.«Dobbiamo considerare l’eventualità che non ce

la faccia ad arrivare allo Schiaparelli», proseguìLewis. «Se dovesse andare così, dobbiamo tenerealto il nostro morale. Avremo ancora un sacco distrada da fare prima di essere a casa».

«È già stato morto una volta», ribatté Martinez.«È stata dura per il morale, ma abbiamo stretto identi da bravi soldatini. E comunque non morirà».

«La situazione è peggio che nera, Rick», glirammentò Lewis. «È già penetrato nella tempestaper cinquanta chilometri e procederà per altrinovanta chilometri ogni sol. Si spingerà troppoavanti per potersene tirare fuori».

Martinez scosse la testa. «Ce la farà,comandante. Abbi fede».

Lewis fece un sorriso mesto. «Rick, sai che nonsono religiosa».

«Lo so», rispose lui. «Non dicevo di aver fedein Dio, dicevo di aver fede in Mark Watney.Guarda tutta la merda che gli ha tirato addossoMarte. Eppure è ancora lì. Sopravvivrà anche aquesto. Non so come, ma ce la farà. Ne sa una piùdel diavolo, quella canaglia».

Lewis mangiò un boccone. «Speriamo che tuabbia ragione».

«Ci stai a scommettere cento dollari?», la sfidòMartinez con un sorriso.

«Toglitelo dalla testa», rispose Lewis.«Volevo ben vedere», la canzonò lui.«Non scommetterei mai sulla morte di un

compagno», dichiarò Lewis. «Ma questo nonsignifica che pensi che…».

«E bla bla bla», la sopraffece Martinez. «Sottosotto sai anche tu che ce la farà».

Giornale di bordo: Sol 473

Il mio quinto giorno d’aria e tutto va bene.Domani dovrei cominciare a bordeggiare a sud delCratere Marth. Dopo sarà più semplice.

Sono in mezzo a un gruppo di crateri cheformano un triangolo. L’ho battezzato il TriangoloWatney perché dopo tutto quello che ho passato,ogni figura morfologica di Marte dovrànecessariamente prendere il mio nome.

Trouvelot, Becquerel e Marth costituiscono ivertici del triangolo, con altri cinque grandi craterilungo i lati. Normalmente non rappresenterebberoun problema, ma vista la mia navigazioneestremamente approssimativa potrei facilmentefinire sull’orlo di uno dei tanti ed essere costrettoa tornare indietro.

Dopo Marth, sarò fuori del Triangolo Watney(ma sì, questo nome mi piace sempre di più).Allora potrò tirare impunemente dritto suSchiaparelli. Ci saranno ancora crateri a iosa, marelativamente piccoli, quindi girarci intorno nonmi farà perdere troppo tempo.

Finora il viaggio è stato abbastanza spedito.Arabia Terra è certamente un’area più rocciosa di

Acidalia Planitia, ma niente a che vedere con quelche temevo. Sono riuscito a passar sopra a quasitutti i sassi e ho semplicemente deviato davanti aquelli troppo grossi. Mi restano 1435 chilometri.

Ho fatto qualche ricerca su Schiaparelli e horaccolto qualche buona notizia. Il miglior modoper entrarci è dal punto da cui sto arrivando io.Non dovrò percorrere nessun tratto perimetrale. Eil punto di accesso è facile da trovare, anchequando a navigazione sei messo male come me.Sul tratto nord-ovest del ciglio c’è un cratere piùpiccolo e quello è il traguardo a cui devo mirare.A sud-ovest di quel cratere più piccolo c’è unpendio abbastanza dolce da cui scendere nelloSchiaparelli.

Il cratere piccolo non ha un nome. Almeno nonce l’ha sulle mappe. Così l’ho battezzato “Cratered’ingresso”. L’ho fatto perché posso farlo.

Passando ad altro, il mio equipaggiamento stamostrando i primi segni di vecchiaia. Non c’è dameravigliarsi, considerato quanto tempo è passatodalla data di scadenza. In questi ultimi due sol lebatterie hanno impiegato di più a ricaricarsi. I

pannelli solari non producono più lo stessowattaggio di prima. Poca cosa, si trattasemplicemente di aspettare un po’ di più per laricarica.

Giornale di bordo: Sol 474

Mi sono incasinato.Era inevitabile che prima o poi accadesse. Ho

cannato qualcuno dei miei rilevamenti e sono finitosul bordo del Cratere Marth. Siccome è largocento chilometri, non riesco a vederlo tutto e nonposso sapere in che punto mi trovo della suacirconferenza.

L’orlo corre perpendicolare alla direzione nellaquale procedevo. Dunque non so da che parte devoandare. E se posso evitarlo, preferirei nonprendere dalla parte lunga. In origine avevopensato di passarci accanto a sud, ma adesso chesono fuori rotta non ho modo di sapere se il latopiù vantaggioso non sia diventato quello a nord.

Per ottenere la mia longitudine dovrò aspettareun altro transito di Phobos e per la latitudine hobisogno che faccia notte per avvistare Deneb.Dunque per oggi mi devo fermare. Per fortuna hogià percorso settanta dei novanta chilometriquotidiani, dunque non sono rimasto troppoindietro.

Marth non è molto profondo. Potrei anchescendere da questa parte e risalire dall’altra. Èabbastanza grande perché debba accamparmi sulfondo per una notte, ma non voglio nemmenocorrere rischi inutili. I pendii sono una brutta cosae vanno evitati. Mi sono tenuto abbastanza tempodi riserva, quindi andrò sul sicuro.

Oggi chiudo in anticipo e metto tutto in ricaricaun po’ prima del solito. È probabilmente una buonaidea in ogni caso visto che i pannelli non rendonopiù molto bene: avranno più tempo per assorbireenergia. Sono rimasti anche ieri sotto il livellomassimo. Ho controllato tutti i connettori e misono assicurato che non fossero sporchi dipolvere, ma non hanno dato lo stesso il centopercento.

Giornale di bordo: Sol 475

Sono nei guai.Ieri ho osservato due transiti di Phobos e

quando è scesa la notte ho traguardato Deneb. Hocalcolato il più accuratamente possibile la miaposizione e quello che ho trovato non è quello chevolevo vedere. Da quel che deduco, ho beccatoMarth Crater dritto al centro.

Meeeeeeerda.Posso andare a nord o a sud. Un’alternativa è

probabilmente migliore dell’altra perchécorrisponde a un percorso più breve intorno alcratere.

Ho concluso di dover provare almeno a metterciun po’ di buona volontà nel cercare di indovinarequale direzione sia la migliore, così stamattina misono fatto due passi. Ho percorso poco più di unchilometro per arrivare in cima al ciglio. È queltipo di passeggiata che sulla Terra si fa senza

pensarci due volte, ma dentro una tuta EVA èun’impresa.

Non vedo l’ora di avere dei nipotini.(“Quand’ero giovane, son dovuto andare a piedisul ciglio di un cratere. In salita! In una tuta EVA!Su Marte, quel bastardo di pianetino! Avete capitobene? Marte!”).

Come dicevo, sono arrivato fin sul ciglio e,diamine, se lo spettacolo non era magnifico. Dalassù godevo di un panorama mozzafiato. Pensavodi riuscire magari a vedere l’altro lato del crateree capire da che parte mi convenisse girarciintorno.

Ma l’altra parte non si vedeva. C’era foschia.Non è un fenomeno così insolito, perché in fondosu Marte ci sono variabili meteorologiche di ventoe polvere. Ma mi è sembrato che ci fosse piùfoschia del normale. Io sono abituato alle grandiestensioni aperte di Acidalia Planitia, la prateriadella mia casa di una volta.

Poi la situazione è diventata ancora più strana.Mi sono girato a guardare all’indietro dove avevolasciato il rover e il trailer. Tutto era al suo posto

(su Marte non ci sono molti topi d’auto). Ma lavista mi è sembrata molto più nitida.

Allora ho guardato di nuovo dalla parte delcratere. Poi verso l’orizzonte a ovest. Poi a est edi nuovo a ovest. Ogni volta che mi giravo dovevoruotare completamente il corpo, visto come sonofatte le tute EVA.

Ieri sono passato vicino a un cratere. Si trova 50chilometri a ovest da qui. È appena visibileall’orizzonte. Ma se guardo a est, non arrivonemmeno lontanamente a una distanza analoga. IlCratere Marth è largo 110 chilometri. Con unavisibilità di 50, dovrei riuscire a vederedistintamente almeno la curvatura del bordo.Invece no.

Lì per lì non sapevo cosa pensare. Ma miturbava la mancanza di simmetria. E ho imparato aessere sospettoso di qualunque cosa. Ed è stato aquel punto che una serie di elementi hannocominciato ad aprirmi gli occhi.

1. L’unica spiegazione di visibilità asimmetricaè una tempesta di polvere.

2. Le tempeste di polvere riducono l’efficienzadei pannelli solari.

3. Da qualche giorno i miei pannelli solarihanno lentamente perso efficacia.

Da questo ho concluso quanto segue:

1. Sono da qualche sol dentro una tempesta dipolvere.

2. Merda.

Non solo sono dentro una tempesta di polvere,ma più mi avvicino a Schiaparelli più la polvere èdensa. Qualche ora fa ero preoccupato perché erocostretto a girare intorno al cratere Marth. Adessodovrò girare intorno a qualcosa di molto piùgrande.

E devo fare alla svelta. Le tempeste di polveresi muovono. Starmene fermo significa correre ilrischio concreto di essere sopraffatto. Ma da cheparte devo andare? Qui non si tratta più di essereefficienti. Se sbaglio direzione, mangio polvere emuoio.

Non ho a disposizione immagini satellitari. Nonho modo di conoscere le dimensioni o la formadella tempesta o la direzione in cui si vaspostando. Non so cosa darei per cinque minuti diconversazione con la NASA. Ora che ci penso,saranno lì a guardare l’evolversi di questasituazione con il cuore in gola.

Sono in lotta contro il tempo. Devo inventarmi ilmodo di scoprire quello che ho bisogno di saperedella tempesta. E devo farlo ora.

E in questo preciso istante non mi viene inmente niente.

Mindy si piazzò stancamente al suo computer. Ilsuo turno odierno cominciava alle 14:10. I suoiorari si adeguavano ogni giorno a quelli di Watney.Dormiva quando dormiva lui. Su Marte, Watneydormiva semplicemente quando scendeva la notte,mentre Mindy doveva cambiare il suo orario ognigiorno di quaranta minuti, coprendo le finestre confogli di carta d’alluminio per riuscire aaddormentarsi.

Chiamò a video le ultime immagini satellitari.Le osservò con un sopracciglio inarcato. Watneynon aveva ancora tolto il campo. Di solito partivadi buon’ora, appena aveva abbastanza luce. Poiapprofittava del sole di mezzogiorno perottimizzare la ricarica delle batterie.

Quel giorno invece non si era mosso e la mattinaera già passata.

Controllò nei dintorni dei rover e della camerada letto. Trovò il messaggio al solito posto (a norddel bivacco). Appena ebbe interpretato la scritta inMorse, sgranò gli occhi.

“TEMPESTA POLVERE. PIANIFICO”.Recuperò precipitosamente il cellulare e

compose il numero privato di Venkat.

23

Giornale di bordo: Sol 476

Credo di poterne venire a capo.Sono ai margini di una tempesta. Non ne

conosco le dimensioni e la direzione. Ma si muoveed è una cosa che posso sfruttare a mio vantaggio.Non c’è bisogno che vada in giro a esplorarla.Sarà lei a venire da me.

Si tratta solo di polvere nell’aria, noncostituisce un pericolo per i rover. Possointenderla come “perdita di potenza inpercentuale”. Ho controllato la potenza generataieri ed era al 97 percento. Dunque al momento lamia è una tempesta al 3 percento.

Ho bisogno di fare strada e ho bisogno digenerare ossigeno. Questi sono i miei due obiettiviprincipali. Per riciclare l’ossigeno (quando mifermo nei miei giorni d’aria) uso il 20 percentodella mia energia totale. Se finisco in una parte

della tempesta all’81 percento, sarò in un guaioserio. Resterei senza ossigeno anche se dedicassi aprodurlo tutta l’energia disponibile. Questo è loscenario da cui non avrei scampo. Ma per la veritàsarebbe fatale già molto prima. Ho bisogno dipotenza per andare avanti, altrimenti sarò costrettoa restare fermo fino a quando la tempesta non saràpassata o si sarà dissolta. Potrebbero volerci mesi.

Maggiore è la quantità di energia che riesco agenerare, più a lungo potrò muovermi. A cieloterso riservo al movimento l’80 percento della miaenergia complessiva. Con questo percorro 90chilometri a sol. Dunque, adesso che ho una cadutadel 3 percento, percorro 2,7 chilometri in menodel dovuto.

Va bene se la mia distanza si accorcia di untantino ogni sol. Ho abbastanza tempo per questo,ma non posso addentrarmi troppo nella tempesta,altrimenti non sarò più in grado di uscirne.

Come minimo devo viaggiare più velocementedi lei. Se riesco a superarla in velocità, possoaggirarla senza lasciarmene avvolgere. Dunquedevo scoprire a che velocità si sposta.

È una cosa che posso fare restando fermo quiper un sol. Posso confrontare il wattaggio di oggicon quello di domani. Mi basta stare attento amisurarli alla stessa ora del giorno. Allora saprò ache velocità corre la tempesta, almeno in terminidi percentuale di riduzione di potenza.

Ma ho bisogno di conoscere anche che forma ha.Le tempeste di polvere sono vaste. Possono

avere profondità di migliaia di chilometri. Dunqueho bisogno di sapere da che parte mi convieneandare. L’intenzione è di spostarmiperpendicolarmente al movimento della tempesta,ma dalla parte in cui ne ho di meno.

Ecco allora il mio piano: al momento possopercorrere 86 chilometri (perché ieri non ho potutocaricare fino in fondo la batteria). Domani lasceròqui un elemento di pannello solare e procederò asud per 40 chilometri. Lascerò un altro pannellosolare e procederò per altri 40 chilometri semprea sud. Avrò così tre punti di riferimento suun’estensione di 80 chilometri.

Il giorno dopo tornerò indietro a recuperare ipannelli e misurerò quanta energia hanno

assorbito. Confrontando il wattaggio alla stessaora del giorno nelle tre località, saprò che formaha la tempesta. Se è più densa verso sud,l’aggirerò verso nord. Se è più densa a nord, andròa sud.

Spero di andare a sud. Schiaparelli è a sud-estda dove mi trovo. Andando a nord allungherei dinon poco il percorso totale del mio viaggio.

C’è solo un piccolo problema nel mio piano:non ho modo di “registrare” il wattaggio di unsingolo pannello solare abbandonato. Il livello dicarica lo posso leggere con il computer del rover,ma io ho bisogno di qualcosa che possoabbandonare in loco. Non posso rilevaremisurazioni mentre mi sto spostando. Ho bisognodi ottenerle nello stesso momento in posti diversi.

Dunque oggi mi dedicherò a un po’ di scienzapazza. Mi serve qualcosa che misuri il wattaggio eche io possa abbandonare in compagnia di unsingolo pannello solare.

Siccome sono inchiodato qui per tutta lagiornata in ogni caso, lascerò fuori i pannellisolari. Tanto vale caricare le batterie per intero.

Giornale di bordo: Sol 477

Mi ci è voluta tutta la giornata di ieri e ancoraquella odierna, ma credo d’essere pronto permisurare questa tempesta.

Ho bisogno di un modo per registrare l’ora delgiorno e il wattaggio di ogni pannello solare. Unodei pannelli sarà con me, ma gli altri due dovròabbandonarli in luoghi diversi. E la soluzione eracontenuta nella tuta EVA extra che ho portato conme.

Le tute EVA hanno incorporate telecamere cheregistrano tutto quello che vedono. Ce n’è una sulbraccio destro (o il sinistro per gli astronautimancini) e un’altra al di sopra della visiera.Nell’angolo basso a sinistra dell’immaginecompaiono data e ora, esattamente come neiballonzolanti video casalinghi di papà.

Nel mio kit di elettronica ci sono alcuni tester.Così mi sono detto: perché costruirmi un sistema

di rilevamento? Mi basta filmare il tester per tuttaquanta la giornata.

Dunque questo è diventato il mio obiettivo.Quando mi sono preparato per questo viaggio,sono stato attento a prendere tutti i miei kit e tutti imiei arnesi e strumenti. Nel caso avessi dovutoriparare il rover.

Per cominciare ho rimosso le telecamere dallamia tuta di scorta. Ho dovuto lavorare con moltacautela perché non volevo rovinare la tuta. Èl’unico ricambio che ho. Ho estratto le telecameree i cavi che le collegavano ai loro chip dimemoria.

Ho messo un tester in un contenitore dacampioni di quelli piccoli e ho fissato latelecamera sul lato interno del coperchio. Quandoho chiuso il contenitore, la telecamera stavaregistrando precisamente i dati nel display deltester.

Come collaudo ho usato l’alimentazione delrover. Come alimento il mio congegno quando loabbandono in mezzo al pianeta? Sarà attaccato adue metri quadrati di pannello solare! Avrà tutta

l’energia che gli serve. E per la notte inserirò nelcontenitore anche una piccola batteria ricaricabile(anche questa scippata alla tuta EVA di scorta).

Il problema successivo era il calore, o la suamancanza. Appena porto questo coso fuori delrover, comincia a raffreddarsi velocissimamente.Se si raffredda troppo, l’elettronica non funzionapiù.

Dunque avevo bisogno di una fonte di calore. Ela risposta era nel mio kit di elettronica:resistenze. Tante, tante resistenze. Le resistenze siriscaldano. È il loro mestiere. La telecamera e iltester hanno bisogno solo di una minima frazionedell’energia prodotta da un pannello solare.Dunque tutto il resto può andare nelle resistenze.

Ho costruito e provato due “tester” e mi sonoaccertato che le immagini venissero registratebene.

Poi sono uscito in tuta. Ho staccato due dei mieipannelli solari e li ho collegati ai tester. Holasciato che i tester ne misurassero la carica perore, poi li ho riportati dentro per controllare ilrisultato. Tutto ha funzionato alla perfezione.

Adesso comincia a fare buio. Domattina lasceròqui uno dei miei tester e m’inoltrerò a sud.

Mentre lavoravo ho tenuto in funzionel’ossigenatore (perché no?). Dunque adesso sonobello pieno di O2 e pronto all’impresa.

L’efficienza odierna dei pannelli solari è statadel 92,5 percento. Ieri era del 97 percento. Ciòdimostra che la tempesta viaggia da est a ovest,perché ieri il lato più denso era a est.

Dunque attualmente in questa area la luce solaresi riduce del 4,5 percento ogni sol. Se dovessirestare qui per altri 16 sol, farebbe abbastanzabuio da uccidermi.

Non fa niente, perché qui non ci resto.

Giornale di bordo: Sol 478

Oggi è andato tutto come volevo. Niente intoppi.Non so se mi sto inoltrando nella tempesta o ne stouscendo. È difficile capirlo quando la luceambientale è più o meno la stessa di ieri. Il

cervello umano fa una grande fatica a trasformarein astrazione una situazione del genere.

Quando sono partito ho lasciato dietro di me untester. Dopo 40 chilometri a sud, ho fatto unarapida EVA per piazzarne un secondo. Ora sonoalla fine degli 80 chilometri previsti, ho piazzato ilmio pannello solare per la ricarica e stomonitorando il wattaggio.

Domani tornerò sui miei passi e recupererò itester. Potrebbe essere pericoloso, perché torneròin un’area di tempesta accertata, ma il rischio valela candela.

Ah, vi ho detto che non ne posso più dellepatate? Perché, perdio se non ne posso più. Se maitornerò sulla Terra, mi comprerò una bella casettanell’Australia occidentale. Perché sulla Terral’Australia occidentale è agli antipodi dell’Idaho.

Mi è venuto in mente perché oggi ho usato unadelle mie razioni. Avevo tenuto da parte cinqueconfezioni per le occasioni speciali. Ho mangiatola prima 29 sol fa, quando sono partito perSchiaparelli, ma mi sono completamentedimenticato di mangiare la seconda qualche sol fa,

quando sono arrivato a metà strada. Dunque me lagodo adesso, festeggiando in ritardo il giro di boadi metà percorso.

Ma probabilmente è anche più giusto farlo oggi.Chissà quanto mi ci vorrà per girare intorno allatempesta? E se ci finissi bloccato dentro e fossidestinato a morire, sicuro che faccio fuori gli altripasti tenuti in serbo.

Giornale di bordo: Sol 479

Vi è mai capitato di entrare in autostrada dalcasello sbagliato? Siete costretti ad arrivare finoalla prossima uscita per girare e tornare indietro,ma detestate ogni singolo centimetro che fateperché vi state allontanando dalla vostra meta.

Io mi sono sentito così per tutto il giorno.Adesso sono di nuovo nel punto da cui ero partitoieri mattina. Allegria.

Durante il percorso ho recuperato il tester cheavevo lasciato a metà strada. Or ora ho tirato

dentro quello che avevo lasciato qui ieri.Hanno funzionato tutti e due nel modo che

speravo. Ho scaricato i dati delle registrazioni nellaptop e sono andato a cercarmi il mezzogiorno.Alla fine ho ottenuto una misurazionedell’efficienza dei pannelli solari da tre postidiversi su una linea di 80 chilometri, tutte rilevatealla stessa ora del giorno.

Ieri a mezzogiorno il tester più a nord indicavauna perdita di efficienza del 12,3 percento; quellodi mezzo aveva una perdita del 9,5 e incorrispondenza del rover, nel punto più a sud, ilcalo registrato era del 6,4. Ne è uscito un quadropreciso: la tempesta è a nord della mia posizione.E io ho già stabilito che viaggia in direzione ovest.

Dunque dovrei poterla evitare dirigendomi asud, aspettando che mi oltrepassi a nord, perdirigermi quindi di nuovo a est.

Finalmente una buona notizia! Sud-est è propriola direzione che volevo. Non perderò troppotempo.

Sospirone: domani mi toccherà rifare la stessamaledetta strada per la terza volta.

Giornale di bordo: Sol 480

Credo di essere vicino alla testa della tempesta.Dopo il lungo tratto di A1 marziana che ho

percorso per tutto il giorno, sono di nuovo al miobivacco di ieri. Domani potrò finalmentericominciare a guadagnare terreno. Versomezzogiorno mi sono fermato. Qui il calo diefficienza è del 15,6 percento. Visto che dove miero fermato ieri la perdita era del 17 percento,significa che se continuo a viaggiare verso sudoltrepasserò il fronte della tempesta.

Si spera.La tempesta è probabilmente circolare. Di

solito lo sono. Ma è possibile che mi stiadirigendo verso una sacca. In questo caso, sonopeggio che morto, d’accordo? Più che tanto nonposso fare.

Presto lo saprò. Se la tempesta è circolare,dovrei migliorare progressivamente l’efficienzagiorno dopo giorno, fino a tornare al cento

percento. Quando raggiungerò il cento percento,saprò di essere fuori della tempesta, a sud di essa,e potrò riprendere la mia marcia a est. Vedremo.

Se la tempesta non ci fosse, procedereidirettamente a sud-est, verso il mio traguardo.Stando così le cose, dato che procedo solo versosud, non avanzo altrettanto velocemente. Facciocome sempre i miei 90 chilometri al giorno, maogni volta mi avvicino a Schiaparelli solo di 37,perché Pitagora è una testa dura. Non so quandouscirò finalmente dalla tempesta e potrò riprendereil viaggio in linea retta verso Schiaparelli. Unacosa però è sicura: il mio piano di arrivare a Sol494 è andato a farsi fottere.

Sol 549. È quando vengono a prendermi. Semanco quello, passo qui il resto della mia brevevita. E prima di allora ho anche da modificare ilMAV.

Allegria.

Giornale di bordo: Sol 482

Giorno d’aria. Tempo di svago e meditazione.Per lo svago leggo ottanta pagine di Corpi al

sole di Agatha Christie, omaggio di Johanssen edella sua biblioteca digitale. Secondo mel’assassina è Linda Marshall.

Quanto alla meditazione, medito su quandodiavolo uscirò da questa tempesta.

Sto ancora procedendo verso sud e sono ancoraalle prese con le perdite di efficienza (anche secontinuo a migliorare). Ogni giorno di questamarcia da gambero mi avvicino al MAV di soli 37chilometri invece di 90. Mi fa incazzare.

Ho pensato di saltare il giorno d’aria. Prima direstare senza ossigeno potrei tirare avanti un altropaio di giorni e uscire dalla tempesta èmaledettamente importante. Ma ho rinunciato. Misono avvantaggiato già abbastanza da potermiconcedere di star fermo per un giorno intero. E nonso se un paio di giorni di marcia in più sarebberod’aiuto. Chi può sapere quanta tempesta ho ancoradavanti a me?

Be’, la NASA probabilmente. E c’è dascommettere che tutti i network di notizie della

Terra lo stanno facendo vedere. E probabilmentec’è un sito web tipo www.guarda-Mark-Watney-morire.com. Quindi ci saranno cento milioni dipersone o giù di lì che sanno benissimo fin dovearriva la tempesta sul lato sud.

Ma io non sono tra loro.

Giornale di bordo: Sol 484

Finalmente!Ho FINALMENTE oltrepassato la stramaledetta

tempesta. L’energia assorbita oggi dai pannellisolari è stata del 100 percento. Non c’è piùpolvere nell’aria. Con la tempesta che si muoveperpendicolarmente alla mia rotta, vuol dire chesono a sud del punto più a sud della nuvola(presumendo che sia una tempesta circolare. Senon lo è, fanculo).

Da domani potrò dirigermi direttamente suSchiaparelli. È un bene, perché ho persomoltissimo tempo. Per evitare quella tempesta mi

sono spinto a sud per 540 chilometri e ora sonocatastroficamente fuori rotta.

Intendiamoci, non è proprio tutto negativo. Orami sono inoltrato per un bel pezzo in TerraMeridiani, dove il terreno è un po’ più agevole diquel disastro tutto butterato di Arabia Terra. LoSchiaparelli è quasi precisamente a est e se il miosestante e i miei calcoli basati su Phobos sonocorretti, mi mancano ancora 1030 chilometri.

Contando i giorni d’aria e presumendo dipercorrere 90 chilometri ogni sol, dovrei arrivarea Sol 498. Niente male, in verità. Tutto sommato latempesta Per-Poco-Ti-Ammazzo-Mark mi haritardato soltanto di quattro sol.

Me ne restano ancora 44 per apportare al MAV lemodifiche che ha in mente la NASA.

Giornale di bordo: Sol 487

Ora mi si presenta un’opportunità interessante.E quando dico “opportunità” intendo Opportunity.

Sono stato spinto così fuori rotta da essere finitonon distante da Opportunity, il rover perl’esplorazione marziana. È a 300 chilometri.Potrei arrivarci in quattro sol.

Diavolo se non mi tenta. Se riuscissi a metterein funzione la radio di Opportunity, sarei di nuovoin contatto con l’umanità. La NASA mi riferirebbein continuazione la mia posizione precisa e la rottamigliore, mi avvertirebbe dell’arrivo di un’altratempesta e sarebbe in generale sempre presente dabrava badante.

Ma se devo essere sincero, non è questo il veromotivo per cui sono tentato. È che sono stufomarcio di essere solo, porca miseria! Quando eroriuscito a far funzionare il Pathfinder, mi sonoabituato a parlare con la Terra. Tutto questo èandato letteralmente in fumo perché ho appoggiatoun trapano al tavolo sbagliato e ora sono di nuovosolo. Potrei ribaltare questa condizione in soliquattro sol.

Ma è un pensiero irrazionale, stupido. Mimancano soltanto undici sol per arrivare al MAV.Perché deviare dalla retta via per andare a

disseppellire un’altra carcassa di rover da usarecome radio raffazzonata quando tra un paio disettimane avrò a disposizione un sistema dicomunicazioni nuovo di zecca e pienamentefunzionante?

Perciò, nonostante la forte tentazione che mi dàessere a un tiro di schioppo da un altro rover(santo cielo, ma l’abbiamo proprio imbrattato dirover questo povero pianeta, eh?), non è una mossaastuta.

E poi mi pare di aver già profanato futuri sitistorici a sufficienza.

Giornale di bordo: Sol 492

Devo ripensare la camera da letto.Ora come ora posso montarla solo quando sono

all’interno del rover. Si innesta sulla camerad’equilibrio, dunque quando la gonfio non possopiù uscire. Durante il viaggio non è importante,perché la devo comunque ripiegare tutti i giorni.

Ma quando sarò arrivato al MAV, avrò finito diviaggiare. Ogni decompressione/ricompressionedella camera da letto stressa le giunture (unalezione che ho imparato a mie spese quando èscoppiato lo Hab), perciò è meglio che trovi ilmodo di lasciarla montata.

Porca merda. Mi sono appena accorto dipensare veramente di arrivare al MAV. Avete vistocosa ho fatto? Ho dissertato come se niente fossedi quello che farò dopo che sarò arrivato al MAV.Come se fosse una quisquilia. Un giochetto dabambini. Faccio un salto allo Schiaparelli atrovare il MAV.

Carino.Comunque sia, non ho un’altra camera

d’equilibrio. Ne ho una sul rover e una sul trailer ebasta. Ciascuna solidale con il suo veicolo, quindinon è che posso staccarne una da attaccare allacamera da letto.

Però posso sigillare la camera da letto per contosuo. Senza dover nemmeno andarci giù pesante.Lungo la ghiera di aggancio c’è un lembo cheposso srotolare e usare per chiudere l’apertura.

Non dimentichiamo che ho rubato l’attacco per lacamera d’equilibrio da una tenda a scatto, che è unaccessorio di emergenza nel caso di perdita dipressione all’interno del rover. Sarebbe del tuttoinutile se non ci fosse il modo di renderlaermetica.

Purtroppo, trattandosi di un accessoriod’emergenza, non è mai stato previsto che venisseriutilizzata. L’idea era chiudersi dentro e aspettaredi essere salvati dagli altri membridell’equipaggio che arrivavano in soccorso abordo dell’altro rover. L’equipaggio del roverfunzionante stacca la tenda a scatto dal rover inpanne e l’aggancia al proprio. Poi squarcia il teloche chiude l’apertura e recupera i compagni.

Perché questo sia sempre possibile, ilprotocollo della missione esige che su un rovernon si trovino mai più di tre personecontemporaneamente e che i rover siano entrambiin perfette condizioni, o non si può usare nessunodei due.

Perciò ecco qui la mia brillante idea: quandosarò al MAV, non userò più la camera da letto come

camera da letto. La userò per mettercil’ossigenatore e il regolatore atmosferico. Comecamera da letto userò invece il trailer. Furbo, eh?

Nel trailer c’è spazio finché se ne vuole. Hosgobbato non poco perché sia così. Grazie alpallone, ci si sta tranquillamente a testa alta. Nonho una grande area su cui muovermi, ma parecchiospazio in verticale.

La camera da letto ha anche alcuni attacchi davalvola. Per questo devo ringraziare lo Hab. È iltelo che ho sottratto dalla cupola ad avere questeaperture (il triplo del necessario, per laprecisione). La NASA voleva essere sicura che incaso di necessità si potesse riempire lo Hab dafuori.

Alla fine avrò una camera da letto a tenutastagna con dentro l’ossigenatore e il regolatoreatmosferico. La collegherò al trailer tramite lemanichette per condividere la stessa atmosfera euserò uno dei tubi per farci passare il cavo dialimentazione. Il rover servirà da magazzino(perché non avrò più bisogno di arrivare al quadrocomandi per guidare), mentre il trailer sarà

completamente vuoto. Dopodiché avrò una camerada letto permanente. Potrò persino usarla daofficina per le modifiche da fare al MAV su partiche si riesca a far passare attraverso la camerad’equilibrio del trailer.

Naturalmente se ci fossero problemi alregolatore atmosferico o all’ossigenatore, dovreisquarciare il telo della ex camera da letto perarrivarci. Ma sono qui da 492 sol e hanno semprefunzionato alla perfezione, quindi correrò ilrischio.

Giornale di bordo: Sol 497

Domani sarò sulla soglia di Schiaparelli!Posto che niente vada storto, s’intende. Però,

caspita, finora in questa missione è andato tuttoliscio come l’olio, no? (Era sarcasmo.)

Oggi è giorno d’aria e una volta tanto ne farei ameno. Sono così vicino a Schiaparelli che ne sento

il sapore. Immagino che saprebbe praticamente disabbia, ma non è questo il punto.

Naturalmente non sarà la fine del viaggio. Mi civorranno altri tre sol per scendere dalla soglia alMAV, ma, porca vacca, ormai ci sono quasi!

Credo di riuscire addirittura a vedere l’orlo delcratere. È maledettamente lontano e potrebbeessere soltanto la mia immaginazione. Dista 62chilometri, perciò se lo vedo, lo vedo giustoappena appena.

Domani, quando sarò al Cratere d’ingresso,girerò verso sud ed entrerò nel Catino passandoper la “Rampa d’ingresso”. Ho fatto quattro contialla buona e il pendio non dovrebbe esserepericoloso. Il dislivello tra l’orlo e il Catino è di1,5 chilometri e la Rampa è lunga almeno 45.Abbiamo un’inclinazione di due gradi. Nessunproblema.

Domani sera scenderò a un nuovo minimo!Lasciate che riformuli…Domani sera, toccherò il fondo!No, anche questa non suona bene…

Domani sera sarò nel buco preferito di GiovanniSchiaparelli!

Okay, ammetto che adesso mi sto solotrastullando.

L’orlo del cratere è stato sottoposto all’attaccocostante del vento per milioni di anni. Il vento haeroso la cresta rocciosa come un fiume erode unacatena di monti. Alla fine ha aperto un varco.

A quel punto la zona di alta pressione creata dalvento aveva la strada aperta. Con il passare deimillenni il varco è andato allargandosi. Man manoche si allargava, la polvere e le particelle disabbia trasportate dall’attacco del vento sidepositavano nel Catino sottostante.

L’azione è continuata fino al raggiungimento diun punto di equilibrio. All’interno si eraaccumulata abbastanza sabbia da arrivare allostesso livello del terreno esterno. Non aumentavapiù in altezza, ma in lunghezza. Il pendio hacontinuato ad allungarsi fino al raggiungimento diun nuovo punto di equilibrio definito dallecomplesse interazioni di un numero infinito di

minuscole particelle e dalla loro capacità diconservare una forma angolata. Era nata la Rampad’ingresso.

I mutamenti meteorologici portarono terreno didune e deserto. Gli impatti di corpi celesti nellevicinanze crearono crateri portando massi e rocce.La forma diventò irregolare.

La gravità fece il suo lavoro. Con il trascorreredel tempo la Rampa si compresse. Ma non lo fecein maniera uniforme. Densità diverse sicontrassero a velocità diverse. Alcune areediventarono dure come pietra mentre altrerestarono soffici come talco.

Di conseguenza, pur offrendo una lievependenza media per la discesa nel cratere, laRampa in sé era accidentata e spaventosamenteirregolare.

Raggiunto il Cratere d’ingresso, il solitarioabitante di Marte girò il veicolo verso il Catino.Che il fondo della Rampa fosse così difficile erainatteso, ma non sembrava peggiore di altri terreniche aveva spesso incontrato e attraversato.

Girò intorno alle due più piccole e sormontòquelle più grandi con la cautela del caso. Feceattenzione a ogni cambio di direzione, a ognipiccolo dislivello e ogni masso che trovò sulla suarotta. Scelse con lungimiranza ogni spostamento econsiderò tutte le alternative.

Ma non fu sufficiente.Mentre scendeva per un pendio apparentemente

normale, il rover scivolò da una piccola crestainvisibile. Al fondo solido e compatto si sostituìall’improvviso un tappeto di soffice polvere. Datoche tutta la superficie era ricoperta da uno strato dipolvere di almeno cinque centimetri, non c’eraniente di visibile che potesse avvertire delrepentino mutamento del terreno.

La ruota anteriore sinistra del rover sprofondò.La brusca inclinazione sollevò completamente daterra la ruota posteriore destra. Questo a sua voltaaumentò il carico sulla ruota posteriore sinistra,che scivolò dalla sua precaria posizione su terrenosolido, finendo nella polvere.

Prima che il viaggiatore potesse reagire, ilrover cadde su un fianco. I pannelli solari che

erano impilati sul tetto volarono via,sparpagliandosi come un mazzo di carte gettato alvento.

Il trailer, attaccato al rover con un gancio datraino, fu trascinato nella sventura. La torsione sulgancio ne spezzò la robusta lega come un fuscello.Le manichette che univano i due veicoli sisganciarono. Il trailer precipitò a testa in giù sulterreno cedevole e si capovolse sul suo tetto apallone, fermandosi all’improvviso in un ultimosussulto.

Al rover non andò altrettanto bene. Continuò arotolare giù per la discesa sbattendo il viaggiatorecome indumenti in un’asciugatrice. Venti metri piùgiù il fondo soffice finiva e il rover terminò la suacorsa su uno strato di sabbia più compatta.

Si era fermato su un fianco. Le valvole dellemanichette che non c’erano più avevano rilevatol’improvviso calo di pressione e si erano chiuse.Le chiusure stagne avevano tenuto.

Il viaggiatore era vivo. Per il momento.

24

I capi di dipartimento fissavano l’immaginesatellitare proiettata sul grande schermo.

«Gesù», commentò Mitch, «ma cosa diavolo èsuccesso?»

«Il rover è cascato su un fianco», disse Mindyindicando lo schermo. «Il trailer è a gambeall’aria. Quei rettangoli che si vedono sparpagliatiall’intorno sono pannelli solari».

«Abbiamo informazioni sulle condizioni delvano a pressione del rover?», domandò Venkat.

«Nulla di evidente», rispose Mindy.«Nessun segno di attività da parte di Watney

dopo l’incidente? Un’EVA per esempio?»«Niente EVA», disse Mindy. «L’atmosfera è

tersa, se uscisse, si vedrebbero le impronte».«L’immagine copre tutta l’area dell’incidente?»,

chiese Bruce Ng.«Credo di sì», rispose Mindy. «In cima alla

foto, che sarebbe a nord, ci sono normali tracce di

ruote. Quaggiù», continuò indicando una zona diterreno pesantemente sconvolto, «è dove credo chesia cominciato tutto. È presumibile che il rover siafinito in quella cunetta e sia scivolato giù da lì. Sivede il solco che ha lasciato. Il trailer si èribaltato in avanti».

«Non sosterrò che è tutto a posto», disse Bruce,«ma non credo che sia grave come sembra».

«Vai avanti», lo esortò Venkat.«Il rover è fatto in modo da sopportare un

ribaltamento», spiegò Bruce. «E se ci fosse stataperdita di pressione, vedremmo nella sabbia ildisegno stellare dell’onda d’urto. E io non vedoniente del genere».

«Questo non esclude che Watney non sia ferito»,obiettò Mitch. «Può aver battuto la testa o essersispezzato un braccio o che so io».

«Certamente», ammise Bruce. «Io dico solo cheprobabilmente il rover non ha subìto danni».

«Quando è stata scattata questa?».Mindy diede un’occhiata all’orologio.

«L’abbiamo presa diciassette minuti fa. Ne avremo

un’altra tra nove minuti, quando MGS4 ci passeràsopra nella sua orbita».

«La prima cosa che farà sarà un’EVA pervalutare i danni», disse Venkat. «Mindy, ci tengainformati di qualunque cambiamento».

Giornale di bordo: Sol 498

Mmm.Già.La discesa nel Catino dello Schiaparelli non è

andata bene. Per darvi qualche indicazione diquanto male sia andata, mi devo allungare perarrivare al computer a scrivere queste note. Perchéè ancora montato vicino al quadro comandi e ilrover è adagiato su un fianco.

Sono stato sbatacchiato di qua e di là, ma neimomenti di crisi io sono una macchinaperfettamente adattabile. Appena il rover hacominciato a inclinarsi, mi sono raggomitolato in

una palla e ho affidato l’anima a Dio. Tanto perdar prova del mio spirito eroico.

E ha persino funzionato. Perché non mi sonofatto male.

Il vano a pressione è intatto e anche questa è unabella notizia. Le valvole delle manichette dicollegamento al trailer sono chiuse. Immagino chesia perché le manichette si sono staccate. E questosignifica che il gancio di traino del trailer si èspezzato. Magnifico.

A una prima occhiata qui dentro non vedo nientedi rotto. I serbatoi d’acqua sono intatti. Non cisono perdite visibili in quelli dell’aria. La camerada letto si è srotolata ed è dappertutto, ma è solotela, quindi non può essersi danneggiata più chetanto.

I controlli di guida sono a posto e il computer dinavigazione mi dice che il rover è piegato “aun’angolazione inaccettabilmente pericolosa”.Grazie, Nav!

Dunque sono rotolato giù. Non è la fine delmondo. Io sono vivo e il rover è tutto intero. Sonopiù preoccupato per i pannelli solari sui quali

probabilmente sono passato rotolando. Quanto altrailer, visto che si è staccato, è più che probabileche sia finito male anch’esso. Il pallone che ha alposto di mezzo tetto non è precisamente robusto.Se si è squarciato, tutto quello che c’era dentrosarà volato in tutte le direzioni e dovrò andare arecuperarlo. È roba che mi serve persopravvivere.

A proposito di sopravvivenza, appena levalvole si sono chiuse il rover ha messo infunzione i serbatoi di bordo. Bravo ragazzo!Eccoti una crocchetta in premio.

Dispongo di venti litri di ossigeno (abbastanzaper farmi respirare per quaranta giorni), ma senzail regolatore (che è sul trailer) devo accontentarmidi filtrare chimicamente il CO2. Mi restano filtriper 312 ore. Inoltre ho ancora 171 ore di filtri CO2di tuta EVA. Nell’insieme ho 483 ore utili, cheequivalgono a una ventina di sol. Dunque hoabbastanza tempo per rimettere tutto in moto.

Ormai sono veramente molto vicino al MAV, 220chilometri circa. Non permetterò che un

inconveniente come questo mi impedisca diarrivarci. E non ho più bisogno che tutto funzioni apuntino. Mi basta che il rover mi porti avanti dialtri 220 chilometri e che i sistemi di sostegnovitale funzionino per altri 51 sol. Niente di più.

E adesso mettiamoci la tuta e andiamo a cercareil trailer.

Giornale di bordo: Sol 498 (2)

Ho fatto un salto fuori e la situazione non ètroppo brutta. Intendiamoci, non è bella.

Ho distrutto tre pannelli solari. Sono sotto ilrover e sono in mille pezzi. Può anche darsi che siriesca a spremerci qualche watt, ma non ci facciomolto conto. Per fortuna sono partito per questatraversata con un pannello in più. Me ne servivano28 per le mie operazioni quotidiane e ne ho portati29 (14 sul tetto del rover, 7 sul tetto del trailer e 8sulle mensole che ho montato sui lati di entrambi iveicoli).

Ho cercato di tirar su il rover, ma non eroabbastanza forte. Bisognerà che trovi la maniera difar leva. A parte il fatto che è posato su un fianco,non vedo nessun vero problema.

Be’, non è proprio vero. Il gancio di traino èirreparabile. Ne è saltato via metà. Per fortuna neha uno anche il trailer, quindi in qualche modo sipuò rimediare.

Il trailer è in cattivo stato. Si è rovesciato eadesso è appoggiato al tetto gonfio. Non so qualedivinità mi ha preso in benvolere e ha evitato cheil pallone scoppiasse, ma a lei va tutta la miagratitudine. La prima cosa che dovrò fare saràraddrizzare il trailer. Più a lungo pesa sul pallone,più aumentano le probabilità che si squarci.

Già che ero fuori, ho raccolto i 26 pannellisolari che non sono finiti sotto il rover e li hodislocati in modo da ricaricare le batterie. Tantovale, giusto?

Dunque allo stato attuale ho qualche problemada risolvere. Innanzitutto raddrizzare il trailer. Oalmeno alleggerire il peso dal pallone. Poi devo

tirar su il rover. Infine devo sostituire il gancio delrover con quello del trailer.

Devo anche mandare un messaggio alla NASA.Saranno in pensiero.

Mindy lesse a voce alta la scritta in Morse.“ROTOLATO. STO RIPARANDO”.

«Cosa? Tutto qui?», sbottò Venkat al telefono.«È tutto quello che ha detto», ribadì Mindy con

il telefono incastrato tra spalla e collo mentredigitava una e-mail per l’elenco delle personeinteressate.

«Solo tre parole? Niente sul suo stato fisico?L’equipaggiamento? Le scorte?»

«Mi ha preso in castagna», rispose lei. «Halasciato un rapporto particolareggiato. Ho solodeciso di mentirle, cosí, senza nessuna ragione inparticolare».

«Divertente», disse Venkat. «Faccia la spiritosacon qualcuno sette livelli sopra di lei nella suaazienda. Poi mi racconti come è andata».

«Oh no», ribatté Mindy. «Potrei perdere il miolavoro da voyeur interplanetaria. Così poi sarei

costretta a cercare di usare il mio master perqualcos’altro».

«Mi ricordo ancora quando era molto timida».«Ma adesso sono un paparazzo spaziale. La

personalità si forma sul posto di lavoro».«Sì, sì», disse Venkat. «Intanto mandi l’e-mail».«Già fatto».

Giornale di bordo: Sol 499

È stata una giornata dura, ma ho smaltitoparecchio lavoro.

Ho cominciato tutto indolenzito. Ho dovutodormire sulla parete del rover. Con la camerad’equilibrio all’insù, la camera da letto nonfunziona. Sono riuscito comunque a usarla un po’.L’ho ripiegata e l’ho usata come letto.

Comunque mi limiterò a dire che la parete delrover non è fatta per dormirci sopra. Però dopouna patata mattutina e un Vicodin mi sono sentitomolto meglio.

Avevo pensato di dover cominciareimmediatamente dal trailer, ma poi ho cambiatoidea. Dopo averlo guardato bene, ho concluso chenon sarei mai stato in grado di raddrizzarlo dasolo. Mi servirà il rover.

Così oggi mi sono dedicato al recupero delrover.

Per questo viaggio ho portato con me tutto il mioarsenale pensando di averne bisogno per lemodifiche da apportare al MAV. E con tutto il restoho portato anche dei cavi. Quando mi saròinsediato di fianco al MAV, disporrò per l’ultimavolta i miei pannelli solari e le mie batterie e nondovrò più muoverli. Non voglio dover spostare ilrover tutte le volte che userò il trapano sull’altrolato del MAV. Così ho preso con me tutto il cavoelettrico che ci stava.

Ottima idea, perché i cavi servono anche comefuni.

Ho cercato il più lungo, che è poi lo stesso cheho usato per alimentare il trapano che ha distruttoil Pathfinder. Lo chiamo il mio “cavo fortunato”.

L’ho collegato alla batteria e al famigeratotrapano per campioni, dopodiché mi sonoallontanato con il trapano in cerca di terrenosolido. Quando l’ho trovato, ho proseguito pertutta la lunghezza consentitami dal cavo elettrico.Ho conficcato una punta da un metro per metàdella sua lunghezza in una roccia, ho staccato ilcavo di alimentazione e l’ho legato alla punta.

Poi sono tornato al rover e ho legato il cavo allabarra superiore del rack del tetto. A quel puntoavevo una lunga fune tesa perpendicolare al rover.

Sono tornato indietro fino a metà corda e hocominciato a tirare lateralmente. L’effetto leva sulrover era enorme. Speravo solo che non spezzassela punta del trapano prima di aver rialzato il rover.

Ho continuato a indietreggiare continuando atirare. Prima o poi qualcosa doveva cedere e nonsarei stato io. Io avevo Archimede dalla mia. E aun certo punto il rover si è drizzato.

È ricaduto sulle sue ruote sollevando unnuvolone di polvere sottile. È avvenuto tutto nelsilenzio assoluto. In un’atmosfera così rarefatta era

impossibile che il rumore arrivasse fino a me, alladistanza a cui mi trovavo.

Ho sciolto il nodo del cavo elettrico, ho liberatola punta del trapano e sono tornato al rover. L’hocontrollato tutto da capo a fondo. È un’incombenzadi quelle che più noiose non ce n’è, ma andavafatto.

Tutti i sistemi e i sottosistemi funzionavanocorrettamente. Nel costruire questi rover il JPL hafatto un gran bel lavoro. Se torno sulla Terra, offrouna birra a Bruce Ng. Anche se credo che dovreipagare da bere a tutti i ragazzi del JPL.

Birra per tutti se torno sulla Terra.In ogni caso, con il rover di nuovo sulle sue

ruote, era ora che mi occupassi del trailer. Ilproblema è che non avevo più luce diurna. Nonscordiamoci che sono in un cratere.

Quando il rover si è rovesciato avevo giàpercorso quasi tutta la Rampa. E la Rampa è sullato ovest del Catino. Dunque dal mio punto divista il sole tramonta molto presto. Mi sonoritrovato nell’ombra della parete occidentale. Equesta è una gran bella porcata.

Marte non è la Terra. Non ha un’atmosfera densache flette la luce e si riempie di particelle che lariflettono dietro gli angoli. Quassù sono incondizioni di quasi-vuoto. Quando il sole non èvisibile, sono al buio. Un po’ di luce lunare miviene da Phobos, ma non abbastanza da lavorare.Deimos è un sassolino buono a nulla e a nessuno.

Non mi va per niente di lasciare il trailerappoggiato al suo pallone per un’altra notte, manon ho alternative. Ho concluso che se è riuscito asopravvivere così per un giorno intero,probabilmente si è stabilizzato.

E, ragazzi, adesso che il rover è dritto, possousare di nuovo la camera da letto! Sono le cosesemplici della vita quelle che contano davvero.

Giornale di bordo: Sol 500

Stamattina quando mi sono svegliato il bubbonedel trailer non era ancora scoppiato. Era già unbuon inizio.

Il trailer ha rappresentato un’impresa piùcomplessa di quella del rover. Con il rover mi èbastato fargli fare un quarto di giro. Con il trailerdevo ribaltarlo completamente. Per questo hobisogno di una forza molto più consistente deltrucchetto con cui sono riuscito a far leva ieri.

Il primo passo è stato portare il rover vicino altrailer. Poi ho dovuto scavare.

Dio mio, abbi pietà.Il trailer era a gambe all’aria con il naso

all’ingiù. Ho deciso che il miglior modo perraddrizzarlo era approfittare del pendio e farlorotolare facendo perno sul muso. Si trattava inpratica di fargli fare una capriola in modo chericadesse sulle ruote.

Posso ottenerlo legando il cavo al retrotreno deltrailer e trainandolo con il rover. Ma se lo facciosenza aver prima scavato una trincea, il trailer sene scivola giù lungo il pendio. Io invece dovevoribaltarlo. Avevo bisogno di una buca in cui farcadere il muso.

Così ho scavato una trincea. Una buca larga eprofonda un metro, lunga tre metri di traverso. Mi

ci sono volute quattro penose ore di lavoro daschiavo, ma ce l’ho fatta.

Sono salito a bordo del rover e sono partito giùper il pendio trainando il trailer. Come speravo, ilmuso del trailer si è infossato nella buca e ilveicolo si è sollevato nell’aria. Da lassù èricaduto sulle ruote in una gigantesca colonna dipolvere.

Allora sono rimasto fermo lì per un momento,stordito e incredulo nel constatare che il mio pianoaveva veramente funzionato.

E adesso sono di nuovo senza luce diurna. Nonne posso più di quest’ombra, non vedo l’ora diandarmene. Mi basta un solo giorno diavvicinamento al MAV e mi sarò allontanato dallaparete. Ora però devo subire un’altra notteanticipata.

Ancora per questa notte non affiderò la mia vitaagli apparecchi di sostegno del trailer. È vero chel’ho raddrizzato, ma non so se quello che c’èdentro è ancora funzionante. E il rover è ancoraperfettamente in grado di assistermi.

Ho trascorso il resto della serata gustandomiuna patata. E quando dico “gustandomi” intendodire “odiandola così tanto da aver voglia diammazzare qualcuno”.

Giornale di bordo: Sol 501

Ho cominciato la giornata con un pizzico di tèniente. Il tè niente è facile da fare. Si prendedell’acqua bollente e ci si aggiunge niente.Qualche settimana fa ho sperimentato tè di bucciadi patata. Meno ne parlo meglio è.

Oggi mi sono avventurato a bordo del trailer.Un’impresa non semplice. Dentro è un bel casino.Ho dovuto lasciare la tuta nella camerad’equilibrio.

La prima cosa che ho notato è stata latemperatura. Dentro faceva veramente caldo. Mi ciè voluto qualche minuto per capire perché.

Il regolatore atmosferico era ancora in perfettecondizioni, ma non aveva niente da fare. Siccome

non era più collegato al rover, non doveva piùoccuparsi della mia produzione di CO2.L’atmosfera a bordo del trailer era perfetta, perchécambiare qualcosa?

Visto che non era necessario regolare niente,l’aria non veniva più pompata all’AREC per ilfrazionamento. Pertanto non rientrava sotto formadi liquido da dover riscaldare.

C’era però l’RTG che emette calore incontinuazione. Non lo si può fermare. Così latemperatura ha continuato a crescere. A un certopunto la situazione ha raggiunto un livello diequilibrio per cui il calore usciva dallo scafo allastessa velocità a cui l’RTG lo produceva. Se sietecuriosi, il punto di equilibrio corrispondeva aun’opprimente temperatura di 41 °C.

Ho sottoposto regolatore e ossigenatore a unadiagnosi completa e sono felice di riferire chefunzionano entrambi alla perfezione.

Il serbatoio d’acqua dell’RTG era vuoto e non misorprende. Non ha un coperchio e non era previstoche venisse rovesciato. Sul pavimento del trailerci sono un buon numero di pozzanghere che mi ci è

voluto del tempo per asciugare usando la mia tutadi volo. Ho riempito nuovamente il serbatoio condell’acqua presa da un contenitore ermetico cheavevo caricato in precedenza sul trailer. Sericordate, quell’acqua mi serve per avere qualcosain cui far scorrere le bolle dell’aria di ritorno. È ilmio impianto di riscaldamento.

Ma tutto considerato, le notizie sono buone. Glielementi principali sono in ottimo stato edentrambi i veicoli sono di nuovo sulle rispettiveruote.

Le manichette che collegavano rover e trailererano ben progettate e si sono staccate senzastrapparsi. Non ho fatto altro che reinserirle e idue veicoli hanno ripreso a condividere i sistemidi sostegno alla vita.

Restava da mettere a posto il gancio di traino.Quello del rover era da buttare. Aveva subìto inpieno tutta la forza del ribaltamento. Ma comesospettavo quello del trailer era intatto. Così l’hosmontato e ho sostituito quello spezzato del rover,riagganciando i due veicoli.

Alla fine quella piccola uscita di strada mi ècostata quattro sol. Ma adesso sono di nuovo inazione!

Più o meno.E se andassi a finire in un’altra sacca di

polvere? La prima volta mi è andata bene. Laprossima potrei non cavarmela altrettanto a buonmercato. Ho bisogno di un sistema per sapere se ilterreno davanti a me è sicuro. Almeno per tutto iltempo che sarò sulla Rampa. Una volta scesodefinitivamente nel Catino, potrò contare sulnormale fondo sabbioso a cui sono abituato.

Se potessi far apparire qualcosa esprimendo undesiderio, vorrei una radio per chiedere alla NASAdi indicarmi il percorso più sicuro giù da questaRampa. Be’, se proprio dovessi esprimere undesiderio, vorrei che venisse a salvarmi labellissima e tutta verde regina di Marte, cosìpotrei insegnarle qualcosa di quella praticaterrestre chiamata “fare l’amore”.

È da un po’ che non vedo una donna. Giusto perdire.

Comunque, per assicurarmi di non precipitare dinuovo, vorrà dire… Sul serio… Niente donne da,che so, anni? Non chiedo poi molto. Credetemi,anche sulla Terra, non è che un botanico/ingegneremeccanico abbia le signore a fare la fila davantialla sua porta. Però, dài…

Insomma, vorrà dire che guiderò più piano.Diciamo… a passo d’uomo. In questo modo dovreiavere il tempo di reagire se sentissi che una ruotacomincia ad affondare. La velocità più bassa midarà anche più potenza e sarà meno probabile cheperda trazione.

Finora procedevo a venticinque chilometriorari, ma da adesso in poi scenderò a cinque. Unpezzo di Rampa l’ho già fatta e so che sono solo45 chilometri in tutto. Posso anche prendermelacomoda e calcolare di arrivare in fondo sano esalvo in circa otto ore.

Lo farò domani. Oggi ho già esaurito la lucediurna. Ecco un altro aspetto positivo: quando saròsceso del tutto dalla Rampa, potrò tirare drittoverso il MAV, allontanandomi progressivamente

dalla parete del cratere. Potrò così godermil’intera giornata di sole invece che solo metà.

Se tornerò sulla Terra sarò famoso, giusto? Unimpavido astronauta sopravvissuto contro tutte leprobabilità, giusto? Scommetto che alle donnepiace.

Un altro buon motivo per restare vivo.

«Allora», annunciò Mindy, «sembra che abbiariparato tutto. E il suo messaggio di oggi era “ORATUTTO MEGLIO”, dunque credo che abbia rimessotutto in funzione».

Contemplò i volti sorridenti in sala riunioni.«Straordinario», commentò Mitch.«Gran bella notizia», fece eco Bruce dal

vivavoce.Venkat si sporse verso l’apparecchio. «Come

stiamo andando con i piani di modifica al MAV,Bruce? Siete in dirittura d’arrivo per il JPL?»

«Ci lavoriamo giorno e notte», rispose Bruce.«Gli ostacoli più grossi sono stati superati. Oralavoriamo ai dettagli».

«Molto bene», si rallegrò Venkat. «Nessunasorpresa di cui dovrei essere messo al corrente?»

«Be’…», cominciò Bruce. «Sì, qualcuna c’è.Questa potrebbe non essere l’occasione miglioreper discuterne. Tra un giorno o due sarò di nuovo aHouston con la procedura. Ci guarderemo insiemeallora».

«Inquietante», commentò Venkat, «ma va benecosì, rimandiamo».

«Posso dare la notizia?», chiese Annie. «Altelegiornale di questa sera sarà bello vederequalcosa che non sia il luogo dell’incidente delrover».

«Senz’altro», le accordò Venkat. «Una voltatanto che c’è una buona notizia, approfittiamone.Mindy, quanto ancora per il MAV?»

«Alla sua velocità normale di 90 chilometri asol», rispose Mindy, «dovrebbe arrivarci a Sol504. Sol 505 se va piano. Riparte sempre all’albae si ferma verso mezzogiorno». Controllòun’applicazione sul suo laptop. «Mezzogiorno aSol 504 sarà alle 11:41 di mercoledì, qui a

Houston. Mezzogiorno a Sol 505 sarà alle 12:21 digiovedì».

«Mitch, chi tiene le comunicazioni con il MAV diAres 4?»

«Controllo Missione di Ares 3», rispose Mitch.«Saranno in Sala Controllo 2».

«Presumo che sarai lì anche tu, giusto?»«Puoi scommetterci».«Ci sarò anch’io».

Giornale di bordo: Sol 502

Per il Giorno del Ringraziamento, i miei eranosoliti andare in macchina da Chicago a Sandusky,un viaggio di otto ore. È dove viveva la sorella dimia madre. Guidava sempre papà ed eral’automobilista più lento e più prudente che si siamai messo al volante.

Dico sul serio. Guidava come se stessesostenendo l’esame per la patente. Mai chesuperasse il limite di velocità, le mani sempre a

ore dieci e dieci, regolamento degli specchiettiprima di ogni uscita, chi più ne ha più ne metta.

Era esasperante. Si viaggiava in autostrada conle macchine che sfrecciavano a destra e a sinistra.C’erano anche quelli che suonavano il clacsonperché onestamente chi guida entro i limiti divelocità è un pericolo per la circolazione. Avevosempre voglia di scendere e mettermi a spingere.

Oggi ho rivissuto la stessa sensazione. Cinquechilometri all’ora vuol dire procedereletteralmente a passo d’uomo e ho dovuto farlo perotto ore.

Ma la bassissima velocità mi ha garantito di nonfinire più in qualche altra sacca di polvere. Enaturalmente non ne ho incontrate altre. Avreipotuto andar giù a rotta di collo senza problemi.Ma la prudenza è la virtù del saggio.

La buona notizia è che sono sceso dalla Rampa.Mi sono accampato appena raggiunto il terrenopianeggiante. Per oggi ho già superato il mionormale orario di guida. Potrei andare più avanti,ho ancora un 15 percento di batteria, ma voglio

esporre il più a lungo possibile i miei pannelli allaluce diurna.

Finalmente sono nel Catino dello Schiaparelli!E anche ben lontano dalla parete del cratere. D’orain avanti avrò intere giornate di luce solare.

Ho deciso che è arrivato il momento perun’occasione molto speciale. Ho mangiato il pastoche ho chiamato “Sopravvissuto a qualcosa cheavrebbe dovuto uccidermi”. O mio Dio, mi erodimenticato quanto è buono il cibo vero.

Se tutto va bene, tra pochi sol potrò divorare“Arrivo”.

Giornale di bordo: Sol 503

Ieri non ho ricaricato come sempre. Avendoprotratto più a lungo del solito il mio orario diguida, prima che scendesse la notte ho ricaricatosolo fino al 70 percento. Così oggi ho fatto unatappa più breve.

Ho percorso 63 chilometri prima di dovermifermare di nuovo. Ma non c’è niente di male,perché sono a soli 148 chilometri dal MAV. Vuoldire che ci arriverò fra due sol.

Che il diavolo mi porti, sto per farcela davvero!

Giornale di bordo: Sol 504

Porca merda, è incredibile! Porca merda! Porcamerda!

Okay, calma. Calma.Oggi ho fatto 90 chilometri. Secondo i miei

calcoli sono a 50 chilometri dal MAV. Dovreiarrivarci domani. È una cosa sicuramenteemozionante, ma quello che mi ha fatto toccare ilcielo con un dito è che ho intercettato un blip dalMAV!

La NASA ha fatto trasmettere dal MAV il segnaleguida dello Hab di Ares 3. Geniale, no? Èperfettamente logico. Il MAV è una bellamacchinina perfettamente funzionante, pronta a fare

tutto quello che le si dice. E loro le hanno fattocredere di essere lo Hab di Ares 3, così, quando ilmio rover riceve il suo segnale, mi dice dov’è.

Ma questa è un’idea assolutamente eccezionale!Non dovrò andare in giro in fondo al Catino acercarlo. Ci piombo addosso, punto e basta.

Ho sentito un solo blip. Ne sentirò altri quandosarò più vicino. È strano pensare che una duna disabbia mi impedisce di sentire quel che ha da direil MAV, che invece può dialogare tranquillamentecon la Terra. Il MAV ha tre sistemi dicomunicazione con la Terra, ma sono tuttiestremamente direzionali e progettati per laricetrasmissione in visibilità ottica. E quando siparlano, tra il MAV e la Terra non ci sono dune disabbia.

Devono aver pasticciato qualcosa per cavarneun segnale radio, per quanto debole. E io l’hosentito!

Il mio messaggio di oggi è stato “PRESORADIOFARO”. Se avessi avuto degli altri sassi,avrei aggiunto: “IDEA FANTASTICA!!!”. Ma qui c’èpraticamente solo sabbia.

Il MAV aspettava nel settore sudoccidentale diSchiaparelli. Si ergeva in tutti i suoi imponenti 27metri di scintillante corpo conico nel sole dimezzogiorno.

Il rover spuntò da dietro una duna con il trailer arimorchio. Rallentò per qualche istante, poiriprese la sua marcia verso il veicolo spaziale atutta velocità. Si fermò a 20 metri di distanza.

Lì rimase per dieci minuti mentre l’astronauta abordo indossava la tuta.

Uscì inciampando dalla camera d’equilibrio,cadde per terra e si rialzò faticosamente in piedi.Protese entrambe le braccia verso il MAV, comeincredulo.

Spiccò vari salti, con le braccia alzate e i pugnichiusi. Poi si abbassò su un ginocchio e agitòripetutamente un pugno.

Corse al veicolo spaziale e abbracciò una dellezampe di sostegno, il Landing Strut B. Dopoqualche momento, si staccò dal supporto perun’altra serie di salti di gioia.

Dopo un po’, ormai stanco, l’astronauta sostòcon le mani sui fianchi a contemplare l’elegantestruttura del capolavoro d’ingegneria che avevadavanti.

Salì per la scaletta, raggiunse lo stadiod’ascensione ed entrò nella camera d’equilibrio.Chiuse il portello esterno.

25

Giornale di bordo: Sol 505

Finalmente ce l’ho fatta! Sono al MAV!Oddio, in questo preciso istante sono di nuovo

sul rover. Però sono entrato nel MAV per uncontrollo dei sistemi e il boot-up. Ho dovutotenere sempre la tuta spaziale addosso perchéattualmente là dentro non c’è sostegno vitale.

Adesso sta eseguendo un’autodiagnosi, mentreio lo rifornisco di ossigeno e azoto con lemanichette del rover. Tutto questo rientra nellaprogettazione del MAV. Non si porta dietrodell’aria. Perché dovrebbe? Visto che a pochimetri c’è uno Hab pieno di zeppo di aria, sarebbeun peso inutile.

Immagino che in questo momento alla NASAstiano stappando champagne e mi stiano mandandoun mucchio di messaggi. Tra poco me li leggo.Ogni cosa a suo tempo: prima di tutto rendere

vivibile il MAV. Dopodiché potrò lavorarci dentroin tutta comodità.

Poi mi farò una noiosa conversazione con laNASA. Intendiamoci, il contenuto sarà interessante,ma il ritardo di 14 minuti nella trasmissione tra quie la Terra sarà un tantino palloso.

[13:07] HOUSTON: Congratulazioni da tutti noi del ControlloMissione! Bravo! Qual è il tuo stato?

[13:21] MAV: Grazie! Nessun problema clinico o fisico. Il rover eil trailer cominciano a dare segni di usura, ma se la cavano ancora.Ossigenatore e regolatore in piena forma. Non ho portato con me ildepuratore. Solo l’acqua. Ho ancora parecchie patate. Posso durarebene fino a 549.

[13:36] HOUSTON: Buono a sapersi. Hermes è ancora in orarioper un flyby a Sol 549. Come sai, per l’intercetto è necessario che ilMAV venga alleggerito. Entro la giornata ti inviamo le procedurerelative. Quanta acqua hai? Che cosa hai fatto dell’orina?

[13:50] MAV: Ho ancora 550 litri d’acqua. Ho scaricato l’orinaall’esterno durante il viaggio.

[14:05] HOUSTON: Conserva tutta l’acqua. Non scaricare piùorina. Raccoglila da qualche parte. Accendi la radio del rover etienila accesa. Ti possiamo contattare tramite il MAV.

Bruce entrò a passi pesanti nell’ufficio diVenkat e si lasciò cadere su una poltrona

sbuffando. Mollò la borsa sul pavimento e rimasecosì, con le braccia penzoloni.

«Hai fatto buon viaggio?», domandò Venkat.«Conservo solo un ricordo fuggevole di che

cos’è il sonno», rispose Bruce.«Allora è pronto?», chiese Venkat.«Sì, è pronto. Ma non ti piacerà».«Coraggio».Bruce si fece forza e si alzò recuperando la

borsa, da cui estrasse una dispensa. «Tienipresente che questo è il risultato finale di migliaiadi ore di lavoro, verifiche, test ed eserciziointellettuale intuitivo e analogico da parte di tuttigli elementi migliori del JPL».

«Sono sicuro che non dev’essere stato facilealleggerire un veicolo che è già stato progettatoper essere il più leggero possibile», commentòVenkat.

Bruce spinse verso di lui la dispensa che avevaposato sulla scrivania. «Il problema è la velocitàd’intercetto. Il MAV è stato fatto per raggiungereun’orbita bassa intorno a Marte e per questo

bastava una velocità di 4,1 chilometri al secondo.Ma Hermes transiterà a 5,8».

Venkat sfogliò qualche pagina. «Puoiriassumere?»

«Prima di tutto dobbiamo aggiungerepropellente. Il MAV produce il propriodall’atmosfera marziana, ma è limitato dallaquantità di ossigeno. Ne ha portato abbastanza per19.397 chilogrammi, come previsto. Se gli diamopiù idrogeno, può produrne di più».

«Quanto di più?»«Per ogni chilogrammo di idrogeno, può

produrre 13 chilogrammi di carburante. Watney ha550 litri di acqua. Gli faremo estrarre 60 chili diidrogeno con l’elettrolisi». Bruce si chinò sullascrivania per girare alcune pagine e mostrargli undiagramma. «Da quelli il generatore del MAV puòprodurre 780 chili di propellente».

«Se fa fuori l’acqua, che cosa beve?»«Per il tempo che gli resta gli bastano 50 litri. E

il corpo umano si limita a prendere l’acqua inprestito. Gli faremo elettrolizzare anche la sua

orina con l’elettrolisi. Abbiamo bisogno di tuttol’idrogeno su cui possiamo mettere le mani».

«Capisco. E che cosa otteniamo con 780 chili dipropellente?», chiese Venkat.

«Otteniamo 300 chilogrammi di carico utile. Ètutta una questione di carburante contro carico. Ilpeso al lancio del MAV è di oltre 12.600 chili.Anche con il propellente supplementare, abbiamobisogno di scendere a 7300. Dunque il resto diquesta dispensa è su come togliere al MAV 5000chilogrammi».

Venkat s’appoggiò allo schienale. «Ti seguo».Bruce estrasse dalla sua borsa una copia della

dispensa. «Partiamo fin dall’inizio con qualcheelemento a nostro favore. Il progetto prevedeva500 chili di campioni di suolo e rocce marziani.Naturalmente non ci saranno. Inoltre abbiamo unsolo passeggero invece di sei. Considerato il pesoindividuale più la tuta e l’attrezzatura, sono altri500 chili risparmiati. E possiamo eliminare lealtre cinque sedie antiaccelerazione. Poinaturalmente toglieremo tutto quello che non èessenziale. Il kit medico, quello degli attrezzi, gli

elementi di fissaggio interni, cinture e cinghie, etutto quello che non è montato. Oltre a qualcosache lo è».

«A questo punto», continuò, «facciamo fuori tuttii sistemi di sostegno alla vita. Serbatoi, pompe,impianto di riscaldamento, tubi dell’aria, sistemidi assorbimento del CO2, persino lo stratodell’isolamento interno dello scafo. Non neabbiamo bisogno. Per tutto il viaggio Watneyindosserà la sua tuta EVA».

«Non si troverà in difficoltà a usare icontrolli?», domandò Venkat.

«Non li userà», disse Bruce. «Sarà il maggioreMartinez a pilotare il MAV da Hermes. È giàprogettato per essere pilotato a distanza. Del restoè atterrato in quel modo».

«E se qualcosa va storto?»«Martinez è il pilota meglio addestrato»,

rispose Bruce. «Se ci fosse un’emergenza, è lapersona giusta a cui affidare il controllo delveicolo».

«Mmm», mormorò Venkat poco convinto. «Nonè mai successo che guidassimo a distanza un

veicolo con a bordo un astronauta. Comunqued’accordo, procedi».

«Siccome non sarà Watney a guidare il MAV»,riprese Bruce, «non avrà bisogno dei controlli.Elimineremo il quadro comandi e tutto il relativosistema di alimentazione e trasferimento dati».

«Cavoli, che smembramento», commentòVenkat.

«Siamo solo al principio», disse Bruce. «Orache abbiamo tolto il sostegno vitale, il fabbisognoenergetico è drasticamente ridotto, dunqueabbandoneremo tre delle cinque batterie e ilsistema di alimentazione ausiliario. Il sistema dimanovra orbitale dispone di tre propulsoriaggiuntivi. Elimineremo anche quelli. Possiamofare a meno anche dei sistemi di comunicazionesecondario e terziario».

«Aspetta, aspetta», lo interruppe Venkatincredulo. «Hai intenzione di effettuare un lanciopilotato a distanza senza un sistema dicomunicazione di backup?»

«Non servirebbe», rispose Bruce. «Se durantel’ascensione il sistema di comunicazione si guasta,

il tempo necessario a ristabilire il contatto sarebbetroppo lungo. I backup sono inutili».

«Questa cosa sta diventando veramenterischiosa, Bruce».

Bruce sospirò. «Lo so. Ma non c’è altro modo.E non sono ancora arrivato alla parte peggiore».

Venkat si passò una mano sulla fronte. «Allorafatti sotto, sentiamo la parte peggiore».

«Smonteremo la camera d’equilibrio di prua, ifinestrini e il Pannello 19».

Venkat sgranò gli occhi. «Tirate giù il pezzodavanti del MAV?»

«Sissignore», confermò Bruce. «Solo la camerad’equilibrio anteriore pesa 400 chili. Anche ifinestrini non scherzano. E sono collegati alPannello 19, quindi siamo per forza costretti atirare via tutto».

«Dunque verrà lanciato con un enorme buco nelmuso del veicolo?»

«Glielo faremo coprire con del telo da Hab».«Telo da Hab? Per un lancio in orbita?».Bruce alzò le spalle. «Lo scafo serve soprattutto

per trattenere l’aria all’interno. L’atmosfera di

Marte è così rarefatta che non richiede moltaaerodinamica. Ora che il MAV avrà raggiunto unavelocità così elevata perché la resistenza dell’ariapossa avere un effetto, sarà così distante che diaria non ce ne sarà praticamente più. Abbiamofatto tutte le simulazioni. Dovrebbe andare».

«Lo sparate nello spazio sotto un telo dentro uncassone».

«Più o meno, sì».«Come un pick-up caricato in fretta e furia».«Sì. Posso andare avanti?»«Come no, non vedo l’ora».«Gli faremo rimuovere anche il pannello

posteriore del vano a pressione. È il solo altropannello che può togliere con gli arnesi che ha adisposizione. Elimineremo anche la pompaausiliaria del carburante. Mi rattrista dirlo, mapesa più di quanto sia utile. E facciamo anchefuori uno dei motori del primo stadio».

«Un motore?»«Sì. Il booster del primo stadio funziona

benissimo senza uno dei motori. Ci risparmierà unpeso enorme. Solo durante l’utilizzo del primo

stadio, ma va bene lo stesso. Otterremo un belrisparmio di carburante».

Bruce tacque.«È tutto?», chiese Venkat.«Sì».Venkat sospirò. «Avete tirato via quasi tutti i

backup di sicurezza. Questo dove ci assesta nellavalutazione delle probabilità di insuccesso?»

«Intorno al quattro percento».«Gesù Cristo», gemette Venkat. «Normalmente

non prenderemmo nemmeno lontanamente inconsiderazione un rischio così alto».

«È tutto quello che abbiamo, Venk», ribattéBruce. «Abbiamo collaudato tutto quanto econdotto simulazioni su simulazioni. Se tuttofunzionerà come deve, andrà tutto bene».

«Certo», disse Venkat. «Fantastico».[8:41] MAV: Mi state prendendo per il culo?[09:55] HOUSTON: Sono sicuramente modifiche molto invasive,

ma vanno fatte. Il documento con le procedure che ti abbiamoinviato contiene le istruzioni per eseguire ciascuno di questi interventicon gli attrezzi di cui disponi. Devi anche cominciare a elettrolizzarel’acqua per ottenere l’idrogeno necessario al generatore dipropellente. Per quello ti manderemo la procedura tra poco.

[09:09] MAV: Mi spedite nello spazio in una cabriolet.[09:24] HOUSTON: Le aperture verranno coperte con del telo.

Nell’atmosfera di Marte avrai abbastanza aerodinamica lo stesso.[09:38] MAV: Ah, è solo un tettuccio apribile. Molto meglio.

Giornale di bordo: Sol 506

Mentre venivo qui, nel mio copioso tempolibero, ho progettato una “officina”. Ho pensatoche avrei avuto bisogno di uno spazio dovelavorare senza dover indossare la tuta. Hoarchitettato un piano brillante in cui l’attualecamera da letto diventava la nuova casa diregolatore e ossigenatore e il trailer ormai vuoto sitrasformava in laboratorio.

È un’idea stupida e non lo farò.Ho solo bisogno di un’area pressurizzata in cui

lavorare. Non so perché ma mi ero convinto che lacamera da letto andava esclusa perché ècomplicato farci entrare la roba. Ma non sarà cosìdifficile.

Si aggancia alla camera d’equilibrio del rover,perciò farci entrare la roba sarà una seccatura.Portare la roba nel rover, agganciare la camera daletto alla camera d’equilibrio da dentro, gonfiarla,trasferire la roba in camera da letto. Dovrò anchevuotare la camera da letto di tutta l’attrezzatura perripiegarla ogni volta che devo uscire.

Dunque, sì, sarà una seccatura, ma il prezzo dapagare è solo in termini di tempo. E su questofronte me la sto cavando piuttosto bene. Prima delpassaggio di Hermes ho ancora 43 sol utili. Evisto il modo in cui la NASA ha congegnato leprocedure per le modifiche, almeno in parte potròusare come officina il MAV stesso.

Quei pazzi della NASA mi hanno disposto ognigenere di sevizie da perpetrare sul MAV, macomunque non dovrò aprire lo scafo finoall’ultimo. Dunque per prima cosa comincerò asbarazzarmi di tutto ciò che è asportabile, come lesedie, il pannello di controllo e altro del genere.Tolto quello, là dentro avrò parecchio spazio incui lavorare.

Ma oggi non ho fatto ancora niente al mio MAVin attesa di mutilazioni. Oggi era la giornata dadedicare al controllo dei sistemi. Adesso che sonodi nuovo in contatto con la NASA, devo rientrarenella disciplina standard della “sicurezza perprima cosa”. Sarà strano, ma la NASA non ha unafiducia cieca nel mio rover riveduto e corretto onel mio metodo di impilare tutto quanto nel trailer.Mi hanno fatto eseguire un controllo approfonditodi ogni singolo componente.

Tutto funziona ancora bene, anche se stacominciando a mostrare la corda. Regolatore eossigenatore non indicano più la loro efficienza dipunta (a essere generosi) e il trailer perde tutti igiorni un po’ d’aria. Non tanto da diventare unproblema, ma la tenuta non è più ermetica. AllaNASA questa cosa non va molto giù, ma nonabbiamo soluzioni praticabili.

Dopodiché mi hanno fatto fare una diagnosticatotale del MAV. Che è in condizioni molto migliori.Tutto è al massimo dell’efficienza e perfettamentefunzionante. Io mi ero quasi dimenticato cheaspetto ha un veicolo spaziale nuovo nuovo.

Peccato che debba farlo a pezzi.

«Hai ucciso Watney», disse Lewis.«Sì», disse Martinez fissando con astio il

monitor. “Collisione con terreno”, lo accusavalampeggiando il computer.

«Gli ho giocato un brutto tiro», disse Johanssen.«Gli ho indicato un dato di altitudine sbagliato egli ho fatto spegnere troppo presto il motore tre.Una combinazione mortale».

«Ma io avrei dovuto salvare lo stesso lamissione», obiettò Martinez. «Dovevo accorgermiche il dato era sbagliato. Era troppo anormale».

«Non ti abbattere», disse Lewis. «È per questoche ci esercitiamo».

«Lo so, comandante», brontolò Martinez.Continuava a fissare accigliato lo schermo.

Lewis attese che gli passasse. Visto che nonaccadeva, gli posò una mano sulla spalla.

«Su con il morale», gli disse. «Vi hanno datosolo due giorni di addestramento al lancioteleguidato. Doveva servire solo nel caso cheabortissimo la missione prima di atterrare,

un’alternativa allo scopo di ridurre al minimo leperdite lanciando il MAV in modo che agisse dasatellite. Non era un’ipotesi critica per lamissione, perciò non ci hanno dedicato troppotempo. Adesso che da questa procedura dipende lavita di Mark, avete tre settimane per farlafunzionare e io sono sicura che ci riuscirete».

«Ricevuto, comandante», mormorò Martinezrasserenandosi un po’.

«Risetto la simulazione», annunciò Johanssen.«C’è qualcosa di particolare che vuoi cheproviamo?»

«Sorprendimi», disse Martinez.Lewis lasciò la sala di controllo per andare al

reattore. Mentre “saliva” la scaletta che portava alcentro dell’astronave, la forza centripeta diminuìfino allo zero. Vogel alzò gli occhi dalla console diun computer. «Comandante?».

«Come andiamo con i motori?», chiese leiafferrandosi a una maniglia per restare attaccataalla stanza che ruotava lentamente.

«Tutti i parametri entro i limiti di tolleranza»,riferì Vogel. «Sto eseguendo una diagnosi del

reattore. Ho pensato che visto che Johanssen è alleprese con le simulazioni del lancio, potevo farlo ioper lei».

«Buona idea», rispose Lewis. «E come va larotta?»

«Benissimo», disse Vogel. «Non abbiamobisogno di correzioni. Siamo ancora sullatraiettoria prestabilita entro uno scarto di quattrometri».

«Avvertimi se ci sono cambiamenti».«Ja, comandante».Lewis volò sull’altro lato e si appese all’altra

scaletta, ritrovando gravità man mano che“scendeva”. Raggiunse la ready room dellaCamera d’equilibrio 2.

Beck aveva in una mano un rotolo di cavometallico e nell’altra un paio di guanti da lavoro.«Salve, comandante. Che c’è?»

«Vorrei sapere come intendi recuperare Mark».«Abbastanza semplice se l’intercetto va a buon

fine», rispose Beck. «Sto finendo di attaccareinsieme tutti gli spezzoni che abbiamo per creareuna lunga fune. Sono arrivato a 214 metri.

Indosserò la MMU, quindi potrò manovrare in tuttalibertà. Posso spingermi in tutta sicurezza fino auna decina di metri al secondo. Più veloce di cosìrischierei di spezzare il cavo se non mi fermassi intempo».

«Una volta che sei arrivato a Mark, che velocitàrelativa puoi gestire?»

«Posso afferrare facilmente il MAV a 5 metri alsecondo. A 10 metri al secondo è un po’ comecercare di saltare su un treno in corsa. Più di cosìe manco il bersaglio».

«Dunque, restando in un ambito di velocitàaccettabile con l’uso dell’MMU, bisogna che lanave sia entro 20 metri al secondo della suavelocità».

«E l’intercetto deve avvenire entro 214 metri»,aggiunse Beck. «Un margine d’errore veramentestretto».

«Abbiamo parecchio margine», ribatté Lewis.«Il lancio avverrà 52 minuti prima dell’intercetto edura 12 minuti. Appena il motore S2 di Mark sispegne, conosceremo il punto e la velocità diintercetto. Se non ci piace, avremo 40 minuti per

correggerli. I due millimetri al secondo del nostromotore possono sembrare poca cosa, ma in 40minuti ci sposta di 5,7 chilometri».

«Bene», disse Beck. «E i 214 metri non sono unlimite insuperabile in sé».

«Sì che lo sono», ribatté Lewis.«Ma no», insisté Beck. «So che non è previsto

che mi stacchi dal cavo, ma senza guinzaglio possoarrivare fino…».

«Escluso», sentenziò Lewis.«Ma potremmo raddoppiare o addirittura

triplicare l’ambito dell’intercetto…».«Discorso chiuso», lo interruppe bruscamente

Lewis.«Ricevuto, comandante».

Giornale di bordo: Sol 526

Sono poche le persone che possono affermare diaver vandalizzato un veicolo spaziale da tremiliardi di dollari, e io sono una di loro.

Ho estratto sofisticati dispositivi del MAV adestra e a manca. È bello sapere che quando verròlanciato in orbita non sarò ostacolato dal peso diseccanti sistemi di backup.

Ho iniziato eliminando gli oggetti piccoli. Poi èstato il turno delle cose che potevo smontare, comei sedili dell’equipaggio, alcuni dei sistemi dibackup e i pannelli di controllo.

Non improvviso nulla. Seguo il copioneinviatomi dalla NASA, studiato in maniera darendere tutto il più facile possibile. Certe volte honostalgia dei giorni in cui prendevo tutte ledecisioni da me. Poi mi scrollo di dosso questasgradevole sensazione e mi ricordo che sonoinfinitamente più al sicuro con una squadra di geniche decide che cosa devo fare, invece dismanettare e manomettere questo e quello di miainiziativa.

Ogni tanto indosso la tuta, mi infilo nella camerad’equilibrio con tutto il materiale che riesco ametterci e sbatto tutto fuori. L’area intorno al MAVcomincia a somigliare al set di Sanford and Son.

Ho scoperto Sanford and Son perché c’è nellacollezione di Lewis. Dico io, questa donna deveseriamente farsi vedere da qualcuno per questo suoproblema con gli anni Settanta.

Giornale di bordo: Sol 529

Sto trasformando l’acqua in carburante perrazzi.

È più facile di quel che pensiate.Per separare idrogeno e ossigeno bastano due

elettrodi e un po’ di corrente. Il problema è comeraccogliere l’idrogeno. Non ho nessunaattrezzatura per estrarre idrogeno dall’aria. Ilregolatore atmosferico brancola nel buio. L’ultimavolta che ho dovuto prelevare ossigeno dall’aria(ai tempi in cui ho trasformato lo Hab in unabomba), l’ho bruciato per trasformarlo in acqua.Questo naturalmente sarebbe controproducente.

Ma la NASA ha pensato a tutto e mi ha messo adisposizione un procedimento. Per prima cosa ho

staccato il trailer dal rover. Poi, con la tutaaddosso, ho depressurizzato il trailer e l’horiempito di ossigeno puro a un quarto diun’atmosfera. Poi ho aperto una scatola di plasticapiena d’acqua e ci ho messo dentro due elettrodi.È per questo che avevo bisogno dell’atmosfera.Senza pressione, l’acqua sarebbe bollitaimmediatamente e io mi sarei trovato in una nuvoladi vapore.

L’elettrolisi ha separato idrogeno e ossigeno e aquel punto nel trailer c’era ancor più ossigeno diprima e anche dell’idrogeno. Alquanto pericoloso,in verità.

Poi ho azionato il regolatore atmosferico. So diaver appena sostenuto che non riconoscel’idrogeno, però sa come prelevare ossigenodall’aria. Ho contravvenuto a tutte le norme disicurezza e l’ho regolato perché estraesse dall’ariail cento percento dell’ossigeno presente. Fattoquesto, nel trailer è rimasto solo idrogeno. Perquesto ho cominciato con un’atmosfera di idrogenopuro, in modo che il regolatore potesse separarloin un secondo tempo.

Poi ho messo in funzione la camera d’equilibriodel rover lasciando il portello interno aperto. Lacamera d’equilibrio ha pensato di vuotare sestessa, mentre in realtà stava vuotando tutto quantoil trailer. L’aria prelevata è finita nel serbatoiodella camera d’equilibrio. Ed ecco a noi un belserbatoio di idrogeno puro.

Ho portato il serbatoio della camerad’equilibrio al MAV e ne ho trasferito il contenutonei suoi serbatoi riservati all’idrogeno. L’ho giàdetto più di una volta, ma: un urrà per le valvolestandardizzate!

Per finire ho attivato il generatore di propellenteche ha cominciato a produrre il carburantesupplementare di cui ho bisogno.

Dovrò ripetere il procedimento parecchie voltementre si avvicinerà la data del lancio. Dovròsottoporre a elettrolisi anche la mia orina. Cosache diffonderà nel trailer un piacevole odorino.

Se sopravvivrò, racconterò in giro che pisciavocarburante per razzi.

[19:22] JOHANSSEN: Ciao, Mark.

[19:23] MAV: Johanssen!? Porca merda! Vi hanno finalmentepermesso di parlarmi direttamente?

[19:24] JOHANSSEN: Sì, un’ora fa abbiamo ricevuto dallaNASA l’OK per le comunicazioni dirette. Siamo distanti solo 35secondi-luce, quindi ci possiamo parlare in quasi tempo reale. Hoappena attivato il sistema e lo sto testando.

[19:24] MAV: Perché ci hanno messo tanto a lasciare che ciparlassimo?

[19:25] JOHANSSEN: La squadra psicologica aveva paura diconflitti di personalità.

[19:25] MAV: Cosa? Solo perché voialtri mi avete abbandonato suun pianeta dimenticato da Dio senza nessuna possibilità disopravvivere?

[19:26] JOHANSSEN: Buona. Ma non tentare battute di questogenere con Lewis.

[19:27] MAV: Roger. Dunque, be’, grazie di tornare a prendermi.[19:27] JOHANSSEN: È il minimo che possiamo fare. Come

procede con il retrofit del MAV?[19:28] MAV: Fin qui tutto bene. La NASA ha studiato a fondo le

procedure. Funzionano. Con questo non voglio dire che sia un lavorofacile. Ho impiegato questi ultimi tre giorni solo per togliere ilPannello 19 e il finestrino frontale. Anche in g-Marte sono deibastardi belli pesanti.

[19:29] JOHANSSEN: Quando ti avremo ripescato, ti farò unamore appassionato e selvaggio. Prepara il tuo corpo.

[19:29] JOHANSSEN: Non l’ho scritto io! È stato Martinez! Misarò allontanata dalla tastiera saranno dieci secondi!

[19:29] MAV: Non sapete quanto mi siete mancati.

Giornale di bordo: Sol 543

Ho… finito?Credo d’aver finito.Ho fatto tutto quello che c’era sulla lista. Il MAV

è pronto per volare. E tra sei sol, è precisamentequello che farà. Spero.

Potrebbe non partire affatto. In fondo gli hoanche tolto un motore. Con tutti gli interventi cheho fatto potrei avere incasinato qualunque cosa. Enon c’è modo di collaudare lo stadio diascensione. Una volta che lo accendi, è acceso.

Tutto il resto però verrà riesaminato da adessofino al lancio. Alcuni test saranno effettuati da me,alcuni a distanza dalla NASA. Non mi danno leprobabilità di insuccesso, ma ho paura che siano lepiù alte mai raggiunte. Yuri Gagarin aveva unveicolo molto più affidabile e sicuro del mio.

E le capsule sovietiche erano trappole mortali.

«Va bene», disse Lewis, «domani è il grangiorno».

L’equipaggio volteggiava nella Rec. Avevanoarrestato la rotazione dell’astronave in vistadell’operazione imminente.

«Io sono pronto», disse Martinez. «Johanssenme ne ha fatte di tutti i colori. Ho tutte le possibilicontromisure».

«Tutti, eccetto le eventualità catastrofiche», locorresse Johanssen.

«Be’, certo», ammise Martinez. «Sarebbeabbastanza inutile simulare un’esplosione durantel’ascensione. Non potremmo farci niente».

«Vogel», chiese Lewis, «com’è la nostra rotta?»«Perfetta», rispose Vogel. «Siamo dentro un

metro del corridoio, a una velocità di duecentimetri al secondo».

«Bene», disse Lewis. «E tu, Beck?»«Tutto pronto, comandante», annunciò Beck. «I

cavi sono collegati e il rotolo è in Camera 2. Tutae MMU pronti all’uso».

«Benissimo», ribatté Lewis. Si aggrappò a unamaniglia per interrompere una lenta deriva che lastava spostando troppo. «Il piano di battaglia èchiaro. Martinez piloterà il MAV, Johanssen

monitorerà l’ascensione al computer. Beck eVogel, vi voglio in Camera 2 con il portelloesterno aperto prima ancora che il MAV parta.Dovrete aspettare 52 minuti, ma non vogliorischiare qualche intoppo tecnico con la camerad’equilibrio o le vostre tute. Al momentodell’intercetto, sarà Beck ad avere il compito direcuperare Watney».

«Quando lo prendo potrebbe non essere inbuono stato», osservò Beck. «Durante il lancio ilMAV toccherà i 12 g ed è anche mezzo smontato.Potrebbe essere privo di sensi e potrebbe persinoavere emorragie interne».

«È per questo che tu sei il nostro dottore»,rispose Lewis. «Vogel, se tutto andrà secondo ipiani, tu tirerai Beck e Watney a bordo con il cavo.Se qualcosa va storto, sei il backup di Beck».

«Ja», disse Vogel.«Vorrei che ci fosse altro che potessimo fare»,

aggiunse ancora Lewis. «Ma ormai la sola cosache ci resta è l’attesa. Tutte le assegnazioni sonoannullate. Tutti gli esperimenti scientifici sono

sospesi. Se ci riuscite, dormite, se non ci riuscitericontrollate i vostri equipaggiamenti».

«Lo prenderemo, comandante», disse Martinezmentre usciva con gli altri sospeso nel vuoto. «Traventiquattr’ore Mark Watney sarà qui in questolocale».

«Speriamo, maggiore», disse Lewis.

«Gli ultimi controlli per questo turno sonocompletati», annunciò Mitch al microfono dellesue cuffie. «Tempo».

«Sì, Volo», rispose il controllore del tempo.«Tempo al lancio del MAV?»«Sedici ore, nove minuti, quaranta secondi…

ora».«Ricevuto. A tutte le stazioni: avvicendamento

turno direttore di volo». Si tolse le cuffie e simassaggiò gli occhi.

Brendan Hutch prese le sue cuffie e le calzò. «Atutte le stazioni, ora Volo è Brendan Hutch».

«Chiamami se succede qualcosa», siraccomandò Mitch. «Se no ci vediamo domani».

«Fatti una bella dormita, capo», gli auguròBrendan.

Venkat guardava dalla cabina di osservazione.«Perché ha chiesto il crono?», borbottò. «Lo sivede sull’enorme orologio della missione delloschermo centrale».

«È nervoso», commentò Annie. «Tu non lo vedispesso, ma è così che diventa Mitch Hendersonquando è nervoso. Non fa che far ripetere tutto dueo tre volte».

«Comprensibile», disse Venkat.«A proposito, si sono accampati sul prato qui

fuori», lo informò Annie. «Giornalisti da ogniangolo del mondo. Nei nostri locali non c’èabbastanza spazio».

«I media adorano i drammi», mormorò Venkatcon un sospiro. «Domani sarà finita, in un modo onell’altro».

«Qual è il nostro ruolo in tutto questo?»,domandò Annie. «Se qualcosa non andasse bene,cosa può fare Controllo Missione?»

«Niente», rispose Venkat. «Un bel niente diniente».

«Niente?»«Avviene tutto a 12 minuti-luce da qui. Questo

significa che ci vogliono 24 minuti perché arrivi aloro una risposta a qualunque quesito cisottopongano. Il lancio dura 12 minuti per contosuo. Sono soli».

«E noi siamo assolutamente impotenti?»«Sì», annuì Venkat. «Una bella vaccata, eh?».

Giornale di bordo: Sol 549

Se dicessi che non me la sto facendo addossosarei un bugiardo matricolato. Fra quattro orepartirò a bordo di una gigantesca esplosione chedeve portarmi in orbita. È una cosa che ho già fattoin passato, ma mai con una cosa così incasinata,frutto di mille imbrogli.

Sono a bordo del MAV. Ho indossato la tutaperché nel muso del MAV c’è un grande buco alposto di un pezzo di scafo con dentro un finestrino.Sono “in attesa di istruzioni di lancio”. In pratica

sto semplicemente aspettando di essere lanciato. Ioho una funzione solo passiva. Sono sul mio lettinoantiaccelerazione e spero che vada tutto bene.

Ieri ho consumato il mio ultimo pasto. È stato ilprimo pasto buono che ho mangiato dopo moltesettimane. Lascio indietro quarantun patate. Eccoquanto vicino sono arrivato alla fame.

Durante il mio viaggio ho diligentementeraccolto campioni. Ma non ne posso portare conme neppure uno. Così li ho messi in un contenitorea qualche centinaio di metri da qui. Forse ungiorno manderanno su una sonda a prenderli. Tantovale fargliela facile.

Ecco fatto. Da adesso in avanti non c’è piùniente. Non abbiamo nemmeno una proceduraabortiva. Perché prepararne una? Non possiamoritardare il lancio. Hermes non può fermarsi adaspettarmi. Comunque sia, lanceremo in orario.

Guardo in faccia la possibilità molto realisticache oggi morirò. Non posso dire che mi piaccia.

Non sarebbe poi tanto male se il MAV saltasse inaria. Non saprei che cosa mi è successo, ma semancherò l’intercetto, vagherò nello spazio finché

avrò esaurito l’aria. Per questa eventualità ho unpiano di riserva. Abbasserò a zero l’ossigenodella miscela e respirerò azoto puro fino asoffocare. Non sarà una brutta sensazione. Ipolmoni non hanno la capacità di percepire lamancanza di ossigeno. Mi sentirò semplicementestanco. Mi addormenterò e poi morirò.

Stento ancora a credere di esserci arrivatodavvero. Di essere sul punto di andarmene. Questogelido deserto è stato casa mia per un anno emezzo. Mi sono inventato il modo di sopravvivere,almeno per un po’, e mi sono abituato a comevanno le cose. La mia spaventosa lotta per restarevivo è diventata in un certo senso un’abitudine.Alzarsi la mattina, fare colazione, occuparmi dellamia coltivazione, riparare le cose guaste, pranzare,rispondere alle e-mail, guardare la TV, cenare,andare a letto. La vita di un agricoltore moderno.

Poi sono diventato un camionista di lunghepercorrenze che gira per il mondo. E alla fine unmeccanico per ricostruire un veicolo spaziale inuna forma che nessuno aveva mai considerato

prima. Ho fatto un po’ di tutto perché ci sono soloio per farlo.

Tutto questo adesso è finito. Non ho altri lavorida eseguire e non devo più tenere a bada la natura.Ho mangiato la mia ultima patata marziana. Hodormito sul rover per l’ultima volta. Ho lasciato lemie ultime orme nella polverosa sabbia rossa.Oggi lascio Marte, in un modo o nell’altro.

E cazzo se era ora.

26

Si riunirono.Dappertutto, sulla Terra, si riunirono.A Trafalgar Square e in piazza Tienanmen e a

Times Square, guardarono su schermi gigante.Negli uffici si riunirono intorno ai monitor deicomputer. Nei bar osservarono in silenzio loschermo del televisore montato nell’angolo. Nelleabitazioni sedettero trattenendo il fiato sui lorodivani, con gli occhi incollati sul video.

A Chicago un uomo e una donna di mezza etàguardarono tenendosi con forza per mano. L’uomososteneva con delicatezza la moglie che dondolavaavanti e indietro in preda a puro terrore. L’inviatodella NASA si guardava bene dal disturbarli, ma siteneva a breve distanza, pronto a rispondere a ogniloro eventuale domanda.

«Pressione propellente verde», annunciò lavoce di Johanssen da un miliardo di televisori.«Allineamento motore perfetto. Comunicazioni

cinque per cinque. Siamo pronti al controlloprevolo, comandante».

«Ricevuto». La voce era di Lewis. «CAPCOM».«Go», rispose Johanssen.«Guida».«Go», disse di nuovo Johanssen.«Remoto».«Go», rispose Martinez.«Pilota».«Go», disse Watney dal MAV.Un fremito di incitamento contagiò le folle di

tutto il mondo.

Mitch era alla sua postazione del ControlloMissione. I controllori monitoravano ogni cosa ederano pronti a offrire il loro aiuto in qualunquemaniera, ma il ritardo nelle comunicazioni traHermes e la Terra li rendeva del tutto impotenti.Potevano solo guardare.

«Telemetria», disse Lewis.«Go», rispose Johanssen.«Recupero».«Go», rispose Beck dalla camera d’equilibrio.

«Recupero secondario».«Go», rispose Vogel in attesa accanto a Beck.«Controllo Missione, qui Hermes», fece

rapporto Lewis. «Siamo go per il lancio eprocederemo secondo programma. Siamo a Tmeno quattro minuti e dieci secondi dal lancio…ora».

«L’hai preso, Tempo?», chiese Mitch.«Affermativo, Volo», fu la risposta. «I nostri

orologi sono sincronizzati con i loro».«Non che possiamo fare qualcosa», borbottò

Mitch, «ma almeno sapremo cosa si presume chestia accadendo».

«Quattro minuti, Mark», disse Lewis almicrofono. «Come va da te?»

«Ansioso di essere lì, comandante», risposeWatney.

«Faremo in modo che succeda», disse Lewis.«Ricorda che sarai sottoposto a un bel po’ dipressione. Abbastanza da perdere i sensi. Sei nellemani di Martinez».

«Niente capriole. Diglielo, a quell’impedito».

«Ricevuto, MAV», rispose Lewis.«Ancora quattro minuti», disse Martinez

facendo schioccare le nocche. «Pronto a fare unvoletto, Beth?»

«Sì», rispose Johanssen. «Sarà stranomonitorare un lancio restando sempre a zero g».

«Non ci avevo pensato», commentò Martinez.«Però hai ragione. Non verrò schiacciato contro loschienale. Buffo».

Beck vagava nella camera d’equilibrio legato alcavo avvolto in una bobina fissata alla parete.Accanto a lui Vogel sostava con gli stivaliagganciati al pavimento. Entrambi guardavano dalportello aperto il pianeta rosso sotto di loro.

«Non avrei mai pensato di essere di nuovo qui»,commentò Beck.

«Già», rispose Vogel. «Siamo i primi».«I primi cosa?»«Siamo i primi a visitare Marte due volte».«Ah, sì. Nemmeno Watney può dirlo».«No, lui non può».Per un po’ contemplarono Marte in silenzio.

«Vogel», disse Beck.«Ja».«Se non raggiungo Mark, voglio che mi

stacchi».«Dottor Beck», ribatté Vogel, «il comandante ha

detto che questo non si fa».«So cos’ha detto il comandante, ma se ho

bisogno di qualche metro in più, voglio che mistacchi. Ho addosso l’MMU, posso tornare indietrosenza il cavo».

«Non lo farò, dottor Beck».«È la mia vita a rischio e io dico che va bene».«Tu non sei il comandante».Beck gli lanciò un’occhiataccia, ma con le

visiere riflettenti abbassate, l’effetto andò perduto.«Come vuoi», disse Beck. «Ma scommetto che,

se la situazione si presenta, cambierai idea».Vogel non rispose.

«T meno dieci», contò Johanssen, «nove…otto…».

«Avvio motori principali», annunciò Martinez.

«…sette… sei… cinque… Rilascio morse diormeggio…».

«Cinque secondi circa, Watney», disse Lewis almicrofono. «Ci siamo».

«Ci vediamo tra un attimo, comandante»,rispose via radio Watney.

«…quattro… tre… due…».

Watney era sdraiato sul suo lettinoantiaccelerazione nel rombo del MAV che siapprestava a decollare.

«Mmm», disse a nessuno in particolare. «Mipiacerebbe sapere quanto ancora…».

Il MAV partì con una forza indicibile. In tutta lastoria dei viaggi spaziali un veicolo conequipaggio a bordo non aveva mai tentatoun’accelerazione simile. Watney fu schiacciatocontro il suo lettino così violentemente da nonpoter nemmeno gemere.

Per precauzione aveva infilato nel casco unacamicia ripiegata dietro la testa. Mentre la nucasprofondava sempre di più in quella specie dicuscino, la sua vista periferica cominciò a

offuscarsi. Non poteva più né respirare némuoversi.

Mentre il veicolo acquistava velocità a un ritmoesponenziale, la pezza che aveva davanti agliocchi prese a sbattere violentemente. Laconcentrazione era diventata difficile, ma qualcosanei meandri della mente gli disse che quelmovimento del telo non andava bene.

«Velocità 741 metri al secondo», riferìJohanssen. «Altitudine 350 metri».

«Ricevuto», disse Martinez.«È basso», disse Lewis. «Troppo basso».«Lo so», ribatté Martinez. «È lento, mi fa

opposizione. Cosa cazzo succede?»«Velocità 850, altitudine 853», riferì Johanssen.«Non ottengo la potenza che mi serve!», disse

Martinez.«Potenza motore al cento percento», riferì

Johanssen.«Ti dico che va piano», insisté Martinez.«Watney», disse Lewis al microfono. «Watney,

mi ricevi? Puoi fare rapporto?».

Watney sentì la voce di Lewis in lontananza.Come qualcuno che gli stesse parlando attraversouna lunga galleria. Si domandò vagamente checosa potesse volere da lui. La sua attenzione fuattratta brevemente dalle vibrazioni del telo sopradi lui. Era comparso uno strappo che si andavaallargando rapidamente.

Ma poi fu distratto dalla testa di un bullone inuna delle paratie. Aveva solo cinque lati. Sidomandò perché alla NASA avessero deciso che ibulloni dovessero avere una testa di cinque latiinvece di sei. Ci voleva una chiave speciale perstringerli o allentarli.

Lo strappo del telo si aprì di più e i lembipresero a svolazzare all’impazzata. Attraverso losquarcio Watney vedeva cielo rosso estendersiall’infinito. “Bello”, pensò.

Il MAV continuò a salire in un’atmosfera semprepiù rarefatta. Di lì a non molto il telo smise disbatacchiare e si allungò semplicemente verso dilui. Il cielo passò dal rosso al nero.

“Bello anche questo”, pensò Mark.

Mentre perdeva conoscenza, si domandò dovepotesse procurarsi un bel bullone a cinque laticome quello.

«Adesso reagisce meglio», annunciò Martinez.«L’accelerazione è di nuovo completa», fece

eco Johanssen. «Dev’esserci stata resistenzaaerodinamica. Ora il MAV è uscito dall’atmosfera».

«È stato come cercare di far volare una vacca»,brontolò Martinez manovrando i controlli.

«Ce la fate a tirarlo su?», chiese Lewis.«Entrerà in orbita», rispose Johanssen, «ma la

rotta per l’intercetto potrebbe esserecompromessa».

«Per prima cosa tiratelo su», disse Lewis.«Dell’intercetto ci preoccuperemo dopo».

«Ricevuto. Spegnimento motore principale traquindici secondi».

«Tutto bene ora», riferì Martinez. «Non mi fapiù opposizione».

«Siamo molto al di sotto della quota bersaglio»,annunciò Johanssen. «La velocità è buona».

«Quanto sotto?», chiese Lewis.

«Non so dirlo con precisione», risposeJohanssen. «Ho solo i dati dell’accelerometro. Percalcolare la sua autentica orbita finale avremobisogno di ping radar a intervalli».

«Torno alla guida automatica», disse Martinez.«Spegnimento principale tra quattro», disse

Johanssen, «…tre… due… uno… Spento».«Confermo spegnimento», disse Martinez.«Watney, ci sei?», chiamò Lewis. «Watney?

Watney, mi ricevi?».«Probabilmente è svenuto, comandante», disse

Beck via radio. «Si è preso 12 g in uscita. Dagliqualche minuto».

«Ricevuto», rispose Lewis. «Johanssen, hai giàla sua orbita?»

«Ho i ping intervallati. Sto calcolando raggio evelocità per l’intercetto…».

Martinez e Lewis aspettarono che Johanssenlanciasse il software con cui calcolare l’intercetto.Normalmente le orbite venivano elaborate daVogel, che questa volta era occupato altrove. Perle dinamiche orbitali Johanssen era il suo backup.

«La velocità di intercetto sarà di undici metri alsecondo…», cominciò.

«Ce la posso fare», dichiarò Beck per radio.«La distanza sarà…». Johanssen s’interruppe e

trasalì. Riprese a parlare con un tremito nellavoce: «Saremo distanti 68 chilometri». Poi siprese la faccia nelle mani.

«Hai detto 68 chilometri?», proruppe Beck.«Chilometri?».

«Maledizione», mormorò Martinez.«Stiamo calmi», ordinò Lewis. «Affrontiamo il

problema. Martinez, c’è del carburante nel MAV?»«Negativo, comandante», rispose Martinez.

«Hanno scaricato il sistema di manovra orbitaleper alleggerire il MAV per il lancio».

«Allora siamo noi a dover andare da lui.Johanssen, ora dell’intercetto?»

«39 minuti, 12 secondi» disse Johanssencercando di non balbettare.

«Vogel», chiese Lewis, «quanto possiamodeflettere in 39 minuti con i motori a ioni?»

«Di cinque chilometri forse», rispose Vogel.

«Non bastano», disse Lewis. «Martinez, cosaotteniamo se puntiamo tutti i nostri propulsori perl’assetto nella medesima direzione?»

«Dipende da quanto propellente vogliamoconservare per le rettifiche d’assetto durante ilviaggio di ritorno a casa».

«Di quanto abbiamo bisogno?»«Potrei cavarmela con forse il venti percento di

quanto è rimasto».«D’accordo. Se usassimo l’altro ottanta

percento…».«Controllo», disse Martinez inserendo i numeri.

«Otterremmo un delta-v di trentun metri alsecondo».

«Johanssen», disse Lewis. «Numeri».«In 39 minuti defletteremmo di…», cominciò

Johanssen mentre digitava in tutta fretta, «72chilometri!».

«Perfetto», si rallegrò Lewis. «Quantopropellente…».

«Usa il 75,5 percento del propellente di assettoche ci resta», calcolò Johanssen. «Con questoportiamo a zero la distanza d’intercetto».

«Fallo», ordinò Lewis.«Agli ordini, comandante», rispose Martinez.«Un momento», intervenne Johanssen. «Con

questo riduciamo a zero la distanza dell’intercetto,ma la velocità sarà di 42 metri al secondo».

«Vuol dire che abbiamo 39 minuti per pensare aun modo per rallentarci», disse Lewis. «Martinez,dacci una spinta».

«Agli ordini», rispose lui.

«Mamma mia», esclamò Annie. «È successo uncasino a una velocità davvero pazzesca.Sentiamo».

Venkat sforzò l’udito per riuscire a sentire gliaggiornamenti nel mormorio che si era alzato daiVIP presenti nella cabina di osservazione.Attraverso il vetro vide Mitch spalancare lebraccia in un gesto di frustrazione.

«Il lancio è uscito completamente di traiettoria»,riferì Venkat leggendo dagli schermi al di là diMitch. «La distanza dell’intercetto era eccessiva.Così adesso usano i propulsori di correzionedell’assetto per avvicinarsi».

«Che cosa fanno di solito questi propulsori?»«Fanno ruotare l’astronave. Non sono fatti per

dare spinte. Hermes non è dotato di motori areazione rapida. Ha solo i motori a ioni che dannouna spinta lenta e costante».

«Ma allora… il problema è risolto?», chieseansiosamente Annie, sperando in una conferma.

«No», rispose Venkat. «Andranno a prenderlo,ma ci arriveranno a 42 metri al secondo».

«Che genere di velocità sarebbe?», chieseAnnie.

«Siamo intorno ai 150 chilometri all’ora», disseVenkat. «Impossibile che Beck riesca ad afferrareWatney a quella velocità».

«Non possono usare gli stessi propulsori perrallentare?»

«Hanno bisogno di molta velocità per coprire ladistanza in tempo. Hanno usato tutto il propellenteche potevano per ottenere la velocità necessaria anon arrivare in ritardo, ma adesso non ne hannoabbastanza per rallentare».

«E allora cosa possono fare?»

«Non ne ho idea», ammise Venkat pensieroso.«E anche se ce l’avessi, non farei in tempo acomunicargliela».

«Affanculo, allora», concluse Annie.«Già», convenne Venkat.

«Watney», chiamò Lewis. «Mi ricevi?…Watney?», ripeté.

«Comandante», la interpellò Beck via radio.«Indossa una tuta EVA, vero?»

«Sì».«Dovrebbe avere un bio-monitor», disse Beck.

«Che starà trasmettendo. Non è un segnale forte,serve per comunicare a distanze di duecento metritra rover e Hab, ma forse riusciamo a beccarlo».

«Johanssen», chiamò Lewis.«Ci sono», rispose Johanssen. «Devo cercare le

frequenze nei dati tecnici. Dammi un secondo».«Martinez», continuò Lewis, «qualche idea su

come rallentare?».Martinez scosse la testa. «Niente, comandante.

Corriamo semplicemente troppo forte».«Vogel?»

«Il motore a ioni è troppo lento, non ce la puòfare», rispose Vogel.

«Deve pur esserci qualcosa», insisté Lewis.«Qualcosa che possiamo fare. Qualsiasi cosa».

«Ho i dati del suo bio-monitor», intervenneJohanssen. «Polso 58, pressione sangue 98 su 61».

«Niente male», commentò Beck. «Avreipreferito qualcosa di più, ma è vissuto per diciottomesi nella gravità marziana, perciò è accettabile».

«Tempo all’intercetto?», domandò Lewis.«32 minuti», rispose Johanssen.

La serena incoscienza diventò nebulosaconsapevolezza che sfociò in dolorosa realtà.Watney aprì gli occhi e subito reagì con unasmorfia al dolore che sentiva al petto.

Del telo rimaneva ben poco. Svolazzava abrandelli lungo i bordi dell’apertura che avevacoperto. Il varco offriva a Watney la vista senzaostacoli di Marte dall’orbita in cui si era inserito.Nell’aureola della sua impalpabile atmosfera chene temperava la nitidezza, sembrava che lasuperficie del pianeta rosso butterata di crateri si

estendesse all’infinito. Solo diciotto personeavevano goduto dal vivo di quello spettacolo.

«Vaffanculo», disse al pianeta che stavasorvolando.

Quando allungò la mano verso i controlli cheaveva montati sul braccio, fece un’altra smorfia.Ci riprovò, più lentamente la seconda volta, eriuscì ad attivare la radio. «Da MAV a Hermes».

«Watney!», gli risposero.«Affermativo. Sei tu, comandante?», chiese

Watney.«Affermativo. Qual è il tuo stato?»«Sono su una navicella spaziale senza quadro

comandi», disse lui. «Più di così non so cosadire».

«Come ti senti?»«Mi fa male il torace. Credo di essermi rotto

una costola. Con voi come va?»«Lavoriamo all’intercetto», rispose Lewis. «C’è

stata una complicazione con il lancio».«E già», disse Watney guardando lo squarcio nel

muso del MAV. «Il telo non ha retto. Credo che si

sia squarciato già nei primi secondidell’ascensione».

«Corrisponde a quello che abbiamo visto noi».«Fino a che punto è grave, comandante?»«Siamo riusciti a correggere la distanza di

intercetto con i propulsori di assetto dell’Hermes.Ma resta il problema della velocità».

«Quanto grande è il problema?»«Grande 42 metri al secondo».«Merdaccia».

«Almeno sappiamo che per ora sta ancorabene», commentò Martinez.

«Beck», disse Lewis, «sto cominciando avalutare seriamente la tua ipotesi. A che velocitàpuoi viaggiare se non sei legato?»

«Chiedo scusa, comandante, ma ho giàcalcolato», rispose Beck. «Al massimo possoarrivare a 25 metri al secondo. Anche se toccassi i42, poi avrei bisogno di altri 42 per mettermi allapari di Hermes quando torno indietro».

«Ricevuto», disse Lewis.

«Ehi», intervenne via radio Watney. «Io houn’idea».

«Ovviamente», ribatté Lewis. «Sentiamo».«Potrei trovare qui dentro qualcosa di appuntito

e fare un buco in un guanto della mia tuta. Potreiusare la fuga d’aria come propulsore e piombareverso di voi. La spinta sarebbe dal braccio, cosache mi permetterebbe di pilotarmi abbastanzaagevolmente».

«Com’è che gli saltano in mente questestronzate?», sbottò Martinez.

«Mmm», fece Lewis. «Credi di poter arrivare a42 metri al secondo in quel modo?»

«Non ne ho idea», ammise Watney.«Non vedo come potresti veramente

controllarti», obiettò Lewis. «Punterestiall’intercetto a occhio nudo e useresti una fonte dipropulsione che a stento potresti manovrare comesi deve».

«Ammetto che è mortalmente pericoloso»,convenne Watney. «Ma consideriamo l’aspettopositivo: svolazzerei come Iron Man».

«Continueremo a lavorare ad altre ipotesi»,rispose Lewis.

«Iron Man, comandante. Iron Man».«Resta in attesa», disse Lewis.Rimase assorta per qualche momento. «Mah»,

mormorò poi, «forse non è un’idea cosìmalvagia…».

«Stai scherzando, comandante?», esclamòMartinez. «È un’idea terribile. Schizzerebbe vianello spazio…».

«Non tutta quanta la sua idea, solo in parte»,precisò lei. «Usare aria per spingersi. Martinez,attiva la postazione di Vogel».

«Okay», rispose Martinez digitando sulla suatastiera. Sul monitor apparve il collegamento conil computer di Vogel. Martinez cambiò subito lalingua da tedesco a inglese. «Ci sono. Di cosa haibisogno?»

«Vogel ha un software per calcolare ledeviazioni di rotta provocate da falle nello scafo,giusto?»

«Sì», rispose Martinez. «Elabora le correzionidi traiettoria necessarie nel caso che…».

«Sì, sì», tagliò corto Lewis. «Lancia ilprogramma. Voglio sapere che cosa succede semolliamo il VAL».

Johanssen e Martinez si scambiarono una rapidaocchiata.

«Ehm… sì, comandante», disse Martinez.«La camera d’equilibrio veicolare?», domandò

Johanssen. «Vuoi… aprirla?»«Abbiamo un sacco di aria qui dentro», rispose

Lewis. «Ci darebbe una bella botta».«S-sì…», mormorò Martinez mentre lanciava il

software. «E potrebbe far saltar via il musodell’astronave».

«E uscirebbe anche tutta l’aria», si sentìobbligata ad aggiungere Johanssen.

«Chiuderemo il ponte di comando e la stanzadel reattore. Tutto il resto può restare in condizionidi vuoto, ma non vogliamo che qui dentro o neipressi del reattore si verifichi una decompressioneesplosiva».

Martinez inserì i dati relativi nel programma.«Temo che avremmo lo stesso problema di Watney,

ma su una scala più larga. Non possiamodirezionare la spinta».

«Non è necessario», obiettò Lewis. «Il VAL è nelmuso. L’aria in uscita ci darebbe una spinta incorrispondenza dell’asse longitudinale delveicolo. Ci basta orientarci con precisione sullatraiettoria del nostro bersaglio».

«Okay, ho i numeri», annunciò Martinez.«L’apertura del VAL, con ponte e reattore chiusi,produrrebbe una spinta di 29 metri al secondo».

«Che tolti dalla velocità iniziale ci darebbe perrisultato una velocità relativa di 13 metri alsecondo», concluse Johanssen.

«Beck», chiamò alla radio Lewis. «Haisentito?»

«Affermativo, comandante».«Ce la fai a 13 metri al secondo?»«Sarà rischioso», rispose Beck. «13 per

accoppiare il MAV e poi 13 per appaiare lavelocità di Hermes. Ma è mille volte meglio di42».

«Johanssen», disse Lewis. «Tempoall’intercetto?»

«18 minuti, comandante».«Che tipo di contraccolpo prendiamo con

quell’apertura?», domandò Lewis a Martinez.«L’aria impiegherà quattro secondi per uscire»,

rispose lui. «Sentiremo qualcosa meno di 1 g».«Watney», disse Lewis al microfono della

cuffia, «abbiamo un piano».«Evviva! Un piano!», rispose Watney.

«Houston», risuonò in tutto il ControlloMissione la voce di Lewis. «Avverto che apriremovolontariamente il VAL per produrre spinta».

«Cosa?», proruppe Mitch. «Cosa!?».«Oh… Dio mio», mormorò Venkat in sala

osservazione.«Gli stracazzi», sbottò Annie alzandosi in piedi.

«Meglio che vada in sala stampa. Un’ultimadichiarazione prima che vada?»

«Apriranno una falla nell’astronave», disseVenkat ancora sconvolto. «Hanno intenzione diaprire deliberatamente una falla. Oh, Dio mio…».

«Capito», disse Annie correndo alla porta.

«Come facciamo ad aprire i portelli dellacamera d’equilibrio?», chiese Martinez. «Non c’èmodo di aprirli a distanza e se ci fosse qualcunonelle vicinanze quando si apre…».

«Giusto», concordò Lewis. «Possiamo aprire unportello quando l’altro è chiuso, ma comefacciamo ad aprire l’altro?».

Rifletté per un momento. «Vogel», chiamò viaradio. «Ho bisogno che rientri e che costruisca unabomba».

«Ehm…», rispose Vogel. «Vuoi ripetere, perpiacere, comandante?»

«Una bomba», ribadì Lewis. «Sei un chimico.Sei capace di costruire una bomba con il materialeche abbiamo a bordo?»

«Ja», disse Vogel. «Abbiamo infiammabili eossigeno puro».

«Ottimo».«Naturalmente provocare un’esplosione a bordo

di un veicolo spaziale è pericoloso», le fecenotare Vogel.

«Dunque fai una bomba piccola», risposeLewis. «Basta che apra un buco nel portello

interno della camera d’equilibrio. Un buco didimensioni qualsiasi. Se fa saltar via il portello,tanto vale. Altrimenti, vorrà dire che l’aria usciràpiù lentamente per un periodo più lungo. Lareazione non cambierà e otterremo lo stessol’accelerazione necessaria».

«Sto pressurizzando Camera 2», riferì Vogel.«Come attiviamo questa bomba?».

«Johanssen?», chiamò Lewis.«Sì…», rispose Johanssen. Prese velocemente

le cuffie e le indossò. «Vogel, puoi inserire uncollegamento elettrico?»

«Ja», disse Vogel. «Userò un tappo filettato conun forellino per far passare i fili. Avrà un effettominimo sulla tenuta stagna».

«Possiamo collegare i fili al Pannello Luci 41»,disse Johanssen. «È vicino alla camerad’equilibrio e io posso accendere e spegnere daqui».

«Sarà il nostro grilletto a distanza», disseLewis. «Johanssen, tu vai a preparare ilcollegamento al pannello. Vogel, tu vieni qui a

fabbricare la bomba. Martinez, vai a chiudere iportelli del locale reattore».

«Sì, comandante», rispose Johanssenabbandonando immediatamente la sua postazione.

Martinez si fermò davanti all’uscita.«Comandante, vuole che porti qui qualche tutaspaziale?»

«Non serve», rispose Lewis. «Se la chiusura delponte non tiene, verremo risucchiati fuori più omeno alla velocità del suono. Saremmo ridotti amarmellata con o senza tuta addosso».

«Ehi, Martinez», chiamò Beck dalla radio.«Potresti mettere in un posto sicuro i miei topi?C’è una sola gabbietta nel laboratorio bio».

«Ricevuto, Beck», disse Martinez. «Li metto nellocale reattore».

«Sei già rientrato, Vogel?», volle sapere Lewis.«Sto rientrando ora, comandante».«Beck», disse Lewis al microfono. «Ho bisogno

di avere qui dentro anche te. Ma non toglierti latuta».

«Okay», disse Beck. «Perché?»

«Dovremo far letteralmente saltare in aria unodei portelli», spiegò Lewis. «Preferiscodistruggere quello interno. Voglio che quelloesterno resti intatto, così conserviamo l’integritàdella nostra forma esterna per la manovra diaerofrenaggio».

«Logico», rispose Beck rientrando nel corpodell’astronave in assenza di gravità.

«Un problema», disse Lewis. «Voglio il portelloesterno bloccato in posizione di massima aperturacon il fermo meccanico per impedire che siadanneggiato dalla decompressione».

«Per fare questo bisogna che ci sia qualcunonella camera», osservò Beck. «E non si può aprirela porta interna se quella esterna è bloccata inapertura».

«Infatti», ribatté Lewis. «Per questo ho bisognoche tu rientri, depressurizzi il VAL e blocchi ilportello esterno in apertura. Poi dovrai strisciarelungo lo scafo fino alla Camera 2».

«Ricevuto, comandante», rispose Beck. «Cisono appigli lungo tutto lo scafo. Sposterò con meil mio cavo d’ancoraggio, come uno scalatore».

«Avanti, allora», ordinò Lewis. «Vogel, tu sei dicorsa. Devi fabbricare la bomba, collocarla,tornare in Camera 2, metterti la tuta,depressurizzarla e aprire il portello esterno perchéBeck possa rientrare quando ha finito».

«Si sta togliendo la tuta in questo momento enon può rispondere», riferì Beck, «ma ha sentitotutto».

«Watney, come va?», chiese Lewis.«Finora bene, comandante», rispose Watney.

«Hai parlato di un piano?»«Affermativo», rispose Lewis. «Butteremo fuori

atmosfera per ottenere una spinta».«Come?»«Apriamo un buco nel VAL».«Cosa?», proruppe Watney. «Come?»«Vogel sta preparando una bomba».«Lo sapevo che quello era uno scienziato

pazzo!», disse Watney. «Io credo che faremmomeglio a usare la mia idea di Iron Man».

«È troppo pericolosa e lo sai anche tu».«Ma io sono un egoista», dichiarò Watney.

«Voglio che giù a casa le commemorazioni

riguardino solo me. Non voglio averci in mezzoanche voialtri sfigati. Non posso permettervi di farsaltare in aria il VAL».

«Oh», disse Lewis, «allora se proprio non vuoilasciarcelo fare, vuol dire… Ehi, un momento…Ma guarda un po’? Mi sto dando un’occhiata allaspallina e scopro di essere il comandante. Stattenebuono. Stiamo venendo a prenderti».

«Spandimerda».

Da bravo chimico, Vogel sapeva comefabbricare una bomba. In effetti gran parte del suoaddestramento era dedicato a evitare che nefacesse qualcuna per sbaglio.

Sull’astronave c’era poco materialeinfiammabile in considerazione del fatale pericolorappresentato da possibili incendi. Tuttavia ilcibo, per sua stessa natura, conteneva idrocarburiinfiammabili. Non avendo tempo per mettersi asedere a fare calcoli, lavorò mentalmente diapprossimazioni.

Lo zucchero ha 4000 calorie per chilogrammo.Una caloria equivale a 4184 joule. A zero g lo

zucchero resta sospeso nel vuoto e i grani siseparano massimizzandone l’area superficiale. Inun ambiente di ossigeno puro, per ognichilogrammo di zucchero verrebbero rilasciati16,7 milioni di joule, corrispondenti alla forzaesplosiva di otto candelotti di dinamite. Tale è lanatura della combustione in ossigeno puro.

Vogel misurò con cura lo zucchero. Lo versò nelcontenitore più robusto che aveva, un becher divetro spesso. La resistenza del contenitore eraimportante quanto l’esplosivo. Un contenitorefragile avrebbe dato origine a una semplicefiammata senza molta forza concussiva. Uncontenitore resistente, viceversa, avrebbetrattenuto la pressione interna finché non avesseraggiunto un’autentica potenza distruttiva.

Praticò velocemente un foro nel tappo delbecher, scorticò un pezzo di filo elettrico e lo fecepassare nel foro.

«Sehr gefährlich», borbottò mentre versava nelcontenitore ossigeno liquido dalla riservadell’astronave e chiudeva precipitosamente con il

tappo. In pochi minuti aveva fabbricato unarudimentale bomba a tubo.

«Sehr, sehr gefährlich».Uscì in volo dal laboratorio diretto al muso

dell’astronave.

Mentre Beck risaliva nel vuoto verso il VAL,Johanssen lavorava al pannello di illuminazione.

Lo afferrò per un braccio. «Attento quando tiarrampichi sullo scafo».

Beck si girò verso di lei. «Tu sta’ attenta a comecolleghi la bomba».

Lei baciò la sua visiera poi distolse lo sguardoimbarazzata. «Ho fatto una cosa stupida. Nonraccontarlo a nessuno».

«Tu non raccontare a nessuno quanto mi èpiaciuto», rispose Beck sorridendo.

Entrò nella camera di equilibrio e chiuse ilportello interno. Depressurizzò, aprì quelloesterno e lo bloccò aperto. Afferratosi a unamaniglia dello scafo, si issò fuori.

Johanssen lo guardò finché fu visibile, poi tornòa lavorare al pannello. Lo aveva già disattivato

dalla sua postazione. Estrasse un tratto di cavo, nescorticò l’estremità e cominciò a prepararla condel nastro isolante in attesa di Vogel.

Il tedesco arrivò qualche minuto dopo,fluttuando con attenzione lungo il passaggio con labomba tra le mani.

«Per l’accensione ho usato un cavo solo»,spiegò. «Non volevo correre il rischio di unascintilla tra due fili. Se ci fosse dell’energiastatica nel momento in cui la colleghiamo sarebbepericoloso per noi».

«E come facciamo a innescarla?», chieseJohanssen.

«Il cavo deve raggiungere un’alta temperatura.Basterà che lo mettiamo in corto».

«Dovrò bloccare l’interruttore», disseJohanssen, «ma funzionerà».

Ritorse i fili presi dal pannello su quello dellabomba e li saldò con qualche giro di nastroisolante.

«Chiedo scusa», disse Vogel, «ma devo tornarein Camera 2 a far entrare il dottor Beck».

«Mmm», fece Johanssen.

Martinez rientrò volando sul ponte. «Miavanzava qualche minuto, così ho spuntato la listadi controllo del blocco aerofrenaggio per il localedel reattore. Tutto è pronto per l’accelerazione e ilcompartimento è sigillato».

«Bella pensata», si complimentò Lewis.«Predisponi la correzione di assetto».

«Roger, comandante», rispose Martinezraggiungendo la sua postazione.

«VAL aperto e bloccato», comunicò Beck.«Comincio la mia traversata dello scafo».

«Ricevuto», disse Lewis.«Questo calcolo non è tanto semplice»,

annunciò Martinez. «Devo fare tutto al contrario. IlVAL è davanti, quindi l’origine della spinta sarà inopposizione diretta ai nostri motori. Il nostrosoftware non prevedeva l’esistenza di un motorenel muso. Perciò dovrò fargli credere che la nostraintenzione è di darci una spinta verso Mark».

«Prenditi il tempo che ti serve e fai i contigiusti», rispose Lewis. «E non eseguire finché non

te lo dico io. Non ci metteremo a far rotearel’astronave con Beck appeso allo scafo».

«Roger», disse lui. Dopo un momento aggiunse:«Okay, ho inserito la correzione e sono pronto aeseguire».

«In attesa», ordinò Lewis.

Vogel, nuovamente in tuta, depressurizzòCamera 2 e aprì il portello esterno.

«Era ora», disse Beck issandosi all’interno.«Mi scuso per il ritardo», rispose Vogel. «Mi è

stato chiesto di fabbricare una bomba».«Oggi è stata una giornata bizzarra», commentò

Beck. «Comandante, io e Vogel siamo inposizione».

«Ricevuto», rispose Lewis. «Risalite contro laparete anteriore della camera. Saremo a circa 1 gper quattro secondi. Legatevi tutti e due».

«Ricevuto», disse Beck agganciando il cavo.Entrambi si sistemarono contro la paratia.

«Okay, Martinez», disse Lewis, «mettici nelladirezione giusta».

«Ricevuto», rispose Martinez eseguendo lacorrezione di assetto.

Mentre Martinez completava la manovra,comparve sul ponte Johanssen. Il locale ruotòintorno a lei. Johanssen si appese a una maniglia.«La bomba è pronta e l’interruttore è chiuso»,annunciò. «Posso far scoppiare la bombaaccendendo da qui il Pannello 41».

«Chiudi il ponte e mettiti al tuo posto», ordinòLewis.

«Ricevuto», disse Johanssen. Azionò ildispositivo di tenuta d’emergenza e sigillòl’ingresso del ponte. L’operazione fu completatacon pochi giri di manovella. Tornò alla suastazione e condusse un rapido esame. «Pressioneponte in aumento a 1,03 atmosfere… Pressionestabilizzata. Abbiamo una buona tenuta».

«Ricevuto», disse Lewis. «Tempoall’intercetto?»

«Ventotto secondi», riferì Johanssen.«Cavoli», intervenne Martinez, «ci siamo».«Pronta, Johanssen?», chiese Lewis.

«Sì», rispose lei. «Devo solo schiacciare iltasto di invio».

«Com’è il tuo angolo, Martinez?»«Dritto sul bersaglio, comandante», riferì

Martinez.«Cinture», ordinò Lewis.Tutti e tre si bloccarono con le cinghie ai propri

sedili.«Venti secondi», annunciò Johanssen.

Teddy prese il suo posto in sala VIP. «A chepunto siamo?»

«Quindici secondi allo scoppio del VAL»,rispose Venkat. «Dov’eri?»

«Al telefono con il Presidente», rivelò Teddy.«Credi che funzionerà?»

«Non ne ho idea», rispose Venkat. «Non mi sonomai sentito così impotente».

«Se ti è di consolazione», ribatté Teddy, «èquello che provano praticamente tutti gli altriesseri umani di questo pianeta».

Dall’altra parte del vetro Mitch passeggiavaavanti e indietro.

«…Cinque… quattro… tre…», contò Johanssen.«Preparatevi all’accelerazione», disse Lewis.«…due… uno…», continuò Johanssen.

«Attivato Pannello Illuminazione 41».Pigiò il tasto di invio.Dentro la bomba di Vogel, attraverso un sottile

filo denudato fluì tutta la corrente del sistemad’illuminazione interna dell’astronave. Raggiunsein un attimo la temperatura di combustione dellozucchero. E quello che nell’atmosfera terrestresarebbe stato un modesto sfrigolio, nell’ambientedi ossigeno puro del contenitore diventò unaconflagrazione incontrollata. In meno di centomillisecondi, la massiccia pressione provocatadalla combustione fece scoppiare il contenitore el’esplosione che ne risultò disintegrò il portellodella camera d’equilibrio.

L’aria all’interno di Hermes fu risucchiata nelvuoto attraverso il VAL aperto, catapultandol’astronave nella direzione opposta.

Vogel e Beck erano schiacciati contro la paratiadella Camera 2. Lewis, Martinez e Johanssen

sopportarono l’accelerazione sui loro sedili. Nonfu una forza di entità pericolosa. Fu in effettiinferiore alla forza di gravità della superficie dellaTerra. Ma fu irregolare e sussultoria.

Dopo quattro secondi il tremito si esaurì el’astronave tornò in condizioni di assenza di peso.

«Locale reattore ancora pressurizzato», riferìMartinez.

«Chiusura bridge in tenuta», disse Johanssen.«Ovviamente».

«Danni?», chiese Martinez.«Ancora non lo so», rispose Johanssen. «Ho

puntato la Camera Esterna 4 sulla prua. Non vedoproblemi allo scafo nei pressi del VAL».

«Ce ne preoccuperemo dopo», disse Lewis.«Velocità relativa e distanza dal MAV?».

Johanssen usò velocemente la tastiera. «Stiamoscendendo sotto i ventidue metri e siamo a dodicimetri al secondo. È un po’ meglio del previsto».

«Watney», chiamò Lewis, «ha funzionato. Becksta venendo da te».

«Bingo!», esclamò Watney.

«Beck», disse Lewis, «tocca a te. Dodici metrial secondo».

«Ci sono quasi!», rispose Beck.

«Salterò fuori», annunciò Beck. «Dovreiguadagnare altri due o tre metri al secondo».

«Ho capito», disse Vogel, che reggeva nellamano il cordone ombelicale di Beck. «Buonafortuna, dottor Beck».

Beck puntò i piedi sulla paratia dietro di sé,fletté le ginocchia e si spinse fuori della camerad’equilibrio.

Appena libero, si orientò. Una rapida occhiata adestra gli mostrò quello che da dentro non potevavedere.

«Contatto visivo!», gridò. «Vedo il MAV!».Il MAV non aveva più un granché del veicolo

spaziale: le sue linee aerodinamiche erano ora uncoacervo di scomposti segmenti di scafo ealloggiamenti vuoti, da dove erano stati asportatitutti i componenti non indispensabili.

«Gesù, Mark, ma che cosa hai fatto a quelpoveraccio?»

«Dovresti vedere cosa ho fatto al rover», glirispose Watney via radio.

Beck si indirizzò su una rotta di intercetto. Erauna manovra in cui si era esercitato molte volte. Ilpresupposto era che dovesse recuperare uncompagno il cui cavo si era spezzato, ma ilprincipio era lo stesso.

«Johanssen», chiese, «mi vedi sul radar?»«Affermativo».«Dammi la mia velocità relativa su Mark ogni

due secondi».«Ricevuto. 5,2 metri al secondo».«Ehi, Beck», disse Watney. «Io ho il muso

spalancato. Vengo su e mi preparo adacchiapparti».

«Negativo», intervenne Lewis. «Nessunmovimento senza cavo. Resta legato alla tua sediafinché non sei agganciato a Beck».

«Ricevuto», disse Watney.«3,1 metri al secondo», riferì Johanssen.«Andrò d’inerzia per un po’», disse Beck.

«Devo arrivare più vicino prima di rallentare».

Ruotò su se stesso preparandosi alla spintasuccessiva.

«Undici metri al bersaglio», disse Johanssen.«Ricevuto».«Sei metri», disse Johanssen.«Eeeeeeee controspinta», annunciò Beck,

attivando di nuovo i propulsori dell’MMU. Il MAVstava riempiendo quasi del tutto il suo campovisivo. «Velocità?», chiese.

«1,1 metri al secondo», rispose Johanssen.«Abbastanza bene», commentò lui allungando le

mani verso il MAV. «Ci arrivo d’inerzia. Credo dipoter afferrare un lembo del telo strappato…».

I brandelli del telo erano i soli appigli cheoffriva quella sezione di scafo che per il resto eracompletamente liscia. Beck si protese il piùpossibile e riuscì ad agguantare un lembo.

«Contatto», riferì. Strinse più forte e si tirò inavanti, mentre contemporaneamente cercava unappiglio con l’altra mano. «Contatto confermato!».

«Dottor Beck», disse Vogel, «abbiamo superatoil punto di appoggio più vicino e ora ti stai

allontanando. Ci restano 169 metri di cavo.Corrispondono a quattordici secondi».

«Ricevuto», disse Beck.Fece capolino dall’apertura e, guardando dentro

la cabina, vide Watney legato al suo lettino.«Contatto visivo su Watney!», riferì.«Visivo su Beck!», riferì Watney.«Come va, amico?», chiese Beck issandosi

dentro il MAV.«Non… non…», balbettò Watney. «Dammi un

minuto. Sei la prima persona che vedo da diciottomesi».

«Non abbiamo un minuto», ribatté Beck dandosiuna spinta con un calcio alla paratia. «Abbiamoundici secondi prima di rimanere senza cordone».

La spinta che si era dato lo portò al lettino, doveurtò goffamente Watney. I due si presero per lebraccia per impedire che Beck rimbalzasseall’indietro. «Contatto con Watney!», riferì Beck.

«Otto secondi, dottor Beck», lo informò Vogelvia radio.

«Ricevuto», disse Beck mentre agganciavaprecipitosamente la propria tuta a quella di Watney

con i moschettoni del cavo. «Agganciati», disse.Watney slacciò le cinghie del suo lettino.

«Libero», annunciò.«Usciamo», disse Beck, spingendosi con un

colpo di piedi verso l’apertura.Salirono insieme nella cabina del MAV. Quando

passarono attraverso il varco nel muso, Beckpiantò un braccio sullo scafo per darsi una spintaulteriore.

«Siamo fuori», riferì.«Cinque secondi», disse Vogel.«Velocità relativa verso Hermes: dodici metri

al secondo», lo informò Johanssen.«Mi spingo», disse Beck e attivò l’MMU.Stretti l’uno all’altro, accelerarono per qualche

secondo in direzione di Hermes. Poi sul displaydell’MMU si accese la spia rossa.

«Abbiamo fatto fuori il carburante», disse Beck.«Velocità?»

«Cinque metri al secondo», rispose Johanssen.«In attesa», disse Vogel. Durante tutta la

manovra aveva continuato a svolgere cavo nelvuoto. Ora afferrò con entrambe le mani l’ultimo

tratto ancora disponibile. Non strinse troppo forte,perché così facendo sarebbe stato trascinato fuoridella camera d’equilibrio. Si limitò a chiudere lemani sul cordone, creando frizione.

Ora Hermes stava trascinando con sé Beck eWatney, con Vogel a usare il cavo a cui eranoagganciati come un ammortizzatore. Se Vogelavesse impresso troppa forza, il contraccolpoavrebbe strappato il cavo dai moschettoni sullatuta di Beck. Se ne avesse usata troppo poca, ilcavo si sarebbe svolto del tutto prima che le duevelocità si equilibrassero, con uno strattone finaleche ugualmente avrebbe fatto saltare i moschettonidella tuta di Beck.

Vogel riuscì a trovare la forza giusta. Dopo cheper qualche secondo le leggi della fisica furonomesse a dura prova in uno stato d’animo dimassima apprensione, Vogel sentì che la tensionedel cavo cominciava a diminuire.

«Velocità zero!», riferì emozionata Johanssen.«Tirali dentro, Vogel», disse Lewis.«Ricevuto», rispose Vogel. Una mano dopo

l’altra, tirò lentamente i compagni verso la camera

d’equilibrio. Dopo qualche secondo smise ditirare attivamente e si limitò a recuperare ilcordone.

Beck e Watney entrarono nella camerad’equilibrio. Vogel li afferrò. Beck e Watney siappesero entrambi alle maniglie. Vogel si affrettò agirare loro intorno e chiuse il portello esterno.

«A bordo!», riferì Beck.«Portello esterno Camera 2 chiuso», riferì

Vogel.«Sì!», urlò Martinez.«Ricevuto», disse Lewis.

La voce di Lewis rimbalzò in tutto il mondo:«Houston, qui Hermes. Sei membridell’equipaggio sani e salvi a bordo».

La Sala Controllo esplose in un applauso. Icontrollori schizzarono in piedi dai loro postigridando, abbracciandosi e piangendo. La stessascena si ripeté in tutto il pianeta, nei parchi, neibar, negli istituti civici, nelle abitazioni private,nelle aule delle scuole, negli uffici.

In una casa di Chicago un uomo e una donna dimezza età si strinsero l’uno all’altro in un gesto diincommensurabile felicità reciproca, poicoinvolsero in un abbraccio di gruppo anche ilrappresentante della NASA.

Mitch si tolse lentamente le cuffie e si girò aguardare i presenti in sala VIP. Attraverso il vetrovide gli incontenibili festeggiamenti di donne euomini elegantemente vestiti. Guardò Venkat e silasciò andare in un lunghissimo sospiro disollievo.

Venkat si prese la testa nelle mani e sussurrò:«Che gli dèi siano ringraziati».

Teddy estrasse dalla sua borsa una cartellettablu e si alzò in piedi: «Credo che Annie mi stiaaspettando in sala stampa».

«Credo che oggi non avrai bisogno dellacartelletta rossa», commentò Venkat.

«Ti dirò onestamente che non ce l’avevo».Mentre usciva aggiunse: «Bel lavoro, Venk.Adesso riportali a casa».

Giornale di bordo: Giorno Missione 687

Lì per lì quel “687” mi ha confuso. Su Hermesteniamo conto del tempo in giorni di missione. Giùsu Marte sarà anche Sol 549, ma quassù è GiornoMissione 687. E sapete una cosa? Non haimportanza che data c’è su Marte perché io nonsono lì!

Dio del cielo. Davvero non sono più su Marte.Lo capisco perché non c’è gravità e intorno cisono degli altri esseri umani. Mi sto ancoraadeguando.

Se fosse stato un film, saremmo stati tutti nellacamera d’equilibrio e ci sarebbero stati batticinque a destra e a manca. Ma non è andata così.

Durante l’ascensione del MAV mi sono rotto duecostole. Mi facevano sempre male, ma quandoVogel ci ha tirati dentro con il cavo il dolore èsalito alle stelle. Non volevo distrarre le personeche mi stavano salvando la vita, così ho azzerato ilmicrofono e mi sono messo a strillare come unabambinella.

È vero, sapete? Nello spazio nessuno puòsentirvi strillare come una bambinella.

Dopo che mi hanno tirato dentro, hanno aperto ilportello interiore della camera d’equilibrio e misono trovato finalmente di nuovo a bordo. Hermesera ancora in condizioni di vuoto, così nonabbiamo dovuto attivare la camera d’equilibrio.

Beck mi ha ordinato di restare inerte e mi haspinto giù per il corridoio verso il suo alloggio(che quando necessario funge anche da“infermeria”).

Vogel è andato nell’altra direzione a chiudere ilportello esterno del VAL.

Abbiamo aspettato che Johanssen ci desse il vialibera, poi il dottor Bossy-Beck si è tolto la tutaprima di togliermi la mia. Quando mi ha tolto ilcasco, ha avuto un momento di choc. Ho pensatoche vedesse qualche terrificante ferita alla testa oche so io, invece era l’odore.

È passato un po’ di tempo dall’ultima volta cheho lavato… qualcosa.

Poi è stata la volta di raggi X e bende intorno alpetto mentre i miei compagni controllavano sel’astronave aveva subìto dei danni.

È stata quindi la volta dei batti cinque (conannesso dolore), dopodiché ciascuno si è ritirato ilpiù lontano possibile dal mio afrore. Ci siamoconcessi qualche minuto di rimpatriata prima cheBeck cacciasse via tutti. Mi ha dato degliantidolorifici e mi ha detto di fare una docciaappena avessi potuto muovere le braccia. Dunqueadesso sto aspettando che il farmaco faccia effetto.

Penso all’incredibile numero di persone chehanno unito i loro sforzi per salvare le mie poverechiappe e stento a capirlo. I miei compagni hannosacrificato un anno della loro vita per tornare aprendermi. Un numero imprecisato di persone halavorato alla NASA giorno e notte per inventaremodifiche da apportare al rover e al MAV. Tutto ilJPL si è fatto in quattro per organizzare il lancio diuna sonda che è andata distrutta nella fase didecollo. Poi, invece di rinunciare, hannofabbricato un’altra sonda con cui rifornireHermes. L’Amministrazione spaziale nazionale

cinese ha abbandonato un progetto al qualelavorava da anni solo per mettermi a disposizioneun booster.

Il costo della mia sopravvivenza dev’esserenell’ordine delle centinaia di milioni di dollari.Tutto per salvare un botanico un po’ tonto. Perchédarsi tanta briga?

Ma sì, conosco la risposta. In parte dev’esserestato ciò che rappresento: progresso, scienza e ilfuturo interplanetario che sogniamo da secoli. Mafondamentalmente lo hanno fatto perché ogniessere umano possiede l’istinto innato di aiutare ilsuo prossimo. Certe volte può non sembrare chesia così, ma è vero.

Se un’escursionista si perde in montagna, cisono altre persone che coordinano una spedizionedi ricerca. Se un treno deraglia, c’è gente che simette in fila per donare il sangue. Se un terremotorade al suolo una città, c’è gente che da tutto ilmondo invia rifornimenti. Tutto questo è cosìfondamentalmente umano che si riscontra senzaeccezioni in tutte le culture. Sì, ci sono le teste dicazzo a cui non frega niente, ma sono una

minuscola minoranza in confronto a tutti quelli acui frega moltissimo. E per questo motivo io hoavuto dalla mia parte miliardi di persone.

Niente male, eh?Fatto sta che le costole mi fanno un male della

malora, ho la vista ancora annebbiatadall’accelerazione, ho una fame da paura, mancano211 giorni a quando rimetterò piede sulla Terra e,a quel che mi dicono, puzzo peggio di una puzzolache ha cagato su un cumulo di calzini sudati.

E questo è il giorno più felice della mia vita.

Indice

Capitolo 1Capitolo 2Capitolo 3Capitolo 4Capitolo 5Capitolo 6Capitolo 7Capitolo 8Capitolo 9Capitolo 10Capitolo 11Capitolo 12Capitolo 13Capitolo 14Capitolo 15Capitolo 16Capitolo 17Capitolo 18Capitolo 19

Capitolo 20Capitolo 21Capitolo 22Capitolo 23Capitolo 24Capitolo 25Capitolo 26