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primo numero (reprint) della pubblicazione dell'Istituto Patastorico musicale
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LYRABLUES Bollettino dell’I.P.M. (Istituto Patastorico Musicale) fondato e diretto da Eugenio Crosia
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It’s only pop music but I like it!
<< Ero un cialtrone anch’io. C’era un tempo in cui ascoltavo il cd
Le Mystère des voix bulgares, la cosa più brutta che fosse mai stata
pubblicata dall’etichetta inglese 4DA, e me la tiravo molto, perché faceva
intellettuale, faceva colto ascoltare quelle quattro gatte balcaniche scorticate
In realtà odiavo quel disco tanto quanto avevo amato i peggiori cascami del
Saturday night fever (dai Gibson Brothers a Carl Douglas)... >>.
(T. Labranca “Chaltron Hescon”: Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo, Einaudi, 1998)
In un epoca in cui vengono esaltate e consumate tutte quelle forme di ibridazioni e di
contaminazioni fra culture “basse” e “alte” ( musica “pop” o musica “colta”) o fra
espressioni musicali differenti nello spazio e nel tempo, in un epoca in cui vengono
sempre meno le distinzioni fra generi musicali e fra senso versificato e letterarietà, si
ha la sensazione che una sola massa indistinta e atemporale di suoni sembra
pervadere e ossessionare l’intero pianeta. Mettendo in sintonia le nostre orecchie, qui
ed ora, con le stazioni radio o col sistema telematico e televisivo possiamo renderci
conto che su questo limbo di terra, dico l’Italia, il magma avanza in modo molto
consistente: è possibile risollevarci per evitare di essere travolti?
Un modo può esserci: è quello di ascoltare il passato, la musica del passato per
capire quella del presente. Non per nostalgia o tanto meno per fatui “revivals”: si
tratta di interpretare, nel senso ermeneutico, per riuscire a capire le intenzioni e il
sostrato antropologico che accompagnano certe forme musicali.
L’Italia è stata, ed tuttora è, un crocevia di civiltà musicali, di combinazioni ardite e
di miseri fallimenti imitativi: la sua tradizione sonora inimitabile si è fusa con altre
espressioni musicali di altri paesi, generando un insieme straordinario di canzoni,
opere e fenomeni umani (dive o divi, miti o macchiette). Ogni decennio ha avuto il
suo contatto immaginario con il paese o i paesi immaginari: basti pensare le musiche
jazz e boogie “iu-es-ei “alla fine degli anni quaranta; alla rumba, al mambo e al cha
cha cha , suoni latino americani , negli anni cinquanta; al beat e rock anglosassone
degli anni sessanta, alle band del rock (sinfonico e sperimentale) europee e, di nuovo
statunitense, negli anni settanta.
Si può parlare di una contaminazione originale (basti pensare a Carosone che rifà in
chiave jazz il “Rock around the clock” di Bill Haley and the Comets) o una vera e
propria imitatio (esempio: Rita Pavone che riprende “If I Had a Hammer”, vecchio
hit politicissimo di Peter Seeger, con esiti umoristici e adolescenziali).
Fin dal secolo scorso, quando l’etnomusicologo Caravaglios propose un’ipotesi
dinamica dello sviluppo di culture musicali (l’esistenza di un fondo celtico e uno
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mediterraneo, che mescolandosi, avevano prodotto la tradizione italiana), negli studi
sulla nascita di culture e subculture musicali vi furono quelle intuizioni creative che
portarono ad una interpretazione dinamica e cangiante della storia delle musiche e
delle canzoni: una storia cioè di intersezioni e di stravolgimenti di situazioni
musicali immobili. Parafrasando un vecchio testo sulla “nascita del rock e roll” (a
cura di Alessandro Portelli, Savelli ed., 1981) e concludendo si può scrivere: <<... il
rock ( ma anche tutto ciò che è popular music, N.d.R. ) è davvero immortale, è privo
di amore verso le radici della sua esistenza, è facile al furto di bassa lega, alle
concessioni sul gusto. alla spettacolarizzazione, è privo insomma di quel moralismo
che il folk il jazz e la musica classica hanno alla base >>.
Per chiudere possiamo tranquillamente sostenere che anche le forme musicali citate
viaggiano oramai verso altri “paesi immaginari”.
PER UN CD DI WORLD MUSIC ITALIANA
Track 1) Lino Cannavacciuolo, “ Falankos” , (dal cd “Aquadia”, Harmony music
1999)
2) Il Parto delle Nuvole Pesanti, “Aisa”, ( dal cd “Alisifari”, Lilium 1994)
3) La Rionda, “Battilin battilan-a\Suittu”, (dal cd “Tribù italiche” EDT 2001)
4) Acquaragia Drom, “Tromba de’ zingari”, (dal cd “canti sudati”,
il manifesto, 1995)
5) Arakne Mediterranea, “Pizzica di Ostuni”,( dal cd “Attarantati 1”
Ed. al sur, 1999)
6) Orchestra ligure di strumenti a Pizzico, “Milena”, (dal cd “Tribù italiche”,
EDT 2001)
7) Maestri musicisti di Siderno, “Quartetto” (registraz. originale: cd “Mare
Nostrum” 1992)
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8) Quartaaumentata, “Vai”, (dal cd “Navigando”, 2002)
Notarella
Nonostante lo spazio ristretto dedicato dai media alla produzione autonoma italiana, qualcosa
sembra muoversi nello sclerotico sistema discografico nostrano. E’ un pullulare di piccole case
discografiche, una cosmologia di iniziative e prodotti, in cui tante situazioni di varia dimensione
danno luogo ad universi sonori differenti. La produzione delle nuove generazioni, semplicemente
segnalata e commercializzata grazie alle nuove reti di comunicazione, mostra di avere vitalità e una
nuova forma di opportunità di promozione della cultura musicale si sta affermando nel nostro,
difficile, paese.
*****
RECENSIONI
I gruppi siciliani e calabresi del “Teatro del Sole”, etichetta discografica ideata dalla
siciliana “Associazione Cielozero”, sono da anni impegnati a promuovere le nuove
sonorità e le culture, aperte a influssi e sollecitazioni provenienti dal Mediterraneo,
che hanno caratterizzato il nuovo modo di concepire e produrre musica nel
meridione. Forniamo qui un elenco di questi lavori (per chi fosse intenzionato a
saperne di più segnaliamo il sito www.teatrodelsole.it).
SUN, “ETHICITY”, ED.TEATRO DEL SOLE
PHALEG, “PSICHE”, ED.T.D.S.
CIROMA, “CIROMA”, TDS
TABERNA-VENEZIANO-GIUNTA, “PONTELLA DELLA GINESTRA.1947-
97”, TDS
FRANCESCO GIUNTA, E SEMU CCA’, TDS
DEDALUS,”DEDALUS”,TDS
TABERNA MYLAENSIS, FAMMI RESTARI POPULU E SANTI, TDS
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Straordinario è il lavoro intrapreso da questa piccola casa di edizioni discografiche
incentrato sulle riedizioni delle opere e delle cantate di ROSA BALISTRERI,
cantante siciliana di elevata caratura, già collaboratrice di Ennio Morricone. Ecco i
titoli:
- ROSA BALISTRIERI, “Noi siamo all’inferno carcerati”
- R. B., “Vinni a cantari all’aria scuvertu”
- R.B., “Terra che non tenti”
- R.B., “Amore tu lo sai la vita è amara”
- ROSA BALISTRIERI, “Concerto al teatro”, 1969.
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I (N) dimenticati
Nino Ferrer (Nino Agostino Maria Ferrari, Genova 1934) di origini franco -italiane,
chansonnier, poeta fragile e cantante eclettico ha avuto la fortuna di vivere i favolosi
anni sessanta, anni in cui la libertà era spesso legata alla semplicità nelle arti come
nella vita. Iniziò la carriera di musicista come bassista di musica jazz e nel 1963
incise, col suo primo gruppo di Rithm and Blues, il suo primo disco a 33 giri, con
pezzi originali e cover. Debuttò al festival di Sanremo nel 1968 col brano “Il re
d’Inghilterra”, in coppia con la cantante Pilade. Nel 1970 fu protagonista di un
curioso episodio: gli fu chiesto il passaporto perché era stato preso per un cantante
straniero! (l’accento francese e il suo caschetto biondo aveva creato dei dubbi agli
organizzatori del festival della canzone italiana).
Sempre in cerca di uno stile personale, abbastanza ignorato dal grande pubblico, si
trovò clamorosamente al centro dell’attenzione grazie ad un brano diventato un hit,
“Vorrei la pelle nera” portato al successo dall’ incisioni fatta da Mina.
Col suo volto duro ma dai lineamenti molto espressivi, con un animo portato verso la
leggera malinconia dei francesi vicino al mood di Brel piuttosto che di Brassens,
Nino Ferrer ci ha lasciato delle magnifiche interpretazioni: dalla canzone comique al
vaudeville, alle romantiche canzone jazzate fino alle ,allora nuove, espressioni della
musica brasiliana (bossanova in primo luogo). Alcuni titoli: la celebre “Agata”, “Les
petit filles de bonne famille”, “Donna Rosa (che fu la sigla di una famosa
trasmissione televisiva) e “La rua Madudeira”. Alla fine del 1971 si ritirò dalla scena
italiana, rifiutando l’intera sistema musicale del “paese del bel canto”. Ribelle ed
anticonformista seppe mantenere un certo livello di produzione musicale nella sua
seconda patria : la Francia. E’ questo fino agli inizi degli anni 90, fino al silenzio
durato tre anni quando si seppe che si era suicidato (1993).
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Mina interpretò in modo straordinario la sua canzone profetica del 1965: “ C’est
irreparable”. Con Caterina Caselli cantò “Re di Cuore” al festival sanremese del
1970. Con Rosanna Fratello, al festival 1971, cantò “Amsterdam”.
Un ottima raccolta su cd del suo principale repertorio è quella della casa discografica
“Riviera” (539 930 2) intitolata “Enregistement public”
in breve: Case discografiche
LA ARION
Le storiche registrazioni dell’ARION (Universo folklore) hanno rappresentato negli
anni 60-70 una vera e propria manna dal cielo per gli appassionati di musica extra-
europea ( e, in senso lato, extra occidentale). La collana era diretta da Ariane Segal,
etnomusicologa di fama e docente di antropologia in varie Università europee e
americane. Fra le migliori cose ricordiamo due LP straordinari: “La messa a
Yaoundé” , dedicata alla musica religiosa africana ( una registrazione dal “vivo”
della cerimonia), e “Musiche dal serraglio”, una struggente esecuzione di brani di
alta cultura musicale turca e araba, registrazioni effettuate a Topkapi (Istanbul) da
Jean Claude Chabrier.
Conta canto (un incipit per un’opera)
<< A Storyville!, a Storyville! devi andare... è tutto un’altra bellezza!>>. Storyville, a New Orleans, nella Lousiana. Era il quariere della Marina Militare degli Stati Uniti. Marinai inglese e francesi, italiani e spagnoli, brasiliani e africani erano tutte le sere a spassarsela dentro il Grande bordello, a scopare e bere in bische clandestine, e la sera era tutt’un inferno di musiche grida scazzottate e tristi canti di ogni lingua, una babele di lingue. Tutti noi ,io suonavo il violino, eravamo i benvenuti... portavamo un po' del nostro caos, qui nel 1909. Io mi trascinavo in questo vortice, e il mio violino mi faceva diventare bambino, a ricordare quando nella mia Sicilia alle nozze di mia sorella più grande vidi suonare il violino di Masinu u piscaturi, il genio.
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Un uomo , Una storia.
Johann Hoelzel nacque il 19 febbraio del 1957 a Vienna, quartiere borghese di
Margareten. Da piccolo aveva ascoltato i Beatles, Cliff Richard e, naturilich, Elvis.
Abbandonò la scuola a 16 anni e durante il servizio militare, da autodidatta, imparò il
basso elettrico.Le sue grandi passioni, a quell’epoca, erano il David Bowie di “Low”,
“Heroes” e “Lodger”, album influenzati dalla sofisticata espressione musicale di
Brian Eno. A Vienna frequentò per qualche mese il Wien Music Conservatory.
Appassionato di musica fin da giovanissima età, si unì con un gruppo di adolescenti
che con la garage band “Trasformer Station” fecero alcune feste. Ma, in realtà, la sua
carriera venne avviata come bassista e (più raramente) chitarrista di un gruppo di
chiara matrice punk, gli “Umspannwerk”. Poco dopo prese parte ad un tour con un
gruppo berlinese, gli “Hallucination Company”. Con questa band partecipò ad uno
dei tanti festival punk del 1977 e spettacolare fu il concerto tenutosi a Munich
proprio in quell’anno. In questo periodo erano all’attivo i gruppi della “Neue
deutsche well”(gruppi come i Kraftwerk e i Can) che spostarono notevolmente il suo
interesse verso il pop elettronico e la new wave; a ciò va aggiunto l’arrivo delle
prime sonorità afroamericane successivamente chiamate “Hip Hop culture”, e la
musica e il canto di Grandmaster Flash ebbe un effetto dirompente sul giovane
musicista. Positiva fu anche l’influenza di band commerciali come “The Spinning
Wheel”. Vagando da gruppo a gruppo Johann provò anche come solista: pubblicò
due lavori, in una sorte di prematura visione del suo futuro, intitolati “Change to
dance” e “Summer”, che non ottennero il successo sperato. Nel 1980 si unì come
bassista al gruppo post-punk dei Drahdiwaberl. Un loro album uscito nel 1982, fu
molto apprezzato negli ambienti post-punk dell’Austria, che poi si riduceva, per quel
che riguarda la geografia musicale, alla Wien dei posti occupati e dei club-birrerie
più giovanili. Johann aveva contribuito ai testi e alla musica di gran parte dei brani di
“Einzelhaft”, il 33 giri che aveva consentito il primo tour del gruppo. Due testi
significativi, la cinica “Ganz Wien”, e “Jeanny”, incentrata sulla figura di una
prostituta, subiscono la censura. Sicuramente importante fu l’incontro col produttore
musicale Marcus Spiegel: si accordano per la pubblicazione di tre album dando la
massima libertà d’espressione al musicista. Prima però conclude la fase con il
gruppo: “Die Galeere” dei Drah, come chiama il suo gruppo, non ebbe un successo
ma portò ad una separazione in amicizia. Il primo album “Junge Roemer”, fu
addirittura un flop commerciale. Falco in realtà era già divenuto un personaggio a i
suoi concerti cominciarono ad essere frequentati in massa. Col brano “Der
Kommissar” storie di cocaina e “polizei”, diviene improvvisamente famoso in tutto il
mondo: il suo modo di cantare, facendo verso al rap e mischiando pop elettronico
con testi surreali e ironici, aveva raggiunto quell’effetto domino che consentiva di
piacere ai ragazzini frequentatori di discoteche come ai non più giovani, stanchi del
rock. Il 25 maggio del 1985, dopo la pubblicazione di Falco 3, il concerto di Falco
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(alias Johann Hoelzel) nella Wiener Rathausplatz, venne seguito da cinquantamila
persone: fu un concerto memorabile, atipico, con continui richiami alla kabarett
musik e alla scenografia bauhaus... nonché uno sberleffo al culto di Mozart con
l’ironia di un nuovo Wolfgang Amadeus!. Ed è proprio il brano “Rock me Amadeus”
del 1986 che lo proietta ai vertici dalla classifica di vendita statunitense. Una
versione più lunga del brano in questione, di impronta techno dance anticipò un
modo di produrre musica che sarà dominante negli anni a venire
Nello stesso anno diventa padre di una bimba, Katharina Bianca: ne sposa la madre
Isabella ma dopo circa 10 mesi si separano Fino al 1989 non fa nulla si culla di un
successo che sa di essere effimero. Alla fine di quell’anno esce un album pop e
sofisticato, ma no un orribile voce femminile Brigitte Nielsen. Nel 1990 pubblica un
altro lavoro avveniristico Data de Glove, inquietante, spigoloso di difficile ascolto e
con qualche perla seminascosta in tumultuose estrapolazioni sonore.
Per il quinquennio successivo si ritira dalle scene musicali. Nel 1995 spunta un
capolavoro assoluto; utilizzando sonorità techno produce “T>>MA”. Per ironia della
storia , nonostante il pieno boom delle culture che da li a poco si definiranno Ravers
e travellers, il lavoro di Falco non conosce nessun successo commerciale. nonostante
si intensifica il suo lavoro di “ricercatore sperimentatore musicale. Si trasferisce nella
Repubblica Domenicana, ma il 6 febbraio, pochi giorni prima del suo 39
compleanno, muore in un incidente automobilistico.
JAZZ anni novanta
Il jazz compie escursioni in territori prima inesplorati. Quello italiano si contamina
col folk o altrimenti la musica popolare tout court ( basti pensare ad alcune incisioni
di Carlo Actis Dato, Pino Minafra, Daniele Sepe, Gianluigi Trovese, Enrico Rava);
quello nordico, dell’Europa settentrionale, compie vere e proprie rivoluzioni sonore.
Quest’ultimo, infatti, attraversando lo sperimentalismo e giungendo ad un approccio
“neomedievale” (per i suoi richiami ad ancestrali melodie e tradizioni) oppure
classico contemporaneo, finisce con un quasi sconfinamento che rende impercettibili
le differenze fra la forma jazz e quella classica contemporanea: basta fare i nomi di
Keith Jarrett e di Jan Garbarek per avvalorare questa tesi.
La vitalità del jazz, negli anni novanta, fa prefigurare una nuova grande avventura di
questa musica quasi centenaria. I festival europei hanno evidenziato come una certa
partecipazione di grande pubblico sia il prodotto di un cambiamento di gusti e di
interessi da parte di nuove generazioni che delusi dal rock, dalla musica pop e da
altri generi, si dedicano a questa musica che nonostante tutto mostra segni
indecifrabili e per questo attraenti. Il Jazz subendo una mutazione, che è anche una
contaminazione, trova nuovo spazio( magari etichettato non proprio come “jazz” dai
puristi della tradizione) sui mass media come non succedeva da molto tempo. Negli
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Stati Uniti è avvenuto un passaggio che da una concezione generazionale e di
“movimento” degli autori e compositori si è passati a singoli musicisti dotati di
intraprendenza e personalità atipiche che spaziano, con non-chalance fra culture
musicali distanti e differenti. Questi musicisti, singoli ma non isolati, sono
riccamente dotati di ingegno creativo e stanno anch’essi compiendo la propria
rivoluzione culturale e musicale. Un cambiamento incentrato su un discorso molto
complesso ma dagli sviluppi indefiniti: l’unitarietà della musica afroamericana.
Secondo quest’idea in fase di sviluppo, tutta la produzione afroamericana, dal gospel
ai worksongs, dal blues al soul, dal swing al funk e rap, hanno una matrice comune
che è stata adattata, e quindi variata, in funzione dei contesti, degli interessi e del
portato antropologico dei soggetti produttori e fruitori del genere specifico. Quindi
un’unica forma complessa del ritmo della melodia e dello stile per una moltitudine di
generi. Contaminazioni fra musica africana in rapporto con la tradizione musicale
europea mediata dagli americani, che a secondo del prevalere del ritmo, della
melodia o dell’armonia genera uno stile man mano definito.<< Parlando di jazz una
cosa è certa: il suo futuro è nel suo passato. Anzi in due passati distinti. Uno remoto
che paradossalmente passa per essere più attuale, è quello dei fratelli Marsalis e dei
Joshua Redman, affonda le proprie radici in un linguaggio risalente ormai a mezzo
secolo fa, e si autodefinisce classico o nuova main stream. L’altro derivato da
sviluppi più recenti passa per antiquato, ed è il cosiddetto post free...>> (F. Bianchi,
recensioni, 1994).
UN RICORDO
<< Eric Dolphy era un santo in ogni momento fuorché quando suonava>> (Charlie Mingus)
Roccella Jonica, 24 Agosto 199.
Tributo ad Eric Dolphy: Trovesi (col suo ottetto); Oliver Lake (quintetto)
La citazione
<< E’ sorprendente quanta influenza abbia la musica di scarsa qualità >> .Quando questo aforisma, efficace ma ottuso fu pronunciato per la prima volta sul palco nel 1930, la “raccapricciante popolarità della musica “(1966)... era già un dato di fatto e una questione reale. Nessuno ... avrebbe potuto prevedere a quel tempo quanto questa musica sarebbe diventata onnipresente negli anni ottanta. La popolarità di massa è “raccapricciante”? Se si perché? Come e perché è influente la popular music? E in che senso è di “scarsa qualità”? Perché si reagisce alla popular music con battute ironiche, indignate o sconcertanti invece di analizzarla? O, in altri termini perché la nostra conoscenza della popular music è ancora così rudimentale? >>. (R. Middleton, Studiare la popular music, Feltrinelli 1994)
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Musica progressiva italiana: un elenco (band, titolo lp, anno di pubbl.)
Alluminogeni, Scolopendra, 1972
Balletto di Bronzo, YS, 1972
Uno, UNO, 1974
Trip, Time for ch’ange, 1973
Seramis, Dedicato a Frazz, 1973
Rovescio della medaglia, io come io, 1972
La pentola di Papin, zero sette, 1977
Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, Per un mondo di cristallo, 1972
Pholas Dactylus, omonimo, 1972