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Michael Holroyd Lytton Strachey L’arte di vivere a Bloomsbury Traduzione di Luca Fusari

Lytton Strachey

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Page 1: Lytton Strachey

Michael Holroyd

Lytton StracheyL’arte di vivere a Bloomsbury

Traduzione di Luca Fusari

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www.saggiatore.it (sito & eStore) Twitter @ilSaggiatoreEd Facebook il Saggiatore editore

© Michael Holroyd, 1994, 1995

© il Saggiatore S.p.A., Milano 2011 Titolo originale: Lytton Strachey

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Lytton Strachey

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Ho ormai oltrepassato il mezzo del cammin di nostra vita e sono ri-masto alquanto sorpreso nello scoprire che malgrado ciò l’esisten-za continua a essere assai interessante. Nella prima giovinezza ero convinto che lo sviluppo personale giungesse al termine compiuti i trent’anni, ma non mi pare sia così: al contrario, sembra proprio che le cose si facciano più interessanti anziché meno. Inoltre, danno più gratificazione. Più avanti andiamo, più padroni diventiamo della vita – di ciò che vogliamo e di ciò che possiamo avere – e dei mate-riali del nostro lavoro, che danno un senso più saldo di sicurezza e potere. Finalmente credo di vedere dove porta la mia strada.

Lytton Strachey a Lady Strachey (1º marzo 1916)

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Sommario

PrefazioneLytton Strachey in Italia 9

Introduzione 13

parte prima

Guerra e pace 21

1. La vergine e lo zingaro 23; 2. Ore neglette 39; 3. Amori fragili e cuori subalterni 49

parte seconda

Tidmarsh 61

1. Dramma e incertezza 63; 2. Manovre estive 66; 3. Il mulino 76; 4. «Tout est possible» 84

parte terza

Una vita a parte 93

1. Il successo, i soldi, gli altri 95; 2. Il beau monde 106; 3. La regina Vittoria e altri saggi 116; 4. Memorie di un ufficiale di fanteria 121; 5. Alta società, bassa società e vita letteraria 127; 6. Il problema delle cose che capitano 137; 7. Da Pangbourne verso sud 143; 8. La fine della Regina Vittoria 152; 9. Lune e lune di miele 158

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parte quarta

Eminente edoardiano 167

1. La grande Panjandrum 169; 2. Baci e pesca 177; 3. Opinioni e recensioni 182; 4. Santa Valentine 188; 5. Digressioni diplomati-che 193; 6. Un finale alla Ibsen 201

parte quinta

Ham Spray House 215

1. Giochi di carte e gatti 217; 2. Attaccamento 225; 3. Un modera-to successo 232; 4. Altre macchinazioni e nuovi scuotimenti 236; 5. Trafficando con Elisabetta 247; 6. Aspettando Roger 261; 7. In-sieme 275; 8. Fine di un’epoca 282

parte sesta

Un altro mondo 291

1. Elisabetta, c’est moi! 293; 2. Due in arrivo e uno in partenza 305; 3. Ambizioni 317; 4. Interludio estivo 331; 5. Le cose che capita-no e le cose in generale 339; 6. Addio alla Francia 350; 7. L’ultimo silenzio 356

Epilogo 371

Ringraziamenti 383

Appendice bibliografica 385

Note 399

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parte prima

Guerra e pace

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«Garsington deve essere il rifugio nel quale tutti verremo a con-giungerci.»

D.H. Lawrence a Ottoline Morrell (20 giugno 1915)

«Qui si sente la vera Inghilterra – in questa vecchia casa, in questa campagna – in maniera tanto struggente.»

D.H. Lawrence a Edward Marsh (10 novembre 1915)

«Dovrei guardarmi da Garsington.»

D.H. Lawrence a Mark Gertler (21 febbraio 1918)

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1. La vergine e lo zingaro

Nell’autunno del 1915 Lytton Strachey passò qualche giorno a Asheham House, la residenza che Vanessa Bell aveva affittato da Virginia e Leonard Woolf. Ovvia-mente c’erano anche Duncan Grant e Mary Hutchinson, e vi erano state invitate due studentesse d’arte, Barbara Hiles e Dora Carrington. Barbara, descritta da Ottoline Morrell come «una ragazza piacevole, lesta e vivace», carina e cordiale, era molto ammirata da Saxon Sydney-Turner, che (come in seguito notò Virgi-nia Woolf) fischiava come una teiera ogni volta che le si avvicinava. La sua ami-ca Carrington non era quel che si dice bella, con il naso storto, la faccia tonda, i denti irregolari e, nella fantasia di Virginia, «un corpo verde e giallo, immensa-mente compatta e massiccia, da cima a fondo». Il suo tono di voce era scialbo, piuttosto lezioso e pignolo, e di tanto in tanto emetteva un piccolo sospiro affet-tato. Sembrava un groviglio di umori strani: impulsiva, insicura, agitata, ansiosa di piacere – sempre persa in continue attività. «Somigli a una scatola di biscotti assortiti» le disse Iris Tree. «I tuoi genitori erano Huntley e Palmer.»1

Malgrado lo scarso fascino, grazie alla sua aria misteriosa Carrington si fa-ceva notare; e gli altri, sensibili a una strana attrattiva, la circondavano, le si av-vicinavano. Era un’adulatrice nata; aveva un sorriso abbagliante; si ingraziava – facendosi quasi civettuola – chiunque le andasse a genio. Sembrava sempre straordinariamente viva, arsa dai sentimenti più intensi e fuorvianti riguardo al-le persone, ai luoghi, persino agli oggetti.

In lei vi era qualcosa di infantile: le gote rosse, l’azzurro intenso degli occhi così luminosi, la carnagione color rosa e crema, liscia come porcellana, i capelli folti color paglia sfumati d’oro e portati corti e lisci, come un paggio fiorentino. Era timida davanti alla macchina fotografica, le sfuggiva lungo rotte irregolari e frenetiche come una farfalla al retino. Ma i suoi quadri rivelano un coinvolgimento

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appassionato con la natura, e le sue lettere, «come il frusciare delle foglie, le voci degli uccelli, la disposizione delle forme naturali» (così le descrisse Gerald Brenan), mostrano come fosse riuscita a conservare miracolosamente intatti i propri istinti nella transizione dall’infanzia alla vita adulta. Aveva ventidue anni, tredici in meno di Lytton. Benché avesse accettato gli inviti di Ottoline, rifiutato gli approcci di Bunny Garnett e lavorato un po’ per l’Omega Workshops di Roger Fry, questa era la sua prima immersione nel mondo di Bloomsbury. «Ero molto più felice di quanto mi aspettassi» scrisse a Mark Gertler (dicembre 1915). Ogni mattina presto andava a passeggio sulle colline e lungo «le ampie dune erbose selvagge», e al ritorno trovava gli altri ancora a letto. Durante il giorno aiutava Vanessa in cucina, dove si viveva e mangiava, «tutti sprovvisti di buone maniere a tavola. La gastronomia è delle più confuse». La sera si beveva punch al rum e si spettegolava. «Che razza di traditori sono questi!» esclamò in una lettera a Gertler. «Si prendono gioco di Ottoline! […] Trovo abominevole da parte loro approfittare della sua gentilezza e ridere di lei.» Duncan era «di gran lunga il più cortese di tutti» riporta a un altro amico (6 dicembre 1915) «e Strachey con la sua faccia gialla e la barba. Puah!».

Un giorno uscirono a fare «una bella passeggiata su colline tremendamente alte. Ho camminato con Lytton». Attratto da lei come lo era stato da Katherine Mansfield e Maria Nys,2 all’improvviso Lytton si fermò ad abbracciarla. Lei scappò; e più tardi quel giorno si lamentò con Barbara Hiles che «quell’orribile vecchio con la barba mi ha baciata!». L’amica cercò di rassicurarla che le avance non sarebbero andate oltre, ma Carrington non voleva capire e la sorridente Barbara scandì la parola o-m-o-s-e-s-s-u-a-l-e. «In che senso?» chiese Carrington. Nessuna ulteriore spiegazione bastò a cancellare il suo risentimento. Decisa a vendicarsi, alle prime ore del mattino seguente entrò in punta di piedi nella stanza di Lytton armata di un paio di forbici, con le quali intendeva tagliargli la barba nel sonno. Doveva essere uno di quegli scherzi devastanti che a lui piacevano tanto, la rivincita perfetta su tanta audacia. Il piano, però, andò a vuoto. Mentre Carrington si chinava su di lui, Lytton aprì gli occhi e la guardò. Fu un momento di curiosa intimità, e lei, che tanti altri aveva ipnotizzato, restò a sua volta ipnotizzata.

*

«Ho avuto un’infanzia orribile» raccontò più tardi (18 novembre 1928) Do-ra Carrington a Alix Strachey. Era figlia di Samuel Carrington, ingegnere civile presso la East India Railway Company, che aveva viaggiato per il mondo prima di tornare cinquantenne in Inghilterra, «un Odisseo […] finalmente a casa», e sposare la governante Charlotte Houghton. Dora idealizzava il padre ma dete-

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stava la madre, nella quale vedeva, come scrive la sua biografa Gretchen Gerzi-na, un esempio di «femminilità inglese convenzionale, domestica e repressiva».3 Nel 1908, quando Dora aveva quindici anni, suo padre restò paralizzato e quasi completamente sordo dopo un colpo apoplettico. Agli occhi di Dora la sofferen-za diede un’intensità particolare alle sue qualità e irrobustì l’odio della ragazza nei confronti della madre-governante. «Non posso perdonar[le] di averlo sotto-messo così e di aver bollato tutta la sua indipendenza e sfrenatezza come “biz-zarrie”» confidò (gennaio 1919) a Mark Gertler.

Era decisa a non lasciarsi sottomettere mai. Eppure, senza volerlo, aveva as-sorbito la paura del sesso dalla madre, per la quale (così ricorda il fratello mino-re Noel) «qualsiasi menzione del sesso o delle funzioni corporee più comuni era impensabile».4 Per sfuggire a questa raffinatezza pretenziosa e soffocante, archi-tettò un sistema di alibi, bugie innocenti, mezze verità e reticenze che si ramifi-cò in un «complicato calendario di inganni», sul quale la sua vita emotiva restò sospesa. «È spesso un fardello per me, il mio inganno» confessò in seguito a Ge-rald Brenan. Vincolata economicamente alla madre, trasformò in arte l’ambigui-tà che usava per proteggersi, tanto che «non avrei potuto dire la verità neanche volendo». A volte si sentiva come Ann Veronica, l’eponima eroina del libro di H.G. Wells, una donna nuova che lotta per la propria libertà. «Qui è come es-sere in una gabbia per uccelli» scrisse da casa (maggio 1915) «si vede tutto ciò di cui si vorrebbe godere e che tuttavia non si può avere. Anche mio padre è in una gabbia, nella quale lo ha messo mia madre, troppo vecchio per cinguettare o cantare.» Dora sapeva cantare in maniera incantevole e tanti giovani uomini ammaliati venivano alla sua gabbia e si offrivano di liberarla. Ma poteva fidarsi di loro? Bramava la liberazione «e tuttavia non la poteva avere». Sembrava che temesse, come una delle prime colombe dell’arca, di perdersi per sempre. For-se era meglio aspettare, sfruttare il suo arsenale di alibi, bugie innocenti, mezze verità e reticenze per nascondersi, al momento cruciale, nel segreto e nella riser-vatezza. Così, a differenza di Ann Veronica, non volò via; piuttosto, sembrava paralizzata come suo padre.

Per la sorella maggiore Lottie Louise, infermiera che fu lesta a cedere la noia di casa in cambio della noia di un matrimonio con un chirurgo ortopedico, nu-triva poche simpatie. In generale era più in sintonia con i fratelli. Sam, il mag-giore, era un giovane rubizzo e piuttosto disperato che si arruolò nell’esercito. Dopo gli shock tremendi subiti in guerra trovò lavoro al canile di Cambridge. Restò sempre il suo zimbello. Teddy, l’affascinante «fratello-marinaio» che di lì a poco sarebbe rimasto ucciso nella battaglia della Somme, si guadagnò invece il suo amore, bello e forte com’era, «così marrone con i suoi occhi e capelli neri e lucenti […] così immenso e saldo». Più di tutti era vicina al fratello minore Noel, che in seguito divenne editore e agricoltore.5 Costretta all’indipendenza da que-

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sti fratelli, arrivò a desiderare di essere lei stessa un ragazzo. Le sue lettere sono piene di lamentele disgustate riguardo alla femminilità. Era tutto così insensato. Non voleva figli. Non voleva avere rapporti sessuali con gli uomini. «Non ne ho mai sentito il desiderio in vita mia» scrisse (16 aprile 1915).

Le esperienze visuali rimediavano a una condizione in buona parte infelice. A scuola aveva avuto un bisogno continuo di disciplina. Secondo le pagelle non era brava in nessuna materia eccetto il disegno e, poiché creava problemi anche a casa, sua madre la spedì alla scuola di Belle arti Slade, dove vinse una borsa di studio.6 Beandosi della sua nuova libertà, si tagliò i capelli e rinunciò all’uso del nome di battesimo femminile Dora – «un nome inglese sentimentale e proleta-rio» come lei stessa lo descrisse a Noel (27 dicembre 1916), che soltanto sua ma-dre continuava a usare. Per il resto della sua vita, anche dopo il matrimonio, fu nota semplicemente come «Carrington».7

Dal momento in cui se ne andò di casa «iniziò una lotta costante per evita-re di tornarvi nelle vacanze ed eludere con qualsiasi espediente la disciplina e le investigazioni materne», ricorda il fratello Noel. La madre non cessò mai di re-criminare per la perdita di controllo sulla figlia, né di stemperare il terrore per i suoi amici artisti.

Fra gli studenti della Slade, Carrington divenne presto «la personalità domi-nante» scrisse il pittore Paul Nash «[…] una figura ben visibile e conosciuta». Era celebre fra le altre ragazze e più che celebre tra i giovani maschi. Paul Nash, che durante una corsa sul piano rialzato di un autobus le prestò le bretelle per una festa in maschera, non era l’unico a esserne attratto. Per molti mesi Albert Rutherson desiderò ardentemente di esprimerle il proprio amore – e all’improv-viso lo dichiarò in una lettera di scuse dalla Francia. «Vi ho amata, e ho amato tutto di voi, sì, il vostro talento, la vostra deliziosa perspicacia e sagacia […] mi hanno donato ore preziose.» Anche C.R.W. Nevinson aveva un’infatuazione per lei. «Non ricordo di essermi mai trovato in una condizione tanto esotica» ammi-se. «[…] mi piacete abominevolmente […] e sono assolutamente vostro.» An-che Mark Gertler era consumato dalla passione sessuale. «Toccare la sua mano è la beatitudine!» declamò «Baciarla il Paradiso! Accarezzandole i capelli qua-si svenni di gioia.» Purtroppo Gertler inviò questa sviolinata a Nevinson. I due giovani e talentuosi artisti furono amici intimi, finché la passione per Carrington non li trasformò in rivali. Fu un periodo disgraziato e doloroso. «Eravamo en-trambi giovanissimi» ricordò Gertler molti anni più tardi, dopo il matrimonio, e non era stata «colpa di nessuno».8 Ma all’epoca accusò Carrington. «Ti ho odia-ta per aver giocato con i sentimenti di due uomini» le disse (gennaio 1913).

Ma Carrington non capì fino in fondo tanta sofferenza e tanto trambusto. Le piacevano tutti – Nash e Rutherston, Nevinson e Gertler – anzi li ammirava e necessitava di loro come compagni d’arte dai quali imparare. Che senso ave-

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va tutta quella frenesia sessuale? Le dava una «profonda nausea». L’unico van-taggio dell’avere così tanti corteggiatori era l’impossibilità pressoché assoluta di impegnarsi con uno solo di essi. Tuttavia, quando Carrington lasciò la Slade, Gertler aveva sbaragliato i rivali guadagnandosi la posizione ingrata di suo spa-simante speciale.

«Tu sei la dama e io il ragazzo dell’East End» le scrisse (dicembre 1912). Era figlio di devoti genitori ebrei, aveva trascorso un’infanzia povera a Whitechapel e si era iscritto alla Slade su consiglio di William Rothenstein della Jewish Edu-cation Aid Society. Come Carrington lottò contro l’incapacità di adattarsi agli standard della Slade ed elesse la ragazza sua femme inspiratrice. «La tua amicizia ispira il mio lavoro» proclamò. «[…] ti penso a ogni pennellata.» Come osservò Nevinson, Gertler era «celebre fra le ragazze e adorato da esse». Ma Carrington era diversa da tutte le attrici e dalle ragazze ebree dell’East End. «Non conosco nessuna uguale a te» scrisse. Era il suo ideale di bellezza. «Penso che tu sia la più pura e sacra ragazza che abbia mai conosciuto e finché rimarrai con me lo re-sterai» le garantì. «Dedicherò tutta la vita al tentativo di farti felice.» Carrington divenne non soltanto il fulcro della sua pittura, ma anche «la mia amica più inti-ma»; non soltanto la sua ispirazione ma un’ossessione. Era unica, così la crede-va, nei suoi entusiasmi improvvisi, di animo semplice e degna di fiducia. Eppure un velo di mistero la circondava ancora, e ogni volta che parlava con quella stra-na voce sfiatata, lanciando sguardi furtivi dagli occhi azzurro nontiscordardimé, era come se gli confidasse un segreto speciale. Dopo che se ne andava, non riu-sciva a cancellare l’immagine del suo volto «come un fiore bellissimo incastona-to nell’oro». Ne era ammaliato, ma anche turbato. «Tu sei l’unica cosa per cui valga la pena vivere, oltre alla pittura» le disse. Ma l’idea assillante di lei lo anda-va sempre più fiaccando e rovinava la sua pittura. Decise di risolvere il proble-ma di prepotenza e le chiese di sposarlo. Ma incredibilmente lei rifiutò. Davvero le loro strade «andavano in direzioni diverse» e la differenza di classe che lo ave-va così eccitato avrebbe inevitabilmente finito per mettersi di mezzo? Nel pieno dello sforzo di Mark per riconciliarsi con quel rifiuto crudele, Carrington ag-giunse che lo amava.

Gertler si ritrovò spaesato, e nel disorientamento iniziò a parlare dei propri guai con D.H. Lawrence, Gilbert Cannan, Aldous Huxley, Ottoline Morrell e altri. Così lui e Carrington si fecero strada nella letteratura dell’epoca. In Giallo Cromo (1921), Gertler diventa il pittore Gombauld, «un giovane corsaro dai capelli neri sulla trentina, dal sorriso scintillante e con grandi e luminosi occhi neri»; Carrington invece traspare nella «rosea e infantile» Mary Bracegirdle, dai capelli corti «che spiovono come una campana d’oro elastico sulle guance», gli occhi «grandi di porcellana azzurra» e l’espressione «perplessa e seria». In Donne innamorate (1921), D.H. Lawrence utilizza alcuni dei tratti di Gertler

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per creare Loerke, lo scultore depravato verso cui Gudrun è attratta (come Katherine Mansfield era attratta da Gertler), mentre Carrington è caricaturata nella frivola modella Minette Darrington – e uno scorcio di Lytton appare nell’affettato Julius Hallyday. Lawrence fu affascinato da ciò che sentì dire su Carrington. Risentito per il desiderio che, rifiutandosi di soddisfarlo, aveva provocato nel suo amico Gertler, si prese una rivincita per conto terzi ritraendola nei panni di Ethel Cane, l’esteta vittima di uno stupro di gruppo e incapace di vero amore, nel racconto None of That. «Odiava sempre gli uomini, odiava tutta la mascolinità attiva dell’uomo. Ambiva alla mascolinità passiva.» Ciò che davvero desiderava, conclude Lawrence, non era l’amore ma il potere. «Sapeva emettere dal proprio corpo un’energia repellente» scrisse «che obbligasse gli altri a sottomettersi alla sua volontà.» La immaginò in cerca di un uomo che facesse la storia, e che agisse come idoneo strumento della sua volontà. Da sola non sarebbe riuscita a ottenere niente. Ma una volta avuto un gruppo di uomini, o qualcuno, o anche uno solo, avrebbe potuto «cominciare» e farli ballare come marionette in una tragicommedia attorno a sé. «Soltanto nell’intimità era priva di scrupoli e impavida come un diavolo incarnato» scrive Lawrence, attribuendole le stesse qualità paranoiche di tanti altri suoi personaggi. «In pubblico e in luoghi sconosciuti era molto a disagio, come chi ha una cattiva coscienza nei confronti della società, e di ciò ha paura. E per questo motivo non riusciva mai a stare senza che un uomo si mettesse tra lei e gli altri.»

Ma quest’uomo doveva essere Mark Gertler? C’era qualcosa di conturbante e intenso in lui: i capelli arruffati, la vitalità straordinaria, le mani bellissime, lo straordinario talento per il disegno, il senso dell’umorismo e le imitazioni, «gli occhi vivaci del genio e della consunzione». Le sue reazioni impazienti a tutto ciò che vedeva trovarono un’eco immediata nel cuore di Carrington. Era qua-si sicura di amarlo. E in tal caso, lui poteva aspettare. Non vedeva nulla di male nell’attesa. Lo amava come amico, come artista, come una sorella ama un fra-tello. «Non ti amo fisicamente, lo sai» gli ricordò (novembre 1915) «ma ti sono affezionata più che a chiunque altro.» Sarebbe mai sfociato in amore, tanto at-taccamento? A volte Gertler si chiedeva se la ragazza conoscesse davvero la pas-sione sessuale.

Una vena di commedia involontaria percorreva la lotta intima tra le volontà dei due. Gertler dichiarò impaziente il proprio amore totale, e la spronò senza indugio a diventare sua compagna o sua moglie. Carrington, a quel punto inca-pace di parlare di argomenti simili se non nei termini più obliqui, lo rassicurò sul suo ruolo di terraferma, dalla quale la donna compiva spedizioni maritti-me verso isole remote e alla quale sarebbe sempre tornata. E quando, stanco di tanta eloquenza metaforica, lui cercava di metterla alle strette riguardo alla da-ta precisa entro la quale si sarebbe visto accettare come amante, lei mormora-

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va «quest’estate» o «quest’inverno» a seconda che fosse autunno o primavera. E tuttavia, all’arrivo della stagione indicata, Carrington ricamava nuove scuse fat-te di isole e continenti. Alla fine, quando Gertler pretese di sapere perché «per-metti a questa barriera – il sesso – di ergersi tra noi», lei lo informò che non era ancora pronta per il suo «corpo concreto».

E quando Gertler giungeva a un passo dalla certezza di non poter mai più conquistare il suo amore, di punto in bianco Carrington gli spediva una confezio-ne di cravatte a pois, un vaso di miele, qualche fiore appena colto oppure una sua foto eccitante accompagnata da una lettera in cui si diceva decisa a essere meno egoista e a renderlo più felice. Il che lo incoraggiava a riprendere la lotta. Ma le ripetute esortazioni a essere felice deprimevano Gertler. Non riusciva mai a ca-pirla. Vedendola sorridere immaginava che lo stesse sbeffeggiando ed era stra-biliato dalla propria terribile dipendenza da lei.

Per molto tempo Gertler ebbe soltanto due argomenti da offrire a Carrington: prima le spiegava che la sua passione era «non lasciva ma bellissima!» e che sba-gliava nel «giudicarmi volgare e sporco»; dopodiché le assicurava che malgrado non fosse «degno della sua compagnia», essendo «di gran lunga troppo volgare e rude per te», sperava tuttavia «di raggiungere grazie al mio lavoro il tuo livel-lo». Durante il 1915 cambiò tattica e la invitò a trascorrere qualche fine settima-na con lui in campagna – presso il mulino di Gilbert Cannan, il cottage di Ethel Walker, la tenuta di Ottoline Morrell – e lei ne fu ben felice. Quando Carring-ton non riusciva a scappare dalla casa di sua madre, Mark le spediva descrizioni avvincenti delle sue avventure londinesi. «In questo momento passiamo momen-ti entusiasmanti a Londra» scriveva. A una festa era stato messo in coppia con «quella piccola tedesca che hai disegnato nuda» e aveva scoperto che «balla in maniera eccellente. Ha un corpo adorabile da stringere». A un’altra festa recitò una scena d’amore con la poetessa Iris Tree, «bellissima in un abito da sera gial-lo pallido […] Iris mi piace più di quanto sia salutare per me». A una terza festa «Katherine [Mansfield] e io – entrambi molto ubriachi – abbiamo amoreggiato con passione davanti a tutti!». Quando non andava alle feste, dipingeva. «I miei quadri, a quanto pare, hanno creato grande scompiglio!» riferì. Clive Bell e Ro-ger Fry lo avevano elogiato, Eddie Marsh lo sosteneva e Lady Cunard «mi ga-rantisce che a Londra “non si parla che di me”».

Queste lettere «mi entusiasmano terribilmente» rispondeva Carrington. «[…] sei famoso, e al tempo stesso famigerato.» Si sentiva «gelosa che tutte queste altre persone» vedessero i suoi quadri prima di lei, e scontenta di per-dersi il divertimento. «Non devi dimenticarti di me» implorava. «[…] temo che mi manchi terribilmente […] bramo il momento in cui verrò.» Avevano con-diviso così tanto, quasi tutto, e così a lungo che forse, dopotutto, poteva anche vivere con l’artista che l’amava. Era stato tanto paziente, e ora la sua amicizia

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era una necessità. «Ti mancano le mie minestre?» domandava lei. Promise di «preparare qualche pudding e buone pietanze da cucinarti quando tornerò», e quando tornò promise anche che sarebbe andata a letto con lui. Andarono a letto insieme, una volta, nel nuovo studio di Gertler a Hampstead, quell’estate, e Carrington ne uscì ancora vergine, per la preoccupazione e l’imbarazzo non soltanto di Gertler ma degli studiosi di Bloomsbury di tutto il xx secolo. L’espe-rienza, come un precedente assalto a opera di Gertler, «mi ha fatto vergognare e sentire impura. Posso farci qualcosa?» gli aveva chiesto. «Magari Dio me lo concedesse. Non pensare che mi crogioli nell’essere asessuata, e che ne sia feli-ce. Ciò addolora anche me.»

La situazione di Gertler era brutta come non mai. «Sei il genere di persona con la quale non si va mai oltre un certo punto di intimità, e chi per un momen-to oltrepassa la linea di confine scopre che sei improvvisamente tornata indie-tro, e resta a bocca aperta. Per certi versi sei straordinariamente disumana.» Era deciso a lasciarla, ma non era in grado. Cosa doveva fare? «Se solo ti abbando-nassi, in amore» lo consigliò D.H. Lawrence (20 gennaio 1916) «lei ne sarebbe molto più felice. Vuoi sempre dominarla, il che non è bene. Occorre imparare a rinunciare a se stessi.» Ma anche Lawrence voleva dominare il prossimo. Co-sì Gertler decise di rivolgersi a uno studioso del cuore umano, e consultò Lyt-ton Strachey.

*

Gertler aveva conosciuto Lytton a una festa di Ottoline, dopo la quale Lytton ac-carezzò la speranza che il giovane pittore potesse succedere a Henry Lamb nel ruolo di artista della sua vita. Con Gertler si mostrò generoso e galante, lo costrin-se ad accettare copie delle Pastorali di Virgilio, di Tristram Shandy, Amleto, poesie di Thomas Hardy, lettere di Keats e romanzi di Dostoevskij. Mark ne fu lusinga-to e si tuffò nella lettura. E non solo: accettò inviti a prendere il tè, uscì a passeg-gio con Lytton ai giardini di Kensington, parlò francese, visitò il Lacket e Belsize Park. Spesso erano imprese difficili, i classici e i tè e le lezioni di francese. Eppure era grato delle attenzioni di Lytton. «Sono diventato molto amico di Lytton Stra-chey» si vantò con Carrington (marzo-aprile 1915) «[…] Abbiamo avviato una corrispondenza. È un uomo molto intellettuale – nel senso buono, intendo. Parla-re con lui è splendido […] parla a lungo con me quando siamo soli.» Leggermen-te in soggezione davanti alla raffinatezza di Lytton, si comportava al meglio. In un’occasione Lytton gli spedì alcune sue poesie e un dattiloscritto di Ermyntrude e Esmeralda. Alcuni dei brani erano sconcertanti, ma Gertler era deciso a lasciarsi colpire. «Ermyntrude e Esmeralda mi è parso estremamente spassoso. Ma le poesie mi sembrano belle. Hai forse altri scritti da farmi leggere? Mi piacerebbe.»

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Quale autore può resistere a una richiesta simile? Subito giunsero altre poe-sie, inframmezzate da volumi di Shelley, che contribuirono a rafforzare in Ger-tler l’idea di Lytton come uomo di vedute sessuali ampie e intenzioni artistiche serie. Era orgoglioso di avere un amico come lui. «Sono infelice. Vieni a trovar-mi presto» lo pregò Mark. Ma fu un errore, perché Lytton lo scambiò per un in-vito sessuale. «Da quel momento mi sento a disagio quando sono con lui» spiegò Gertler a Carrington, e quando Lytton, che non accettava di vedersi respinto, si precipitò al suo studio, Gertler sbirciò dallo spioncino ma non lo lasciò entrare. «Non puoi capire quanto sia sgradevole per un uomo la consapevolezza di at-trarre un altro uomo in quel modo […] per un uomo dabbene attrarne un altro fisicamente è cosa semplicemente ributtante!» Malgrado questa difficoltà, «Lyt-ton mi piace» disse a Carrington. Forse poco saggiamente, Carrington gli confidò ciò che era successo tra lei e Lytton a Asheham – e se ne pentì all’istante. «Per-donami se ti ho detto di Lytton, non volevo» si scusò lei. «Solo, preferivo che venissi a saperlo da me […] a un uomo spregevole come quello non si dovrebbe consentire di renderci felici o tristi.» Ma Gertler non riuscì a prendere sul serio l’episodio. Nei mesi seguenti Carrington sembrava più felice che triste, e Ger-tler iniziò a trarne beneficio. Con tutto lo sgobbare sotto la tutela di un istituto-re come Lytton, i suoi miglioramenti da novello Monsieur Jourdain furono una meraviglia – soprattutto agli occhi di Carrington. Lei per prima era poco accul-turata, e rispettava molto chi studiava.

All’inizio del 1916 Gertler partorì un piano di scaltrezza strabiliante per vin-cere la resistenza di Carrington. Aveva sperimentato, nel proprio interesse, ogni trucco possibile: l’aveva lasciata per tre mesi interi; l’aveva bombardata con le attenzioni più estreme; aveva parlato apertamente del suo amore per lei; le ave-va mentito; aveva perso la pazienza; aveva discusso; aveva implorato: tutto in-vano. Possibile che l’erudizione di Lytton riuscisse laddove il suo rozzo ardore aveva fallito? Se questo discepolo della licenza sessuale fosse riuscito a sfruttare la propria cultura e autorità per sciogliere il nodo della verginità di Carrington, forse lei si sarebbe finalmente concessa a Gertler. Più ci pensava, più il piano si profilava come il migliore. Lytton – Gertler ne era certo – aveva un’alta consi-derazione di lui come pittore e ovviamente non avrebbe avuto alcun interesse a rimpiazzarlo tra gli affetti di Carrington. Il piano sembrava infallibile.

Perciò Gertler non fece obiezioni al fatto che Carrington frequentasse Lyt-ton da sola. Ignorava l’«incredibile eccitazione interiore» (20 aprile 1916) che nasceva in lei ogni volta che andava a trovarlo – e comunque non vi avrebbe cre-duto; e lei non gli rivelò mai che talvolta lo abbandonava per stare con Lytton. Carrington non aveva mai provato una felicità simile. Era inspiegabile. Straordi-naria. Si prefisse di rendersi indispensabile a lui senza rinunciare all’amicizia di Gertler. Gli ostacoli da superare dovettero sembrarle quasi insormontabili. La

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prevedibile ostilità dei terrificanti membri della cerchia di Bloomsbury, la disap-provazione della sua formidabile madre e la rabbia gelosa dello stesso Gertler – che avrebbero dovuto restare, tutti, all’oscuro della sua formidabile devozione per Lytton – avrebbero scoraggiato qualsiasi altra donna. Ma non Carrington. Ancora più scoraggiante era il riserbo da giraffa di Lytton. La ragazza si senti-va così intimorita da lui, da rischiare a malapena persino una telefonata, perché «sentito da quell’apparecchio sembrava frigido e severo». E spesso la terrorizza-va anche con i suoi silenzi.

L’atteggiamento di Lytton nei confronti di Carrington cambiò con il prosie-guo della relazione. Tanta devozione lo gratificava in certi momenti, lo allarmava in altri. Osservando lo strano legame dell’uomo che per poco non aveva sposa-to, Virginia si accorse che compiuti i trentacinque anni Lytton stava diventan-do «curiosamente gentile, d’animo più dolce, premuroso». «Con lui mi sembra possibile un’intimità che con gli altri è rara» scrisse. E allora qual era la natura dei suoi rapporti intimi con Carrington? L’avrebbe sposata, come Ottoline dice-va a tutti? «Dio!» esclamò lui «la sola idea basta e avanza. Una cosa so: che non sposerò mai nessuna…»

«Ma se è innamorata di te?» insistette Virginia.«Be’, allora deve cogliere l’occasione.»«A volte mi sento come gelosa…»«Di lei? È inconcepibile!»«Preferisci me, vero?»9

A quel punto risero entrambi e lui aggiunse di preferire ovviamente Virginia. La quale annotò sul proprio diario che Lytton aveva parlato «con una schiettez-za senza lusinghe, e tuttavia priva di qualsiasi cattiveria». Eppure la schiettezza era stata alquanto attenuata dalla «più affettuosa e comprensiva» consapevolezza dei desideri di Virginia. Perché Lytton era «uno dei suoi più arrendevoli» ami-ci, «la cui mente sembra la più suggestionabile dalle impressioni». Forse in quel momento Strachey la sapeva segretamente compiaciuta nel sentirlo timoroso che Carrington potesse «impedirmi di scrivere, oso dire»; e in un’altra occasione in cui i due le fecero visita, lui sussurrò che avrebbe «preferito stare per conto no-stro senza di lei». Virginia fu felice anche quando, anni dopo, Lytton le dedi-cò il suo Regina Vittoria. «Avresti dovuto dedicare Vic[toria] a C[arrington]» lo rimproverò.

«O santo cielo, no – non siamo affatto in questi rapporti.»«Ottoline andrà su tutte le furie.»10

A conti fatti, Lytton pensò che Ottoline avrebbe potuto arrabbiarsi. Ma non Carrington.

Ciò che lasciava perplessa Virginia quando meditava sui lati sgradevoli del carattere di Strachey – la sua erudizione prosaica «priva di magnanimità, spoglia

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d’atmosfera», lo scarso calore fisico, la vitalità fallimentare, la compostezza, la polverosità, la tacita presunzione del diritto a un benessere e un’agiatezza supe-riori che proteggessero una natura «infinitamente cauta, elusiva e non avventu-rosa» –, ciò che lasciava perplessa Virginia alla luce di tutto questo era l’origine dell’ammirazione travolgente di Carrington per Lytton. «A volte mi chiedo dove voglia andare a parare» scrisse poi Virginia sul suo diario (6 giugno 1918). «[…] suppongo che il magnetismo dell’influenza di Lytton metta in grave subbuglio il suo equilibrio spirituale.»

Gradualmente i sospetti di Virginia riguardo a Carrington si dileguarono. Era un’ospite spigliatissima e guardava i quadri con l’occhio della vera artista. Con Lytton era «appassionata, solida, scervellata, riconoscente, un’alunna molto umi-le, ma di personalità sufficiente a non risultare insipida». Nel 1918 Virginia giun-se alla conclusione che Lytton aveva migliorato Carrington, e del miglioramento si complimentò con lui. «Ah, ma il futuro è molto buio – devo essere libero» ri-spose Strachey. «Avrò voglia di andarmene.» E se fosse stata Carrington a voler-sene andare? suppose Virginia, e non lo vide felice dell’ipotesi. Il fatto era che, secondo lei, anche Carrington aveva migliorato Lytton. «Sarà meno arguto, ma è più umano» notò (22 gennaio 1919). «[…]. Tuttavia Carrington mi piace. Ha aumentato la sua benevolenza.» Ciò nonostante, il futuro di quel legame impro-babile sembrava davvero buio, e di tanto in tanto Virginia si chiedeva: «Ma cosa succederà a C[arrington] […] cosa succede adesso a Carrington?».

Lytton restò sorpreso dalla gioia che provava insegnando a Carrington i pia-ceri della letteratura inglese. Malgrado il maestro sapesse pungerne nel vivo l’ignoranza, l’allieva era impaziente di fare sue le lezioni e talvolta di passarle a un Gertler che, sempre premuroso e in vana attesa, presto si ritrovò a ricevere una doppia dose di prosa e poesia. Con il passare dei mesi e l’arrivo dell’esta-te, l’attaccamento di Carrington a Lytton si fece così forte, che infettò pressoché ogni molecola del suo essere. Quasi perse la propria identità, prendendosi cura di lui come gli altri si prendono cura di se stessi. Quando Lytton stava con lei, Carrington era viva; quando si allontanava per una settimana, un giorno, lei ces-sava di esistere ovunque tranne che nelle lettere che gli scriveva – lettere disor-dinate, senza punteggiatura, piene di errori ortografici, scarabocchiate con foga su facciate e facciate di fogli di protocollo oppure pagine strappate a quaderni per bambini, e accese da disegni alla Edward Lear che ne illustravano le storie, il contesto. In parte attribuiva la sua misteriosa felicità con Lytton alla natura mol-to diversa del loro rapporto rispetto al legame tempestoso con Gertler. Lytton pretendeva poco da lei e non interferiva mai con la sua libertà. Se non era più li-bera, era perché lei stessa pretendeva molto da sé. A differenza del tormentato Gertler, Lytton era cortese e cavalleresco. Con lui si sentiva al sicuro. In pace. Divenne il suo «Chère [sic] Grandpère»; lei era «Votre grosse bébé». Vedendoli

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insieme, Virginia in seguito osservò (23 luglio 1918): «Lytton molto divertente, affascinante, benevolo e come un padre per C[arrington]. Lei lo bacia e gli ba-da, e ottiene buoni consigli e una sorta di protezione».

La notizia che Lytton era diventato un surrogato di padre giunse presto a Wyndham Lewis. Da padre prolifico e sfuggente vide nello status onorario di Lytton un tipico sotterfugio stracheyano per imporre la propria pseudomascoli-nità rivoluzionaria, e in Carrington il tentativo di costruire, in maniera alquanto tardiva e inadeguata, la figura paterna dominante che le era mancata nell’infan-zia. Nel romanzo Le scimmie di Dio (1930), l’arcinemico del «clan di finocchi» di Bloomsbury traccia una caricatura del caricaturista, sotto il nome di Matthew Plunkett. Plunkett cammina con l’andatura pesante e affettata di una gru, uti-lizza manierismi che ricordano suo padre, sfoggia davanti agli sconosciuti una cerimonia gufesca di timidezza d’ordinanza, e si esprime con due voci ben di-stinte, la prima uno strillo acuto da bisbetica, la seconda di genere più percus-sivo e sgradevole – «un balbettio nasale modellato sugli effetti di un fastidioso catarro». Da uomo moderno molto appassionato di psicologia, l’eroe concepi-sce l’idea assai originale di sottoporsi a un trattamento psicanalitico nello stu-dio dell’ebreo dottor Frumpfsusan – vicenda bizzarra suggerita dalla carriera di James Strachey, paziente, pupillo e traduttore di Freud. L’obiettivo di Plunkett, espresso in termini junghiani, è di diventare estroverso così da poter superare «un complesso d’inferiorità psichica di scala virulenta». Il dottor Frumpfsusan gli spiega che dovrà falsificare la natura a proprio vantaggio. «La sensazione di inferiorità» suggerisce adulante «può essere la conseguenza di una conclamata superiorità! L’handicap del genio, no?» Per ottenere l’estroversione, Plunkett deve sforzarsi di essere un Gulliver a Lilliput. «Per avere quella coscienza di sé davvero presuntuosa» conclude «[…] lei deve scegliere amici piccoli […] mi cre-da, la compagna che sceglie non è mai troppo piccola.»

È perciò su ordine del dottore che Plunkett si mette con Betty Blythe, una minuta donna-bambola simil-Carrington. Passiva come un fantoccio, la sua figu-ra minuscola viene oscurata dall’orco della leggenda bloomsburiana, che svetta su di lei sforzandosi di assumere pose da filibustiere. Un pomeriggio, quando la ragazza passa a trovarlo, riesce ad accarezzarle un ricciolo biondo pallido con la punta delle dita di una mano affusolata, e sentendo finalmente «una vibrazione distinta nelle recalcitranti profondità della sua persona» si china e la solleva «co-me fosse una piuma da mezza tonnellata». Con le ginocchia piegate e tremanti zoppica contro la parete e poi fino in camera da letto, salvo lasciar capitombola-re Betty a terra per lo shock improvviso alla vista del suo amante dell’anno pri-ma, sdraiato a letto nel pieno del sonno.

In questa farsa Lewis implica ingegnosamente che la conquista di un’amica intima timorosa e sottomessa, come il farsi crescere la barba, avesse lo scopo di

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promuovere Lytton a uomo di particolare virilità. Ma la rappresentazione spet-tacolare non segue gli eventi biografici. È vero che l’amante di Lytton era ancora sdraiato tra le coperte. Ma lui non lasciò andare Carrington prima di raggiunge-re il letto, che a suo tempo si sarebbe caricato di un conglomerato vorticista di sagome intrecciate.

Per qualche mese Carrington continuò a scrivere a Lytton «con il censore dentro» (giugno 1916). Eppure le sue lettere continuavano a farlo ridere frago-rosamente, anche a colazione. Malgrado non si fidasse ancora del tutto di lui, non riusciva a non farsi sempre più apertamente affettuosa, a non dirgli «da quan-do è iniziato questo disgustoso culto della verità» quanto bramasse «di stare an-cora con te».

Le sue lettere a Gertler nello stesso periodo sono meno coerenti. Prima pro-pone di lasciarlo, perlomeno temporaneamente, «perché mi fa quasi impazzire di dolore vederti infelice». Poi lo sprona a leggere Keats. Si sforza di spiegare le differenze tra loro: «Tu sei troppo possessivo, io troppo libera. Ecco perché non potremmo mai vivere insieme». Ma in aprile scrive: «Bramo di rivederti. Co-me un’affamata che ha aspettato [il] pasto tanto a lungo […] ci vedremo molto spesso ora». Poi, in un biglietto a matita del mese successivo, è ancora più inco-raggiante. «Non mi amerai invano» gli promette (16 maggio 1916) «[…] e alla fine non ti deluderò.»

*

Lytton e Carrington trascorsero insieme gli ultimi dieci giorni di maggio a Gar-sington, durante una delle più ambiziose feste di Ottoline. Tra gli ospiti c’era-no Philip Snowden11 con la moglie, Bertrand Russell, Maynard Keynes e varie giovani dame, sorde o francesi. «Gli Snowden sono provinciali come ci si pote-va aspettare» scrisse Lytton al fratello James (31 maggio 1916) «[…] lei, povera donna, tremendamente banale e austera, in abiti banali e austeri, lui con un forte accento del Nord ma anche una certa sfumata grandiosità. Davvero troppo po-liticizzato e lontano da qualsiasi abitudine di conversazione civile perché fosse possibile parlargli – si era costretti ad ascoltare aneddoti e osservazioni (buone o cattive); in conclusione un inetto buono e cordiale.» In questo conclave anti-governativo, durante il torpore della domenica pomeriggio, mentre i pavoni lan-ciavano i loro continui ululati come anime dannate in giardino, il Primo ministro e la sua comitiva giunsero appena in tempo perché uno di loro effettuasse il sal-vataggio di un domestico che per scherzo fingeva di annegare. L’atmosfera era più quella di una campagna nelle Fiandre che di una festa in un giardino ingle-se, ma quando l’eccitazione svanì e fu servito il tè, Lytton riuscì a studiare l’en-tourage di Asquith. «Altroché se erano un gruppo raffazzonato» riferì a James.

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Era il Primo ministro a interessarlo più di tutti. Asquith sembrava diventato più rosso e massiccio dal loro ultimo incontro nell’estate del 1914. Si erano rivisti al culmine della crisi dell’Ulster; ora si ritrovavano qualche giorno dopo la rivolta degli irlandesi. Scrisse Lytton a James: «Ho studiato il Vecchio con estremo vi-gore ed è davvero strabiliante».

Sembrava molto più grande dell’ultima volta (appena due anni fa); un abate medievale carnoso, sanguigno, sbevazzatore, un vecchio appiccicoso, lascivo, cinico – puah! – avresti dovuto vederlo andare incontro a Carrington, taglian-dole la strada in un angolo mentre attraversava il giardino. Di rado ho visto qualcuno godersi la vita in maniera così sfrontata; così sfrontatamente deciso a godersela, ho pensato; davvero, quasi come avesse volontariamente stabilito di farlo, e al diavolo tutto il resto. Cinico sì, impossibile dubitarne; o forse meglio dire «temprato». Tiens! Lo si guarda e si pensa alla guerra […]. E di continuo, senza sosta, una lingua piccola, appuntita e grassa sbuca e lecca quelle grosse mandibole, per poi schizzare indietro. Più di tutto il resto, ciò lo fa somigliare a Artful Dodger – il felice Artful Dodger. Le sue imprese da boudoir con Ot-toline sono curiose, se dobbiamo credere a ciò che sentiamo; anche il suo at-teggiamento nei confronti del Pozzo12 mi ha colpito – lo rifugge proprio («non c’è molto sugo in lui» ha detto in privato a sua eccellenza la signora […] co-sì superficiale, lo sapevamo!). Ma allora perché, perché si accompagna a una creatura come Lady Meux? Nel complesso, vien voglia di infilargli un coltel-lo tra le costole.

Il godimento era il tema dominante della personalità di Asquith. Aveva chiara-mente goduto di un buon pranzo con parecchi bicchieri di buon vino. «Aveva l’aria di un imperatore romano (lo si poteva immaginare coronato d’alloro)» ri-cordò in seguito Lytton (2-6 maggio 1918) «o di un papa del Rinascimento (“be’, concedetemi di godere del mondo, ora che sono Vicario di Cristo”) […] era di-sgustoso; eppure, la straordinaria soddisfazione di quell’uomo era tale che, mal-grado tutto, non si poteva non percepire una sorta di affabile giovialità tutta sua.»13

A Garsington, nei momenti più calmi, Lytton faceva «enormi passeggiate», come disse a James « – “spedizioni” – insieme a, indovina, Carrington. Una nel borgo di Abingdon, un angolo magico, il municipio forse di Wren – terra di mangiatori di loto, dove ho bramato di sprofondare per il resto dei miei giorni in un incredibile oblio…».

Quanto a Carrington, è una giovane bizzarra. Queste donne moderne! Cos’han-no per la testa? Sembrano estremamente vaghe. Per quale motivo? È perché sono

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così «piene»? O vuote? Mi lasciano perplesso. Quando penso a Bunny [Garnett] […] o persino a Gertler non trovo nulla di particolarmente oscuro, ma quando si tratta di creature con la fica ci si trova immediatamente désorientés. Ecco for-se perché non amiamo particolarmente le fiche. Suppongo che questa, in parte, sia la spiegazione. Tuttavia, ah, eccole che serpeggiano; e in generale mettono a disagio.

Da Garsington, dove Asquith aveva accelerato le proprie avance verso di lei, Carrington scrisse a Gertler e lo rimproverò di aver «gettato l’ombra del dub-bio sulla nostra fiducia reciproca», e promise che non avrebbe «baciato nessuno se la cosa ti addolora». Lo rassicurò che farlo sentire felice era l’unica cosa dav-vero importante, e che non teneva a nessun altro come a lui. Concluse con una similitudine che forse lo avrebbe rincuorato. «È stato come una chiusa sul fiu-me, con le nostre due barche bloccate dalla chiusa. Ora è aperta, e possiamo fi-lare veloci sul fiume.»

Quando Carrington parlava di Gertler, Lytton non sapeva chi dei due gli facesse più pena. Mark lo aveva gettato nell’ansia scrivendogli una disperata descrizione di sé. A quanto sembrava, era vicino alla bancarotta. «Ho appe-na sentito Gertler, dice di trovarsi sull’orlo del crollo» scrisse Lytton a Clive Bell da Garsington (12 maggio 1916) «ha riscosso le sue ultime 2 sterline dalla banca e non avrà niente di niente per un’altra settimana. Pensi che si possa fa-re qualcosa? Sono certo che 10 sterline gli sarebbero molto d’aiuto, e pensavo che forse saresti in grado di investire tale somma in un piccolo quadro o qual-che disegno. O proporlo a qualcun altro. Se fai qualcosa, ovviamente, non di-re nulla di me, perché i commenti che ha fatto riguardo alle sue finanze erano alquanto accidentali, senza il proposito di chiedere l’elemosina.»

Lo stesso giorno Lytton scrisse una lettera piuttosto pomposa ma magnani-ma allo stesso Gertler.

Da molto desidero possedere una tua opera, perciò ti prego di tenermi da par-te un disegno oppure un pezzo piccolo, che valga a tuo giudizio la cifra che al-lego [10 sterline], e lo verrò a ritirare non appena tornerò a Londra. Quanto mi piacerebbe avere uno dei quadri più grandi – che idioti sono i ricchi! E quanto mi disgusta pensarli mentre sfrecciano sulle loro automobili con le loro sterline a migliaia, quando uno come te è in difficoltà. Ciò che rende la cosa particolar-mente mostruosa è che i bisogni degli artisti sono così modesti – quanto basta a mantenere una vita di decoro. Allo stesso tempo, malgrado mi dispiaccia che te la passi tutt’altro che bene rispetto a un comune burocrate, puoi esser certo che non ti compatisco, perché tu sei un artista, ed esserlo vale più di tutti i con-ti correnti di tutte le banche di Londra.

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Carrington fu lieta che i suoi nuovi amici di Bloomsbury, specialmente Lytton, aiutassero Gertler, e scrisse entusiasta a quest’ultimo dicendosi felice di sapere che finalmente aveva venduto qualche quadro. Ma non fu il genere di lettera che Mark si aspettava. «Non congratularti con me soltanto perché ho dei soldi» la rimproverò (20 maggio 1916). «Odio i soldi e le persone da cui li ottengo […]. Se potessi concedermi una notte, fallo, così renderesti felice il tuo amico infeli-ce.» Carrington gli concesse una notte a Londra, ma in seguito scrisse per scu-sarsi «perché nel tentativo di alleviare il tuo tormento ieri notte, sento di essermi comportata soltanto da villana con te». Le risultava più facile descrivergli i «me-ravigliosi fiori azzurri, e tanti uccelli che cantano tutto il giorno». Dipingeva tu-lipani e stava tornando a Garsington per dipingere ancora – «così tanti tulipani da rendermi già fiacca d’entusiasmo». Aveva fatto anche due bagni in piscina prima di colazione. «I bambini non portano vestiti e corrono sull’erba, e si in-filano tra i tulipani, fino alla vita fra i tulipani gialli. Il che mi ha depressa per-ché sono bellissimi e ho desiderato l’impossibile, di somigliare più a loro, e ho odiato questo fardello di corpo che circonda il mio spirito […]. Adesso sei feli-ce perché ti amo?»

Ma Gertler non era felice. Riceveva soltanto descrizioni di fiori e uccelli e co-pie delle poesie di Keats. «Nel mio umore attuale non so che farmene di Keats» le aveva detto. Era perplesso da quelle grandi metafore che non portavano da nessuna parte. «Mi scrivi sempre di tante barche sul mare» protestò. A volte te-meva di morire, davanti all’ennesima busta piena di metafore. Inoltre aveva ini-ziato a sospettare che Carrington gli nascondesse qualcosa e la accusò di essere troppo amica di Gilbert Cannan, che all’epoca stava terminando Mendel, il ro-manzo costruito attorno alla storia d’amore Gertler-Carrington. Carrington ri-gettò l’accusa. Sì, Cannan le aveva dato un bacio fraterno sulla guancia – come una stretta di mano – ma l’episodio non valeva la pena di essere discusso, non essendo altro che la legittima ricerca di un romanziere.

Tuttavia i sospetti di Gertler misero sul chi va là Carrington, che deviò svelta verso argomenti innocui. Desiderava condividere con lui l’amore per Rimbaud, ma era ancora troppo nuovo e ammaliante per potergliene parlare. Aveva anche condiviso un taxi con Augustus John, il quale, aggiunse, non aveva affatto atten-tato alla sua celebre verginità.

Gertler ne ebbe poco sollievo. Se persino Augustus si perdeva d’animo di fronte alla verginità di Carrington, che speranze c’erano per lui? «Si fa sem-pre più complicato con C[arrington]» scrisse all’amico Koteliansky (20 giugno 1916). «Se solo il tormento cessasse. È come una malattia terribile e incurabile. Uniamo le nostre menti per cercare di porvi fine, ma non ci riusciamo […] per-ché non ha inizio né fine.»

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2. Ore neglette

Passato l’uragano di ospiti, spentisi gli schiamazzi e i vortici, Garsington diven-ne ancora una volta una casa di riposo per Lytton. Dai giorni del tribunale di Hampstead in poi si era sentito «come un cane malato», così riferì a Gertler (10 maggio 1916), «che si trascina di cuscino in cuscino, o striscia al sole per sdra-iarcisi e sognare». Anche Ottoline se n’era andata, e Lytton era libero di stare da solo nel giardino della cucina a oziare, leggere e scrivere lettere. «Ho la sen-sazione di trasformarmi gradualmente in un albero di pere su un muro a sud» scrisse a Vanessa Bell (2 giugno 1916) «e se non venite a trascinarmi via per le… radici, presto sarò condannato per il resto dei miei giorni a rifornire di frutta la tavola di sua signoria.»

Infine, la terza settimana di giugno partì per Wissett Lodge, una casa coloni-ca del Suffolk dalla facciata rivestita di legno che Duncan aveva affittato con lo scopo di farsi passare per coltivatore di frutta insieme a David Garnett ed evita-re la coscrizione imposta dal National Service Act. Dopo i carlini e i cuscini di Garsington, l’atmosfera piena d’api e more si addiceva all’umore di Lytton, che vi indugiò fino alla fine del mese insieme all’altro ospite, Harry Norton. «È il se-greto della vita o di […] qualcos’altro […]. Tutto sommato non so cosa. […] Oblio? Stordimento? Incurabile mollezza? – quello che hanno scoperto a Wis-sett?» chiese a Virginia (28 luglio 1916). «L’ho adorato, e non avrei voluto an-darmene mai.»

Di certo Vanessa era convinta che in un luogo come quello potessero essere «perfettamente felici». «Sento che le nostre abitudini cambiano» aveva detto a Lytton (27 aprile 1916). Persa in sei acri di frutteti e campi, Wissett era «straor-dinariamente lontana dalla guerra e da tutti gli orrori» (benché Bunny giurasse di aver sentito passare uno Zeppelin dal rumore di una trebbiatrice). Sembrava

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ancora più isolata di Asheham. Duncan e Bunny lavoravano nei campi tutto il giorno, mentre Lytton restava a scrivere sotto le aiuole di rose rampicanti e al-loro, Norton pensava ad alta voce ai numeri primi e Vanessa si dava da fare per trasformare Wissett in un avamposto rivale di Garsington. Per lei era inconce-pibile che volessero davvero tornare a Londra. La loro unica avventura capitò una domenica mattina, quando quattro di loro partirono per una lunga passeg-giata verso il mare – meta poco saggia, scoprirono, quando un caporale agita-to gli corse incontro e minacciò di trasportarli a forza in un carcere militare per via del loro aspetto teutonico e dell’accento sbagliato del Suffolk con cui rispo-sero alle sue domande.14 Quanto al resto, «tutto e tutti sembrano più o meno coperti di vegetazione» raccontò Lytton a Ottoline (20 giugno 1916) «cardi alti più di un metro riempiono il giardino dei fiori, e io e Norton andiamo a strap-pare le erbacce e sbirciare tra il fogliame. Norton è di ottimo umore, dopo che ha sviluppato una nuova teoria delle radici cubiche».

Un pomeriggio, mentre camminavano insieme tra gli arbusti, Lytton parlò a Bunny di Carrington, in via strettamente confidenziale. Stuzzicato nella curiosi-tà, Bunny lo esortò a invitarla. Ma la ragazza non poteva abbandonare Gertler un’altra volta così presto, e il loro triangolo subì una stasi temporanea.

Lytton riempì la pausa con un esperimento autobiografico,15 descrivendo le minuzie di una giornata non straordinaria, lunedì 26 giugno. Il saggio svela al-cuni turbamenti nella sua vita sentimentale: una leggera incrinatura nel rappor-to con Ottoline che si rimarginò in fretta ma fu presagio di una rottura più seria fra i due; l’inquietudine nei confronti di Vanessa causata dalla reciproca attra-zione verso Duncan, e un’ombra di imbarazzo con Duncan riguardo al mutuo apprezzamento per Vanessa; un timido flirt in giardino con Bunny; e, generata da questo episodio, la consapevolezza che, nonostante la fortuna di avere così tanti amici, Lytton non avrebbe mai potuto avere la certezza di piacere davve-ro a qualcuno di loro.

Vanessa era convinta che Lytton avesse «scarsa capacità di giudizio, che non fosse umano interesse, per la pittura».16 Di ritorno da Wissett, Lytton passò a tro-vare Gertler nel suo studio di Rudall Crescent e a scegliere il disegno per il quale gli aveva spedito dieci sterline. Vi trovò il famoso «Merry-Go-Round» di Gertler («La giostra», titolo ironico quanto Eminenti vittoriani) che rispecchiava sia la disuma-nizzazione della guerra, sia l’andamento ripetitivo della sua storia con Carrington. «O signore, o signore abbi pietà di noi! È una faccenda devastante, vero?» scrisse Lytton a Ottoline (3 luglio 1916). «Ho temuto che se avessi continuato a guardar-lo mi avrebbero dovuto portare via, in preda a una nevrosi. L’ho ammirato, certo, ma quanto a piacermi, tanto vale pensare a quanto mi piacerebbe un mitragliatore. Fortunatamente quelle cose le fa per sé – non c’è bisogno di affannarsi per le no-stre preoccupazioni. Ha detto che gli ricorda Bach… Se lo dice lui!»

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Parte prima. Guerra e pace 41

Mentre Lytton era a Belsize Park Gardens, un pomeriggio ricevette la visi-ta di Carrington. Era stata invitata a Garsington alla fine di luglio, stavolta in-sieme a Gertler. Lytton aveva in previsione di tornarvi nello stesso periodo e scrisse a Ottoline per confermarle le proprie intenzioni. «Voglio concludere la mia vita di Arnold» le aveva già spiegato da Wissett (20 giugno 1916) «e pen-so che sotto le tue quiete ombre sarà compiuta.» Dopo pochi giorni a Londra, era impaziente di tornare in campagna. «Sto accumulando materiale da scrit-tura» riferì (3 luglio 1916) «[…] e intendo essere molto laborioso per il pros-simo mese circa.»

Una settimana dopo giunse a Garsington dove riuscì, per più di due setti-mane, a non lavorare affatto. Sotto la direzione di Ottoline, il viso coperto da scaglie di gesso bianco, il corpo fasciato in un’austera toga di seta blu pavone, il collo avvolto da perle barocche, una spirale di ospiti affollava la casa e traboc-cava fino a un cottage e alla locanda del villaggio. In gran parte, così si lamen-tò Lytton con Mary Hutchinson (10 luglio 1916), erano «così maledettamente politicizzati e rivoluzionari che quasi ho la nausea degli obiettori di coscienza e al pensiero dei torti irlandesi». Tra gli ospiti non politicizzati c’era Evan Mor-gan,17 «un giovane alto, dai colori vivaci, con il naso da parrocchetto e modi decisi, e l’aspetto di una raffinata anziana di sangue blu»; e ancora una volta la seducente e imperturbabile Katherine Mansfield – «una strana donna satirica dietro il viso regolare che ha per maschera […] molto difficile da avvicinare; si ha la sensazione che ci vorrebbero anni di minuziosi appostamenti, ma che po-trebbe valerne la pena».

Passato il fine settimana la festa continuò. «Sono venuto qui con l’idea di la-vorare» protestò Lytton con Barbara Hiles (17 luglio 1916). «Mon Dieu! Non ci sono pause tra i fine settimana – il flusso e riflusso è interminabile – e siedo scos-so tra maglie impetuose di carlini, pavoni, pianole e umani – se li si può chia-mare umani – gli abitanti della grotta di Circe. Ora ho di fronte non soltanto Carrington e Brett (ormai, più o meno, ospiti fissi), ma anche Gertler che […] in questo momento intona un rag-time insieme a sua signoria. Mi sento una bar-chetta sul mare increspato, ma grazie al cielo il porto è in vista.»

A Mary Hutchinson confidò che il rapporto Gertler-Carrington gli sembra-va deprimente e complicato (23 luglio 1916). «La poverina [Carrington] sembra quasi aux abois con Gertler perennemente sulle sue tracce, un giorno sì e uno no; parla di fuggire da Londra, di sotterrarsi in Cornovaglia o diventare un’attri-ce del cinema. Io ovviamente le ho suggerito di venire a vivere con me, cosa che ha immediatamente rifiutato: per prima cosa, non potrei permettermelo. Ed ec-cola, per il momento a Garsington, con Mark a digrignare i denti sullo sfondo, e Brett alquanto impotente, e sua signoria a insinuarsi furtiva, nei secoli dei seco-li, amen.» Allo stesso tempo Lytton si accorse che Carrington non aveva smesso

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di ammirare Gertler. Lytton provava anche una certa compassione per lui ri-guardo all’eterna questione della verginità – «a meno che lei non sia la più orri-bile delle bugiarde».

Alla fine del mese salpò di nuovo per attraccare a Durbins, da Oliver e Ray Strachey. Dal momento che Oliver rientrava dal Foreign Office soltanto la se-ra per suonare Bach al piano, Lytton restava con sua madre, la cognata Ray e la sorella Pippa, che facevano a gara nel prendersi cura di lui mentre lavorava al «Dottor Arnold». L’unica interruzione fu provocata dalla breve comparsa di Logan Pearsall Smith, zio di Ray Strachey, che, come riportò Lytton a una com-piaciuta Ottoline (21 agosto 1916) «ora è davvero ben oltre la mezza età – senile, verrebbe da dire, povero vecchio – e balbetta senza sosta tra aneddoti e letteratu-ra che malgrado una vita di sforzi rimangono, ahimè!, americani. Mi ha piuttosto divertito la sua opinione riguardo a Vernon [Lee]. “Penso che tutto sommato sia la miglior conversatrice che conosca” – io ho dato una risposta paralizzata e az-zardato una chiosa: “Ma forse talvolta tende a essere leggermente noiosa” […], e tuttavia non ne ha voluto sapere. Pazienza, de gustibus non est disputandum, che si può tradurre con:

“I gusti son tanti: c’è chi apprezza il giglio, chi la rosa;e chi giammai trova Vernon Lee noiosa”».18

Tra gli ospiti di Roger Fry c’era il vecchio amico Walter Raleigh. «È stato mol-to meno outré e sanguinario di quanto mi aspettassi riguardo alla guerra – per-lopiù infantile; anche piuttosto timido, sembrava, sulle questioni controverse; e mi è davvero piaciuto come non mai.»

Mentre Lytton era a Durbins, Carrington e Gertler furono ospiti di Mary Hutchinson. Nuotavano in mare, disse Carrington a Lytton, e «persino Mark è entrato. Aveva un aspetto molto assurdo, in costume da bagno». Furono gior-ni di felicità inaspettata. «Quello di Wittering è stato un periodo più che me-raviglioso per me, e tutto grazie a te» scrisse in seguito Carrington a Gertler «[…] quanto mi è piaciuto stare con te in quei campi, e che tu mi abbia mo-strato così tante cose.» Forse proprio perché erano entrambi pittori «l’intimi-tà nella quale ci siamo trovati di recente rende i rapporti con le altre persone stranamente vacui». In quei momenti, dubbiosa sulla propria relazione segreta con Lytton, Carrington si faceva silenziosa. «Sei forse tra le braccia dell’ebreo in questo momento» si chiedeva Lytton. «Così vicina, eppure così lontana. Oh! Ah!» In passato le avrebbe invidiato l’abbraccio di Mark, ora invece provava una curiosa gelosia. La cosa assurda era che Carrington gli mancava, gli man-cavano persino le sue lettere (che Lytton studiava «nell’isolamento del mio let-to a baldacchino»). «Scrivi, scrivi, scrivi, Gesù!» implorava.

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Quando Virginia lo invitò per metà agosto a Asheham dopo la permanenza a Durbins, rifiutò perché «ho già preso un impegno e partirò per il Galles con un drappello di giovani» (28 luglio 1916). Sarebbe tornato in libertà a settembre, quando sperava di vedere Leonard e Virginia in Cornovaglia.

L’occasione per un viaggio nel Nord del Galles venne da Nicholas Bagenal, un giovane appena dimesso dall’ospedale dopo il ricovero per una ferita all’an-ca. Era innamorato della sua futura moglie Barbara Hiles, che convinse Lytton a far loro da accompagnatore nelle due settimane di vacanza che avrebbero pas-sato insieme presso il cottage di suo padre vicino a Llandudno, prima che Ni-cholas tornasse al fronte. Accettando la proposta, Lytton aveva domandato di potersi fare a sua volta accompagnare da Carrington, amica di Barbara. «Devi venire in Galles» (28 luglio 1916). Così il drappello di giovani si formò – «anche se in realtà» confessò Lytton a Mary Hutchinson «a volte inizio a domandarmi che diable io faccia in questa galère di nipotini».

Le difficoltà e le ansie abbondavano. «O Lytton, sono così entusiasta e co-sì ansiosa che tu possa essere infelice o annoiato» gli scrisse Barbara (5 agosto 1916). Lui si sforzò di tranquillizzarla, benché i suoi stessi dubbi fossero pale-si ed evidenti. «Prego che il tempo tenga» rispose (8 agosto 1916) «ma in caso contrario possiamo sempre chiudere porte e finestre, e cucinare e mangiare e cu-cinare e mangiare senza sosta. Negli intervalli possiamo canticchiare melodie e recitare ballate. Ma se è bello dobbiamo scalare le montagne con passo da gaz-zella […] porterò qualche libro.»

A causare le difficoltà principali, tuttavia, fu Carrington, le cui paure supe-ravano la somma di quelle di Lytton e Barbara, e probabilmente anche quelle del ferito Nicholas Bagenal. L’invito la raggiunse alla fine di luglio a Shandygaff Hall. Avrebbe «molto voluto visitare questa terra di montagne», da regina o bar-bona, a piedi o in treno. Ma non aveva un soldo; doveva inventare qualcosa da raccontare a sua madre; e poi, a Mark non avrebbe dato fastidio? Dopo la sua lezioncina sulla fiducia, sicuramente non avrebbe osato porre obiezioni. Alla fi-ne Carrington decise di raggiungere a piedi il Galles settentrionale, o magari di andarci in bicicletta. Ma valeva la pena di fare uno sforzo così tremendo? «Sa-rebbe orribile camminare così tanto» ammise a Lytton (20 luglio 1916) «per es-sere poi accolta dall’occhio gelido delle critiche!» Si stava esercitando al meglio, leggeva assiduamente Donne e, come Gertler, prendeva lezioni di francese. Ma il suo vero timore era che dopo lo sforzo di quelle due o tre settimane insieme la loro relazione potesse sbriciolarsi.

I Morrell, nel frattempo, facevano tutto il possibile per assistere Gertler.

Ottoline insiste e si sforza quanto può di indebolire la mia verginità, e mi ha pra-ticamente costretta a condividere una stanza con Norton! […] Ero già abbastan-

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za triste per Mark e a un tratto, senza alcun preavviso, Philip dopo cena mi ha chiesto di passeggiare con lui sul laghetto e ha iniziato senza alcun prologo a dire quanto lo avesse deluso sapere che sono ancora vergine! Quanto sbagliato fosse il mio atteggiamento verso Mark […] poi Ottoline mi ha fermata al ritorno verso casa e ha parlato per un’ora e mezza nel prato di asparaghi della questione […] e mi ha detto la verità su lei e Bertie. Ma questo attacco alle vergini è come la peg-gior carneficina di Verdun […] a un tratto Mark ha annunciato che se ne andrà […] e dentro di me sono sorte improvvisamente sensazioni complicate.

«Che diavoli sono, con i loro incitamenti e prediche, e ciance sulla verginità» ri-spose Lytton (1 agosto 1916). «Hai visto le satire di Donne? Sono alquanto nel loro stile […] (asparaghi?).»

Mentre Carrington cercava di elevarsi su questa «massa di intrigo», arrampi-candosi dal caldo insopportabile dell’attico e passando le notti in castità sul tetto insieme a Aldous Huxley («Strane avventure con uccelli, e pavoni, e orde di api» raccontò a Lytton. «Stelle cadenti, altre cose»), ai piani inferiori Ottoline scrive-va a Gertler chiedendogli se «Carrington troverà mai un compagno che esaudi-sca tutti i suoi desideri […] anch’io voglio bene a Carrington e a te. Spero che mi racconti sempre tutto ciò che avrai voglia di dire e quando avrai voglia di dir-lo». Lytton un tempo le diceva tutto, ma ormai si stava facendo sempre meno ri-conoscente e più riservato.

Prima del Galles, Carrington dovette tornare a casa dei suoi genitori nello Hampshire, a Hurstbourne Tarrant. Era di umore agguerrito e ribelle, spariva da casa, faceva lunghe passeggiate in collina con un cane di nome Jasper, di not-te dormiva sul tetto come aveva fatto a Garsington. Sua madre, così si lamen-tò con Gertler, «era più orribile che mai» e suo padre ancora più pietosamente malato e vecchio: «Odio che viva così, o forse odio la vita che lo mantiene vivo. Una fine come questa è davvero senza dignità».

Nel frattempo le trattative sulla vacanza si facevano sempre più serrate. Lyt-ton si era offerto di pagare le spese di viaggio di Carrington, ma impossibilitato a scriverle a casa dei suoi comunicò la notizia a Barbara. «Ho scoperto di esse-re alquanto ricco, al momento» mentì (8 agosto 1916) «perciò sarebbe assurdo che lei [Carrington] viaggiasse a piedi, o peggio, senza soldi.» La notizia giun-se a Carrington, che tuttavia restò incerta finché sua madre non venne a sapere della spedizione e gliela proibì assolutamente. A quel punto decise. Avrebbe ta-gliato i ponti e sarebbe partita.

I quattro si diedero appuntamento sabato 12 agosto alle quattro del pome-riggio sulla banchina della stazione di Llandudno – Barbara e Nicholas in arrivo da Westbury-on-Severn nel Gloucestershire, Lytton via Guildford nel Surrey, e Carrington da Andover nell’Hampshire.

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Abbandonata Durbins per Belsize Park Gardens nel primo tratto di viag-gio, e fermo per qualche momento a Haymarket, Lytton restò travolto da un’at-mosfera di improvviso buonumore. Le strade erano vuote, ma «ho intuito una curiosa sensazione di bienaise nell’aria» riferì. «Guardandomi attorno ho visto un’automobile apparire dalla salita; era aperta, e trasportava Asquith, solo, con un’espressione felice e radiosa sul viso – felicità che davvero irradiava, perché l’ho percepita quando ancora avevo le spalle girate. Penso che sull’auto ci fosse una valigia, e suppongo che stesse andando a trascorrere il fine settimana chis-sà dove.»19

Mentre il Primo ministro, raggiante di piacere, svaniva all’orizzonte, come – la similitudine è di Lytton – un serafino nell’estasi celestiale, l’euforia che inondava Haymarket si prosciugò, e Lytton restò solo con una sensazione di invidia divertita e perplessa. Come diavolo faceva? Desiderò di potersi senti-re altrettanto ottimista riguardo alla propria vacanza. Era impossibile trattene-re quella sensazione di malcelato affetto – malgrado Lytton disapprovasse la condotta di Asquith in relazione al recente processo per tradimento in cui era stato coinvolto Roger Casement. «Sarei molto contento se non lo impiccassero [Casement], ma non riesco a credere che ci sia qualche probabilità – tantome-no con Asquith Primo ministro» aveva scritto a Ottoline (3 luglio 1916). «Quel vecchio stolto si è fatto certamente distinguere negli ultimi tempi. È un codar-do, un mostro o semplicemente tonto, mi chiedo?»

Ancora assorto in quei pensieri giunse a Llandudno. Il cottage, piccolissimo e appartato, con pavimenti di parquet incerato e materassi a molle, era dipinto di bianco all’esterno e aveva un minuscolo giardino pieno di fiori. Era appolla-iato a metà di una delle catene montuose da cui erano circondati. A valle, più in basso, scorreva un fiume ampio e poco profondo. A Lytton ricordava Ro-thiermurchus. «Non puoi capire quanto siano stati tutti gentili con me, e quanto meravigliosamente carini. Barbara governava il cottage e la cucina con estrema perizia» scrisse a Bunny Garnett (2 settembre 1916). «Nick è stato davvero in-cantevole, la vivacità del suo spirito non ha avuto cedimenti. Sarà una cosa or-ribile se lo costringono a tornare in quel gorgo assassino. Quanto a Carrington, a quanto pare ci siamo frequentati molto. Ma permettimi di sottolineare una co-sa: il mio atteggiamento riguardo a tutti è stato di castità immacolata, qualun-que fosse la condotta degli altri.»

Con il passare degli anni, Lytton amava sempre più stare in compagnia di persone più giovani di lui. Lo aiutavano a scrollarsi di dosso il suo stesso «spi-rito antico», come lo chiamava. Una metà di lui, così disse a Ottoline, aveva la sensazione di essere tornata indietro di dieci o vent’anni, mentre l’altra, ne era ben sicuro, aveva compiuto lo stesso passo in avanti; con il risultato che «me voi-ci, una miscela di diciottenne e cinquantaduenne».

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Grandi fasci di nuvole si rovesciavano dalla cima delle montagne e avvol-gevano il cottage; e non passava giorno senza che non piovesse almeno un po’. Al chiuso Lytton leggeva Donne e Shakespeare, mentre Carrington dipingeva il suo ritratto. Negli intervalli più assolati la comitiva, uscita dalla tana, saliva le-sta in montagna o faceva spedizioni a Conway e Llandudno.

Un fatto saliente della vacanza fu una bottiglia di champagne. Nick la stap-pò con un botto – e Lytton, con gesti esagerati delle mani, strillò: «Dio! Chis-sà cosa dev’essere la guerra!».

«Sono più che felice qui» Carrington rassicurò Gertler, in quel momento ospite di Gilbert Cannan. «Lytton manda i suoi affettuosi saluti. Ti deve piace-re, perché a me piace, proprio tanto.»

«Ricorda a Barbara di me» rispose Gertler «e manda i miei saluti affettuo-si a Lytton.»

Ma Carrington non gradì tanto sarcasmo e scrisse per rimproverarlo: «Per-ché quell’altro ostacolo [l’omosessualità] ti infastidisce sempre così tanto. Ho cambiato le mie opinioni in proposito […] bisogna sempre tollerare qualcosa, il dolore o l’imbarazzo, per ottenere qualcosa da un altro essere umano».

Gertler, che non sentiva il bisogno di un sermone sul dolore e l’imbarazzo, si offese, e da ciò nacque una competizione tra i due per stabilire chi nutris-se l’affetto più sincero e profondo per Lytton. Negli ultimi tempi nessuno più di Gertler aveva letto Donne e Dostoevskij, e «persino il mio francese procede sempre meglio. Ne faccio mezz’ora al giorno».

«Certo che ti piaceva Lytton e ne cantavi le lodi prima di me, perché all’epo-ca quando lo conoscevi io non lo conoscevo» ribatté Carrington.

La vacanza volse al termine. «Cosa ti va di fare?» aveva chiesto Lytton a Carrington. «Potremmo tornare a piedi in Inghilterra attraversando il Galles? A quel punto sarà settembre…» Negli ultimi giorni di agosto i due partirono per Bath – «città davvero incantevole» scrisse Lytton a Bunny Garnett (2 set-tembre 1916). «Com’è facile saltellare per quelle strade eleganti, e sgattaiolare da Square a Circus e da Circus a Crescent!20 Si ha quasi la sensazione di indossa-re tacchi alti e dal panciotto spuntano i pizzi. E poi – l’entusiasmo contagioso della mia giovane compagna […] sorridi; ma ti sbagli.»

Anche Carrington redigeva la cronaca del loro viaggio: a Gertler. Gli scris-se il 29 agosto 1916:

Ieri abbiamo esplorato tutta la città, quasi ogni casa! E per quasi due ore siamo stati in un negozio di libri di seconda mano. Ho scoperto per caso un vecchio Voltaire che ha riempito Lytton di gioia, come se lo cercasse da tempo. Do-po il tè abbiamo attraversato a piedi la città fino a un’alta collina perché aveva-mo visto in un libro di architettura (che ho studiato per tutta la domenica), una

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bellissima casa. Si chiama Widcomb House. Ed era proprio bellissima! Anche Fielding visse in questo borgo. Abbiamo osato chiedere alla domestica se pote-vamo visitare il giardino. Dopo parecchio tempo ci ha presentato una signora incredibilmente anziana, che ha detto che potevamo, ma sembrava davvero stu-pita che qualcuno volesse vedere la sua casa! Il giardino in una profonda vallata molto grande con alberi maestosi, e le colline lontane, mi hanno dato emozio-ni strane. Era un posto triste e malsano, in un silenzio di tomba – Lytton mi ha letto il Voltaire, una descrizione di Federico il Grande, e la relazione tra Vol-taire e suo figlio.

Da Bath si trasferirono a Wells – «Peccato oggi sia di moda, per gli uomini di chiesa, credere nel cristianesimo» scrisse in seguito Lytton a sua madre (3 set-tembre 1916). «Mi sarebbe piaciuto essere vescovo di Bath e Wells!» – e da Wells passarono a Glastonbury. «Ci fermiamo qui» scrisse Carrington a May-nard dal George Hotel il 29 agosto «[…] dubito che Lytton tornerà mai.» Sul-la pagina opposta Lytton aggiunse qualche verso per Maynard.

Quando carico a molla il giocattoloDi un giovane pupattolo– Grazie, me la so cavareMa quanto alla faticaDi schiuder le labbra a una gattaDi questo non farmi parlare21

Sotto questi versi, Carrington disegnò il profilo di una gatta raggomitolata e ad-dormentata. I due avevano dormito nello stesso letto la notte precedente, e in quella notte gli studiosi datano la perdita della verginità di Carrington. Si sen-tiva traboccare di gratitudine verso Lytton. Era stata con lui per tre settimane consecutive, aveva convissuto con i suoi sbalzi d’umore, la sua invalidità, e lo aveva amato più che mai. «Mi sono divertita tanto con te» scrisse nel ritorno a Hurstbourne Tarrant all’inizio di settembre «non sai quanto sono stata felice, ovunque, ogni giorno così pieno di meraviglie […]. Caro Lytton. Sono stata co-sì felice. Incredibilmente felice!»

Tornato a Wells, «sprofondato in un alloggio sotto i cornicioni di questa cattedrale alquanto demodé», Lytton descrisse la propria solitudine lontano da lei. «Il pranzo è finito, il tè è finito, ed eccomi qui nella mia solitudine sul diva-no tra i cuscini bianchi – muto, senza nipote, triste!» Avevano deciso di cerca-re un cottage di campagna dove passare insieme un po’ del loro tempo. Doveva essere un legame che non avrebbe escluso altri legami sentimentali, ma conces-so a entrambi un androgino ampliamento d’esperienza. «Quali emozioni ci at-

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tendono tutti» esclamò Carrington (8 settembre 1916). Anche Lytton, alle prese con una breve poesia scritta durante quelle «ore neglette», era moderatamen-te entusiasta.

C’è forse qualcuno che ama solo le rose, tra i fiori?O ascolta solo musica di Mozart?E allora perché non sprecare le ore neglette della vitaCon amori fragili e cuori subalterni?

Ah! Squisiti i tulipani e i gigli!Gli Schubert e gli Schumann, divini!E allora baciami, baciami lesta, Amarilli!E Laurie, mescola il tuo capriccio con il mio!22

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3. Amori fragili e cuori subalterni

Non passò molto tempo prima che le voci strane e inquietanti sulla relazione tra Lytton e Carrington iniziassero a circolare per Bloomsbury. Era stato Bun-ny Garnett a informare dei suoi sospetti Duncan e Vanessa, a Wissett? Tutto sommato Lytton pensava di no. Possibile che la stessa Carrington fosse crolla-ta e avesse confessato di fronte al fuoco di fila delle domande di Ottoline e Cli-ve, a Garsington? Giurava di aver parlato soltanto del paesaggio. E tuttavia, malgrado il mistero che ancora avvolgeva Carrington, Ottoline intuì la verità. «Ottoline mi disprezza!» rivelò Carrington a Lytton (6 settembre 1916). «È al-quanto palese.» Ogni volta che succedeva qualcosa di spiacevole, Ottoline era solita incolpare la donna anziché l’uomo. Aveva dato a Frieda Lawrence la col-pa di Donne innamorate e a Maria Huxley quella di Giallo cromo. Ora accusa-va Carrington di averle alienato l’affetto di Lytton. «Sua signoria non mi ama né mi coccola più! E Brett23 è stata alquanto dura» disse Carrington a Gertler (settembre 1916).

Malgrado si fosse impegnata con Lytton, Carrington ancora non sopportava di rinunciare a Gertler. «Trovo che sia bello conoscere una persona ispiratrice come te» lo rassicurò (1º settembre 1916) di ritorno da Glastonbury. «Senza di te la mia vita crollerebbe al suolo, come un palloncino bucato.» Anche quando aveva paura di vederlo, adorava sognare di lui e scrivergli lettere. Quell’autunno ne scrisse tante a lui quante a Lytton, per raccontargli della propria felicità, ma non di ciò che la suscitava. «Sono entusiasta di tutto ultimamente» esclamò (3 settembre 1916). «La pienezza della vita […] le cose che verranno […] la mera-viglia di tutto questo!» Spediva sempre nuovi pegni d’amore: fiori e dolci, e ge-sti d’affetto più allegorici. Chiese a Gertler una nuova fotografia; ammise che «il mio umore cambia come un cielo di nuvole!» ed esultò al portento di indossare

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pantaloni da uomo. «Come odio essere una ragazza […] vincolata da oneri fem-minili, e a carne pendula.»

Queste lettere ebbero un effetto terribile su Gertler. Con il loro ripudio del corpo che bramava di possedere, scatenarono in lui un lungo grido di dispera-zione – una filippica di appelli e recriminazioni che lasciò partire a briglia sciolta la prima settimana di settembre, senza però mai spedirla a Carrington.

Dio, sono solo – tanto solo. Non sopporto la mia solitudine […]. Mi ami? Puoi amarmi? Non c’è niente tra noi, eccetto il mio amore ardente? […] Dio mi sal-vi dall’inferno in cui vivo da così tanto tempo. E mi salvi presto, non posso sop-portare oltre! Il tuo corpo mi appare bellissimo. Nel più straziante dei dolori lo bramo […]. Come puoi sopportare che la tua bellezza si lasci sfiorire, quando sai che c’è un uomo che per essa morirebbe! […] C’è soltanto un periodo di Giovi-nezza nella nostra vita – non sprecarlo! Quanto a me, toglimi presto dalla ruota di tortura […]. Hai avuto Lytton al tuo fianco e lui ha compensato senza difficol-tà la mia assenza. Se l’è cavata bene […]. Come odio la freddezza della vita! Non è colpa tua Carrington se la Vita è organizzata così. La vita ti ha resa fredda […] nella tua lettera dici che sei «un Animale selvatico impossibile da domare» […] non sei un Animale «selvatico», ma un Animale spaventato e un Animale timido […] se avessi conosciuto tanti uomini – avessi avuto tanti amanti allora potresti vantarti di essere «selvatica» […]. Ma mia povera Vergine non hai conosciuto an-cora nessun uomo […] odio la tua verginità.

Poi, quando sembrava averla persa una volta per tutte, Carrington ritornò. Pen-tita di averlo sviato, si ritrovò più che mai toccata da tanta infelicità. Anche leg-gere Venus and Adonis, To his Coy Mistress e The Extasie stava facendo effetto. «Se trovo altre poesie di Donne che mi esortano ad abbandonare la verginità po-trei cadere» ammise (settembre 1916) «[…] trovo che sia un uomo di sapienza rara e prendo le sue parole molto sul serio. Molto più di Philip e Ottoline […]. Ma non dovrei scriverti queste cose.» E allora cosa fare? Quell’autunno decise di concedere di nuovo la propria verginità, stavolta a Gertler. «Che momenti me-ravigliosi trascorreremo poi! Quando saremo più liberi l’uno con l’altra» rispo-se lui (25 settembre 1916) «[…] momenti così interessanti e intimi, momenti di vicinanza – momenti di estasi! […] Ah! L’amore è una bella cosa!»

Ma Carrington restava prudente. Il sesso – o «lo zucchero», come lo chiama-va nelle lettere a Gertler – «aiuta a capire più a fondo quei poeti. Ma lo zucchero mi piace solo ogni tanto, non tutte le settimane e ogni giorno […] ti concederò […] soltanto tre zollette al mese».

Poiché Clive lavorava ancora alla tenuta di Garsington di Ottoline, e Vanes-sa si era stabilita con Duncan e Bunny nel Sussex, Maynard aveva fatto in modo

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di trasferirsi a casa Bell, a Gordon Square (occupandola con Shepperd che aveva trovato lavoro come traduttore al War Office), e affittare il 3 di Gower Street a Dorothy Brett. Quel settembre Brett invitò Middleton Murry e Katherine Mans-field a occupare le stanze al piano inferiore e, per nove sterline l’anno, propose a Carrington di trasferirsi al piano superiore. «Quanto ci divertiremo a Gower Street» scrisse quest’ultima a Lytton (settembre 1916). «Lei [Katherine Mans-field] giocherà a tutti i giochi che mi piacciono di più. Fingere di essere qualcun altro e travestirsi alle feste.» Le feste e le finzioni, e gli intrighi sempre più com-plicati con Lytton e Mark, erano una protezione contro la terribile guerra che di rado menzionava nelle lettere. Ma una notte il cielo si fece improvvisamente ros-so, le case e gli alberi si accesero e il rumore di esultanze intermittenti riempì le strade. «Carrington sfrecciò fuori dalla sua stanza, entrambe abbrancammo la porta principale e corremmo fuori» ricorda Beatrice Glenavy.

Ed eccola, che strisciava e grondava dal cielo, tuffandosi di testa […] una grande torcia fiammeggiante, e molto al di sopra di essa la luce dell’aereo che la segnala-va ai mitragliatori […] sembrava che tutta Londra esultasse. Carrington scoppiò in un pianto disperato e tornò di corsa in stanza. Io quasi svenni per l’eccitazio-ne, ero su un piano dell’esistenza in cui la sofferenza umana non esisteva più. A quanto sembrava, i resti dello Zeppelin erano precipitati a Hampstead Heath […] volevo prendere un taxi e andare dov’era caduto, andai a cercare Carrington per trascinarla con me, ma piangeva così forte che non riusciva a parlare, perciò la lasciai sola.24

Ambientatasi a Gower Street, Carrington iniziò a indagare tra gli amici, studia-re mappe e pedalare sul suo «destriero d’acciaio» in cerca del cottage ideale per Lytton. Gli mandava perizie e diagrammi e regolari resoconti delle sue spedizio-ni: «40 miglia in un mattino ho percorso in bicicletta per te reverendo zio?» scris-se (16 settembre 1916) «a cercare, fra strade e siepi, la tua maledetta casa!».

Il piano era quello di raccogliere i soldi per comprare la casa formando una sorta di società – della quale alcuni fra gli amici di Lytton a Bloomsbury avreb-bero comprato azioni (cioè, pagato una quota annuale) in cambio delle qua-li sfruttare la dimora nei fine settimana o come rifugio saltuario. «Hai sentito del progetto del cottage in campagna?» chiese Lytton a Maynard (14 settembre 1916). «Ti andrebbe di partecipare? Barbara ha già trovato qualcosa che sembra fare al caso nostro. Oliver [Strachey] e Faith [Henderson] compreranno azioni – forse anche Saxon […]. Ah, anche Carrington.»

La scoperta di Barbara Bagenal era una casa non ammobiliata a Hemel Hampstead, in affitto per quarantotto sterline l’anno e dotata di «piccionaia per gli obiettori di coscienza». La trattativa finì in niente, e Carrington riprese con

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vigore la ricerca. «Ho mappe di ogni centimetro quadrato della nazione ormai» disse a Lytton (8 settembre 1916). «E sono in corrispondenza con tutti i bandi-tori di Newbury, Marlborough e Reading!» Ma le sue ambizioni riguardo a un luogo che fosse in sintonia con la sensibilità letteraria di Lytton erano così ele-vate, che nessun agente immobiliare riusciva a soddisfarle. «Il nostro cottage di campagna fluttua ancora in cielo» commentò Lytton a Ottoline (1 ottobre 1916) «un vero castello in aria.»

Da Wells, Lytton era arretrato con grande indecisione fino a Londra, che «trovo orribile – soffocante e gelida al tempo stesso, e intasata e traboccante di brutture di una deformità inconcepibile. La folla ti spinge via dai marciapiedi, assedia ogni autobus, sguazza in metro, ci si getta alla ricerca di un taxi, ma non ci sono più taxi. Di notte fa buio pesto; si cammina incuneati nella moltitudine come soldati nell’esercito […]. No! Londra è decisamente un posto in cui non stare in questo momento».

Tuttavia era a Londra che Lytton sarebbe rimasto. A Belsize Park Gardens, l’ultima settimana di ottobre, poté finalmente annunciare che «cet épouvantable Docteur Arnold est fini – gloria a Dio!». Quasi immediatamente iniziò a legge-re e a prendere appunti per «La fine del generale Gordon», l’ultimo saggio de-gli Eminenti vittoriani.

Ogni volta che riusciva a convincerlo a posare, Carrington proseguiva il ri-tratto di Lytton che «sarà davvero un bel quadro», ne era convinta (6 novembre 1916). Alla fine dell’anno riuscì a terminarlo, le mani oblunghe di Lytton solle-vate sul volto sognante, come in preghiera, che afferrano un libro al di sopra del corpo chino. «Mi domando cosa ne penserai quando lo vedrai» scrisse sul dia-rio a Capodanno «[…] stasera sembra bellissimo, meraviglioso, e sono felice. Ma poi ho il timore di mostrarlo. Mi piacerebbe continuare a dipingerti ogni setti-mana […] senza mostrarti mai ciò che dipingo. È meraviglioso averti tutto per me […] mi piacerebbe esplorare la tua mente dietro la pelle delicata della fron-te. Sembri pieno di saggezza e di una freddissima vecchiaia. Eppure, malgrado questo, che pace stare con te, e com’ero felice oggi.»

Quando Lytton non pranzava con Maynard al Café Royal, usciva con Shep-pard «e un drappello di giovani» o, tra urla ed esultanze, assisteva a un incontro di boxe a Blackfriars in compagnia di Boris Anrep («Ero alquanto vicino – quasi toccavo i loro incredibili corpi nudi»), accompagnava Carrington alle feste pres-so lo studio di Barbara a Hampstead e da Augustus John a Chelsea, e la porta-va a Hogarth House, a Richmond, dove Leonard e Virginia erano in procinto di fondare la Hogarth Press.25 Passava anche da Gower Street a prendere il tè con lei, Brett e Katherine Mansfield. «Mi piacerà vivere con Katherine, ne sono si-cura» aveva predetto Carrington in una lettera a Lytton. Ma il problema era che Katherine abbordava tutti gli uomini – Mark, Lytton, Bertie e altri – e li attirava

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nelle sue stanze al primo piano. «Con nostro chagrin, nessuno va oltre Katherine» disse Brett a Ottoline «[…] tutti spariscono come per magia […]. Ho il mio pic-colo strumento [apparecchio acustico] orientato verso le crepe del pavimento!» Middleton Murry civettava apertamente sia con Ottoline che con Brett (a sua volta innamorata di Ottoline), mentre Katherine se la svignava lestamente e in se-greto con Bertie Russell. Nel febbraio del 1917 Katherine avrebbe abbandonato Gower Street perché, secondo Ottoline, «spiandola, Carrington l’aveva messa a disagio; controllava quando usciva o entrava e con chi […] inventava ogni gene-re di storia di fantasia, che Katherine si travestiva e usciva di notte alla ricerca di avventure eccitanti, che recitava per i cinema e aveva visitatori misteriosi».

Lytton veniva e andava: attento, assorto, curioso, incredulo. Quel novembre si trattenne a Asheham per curare un malore invernale e attorno a Natale trascor-se la convalescenza da Ottoline a Garsington. C’erano anche Clive Bell e Aldous Huxley, residenti fissi; oltre a Brett e Carrington fu invitato anche Bertie. Si di-scusse molto della guerra, si passeggiò a lungo per i campi, circolarono messaggi segreti, si dissero le preghiere della sera e vi fu qualche intrattenimento lettera-rio, comprese la lettura da parte di Lytton del suo «Dottor Arnold» e una rap-presentazione pseudorussa, «meravigliosamente sagace e bella» nell’opinione di Carrington, allestita da Katherine. Carrington recitò nella parte di Marcel Dash, nipote del dottor Keit, interpretato da Lytton. «Abbiamo messo in scena una rappresentazione superba inventata da Katherine, improvvisando mano a ma-no» scrisse Aldous Huxley a suo fratello Julian (29 dicembre 1916). «È stato un grande successo, con Murry nella parte di un personaggio di Dostoevskij e Lyt-ton in quella di un vecchio nonno incredibilmente perverso.»

Tornato tra le nebbie di Londra, Lytton interruppe il suo lavoro sul generale Gordon, recensendo per il New Statesman e leggendo Rabelais (del quale, anco-ra sul New Statesman, avrebbe scritto un anno dopo). Gargantua e Pantagrue-le «mi ha travolto completamente» informò Ottoline (6 febbraio 1917). «Leggo pochissimo altro. Lo trovo di gran lunga il miglior antidoto mai prodotto alle ri-voltanti meschinerie de ces jours. Lo leggo in metro, ed è un vero e proprio scu-do di difesa, che scaccia quei visages miserabili con i loro giornali miserabili. Che adorabile gigante nelle cui braccia gettarsi! E poi, sotto parecchi aspetti, il libro è interessantissimo. Sono lieto di non averlo mai letto prima; è inebriante senti-re un entusiasmo nuovo quando si hanno più di ottant’anni.»

Giunta la fine di marzo ricominciò a sentirsi vicino alla sua vera età – trenta-sette anni. Il clima migliorò e si fece più caldo, «e ora sento di dovermi davvero decidere e attaccare seriamente il generale» disse a Ottoline che lo aveva caval-lerescamente invitato di nuovo a Garsington, ma senza Carrington (23 marzo 1917). «Temo che mi sarebbe fatale abbandonare il mio scanno finché non avrò catturato la sua prima linea di trincee.»

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Nel frattempo la relazione fra Carrington e Gertler si avviava lentamente al-la crisi. Lui aveva immaginato di poterla vedere molto più spesso dopo il tra-sloco a Gower Street, invece la ragazza era impegnata in immotivate escursioni in campagna, oppure la casa era affollata di altri uomini. «Tra una cosa e l’altra non restiamo più soli» si lamentò (gennaio 1917). Quando erano insieme «sono sempre nervoso e goffo in tua presenza, ridotto al silenzio» (febbraio 1917). Uno dei nuovi problemi era la contraccezione («Ho davvero provato quel coso. Solo che era troppo grosso e non entrava, da qualunque parte lo usassi!»). Carrington promise di non essere infantile; promise di essere meno egoista e di renderlo più felice, ma i rapporti sessuali tra i due non migliorarono. «Spesso invidio le perso-ne più affettuose che sanno amare più semplicemente, e andare avanti» gli disse lei «[…] quanto vorrei che Dio non mi avesse fatta come sono.» Lo spregio per i rapporti sessuali con Mark la portò a credere, secondo la sua biografa Gretchen Gerzina, di poter «dormire con lui senza essere “infedele” a Lytton». Allo stesso tempo la intristiva rendere Mark così infelice. Ma cosa poteva fare?

Gertler la esortò a vivere con lui: ecco cosa poteva fare. «Non ti chiederò troppo “zucchero” se solo potrò vederti e parlare» le promise (dicembre 1916). Ma aggiunse: «Se qualsiasi altro uomo toccherà una qualsiasi parte del tuo splen-dido corpo, mi ucciderò – non dimenticarlo! Non potrei sopportare una cosa si-mile […] a volte vorrei che uno di noi due fosse morto!». Carrington, tuttavia, si disse certa che «non potrei mai vivere con te sessualmente tutti i giorni», pur ammettendo: «Non vedo il motivo perché un’altra estate non dovrebbe essere qualche mese». Il loro amoreggiare intermittente era una frustrazione profonda per Gertler, e peggiorava ogniqualvolta Carrington gli spiegava che «è soltanto perché mi desideri sessualmente che sei infelice» o lo rassicurava con la notizia che era soltanto «il mio corpo fisico [che] ti ha abbandonato». I battibecchi tra i due si moltiplicarono per tutto l’inverno. Gertler scherniva i tentativi di lei di somigliare a un ragazzo, con i capelli corti, senza trucco e la passione per i pan-taloni – poi, pentendosi della rabbia, la inondava di scuse. «Quanto ai panta-loni, scusa se ho brontolato – davvero non mi interessa. Magari prima o poi io indosserò la gonna!»

Se solo avessero potuto arrivare a «una relazione molto più ampia da vecchi amici» (25 marzo 1917), Carrington era convinta che non avrebbe più avuto co-sì paura di ferirlo, o della sua ritorsione. «Voglio che tu conosca i miei amici e condivida i miei interessi» spiegò. Eppure quando Leonard e Virginia le conces-sero Asheham ci andò non con Mark, ma con Barbara e Saxon Sydney-Turner, e i tre passarono il tempo come bambini, andando in toboga sui Downs con vas-soi da tè per slitta. La conclusione alla quale Gertler tendeva fu che la relazione «ha un difetto, cioè che non riusciamo a passare abbastanza tempo insieme in campagna». Perciò la invitò di nuovo al mulino incantato di Gilbert Cannan, a

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Cholesbury nell’Hertfordshire, e lei senza farci caso estese l’invito a Lytton, pro-mettendogli una stanza con camino. Strachey ebbe il buon senso di rifiutare.

Carrington era rimasta disgustata dalla pubblicazione di Mendel, il roman à clé di Cannan dedicato a «D.C.». «Come sono arrabbiata per il libro di Gilbert» aveva scritto a Mark (1º novembre 1916). «Ovunque questi maledetti pettego-lezzi, e curiosità da serve. È brutto e dannatamente volgare.» A D.H. Lawrence non era piaciuto («È un articolo di giornale, assolutamente privo di scintille di fuoco creativo»), Virginia invece l’aveva trovato «interessante» per via delle no-tizie che forniva riguardo alla nuova generazione. Ma anche Cannan, a quel pun-to, era infelice, dopo essersi innamorato di una ragazza sudafricana di diciannove anni. Incapace di credere che una donna così bella lo amasse davvero, incapa-ce di liberarsi di quella passione corrisposta o di contenerla all’interno del suo matrimonio, aveva avuto un esaurimento. «L’esplosione della nuvola della paz-zia […] è cresciuta senza sosta […] i fatti lasciano sgomenti» confidò a Gertler. «Caro vecchio Mark, sembra che viviamo queste cose insieme […] vorrei ave-re la tua saldezza.»

Ma Gertler non si sentiva affatto saldo. Si sentiva vulnerabile a qualsiasi cosa Carrington scrivesse, dicesse o facesse. La loro relazione giunse alla crisi anche a causa di due morti. Nelle prime settimane del febbraio 1917 morì il padre di Gertler. Fu «il giorno peggiore della mia vita». Carrington sperava di avere no-tizie del fratello Teddy, disperso dall’autunno precedente, ma quel mese il tra-scorrere del suo compleanno senza notizie, la convinse una volta per tutte che ormai fosse morto. «Sto perdendo le speranze riguardo a Teddy» ammise (26 febbraio 1917). «Inizia a deprimermi terribilmente, a volte.» Gertler aveva un bisogno disperato di lenire il proprio tormento con l’amore fisico; Carrington aveva bisogno del conforto della solitudine. Si incontrarono, e lui perse il con-trollo. «Avresti potuto evitare di essere così orribile lasciandomi andare in silen-zio» gli scrisse lei in seguito «[…] non è che non ti amo, è che ero triste e non sono riuscita a fare l’amore con te. Quando si è tormentati si prova un curioso isolamento, ed essere costretti alla altrui passione animale all’improvviso fa sem-brare tutto quasi un incubo.»

Così cercò sollievo alla vicenda del fratello non in Mark ma in Lytton. «Spero che non ti dispiaccia se verrò a trovarti più spesso» gli scrisse (26 febbraio 1917). «Perché è tremendo essere soli e sapere come se n’è andato – senza mai essere stato visto né amato. Aveva l’indipendenza di un bambino come Poppet,26 tutte le sue gioie dentro di lui – create da lui.»

La gentilezza di Lytton nei suoi confronti, la sua compassione e la sua delica-tezza, furono fonte di sollievo. L’adorazione di Carrington per lui si fece più pro-fonda. Sapeva che la loro relazione avrebbe sempre avuto dei limiti, ma era una soddisfazione anche soltanto stare con lui a ogni occasione possibile; e quando

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non ce n’erano, ricevere e imparare a memoria le sue lettere meravigliose. Era con-vinta di capirlo, per inspiegabile che fosse, meglio di chiunque altro. Nella risposta da Alderney Manor, dove si trovava insieme a Augustus e Dorelia John,27 un me-sto Lytton si scusa (8 marzo 1917) della propria incapacità di fare di più per lei.

Temo di essere talvolta un po’ troppo… insoddisfacente. È l’età, il sesso o il cini-smo? Forse in realtà è solo apparenza – di un tipo o dell’altro. Il ragazzo, così di-cono (solo che non lo dicono), in fondo è buono. Mi piacerebbe essere più utile; spesso penso che se avessi qualche centimetro di pelle in più a coprirmi le ossa lo sarei. Ma questa non è che l’ennesima delle seccature del mondo […]. Ma chère, sono sicuro di capire la tua sensazione di solitudine. Per conto mio so bene cosa significhi, ed è orribile.

Se solo Mark somigliasse di più a Lytton – e in un certo senso Lytton a Mark! Carrington non riusciva a conciliare l’attaccamento a entrambi. Rifuggiva la ne-cessità di dover scegliere tra i due. Diversi com’erano, non riusciva a considerar-li rivali. Eppure una decisione andava presa.

A Pasqua Carrington andò a stare a Lord’s Wood, la residenza dell’amica Alix Sargant-Florence a Marlow Common – una «casa molto bella» come la de-scrisse a Gertler, «una del tipo migliore. Con grandi agi e il bagno più bello che tu abbia mai visto con piastrelle colorate». Gli altri ospiti erano Lytton e James, Harry Norton e Maynard Keynes. «Spero che non penserai che abbiamo fatto le cose troppo in grande» scrisse Alix a sua madre (3 aprile 1917). «Ma voglia-mo tanto che la festa sia un successo e ogni ospite ha un vizio – Lytton (pigno-lo), Maynard (vorace), James (sistematico), Norton (ipocondriaco), Carrington (sana) e io (avida).» Il sole splendeva, Carrington, felice nei suoi calzoni da caval-lerizza, vagava per i grandi boschi, dipingeva l’avida e intellettuale Alix, leggeva Platone – «e ne sono molto entusiasta» – e la sera ascoltava James suonare Bach e Beethoven alla pianola. In seguito (10 aprile 1917) Lytton ricordò: «Tracanna-re Chianti due volte al giorno, ingozzarsi di torta del Périgord, sognare davanti al camino e rimandare in eterno la Grande Expédition». A volte leggevano lavori teatrali che rappresentavano la visione comica e quella tragica del mondo secon-do Bloomsbury – The Relapse di Vanbrugh e Troilo e Cressida di Shakespeare – «il che è stato molto divertente», scrisse Carrington. «Solo che quando toccava a me ero così agitata che non mi divertivo quanto avrei dovuto.»

Presto Carrington avrebbe trovato «uno splendido e nuovo gioco, chiude-re completamente gli occhi», disse a Lytton (3 agosto 1917), «e fare la ragazza cieca guidata da Alix». Per lei era naturale seguire Alix, il cui amore per James, iniziato al Lacket diciotto mesi prima, somigliava al suo per Lytton. La festa di Pasqua a Lord’s Wood fu l’apertura dei tre anni di campagna con cui Alix con-

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quistò James – campagna che dovette superare l’infatuazione di James per Noel Olivier oltre che assorbire il rapporto di Alix con Bunny Garnett (a cui ispira-va «un desiderio di commettere omicidio e stupro») e con Harry Norton, che Virginia scherzosamente descrisse come «copulazione ogni dieci giorni per libe-rare i di lui istinti repressi!». Impassibile di fronte alla sconfitta, Alix sapeva mol-to bene cosa voleva, e nonostante le difficoltà della campagna ne rivelassero lo «sconforto sepolcrale – povera donna», si dedicò alla conquista di James, come osservò Virginia, con un’aria «di serena disperazione».28

Questa breve permanenza a Lord’s Wood ebbe un effetto decisivo su Car-rington. L’ultimo giorno scrisse due lettere, una a Mark per raccontargli qualcosa riguardo ai propri sentimenti per Lytton e fissare un incontro con lui il pomeriggio del lunedì seguente; l’altra a Lytton – che se n’era appena andato da Marlow – per chiedergli di vedersi la sera di quello stesso giorno. La domenica raggiunse Lon-dra in treno, e il mattino dopo si risvegliò dal sogno inquietante in cui suo fra-tello Teddy annegava in mare. Prese un autobus fino al Penn Studio, dove trovò Gertler calmo e spettrale. Sulle prime parlarono nervosamente di quadri. Poi lui le chiese cosa fosse decisa a fare, come volesse organizzare la propria vita. Era pronta a ogni genere di scenata, e tanto autocontrollo la prese in contropiede. Perché aveva deciso di lasciarlo. «Mi ha preso un’angoscia sempre più intensa e ho pianto» scarabocchiò sul suo diario. «Era come lasciare il sole caldo nei campi ed entrare in un bosco buio e freddo circondato da alberi che erano sconosciuti. All’improvviso ho guardato indietro alla lunga vita che abbiamo avuto insieme, una vita di emozioni contrastanti. Ma sempre calda grazie al suo amore intenso, e ora dovevo lasciarmi tutto alle spalle e andare via.»

Per la prima volta Gertler parve capire che Carrington voleva segnare con quell’incontro la fine del rapporto; e anche lui crollò e pianse. Le lacrime era-no terribili e la fecero sentire in collera con se stessa. «Perché voleva morire e ho pensato quanto contasse questo amore per lui» scrisse «eppure malgrado la sua grandezza non potevo continuare, e dovevo andarmene. La sua solitudine era terribile.»

Poco dopo uscirono dallo studio e presero il tè insieme in un bar, senza scam-biarsi quasi neanche una parola. Lui le chiese se fosse intenzionata a vivere con Lytton e lei gli rispose di no.

«Ma forse ti ama» protestò Gertler.«No, invece no» rispose lei fredda.Questo, agli occhi di lui, rese la separazione più sopportabile. Tuttavia la im-

plorò di tornare a trovarlo da amico, fratello, malgrado entrambi sapessero che un compromesso simile non avrebbe funzionato. Quando venne il momento di salutarsi l’imbarazzo crebbe. «All’improvviso mi sono accorta di quanto mi im-portasse di lui» scrisse Carrington. «L’irrealtà, la freddezza di Lytton.» In auto-

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bus, sotto la pioggia, raggiunsero il British Museum. Fu un sollievo rimettersi in moto e, durante il tragitto, qualche volta, risero. Quando arrivarono, Carrington lo salutò «piena di una rabbia paurosa e con un brutto dolore al fianco».

Tornò poi nella stanza che ora condivideva con Alix, fece un bagno caldo e si vestì per la sera. Lytton era già al piano di sotto a prendere il tè con Alix e sua madre. Carrington li raggiunse e si sentiva troppo male per prestare loro atten-zione; osservò tuttavia con fascino e terrore che, malgrado sapesse cosa doveva aver passato con Mark, Lytton restava «lì seduto con calma a sottilizzare e fare i suoi arguti giochi di parole». Più tardi i due uscirono a cena, e Carrington fu lie-ta di continuare la conversazione riguardo agli amici e alle malattie di Lytton. Ma presto il peso di ciò che restava inespresso iniziò a farsi sentire. Il tempo che im-piegarono per cenare fu tremendo. Meglio parlare subito al ristorante o aspetta-re che Lytton la accompagnasse a casa? Sembrava ignaro della sua ansia.

Poi, tornati a Gower Street e accomodatisi davanti al camino, finalmente lui le chiese cosa fosse successo, e lei cercò di spiegare.

«Pensavo che fosse meglio dirlo a Mark, perché continuare era davvero dif-ficile» disse lei.

«Dirgli cosa?» domandò Lytton.«Che non poteva andare avanti. Perciò ho scritto e gliel’ho detto.»«Cos’hai detto nella lettera?»Carrington esitò. «Pensavo lo sapessi.»«In che senso?»«Gli ho detto che sono innamorata di te. Spero che non ti dispiaccia.»«Non ti pare di essere alquanto romantica?» chiese Lytton. «E sei sicura?»«Non c’è niente di romantico» rispose lei ironica.«Mark cos’ha detto?»«Era tremendamente sconvolto.»Lytton sembrava allarmato. «Ti è sembrato arrabbiato con me?»«No. Di te non ha parlato.»«Ma non ha senso» protestò lui. «Sono vecchio e malato. Mi piacerebbe es-

sere più sano.»«Non importa.»«In che senso? Secondo te cosa sarebbe meglio fare riguardo al fisico?»«Ah, non mi interessa.»Lytton tacque. Poi disse: «È alquanto spiacevole».Con il procedere della discussione, Lytton chiamò di nuovo in causa la lo-

ro incompatibilità fisica e la responsabilità di ciò che stavano facendo. «Pense-ranno che la colpa sia mia» disse. Carrington ribadì che sapeva ciò che faceva e che se qualcuno aveva colpa, era lei. «Magari fossi ricco» osservò Lytton «allo-ra sì che potrei averti come compagna.» Ma questo fece arrabbiare Carrington,

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gli rispose che nessuna somma di denaro avrebbe cambiato le cose, e Lytton as-sentì mesto.

«Poi si è seduto per terra con me» scrisse Carrington sul diario «ha preso le mie mani fra le sue e si è lasciato baciare sulla bocca, intrappolata nella barba ispida, e la mia dentro era pesante come piombo, perché sapevo quanto depri-mente sarebbe stato.»29

Carrington sperava che Lytton potesse trascorrere la notte con lei, quella not-te così importante, ma di lì a poco lui si alzò e disse che doveva andare. Sola, fu improvvisamente sopraffatta dalla «tristezza dell’addio e dal mio odio per me stessa e per quanto mi sta a cuore. E per la sua insensibilità – È stato così sag-gio e giusto».

Poco dopo scese da Alix e iniziò a parlare con lei a lungo nella notte: di co-me affrontare la relazione con Lytton, come organizzare la loro vita insieme, co-me evitare la necessità della segretezza e del sotterfugio.

Perché era successo proprio a lei? E malgrado nessuna risposta arrivasse e «non ci fosse consolazione», era un sollievo riuscire a discutere il problema con qualcuno che la capiva così a fondo. E mentre parlava, a ora sempre più tarda, sembrava che di lì a poco una soluzione si sarebbe trovata, e avrebbe dato inizio a una vita nuova e meravigliosa. E vide chiaro, chiaro come era stato per qual-cun altro prima di lei, che la fine non era affatto in vista, e che la parte più tor-tuosa e difficile stava solo iniziando.

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1. Il mulino di Tidmarsh in un dipinto di Dora Carrington, 1918.

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2. Lytton Strachey ritratto dal pittore francese Simon Bussy, 1904.

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3. Uno dei ritratti di Lytton Strachey che ne mette in risalto l’altezza.

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4. Dora Carrington, Stephen Tomlin, Lytton Strachey e Walter John Herbert Sprott in una foto di Lady Ottoline Morrell, 1926.

5. Dora Carrington, Reginald Sherring Partridge e Lytton Strachey, 1926-27.