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1 2-9 Febbraio 2009 Ore 10:00 Aula G07 Nuovo Settore Didattico Università degli Studi di Milano Polo Città Studi Via Golgi 19 Milano Appuntamenti con la Chimica 2008-2009 LABORATORI APERTI Guida alle esperienze presentate nei laboratori dei nostri Dipartimenti Chimica Organica e Industriale Sintesi del nylon 6,6 Chimica Fisica ed Elettrochimica Pila a combustibile Chimica Inorganica, Metallorganica e Analitica "Lamberto Malatesta" Chimica e ambiente

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2-9 Febbraio 2009 Ore 10:00 Aula G07 Nuovo Settore Didattico Università degli Studi di Milano Polo Città Studi Via Golgi 19 Milano

Appuntamenti con la Chimica

2008-2009

LABORATORI APERTI

Guida alle esperienze presentate nei laboratori dei nostri Dipartimenti

Chimica Organica e Industriale Sintesi del nylon 6,6

Chimica Fisica ed Elettrochimica Pila a combustibile

Chimica Inorganica, Metallorganica e Analitica "Lamberto Malatesta"

Chimica e ambiente

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Sintesi del nylon 6,6 Università degli Studi di Milano Dipartimento di Chimica Organica e Industriale

Con il termine nylon ci si riferisce ad una famiglia di polimeri sintetici, il cui capostipite è il nylon 6,6. Il nylon 6,6 è stato ottenuto per la prima volta in Germania, da Gabriel e Maas, nel 1899. Nel 1929 furono riconosciute a questo polimero delle proprietà utilizzabili commercialmente. Fu però solo in seguito agli studi sulle poliammidi, condotte da Wallace

Carothers alla DuPont di Wilmingtown nel Delaware a partire dal 1935, che nel 1939 poté iniziare la produzione industriale del nylon. Il primo lotto di nylon industriale fu prodotto nel maggio dell'anno successivo.

Il nylon 6,6 è il nylon per antonomasia ed è il più diffuso. Chimicamente esso deriva dalla

polimerizzazione per condensazione tra la esametilendiammina e l'acido adipico. Il nylon 6 è invece il prodotto della polimerizzazione del caprolattame (vedi pag. 3).

esametilendiammina

nylon 6,6

acido adipico

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COSA E’ UN POLIMERO?

Un polimero (dal greco molte parti) è una macromolecola di elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di piccole unità, dette monomeri (una parte), uguali o diverse fra loro, legate a catena mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame chimico.

Con il termine polimeri si intendono comunemente macromolecole di origine sintetica: materie plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili, sebbene siano polimeri anche molte molecole presenti nei sistemi viventi, quali proteine, acidi nucleici e polisaccaridi. Oggi i nostri abiti possono essere di poliestere, le sedie sono di polivinile e le scrivanie di formica. Le nostre automobili hanno gli pneumatici di gomma sintetica e la tappezzeria di polivinile. La vernice dei pavimenti di legno è di poliuretano. Tra i prodotti polimerici di più largo consumo figurano quelli per le confezioni alimentari e per la fabbricazione di una grande serie di oggetti. Materiali polimerici sono infine utilizzati per scopi particolari: ad esempio isolanti elettrici, nella fabbricazione di valvole cardiache e di parabrezza per aerei. I polimeri possono appartenere a tre grandi classi: gli elastomeri, dotati cioè di proprietà elastiche come la gomma; le fibre, utilizzate nell'industria tessile; le materie plastiche, che vanno da sottilissime pellicole a solidi duri prodotti a stampo. La grande varietà nelle proprietà dei polimeri dipende dalla varietà delle strutture possibili e lo studio della scienza e della tecnologia delle macromolecole è un settore di primo piano nel mondo industriale.

LA FAMIGLIA DEL NYLON

Dopo lo sviluppo del nylon 6,6, e del nylon 6, ci sono stati molti altri tentativi di polimerizzare un diacido con una diammina, pertanto il termine nylon è passato ad identificare tutta la famiglia di polimeri. I numeri che seguono il nome "nylon" specificano il numero di atomi di carbonio presenti rispettivamente nella diammina e nel diacido. Se il numero è uno solo, come nel caso del nylon 6, significa che il gruppo acido e il gruppo amminico coinvolti nella reazione di polimerizzazione sono presenti sulla stessa molecola e che questa molecola contiene quel numero di atomi di carbonio.

caprolattame nylon 6

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CARATTERISTICHE DEL NYLON

Uno degli usi principali del nylon è come fibra tessile. La filatura del nylon è condotta a temperature di 30-40 °C superiori rispetto al punto di fusione, attraverso l'uso di macchinari detti estrusori. La particolare lavorazione consente di orientare fisicamente le macromolecole in lunghe catene lineari stabilizzate da ponti idrogeno tra i gruppi CO e NH di macromolecole adiacenti e dirette secondo l'asse della fibra in formazione. Inoltre, l'alternarsi regolare delle catene alchiliche nella macromolecola concorre a conferire un notevole grado di cristallinità al polimero. Tutto ciò consente di ottenere un materiale dalle ottime caratteristiche meccaniche, quali l'elevato modulo elastico, la durezza e la resistenza all'abrasione. La fibra infatti presenta una ottima resistenza all'usura, un elevato recupero elastico, si tinge facilmente e ha una buona solidità al colore. Per contro, il nylon è sensibile a svariati reagenti chimici quali i candeggianti e gli acidi minerali e offre poca resistenza alle temperature superiori ai 100 °C.

USI DEL NYLON

La fibra di nylon può essere utilizzata in filo continuo per la fabbricazione dei collant, costumi da bagno e abbigliamento sportivo in genere (tute da ciclista, giacche a vento). Trova inoltre uso in borsetteria e per la produzione di ombrelli, fodere, tessili per l'arredamento e per la pavimentazione. In quest'ultimo caso il diametro del filo è maggiore.

La fibra può anche essere usata in fiocco, vale a dire che molte fibre tagliate a corta lunghezza sono torte insieme a formare il filo. In questo caso l'impiego è soprattutto in mischia con altre fibre, quali cotone e lana. I materiali così ottenuti sono usati per la produzione di calze da uomo, maglieria e, con fili di diametro più spesso, per la fabbricazione di tappeti.

SINTESI DEL NYLON 6,6

La sintesi industriale del nylon differisce da quella qui presentata su scala di laboratorio. Nel processo industriale l'acido adipico e la esametilendiammina sono mescolati insieme a dare il sale esametilendiammonio adipato. Il sale è poi portato a 275° C per mezzo di vapore sotto pressione. In queste condizioni avviene la formazione del legame ammidico tra le molecole dei monomeri.

direzione della fibra

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Per la nostra esperienza ricorreremo invece alla tecnica della polimerizzazione interfacciale tra l'adipoil cloruro e la esametilendiammina. Il cloruro acilico rappresenta una forma reattiva dell'acido, e pertanto il suo uso consente di ottenere la reazione di polimerizzazione in condizioni più blande. La tecnica della polimerizzazione interfacciale consiste nello sciogliere l'adipoil cloruro in un solvente organico immiscibile con l'acqua (il toluene) e nel mettere a contatto questa soluzione organica con una soluzione acquosa della diammina. All'interfaccia tra i due liquidi immiscibili avverrà la reazione di polimerizzazione, con la formazione di un sottile film di nylon. Il nylon in formazione può essere rimosso dall'interfaccia tra i due liquidi, in quanto viene continuamente rigenerato man mano che la reazione procede. Nella reazione si libera anche acido cloridrico come sottoprodotto. L'acido cloridrico può interferire con l'esito della reazione, in quanto può salificare la diammina, rendendola inerte. Per questo motivo, la soluzione acquosa è resa basica sciogliendovi dell'idrossido di sodio, che neutralizza l'acido cloridrico man mano che questo si forma.

PROCEDURA SPERIMENTALE

• Sciogliere 0.2 g di esametilendiammina in 20 ml di NaOH 0.1 M.

• Sciogliere 0.2 g di adipoil cloruro in 20 ml di toluene.

• Introdurre la soluzione acquosa di esametilediammina in un beaker da 100 ml.

• Versare lentamente la soluzione toluenica sulla soluzione acquosa lasciandola stratificare.

• Osservare la formazione di un film bianco all'interfaccia ed allontanarlo in continuo utilizzando una bacchetta di vetro.

• A reazione conclusa lavare abbondantemente in acqua e toluene per eliminare la soda, il sodio cloruro formato ed i monomeri non reagiti.

• Seccare in stufa fino a peso costante.

adipoil cloruro esametilendiammina

nylon 6,6

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La Pila a Combustibile Università degli Studi di Milano Dipartimento di Chimica Fisica ed Elettrochimica

L’elettrochimica è quella branca delle scienze che studia tutti i processi in cui si ha un trasferimento di carica elettrica. In un processo elettrochimico si può avere la trasformazione di energia elettrica in energia chimica (è ciò che accade negli ELETTROLIZZATORI) o la trasformazione di energia chimica in energia elettrica (è ciò che accade nelle PILE o BATTERIE). I processi elettrochimici caratterizzano la vita di tutti i giorni. Nelle nostre attività quotidiane utilizziamo apparecchi elettrochimici (pile di vario genere ed anche elettrolizzatori, per es. un carica batteria) e noi stessi esistiamo grazie a processi elettrochimici, come ad esempio i meccanismi cellulari e nervosi.

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CENNI STORICI

L’elettrochimica nasce nel 1800 con la comunicazione di Alessandro Volta alla Royal Society di Londra nella quale si descrive la realizzazione ed il funzionamento della pila. La Pila di Volta, era in realtà una serie di pile, ciascuna costituita da un dischetto di rame (o argento), un dischetto di feltro imbevuto di acido solforico, ed un dischetto di zinco. Impilando (da cui il nome “pila”) una o più serie di dischetti si può osservare che tra i due capi della pila si ha una differenza di potenziale. Volta non possedeva una strumentazione adeguata

a misurare questa differenza, ma ne vedeva gli effetti (era ad esempio in grado di far muovere le zampe delle rane come nell’esperimento di Galvani). Oggi questa differenza di potenziale può essere misurata con strumenti quali il potenziometro o il voltmetro elettronico ad altissima impedenza, in grado di misurare la differenza di potenziale “a circuito aperto” (Open Circuit Potential, OCP), cioè senza che vi sia passaggio di corrente. La pila di Volta non è altro che l’antesignana delle moderne pile (alcaline, al litio, Ni-MH) che comunemente utilizziamo per far funzionare le apparecchiature elettriche portatili (orologi, telefoni cellulari, torce elettriche, i-POD, PC ed altri srumenti portatili, dispositivi elettromedicali, es. pace-maker).

Le pile moderne possono essere suddivise in tre categorie: 1. pile primarie, non ricaricabili: in esse la reazione di conversione dei reagenti nei

prodotti è irreversibile, quindi, una volta utilizzate possono essere solo smaltite e possibilmente riciclate (i materiali che le compongono non devono essere dispersi nell’ambiente, bensì recuperati, con altri processi chimici ed elettrochimici);

2. pile secondarie, o ricaricabili (accumulatori): in esse la reazione di conversione dei

reagenti nei prodotti è reversibile (applicando un generatore esterno) e quindi possono essere utilizzate anche per migliaia di cicli di scarica/ricarica. Fanno parte di questa categoria gli accumulatori al piombo (comunemente utilizzati negli autoveicoli per far funzionare le sempre più numerose apparecchiature elettriche e il fondamentale “motorino di avviamento”), le batterie al Li che si trovano nei telefoni cellulari e nei PC. Una corretta gestione della ricarica è fondamentale per la lunga vita della batteria e l’efficienza delle apparecchiature, dal cellulare all’automobile. Anche nel caso dell’accumulatore al piombo possiamo misurare la differenza di potenziale a circuito aperto che risulta di 2 V;

3. pile a combustibile o “fuel cells”, di cui parleremo estesamente nel prossimo paragrafo.

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PILE A COMBUSTIBILE o “FUEL CELLS”

Proprio come in un normale processo di combustione (si pensi a quando bruciamo della legna in un camino o il gas metano nelle cucine domestiche), le pile a combustibile utilizzano un combustibile e un comburente. La differenza rispetto alla combustione “classica” sta nella separazione della reazione in due aree differenti, per cui è possibile produrre energia elettrica, a causa del passaggio di elettroni dal polo negativo al polo positivo della pila attraverso conduttori di I specie (metalli) e di ioni attraverso conduttori di II specie (soluzioni elettrolitiche). Il combustibile maggiormente utilizzato è l’idrogeno (H2), che tuttavia non è presente come tale in natura[1] e deve essere ottenuto attraverso diverse metodologie, come mostrato in figura.

Come comburente si utilizza l’ossigeno, o meglio, l’aria che ha il vantaggio di essere presente a costo zero nell’atmosfera che ci circonda. Utilizzando idrogeno come combustibile, l’unico prodotto finale della reazione è l’acqua, il che rende il processo assolutamente ECOcompatibile. Inoltre, questa combustione “elettrochimica” è intrinsecamente molto più efficiente di quella chimica termica, portando così a possibili risparmi energetici.

1 L’idrogeno, perciò, è un ottimo vettore di energia, ma non una fonte energetica primaria. La sua importanza risiede quindi nel fatto che la reazione di combustione “elettrochimica”, come descritto nel testo, dà come unico prodotto acqua. Ciò rende questa reazione ottimale per la riduzione della produzione di CO2

e di NOx, sostanze legate ai processi di combustione diretta di qualunque tipo di combustibile, che rappresentano un problema particolarmente sentito nelle aree urbane in relazione al traffico ed al riscaldamento domestico. Perciò, l’interesse verso la produzione di idrogeno (da fonti energetiche rinnovabili) ed il suo utilizzo in una pila a combustibile non risiede certo nel bilancio energetico globale (che è senz’altro negativo), ma nella sostenibilità ambientale del suo impiego per applicazioni di energia distribuita sul territorio.

Riproduzione da Brochure conclusiva Progetto ECTOS-CUTE (http://www.fuel-cell-bus-club.com/)

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Le due semireazioni di pila sono le seguenti: polo negativo: H2 → 2H+ + 2e-

polo positivo: ½ O2 + 2e- + 2H+ → H2O

e portano alla seguente reazione globale che è la combustione dell’idrogeno a dare acqua: H2 + ½ O2 → H2O

Il circuito si chiude con il passaggio dei 2e- nel circuito esterno di conduttori di I specie (generando così corrente elettrica) e con il passaggio dei 2 ioni idrogeno (H+) attraverso conduttori di II specie (elettrolita) e la membrana cationica che separa le due zone elettrodiche.

UTILIZZI DELLE PILE A COMBUSTIBILE

Innumerevoli sono gli utilizzi previsti delle pile a combustibile. Celle a combustibile miniaturizzate sono in procinto di essere commercializzate per alimentare telefoni cellulari, PC e altre apparecchiature portatili. Alcuni ospedali, compagnie di carte di credito, stazioni di polizia e banche negli Stati Uniti d’America utilizzano già pile a combustibile per alimentare la rete elettrica. A livello sperimentale, le pile a combustibile

sono impiegate in automobili, autobus, navi, treni, aeroplani, scooter.

Utilizzi stazionari

In tutto il mondo sono stati installati oltre 2500 sistemi basati sulle pile a combustibile in ospedali,

Polo positivo Polo negativo Polo positivo

Impianto da 200kW - Central Park – New York

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asili, alberghi, uffici, scuole, centrali elettriche sia connessi alla rete elettrica per garantire una potenza supplementare o in casi di emergenza (blackout elettrici), sia installati come generatori per un servizio on-site in aree inaccessibili alle linee elettriche convenzionali. Questi sistemi raggiungono una efficienza (combustibile-elettricità) intorno al 40%. Utilizzando combustibili fossili. Oltre e ridurre le emissioni di inquinanti, poiché si tratta di centrali silenziose, non si ha produzione di inquinamento acustico. Inoltre, quando queste centrali sono collocate vicino ai punti di utilizzo, il calore prodotto durante il funzionamento può essere recuperato per altri utilizzi (cogenerazione). In questo modo sono raggiungibili efficienze intorno all’85%.

Mezzi di trasporto

Attualmente, le maggiori case automobilistiche stanno lavorando per arrivare alla commercializzazione di automobili basate su questa tecnologia. Alcuni produttori prevedono di mettersi sul mercato nel 2012.

Negli ultimi anni, più di 50 autobus hanno operato in diversi paesi del mondo. In Europa negli anni 2002-2006, il progetto ECTOS-CUTE (Ecological City TranspOrt System - Clean Urban Transport for Europe) finanziato dalla Unione Europea, ha portato alla realizzazione di diversi prototipi in nove città europee. (http://www.fuel-cell-bus-club.com/).

Le pile a combustibile utilizzate in questo campo garantiscono, quando alimentate da idrogeno, zero o basse emissioni di inquinanti e poco rumore. In questo caso esiste il problema dello stoccaggio dell’idrogeno, che può essere trasportato in opportune bombole (come nel caso del bus mostrato in figura), opportunamente ri-riempite in stazioni di servizio e rifornimento .

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Altre possibilità….

SISTEMI PORTATILI

Le pile a combustibile possono fornire energia elettrica quando non si ha a diaposizione alcun collegamento alla rete elettrica. Offrono inoltre il vantaggio di essere più leggere delle batterie convenzionali e di durare più a lungo.

Le pile a combustibile cambieranno inoltre il sistema di telecomunicazione, alimentando telefoni cellulari, laptop e palmari per un tempo maggiore rispetto alle batterie convenzionali. Alcuni produttori hanno ottenuto dei prototipi che sono in grado di alimentare i telefoni cellulari per 30 giorni e i laptop per 20 ore, senza ricarica.

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DESCRIZIONE dell’ESPERIENZA di LABORATORIO

Il prototipo di cella a combustibile da laboratorio che viene mostrato è costituito da due elettrodi di platino finemente suddiviso disperso su feltro di carbone, separati da una membrana polimerica idratata che garantisce il contatto tra i due scomparti, ma impedisce il contatto diretto del combustibile con il comburente, per il quale si avrebbe la reazione di combustione normale. Quando la pila viene alimentata con idrogeno ed ossigeno, essa genera una differenza di potenziale sufficiente a far funzionare una piccola elica. Per far funzionare un orologio da parete, sono invece necessarie due pile collegate in serie. Così, proprio come nella pila di Volta, mettendo in serie un congruo numero di pile, sfruttando la modularità del sistema e tenendo conto anche della potenza necessaria, è possibile alimentare un orologio da parete o una automobile o addirittura una centrale elettrica.

L’idrogeno e l’ossigeno che servono per alimentare la pila, sono prodotti attraverso il processo di elettrolisi dell’acqua, in un sistema simmetrico al precedente, ossia usiamo energia elettrica per convertire l’acqua nei suoi costituenti: idrogeno e ossigeno. I gas prodotti vengono

convogliati e raccolti in due reservoir, prima di essere utilizzati nella pila. Si può osservare che il volume di idrogeno prodotto è doppio rispetto a quello dell’ossigeno, come da stechiometria di reazione: H2O→ H2 + ½ O2

Tale cella di elettrolisi è analoga alla cella a combustibile, ma i suoi due elettrodi vengono collegati a un apparecchio che genera una differenza di potenziale in grado di far avvenire la reazione. Questo apparecchio può essere un trasformatore direttamente collegato alla presa di rete elettrica oppure un sistema di pannelli solari, che trasforma l’energia solare in energia elettrica.

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Chimica e Ambiente Università degli Studi di Milano Dipartimento di Chimica Inorganica, Metallorganica e Analitica

"Lamberto Malatesta"

L’ACQUA

ANALISI DELLE ACQUE

L'acqua è forse la più importante tra le risorse umane. Un uomo può sopravvivere senza cibo per settimane, ma senz'acqua morirebbe in pochi giorni. Con argomentazioni meno drammatiche, è sufficiente osservare che ogni giorno, nell'intero pianeta, sono necessari milioni di litri d'acqua per lavare, irrigare i campi, per raffreddamento nei processi industriali, nonché per attività ricreative come piscine e centri per sport acquatici. Nonostante ciò spesso i bacini (fiumi, laghi, mari) vengono utilizzati come scarichi per ogni sorta di rifiuti, procedendo ad un inquinamento che può avere conseguenze anche molto serie sullo stato di salute dell’uomo. Se infatti le epidemie provocate da agenti infettivi

batterici o virali trasportati dalle acque sono più rare e limitate ai paesi ancora fortemente poco sviluppati, rimane elevata la minaccia di contaminazione chimica delle acque delle nazioni industrializzate e soprattutto di quelle in fase di industrializzazione. Le acque possono essere suddivise in acque interne (superficiali, sotterranee e potabili), acque di transizione (le acque superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura

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salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzate dai flussi di acqua dolce), acque marino-costiere (le acque superficiali situate all'interno rispetto a una linea immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico dal limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione), acque balneari. Occorre inoltre considerare che il 97% delle acque presenti sul pianeta è rappresentato da "acqua salata" e solo il 3% da "acque dolci". La percentuale maggiore delle acque dolci è costituita da ghiacciai polari, che però sono una risorsa d'acqua dolce non utilizzabile dall'uomo; una piccola percentuale è rappresentata dalle acque di superficie e dall'acqua presente nell'atmosfera e nella biosfera.

SUDDIVISIONE DELLE RISERVE IDRICHE

600 Km3 Biosfera

15.000 Km3 Atmosfera

950.000 Km3 Fiumi e Laghi

8.000.000 Km3 Acque sotterranee

29.000.000 Km3 Ghiacciai e ghiacci polari

1.350.000.000 Km3 Oceani

Le acque sotterranee rappresentano la maggiore risorsa idrica utilizzabile dall'uomo e sono importanti perché: rappresentano il 20%, dell'acqua dolce presente nel pianeta; l’80% della riserva d’acqua dolce è costituita da una risorsa non utilizzabile dall’uomo (ghiacciai e ghiacci polari), e quindi le acque sotterranee costituiscono un patrimonio inestimabile, fondamentale per la vita e per lo sviluppo socio-economico del pianeta; sono una risorsa rinnovabile anche se esauribile; forniscono il flusso di base di numerosi fiumi (che nei periodi di magra può arrivare fini al 90%) e servono pertanto da tampone nei periodi di siccità; sono essenziali per la conservazione delle zone umide; rappresentano la quasi totalità della risorsa idropotabile. IL CICLO DELL’ACQUA IN NATURA

L’acqua del mare, grazie all’energia termica fornita dal sole, evapora formando le nuvole che spinte dai venti sulla terraferma e incontrando strati atmosferici più freddi subiscono un processo di condensazione, e precipitano sotto forma di pioggia e neve. L’acqua piovana si satura dei gas dell’atmosfera (N2, O2 e CO2), cade sulla superficie terrestre e in parte penetra nel sottosuolo (percolando attraverso strati porosi di terreno), in parte scorre in superficie formando fiumi e laghi. L’acqua sotterranea scorrendo su strati di terreno impermeabile, riemerge sotto forma di sorgenti e si riunisce alle acque fluviali e lacustri, facendo ritorno al mare, dove si conclude il ciclo. Durante il percorso nel sottosuolo, l’acqua grazie al suo potere solvente, scioglie i costituenti del terreno. In alcuni casi si tratta di un semplice processo fisico, in altri avviene una vera e propria reazione chimica, come per il carbonato di calcio, la cui solubilità in

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acqua è minima. L’anidride carbonica disciolta nell’acqua consente l’attacco chimico e la dissoluzione del calcare: CaCO3 + H2O + CO2 → Ca++ + 2HCO3-

Ecco perché nelle acque naturali è presente lo ione bicarbonato. La tabella I mostra le sostanze disciolte nelle acque sotterranee; molti altri cationi e anioni possono essere presenti in minime quantità (Sr2+, Li+, Fe2+, Mn2+, NH4+, NO2-, NO3-, Br-, I-..).

TABELLA I - Principali sostanze disciolte nelle acque naturali sotterranee.

Sostanze gassose Azoto N2

Ossigeno O2

Anidride carbonica CO2

(Idrogeno solforato H2S) Sostanze solide dissociate Cationi

Sodio Na+

(potassio K+)

Calcio Ca++

Magnesio Mg++

Anioni

Cloruro Cl-

Bicarbonato HCO3-

Solfato SO4-- Sostanze solide non dissociate

Silice SiO2

Sostanze organiche (umiche) Le acque naturali di superficie contengono anche sostanze sospese (detriti argillosi o organici).

L’acqua del mare contiene nove ioni principali (Na+, Mg

++, Ca

++, K+, Sr2+, Cl-, SO42-, HCO3

-,

Br-) che da soli costituiscono il 99,5 % della salinità totale, e numerosissimi altri in minime quantità. Accanto al ciclo fisico dell’acqua in natura, occorre considerare il ciclo biologico. Le piante assorbono l’anidride carbonica dell’aria mediante le foglie, estraggono dal terreno per capillarità l’acqua contenente gli elementi nutritivi e grazie all’energia solare, sintetizzano le molecole organiche ed emettono ossigeno (fotosintesi clorofilliana). Il ciclo viene chiuso dai microrganismi aerobi del terreno e delle acque naturali, i quali trasformano i prodotti finali del metabolismo animale, ed i resti degli stessi animali e delle piante al termine della loro esistenza, in sostanze minerali, che tornano a far parte dell’ambiente. Questi cicli naturali vengono alterati, talvolta gravemente, dalla presenza dell’uomo e delle sue multiformi attività. Per l’uomo che vive in grandi comunità agglomerate in breve spazio, uno dei problemi più assillanti è quello del trasporto e dello smaltimento dei suoi residui fisiologici; tale problema è stato risolto col mezzo di trasporto più semplice ed economico, ossia l’acqua; da qui nasce il primo tipo di inquinamento idrico: l’inquinamento di origine domestica. L’uomo ha dedicato sempre maggiori cure all’agricoltura, incrementando l’irrigazione artificiale, producendo fertilizzanti sintetici tratti dal suolo (fosfati) e dall’atmosfera (concimi azotati), proteggendo le colture con anticrittogamici, insetticidi, e diserbanti

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anche di sintesi, sviluppando e razionalizzando l’allevamento del bestiame. Dalle acque che lasciano i campi risultano così elevate concentrazioni di sostanze nocive che danno luogo all’inquinamento di origine agricolo. A seguito della Rivoluzione industriale, le fabbriche incominciarono a consumare enormi quantitativi d’acqua per le lavorazioni, i lavaggi, la produzione di vapore, il raffreddamento, ecc.; buona parte di quest’acqua veniva restituita all’ambiente assieme ai residui (disciolti o sospesi) delle attività lavorative. A ciò si deve la grande diffusione dell’inquinamento di origine industriale.

LA CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE AI FINI ANALITICI.

Poiché la legislazione classifica le acque in funzione del loro utilizzo oltre che in base alla provenienza, si rende necessaria la loro analisi chimica per verificare che le loro caratteristiche corrispondano ai requisiti imposti. Di seguito verranno pertanto elencati i principali tipi di acque sottoposti ad analisi chimica. ACQUE MINERALI E DI SORGENTE

In Italia può essere venduta con la dicitura acqua minerale solo l'acqua che risponde ai criteri di legge stabiliti dal D.L. 25/1/1992 n.105, secondo il quale "Sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute". La legge italiana impone perciò che sull’etichetta delle bottiglie contenenti acque “minerali”, sia riportata l’analisi chimico fisica completa. Pertanto non tutti i chimici sono abilitati ad eseguire tali analisi, ma solo quelli appartenenti a laboratori ufficiali. Secondo l'uso corrente si possono chiamare acque minerali quelle acque che o per la quantità di corpi disciolti, o per la natura di essi, o per la temperatura che possiedono alla sorgente sono riconosciute adatte a scopi terapeutici. Occorre ricordare che il più recente Decreto Legislativo n.339 del 1999, che ha dato attuazione alla Direttiva europea n.96/70, ha introdotto la categoria delle acque di sorgente. Le acque di sorgente appartengono alla categoria delle acque naturali, batteriologicamente pure all'origine, ma non possono vantare effetti salutari La tabella II mostra la classificazione delle acque minerali. TABELLA II - Classificazione delle acque

Grado di mineralizzazione

Residuo a 180 °C mg/l

Minimamente mineralizzate < 50 Oligominerali < 500 Mediominerali 500 - 1500

Minerali > 1500 Le acque minerali possono essere denominate

A) Salse (cloruro–sodiche; Salso-solfato-alcaline; Salso-solfato-alcalino-terrose; Salso-bromo-iodiche ;Salso-iodiche-solfato-alcaline ; Salso-iodiche-alcalino-terrose)

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B) Solfuree (Solfuree-bicarbonate; Solfuree-salse; Solfuree-salso-bromo-iodiche; Solfuree-salso-solfato-alcaline; Solfuree-solfato-alcaline

C) Arsenicali ferruginose

D) Bicarbonato-alcaline

E) Solfate (Solfato-bicarbonate, Solfato-alcalino-terrose

ACQUE POTABILI PER USO ALIMENTARE E CIVILE

Un'acqua si dice potabile quando, oltre a possedere sapore, colore e limpidezza che la rendono grata al gusto e alla vista e a non avere odore spiacevole, abbia composizione adatta a soddisfare i bisogni fisiologici dell'organismo e non possa recare a questo alcun danno o malattia per la presenza in essa di germi patogeni. Secondo l'origine le acque da adoperarsi per bevanda si possono classificare in piovane, superficiali e sotterranee (di falda). I caratteri che si studiano in questi diversi tipi di acque si distinguono in:

• organolettici; apprezzabili con i sensi (limpidezza, mancanza di odore e sapore, ecc.);

• fisici; tra cui il più importante è la temperatura che dovrebbe mantenersi tra 7 e 15°C;

• chimici, che rivelano la presenza di sostanze inquinanti che, se prese in grande quantità, rendono l'acqua poco gradita e meno adatta alla sua funzione nell'organismo;

• biologici, che indicano se l'acqua è pura e se contiene germi di malattie.

Non sempre le acque da adibire ad uso potabile possiedono tutti i requisiti necessari, soprattutto se si tratta di acque superficiali o provenienti dal sottosuolo. Come conseguenza occorre quindi sottoporre l'acqua a particolari trattamenti fisici o chimici come:

• filtrazione, che serve per chiarificare le acque torbide mediante l'uso di filtri particolari di ghiaia e sabbia;

• sterilizzazione con radiazioni, che rende sterili le acque mediante l'uso di raggi ultravioletti, X o γ ;

• addolcimento, che diminuisce il grado di durezza di acque molto dure;

• sterilizzazione con reagenti chimici, che prevede l'uso di sostanze come cloruro di calce, cloro gassoso o ipocloriti, i quali rendono le acque sterili grazie all'azione del cloro. Tali sostanze hanno il difetto di alterare il sapore e l'odore dell'acqua rendendolo sgradevole.

I metodi analitici per eseguire le determinazioni relative a queste acque non differiscono sensibilmente da quelli impiegati per le acque minerali, anche se si richiede una precisione inferiore e il numero di saggi occorrenti è molto minore.

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Le caratteristiche chimiche delle acque destinate al consumo umano sono stabilite dalla direttiva CEE 80/778 del 15 luglio 1980, recepita dalla legislazione italiana con il D.P.C.M. dell’8 febbraio 1985. Si rammenti tuttavia che il giudizio di potabilità di un’acqua è di pertinenza del medico e che quindi il chimico non è abilitato a formularlo.

ACQUE INDUSTRIALI

Si chiamano acque industriali quelle acque che, presentando determinati requisiti fisici, chimici e talora anche batteriologici, possono venire impiegate in particolari processi industriali; vanno anche comprese sotto tale nome le acque che, proveniendo da certe lavorazioni, devono essere depurate per poter essere immesse nei condotti ordinari di scarico. A seconda del loro uso le acque devono possedere determinati requisiti:

• acque per caldaie; per essere destinata a tale uso l'acqua non deve corrodere le lamine di ferro o dare origine a incrostazioni causate dalla presenza di carbonati di calcio e magnesio;

• acque per industrie tessili e affini; in questo tipo di industrie l'acqua, unitamente al sapone, si impiega come detergente; occorrono perciò acque che non contengano ioni alcalino-terrosi (Mg++, Ca++, Sr++), poiché essi fanno precipitare i saponi neutralizzando la loro azione anche sulla fibra stessa in modo che le successive operazioni di tintoria non diano risultati soddisfacenti. Nell'acqua per tintoria inoltre non ci devono essere metalli pesanti che possano provocare macchie.

Le acque possono essere utilizzate inoltre per il raffreddamento di impianti o, come materia prima, nella produzione di energia elettrica (es. centrale idroelettrica).

ACQUE AGRICOLE

In agricoltura l'acqua esercita un ruolo vitale; non è possibile, infatti, alcuno sfruttamento del suolo senza un adeguato e razionale sistema di irrigazione. Per tale uso l'acqua non deve contenere elevate concentrazioni di quelle sostanze che risultano nocive alle colture come gli ioni Na+ e Cl-, i bicarbonati ed il boro, che provocherebbero alterazioni del terreno. Inoltre non devono essere presenti metalli fitotossici. Anche per l'allevamento del bestiame è richiesta acqua di elevata purezza con requisiti simili a quelli richiesti per l'acqua potabile.

CAMPIONAMENTO

L’operazione del prelievo del campione è una delle più delicate dell’intero processo analitico. Se il campione è alterato, mal prelevato o comunque non rappresentativo, si hanno conseguenze per quanto riguarda la certificazione legale o almeno ufficiale. Anzitutto i campioni devono essere raccolti in recipienti perfettamente puliti e con tappo a tenuta. I recipienti usati sono di materiale diverso in relazione all’analisi, in quanto ogni materiale può cedere all’acqua le sostanze di cui è composto. In genere si usa plastica (polietilene), il vetro (pirex) e l’acciaio inossidabile. E’ opportuno avvinare il recipiente con

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l’acqua in esame, prima del prelievo del campione, e riempire quanto più possibile la bottiglia prima di chiuderla, per evitare che vi rimangano bolle d’aria. Quando la sorgente è accessibile, il prelievo non presenta difficoltà. Per i fiumi è opportuno prelevare il campione al centro della corrente, a 20-50 cm dal pelo dell’acqua. Nel caso dei laghi, o comunque di acque non correnti, si devono eseguire prelievi a varie profondità .

ANALISI DELLE ACQUE

PARAMETRI CHE DEVONO ESSERE ANALIZZATI E CRITERI

Nonostante la Gazzetta Ufficiale n° 236 del 24/05/1988 indichi ben 62 parametri da tenere in considerazione per l’analisi delle acque, quelli fondamentali sono:

• Temperatura • pH • Conducibilità Elettrica Specifica • Durezza Totale, Temporanea E Permanente • Cloruri • Solfati • Calcio • Magnesio • Sodio • Potassio • Ossigeno Disciolto • Azoto Nitrico • Azoto Nitroso • Ossidabilità • Alcalinità

Descriveremo qui di seguito solo i parametri che determineremo insieme in laboratorio

TEMPERATURA La temperatura è un parametro fisico di notevole interesse in quanto fattore condizionante di tutte le cinetiche delle reazioni. Una sua variazione può infatti alterare, talvolta in modo irreversibile, gli equilibri chimici e biochimici dell’acqua. Per le acque sorgive la misura della temperatura fornisce preziose indicazioni sulle caratteristiche della falda in quanto un valore costante della sorgente testimonia un’origine profonda, che non risente cioè delle variazioni né diurne né stagionali della temperatura esterna. Al contrario le acque di falda freatica, e ancor più quelle superficiali, sono soggette a escursioni termiche più o meno ampie. Valori normali di temperatura di una buona acqua potabile sono compresi tra i 9 ed i 12 °C, ma sono comunque tollerate temperature sino a 25 °C. Valori superiori sono indizio di inquinamento termico, di cui le cause più frequenti risiedono negli scarichi caldi delle acque di raffreddamento, o di altra natura, prodotti dalle industrie (valido soprattutto per le acque superficiali).

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Questo fatto si ripercuote sfavorevolmente sul bilancio dell’ossigeno, con tutte le conseguenze negative che il fatto può comportare, sia direttamente, a causa della sua diminuita solubilità, sia indirettamente, attraverso il maggior consumo di ossigeno che l’aumentato metabolismo della flora acquatica comporta. In laboratorio determineremo la temperatura del campione di acqua grazie ad una termocoppia inserita nel campione stesso. DETERMINAZIONE DEL pH Il pH è pari a -lg(aH+), dove aH+ è l’attività degli ioni idrogeno presenti in soluzione Grazie ad un pH-metro preventivamente tarato con soluzioni tampone a pH noto, ad un elettrodo a vetro ed un elettrodo di riferimento (Ag/AgCl) si misurerà direttamente il pH del campione di acqua in esame. DETERMINAZIONE DELLA CONDUCIBILITÀ SPECIFICA Per conducibilità si intende l’inverso della resistenza elettrica che una soluzione elettrolitica presenta al passaggio della corrente, quando viene interposta tra due elettrodi. Questo parametro dipende dalle componenti ioniche dell’acqua e costituisce quindi una misura indiretta del suo contenuto salino. La sua determinazione viene effettuata mediante un conduttimetro, grazie ad una cella di conducibilità, previa determinazione della costante di cella. La conducibilità specifica, che viene espressa in μS/cm, nella maggior parte delle acque naturali è compresa tra 100 e 1000 μS/cm, ma non sono rare le acque che presentano valori esterni a questo intervallo (l’acqua distillata per esempio ha un valore inferiore a 2). Dopo aver impostato sul conduttimetro la costante di cella ed una volta immersa la cella di conducibilità nel campione di acqua in esame, si legge direttamente la conducibilità specifica in μS/cm.

DETERMINAZIONE DELLA DUREZZA

La DUREZZA TOTALE corrisponde alla somma delle concentrazioni dei cationi dei metalli alcalino terrosi (Ca2+, Mg2+) presenti in combinazione sia di acidi forti (Cl-, SO42-,NO3-) sia di acidi deboli (HCO3-). Anche altri cationi, come Fe2+, Sr2+ e Ba2+ potrebbero contribuire alla durezza delle acque, ma la loro presenza in genere è trascurabile quindi il loro contributo non è rilevante. La durezza totale si divide in temporanea e permanente. La durezza esprime un indice di qualità delle acque sia per scopi civili che industriali: alti contenuti di durezza implicano tra l’altro problemi di difficoltà di cottura dei cibi, precipitazione dei saponi come sali di Ca e/o Mg dei rispettivi acidi grassi (limitando l’azione sgrassante dei detergenti), problemi di salute legate a calcolosi renali, etc. Per scopi industriali si ha ad esempio che la formazione di sali insolubili di calcio in apparecchiature di scambio termico pregiudica severamente l’efficienza del trasferimento di calore: pertanto l’aumento di pH delle soluzioni a seguito di riscaldamento porta ad una incipiente precipitazione dei sali di calcio con susseguenti problemi di incrostazioni e barriere termiche nei processi di trasferimento di calore. La formazione di depositi

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calcarei, cioè precipitati di sali minerali che provocano la formazione di incrostazioni, possono compromettere il funzionamento di macchine sia industriali che domestiche. Da questo si capisce l’importanza della determinazione della durezza dell’acqua e del suo eventuale addolcimento (rimozione parziale o totale dei sali di calcio, magnesio e ferro). La DUREZZA TEMPORANEA è la porzione di durezza totale che scompare se si fa bollire l’acqua e corrisponde ai bicarbonati dei metalli alcalino terrosi, che durante l’operazione suddetta precipitano sotto forma dei corrispondenti carbonati con perdita di CO2.Ad es. Ca(HCO3)2 → CaCO3 ↓ + CO2 ↑ + H2OLa DUREZZA PERMANENTE è la porzione di durezza totale che rimane dopo ebollizione dl campione e corrisponde ai cationi dei metalli alcalino terrosi presenti nel campione solo in combinazione con anioni di acidi forti. DUREZZA TOTALE = DUREZZA TEMPORANEA + DUREZZA PERMANENTE

Come si esprime la durezza? La durezza si esprime in gradi francesi (più spesso) o in gradi tedeschi. Gradi francesi °f = (durezza espressa come mg CaCO3)/(100 g soluzione) Gradi tedeschi °f = (durezza espressa come mg CaO)/(100 g soluzione)

CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE IN BASE ALLA DUREZZA

Vi sono 2 metodi per determinare la durezza nei suoi contributi. Primo metodo: 1) Titolazione potenziometrica di Ca2+ e Mg2+ usando EDTA (sale disodico)

come agente complessate; si determina così la durezza totale. 2) Titolazione pH-metrica dei bicarbonati con HCl; si determina così la

durezza temporanea. 3) Per differenza si determina la durezza permanente.

Classificazione Durezza in gradi francesi Acqua molto dolce 0 ÷ 4Acqua dolce 4 ÷ 8Acqua a durezza media 8 ÷ 12Acqua a durezza discreta 12 ÷ 18 Acqua dura 18 ÷ 30 Acqua molto dura > 30

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Secondo metodo: 1) Titolazione colorimetrica di Ca2+ e Mg2+ usando EDTA (sale disodico) come agente complessate; si determina così la durezza totale.

2) Titolazione colorimetrica dei bicarbonati con HCl; si determina così la durezza temporanea.

3) Per differenza si determina la durezza permanente. Noi in laboratorio utilizzeremo questo secondo metodo. Titolazione colorimetrica di Ca2+ e Mg2+ con EDTA (sale disodico) per determinare la durezza totale.PRINCIPIO: La durezza totale dell’acqua si può determinare per titolazione con una soluzione del sale disodico dell’acido etilendiamminotetraacetico (EDTA)

a pH tamponato a 10, usando come indicatore il nero eriocromo T. Infatti a tale pH EDTA dà complessi incolori molto stabili con Ca2+ e Mg2+.Y4- + Ca2+ = CaY2- ; Y4- + Mg2+ = MgY2- Il rapporto di combinazione è 1:1 ed il complesso dell’EDTA con il calcio è più stabile di quello con il magnesio. L’indicatore usato per la titolazione di calcio e magnesio totali è il NET (nero eriocromo T) che a pH=10 forma con Mg2+ un complesso color rosso vino: Mg2+ + Hin2- (blu) = MgIn- (rosso) + H+

In- forma con Mg2+ un complesso meno stabile di Y4-; tuttavia, all’inizio della titolazione, quando Y4- è in difetto, è Ca2+ a reagire per primo con Y4-(perchè Y4- forma con Mg2+ un

complesso più debole che con Ca2+), lasciando la soluzione rossa per la presenza del complesso MgIn-

Ca2+ + MgIn- (rosso) + Y4- = CaY2- + MgIn- (rosso) Quando tutto il Ca2+ è stato titolato da Y4-, MgIn- può reagire a sua volta con Y4-:MgIn- (rosso) + Y4- = MgY2- + In3- (incolore) A sua volta In3- si idrolizza: In3- (incolore) + H2O = HIn2- (blu) + OH-

Quindi la determinazione del punto di equivalenza è resa possibile dal passaggio di colore da rosso ad azzurro chiaro.

SPERIMENTALMENTE: Prelevare 100 ml dell’acqua di rete da analizzare; aggiungere 10 ml di una soluzione tampone a pH 10 (NH3/NH4Cl) ed una un puntina di spatola dell'indicatore nero eriocromo T. Titolare con una soluzione di sale disodico di EDTA 0,01 M utilizzando una buretta da 50 ml, osservando il punto di viraggio da rosso vino a blu. Ogni ml di titolante consumato corrisponde ad 1 grado francese di durezza (con titolo dell’ EDTA esattamente pari a 0,01 M). Si deve determinare la durezza totale dell’acqua in esame. °f = [EDTA (mol/l)] x V EDTA(l) x PM CaCO3 (g/mol) x 1000 (mg/g)

HOOC-CH 2

-OOC-CH 2

CH 2-COOH

CH 2-COO-

N-CH2-CH2-N 2 Na+ EDTANa2H2Y

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Titolazione colorimetrica dei bicarbonati con HCl per determinare la durezza temporanea.PRINCIPIO: Possiamo stimare la durezza temporanea (dovuta cioè alla presenza di bicarbonati) come “alcalinità al metilarancio”. L’alcalinità di un’acqua, evidenziata anche dalla misura del suo pH (che è compreso nelle comuni acque minerali tra 6 e 8, con netta prevalenza di valori >7, ed è quindi decisamente più alto di quello dell’acqua distillata contenente CO2

per esposizione all’aria, che sta tra 5 e 6) è dovuta alla presenza di idrossidi, carbonati, bicarbonati ed altri sali. L’alcalinità di un’acqua si può valutare titolandola con HCl 0.05 N utilizzando due indicatori: fenolftaleina e metilarancio. Con l’uso della fenolftaleina (che vira intorno a pH = 9) si rilevano globalmente anioni basici forti come CO32-; OH-, PO43- (“alcalinità alla fenolftaleina”). Aggiungendo il metilarancio (che vira intorno a pH 4) si rilevano globalmente anioni basici più deboli quali HCO3- e HPO4- (“alcalinità al metilarancio”). [Naturalmente se non si esegue la titolazione con i due indicatori in serie ma si mette solo il metilarancio si rilevano insieme globalmente tutti gli anioni suddetti, “alcalinità totale al metilarancio", anche se effettivamente tra di essi i bicarbonati fanno la parte del leone]. SPERIMENTALMENTE: Prelevare 100 ml dell’ acqua di rete da analizzare ed aggiungere alcune gocce di metilarancio. Titolare con HCl 0.05 N utilizzando una buretta da 50 ml, osservando il punto di viraggio da giallo ad arancione. Si deve determinare la durezza temporanea dell’acqua in esame (tenendo conto del rapporto Ca2+ : HCO3- = 1 : 2). °f = {[HCl (mol/l)] x V HCl (l) x PM CaCO3 (g/mol) x 1000 (mg/g)} / 2

La durezza permanente si ottiene per differenza tra la durezza totale e quella temporanea.

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Per maggior chiarezza ricordiamo cos’è una titolazione. La titolazione è una procedura che serve per determinare la concentrazione di una determinata sostanza (analita) in una soluzione. Titolare una soluzione significa determinare la concentrazione dell’analita in essa disciolto, quindi titolo è sinonimo di concentrazione. Titolare una soluzione di HCl (acido cloridrico) significa determinare la concentrazione dell’HCl in soluzione.

Determinare la durezza di un’acqua significa determinare il titolo di Ca2+

dell’acqua, esprimendolo poi in gradi francesi o tedeschi. In base al tipo di reazione chimica che si sfrutta si distinguono diversi tipi di titolazione: 1) Titolazione acido-base: sfrutta una reazione di neutralizzazione tra un acido ed una base 2) Titolazione ossidimetrica: sfrutta una reazione di ossidoriduzione (o redox) 3) Titolazione gravimetrica: sfrutta la formazione di un sale (o composto) insolubile 4) Titolazione complessometrica: sfrutta la formazione di un composto di coordinazione In una titolazione vi è una soluzione titolante a titolo noto (della quale cioè si conosce la concentrazione) che viene introdotta in una buretta (di varie capacità, munita di tacche graduate che consentono la lettura di circa 0.05 ml; nella estremità inferiore vi è un rubinetto che consente il lento svuotamento della buretta mediante sgocciolamento); questa viene lentamente aggiunta (goccia a goccia) alla soluzione a titolo incognito. Il gocciolamento continua sino al raggiungimento del cosiddetto punto di equivalenza (pto eq.), al quale vale la seguente relazione:

numero di moli di titolante = numero di moli di analita Il punto di equivalenza individua la fine della titolazione. Sempre al punto eq. valgono le seguenti relazioni: n° mmoli titolante = (ml di titolante gocciolati sino al pto eq.) x (molarità del titolante) n° mmoli analita = (ml di soluzione dell’analita) x (molarità dell’analita) e quindi: (ml di titolante gocciolati sino al pto eq.) x (molarità del titolante) =

= (ml di soluzione dell’analita) x (molarità dell’analita) quindi se indichiamo con 1 il titolante e con 2 l’analita si può scrivere:

V1M

1= V

2M

2

Dove M è la molarità (moli/litro) delle soluzioni; V1si legge sulla buretta, M

1e V

2sono noti

e quindi si può ricavare M2.

L’individuazione del punto di equivalenza risulta quindi fondamentale in una titolazione; a questo scopo si possono utilizzare degli indicatori, delle sostanze cioè che provocano una netta variazione della colorazione della soluzione una volta soddisfatta una certa condizione. La titolazione viene quindi eseguita gocciolando lentamente la soluzione di titolante nella soluzione da titolare, sino al cambiamento di colore (viraggio) della soluzione che equivale al punto equivalente. Nell’esperienza della durezza totale la titolazione è di tipo complessometrico. Una titolazione complessometrica sfrutta la formazione di un complesso: la soluzione titolante contiene una molecola legante ad elevata affinità con lo ione o gli ioni analiti, ed una volta a contatto con essi forma un complesso ad elevata stabilità.