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Periodico d'informazione sulla comunicazione e dintorni. In questo numero: La marca che ho in menteVis à Vis con Ilaria LegatoWeb e medicinaNavigare in tempestaGuerra e pace in Irlanda sui muri di BelfastAscoltare, un duro lavoroCuriosità
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magazine numero 2 - Anno I/maggio 2012Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
in questo numero
© M
enth
alia
La marca che ho in mente
Vis à Vis con Ilaria Legato
Web e medicina
Navigare in tempesta
Guerra e pace in Irlanda sui muri di Belfast
Ascoltare, un duro lavoro
Curiosità
pagina 2numero 2 - maggio 2012
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Editoriale
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Registrazione al Tribunale di Napoli
N. 27 del 6/4/2012
Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione
Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà
Art Director: Marco Iazzetta
Grafi ca & Impaginazione: Menthalia Design
Hanno collaborato in questo numero:
Stefania Buonavolontà, Martina Dragotti,
Stefania Stefanelli, Riccardo Michelucci,
Loredana Romano, Piercarlo Salari
Menthalia srl direzione/amministrazione
80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio
Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445
Sede legale: 80121 Napoli – 30, Piazza dei Martiri
Sedi di rappresentanza:
20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro
50132 Firenze – 17/A, Via degli Artisti
Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari
®
Il viaggio
La celebre guida Lonley Planet, compagna di strada di molti
viaggiatori, compie 40 anni. Per festeggiarli, la famosa casa
editrice, ripropone il diario del primo viaggio-avventura del
suo fondatore Tony Wheeler e di sua moglie, dal quale prese
vita l’ambizioso progetto che aveva in mente.
Quel primo viaggio fatto negli anni ’60, l’Hippy Trail, parti-
va da Londra fi no a raggiungere l’Australia, barattando pas-
saggi, utilizzando mezzi di fortuna, proprio come racconta
lo stesso Wheeler: “Il nostro piano era semplice, io e mia
moglie Maureen avremmo comprato una vecchia macchi-
na a Londra, l’avremmo portata il più lontano possibile in
direzione est, avremmo continuato con qualsiasi mezzo di
trasporto sarebbe saltato fuori, saremmo arrivati in Australia
dopo sei mesi circa, dopo di che avremmo lavorato qualche
mese per risparmiare abbastanza denaro per poter ritornare
in Europa in aereo”.
“Una grande passione divenuta un lavoro di successo”.
Perchè il viaggio, quello vero, non è solo uno spostamento da
un luogo all’altro, ma un’esperienza che arricchisce mente ed
anima, talvolta a danno del portafogli, per scoprire la realtà
da un punto di vista diff erente, per osservare vite, storie e
racconti che continuano ad accadere, ogni secondo,
ogni stante, lenti o veloci, ma che scrivono la
storia dell’umanità. Un modo per ridimen-
sionare la nostra visione del mondo, per
mettere in discussione un equilibrio,
per aprirsi al dialogo. Perché viag-
giare è come sfogliare le pagine di
un libro, saltando da un capitolo
all’altro, segnando con una piega
le pagine ancora da leggere, viaggi
ancora da fare, personaggi ancora
da scoprire, con il vantaggio di
esserne sempre l’autore, e po-
ter così cadenzare il ritmo e
modulare lo stile, attraverso
punti e virgole raccolti qui e là
per le strade del mondo.
Marco Iazzetta
General Manager
MENTHALIA
itinerario
escursioneesplorare
navigazionetour inne
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®
di Martina Dragotti, Copywriting & Communication
La marca che ho in menteL’interessante mondo del Brand Image visto dall'occhio dei consumer
Signore e signori ecco a voi il Brand.
Sì, la marca. Sì, intendo proprio quel-
la scritta più o meno grande che ci
condiziona durante gli acquisti e per la
quale saremmo disposti a follie fi nanziarie,
pur di averla stampata su di una scarpa o
una borsa. Sì, esattamente, proprio quella
scritta o etichetta che individua uno status
o un modo di essere e di sentirsi, quella
che oltre prodotti e servizi ha etichettato
un’epoca; quella che Andy Warhol, senza,
avrebbe dipinto i fi ori, quella che condizio-
na anche coloro che la snobbano. Quella
che non lascia superstiti e che non ammet-
te eccezioni, quella che detta le regole, in-
somma, proprio lei, la marca.
“Ma cosa signifi ca esattamente marca?!”
Nel lontano 1960, l’American Marketing
Association (AMA) defi niva il brand come
“un nome, un termine, un segno, un sim-
bolo, un disegno o una loro combinazione
che identifi ca un prodotto o servizio di un
venditore e che lo diff erenzia da quello del
concorrente”. La defi nizione è ancora ac-
cettata ed insegnata, anche se con qualche
variante che mira solo ad ampliarne l’ac-
cezione.
È, dunque, il bisogno di diff erenziarsi la
principale prerogativa che connota il si-
gnifi cato della parola marca. Questo, però,
è un signifi cato portatore di un punto di
vista perlopiù unilaterale, quello dei pro-
duttori, che vogliono a tutti i costi marcare
la linea di confi ne che li separa dai concor-
renti.
“Ma cosa signifi ca marca per i consumatori?!”
Procediamo ancora con riferimenti acca-
demici. L’assunto fondamentale è che la
marca nasce nella mente del consumatore.
Tutto può costituire o divenire brand se
come tale viene percepito, se diviene og-
getto di un insieme di percezioni, come
nella defi nizione fornita poco prima.
Quindi possiamo aff ermare che il brand ha
una vita propria: oltre a trasmettere quello
che le aziende intendono comunicare, esso
si amplia e vive delle per-
cezioni dei consumer, delle
loro esperienze e dei loro
ricordi, delle loro abitudini
di consumo, fi no a costruire
quell’immagine percepita
che caratterizza ogni singola
esperienza di marca.
A tal proposito, con uno studio
molto interessante l’illustratore
“MyHotJuly” ha reinterpreta-
to alcuni dei loghi più famosi,
svestendoli della loro immagine
tradizionale e mettendo in evi-
denza, invece, ciò che viene per-
cepito dai consumer. È diverten-
te, ed anche sorprendentemente
verosimile, scoprire come il logo
Facebook venga visto come una
scritta bianca che recita “droga on
line” sull’ormai famoso sfondo bleu,
o come Google sia istantaneamente
associato alla parola “Cerca”, e che
dire del simbolo Lacoste che nel-
la mente dei consumatori identifi ca
l’intera categoria merceologica delle
polo.
Questo avviene quando un brand è ra-
dicato così a fondo nelle abitudini e nei
consumi collettivi, da entrare a pieno
titolo nell’immaginario comune, esten-
dendo il signifi cato di marca fi no a mo-
difi carne la percezione nella realtà. Ed è
così che per moltissimi consumer il web
è divenuto sinonimo di Facebook, una
bevanda dissetante corrisponde ad un bic-
chiere di CocaCola ed una corsa in libertà
equivale ad un total look fi rmato Nike.
E non pensate di scampare a questa logica
schiacciante, se non rientrate in qualcuna
di queste categorie. Badate bene che se non
fate parte della massa di Facebook, magari
è perché il vostro mood si confà maggior-
mente a quello snobistico di Twitter, o sta-
chanovistico di Linkedin. E se non siete
web addicted?! Niente paura, magari qual-
cosa di voi sarà scritto, che lo vogliate o no,
nella marca delle vostre scarpe o emanerà
dall’odore del vostro profumo.
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e o emanerà
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book, una
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®
In questo numero vi proponiamo uno sguardo
ravvicinato al mondo delle Public Relations.
Lo facciamo attraverso un’interessante in-
tervista alla Dott.ssa Ilaria Legato, PR Ma-
nager, comunicatrice, interprete e amba-
sciatrice delle ultime tendenze nel mondo
dell’ospitalità e del networking sociale.
Le Relazioni Pubbliche nel settore HO-
RECA, il mondo del Food & Beverage in
tutte le sue declinazioni... raccontaci un
po’ di questo tuo splendido mestiere.
Il compito di chi si occupa, come me,
di Relazioni Pubbliche per il mondo
Horeca (Hôtellerie, Restaurant, Ca-
tering o Café) è quello di “vestire” il
brand che si rappresenta, accompa-
gnando molto spesso il cliente “per
mano” facendogli comprendere i pun-
ti di forza e di debolezza della sua im-
magine e reputazione, con l’obiettivo
di migliorare la visione di “se stesso”
e di conseguenza la percezione che gli
opinion leader ed il pubblico di inte-
resse hanno di lui. Cuochi, albergatori
e Food Designer disegnano e svilup-
pano sapori, accoglienza ed emozio-
ni; io seleziono, correggo e amplifi co
le loro arti per farli conoscere al loro
pubblico di riferimento in modo che
raggiungano notorietà e consenso sul
lungo periodo.
Oggi essere esperti di comunicazione equi-
vale a dire di essere dei tuttologi. La comu-
nicazione ha ampliato moltissimo la sua
accezione, nonché i mezzi attraverso i quali
essa si manifesta. La necessità di avere degli
esperti in materia va di pari passo a quella
di avere una formazione specializzata e spe-
cialistica. Tu cosa ne pensi?
Intraprendere una carriera di esperto in
Relazioni Pubbliche signifi ca inoltrar-
si in un ambito che richiede oltre che
doti relazionali, competenze strategiche
e che può off rire davvero delle sfi de in-
teressanti, eppure in Italia sopravvivono
ancora pregiudizi, a tal punto che molti
identifi cano chi “fa PR” in maniera im-
propria come colui che “organizza feste
e aperitivi… fa cose e vede gente!”. Le
relazioni pubbliche sono un lavoro e
richiedono sempre più competenze ma-
nageriali. A Roma mi occupo della Di-
rezione della Scuola IED Management
Lab (www.ied.it) che cerca di costruire
diverse delle competenze che andranno
a formare il futuro comunicatore di do-
mani, dove l’aspetto progettuale e mana-
geriale sono basilari.
di Stefania Buonavolontà, Marketing & Communication
Vis à Vis con Ilaria Legato
Organiz
Events
FooHospitality
Public Relati
Ilaria Legato
PR Manager
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Parliamo proprio di Public Relations.
Oggi è più che mai necessario per le azien-
de investire in esperti del networking
sociale per gestire la propria reputazione,
veicolare le informazioni giuste ed am-
pliare la propria rete di contatti. Quan-
to puntano le aziende su questo aspetto,
considerato il panorama economico at-
tuale?
Un piano di RP non può sostituire
una campagna pubblicitaria ma è co-
munque in grado di produrre ottimi
risultati, dando un contributo essen-
ziale alla costruzione della reputazio-
ne dell’azienda e all’organizzazione
del brand: dunque rappresenta per
l’azienda uno strumento strategico
con grandi potenzialità e con un inve-
stimento più contenuto di quello pub-
blicitario. Molte aziende oggi si sono
accorte che appoggiarsi ad un esper-
to di RP può rappresentare nel lungo
periodo un vantaggio competitivo in
termini di incremento di consenso e
notorietà sia sull’azienda che sui rela-
tivi prodotti e servizi.
Come è cambiata questa professione con
l’evoluzione tecnologica? Conta ancora
molto il “face to face”?
Le RP on line, oggi rappresentano un’at-
tività fondamentale: attraverso gli stru-
menti web dell’azienda si possono mo-
nitorare e coinvolgere opinion leader e
pubblico d’interesse, con la possibilità
di creare connessioni potenzialmente
vastissime e di interagire con clienti,
consumatori e target ad hoc.
La regola è sempre quella del dialogo e
dell’ascolto.
Utilizzare la presenza del nostro cliente
on line per fare una mera pubblicità non
porta lontano, molto meglio sfruttare
internet per raccogliere informazioni
sui clienti attuali o potenziali, per creare
connessioni che si possono tradurre in
conoscenze reali.
Grazie a internet il servizio di ufficio
stampa oggi è maggiormente facilita-
to: ad esempio, i blogger costituisco-
no un pubblico nuovo su cui interve-
nire con le PR e sono di fatto usciti da
quella diffidenza che pativano qualche
anno fa, per diventare figure attuali e
ricercate (io stessa ne ho aperto uno
www.ilarialegato.com) per dialogare
più facilmente con gli opinion leader
del mio ambito.
Attraverso i blog, infatti, ci sono più
opportunità di far circolare una noti-
zia e creare passaparola positivo.
Dealings
zation
d
ions
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Web e medicinaDermatite atopica: il rapporto mamma-bambino-pediatra nell’era di internet
di Piercarlo Salari, Medico chirurgo specialista in Pediatria
Nei primi anni d’età la dermatite atopica (DA) è un prototipo di malattia che fa rifl ettere sull’im-
portanza della comunicazione e del rap-porto con il medico. Un rapporto che negli ultimi anni ha visto infi ltrarsi alla triade mamma-bambino-pediatra il condiziona-mento di internet. La DA, com’è noto, è gravata non soltan-to da implicazioni cutanee (arrossamento, desquamazione, prurito, sovrainfezioni batteriche) ma anche da molteplici riper-cussioni sul benessere psicofi sico del bam-bino e sulla serenità entro le mura dome-stiche, in particolare a carico della madre, come dimostrato da una recente indagine italiana (Monti F, et al. Ital J Pediatr 2011 22; 37: 59.).
“Ma quali sono gli eff etti dei condizionamenti, talvolta subdoli, fuorvianti e privi di autorevolezza,
di internet?”Senza dubbio essi insinuano ul-teriori incertezze nei genitori, già provati per l’impatto della DA, alimentando per esempio diffi denza, timori – paradig-matica a tale riguardo è la cor-ticofobia, cioè la paura di usare
preparati cortisonici – oppu-re sfi ducia nei riguardi
delle terapie di com-provato impiego.
Al 15 marzo, sol-tanto digitando “dermatite atopi-ca”, si ottengono circa 309mila
risultati e 85,5 mila abbinan-do il termi-
ne “terapia” alla chiave di ricerca. In in-
glese i risultati ammontano inve-ce a 3,2 milioni per “atopic dermatitis” e a 1,5 milioni per “atopic eczema”. È evidente che con tale volume di siti, che esprimono altrettante opinioni, è diffi cile per chiunque orientarsi e che la preceden-
za su Google non è sintomo di qualità, ma talvolta solo di investimenti: sono
molti infatti i siti pseudo-scientifi ci che vogliono vendere qualcosa. Un criterio da suggerire può essere senz’altro la certifi ca-zione “HON” (Health On the Net Founda-tion, istituita a Ginevra nel 1995, che ha stabilito un codice comportamentale e al tempo stesso una garanzia dei contenuti per chi naviga in internet). Purtroppo, però, non sempre siti autorevo-li presentano il codice HON: quello della National Eczema Society, americana, per esempio (www.nationaleczema.org), lo ha ottenuto soltanto di recente, mentre quello della società europea (www.eczema.org) e quello dei Centers for Disease Control and Preve ntion (CDC, www.cdc.gov) ne sono addirittura sprovvisti. Altre insidie della rete sono rappresentate da siti che propongono informazioni accattivanti che mascherano proposte subdole di vendita, per esempio di test diagnostici non certifi -cati, oppure da siti che, citando riviste non accreditate nell’Index Medicus, sollevano preoccupazioni, come nel caso dei cortico-steroidi, o propugnano messaggi terrori-stici o fuorvianti, sostenendo per esempio la necessità di far ritirare dei farmaci dal commercio.
“La consultazione di siti autorevoli,
come quello dell’European Medicines
Agency (EMA), potrebbe consentire
a chiunque di eff ettuare le opportune
verifi che, ma è pur vero che
diffi cilmente i genitori, senza
opportuna indicazione, possono
acquisire tali informazioni”.
Ci sono poi siti che promettono il gratui-to patrocinio in caso di denuncia alle in-dustrie produttrici di cosmetici, salvo poi esigere una percentuale ragguardevole su eventuali indennizzi. Alla luce di queste premesse si delinea quanto mai fondamentale e imprescin-dibile il ruolo del pediatra, unica fi gura in grado di identifi care gli strumenti me-todologici e operativi per un corretto in-quadramento, per l’orientamento verso so-luzioni terapeutiche personalizzate, per il follow-up e la prevenzione di complicanze nel lungo termine.
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Bisognerebbe avere più faccia tosta.
Prendersi il lusso di essere imperti-
nenti, dire quello che si pensa esatta-
mente come lo si pensa senza farsi proble-
mi per le reazioni e i sentimenti degli altri,
trasgredire le regole del buon vivere civile e
della corretta comunicazione e fare proprio
come ci pare.
Vi sembra un abominio? In eff etti lo è.
Eppure c’è chi ha trovato un luogo anzi, un
non-luogo, dove potersi sbizzarrire tirando
fuori indisturbato il peggio di sé: la rete. In
rete nessuno ti guarda negli occhi mentre
parli (pardòn, scrivi) quindi non ci saranno
occhi in cui potrai leggere indignazione e di-
sapprovazione per aver sfogato il tuo più bas-
so istinto. Puoi non rispettare nessuno, dare
fastidio, essere invadente, creare scompiglio
nelle comunità urtando la sensibilità altrui.
Perché sì, lo scompiglio lo crei comunque,
anche in una realtà virtuale. Non è aff atto
vero che la rete è una giungla perché men-
tre navighi, esattamente come mentre vivi la
tua giornata, sei inserito in un contesto fatto
di persone, di tempi e situazioni che hanno
le loro regole e che i più rispettano: le regole
della Netiquette. E tu che non le rispetti crei
un problema a tutti gli altri.
Qualcuno si domanderà cosa sia questa Ne-
tiquette ma se è un frequentatore della rete
in realtà lo sa già, anche se forse gli è nuovo
il termine. La Net (rete) – étiquette (buona
educazione) è quell’insieme di regole di com-
portamento da adottare mentre si interagisce
virtualmente con altri individui attraverso
forum, siti, social network. Questioni di
buon senso, non doveri soggetti a sanzio-
ni. Così come nel quotidiano sarebbe, per
esempio, buona norma togliere la suoneria
del telefonino in biblioteca oppure lasciare
il passo ad una signora davanti ad un porto-
ne, così in rete dovremmo evitare di scrivere
un messaggio in un forum in stampatello,
perché ciò equivale ad urlare; sarebbe molto
meglio chiarire nell’oggetto di una email qual
è l’argomento di cui tratta, per evitare che il
destinatario ci metta un quarto d’ora a capire
che non gli interessava aff atto leggerla; biso-
gnerebbe evitare di rendere pubblico ciò che
qualcuno ci ha detto in privato.
Questo, in eff etti, anche nella vita di tutti i
giorni, ma il fatto è che il confi ne tra dentro
e fuori la rete non esiste più: quel che accade
on line infl uenza la nostra vita quotidiana e
quel che facciamo nella nostra vita quotidia-
na può fi nire on line per colpa ad esempio di
una foto taggata senza permesso.
Ebbene, ci sono un bel po’ di utenti che si
divertono a fare i guasconi e queste regole
non le rispettano, minando la tranquillità
della navigazione. Poca roba, direte. Basta
un buon lavoro fatto dall’amministratore e il
guastafeste viene bannato, segnalato, elimi-
nato, salvo ricomparire a far danno con un
nuovo nickname o una nuova falsa identità
per poi essere di nuovo beccato.
Ma cosa accade quando questi elementi
approfi ttano del fi ltro della rete per avvi-
cinare e importunare pubblicamente un
personaggio famoso?
Se un ammiratore o disturbatore che sia non
ha il coraggio di gridare oscenità ad una ve-
lina incontrata per strada per paura di essere
preso a calci dai suoi bodyguards o dal suo
fi danzato calciatore, non avrà remore a farlo
su Twitter mentre è al sicuro nel silenzio di
camera sua. Ed ecco che i profi li di molti vip,
che si erano avvicinati ai social network per
dialogare con i propri fans, vengono giorno
dopo giorno disattivati perché per loro il
rischio ormai è quello di darsi la zappa sui
piedi da soli e fi nire vittime di innumerevoli
stalkers (che oltretutto attraverso la tua pagi-
na pubblica sanno quando esci, sanno quan-
do torni e ti vengono anche a rubare in casa
nel frattempo. Ma questa è un’altra storia).
Bacheche piene di insulti impossibili da ge-
stire, indirizzi di residenza forniti pubblica-
mente, caselle private intasate da quelle che
non sono vere minacce denunciabili, ma
continue sgradevoli “attenzioni” che tolgono
il gusto ad una cosa bella.
Rischi del mestiere? Certamente. Ma il fa-
stidio resta, o dovrebbe restare, perché se
si mina la libertà di qualcuno, quello è un
problema di tutti. Anche se quel qualcuno è
diverso da noi perché è più famoso ed ha un
conto in banca molto più fl orido del nostro.
Che voi siate vip o meno, siamo tutti sulla
stessa barca e navighiamo rischiando di in-
cappare in indesiderati pirati. Tutto però sta
a ridimensionare il problema e a non dargli
troppa importanza.Perché sì, in rete c’è mol-
ta più faccia tosta, ma i maleducati sono una
razza che abbiamo già imparato a conoscere
fuori da questo schermo.
di Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva
Navigare in tempesta
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Guerra e pace in Irlanda sui muri di BelfastL’iconografi a del confl itto sta lasciando spazio a nuove rappresentazioni
di Riccardo Michelucci, Giornalista
Da decenni le mura dei quartieri di
Belfast sono le pagine di un enor-
me libro di storia a cielo aperto
che raffi gura odio, disprezzo vendetta ma
anche memoria, sacrifi cio e spirito di ap-
partenenza. Esprimere i sentimenti della
propria comunità dipingendo le facciate
delle abitazioni, i muri divisori, le pareti
dei palazzi è una tradizione che contraddi-
stingue le strade e i quartieri più popolari
di Belfast, ma anche quelle di Derry, Ar-
magh e dei centri minori.
Un’usanza che i quartieri unionisti inau-
gurarono per primi all’inizio del XX se-
colo, per cercare di coagulare la propria
identità comunitaria di fronte a quelli
che venivano percepiti come attacchi alla
loro condizione di privilegio da parte dei
cattolico-nazionalisti. Protagonista assolu-
to dell’iconografi a muraria di inizio secolo
– tuttora ricorrente nelle moderne rappre-
sentazioni – è il famoso 12 luglio del 1690,
giorno che vide il re protestante Guglielmo
d’Orange sconfi ggere il cattolico Giacomo
II nella storica battaglia della Boyne, da
sempre considerato uno spartiacque fon-
damentale della storia d’Irlanda.
Molto più recente è invece l’esperienza
dei murales nei quartieri cattolico-nazio-
nalisti, risalente perlopiù all’epoca degli
scioperi della fame in carcere dei primi
anni ‘80, un periodo di grandi mobilita-
zioni a sostegno dei militanti incarcerati
che protestavano per ottenere lo status
di prigionieri politici. Sono talvolta un
modo di “segnare il territorio” – non
senza esplicite dimostrazioni di violen-
za, specie nei quartieri unionisti – ma
sono spesso dedicati anche alla memo-
ria delle vittime del confl itto.
Gli aff reschi murali esprimono con
eloquenza i diff erenti sentimenti delle
due comunità: molto più violenti e mi-
nacciosi i murales dei quartieri unioni-
sti, assai più distesi, commemorativi e
legati a temi storici e tradizionali quelli
della parte nazionalista. I dipinti a sfon-
do politico continuano a essere un tratto
caratteristico del confl itto nordirlandese
anche dopo la sua conclusione, seguita
agli Accordi di pace del 1998. Da allora,
molti di quelli inneggianti alla violenza
sono stati sostituiti con altri, dedicati a
campioni dello sport o a divi dello spet-
tacolo.
Un confortante segno dei tempi che non
ha sacrifi cato la qualità artistica degli
aff reschi murali, ormai diventati anche
un’attrazione turistica.
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pagina 10numero 2 - maggio 2012
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di Loredana Romano, Regional Sales Manager, IBI Lorenzini
RRRRiccceevveeerree
l principale assioma della comunica-
zione, enunciato da Paul Watzlawick
sul fi nire degli anni ’60, decreta l’im-
possibilità di non comunicare. Un concet-
to universalmente riconosciuto, enfatiz-
zato e talvolta dato per scontato, sul quale
si sono innestate le più moderne tecniche
comunicazionali. È altrettanto vero, seb-
bene scarsamente praticato, che alla base
di una comunicazione effi cace ci sia l’a-
scolto, sul quale pure si aff astellano defi -
nizioni e “consigli per l’uso”. L’ascolto è un
vero e proprio processo continuo di sele-
zione, raccolta e catalogazione delle infor-
mazioni. Essere centrati sull’interlocutore
e sulle sue esigenze è assolutamente fon-
damentale per una comunicazione effi cace
e l’ascolto implica un’accurata percezione
di quanto si sta comunicando. Insomma, è
il vero e proprio momento ricettivo della
comunicazione.
Già nel I secolo d.C., Epitteto aveva conia-
to un buon modello per la comunicazio-
ne effi cace, secondo cui la natura ha dato
all’uomo una lingua ma due orecchie, così
che si possa ascoltare il doppio di quanto
si parli. Molti, moltissimi secoli più avanti,
verso la fi ne degli anni Ottanta dello scor-
so millennio, Kevin Murphy, volle preci-
sare che “ascoltare è un processo in conti-
nuo movimento, che ha inizio quando
una persona sente ed osserva cosa viene
detto, continua quando questa persona
immagazzina e correla le informazioni,
e inizia di nuovo con la sua reazione.
Ascoltare non corrisponde alla semplice
abilità di decodifi care le informazioni: è
uno scambio a due nel quale entrambe
le parti coinvolte devono essere sem-
pre ricettive ai pensieri, alle idee e alle
emozioni degli altri.
“Ergo, ascoltare è veramente un lavoro diffi cile”
Ma ascoltare non basta, occorre
qualcosa di diverso, e qui il gioco
si fa davvero duro: bisogna saper
ascoltare attivamente. L’ascol-
to attivo si basa sull’empatia e
sull’accettazione. Esso si fonda
sulla creazione di un rapporto po-
sitivo, caratterizzato da “un clima
in cui una persona possa sentirsi
empaticamente compresa’’ e, comunque,
non giudicata.
Ascoltare attivamente, e dimostrare che
lo si sta facendo seriamente, rende più
tangibile la propria partecipazione nella
comunicazione e permette di captare l’es-
senza delle informazioni, anche quelle non
evidenti, ed i segnali deboli, come quelli
emessi attraverso il linguaggio del corpo.
L’ascolto attivo, insomma, potrebbe essere
considerato il modo più sicuro per verifi -
care l’eff ettiva ed effi cace trasmissione del
messaggio nel contesto della conversazione.
In un bel testo di Marianella Sclavi, dove
l’ascolto è paragonato ad una vera arte, ho
letto che un “buon ascoltatore è un esplora-
tore di mondi possibili.”
Per diventare “attivo”, l’ascolto deve essere
quindi aperto e disponibile non solo ver-
so l’altro e quello che dice, ma anche verso
se stessi, per ascoltare le proprie reazioni,
per essere consapevoli dei limiti del pro-
prio punto di vista e per accettare di non
sapere o di non capire. Ascoltare in modo
attivo signifi ca assumere il punto di vi-
sta dell’altro, sia pure temporaneamente
e provvisoriamente. Ascoltare in modo
attivo signifi ca, quindi, sintonizzarsi pro-
fondamente con lo stato emotivo dell’altro
e lasciarsi coinvolgere e interrogare da ciò
che dall’altro ci proviene, quindi, un ascol-
to reale è un ascolto empatico. Ascoltare
in modo attivo signifi ca accettare di farsi
“cambiare” dal dialogo instaurato e far ta-
cere se stessi per dare la precedenza all’al-
tro. Ascoltare attivamente signifi ca, in fi n
dei conti, mettersi “nei panni dell’altro”, ri-
conoscere e accettare il suo punto di vista,
accogliendo e comprendendo le emozioni,
i dubbi, le preoccupazioni che manifesta,
così che la comunicazione possa procede-
re senza barriere e secondo un quadro di
riferimento nel quale poter poi collocare le
informazioni ricevute.
È raramente qualità personale, bensì una
vera e propria abilità relazionale di cui si
può benefi ciare in ogni ambito della co-
municazione, dal lavoro alla vita socia-
le, nei rapporti con i propri capi come in
quelli con i propri fi gli. È un insieme di
tecniche che si possono apprendere ed al-
lenare. E per farlo, potrebbero anche essere
molto utili le pagine di un Magazine dedi-
cato alla comunicazione!
RRRicceev
pagina 11numero 2 - maggio 2012
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Curiosità
Il mio amico Whisky
In questo numero, vi sottoponiamo l’in-
teressante strategia di marketing del
Whisky scozzese Laphroaig. All’acqui-
sto di una bottiglia, gli amanti del rinomato
scotch trovano un talloncino con un codice
identifi cativo unico. Eff ettuando la registra-
zione sul sito internet www.laphroaig.com
ed inserendo il codice si diventa automati-
camente Friend di Laphroaig, ricevendo di
diritto un piccolo pezzo di terra, il “Plot”
dove viene prodotto il Whisky. Ogni amico
di Laphroaig ha una porzione di questa
terra e può raccogliere l’affi tto di questa
piccola proprietà: un assaggio del bic-
chierino più pregiato. La zolla può essere
visitata, monitorata attraverso il satellite
e, cosa ancora più allettante, si entra a far
parte di una comunità di appassionati ed
intenditori realmente affi atata; sul sito i
fondatori raccontano di come nel corso de-
gli anni abbiano assistito ad alcuni eventi
straordinari sul “sacro manto erboso”: un
matrimonio tra due seguaci, la dispersione
delle ceneri di un membro e, addirittura,
l’adesione di un membro reale. È il Princi-
pe Carlo d’Inghilterra ad avere l’unico Real
Plot, segnalato con tanto di stemma araldi-
co! Il marketing delle relazioni. Ci piace!
Th ink Purple
Il viola, non solo colore
In redazione abbiamo pensato di sotto-
porre alla vostra attenzione qualche cu-
riosità sul colore viola. Non solo colore
sociale della nostra azienda, ma vero e pro-
prio way of life...
Il viola è, infatti, il colore della creatività e
dell’eccentricità: risultato della mescolanza
tra rosso, attivo e dinamico, e blu, calman-
te. Un ponte tra caldo e freddo, un’unione
dicotomica e fatale.
Colore di buon senso e di profondità spiri-
tuale, da sempre è defi nito come un colore
mistico.
Gli aggettivi associati al colore viola sono:
indipendente, intuitivo, intellettuale, spi-
rituale, creativo, misterioso, saggio. Co-
lore della raffi natezza, della passione, della
ricchezza, del romanticismo e della sensi-
bilità.
In cromoterapia: depurativo del sangue,
rallenta l’attività cardiaca e favorisce la mi-
crocircolazione cerebrale.
Insomma indossate qualcosa di viola quan-
do volete incoraggiare la vostra fantasia!
Plot, segnalato con tanto di stemma araldi-
co! Il marketing delle relazioni. Ci piace!
Un Progetto per 100 viteCome ci puoi aiutare:
Adozione di un bambino o di un progetto?
Adottare un bambino è un gesto nobilissimo, ma aiuta un solobambino. Adottare un progetto vuol dire creare le condizioni per dare unfuturo migliore a centinaia di bambini. Ed una vecchia massima dice: “se daiun pesce ad un povero lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo haisfamato per tutta la vita”.
E lo scopo di questo progetto Villaggio è dare una professione a centinaia di bambini affinchèpossano prendersi responsabilmente carico del proprio futuro
L’Associazione cerca di aggregare tante famiglie disposte ad adottare il progetto Le Vil-lage des Enfants, con donazioni tramite bonifico bancario (le donazioni sono deducibili)
destinando il 5 per mille alla nostra Associazione direttamente e tramite quanti più amici possi-bile.
Come si fa a devolvere il 5x1000
a Queen of Peace Onlus?
Se presenti il 730, il Modello Unico, o ricevi il CUD daltuo datore di lavoro puoi scegliere la destinazionedel tuo 5x1000 nel riquadro riservato al "Sostegnodelle organizzazioni non lucrative di utilità sociale,delle associazioni di promozione sociale...".Indica il codice fiscale di Queen of Peace Onlus:97572990154 e apponi la tua firma.
AFFINCHÈ GLI OCCHIDEI BAMBINI CONTINUINOA SORRIDERE
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