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Fotografia di Giulia Mariani, 2016 ...ma non ci arrendiamo! trimestrale di politica cultura e ambiente pensato e realizzato da donne anno XXV inverno 2017 - 10,00 sped. in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Palermo 154 mezzocielo mezzocielo ·

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Fotografia di Giulia Mariani, 2016

...ma non ci arrendiamo!

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Sommario

Guardate ogni giorno sul webwww.mezzocielo.it

Direzione: Letizia Battaglia (coordinamento), RosannaPirajno (direttrice responsabile)

Redazione: Carla Aleo Nero, Rita Calabrese, GiusiCatalfamo, Silvana Fernandez, Mimma Grillo, Si-mona Mafai, Gisella Modica, Maria Luisa Mondello,Egle Palazzolo, Francesca Traina.

Hanno collaborato: Batrice Agnello, Valeria Andò, Ros-sella Caleca, Nicola Cipolla, Federica Consiglio, StefaniaDifilippo, Maria Chiara Di Trapani, Donatella Natoli,Carla Nigro, Adriana Palmeri, Paola Pintacuda, Shobha,Marta Viola.

Impaginazione e grafica: Letizia Battaglia,Massimiliano Martorana

Editore: Associazione Mezzocielo

Responsabile Editoriale: Adriana Palmeri

e-mail: [email protected]

Il lavoro redazionale e le collaborazioni sono fornitigratuitamente

Stampa: Punto Grafica Mediterranea - Villabate (PA) -Finito di stampare nel mese di Gennaio 2017

Reg. al Trib. di Palermo il 19-3-’92Quota associativa annua: ordinaria: € 40,00

sostenitrice: € 60,00c/cp. 13312905 Rosanna Pirajno, V.le F. Scaduto, 14- 90144 Palermo

Hanno sottoscritto

Simona Mafai (€ 300); Maria Luisa Mondello, Anna Pa-gano, Francesca Traina (€ 100); Anna Trapani (€ 60);M. C. (€ 50).

Quel che inferno non èBatrice Agnello - Simona Mafai Pag.2

Orrida Saguto ” 3

Uomini maltrattantiRossella Caleca ” 4

Riconoscersi uominie liberarsi dalla violenzaGisella Modica ” 4

Manifestazione taciutaAdriana Palmeri ” 6

Le combattentiMarta Viola ” 7

Una mattina come tante a PisaStefania Difilippo ” 8

A portata di clickFederica Consiglio ” 8

Il percorso millenariodell’idea di libertàValeria Andò ” 10

Un documento su una poetessatamil ” 10

Dieci righeFrancesca Traina ” 11

Mezzocielo ci salveràShobha ” 12-13

Il lungo percorso di EmmaEgle Palazzolo ” 14

Lina Prosa e il suo teatroSimona Mafai ” 16

Topazia Alliata: arte e libertàMimma Grillo ” 18

Antonella Anedda, poetaFrancesca Traina ” 20

All’occhi d’un gallo...Carla Nigro ” 21

Lea Vergine: pazza di leiMaria Chiara Di Trapani ” 22

La biblioteca dell’AlbergheriaDonatella Natoli ” 24

Le brutte parolePaola Pintacuda ” 24

Ulisse tra noiNicola Cipolla ” IV

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Liliana Maresca (1951-1994) fotografa, scultrice e performer di origine Argentina. Un’artista che espone il propriocorpo con spirito di denuncia e mossa da una rivoluzionaria energia, come espressione di una creatività liberata tragli anni ’70 e ’80 dal terrore della dittatura argentina. Il corpo diventa per lei “territorio di auto rappresentazione,nutrito da una dimensione esistenziale in bilico tra pubblico e privato” come scrive Ludovico Pratesi. Realizzaopere, sculture e perfomance che mettono al centro della sua ricerca la metamorfosi e la trasformazione di materialinaturali come rami d’albero, gusci d’uovo, e oggetti d’uso quotidiano, con uno stile pieno di riferimenti al surrea-lismo e al new dada.

Autorappresentazione

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Ci riuniamo per elaborare insieme il fondo politico cheaprirà il nuovo anno di “Mezzocielo”. Angoscia, dubbi, unclima diffuso di mancanza di speranze per il futuro, e noncerto solo tra noi. Dal mondo cattive notizie, il massacro diAleppo, la vittoria di Trump, ognuna ne cita una. Un pianetasenza punti di riferimento, non si sa chi sia davvero allaguida della macchina e da che parte vogliano andare quelliche in parte ne hanno il controllo. A casa nostra, in Italia, lacampagna del referendum si è svolta in un clima di rabbia,e quasi di odio, parole sprezzanti e violente sembrano do-minare il discorso politico. Abbiamo tra le mani il numerodi Noi Donne, che annuncia la definitiva chiusura del gior-nale. Due anni fa, aveva chiuso anche l’autorevole rivistafemminista Via Dogana. Che siano anche questi fatti testi-monianza di un arresto nel cammino di progresso che ci èsembrato percorrere?Ma non vogliamo addentrarci nel 2017 con questo senti-mento negativo e cerchiamo di conservare la luce della ra-gione e non cedere alla sfiducia generale, che non porta anulla. Sarà che ancora, “ragazze del secolo scorso” qualiquasi tutte siamo, abbiamo nel nostro codice genetico l’esor-tazione di Gramsci a praticare “il pessimismo della ragionee l’ottimismo della volontà”.I fatti che hanno cambiato, quasi completamente, il secoloin cui viviamo, rispetto al non breve ’900, nel corso del quale,almeno in Occidente, le donne hanno raccolto non pocheconquiste, sono essenzialmente due: la globalizzazione, contutte le sue conseguenze negative e positive, e lo straordinarioavanzamento tecnologico con una totale modificazione delsistema delle comunicazioni. Molte delle nostre aspettativeeconomiche e politiche però continuano a riferirsi ad unmondo (e a un’idea di futuro) che non ci sono più. Il socio-logo Bauman ha parlato di “retrotopia”, cioè di “utopia re-troattiva”.Il crollo di quelle vecchie ci dice che, se abbiamo ancora bi-sogno di un’utopia, dobbiamo inventarne una nuova: noncercare di riciclare tristemente le utopie passate. La diffu-sione delle comunicazioni, la loro immediatezza e moltepli-cità, ha messo in crisi il concetto otto/novecentesco dellademocrazia: avanza l’idea di una democrazia in cui il “po-polo” (espressione ambigua: le masse sono in realtà un in-sieme di pulsioni divergenti, a volte accomunate dal rifiutoma non da un progetto) diventa interlocutore diretto dei po-teri decisionali, con l’azzeramento dei corpi intermedi: isti-tuzioni elettive, partiti, associazioni. Ma “la democrazia habisogno delle mediazioni” (Ilvo Diamanti), “là dove inveceè immediata e radicale tende ad abolire se stessa”. Una de-mocrazia senza riconoscimento delle rappresentanze, nonesiste. Si va diritti a regimi autoritari, a dittature.Di tutto questo siamo stati/e inconsapevoli protagonisti/enella campagna referendaria. Tutto è stato considerato“casta” (un politologo francese, Pierre Rosanvallon. hascritto: “Gli eletti sono élite”). Renzi, il “rottamatore”, hapresentato la riforma costituzionale anche come atto contro

Quel che inferno non èBeatrice Agnello - Simona Mafai

Malapolitica

l’“establishement” (illudendosi di “assorbire” il populismodilagante). Ma il composito e contraddittorio schieramentodel NO, ha voluto “rottamare” proprio lui.Difficile, o addirittura impossibile, fare previsioni per unanno che si presenta convulso e, in Italia, con molteplici ap-puntamenti elettorali, locali e nazionali – oltre a non secon-dari appuntamenti europei.Ma per quanto sia complessa e confusa la situazione che cicirconda, non intendiamo rimanere politicamente silenti.Continueremo a incontrarci, scrivere, pubblicare. Cerche-remo di fare quel che esprimono, come meglio non si po-trebbe, le parole di Italo Calvino:“Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’in-ferno, non è inferno; e farlo durare, e dargli spazio”.Auguri da Mezzocielo!

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Orrida Saguto

Malapolitica

L’ex presidente dell’Ufficio prevenzioni del Tribunaledi Palermo sospesa dal suo incarico, dopo qualche bu-rocratico ritardo, per una pesante inchiesta che la ri-guarda in prima persona, si chiama Silvana. Una donna. Una “donna no” come va scritto in nota.E questo profondamente ci disturba, ci mette a disa-gio. Non che aver tanto lottato perché alla donna ve-nissero riconosciuti eguali diritti e pari opportunità dicoinvolgimento, partecipazione e responsabilità di la-voro, di professionalità e di gestione della cosa pub-blica, valesse l’idea di una aureola sul suo capo, manon poteva escludersi la speranza che il contributofemminile per un corretto e funzionante sistema de-mocratico, potesse esserci davvero. Ma nel caso Sa-guto il disagio raddoppia: non stiamo parlando solo diuna donna ma di una donna-magistrato col delicatocompito di esser nostra garanzia e difesa nei confrontidella mafia, del malaffare, dei proventi illeciti che ali-mentano illeciti patrimoni cui alla dott. Saguto toccavametter ordine e mano. E invece dalla cronaca vengonofuori fatti e misfatti la cui verità sarà o meno ratificataalla fine dei procedimenti, ma che intanto come citta-dini ci mortifica. Appare poco credibile che quantoviene pubblicamente riferito sia per lungo tempo sfug-gito a controlli e a richiami e che una fitta maglia diinteressi di piccolo e medio calibro si sia sviluppata at-torno a una serie di interessi tutt’altro che di pubblicautilità. Pure Silvana Saguto ha coperto per non pocotempo il suo ruolo, e al momento della sua sospen-sione dal servizio, i decreti depositati avevano un ri-tardo di circa 1399 giorni e i capi di accusa per i ventiindagati coinvolti nella sua inchiesta sommavano 79.Ad addentrarsi nei dettagli, non par vero quanto silegge. Il Vice Presidente del C.S.M. non ha esitato aparlare di fatti di assoluta gravità ma è chiaro che bi-sognerà conoscere l’intero iter del procedimento giu-diziario e soprattutto la giusta e palese conclusione diquesta intera “brutta faccenda” per tirare le somme.Noi intanto rivolgiamo un grato pensierino alla splen-dida astronauta italiana che ha compiuto la sua mis-sione nello spazio o all’altrettanto splendida scienziatache con la sua scoperta apre a nuovi traguardi alla ri-cerca sanitaria. Due esempi della fitta schiera di“donne sì”, fra quelle che la ribalta segnala. Ma sap-piamo che fuori da diretto protagonismo restano tantedonne che hanno e vogliono avere il merito di contri-buire a quanto di positivo va identificato e difeso.Oggi come non mai, senza competizione di genere.Specie a traguardo rovesciato: rischieremmo di ap-prendere che un capomafia donna, in aula, pesiquanto o più di Riina o Provenzano. Proprio mentreci auguriamo che un processo di sradicamento dellamala pianta, le veda, con i propri figli, in primo piano.

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Fermare l’uso della violenza nelle relazioni, in particolare laviolenza subita dalle donne, dovrebbe essere un impegnoprioritario per tutti, quando la realtà dei dati sempre più in-quietanti, e tuttavia insufficienti a definire il fenomeno perla sua dimensione sommersa e sconosciuta, mostra come laviolenza faccia parte della vita quotidiana di moltissimedonne. Ma l’indignazione, la condanna sociale, la lotta in-trapresa dal movimento delle donne, le azioni positive rea-lizzate da istituzioni e associazioni, non bastano se non ci siconvince che il problema ci riguarda più di quanto vogliamoammettere, che riguarda ciascuno di noi, e che tutti, donnee uomini, siamo chiamati ad agire per affrontarlo.Per un’azione efficace, occorre quindi un’assunzione di re-sponsabilità collettiva: non soltanto cercando di compren-dere codici culturali e meccanismi psicologici chefavoriscono la violenza, ma facendo emergere l’esperienzaquotidiana di donne ed uomini; raccontare e raccontarsi, tro-vare modalità di ascolto e riflessione che coinvolgano gli uo-mini, che consentano loro di interrogarsi sulla propriarelazione con la violenza nei rapporti personali. La parolaagli uomini, la parola dagli uomini sugli uomini: sia quella dicoloro che desiderano impegnarsi partendo da sé, dal cercaredi mettere a fuoco la propria distanza dalla violenza, siaquella di coloro che hanno un passato di violenza agita ehanno intrapreso un percorso di cambiamento.Partendo da queste premesse, in diverse città d’Italia già daalcuni anni sono stati aperti Centri di ascolto per uominimaltrattanti (CAM): realtà che operano presso servizi pub-blici o sostenute da associazioni ed Onlus, con lo scopo diaccogliere e curare uomini autori di violenza. Anche nellaprovincia di Palermo, a Bagheria, da alcuni mesi è attivo unCentro gestito da una cooperativa sociale in rete con i servizie le agenzie sociali del territorio.È sempre più diffusa infatti, tra operatrici e operatori che avario titolo si occupano di maltrattamenti e violenza alledonne, la consapevolezza che l’intervento sul maltrattantepossa e debba essere parte integrante del progetto di curadella vittima; oltre agli interventi a livello individuale e fami-liare, hanno assunto rilievo l’attivazione di percorsi psicote-rapeutici di gruppo e la facilitazione di gruppi di auto-aiuto.Ed è in questi ambiti gruppali che si dà la possibilità a chi sista impegnando per cambiare una parte importante dellapropria vita di “ri-conoscere” le esperienze di violenza agita,vederle e “attraversarle” raccontando la propria storia edascoltando quelle di altri, riflettendosi per prenderne di-stanza: e non solo dalla violenza fisica, ma dalle infinite formedi violenza psicologica ed economica, tanto più facili da ma-scherare e negare.Alcuni operatori che da anni lavorano in questi Centri, comeAlessandra Pauncz e Giacomo Grifoni, hanno raccolto in vo-lumi di cui sono autori anche diverse testimonianze di uo-mini maltrattanti impegnati in un percorso di uscita dallaviolenza: testimonianze che colpiscono sia per la tendenzainiziale non a negare, ma a trovare giustificazioni al proprio

Uominimaltrattanti

Rossella Caleca

Societàagire, sia per la difficoltà a riconoscere pregiudizi e stereotipiculturali improntati alla disparità di genere, spesso presenticome un substrato insidiosamente nascosto sotto atteggia-menti apparentementi “aperti” e “moderni”. L’impressioneè che questi uomini, lottando per cambiare, debbano vincerenon solo le resistenze personali e i meccanismi di difesa psi-cologici, ma debbano “trasgredire”, andare oltre: oltre i com-portamenti appresi dalla famiglia d’origine, oltre dinamicherelazionali cristallizzate nel tempo, oltre, soprattutto, idee so-cialmente condivise sul genere e i ruoli di genere che resi-stono al cambiamento molto più di quanto si creda; oltre,non ultima, la difficoltà a riconoscere le proprie emozioni ne-gative e a parlarne, anche questa culturalmente determinata. Questo conferma, qualora ce ne fosse bisogno, come equanto la violenza di genere sia legata a un processo culturaletutt’altro che lineare, a un percorso spesso interrotto e benlontano dall’essere compiuto: da costruire e ricostruire an-cora, al di là del genere, partendo dalla parola.

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Intervista a Francesco Seminara, uno dei fondatori del gruppo“Noi Uomini a Palermo contro la Violenza sulle Donne”. Come nasce il gruppo?“Il gruppo che presto si costituirà in associazione nasce nel gen-naio 2015 grazie a Beppe Pavan, di “Uomini in Cammino”. Ini-ziamo con incontri pubblici per approfondire alcune tematichelegate alla violenza contro le donne e proseguire nel camminogià iniziato in altre città italiane (Il Cerchio degli Uomini a Torinoe a Milano, Uomini in Cammino a Pinerolo, gruppo Livorno Uo-mini insieme, Uomini in gioco di Bari, Maschile-Plurale).Chi sono questi uomini?Giuseppe Burgio, professore di pedagogia all’università diEnna; Augusto Cavadi, filosofo; Franco Di Maria, ex diret-tore Dipartimento di Psicologia di Palermo; Pippo Consoli,presidente dell’Arvis (Associazione Arti Visive); Michele Ver-derosa, imprenditore; Mario Berardi, insegnante; AntonelloProvenzano, funzionario regionale; Ignazio Maiorana, gior-nalista. Ma già altri uomini iniziano ad aggregarsi. Qual è stata l’idea originaria?“La consapevolezza acquisita che la violenza contro le donnesia una questione che riguarda gli uomini per il semplice mo-tivo che sono gli uomini gli autori delle violenze. Un concettoche sembra banale ma che viene regolarmente contraddettodalla realtà di ogni giorno in cui nei media e nelle manifesta-zioni pubbliche sono quasi sempre le donne ad occuparsi diepisodi di violenza”. Il concetto non è affatto banale, vuole approfondirlo? “C’è un legame stretto fra identità maschile e violenza per mo-

Riconoscersi uominie liberarsi

dalla violenzaGisella Modica

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tivazioni essenzialmente legate alla costruzione culturale del-l’identità maschile consolidatasi nel corso dei secoli, e in parti-colare: il modello patriarcale e la maschilità ideale. Il potere chel’uomo detiene nei confronti delle donne e che giustifica vessa-zioni, sopraffazioni e spesso anche violenza nei confronti delledonne, elemento che contraddistingue il patriarcato, consenteancora oggi una supremazia in molti ruoli lavorativi dove ladonna non è in posizione paritaria. Come scrive Giuseppe Bur-gio, l’attitudine alla bellicosità viene considerata un ingredienteessenziale della maschilità non per motivi biologici o geneticima per effetto della costruzione sociale e culturale dell’identitàmaschile. Di conseguenza il maschio spesso è allo stesso tempoautore e vittima di violenza come accade anche negli episodi dibullismo diventati sempre piu frequenti. L’educazione della fa-miglia svolge un ruolo importante negando certi elementi delcarattere come la gentilezza o l’affettività considerati più pret-tamente femminili. “Non piangere perché sei già un uomo” èuna delle frasi ricorrenti della nostra infanzia di maschi. Mi parli delle attività finora intraprese Il primo incontro pubblico è stato sul rapporto fra sessualitàe potere grazie al contributo di Augusto Cavadi; ne è seguitouno su “Tratta e Prostituzione” con il contributo di Giu-seppe Burgio, a seguito dell’assassinio di due giovani prosti-tute nigeriane, e l’incontro “Violenza e Attaccamento” sultema delle radici psicologiche della violenza sulle donne nellerelazioni domestiche, relatore Franco Di Maria. Poi ci siamooccupati di attività di sensibilizzazione e prevenzione nellescuole perché sono uno dei luoghi in cui si manifesta e al con-tempo si forma la cultura maschilista alla base dei fenomenidi violenza sulle donne. Tengo a precisare che il nostro mo-dello di comunicazione è alternativo rispetto a quello adot-tato dai mass media che, attraverso immagini di donne offeseo ferite, concentra l’attenzione sulla vittima e trascura il ruolodegli autori delle violenze che vengono dipinti come “mo-stri”, lontani dal quotidiano. In tal modo si favorisce unasorta di rimozione del problema nel maschio che così pensariguardi gli altri e mai se stesso.Mi spieghi meglio questo modello.Si basa sull’adozione di comportamenti alternativi da parte

dei maschi grazie all’utilizzo della mostra fotografica “Rico-noscersi Uomini-Liberarsi dalla Violenza” realizzata da “Ma-schile Plurale” e “Officina”.La mostra, riprodotta con la collaborazione di Pippo Con-soli, inaugurata alla Real Fonderia alla Cala e successiva-mente a Palazzo delle Aquile, propone 13 set di vitaquotidiana che ritrae uomini e donne in situazioni di vio-lenza o di conflitto rivissute attraverso il dialogo e la com-prensione reciproca. La mostra è stata utilizzata anchenell’ambito di un workshop presso il CISS con studenti disociologia dell’Università di Palermo, all’I.T.I AlessandroVolta e al Finocchiaro Aprile. Particolarmente interessanteè stata l’esperienza al liceo Meli con la collaborazione dellaProfessoressa Isabella Albanese dove abbiamo dato corso abrevi rappresentazioni teatrali. Gli studenti interpretavanoscene delle foto in cui il conflitto si risolveva prima attra-verso dialogo e comprensione e poi in una chiave negativa,mettendo in evidenza l’esplosione di violenza e rabbia daparte dell’elemento maschile.Con l’Ufficio Scolastico Regionale abbiamo organizzato unconcorso fotografico fra tutte le scuole secondarie sicilianesul tema della violenza sulle donne.Le foto premiate faranno parte di una nuova mostra fotogra-fica che è in corso di produzione.Da poco infine abbiamo avviato un percorso di autoforma-zione del gruppo ma aperti a chiunque sia interessato conl’obiettivo di interrogarsi sulle relazioni con l’altro sesso par-tendo dalle esperienze personali.Una sorta di autocoscienza dunque? Più che autocoscienza lo definirei un percorso di verificasulle nostre relazioni col sesso femminile al fine di delinearemeglio il nostro essere maschi in relazione al potere e alla ses-sualità.Prime impressioni?Il percorso è solo all’inizio e si sta appena delineando unatraccia sulla quale proseguire. Per esempio?Per esempio le contraddizioni che sorgono in ciascuno dinoi in relazione al potere e alla sessualità.

Fotografia di Giulia Mariani, Catania, 2016

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“Non possiamo contare sugli uomini per creare la pace. Dob-biamo fare da sole. Fare la pace è una cosa difficile, richiedeun prezzo. Richiede di avventurarsi in luoghi che non avetemai immaginato assieme alle vostre sorelle palestinesi. Vi faràperdere amici e sacrificare la famiglia. Se non siete pronte,fate un passo indietro”.Queste le parole di Leymah Gbowee, pacifista liberiana ePremio Nobel per la pace nel 2011, insieme a Ellen JohnsonSirleaf e alla yemenita Tawakkul Karman, che non hanno sco-raggiato le ventimila donne, laiche, religiose, di destra e disinistra, colone, musulmane, ebree e cristiane unitesi in uncammino di pace verso Gerusalemme. Donne provenienti daogni settore della popolazione si sono messe in camminolungo un percorso di 200 chilometri, durato 14 giorni. Lamarcia è stata organizzata dal movimento Women WagePeace, nato due anni fa grazie all’impegno di quaranta donneisraeliane, madri di soldati che stavano combattendo laguerra di Gaza nel 2014. Donne vestite di bianco, artiste folkisraeliane e palestinesi, ebree e musulmane insieme ad altredonne di ogni religione suonavano e cantavano allegre can-zoni in arabo e in ebraico, creando un’atmosfera festosa,quasi inebriante. Un gruppo di donne batteva il ritmo con itamburi, altre suonavano chitarre nonostante le alte tempe-rature e sotto un sole cocente. Molte donne palestinesi sonostate abbracciate da donne israeliane appena scese dall’au-tobus, altre hanno formato cerchi di danze improvvisate epoi tutte insieme hanno attraversato il deserto del nord diIsraele fino a Kfar Yehoshua nella valle Jezreel. La Marcia èterminata il 19 ottobre scorso con una grande protesta da-vanti alla residenza del presidente e del primo ministro israe-liano. Insieme hanno chiesto che le donne siano integrate nelgruppo di governo oltre a formare un dipartimento per lapace nell’ufficio del primo ministro al fine di riattivare le ne-goziazioni con i palestinesi. Siamo tutte donne – dicevano lemarciatrici – abbiamo scelto coraggiosamente di intrapren-dere una strada che non è ancora stata percorsa. Una stradadi speranza, amore, luce, dignità, inclusione e riconosci-mento reciproco.“Non ci fermeremo finché non sarà raggiunto un accordopolitico che porterà a noi, ai nostri figli e ai nostri nipoti unfuturo sicuro”.Il messaggio che hanno voluto trasmettere queste donne èmolto serio, molto potente e ha una grossa valenza politica,eppure la notizia di questo evento ha solo sfiorato i media.Nonostante la manifestazione sia stata ripesa dalle agenziedi stampa di tutto il mondo che hanno filmato il loro cam-mino, le loro danze, la loro musica, la notizia è giunta a noiin maniera blanda attraverso i social. Nonostante l’entusia-smo espresso da tanta gente, nonostante i “like”, l’evento èstato relegato e considerato alla stregua di un fenomenobello ed eccentrico, ma non degno di troppa importanza ela notizia non è nemmeno stata trasmessa nei telegiornali.Cosa è accaduto? La Pace non fa scoop? Oppure perchésono donne!

Manifestazionetaciuta

Adriana Palmeri

Mondo

6 mezzocielo n° 154 inverno 2017

“Fare la pace è una cosa difficile, richiede unprezzo. Richiede di avventurarsi in luoghiche non avete mai immaginato assieme allevostre sorelle palestinesi.Vi farà perdereamici e sacrificare la famiglia. Se non sietepronte, fate un passo indietro”.

“Non ci fermeremo finché non sarà raggiuntoun accordo politico che porterà a noi, ai nostrifigli e ai nostri nipoti un futuro sicuro”.

Manifesto diffuso in Italia durante la Prima Guerrra Mondiale

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7 mezzocielo n° 154 inverno 2017

Cosa succede quando sirompono gli equilibri quo-tidiani, per quanto biz-zarra e personale possaessere la vita di ognuno dinoi? Generalmente la ma-lattia irrompe nella vitadelle persone come un ful-mine a ciel sereno, nonbussa neanche alla porta ela si ritrova a tavola comeun ospite ingombrante percui si aggiunge un posto atavola controvoglia. La sopravvivenza aglieventi è data dalla capacitàdi adattarsi e modulare lerisposte adatte alla realtàin cui ci si trova immersi.Qualunque essa sia, que-sto è il punto cruciale. Lepersone resilienti sonoquelle che riescono a sfrut-tare al meglio le risorse che hanno per uscire da situazionidrammatiche. Bianca, conosciuta durante il mio primo rico-vero, mi ha raccontato che ha stretto amicizia con alcunedonne da quando si è ammalata.Hanno formato un gruppo su whatsapp per sentirsi, si chia-mano le “Combattenti”. Mi era sembrato tutto così assurdoquando me lo aveva raccontato. Allo stesso modo non capivoperché Lia, un’altra compagna incontrata in questa avven-tura, continuava a ripetermi quanto fosse importante man-giare in quella condizione. Lo avrei capito dopo, e ancoraadesso sono grata ai suoi consigli e la ascolto nella mia mente. L’empatia è un’altra caratteristica importante, di cui forse lanostra cultura risulta essere sempre più sfornita. Semplifi-cando ai massimi livelli, è il grado di immedesimazione cheognuno di noi può sviluppare nei confronti dei suoi simili.Nel percorso degli ultimi mesi, quando è finita la mia quoti-dianità caotica ed è iniziata l’odissea ospedaliera, mi sono ri-trovata vicino persone sconosciute che mi hanno sorretto e mihanno offerto la loro esperienza per aiutarmi a capire le paroleincomprensibili pronunciate dai medici. Mi chiedevo perchélo facessero, io me ne stavo sempre sulle mie, non chiedevoniente a nessuno. Quasi avrei voluto solo essere lasciata inpace. Poi mi sono ritrovata a comportarmi allo stesso modo,cercando di rendermi utile se qualcuno ne aveva bisogno.Eravamo tutte in difficoltà, lo siamo ancora, lo saremo sem-pre probabilmente. Ma, riconoscendo la sofferenza, appenaci si sente meglio si cerca di far qualcosa. E la verità è che sifa molto, perché l’energia ritrovata è galvanizzante. Tantevolte, durante le “sessioni di dolore” come le chiamo, hopensato alla sofferenza ingiustificata che affligge in modi di-versi l’umanità. Pensiero inutile forse, ma mi ha portato adamare di più gli altri e a riconoscere ed accettare la vicinanza

Le combattentiMarta Viola

La vita è bella

delle persone da cui primafuggivo. Da quando la miavita ha preso questa piegaho incontrato donne deter-minate che riconoscono leloro fragilità e ne fanno laloro forza.Si guardano allo specchio esi riconoscono. Ho incon-trato anche bambini, pur-troppo. Sorridenti in unmodo spiazzante. Se ne vanno in giro con leloro mascherine che co-prono quasi tutto il viso.Ma lo sguardo è semprevispo, non perde un colpo.Coraggiosi e vitali, soloascoltare le loro voci oguardarli trotterellare neicorridoi ridimensiona larealtà e fa sentire stupidele convenzioni sociali che

ci ingabbiano e annebbiano la vista. Da quando mi hannocomunicato la diagnosi, non sono più solo Marta con i mieititoli di studio e le esperienze lavorative, ho anche una nuovaetichetta che va ad aggiungersi alle preesistenti. Adesso, lacondizione di malattia ha spostato i riflettori su qualunquecosa dica o faccia, soprattutto sui social network. Potrei pub-blicare fotografie orrende e citazioni banali, avrei comunquefollower pronti a rendere evidente la loro approvazione. Ap-pena viene postato qualcosa, si scatena l’inferno. Non solopubblicamente, piovono anche messaggi privati con richiestedi aggiornamento sulla condizione clinica, sulla spiegazionedella malattia, sul mio stato mentale. Poi si torna al silenzio,tutto tace. La vita è troppo veloce per soffermarsi su cosa re-almente comporta una malattia. Non solo ci si dimentica, maneanche ci si pone qualche interrogativo che potrebbe ali-mentare un senso di consapevolezza. Qualcuno si chiede maise può fare qualcosa di più, oltre a mettere un like? A voltepossiamo fare tanto con un gesto semplice, ma non accadeperché significherebbe uscire di casa, fare qualcosa di diversodal solito, informarsi su un tema che fa paura. Dobbiamo sco-modarci. Alla fine il motivo di tanto interesse della gente neiconfronti di una persona malata è dato dal fatto che siamodominati dalla paura di soffrire. Per questo guardiamo sbi-gottiti il coraggio di chi affronta una situazione difficile. In unmondo che corre veloce e dove tutti sono impegnati a esserebelli e felici, non c’è spazio per il dolore fisico né tantomenopsicologico. Il male di vivere oggi è questo senso di ripugnanzaverso la morte che fa chiudere gli occhi e tappare le orecchie,portando a pronunciare frasi di circostanza. Basterebbe pren-dere di nuovo una posizione, vivere autenticamente le situa-zioni e riconoscerne i suoi aspetti di bellezza così come quellidi sofferenza: ridare senso alla parola “azione”.

Fotografia di Marta Viola, autoritratto, 2016

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8 mezzocielo n° 154 inverno 2017

Sembrava dovesse essere una mattina di Novembre come tante, una di quelle in cui il sole che entra dalla finestra sembra presagireuna giornata calda quando, in realtà, così non è. È mezzogiorno e sto per avviarmi verso la mensa universitaria attraverso la calcadi liceali appena usciti da scuola, ad un certo punto mi ritrovo in Piazza dei Cavalieri, esattamente al centro di Pisa (non in un vi-coletto buio e poco illuminato di una cittadina di campagna), dove uno strano trio attira la mia attenzione, mi avvicino cercandodi capire qualcosa in più. Una ragazzina che avrà, ad occhio, tra i quattordici e i quindici anni è per terra, un’altra, che sembrerebbeessere una studentessa della stessa scuola è china su di lei e ride, in un primo momento penso la stia aiutando a rialzarsi e chestiano ridendo insieme, ma c’è un’altra ragazza immobile che le osserva ferme, ridendo e la cosa comincia ad insospettirmi. Miavvicino e noto, con stupore, che quella che poi scoprirò essere una bulla, non sta aiutando la compagna ma vuole solo continuarea strattonarla, riuscendoci e che avendole tolto sia il giubbotto che lo zaino si allontana dicendole che dovrà andarsi a riprendereciò che è suo. Mi fermo e penso a cosa fare, sono due ragazze più piccole della mia età e fisicamente meno forti, quindi non mipotranno fare niente, almeno spero, una parte di me vorrebbe farsi i fatti propri, l’altra, quella che predominerà, mi impone diintervenire e allora prendo il coraggio a due mani e dico in modo perentorio di restituire lo zaino, cosa che la ragazzina fa senzafiatare continuando, però, a tenere una manica del giubbotto fino a quando non le dico di restituire anche quello. Mi allontanodalla scena ringraziando che sia andato tutto bene, anche se non riesco a capacitarmi di come sia possibile che altra gente, anchepiù adulta di me non abbia sentito il bisogno di fare qualcosa e se lo ha sentito come ha potuto non ascoltarlo. Mi chiedo cosaavrei potuto fare se al posto di tre ragazze ci fossero stati tre uomini alti il doppio di me. Mi chiedo cosa noi giovani, non più ado-lescenti ma nemmeno ancora del tutto adulti, potremmo fare, in che modo si potrebbero prevenire, nei limiti del possibile, scenedel genere. Poi penso che, forse, ho migliorato un po’ la giornata di un altro essere umano e anche se, quando ripasso da quellapiazza, poco dopo, mi guardo ancora intorno perché ho paura che le “bulle” possano essersi indisposte nei miei confronti e possatrovarmele davanti arrabbiate e, magari, in un numero maggiore rispetto a prima. Superato quell’accenno di paura mi sento benee credo sia questa la cosa che conti di più.

Una mattina come tante a PisaStefania Difilippo

Bullismo e Young people

La verità è che la vita quotidiana sa essere terribilmente no-iosa. Con le sue realtà scomode, la sua monotonia di ognigiorno, le sue imperfezioni; la sua fredda imparzialità all’in-terno della quale ognuno è un nome, un corpo caldo sullosfondo di una città immobile, un colore in mezzo alla folla.Così chi si trova intrappolato tra un severo “abbastanzagrande” e un condiscendente “troppo piccolo”, nel tortuosopassaggio tra i quattordici e i vent’anni, ritrova a chiedersiquale sia il momento propizio per ergersi da quella massa in-forme, come i protagonisti dei romanzi più avvincenti. È unadelle tante opportunità che Internet offre. Grazie all’uso deisocial network, difatti, questa rete diventa la proiezione diuna vita perfetta, irreale, in cui vengono salvati solo gli scattimigliori, le frasi più poetiche, le battute di spirito, i momentipiù cari; ciò che oggi viene chiamato comunemente “vir-tuale”. Questo è il riscatto: un mondo apparentemente mi-nuscolo, contenuto nel display di un cellulare, circondato dauna fioca luce bianca, in cui i sorrisi vengono sostituiti dai“mi piace” e gli apprezzamenti da commenti sgrammaticatidi profili sconosciuti; sembra qualcosa di troppo irreale, peressere pericoloso. Eppure, proprio dietro questi scudi, si ce-lano anche le ombre di questi piedistalli; uomini e donnesenza nome, che trovano un pretesto per far crollare quellafacciata perfetta, costruita foto dopo foto, colpendo ben al

A portata di clickFederica Consiglio

di là della semplice barra dei commenti, molto più in pro-fondità di quello che una singola immagine possa far pensare.�Il cyberbullismo è diventato un termine tremendamentenoto nella nostra epoca; e ogni confidenza, rivelata spensie-ratamente nella propria pagina, posta sotto gli occhi di tuttii passanti virtuali, viene derisa, attaccata, profanata dalle an-gherie di mani senza nome e di parole senza amore.�In unmondo in cui tutto è connesso e condiviso, sappiamo tutto,e subito; la vita virtuale e la vita reale si confondono, fino ache i commenti scritti su una tastiera diventano una reputa-zione scolastica, la condivisione di un video fatto al momentosbagliato si trasforma in un biglietto da visita; e ciò che rendeveramente letale questo sistema, è l’impossibilità di rimuo-vere tutto ciò che diventa virale. L’accanimento su Internet lascia le sue indelebili tracce nellafitta rete della tecnologia moderna, costruita con una talemaestria da far sì che tutto venga esteso al raggio più ampiopossibile di persone, e che nulla venga dimenticato; e per lalegge di questa scacchiera di luci ed ombre, quelle mani senzanome non verranno mai accusate. La colpa è, invece, diquella vittima. �Colpa di quel vestito troppo succinto, colpadi quel trucco sui suoi occhi appannati, colpa di quell’alcoolnelle vene, del suo sorriso ammiccante in quelle fotografie,della sua imprudenza, della sua sfacciataggine. Colpa sua,

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che voleva diventare la protagonista di una storia tutta sua.Eccola sulle labbra dei commentatori più spietati, sotto de-cine di occhi maliziosi, oggetto di risate sconce, fredde evuote, a portata di un click. Uno spettacolo gratuito, che leinon aveva mai chiesto, né voluto; è un esito ben diverso daquello che avrebbe immaginato, un capitolo non program-mato di una storia che doveva essere una favola, e invece sitrasforma in un incubo. Niente restrizioni, nessuna protezione; è la regola di Internet,il patto che viene sancito tra la piattaforma e chi ne usufrui-sce, che permette di esprimersi senza censure, ma anche diessere attaccati da qualunque lato, senza esclusione di colpi.

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Fotografie di Lise Sarfati, She, Oakland, 2011

Chi nasconde le proprie lacrime dietro un sorriso per unobiettivo, chi subisce l’ingiustizia della vendita del propriovolto alla fame vorace della condivisione, e tace, diventa lavittima di un bullismo moderno, spietato e sconfinato. Il cyberbullismo è uno dei problemi più attuali della mia gene-razione, una delle trappole più letali dell’era moderna; un ne-mico senza volto e senza nome, una barbarie priva di barriere,che minaccia e soffoca chi è troppo spaventato per parlarne.La rete, tra i quali si intersecano anche i blog e i social network,può essere sicuramente la cresta di un’onda per gli emergentiprotagonisti della propria vita; ma puoi anche caderci e rima-nervi appiccicato, come alla sottile rete di un ragno.

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Un libro intelligente e stimolante l’ultimo di Francesca IzzoLe avventure della libertà. Dall’antica Grecia al secolo delledonne. Il libro prende le mosse da una domanda sul presente:come può declinarsi oggi la libertà delle donne quando al-meno formalmente vengono loro riconosciuti diritti sociali,politici e civili, e soprattutto quando le nuove tecniche sem-brano avere decostruito le barriere biologiche del corpo?Per rispondere a queste domande l’Autrice compie un riccoe documentato percorso che attraversa gli snodi essenzialiche hanno scandito in occidente lo sviluppo dell’idea di li-bertà. La Grecia antica costituisce la prima tappa, dove lanozione di libertà, eleutheria, ha avuto origine, assieme a unainterpretazione che rimase valida non solo nel corso dell’an-tichità, ma che fu anche ripresa in età moderna nel pensierodi Nietzsche e Hannah Arendt. La libertà greca fu cioè no-zione ‘comunitaria’, nel senso che apparteneva al cittadino,membro della comunità politica, che esercitava il suo dirittoalla partecipazione diretta e attiva alle scelte fondamentalidella vita pubblica, quali la pace e la guerra, nonché le leggie gli assetti istituzionali. Ma per fare questo il cittadino do-veva essere ‘libero’ dal lavoro e da tutto ciò che comportavala produzione e riproduzione della vita, del bios. Se il lavoroera compito degli schiavi, la riproduzione era il precipuocompito delle donne, il loro unico destino sociale. NellaGrecia antica dunque la libertà era strutturalmente estraneaalle donne che, escluse dalla politica, vivevano sotto costantetutela giuridica, del padre o del marito. Nonostante la vi-stosa rivoluzione etica che il cristianesimo ha comportato,tuttavia per le donne la possibilità di accedere al mondo di-vino era condizionata dall’elisione della loro differenza edella loro sessualità. Il racconto biblico della Genesi è infatti

Le donne oggi e il percorsomillenario dell’idea di libertà

Valeria Andò

Un libro e un documentario

esplicito nell’attribuire alla donna la responsabilità della ca-duta della condizione umana, condannata alla fatica del la-voro e del parto. Nell’età moderna, attraverso il pensiero diLocke, la dialettica servo/padrone di Hegel, fino alla rifles-sione di Karl Marx, il lavoro, anziché essere ostacolo alla li-bertà, viene invece inserito nella sua stessa sfera. E la libertàpolitica dei Greci, intesa come valore comunitario, ottenutaal prezzo della propria autonomia nel privato, cede il passoalla nozione di libertà individuale col sacrificio della sovra-nità politica. E le donne? L’Autrice attraversa in pagine efficaci la storiadel femminismo e delle tappe che hanno portato alla conqui-sta della maternità vissuta come libera scelta e non comeunico destino biologico, alla autodeterminazione del propriocorpo e della propria sessualità, soffermandosi sulle principalicorrenti di pensiero, dal femminismo della differenza, fran-cese e italiano, alla teorie americane del gender. Ritornandodunque alla domanda iniziale sul senso della libertà delledonne oggi, Francesca Izzo risponde che la costituzione dualedel genere e la intrinseca struttura relazionale del soggetto,evidente nella maternità, trasforma il limite, rappresentatodall’altro, in inedito strumento e veicolo di libertà: “nessunessere umano può considerarsi libero, senza essere responsa-bile verso l’altro”. La dimensione della responsabilità e dellacura dell’altro non solo non pone un vincolo ma orienta la li-bertà all’interno di un orizzonte etico, nel quale il potere ge-nerativo di un corpo non può e non deve essere confuso coldiritto soggettivo a disposizione di un individuo. Questa la ri-sposta che è lecito leggere tra le righe, espressione di un po-sizionamento politico ancor più importante in un momentodi accesi dibattiti sull’uso ‘libero’ del proprio corpo.

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A tredici anni, con il primo mestruo, Salma viene rinchiusa in casa, destinata come moglie ad un uomo che non ama. Dalla casa potràuscire soltanto con il matrimonio. La ragazza, che invece vuole continuare a studiare, rifiuta il matrimonio per otto lunghi anni. Senzaun libro, senza giornali se non quelli che avvolgono la spesa della madre, trascorre il suo tempo in una stanza semi buia scrivendo sututti i pezzetti di carta che trova, inclusa quella igienica, i suoi pensieri di reclusa e di giovane donna. In qualche modo, grazie allamadre carceriera, questi pezzi di carta arrivano tra le mani di un editore. Intanto Salma si è arresa ed ha sposato l’uomo assegnatole.L’editore vuole conoscerla. Le poesie di Salma, donna indiana di religione musulmana, sono belle, coraggiose, devono essere pubblicate.Naturalmente i problemi con il marito non mancano. Sono ancora anni di lotta, deve convincere anche la gente del villaggio che una donnanon è soltanto figlia moglie madre. Un documentario della regista inglese Kim Loncillotto, racconta la sua storia, con interviste e documenti.Un documentario delicato in lingua originale, con sottotitoli in inglese dove è la stessa Salma a raccontare la storia di Salma, poetessa tamilormai molto nota anche come presenza politica. La telecamera della regista esplora con discrezione il mondo di Selma, incontra le donne,il padre, il marito, la madre, le donne del villaggio, tutti coloro che in qualche modo hanno tentato di tenerla chiusa in casa, di toglierleautonomia, di rimetterle il velo in testa. Selma rimane nel suo villaggio, viene eletta anche come consigliera comunale, raccoglie stima,Alla fine del documentario un giovane nipote ancora insiste, ma con dolcezza: “Mettiti il velo, le dice, gli uomini ti rispetteranno di più”.

Un documentario sulla lottadi una poetessa tamil

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DiecirigheFrancesca Traina

Resta la voce. La declinazione di parole esatte ed ubriache, disossate e risolte nei mai, neisempre d’una grammatica di sale. Ecco, mi sdraio sul ponte della dimenticanza per ricordarel’amore. Passano da qui senza fermarsi. L’andatura scoscesa e menzognera d’un sogno sfug-gito al bisbiglio dei confessionali. Ti chiedo di urlare con voce di conchiglia e rombo dimarea. Ti chiedo di marciare, di accendere un fuoco se precipita la notte sulla tua schienanuda. Ti chiedo di cantare come fosse per te sola o per la figlia che non hai voluto. Non dirloquell’addio che freme sul bordo dei rosoni. Lascia che l’argot delle stelle tracci la via del pet-tirosso ma non scordarti di te, del tuo corpo che snoda le stagioni una ad una e resta infinea presidiare il tempo. Non scordarti di te tra steli e nenie. Vai e vola nelle contentezze, nellasovranità del desiderio perché – anche nelle bufere – si sperda ancora il cuore.

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mezzocielo

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o ci salverà

Fotografia di Shobha, 2016

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Più volte, in queste nostre pagine, abbiamo detto di Emma Dante.Perché il fatto che “m’Palermo”, Emma ci sia, è una gran bella cosa. Con lei e con un teatro nel quale, da più di due decenni ormai, ha investitotutto il suo impegno, – dalla palestra abbandonata dove ha lavorato per anni,ai successi ottenuti oltre le mura della sua città – ma con la voglia mai di-smessa di tornarci a lavorare, con la sua ferma speranza che a Palermo il tea-tro non muoia, forse è già tempo di fare i conti.E sono tutti conti in attivo. Perché ci sono i suoi testi, la sua scuola di teatro,la convinzione che sul palcoscenico gesti e suoni nuovi o genialmente arti-colati, movimento liberatorio del corpo possano farsi rappresentazione vivadi un mito da sempre accaparrato dalla memoria o altrettanto di un presenteche si riflette, senza pudori né maschere, tra lacerazioni, sfrontatezze e co-raggio.Ma a Emma drammaturga, regista, autrice, come sempre si finisce col fare afronte di un artista, non è inutile tener d’occhio quel che lei è come persona,nella sua umanità, nelle sue tappe.Una donna che non tradisce e non si tradisce e che in ogni caso ... non lamanda a dire.Di fatica per farsi conoscere e apprezzare da chi guarda uno spettacolo senzaremore o riserve, ne ha fatta tanta....Milano, Verona, Parigi, Mosca, Spoleto …Oggi, ritorno a Palermo. Il suo è il nome di apertura nella stagione del“Biondo”, e sta per inaugurare quella del “Massimo”, dove un calendariofittissimo offre alla città splendide occasioni tra il tradizionale e il nuovo, conla sua versione del Macbeth. Emma è proprio nel suo “bel mezzo del cammin” ed è già in grado di collo-care dall’inizio a ora ogni passaggio.Se proviamo a ripercorrere quel che abbiamo visto di suo, i titoli sono tantie vale citarli quasi tutti. Dopo “m’Palermo” che è del 2001, così come li ri-cordiamo arrivano Carnezzeria,Vita mia e poi Medea. A seguire: La scimia,Mishelle di Sant’Oliva, Festen, Le pulle, La trilogia degli occhiali, ed altroancora. Molto discusso, ma certo indimenticabile, “Cani di bancata”: il veloda sposa di Mammasantissima che si trasforma nella tavolata immensa dovebanchettano gli affiliati mafiosi.Poi ci sono i suoi libri: favole, come quella del pesce cambiato, Anastasia, Ge-noveffa e Cenerentola; Via Castellana Bandiera da cui venne fuori un filmmeritatamente apprezzato. Ma una fertile fonte cui attingere restano per Emma i miti di una grecità checome un morbido calzino ci ritroviamo a calzare. Non fa torto all’assunto,ma con il suo “libero adattamento” e soprattutto con la sua creatività discena, ci intriga e ci trascina.Come per Odisseo che è il più recente e, dobbiamo dirlo, il più compatto,intenso e mirato. Forse l’Ulisse, cui Emma non fa sconti, ma che riproponein una umana, fragile, sorniona identità, ci è più simpatico di quello che nelletragedie greche aveva più volte la meglio.Con leggerezza, con ironia, con un impatto scenico laborioso e gradevolis-simo abbiamo rivisitato i personaggi di Omero.Alla prossima, con Le Baccanti, Emma saprà trarre, con la sua sigla persona-lissima, ciò che il mondo classico ci ha lasciato come non deteriorabile ere-dità. E mentre aspettiamo curiosi ci fa piacere ricordare che è di solo qualcheanno fa una delle più toccanti e personalissime opere teatrali, “Le sorelleMacaluso”, che ricollocano Emma “m’Palermo” dritta dritta.

Il lungo percorso di EmmaEgle Palazzolo

Teatro

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Fotografia di Clarissa Cappellani, le sorelle Macaluso, 2013

“Basta guerra, basta rabbia,noi quarantenni vogliamo sorridere”

Rimanere a Palermo con le difficoltà che il sud comporta, perché, diciamocelo, Palermo non è Milano, anche se l’unae l’altra sono due grandi città italiane, è stata una mia precisa scelta.Qui volevo maturare, dare la mia forza artistica. E credo che l’artista debba misurarsi con quanto di bello e di bruttogli sta intorno. L’arte ti vuole nudo tra successi e fallimenti, ti chiama, si veda o no, a guardarti dentro di continuo.Sento che Palermo scandisce la mia identità e quel che è straordinario mi fa sentire a contatto col mondo.

Emma Dante

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Attraverso quali ali, di colomba o internet, la piccola mi-grante di Lampedusa Beach è arrivata in Sud Africa? Non sisa come, ma vi è giunta. È atterrata in una scuola di teatrofrequentata da giovani dei quartieri poveri di Johannesburg,E nelle mani della regista, Raissa Brighi, le sue parole sonostate moltiplicate nelle voci di ben diciotto attori. Ma come è possibile trasformare un monologo in uno spetta-colo con tanti interpreti? – chiedo a Lina, davanti a una tazzadi the, in una casalinga intervista. Ho sempre considerato il monologo un discorso aperto – mi ri-sponde – Il dialogo è un rapporto che si chiude a due; il mo-nologo è infinito.Lo spettacolo è stato poi rappresentato al Festival dell’Uni-versità della capitale, Pretoria, ed ha vinto il premio Per learti e la giustizia sociale. Lina Prosa lo ha visto solo su inter-net, ma attraverso skype ha parlato a lungo con la regista egli attori e spera di poterli far venire in Europa (i ragazzi re-citano in inglese).Quest’anno Lina è stata impegnata nella scrittura di un’operacommissionatale dal Teatro di Kolmar, sulla vita e le passionidi una sociologa turca, Pina Select, incarcerata per due anniad Istanbul, ed ora residente in Francia. Lina ha avuto unaserie di incontri diretti con lei, in base ai quali ha scritto ildramma Buio sulle radici (Éclats d’ombre, in francese) che èstato rappresentato a novembre sia nel Teatro di Kolmar chenel teatro di Strasburgo. Affronti sempre temi di lotta – osservo –. Sì. Io credo in unteatro che sappia svegliare le coscienze – mi risponde.Con questa ottica, facciamo un breve viaggio all’indietro sullasua vita. Una specie di favola, commenta lei stessa. Si partedall’ambiente chiuso di Calatafimi, suo luogo di nascita, dovenon c’era neppure una libreria; incontra il teatro alle rappre-sentazioni di Segesta; individua la propria vocazione; orga-nizza una scuola di teatro a Monreale; si immerge nellalettura dei tragici greci; collabora alla messa in scena di As-salto al cielo (Pentesilea), del regista Salmon – (precocementescomparso, cui oggi è dedicato un padiglione dei CantieriCulturali della Zisa a Palermo); scrive il dramma Filottete –rappresentato sempre ai Cantieri, con la regia di Cauteruccioe le musiche originali di Sollima; poi le Baccanti, rappresen-tato al Teatro Garibaldi di Palermo, con la regia di MassimoVerdastro. Arriva poi “l’esplosione” di Lampedusa beach. Ilsuo atto unico, su una giovane migrante che annega mentretenta di raggiungere l’Italia, viene tradotto in francese dalloscrittore Manganaro; quindi incluso in una lista di testi sot-toposti alla lettura del pubblico della Comédie Française. Pre-scelto dai lettori, dopo una pubblica lettura-spettacolo, vienerappresentato nel prestigioso teatro, diretto – per la primavolta nella sua storia – da una donna: Muriele Majette. Lam-pedusa Beach e i due testi successivi che insieme compongonoLa Trilogia del naufragio sono stati rappresentati, singolar-mente o insieme, in moltissimi teatri: dal Teatro Biondo diPalermo, al piccolo Teatro di Milano, a Barcellona, a Pitt-sburgh, a Zagabria.

Lina Prosae il suo teatro: dalla Sicilia al mondo

intervista di Simona Mafai

Teatro

Dai primi esperimenti di teatro a Monreale ad oggi – ne èpassata di acqua sotto i ponti: nell’attività artistica e nella vitadi Lina. L’incontro con Anna Barbera, amica e collaboratriceda oltre venti anni; il tumore al seno e l’operazione, dalla cuiesperienza nasce l’altra grande creatura di Lina Prosa: LeAmazzoni, centro di iniziative culturali e scientifiche, per laprevenzione, la condivisione, il superamento delle conse-guenze della malattia tramite l’amata pratica teatrale. È unarealtà originale che ha coinvolto e coinvolge centinaia didonne a Palermo e che ha avuto numerosissimi ed autorevoliriconoscimenti sul piano internazionale: e che non ha inter-rotto, ma arricchito di nuove emozioni il suo lavoro creativo.Le Amazzoni... forse volutamente, forse per un regalo delcaso, Lina Prosa – andando in Brasile per condurre una seriedi laboratori teatrali – si è ritagliata uno spazio di tempo perrecarsi in Amazzonia, quasi per incontrare le antenate delleAmazzoni, in cui si vorrebbero immedesimare le donne ope-rate al seno.Vagabondando tra villaggi e foreste, Lina Prosa ha incontratoe parlato con moltissime donne. Donne brasiliane, straordi-narie, fortissime – si entusiasma Lina nel descriverle – donneche hanno subito e subiscono sfruttamento e violenza, ma vi-vono sempre a testa alta, con indescrivibile energia. Le loro ra-dici mitiche e religiose sono profondamente diverse dallenostre, ma pure ho trovato qualche comunanza con i miti grecie la nostra cultura.Tre giovani attrici brasiliane hanno fatto parte del cast del-l’ultimo spettacolo di Lina Prosa, Troiane. Variazioni conbarca, presentato a Palermo per il 20° anniversario del pro-getto Amazzoni. Così Lina Prosa, donna semplice, senza uffici stampa odagenti letterari, ha lanciato dalla Sicilia, attraverso la rappre-sentazione del dolore, un arcobaleno di pensieri, emozioni edarte – che ha collegato tra loro donne e uomini di ogni partedel mondo. Il Ministero della Cultura francese le ha conferito il settem-bre scorso il titolo e la medaglia di Cavaliere delle Arti e delleLettere.

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SCRIVERE PER CAPIRE

Da drammaturga penso di dare un qualche contributo per capire meglio l’umanità, noi stessi.Mi piace pensare che la mia scrittura possa aiutare a capire che scegliere “diversa-mente” si può. Io dò al teatro un alto valore politico. Amo, quindi, prendere unaposizione insieme al personaggio, perché farlo in teatro significa farlo dinanzi allasocietà, al pensiero comune. Questo può aiutare altre donne o altri uomini a prendere posizione. A cambiare.

Lina Prosa

Teatro

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Fotografia di Letizia Battaglia, Palermo, 2017

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Appassionante la mostra allestita – ad un anno dalla morte –a Palazzo Sant’Elia a cura di Anna Maria Ruta.Riduttivo solo il titolo “Una vita per l’arte”, perché tutta lavita di Topazia viene fuori dalle varie sezioni in cui è artico-lata la mostra come un’avvincente e singolare avventura incui i percorsi della bellezza si coniugano sempre con i per-corsi del pensiero, dell’intelligenza e della libertà. E del restoè proprio lo straordinario contesto familiare in cui nasce ecresce Topazia che viene tratteggiato nelle due prime sezionidella mostra: i quadri delle zie Felicita e Amalia (allieve diartisti del calibro di Ettore Ximenes, Benedetto Civiletti eMario Rutelli, frequentatori abituali di palazzo Alliata), gliscritti del padre Enrico, Principe di Villafranca, Valguarnera,Duca di Salaparuta, filosofo, uomo illuminato e libero pen-satore, attento e responsabile proprietario della casa vinicolaCorvo di Salaparuta (– egli pensava che l’artefice del successofosse soprattutto il lavoro contadino e che la casa vinicoladoveva considerarsi pertanto il frutto della collettività –scrive di lui Silvio Ruffino) fondata dal nonno Edoardo, adEnrico trasmessa dal padre Giuseppe, e che sarà poi tra-smessa nel dopoguerra da Enrico a Topazia che la porteràavanti tra tante difficoltà fino alla cessione nel 1959 alla Re-gione Sicilia. Negli anni della gestione di Topazia nasce ilCorvo bianco Colomba Platino (“Picasso e Braque avevanodisegnato la colomba della pace e per Topazia la colomba eil bianco di quel vino riportavano un equilibrio con il Corvocosi’ nero...” – scrive Mario Farinella in un articolo del gior-nale L’Ora del 21.6.56 intitolato “La duchessa che ha inven-tato il bianco vino della distensione” ed esposto in unabacheca della mostra).Del nonno Enrico scrive Toni Maraini, figlia di Topazia, nellibro “Ricordi d’arte e prigionia di Topazia Alliata” (citatospesso nel percorso della mostra): “Per l’epoca e l’ambienteda cui proveniva, Enrico, che ogni mattina si alzava all’albae percorreva tre chilometri di sentieri da Bagheria a Castel-daccia per occuparsi in tutta semplicità della casa vinicola,era un uomo dei tempi nuovi. A torto alcuni lo hanno defi-nito un nobile “eccentrico”. Questa è una etichetta chetroppo facilmente si concede a chi in Sicilia si distingue peril suo particolare modo di essere. Enrico era soprattutto unuomo di grande spessore etico le cui idee sembravano astrusealla società feudale in cui era nato e a quella bigotta che loattorniava. Sotto molti aspetti era in anticipo sui tempi. Eraun animo universale e, a modo suo, moderno. Vegetariano esalutista, aveva scritto uno dei primi libri italiani di cucinavegetariana, il “Manuale di gastrosofia naturista”, che nonriduceva il vegetarianismo a una mera dieta, ma ne definival’etica e la saggezza... Per lui che aveva alle spalle un alberogenealogico venerabile ma che nel dopoguerra votò per laRepubblica, la questione della nobiltà si riassumeva in pocheparole: è nobile chi è nobile d’animo, e chiunque può essereper natura e propria educazione nobile d’animo. Topazia, suafiglia, non ha pertanto dato importanza alcuna alla questionedei titoli nobiliari. Lei, e la sorella Orietta, criticavano la Si-

Topazia Alliata:arte e libertà

Mimma Grillo

Artecilia aristocratica e bigotta, conservatrice e provinciale. Consolido buon senso ne accantonarono ben presto i titoli con-siderandoli un’anacronica sopravvivenza nei tempi nuovidella democrazia e dell’uguaglianza”. E che dire della madre di Topazia? Enrico a Parigi aveva in-contrato Amelia Ortuzar y Olivares – detta Sonia – giovanecilena bellissima e dotata di una straordinaria voce di so-prano. Si sposarono. E col loro matrimonio lo spagnolo si aggiunse alle lingue dicasa Alliata (oltre al siciliano, l’italiano, il francese, l’inglese)e la genealogia familiare si arricchì di un apporto di sangueispano-indio probabilmente risalente a Mancu Capac, primoimperatore Inca.Questo dunque il contesto in cui, tra Villa Valguarnera a Ba-gheria e Palazzo Alliata a Piazza Bologni a Palermo, si muovela giovane Topazia (nata nel 1913) che quasi ancora adole-scente, iscritta al liceo artistico, inizia a frequentare il CorsoLibero di Nudo all’Accademia di Belle Arti di Palermo (al-lora riservato rigorosamente solo agli studenti di sesso ma-schile) con i compagni Renato Guttuso, Nino Franchina,Ezio Buscio, Piera Lombardo, Lia Pasqualino Noto, Gio-vanni Rosone. Loro maestri furono in quegli anni PippoRizzo, Archimede Campini, Mario Mirabella, Ettore MariaBergler. È un dipinto del 1931, “Donna alla fonte”, la primaopera di Topazia che si incontra nel percorso della mostra.Seguono i ritratti di Topazia dipinti dai suoi amici artisti,quello del ’31 – “Giovane donna ammantata” – di RenatoGuttuso (che illustra la copertina del già citato libro di ToniMaraini), quelli del ’30 di Michele Dixit e di Piera Lom-bardo. Nel 1932 così scrive Renato Guttuso della pittura diTopazia: “Un’artista d’avanguardia. Alla sua entrata in com-battimento la pittrice abbraccia decisa quella corrente di ideedella pittura moderna che porta alla rappresentazioneastratta di emozioni, sentimenti, stati d’animo. Autodidattain pittura, quest’artista, che ha ora 19 anni, si è fatta notarenelle ultime esposizioni del Sindacato Siciliano Artisti, dovele sue opere rivelarono la pensosa serietà con cui essa si ac-costa al mistero della pittura. In un nudo di Donna alla fonte,allora esposto, si vedeva, dalla scrittura lunga, passional-mente femminile e modulata in variazioni appena percetti-bili, la tendenza di questa pittrice ad alleggerire la linea e aspiritualizzare la materia. Abbandonata oggi completamentela rappresentazione esteriore del mondo tangibile, TopaziaAlliata si è immersa in un mondo astratto e irreale del qualetenta di fermare le vibrazioni. I suoi quadri vivono di formetormentate ed affinate fino all’impossibile, di linee sofferteprofondamente sotto l’apparente placidezza e semplicità deicontorni, di idee, sensazioni totali e intense. Libera da in-fluenze esteriori, la sua arte si collega per prossimità di in-tenzioni a quella dei più nuovi artisti”.La posizione di Topazia e dei suoi amici artisti nei confrontidel regime fascista era molto critica. Ma mentre Guttuso,Franchina, Pasqualino Noto e Barbera formarono nel 1934il Gruppo dei 4 come formazione di artisti che operavano inun clima “pienamente fascista”con la strategia di riuscire adoperare “dal di dentro”del fascismo, Topazia organizzò nel33 assieme allo scultore Domenico Li Muli la mostra al teatroMassimo di Palermo “20 artisti siciliani” definita da FrancoGrasso come “la vera occasione d’incontro del gruppo di ar-tisti antifascisti siciliani in una mostra indipendente dal sin-dacato fascista”. Topazia dimostrava di avere maturatoposizioni politiche indipendenti.

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Viaggiava, era stata a Parigi, a Roma, dove aveva conosciutoCorrado Cagli e Carlo Levi. La loro amicizia fornì una basepiù consapevole al suo antifascismo. In seguito gli eventi per-sonali (l’incontro con Fosco Maraini) la portarono inoltre aFirenze e a Fiesole a frequentare artisti e intellettuali dissi-denti dal regime.Tornando alla mostra, non sono molte le opere di Topaziaesposte: dopo il Nudo alla Fonte, seguono alcuni disegni(Donna che dorme, Veduta marina, Donna pensosa, Sullacresta, Uomo nudo che si arrampica (Fosco), Poi alcuni di-pinti degli anni ’30-’31-’32-’33 (Paesaggio con case, CapoZafferano, Ritratto di Fiammetta di Napoli, Ritratto di G.Farneti, Pannocchie, Casa Rossa, il bellissimo Autoritrattocol campanile basso, il Ritratto di Alpinista (Fosco), l’Auto-ritratto del ’31 e l’Autoritratto con cavalletto, il Figlio di ma-rinaio, una Veduta Montana. Del ’34 è il ritratto del padreEnrico, del ’35 un paesaggio con ulivi, del ’38 un ritratto diMaria Fossi. Poi più nulla.Scrive la figlia Dacia Maraini: “Non so perché mia madreabbia smesso di dipingere. Probabilmente non aveva abba-stanza fiducia nel suo lavoro. Come tante donne portava insé la memoria atavica della sfiducia istituzionale”.Del resto il matrimonio con Fosco Maraini (fotografo, etno-logo, antropologo) nel ’35, la nascita di Dacia e poi, nel ’38,il trasferimento in Giappone col marito e Dacia bambina(Fosco aveva avuto in Giappone un incarico universitario main realtà entrambi volevano fuggire dalla repressione con cuiil regime fascista schiacciava ogni libertà di espressione) sonoavvenimenti che segnano una forte svolta nella vita di Topa-zia. Una sua frase è riportata nel percorso della mostra: “Se-guii Fosco fino alla fine del mondo, ricordo tutto, hoscordato solo il dolore”.Ma il Giappone era alleato dell’Italia fascista e della Germa-nia nazista. Così dopo l’8 settembre del ’43 Topazia e Foscovengono arrestati per non avere voluto giurare fedeltà allaRepubblica di Salò. Vengono quindi internati insieme alleloro bambine – oltre Dacia erano intanto nate Yuki e Toni-in un campo di detenzione (Tempaku, poi gli ultimi mesiKosai-ji). Saranno liberati nell’agosto del ’45, dopo Hiro-shima. Nel periodo ottobre ’43/settembre ’44 Topazia riescea tenere un diario (37 pagine) in cui, con un mozzicone dimatita, riesce a segnare su carta parole che come pennellateraccontano il dolore, la fame, il beri-beri sofferti da loro edagli altri prigionieri, il yubikiri (autoamputazione di un dito)

di Fosco, che in questo modo si guadagna il rispetto dei car-cerieri.Ma la cosa che più colpisce in questo diario è la forza con cuiTopazia cerca di ancorare dentro se stessa la bellezza, i suoiprincipi di vita, nonostante tutto. Scrive il 24 gennaio 1944:“Mi ricordo quando dipingevo sempre colonne – già allorami dicevano tanto – le ho sempre trovate simboliche di tuttociò che amo di più nella civiltà: pure, solide, pratiche, ro-tonde, eleganti – fini – delicate nella robustezza, solitarie edindividuali benché aggruppate, accoppiate, allineate. La piùbella espressione dell’efficienza immedesimata a una bellezzadi arte pura. Come mi fa bene guardarle queste due colonne –chiudono l’arco che le sovrasta – ti suggeriscono sensazionidi sicurezza – stabilità, serena stabilità duratura, tutto ciò cheNON abbiamo in noi da mesi e anni... e dietro, il mare –flusso e riflusso – l’eterno – il grande – il terribile-il dolcis-simo, il consolante e tante volte spietato mare. VITA”. Dopoil ritorno in Italia Topazia si stabilisce per alcuni anni in Sicilia,si interessa alla politica separatista. Ma, soprattutto, dopo lamorte del padre Enrico, gestisce l’Azienda vinicola fino allacessione alla Regione Sicilia. Poi si trasferisce a Roma. Dal ’58al ’63 tiene aperta la Galleria Trastevere che diventa una forterealtà della storia artistica romana. Vi espongono per la primavolta in Italia artisti di tante nazionalità. Tra gli italiani Burri,Giulio Turcato, Lo Savio, Lucio Pozzi, Ettore Colla, PupinoSamonà, Carlo Lorenzetti, Emilio Villa, Mimmo Rotella, Ca-scella, Nuvolo e altri. Tra uno studio e una trattoria condivi-devano ideali e difficoltà economiche. A questo periodo sonodedicate le ultime sezioni della mostra. Con Guttuso e gli altri“figurativi” Topazia non aveva più contatti. “D’altronde –scrive Toni Maraini – la disputa tra arte figurativa e arteastratta era, in quegli anni, incandescente e viscerale. Lei eradecisamente estranea al mondo rassicurante della figurazionee dei salotti romani”.Un pannello che chiude il percorso della mostra riporta inproposito un commento di Achille Bonito Oliva: “Topaziaaveva un’innata curiosità, non si preoccupava di essere ga-rantita dal giudizio degli altri, era una donna votata alla sco-perta, e lo era nella vita e nell’ambito dell’arte: ...così nascela galleria Trastevere... aveva fatto di questo spazio un puntodi riferimento, un porto franco, un luogo di accoglienza e diosservazione, luogo dove non c’era nessuna prevenzione enessuna strategia, in qualche modo la conferma della sua per-sonalità...”.

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Topazioa Alliata,

Autoritratto con piccozza, 1933

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Poesia

I semi lenti a germogliare infine vedono laluce. Ne seguivamo la scansione certe del-l’imminente fioritura. L’esordio di Anto-nella Anedda del 1992, con Residenzeinvernali, è già esito, soluzione di un’attesache fu al suo nascere avvertimento di poe-sia. Suoi scritti erano stati pubblicati su varieriviste che ne avevano rivelato l’originalità,tanto da essere subito considerata voce trale più significative della nuova poesia italiana. Tale si confermava nelle successive pubblicazioni non solodi poesia, ma anche di saggi e racconti. A ciò va aggiunta laraffinatezza delle sue traduzioni dal francese; ha affrontatocon successo un poeta impegnativo qual è Philippe Jacottet. Nata a Roma, ma di origine sarda, Anedda è laureata in storiadell’arte moderna e, infatti, non si possono non cogliere nellesue opere l’adesione all’arte insieme alla dimensione di insu-larità intesa come centralità, sede privilegiata di pensiero chetuttavia esprime una condizione poetica di solitudine.Anedda scrive di sé mentre intesse i suoi paesaggi d’animanella costante correlazione con scrittori e scrittrici amati/e etestimoniati/e in un tributo d’amore che conferisce alla suascrittura una dolente incisività: Mandel’štam, Cvetaeva,Celan, Herbert, Rilke, Zach, Kolmar, Beckett, Loi, Rosselli,e tanti/e altri/e sono contrappunto e dialogo fra Anedda e lagrande letteratura. Ha cominciato a scrivere, dichiara in un’intervista, dopo averascoltato una poesia di Blok. Da quel momento è cresciutadentro di lei una foresta di libri, alberi diversi, secolari o re-centi, alberi-libri, ma anche alberi-quadri. La sua è una poesia interiore che sa attingere all’esterno,alla contingenza, agli oggetti quotidiani, ad ogni cosa e aldettaglio di ogni cosa. Tutto osservato silenziosamente eintensamente interiorizzato, viene riversato in una scrit-tura obbediente allo sguardo che è specchio di sé, ma èanche rimando di immagini esterne a sé. È come seAnedda scrivesse e al contempo studiasse ciò di cui scriveche può essere suscitato da una fotografia, da un quadro,da un libro. Questo le consente di spaziare dalla poesia alla prosa (Cosasono gli anni, La luce delle cose, Nomi distanti, Notti di paceoccidentale, Salva con nome…) in uno sforzo creativo cheesige massima severità verso se stessa. E Anedda possiederaro rigore morale, è severa ed esigente; questo le ha per-messo di ritagliarsi una nicchia nella genealogia dell’arte al-

Antonella AneddaUna scrittura obbediente allo sguardo

Francesca Traina

tissima dove la fragilità dell’essere coincidecon l’esattezza della parola poetica e dovetra le tante straordinarie poetiche, quellarussa ha per lei un posto d’anima. I suoi versi vivono il tempo consolantedell’attesa verticale, il brivido d’una neces-sità che non si può tradire, la concavitàdello svuotamento di sé ceduto alla parola:

Vedo dal buiocome dal più radioso dei balconi…cammino sotto i rami: c’è un crepitio segreto:i pensieri, i capelli, l’unghia di un sentimento a metà staccato:spina che si prepara, che naviga veloce dentro il sangue…Non è di nostalgia che piange, ma per il peso interodella pioggia, come se lui fosse il tettoche sopporta e si scrosta.Come se l’intero palazzo, gonfio di acqua e pietrarivelasse un’offesa.Una creatura può crucciarsi per questo, passare sveglia la notteo replicare nel sogno la desolazione. Essere in un burrone.Stare lì tra la terra, nella pioggia che viene.

Dalla memoria di versi noti è iniziato il suo cammino poe-tico, da letture notturne guardando il mare di Sardegna eCorsica appena rischiarato da una luna diversa. Bisognavarispondere a questo, al richiamo di un lontano sconosciuto.Per farlo ha attraversato se stessa tentando di decifrare etradurre voci di poeti/e prossimi/e e distanti a cui ha datolingua e conoscenza pronta a ripiegare verso un nuovo ne-cessario silenzio:

Laggiù è l’enigma: in quelle frasi da cui si sollevano mondie richiami; in quelle immagini che continuano in avanti, checontinuano per noi, senza di noi, la vita. Là si addensa qual-cosa: inconoscibile e insufficiente. Dietro il visibile, dietro isegni, gli alfabeti e i colori, ecco rovesciato ciò che somma-riamente allude a un mondo immenso, costretto a premeresu di noi attraverso l’apparenza, attraverso ombre che nonspiegano, ma confondono. Lo stesso cielo non è forse, dietrolo scudo della luce, nero? La notte è la sua verità, il buio ilsuo corpo che l’azzurro o il grigio di volta in volta coprono.È questa la parola suasiva, lenta e struggente nella precarietàdi una traiettoria accesa come lampara che effonde chiaroreal mare, ma sentendo il tremore dell’onda lo assume e lo rin-via nelle vibrazioni della luce, nelle sue infinite variazioni.

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Al banchetto ultimonelle desolate valli,ove lo spazio curva verso l’orizzonteove il tempo s’accascia sulle terre arides’abbandona a noiche bisogniamo di vasti deserti di pensiero

bagnati tutti di sangue seccocome la terra su cui ruotiamosollevando la polvere della liberazioneattorno al tavolo di legno alleggeriamo i corpi tumefattidall’anni di tormentod’anni di ginocchi consumati all’inginocchiatoio in petto alla croced’anni di mani conserte sulla fronte chinad’anni d’abito nero di lutto di già sulla sedia del mattinod’anni d’uomini di già in tomba seppur respiranti

ma il sangue secca al solee ci facciamo essiccarecome i pazzi al giardino nell’ora d’ariadivoriamo come affamati d’anni di carestiadolce e salato nella stessa voccada un angolo all’altroda sotto a sopraci scansiamo per prostituirci nei morsi delle grigliate,nella perdizione dei fumi d’alcoll’orgia delle mancanze colmatee all’orgasmo la morte lenta si solleva come la polvere

Al banchetto ultimosiamo morti tuttiessiccati nella secca terra rossadecaduti a pancia piena e a salvezza negata

quando un gallo d’improvvisosalta al tavolo del banchettosul mare dei morti alla battaglia per il panes’ergeil naufrago del sangue essiccatoall’occhi d’un gallo appartiene la salvezza.È Il testimoneed ogni dì all’alba rammenta all’orecchio dormientei morti

All’occhid’un galloappartienela salvezza

Carla Nigro

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Fotografie di Letizia Battaglia, La festa è finita, Arenella

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È molto riservata sulla sua vita privata. Nel libro alla do-manda “Cosa ha rappresentato Enzo Mari nella sua vita?”risponde Una pietra. Indispensabile. Ne vuole parlare?È l’amore di una vita…incredibile, abbiamo compiuto50anni di convivenza, dopo due matrimoni – ognuno di noiveniva da un matrimonio precedente – abbiamo avuto unafiglia e a quell’epoca se tu non eri sposato la figlia cominciavasin dall’asilo ad essere discriminata come figlia naturale. Allora noi ci siamo risposati per questa ragione, poi il mondoè cambiato etc…Ma non vorrà parlarmi di questo?

Oggi continua a seguire il percorso delle giovani artiste?Oggi giorno si fanno moltissime mostre, e ci sono da unaparte bravissime artiste, in mezzo ad una grande immondizia,questo è dovuto al numero, sa... quando io ero ragazzac’erano cento persone che volevano fare l’artista, poi sonodiventate mille, ed oggi c’è una moltitudine biblica, è chiaroche così scada ache la qualità. Ma quando viene fuori una giovane talentuosa, nonostanteil mal di schiena e tutto il resto – un intervento a cuore apertoetc… – cerco ancora di andare a vedere qualcosa. Parlando oggi tra le giovani mi pare che nonostante tutto siaabbastanza straordinaria Vanessa Beecroft, e molte altrecome Liliana Moro, Marcella Vanzo etc..

In questi giorni la Gam di Torino celebra con una granderetrospettiva il lavoro di Carol Rama, cosa è cambiato nelmondo dell’arte femminile rispetto a quaranta anni fa? Carol Rama, posso dire che l’ho portata fuori dal buio. Maè una donna che se fosse viva oggi avrebbe 100anni. Perle donne non è più come una volta, adesso sono nel mer-cato. C’è una gamma di artiste che va da una corrente al-l’altra, non si può definire l’arte femminile un ambitoomogeneizzato. Sono poche le artiste che si occupano an-cora del corpo, e non parlo di fenomeni mediatici comela Abramovic, la quale è arrivata in terza posizione ri-spetto ai contemporanei con cui aveva iniziato, ed è di-ventata una sorta di agenzia, espressione di un sistema

Lea Vergine: pazza di leiMaria Chiara Di Trapani

Il corpo come arte

anche un po’ demenziale. Viene guardata come una santaormai. All’inzio invece si distingueva perché aveva uncerto temperamento, poi si è fatta sedurre da un modomediatico di esporre se stessa. Alcune opere belle le hafatte, ma molti anni fa. E sa il problema oggi non è quello delle donne, è quello degliuomini. Sono loro ad essere oggi atterriti da questo esserefemminile di cui sono costretti a riconoscere le qualità, i ta-lenti la superiorità quasi razziale. Perché le donne fannotutto, sopportano tutto, faticano come bestie ancora oggi,confermandosi come un elemento superiore, danno la vita…assistono i morituri etc…Sono degli angeli.

Di quali altri autori di oggi stima il lavoro? Credo che ci siano dei personaggi straordinari, come SislejXhafa, molto ironico, e trovo molto bravo Adrian Paci, inmezzo a tantissimi altri i bravi. L’arte oggi è anche naturalmente accerchiata da mille stol-tezze, e mi ripeto, questa è la questione del numero. Trovo interessanti i due italiani Francesco Vezzosi e Mau-rizio Cattelan.In mezzo all’ironia nel suo lavoro si trova anche una grandetenerezza, se pensa Bidibibodibiboo (1996), l’opera sulloscoiattolo suicida. E di Vezzoli, mi piace il suo rivolgersial mondo sperlucente del cinema e delle attrici e trovo isuoi ricami abbastanza straordinari.

C’è una mostra che vorrebbe curare oggi? Ormai sono vecchia e non ho tempo né energia sufficiente.Sono molte, vorrei curare una mostra sule badesse, sono loroche grazie al loro modo d’essere hanno tenuto in vita l’archi-tettura la pittura la scultura e anche il proto-design. Le badesse avevano questa capacità economica per poter af-fidare e commissionare le opere…

Lei ha mai fatto psicanalisi ? Perché me lo chiede ? crede che la psicanalisi abbia mai sal-vato o curato nessuno ? Ma non diciamoci sciocchezze !

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Milano- Ci sono libri che sono incontri sinceri. “L’arte non è faccenda di persone perbene”, l’autobiografia di Lea Vergine, nata dauna conversazione con Chiara Gatti sorprende il lettore per la forma di racconto autentico. Un dono poter leggere pagine che raccontanouna vita intensa, scandita da struggenti episodi narrati con leggerezza, autoironia, eleganza e grazia. Lea Vergine ci dice come l’artecambia la vita, e lo fa partendo da sé, spiegandolo con parole semplici e preziose. Incontrare i propri miti, è un rischio. Ma leggere illibro e desiderare incontrarla, sono un tutt’uno. Busso alla sua porta mentre i rintocchi della basilica di S. Ambrogio riempiono l’ariadi una gelida e incolore mattina milanese. Arrivo puntualissima. L’ incontro è fissato per le ore 12. Appare un po’ incredula della miapresenza, con un sorriso ammette di aver dimenticato il nostro appuntamento, invitandomi con naturale ospitalità a seguirla nellasua stanza-studio. La dimenticanza trasforma la nostra conversazione su un piano felicemente informale, e in luogo dello studio, ciaccomodiamo in una camera dall’atmosfera intima e accogliente arredata da un letto dall’aspetto candido e comodo, una scrivania co-perta di fogli, appunti e lettere, disposti con ordine e sulle pareti scaffali di legno pieni di libri e riviste d’arte che sbircio di sfuggita.Rapida con lo sguardo e la mano sfoglia l’agenda su cui scopre subito d’aver segnato il mio nome per quel giorno alle 12, e sorride ap-prezzandomi per la puntualità. Ci accomodiamo su due sedie vicine, una di fronte all’altra. Ha occhi grandi e incantati animati dauno sguardo indagatore attento e curioso, muove con dolcezza mani piccole dalle dita sottilli e eleganti mentre si accende la prima si-garetta senza filtro, che non termina mai, quasi un gesto di accompagnamento del pensiero. Sono emozionata, preferirei tacere e poterosservarla in silenzio. Le spiego come per me il suo lavoro autorevole nel mondo della critica d’arte abbia da sempre evocato timoree rispetto. Ha appena finito di leggere la recensione al suo libro di Tommaso Montanari. “È un articolo che mi lusinga molto, perchéche uno storico dell’arte antica si occupi del contemporaneo non è di tutti i giorni” esclama con sorpresa.

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Neanche io lo credo. Penso sia già tanto, trovare qualcunoche fa le domande giuste...È vero! Si, Ho fatto delle grandi chiacchierate senza aver maifatto la vera terapia psicanalitica. Andavo da questo signore,Giancarlo Zapparoli, che era una persona abbastanza ecce-zionale, soprattuto piena di umorismo, che quando andai perla prima vola, mi disse “Lei quanti anni ha 32? e che vor-rebbe fare la psicanalisi? Che ci prendiamo in giro? a 32 anniè troppo tardi! quindi facciamoci qualche chiaccherata”.Così abbiamo fatto varie conversazioni lungo una gittatad’anni, per 15-20 anni

Nel suo libro dice: “È inutile che lo spettatore cerchi nellavisione di un’opera d’arte qualcosa che lo consoli. Troverà

qualcosa che lo dilanierà. Starà a lui decidere come adope-rarlo. Qual è l’incontro che le ha più sconquassato il cuore? È una domanda o un racconto? – Ci mettiamo dentro anchegli antichi? o dobbiamo stare sul contemporaneo? Se vuole – e dice socchiudendo per un attimo gli occhi e sten-dendo il viso in un sospiro: Hieronymus Bosch, AlbrechtDürer, e se vuole anche Mantegna, anche Jacobello del Fiore,attivo alla fine del 1300. Ce n’è creature come loro miraco-lose. E dell’oggi possiamo parlare di Lucio Fontana, JannisiKounellis, Giovanni Anselmo e di tanti altri.

Nel libro si percepisce forte la malinconia per Napoli…- Non si nasce per caso alle falde del Vulcano, vorrei moriredavanti al mare…

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Il rigore critico e l’eccezionalità dell’ impresa curatoriale compiuta da Lea Vergine nella mostra “L’altra metà dell’avanguardia” (1980),sono un punto di riferimento insuperato negli studi di storia dell’arte contemporanea. Con il suo lavoro Lea Vergine porta alla lucel’attività di oltre cento artiste europee, russe, americane, mettendo insieme le pittrici e scultrici che avevano avuto un ruolo fonda-mentale all’interno dei rispettivi gruppi e movimenti di rinnovamento artistico della prima metà del Novecento.“ Un lazzaretto di re-gine, erano tutte eccezionali e molte di loro rinunciatarie. Tutte minimizzavano, auto-ironiche. Come Meret Oppenheim, Carol Rama”.Artiste come Varvara Stepanova, Frida Kahlo entrano ufficialmente nella storia delle arti visive attraverso di lei.

Fotografie di Santi Caleca, Lea Vergine, Milano

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L’attuazione di un percorso che potesse permettere alla Bi-blioteca dei bambini e dei ragazzi Le Balate di diventare Bi-blioteca di pubblica lettura mediante una convenzione fraCuria arcivescovile e Comune di Palermo oltre a rendere la Bi-blioteca Le Balate una struttura più stabile e protetta da colpidi mano, era anche funzionale alla realizzazione di un progettopiù ampio dal titolo: “Periferie: cultura, coesione e inclusionesociale mediante le Biblioteche di pubblica lettura”.Progetto che avevamo presentato all’assessore alla Cultura delcomune di Palermo Andrea Cusumano nel novembre 2015 e peril quale erano state fatte alcune riunioni con la direttrice della Bi-blioteca Comunale, con l’Assessore alla scuola e perfino con rap-presentanti dell’AMAT, poi più niente, è calato il silenzio.La presenza di strutture aperte nelle periferie con valenza ag-gregativa, culturale e di scambio viene oggi da tutti individuatacome condizione indispensabile per la costruzione di una societàpiù solidale e per la lotta all’emarginazione di importanti fascedi popolazione, soprattutto giovanili. Questa narrazione l’hoascoltata a tanti livelli, ultimamente è stata ribadita a Milano in

Quali prospettive per la bibliotecadei ragazzi del rione Albergheria?

Donatella Natoli

Stralcio della lettera inviata nel giugno scorso al Sindaco e all’Arcivescovo di Palermo“… Crediamo che sia un dovere di tutti coloro che hanno a cuore i bambini e i ragazzi di Palermo e la loro cultura, ma soprattutto del

Sindaco, che è il tutore del benessere di bambini e ragazzi, e del Vescovo che sicuramente guarda con interesse percorsi che possano per-

mettere maggiore benessere a chi è meno fortunato, prendere in considerazione un percorso che dia slancio alla disponibilità della Curia

che dieci anni fa ha accolto il progetto Biblioteca scritto da una laica (Donatella Natoli) e che permetta al Comune di sviluppare, in una

struttura sul territorio aperta a tutta la città, attività di biblioteca per tutti ma anche incontri, scambi culturali ed artistici, come è sempre

avvenuto alle Balate. Crediamo inoltre che Vescovo e Sindaco dovrebbero essere attenti allo sviluppo di opportunità inedite per le scuole,

offerte finora dalla Biblioteca Le Balate per raggiungere l’obiettivo di “Una scuola dalle pari opportunità in cui il sapere essere, il saper

fare, il saper osservare ed il sapere comprendere si intrecciano e si rincorrono”. Un compito importante della Biblioteca Le Balate po-

trebbe ancora essere quello di aiutare a riprodurre le caratteristiche di Servizio culturale e sociale di base in tutte le altre biblioteche pe-

riferiche del Comune come da progetto già presentato”.

un incontro fra il Ministro Franceschini, Antonella Agnoli, il di-rettore del Museo della Scienza di Milano e il responsabile deiMusei di Roma, incontro organizzato da Giuseppe Laterza, inpresenza di circa ottanta operatori culturali provenienti da varieparti d’Italia. Il progetto, presentato al Comune di Palermo cheha questi contenuti è stato sollecitato anche da Antonella Agnoliin una lettera al Sindaco Orlando (maggio 2016) a sostegno dellaBiblioteca Le Balate “…Non possiamo permetterci che un’espe-rienza, conosciuta in tutta Italia, visitata, sostenuta ed apprezzatada migliaia di persone muoia per fare spazio ad un doposcuolalegato alle attività della parrocchia. Non solo Le Balate deve vi-vere, ma dovrebbe diventare il capofila di una rete di bibliotecheche la città di Palermo offra ai suoi cittadini”. Ma fino ad ogginessuno degli illustri destinatari cui ci eravamo rivolte perché leLe Balate diventassero una struttura pubblica, nel quadro di unProgetto complessivo di Biblioteche di pubblica lettura, hapreso in considerazione la nostra idea. Nel frattempo, per unaserie di avvenimenti poco gradevoli, la nostra Biblioteca dei Ra-gazzi di fatto non esiste più.

24 mezzocielo n° 154 inverno 2017

Le brutte parolePaola Pintacuda

Ho accolto con curiosità e fascinazione la nascita sul web di twitter, un social che chiedeva di esprimersi in 140 caratteri: un eser-cizio di stile e di sintesi, pensavo. Considerata la grande diffusione dei Social non era difficile immaginare l’influenza che avrebbeavuto sul linguaggio. Si sarebbe perso ogni retaggio di verbosità e il politichese sarebbe scomparso in favore di una espressivitàpiù chiara, diretta ed efficace. Finché non ci fu quel famigerato Vaffanculo day che si fece un baffo dell’eufemismo delle BrutteParole (Nora Galli de’ Paratesi, Le brutte parole: semantica dell’eufemismo), che pure non era solo mera ipocrisia ma anche rispettoper le altrui sensibilità e lasciava un margine per il confronto dialettico e l’argomentazione. È accaduto che il linguaggio delle brutte parole è andato ad innestarsi con le forme più volgari dei dibattiti televisivi condotticome corride, in cui vincitore è chi grida più forte, dove viene stimolata la rissa tra i partecipanti e chi urla capra, capra, capra èconsiderato il più intelligente. Sul confronto è prevalso l’insulto e la parolaccia. Mi ha impressionato nella campagna elettoraleamericana lo spot del Clintoniano De Niro che dava del maiale e del bastardo a Trump, concludendo che lo avrebbe voluto pren-dere a pugni in faccia. In Italia sono stati usati toni simili nella recente campagna referendaria. Se si pone come vero l’assioma secondo il quale il linguaggio e il pensiero si integrano in un rapporto di reciproco influenzamentodivenendo interdipendenti, bisogna dunque dedurre e non sottovalutare il peso che ha sul pensiero il linguaggio del “vaffanculo”dell’”impiccateli” dell’insulto e dell’aggressione verbale.Si va affermando un manicheismo (o con me o contro di me), che impoverisce e annienta con il linguaggio ogni confronto demo-cratico delle opinioni. In questo decadimento espressivo trovo l’insidia di una deriva fondamentalista che mi sembra molto peri-colosa. Non è un fastidio estetico del linguaggio aggressivo che mi turba e mi preoccupa, ma proprio l’influenza che questolinguaggio ha sul pensiero, sui comportamenti e sulle relazioni sociali. Caduto il tabù della parolaccia, le parole finiscono per diventare pietre da lanciare all’avversario e non strumento di dialogo. Sistimola nell’altro una reazione istintiva e si genera una realtà in cui ciascuno eleva il proprio livello di assertività aggressivarendendo sempre più esangue lo sviluppo delle idee e del pensiero critico.

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21 / 29 GENNAIO

MACBETH

19 / 28 FEBBRAIO

NORMA

19 MARZO / 1 APRILE

LA TRAVIATA

31 MARZO / 2 APRILE

TOSCA

11 / 15 APRILE

TRITTICO CONTEMPORANEO Coreografie Jiri Kylian, Johan Inger e Matteo LevaggiMusiche di Michael Nyman, Wolfgang Amadeus Mozart, Maurice Ravel, Arvo Pärt | Direttore Alessandro Cadario

27 / 28 APRILEJohann Sebastian Bach

PASSIONE SECONDO GIOVANNIVersione in forma scenicaDirettore Ignazio Maria Schifani | Regia Pippo Delbono

26 MAGGIO / 1 GIUGNOJules Massenet

WERTHER Direttore Omer Meir Wellber | Regia Giorgia Guerra

16 / 19 LUGLIO - TEATRO DI VERDURAAdolphe-Charles Adam

GISELLERicardo Nunez | Direttore Alexei Baklan

19 / 27 SETTEMBREBenjamin Britten

A MIDSUMMER NIGHT’S DREAMPrima esecuzione a PalermoDirettore Daniel Cohen | Regia e scene Paul Curran

13 / 22 OTTOBREFrancesco Cilea

ADRIANA LECOUVREURDirettore Daniel Oren | Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti

3 / 4 NOVEMBRESalvatore Sciarrino

SUPERFLUMINAOmaggio a Salvatore Sciarrino in occasione dei suoi 70 anni Direttore Tito Ceccherini | Regia Rafael Villalobos

10 NOVEMBRE

#MADREINCERTAPrima rappresentazione assolutaRegia, testo e drammaturgia di Marco PaoliniMusiche di Mauro MontalbettiDirettore e violoncello solista Mario Brunello

23 / 30 NOVEMBREGioachino Rossini

L’ITALIANA IN ALGERIDirettore Paolo Carignani | Regia Maurizio Scaparro

17 / 28 DICEMBRE

LA BELLA ADDORMENTATACoreografia Matteo Levaggi | Direttore Farhad Mahani

OPERE E BALLETTI

PERE E BO

PERE E B

ALLETTIPERE E B

ALLETTI

MACB

MARM

21 / 29 GENNAIOd errdi Giuseppe V Ver

ETHACBMeettorDir Gabriele Ferr

19 / 28 FEBBRAIOincenzo Bellini V

AMNORttDi Gabriele Ferr

21 / 29 GENNAIOdi

ETHo | Gabriele Ferr Regia Emma Dante

19 / 28 FEBBRAIOincenzo Bellini

Ao | Gabriele Ferr Regia Luigi Di Gangi, Ugo Giacomazzi

Emma Dante

Luigi Di Gangi, Ugo Giacomazzi

16 / 19 LUGLIO - TEAAdolphe-Charles Adam

GISELLE

19 / 27 SETTEMBREBenjamin Britten

A MIDSUNI

TRO 6 / 19 LUGLIO - TEA ATRO DI VERDURAAdolphe-Charles Adam

GISELLEdo Nunez | Ricar

19 / 27 SETTEMBREBenjamin Britten

MMEA MIDSU UMMERREAS D’GHTNI

TRO DI VERDURA

do Nunez | eettorreDirrettor Alexei Baklan

MMERMAAM

LA TRA

eettorreDirrettor Gabriele Ferr

19 MARZO / 1 APRILEd errdi Giuseppe V Ver

VA TRA AVIALIn occasione della tour

eettorreDirrettor Giacomo Sagripanti, Francesco Ivan Ciampa (30.3 – 1.4)Regia Mario Pontiggia

31 MARZO / 2 APRILE

TA

o | Gabriele Ferr Regia Luigi Di Gangi, Ugo Giacomazzi

19 MARZO / 1 APRILEdi

ATVIAATnée in GiapponeIn occasione della tour

Giacomo Sagripanti, Francesco Ivan Ciampa (30.3 – 1.4) Mario Pontiggia

31 MARZO / 2 APRILE

Luigi Di Gangi, Ugo Giacomazzi

Giacomo Sagripanti, Francesco Ivan Ciampa (30.3 – 1.4)

NIPrima esecuzione a PalermoDir

13 / 22 OTTOBREFrancesco Cilea

ADDir

3 / 4 NOVEMBRE

REAS D’GHTNIPrima esecuzione a Palermo

eettorDir Daniel Cohen | Regia e scene

13 / 22 OTTOBREFrancesco Cilea

RIANA LECOUVREURADeettorreDirrettor en | Daniel Or ren | Regia, scene e costumi

3 / 4 NOVEMBRE

AMMAPrima esecuzione a Palermo

Regia e scene Paul Curran

RIANA LECOUVREURRegia, scene e costumi Ivan Stefanutti

Paul Curran

Ivan Stefanutti

Giacomo Puccini

AOSCCATIn occasione della tour

eettorDir Gianluca Martinenghi |

11 / 15 APRILE

CO COTRITTIeografieCor Jiri Kylian, Johan Inger e Matteo Levaggi

Musiche di Michael Nyman, WMaurice Ravel, Arvo Pärt |

Giacomo Puccini

née in GiapponeIn occasione della tour Gianluca Martinenghi | Regia

11 / 15 APRILE

NTEMPOCO CO Jiri Kylian, Johan Inger e Matteo Levaggi

olfgang Amadeus Mozart, Michael Nyman, WMaurice Ravel, Arvo Pärt | ettorDir Alessandr

Mario Pontiggia

RANEONTEMPO Jiri Kylian, Johan Inger e Matteo Levaggi

olfgang Amadeus Mozart,o Cadario Alessandr

3 / 4 NOVEMBRESalvator

SUPERFLOmaggio a SalvatorDir

10 NOVEMBRE

#MPrima rapprRegia, testo e drammatur

MAD

3 / 4 NOVEMBREe Sciarrino Salvator

MINUUMINASUPERFLLUe Sciarrino Omaggio a Salvator re Sciarrino in occasione dei suoi 70 anni

eettorDir Tito Ceccherini |

10 NOVEMBRE

CERREINAD#Mesentazione assolutaPrima rappr

gi Regia, testo e drammatur rgia di

TA

MINAe Sciarrino in occasione dei suoi 70 anni

Regia illalobos Rafael V

ATERRTesentazione assoluta

gia di co Paolini Mar

e Sciarrino in occasione dei suoi 70 anni

ASSI

Maurice Ravel, Arvo Pärt |

27 / 28 APRILEJohann Sebastian Bach

N OONE SECOSSIOAPPAersione in for VVersione in forma scenica

eettorDir Ignazio Maria Schifani |

26 MAGGIO / 1 GIUGNOJules Massenet

Maurice Ravel, Arvo Pärt | eettorDir Alessandr

27 / 28 APRILEJohann Sebastian Bach

NDO GNE SECO ONDO GIersione in forma scenica

Ignazio Maria Schifani | Regia

26 MAGGIO / 1 GIUGNOJules Massenet

o Cadario Alessandr

ANNIOVVANNI GI ORegia Pippo Delbono

Regia, testo e drammaturMusiche diDir

23 / 30 NOVEMBREGioachino Rossini

LDir

17 / 28 DICEMBRE

TALIANA IN AL

gi Regia, testo e drammatur rgia diMusiche di o Montalbetti Maur

e e violoncello solistaettorre e violoncello solistaDirrettor

23 / 30 NOVEMBREGioachino Rossini

ALIANA IN AL’ITLL’ITe ettorDir Paolo Carignani |

17 / 28 DICEMBRE

gia di co Paolini Maro Montalbetti

e e violoncello solista Mario Brunello

GERI N AL GPaolo Carignani | Regia Maurizio Scaparr

o

RTHERTHWEReettorDir Omer Meir W

o, Corchestra, CorOrr Corpo di ballo e T

THERellber | Omer Meir W Regia Giorgia Guerra

o di voci bianche,o, Coro Massimoeatrecnici del T Teatr e T Tecnici del T

Giorgia Guerra LCor

o Massimo

LA ADLA B DOA ADELLA BLeografia Correografia Matteo Levaggi |

TATA ATAATRMENTDOMatteo Levaggi | e ettorre Dirrettor Farhad Mahani

AFarhad Mahani

Call center 091 84.86.000

eaBiglietteria del T Teatrteatr

Call center 091 84.86.000 (tutti i gior

o Massimo / atrro Massimo / ni dalle 9.30 alle 18.00utti i giorTTutti i gioromassimo.itteatr

ni dalle 9.00 alle 20.00)(tutti i gior

ni dalle 9.30 alle 18.00

d i - 9 0 1 3 8 P a l e r m oe rP i a z z a V

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d i - 9 0 1 3 8 P a l e r m o

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Ulisse tra noiNicola Cipolla*

Odisseo arriving alone, è stata una iniziativa corale proposta dalla scuola d’italiano per stranieri dell’Università di Palermo (ItaStra).Si è pensato, ed è risultato vero, che la storia di Ulisse potesse essere accostata all’esperienza di ogni clandestino approdato sullenostre coste. Da questa idea è nato un laboratorio che, attraverso un percorso maieutico che ha utilizzato lettura, disegno, cantoe recitazione, ha aiutato i minori a raccontare e a raccontarsi. L’esperienza aveva una duplice finalità: la prima il desiderio digiocare con le due espressioni artistico-grafica e drammatica, l’altra di scoprire le storie e le emozioni dei migranti in modo traslato,attraverso la sovrapposizione tra il loro viaggio e quello di Odisseo. I testi selezionati sono stati vari ed hanno cercato di colmarel’intero viaggio di Odisseo attraverso otto episodi: Kalipso, Nausica, Alcinoo, Polifemo, Il regno dei morti, Le sirene, e Il ritorno adItaca. Si è pensato che la stessa storia di Ulisse potesse essere accostata alla storia dei clandestini che, come naufraghi o viaggiatoriobbligati approdano sulle nostre coste, motivati ad ottenere un ruolo nella società: da qui il titolo Odisseo arriving alone. Unaparticolarità è stata aver tradotto singoli brani dell’Odissea sia in inglese sia nelle lingue africane, organizzando poi letture collettive.È sembrato un fatto curioso e strano, in una scuola d’italiano per stranieri, fare tradurre l’Odissea in lingue africane. Ma traducendobrani tratti dall’Odissea nelle loro lingue madri (wolf, bambara, pular, arabo-egiziano, bangka) gli immigrati hanno avuto l’oppor-tunità di familiarizzare col testo omerico e la lingua italiana; noi – insegnanti e volontari – abbiamo scoperto nuove lingue e nuovialfabeti. Alla narrazione è stato accostato un lavoro grafico. Sono stati distribuiti matite colorate e carboncini, sollecitando l’emer-gere di ricordi. Ad esempio: dopo che era stato recitato nelle lingue madri l’episodio di Ulisse agli inferi, si è chiesto ai partecipantidi disegnare una persona cara defunta, che, con uno sforzo di immaginazione, poteva apparire loro nella mente. Si è così creatoun caleidoscopio di lingue, un reticolato di ricordi e desideri: un’opera d’arte collettiva. Il laboratorio è stato realizzato in collaborazione con l’associazione “Nuvole incontri d’arte”; due artisti, Gaetano Cipolla e IgorScalisi Palminteri, hanno vissuto tutta l’esperienza; poi, con l’aiuto dei manufatti e disegni dei migranti, hanno realizzato le loroopere. Il fotografo Antonio Gervasi ha realizzato numerosi ritratti. Il lavoro, durato tutta l’estate, si è concluso a dicembre conuna mostra collettiva, la presentazione di un libro di racconti, uno spettacolo. Un libro, stampato dall’Università, raccoglie tuttii materiali creati ed è reperibile presso Nuvole (tel. 091 78321299), ItaStra (tel. 091 23869601) e nelle librerie cittadine.

*Collaboratore volontario del gruppo di lavoro “Narrazione e racconti della lunga distanza”

Fotografie di Antonio Gervasi, 2016

Ulisse tra noiNicola Cipolla*

Odisseo arriving alone, è stata una iniziativa corale proposta dalla scuola d’italiano per stranieri dell’Università di Palermo (ItaStra).Si è pensato, ed è risultato vero, che la storia di Ulisse potesse essere accostata all’esperienza di ogni clandestino approdato sullenostre coste. Da questa idea è nato un laboratorio che, attraverso un percorso maieutico che ha utilizzato lettura, disegno, cantoe recitazione, ha aiutato i minori a raccontare e a raccontarsi. L’esperienza aveva una duplice finalità: la prima il desiderio digiocare con le due espressioni artistico-grafica e drammatica, l’altra di scoprire le storie e le emozioni dei migranti in modo traslato,attraverso la sovrapposizione tra il loro viaggio e quello di Odisseo. I testi selezionati sono stati vari ed hanno cercato di colmarel’intero viaggio di Odisseo attraverso otto episodi: Kalipso, Nausica, Alcinoo, Polifemo, Il regno dei morti, Le sirene, e Il ritorno adItaca. Si è pensato che la stessa storia di Ulisse potesse essere accostata alla storia dei clandestini che, come naufraghi o viaggiatoriobbligati approdano sulle nostre coste, motivati ad ottenere un ruolo nella società: da qui il titolo Odisseo arriving alone. Unaparticolarità è stata aver tradotto singoli brani dell’Odissea sia in inglese sia nelle lingue africane, organizzando poi letture collettive.È sembrato un fatto curioso e strano, in una scuola d’italiano per stranieri, fare tradurre l’Odissea in lingue africane. Ma traducendobrani tratti dall’Odissea nelle loro lingue madri (wolf, bambara, pular, arabo-egiziano, bangka) gli immigrati hanno avuto l’oppor-tunità di familiarizzare col testo omerico e la lingua italiana; noi – insegnanti e volontari – abbiamo scoperto nuove lingue e nuovialfabeti. Alla narrazione è stato accostato un lavoro grafico. Sono stati distribuiti matite colorate e carboncini, sollecitando l’emer-gere di ricordi. Ad esempio: dopo che era stato recitato nelle lingue madri l’episodio di Ulisse agli inferi, si è chiesto ai partecipantidi disegnare una persona cara defunta, che, con uno sforzo di immaginazione, poteva apparire loro nella mente. Si è così creatoun caleidoscopio di lingue, un reticolato di ricordi e desideri: un’opera d’arte collettiva. Il laboratorio è stato realizzato in collaborazione con l’associazione “Nuvole incontri d’arte”; due artisti, Gaetano Cipolla e IgorScalisi Palminteri, hanno vissuto tutta l’esperienza; poi, con l’aiuto dei manufatti e disegni dei migranti, hanno realizzato le loroopere. Il fotografo Antonio Gervasi ha realizzato numerosi ritratti. Il lavoro, durato tutta l’estate, si è concluso a dicembre conuna mostra collettiva, la presentazione di un libro di racconti, uno spettacolo. Un libro, stampato dall’Università, raccoglie tuttii materiali creati ed è reperibile presso Nuvole (tel. 091 78321299), ItaStra (tel. 091 23869601) e nelle librerie cittadine.

*Collaboratore volontario del gruppo di lavoro “Narrazione e racconti della lunga distanza”

Ulisse tra noiNicola Cipolla*

Odisseo arriving alone, è stata una iniziativa corale proposta dalla scuola d’italiano per stranieri dell’Università di Palermo (ItaStra).Si è pensato, ed è risultato vero, che la storia di Ulisse potesse essere accostata all’esperienza di ogni clandestino approdato sullenostre coste. Da questa idea è nato un laboratorio che, attraverso un percorso maieutico che ha utilizzato lettura, disegno, cantoe recitazione, ha aiutato i minori a raccontare e a raccontarsi. L’esperienza aveva una duplice finalità: la prima il desiderio digiocare con le due espressioni artistico-grafica e drammatica, l’altra di scoprire le storie e le emozioni dei migranti in modo traslato,attraverso la sovrapposizione tra il loro viaggio e quello di Odisseo. I testi selezionati sono stati vari ed hanno cercato di colmarel’intero viaggio di Odisseo attraverso otto episodi: Kalipso, Nausica, Alcinoo, Polifemo, Il regno dei morti, Le sirene, e Il ritorno adItaca. Si è pensato che la stessa storia di Ulisse potesse essere accostata alla storia dei clandestini che, come naufraghi o viaggiatoriobbligati approdano sulle nostre coste, motivati ad ottenere un ruolo nella società: da qui il titolo Odisseo arriving alone. Unaparticolarità è stata aver tradotto singoli brani dell’Odissea sia in inglese sia nelle lingue africane, organizzando poi letture collettive.È sembrato un fatto curioso e strano, in una scuola d’italiano per stranieri, fare tradurre l’Odissea in lingue africane. Ma traducendobrani tratti dall’Odissea nelle loro lingue madri (wolf, bambara, pular, arabo-egiziano, bangka) gli immigrati hanno avuto l’oppor-tunità di familiarizzare col testo omerico e la lingua italiana; noi – insegnanti e volontari – abbiamo scoperto nuove lingue e nuovialfabeti. Alla narrazione è stato accostato un lavoro grafico. Sono stati distribuiti matite colorate e carboncini, sollecitando l’emer-gere di ricordi. Ad esempio: dopo che era stato recitato nelle lingue madri l’episodio di Ulisse agli inferi, si è chiesto ai partecipantidi disegnare una persona cara defunta, che, con uno sforzo di immaginazione, poteva apparire loro nella mente. Si è così creatoun caleidoscopio di lingue, un reticolato di ricordi e desideri: un’opera d’arte collettiva. Il laboratorio è stato realizzato in collaborazione con l’associazione “Nuvole incontri d’arte”; due artisti, Gaetano Cipolla e IgorScalisi Palminteri, hanno vissuto tutta l’esperienza; poi, con l’aiuto dei manufatti e disegni dei migranti, hanno realizzato le loroopere. Il fotografo Antonio Gervasi ha realizzato numerosi ritratti. Il lavoro, durato tutta l’estate, si è concluso a dicembre conuna mostra collettiva, la presentazione di un libro di racconti, uno spettacolo. Un libro, stampato dall’Università, raccoglie tuttii materiali creati ed è reperibile presso Nuvole (tel. 091 78321299), ItaStra (tel. 091 23869601) e nelle librerie cittadine.

*Collaboratore volontario del gruppo di lavoro “Narrazione e racconti della lunga distanza”