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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIA DEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883 ANNO XXVI - N. 1 (143) - GENNAIO-MARZO 2002 SPEDIZIONE IN A.P. - COMMA 20/C ART. 2 - LEGGE 662/96 - FILIALE DI GORIZIA In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia 2002, Anno Internazionale delle Montagne Montagna: il mestiere di vivere di fatto l’ingovernabilità di certi fenome- ni. Resta da vedere fino a che punto la consapevolezza e l’onnipotenza tele- matica ci obbliga alla condivisione delle crisi nate (e morte) fuori cortile, per tro- varne rimedio. Dall’Internazionale delle Montagne ritorniamo ai nostri monticelli su cui vado cercando spunti, riflessioni. Col vostro aiuto forse ne verrò fuori onore- volmente: mi impegno a riorganizzare il vostro contributo, a tirarne eventual- mente il sugo e a farlo pubblicare se ne sortirà qualcosa di buono perlomeno a parole, visto che non vedo miglior esito per questi eventi internazionali molto spesso ritualizzati. Forse perciò sono il meno adatto a darne conto, ma lascia- temi riportare ancora una riflessione della CIPRA, consesso volontaristico internazionale per la protezione delle alpi: ricorda forse qualcuno di voi quale “anno internazionale” è stato il 2001 e cosa s’è fatto di quel proposito? Chi Sul colle di Lys (M. Rosa) al disastro politico, alla crisi e al disagio economico. Ecco la “Via della Seta” che diventa, dopo la lunga forzata vacanza, superstrada di traffici criminali: ecco l’e- marginazione e l’isolamento (da Isola) delle schegge dell’implosione della galassia sovietica. Grande sbornia e grande mal di testa globale quindi per un sacco di brava gente tra cui al solito andranno per aria gli stracci, i più debo- li. Scene già viste, con in più nel conto l’effetto moviola della potenza spaven- tosa e allo stesso tempo effimera del w.w.web (ragnatela) che oggidì ce le racconta “in tempo reale”, tacendo però le sue perverse interazioni col metaboli- smo mondiale. Riguardo i disastri socia- li resta però fermo il fatto già percepito da Hemingway in tempi meno telemati- ci: la campana che suona, suona per tutti. Anche se mettiamo i tappi alle orecchie, ho l’impressione che un con- certo di campane stia suonando in diversi teatri del mondo, testimoniando Avete fatto caso come tutti noi sei siamo “abitanti di montagna” o per lo meno ad essa contigui? Ecco l’idea: mi hanno chiesto di preparare per Alpinismo Goriziano un editoriale into- nato all’Anno Internazionale delle Montagne, evento in corso. L’anno, come alcuni di voi sanno bene, è stato proclamato dall’ONU nell’intento di far emergere in giusta luce la condizione “montagna” nel contesto attuale. La richiesta viene dal Kirghizistan, repub- blica ex sovietica, montuosa quanto dif- ficilmente possiamo immaginare e popolata da quasi cinque milioni di abi- tanti (meno di 25 per Kmq), ognuno dei quali ha aspettative di vita del 20% infe- riori alle nostre. Non è difficile credere come i primi passi per questa iniziativa risalgano al 1995 perché l’agenda dell’ONU deve essere piuttosto fitta di priorità alquanto confuse e precarie. Pensate all’Eurasia nel ’95, un altro secolo e la solita Storia: G radisca, gennaio. Cari amici purtroppo lontani, scrivo que- sta lettera in fotocopia perché dovrò chiedere a tutti voi cin- que la stessa cosa: sto pensando che il 31 dicembre passato avrei potuto sce- gliere l’accompagnamento alla pensio- ne con un po’ di mobilità, basta lavorà e sempre a spasso. Vi verrei a trovare quando mi pare e a quest’ora sarei pro- babilmente a letto con l’influenza per- ché ad andar in giro con ‘ste brinate .... no, meglio stare comodi al calduccio e pilotare ancora un po’ questa scrivania! Per vederci bisognerà fare il conto delle ferie, presto sarà primavera e dopo un poco la Bella (speriamo) Stagione: consultate il nostro libriccino di gite sociali e chissà se a volte si potrà combinare un “summit” del quarto tipo. Alcuni di voi mi hanno conosciuto a Pian di Loa in un evento del terzo gene- re, l’improvvisata. Per quarto tipo inten- do l’appuntamento in cima, ne ho già combinato qualcuno che è sempre riu- scito alla grande: ci vediamo allora a metà strada, quando noi tenteremo le Alpi Centrali, in cima verso le tredici ora estiva. E’ questo il mio modo di pensare positivo: agli amici si può chiedere molto, sicuri di una sintonia spontanea e istintiva, la stessa che fa dire a Sc’veik, notissimo antieroe di Hasek, “ci vediamo nella solita osteria alle nove, dopo la guerra”. Quella mondiale del ‘14 beninteso, quando si poteva ancora sperare in un dopo. La sto prendendo larga solo per poter osservare a vostra edificazione che oggi l’Europa vive i suoi tempi migliori, ma che non dobbiamo dimen- ticare come il suo suolo sia disseminato di tumuli di morti “malamente”, più di quello di altre terre oggi sfortunate. Dopo questo omaggio all’Euro in forma di auspicio di pace, eccomi all’i- deuzza che mi tormenta e che devo appoggiare alla supplica che vi rivolgerò tra poco. Se la esaudirete, vi toccherà indagare per mio conto il vostro passa- to e forse potremo, parlandone, costrui- re con esso un ipotetico futuro migliore. Speculazione piuttosto inutile perché l’avvenire è notoriamente custodito sulle ginocchia di Giove (ma potrebbe esser peggio), comunque meno ridicola di altre che oggi vanno per la maggiore … che ne so … dei provvedimenti anti- smog di questi giorni. Ricordo il più con- creto sentito finora: speriamo che piova! GR1 del 21 gennaio.

Montagna:ilmestieredivivere - CAI sezione di Gorizia · montagnadove,anchesenonprega,di solitosisvagaunamezzadomenica senzafarmaleanessuno.Poihopen- ... contrabbando proprio oltre

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIADEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883

ANNO XXVI - N. 1 (143) - GENNAIO-MARZO 2002

SPEDIZIONE IN A.P. - COMMA 20/C ART. 2 - LEGGE 662/96 - FILIALE DI GORIZIA

In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia

2002, Anno Internazionale delle Montagne

Montagna: il mestiere di vivere

di fatto l’ingovernabilità di certi fenome-ni. Resta da vedere fino a che punto laconsapevolezza e l’onnipotenza tele-matica ci obbliga alla condivisione dellecrisi nate (e morte) fuori cortile, per tro-varne rimedio.

Dall’Internazionale delle Montagneritorniamo ai nostri monticelli su cuivado cercando spunti, riflessioni. Colvostro aiuto forse ne verrò fuori onore-volmente: mi impegno a riorganizzare ilvostro contributo, a tirarne eventual-mente il sugo e a farlo pubblicare se nesortirà qualcosa di buono perlomeno aparole, visto che non vedo miglior esitoper questi eventi internazionali moltospesso ritualizzati. Forse perciò sono ilmeno adatto a darne conto, ma lascia-temi riportare ancora una riflessionedella CIPRA, consesso volontaristicointernazionale per la protezione dellealpi: ricorda forse qualcuno di voi quale“anno internazionale” è stato il 2001 ecosa s’è fatto di quel proposito? Chi

Sul colle di Lys (M. Rosa)

al disastro politico, alla crisi e al disagioeconomico. Ecco la “Via della Seta” chediventa, dopo la lunga forzata vacanza,superstrada di traffici criminali: ecco l’e-marginazione e l’isolamento (da Isola)delle schegge dell’implosione dellagalassia sovietica. Grande sbornia egrande mal di testa globale quindi perun sacco di brava gente tra cui al solitoandranno per aria gli stracci, i più debo-li. Scene già viste, con in più nel contol’effetto moviola della potenza spaven-tosa e allo stesso tempo effimera delw.w.web (ragnatela) che oggidì ce leracconta “in tempo reale”, tacendo peròle sue perverse interazioni col metaboli-smo mondiale. Riguardo i disastri socia-li resta però fermo il fatto già percepitoda Hemingway in tempi meno telemati-ci: la campana che suona, suona pertutti. Anche se mettiamo i tappi alleorecchie, ho l’impressione che un con-certo di campane stia suonando indiversi teatri del mondo, testimoniando

Avete fatto caso come tutti noi seisiamo “abitanti di montagna” o per lomeno ad essa contigui? Ecco l’idea: mihanno chiesto di preparare perAlpinismo Goriziano un editoriale into-nato all’Anno Internazionale delleMontagne, evento in corso. L’anno,come alcuni di voi sanno bene, è statoproclamato dall’ONU nell’intento di faremergere in giusta luce la condizione“montagna” nel contesto attuale. Larichiesta viene dal Kirghizistan, repub-blica ex sovietica, montuosa quanto dif-ficilmente possiamo immaginare epopolata da quasi cinque milioni di abi-tanti (meno di 25 per Kmq), ognuno deiquali ha aspettative di vita del 20% infe-riori alle nostre.

Non è difficile credere come i primipassi per questa iniziativa risalgano al1995 perché l’agenda dell’ONU deveessere piuttosto fitta di priorità alquantoconfuse e precarie. Pensate all’Eurasianel ’95, un altro secolo e la solita Storia:

G radisca, gennaio. Cari amicipurtroppo lontani, scrivo que-sta lettera in fotocopia perchédovrò chiedere a tutti voi cin-

que la stessa cosa: sto pensando che il31 dicembre passato avrei potuto sce-gliere l’accompagnamento alla pensio-ne con un po’ di mobilità, basta lavorà esempre a spasso. Vi verrei a trovarequando mi pare e a quest’ora sarei pro-babilmente a letto con l’influenza per-ché ad andar in giro con ‘ste brinate ....no, meglio stare comodi al calduccio epilotare ancora un po’ questa scrivania!

Per vederci bisognerà fare il contodelle ferie, presto sarà primavera edopo un poco la Bella (speriamo)Stagione: consultate il nostro libriccinodi gite sociali e chissà se a volte si potràcombinare un “summit” del quarto tipo.Alcuni di voi mi hanno conosciuto aPian di Loa in un evento del terzo gene-re, l’improvvisata. Per quarto tipo inten-do l’appuntamento in cima, ne ho giàcombinato qualcuno che è sempre riu-scito alla grande: ci vediamo allora ametà strada, quando noi tenteremo leAlpi Centrali, in cima verso le tredici oraestiva.

E’ questo il mio modo di pensarepositivo: agli amici si può chiederemolto, sicuri di una sintonia spontaneae istintiva, la stessa che fa dire aSc’veik, notissimo antieroe di Hasek, “civediamo nella solita osteria alle nove,dopo la guerra”. Quella mondiale del ‘14beninteso, quando si poteva ancorasperare in un dopo.

La sto prendendo larga solo perpoter osservare a vostra edificazioneche oggi l’Europa vive i suoi tempimigliori, ma che non dobbiamo dimen-ticare come il suo suolo sia disseminatodi tumuli di morti “malamente”, più diquello di altre terre oggi sfortunate.

Dopo questo omaggio all’Euro informa di auspicio di pace, eccomi all’i-deuzza che mi tormenta e che devoappoggiare alla supplica che vi rivolgeròtra poco. Se la esaudirete, vi toccheràindagare per mio conto il vostro passa-to e forse potremo, parlandone, costrui-re con esso un ipotetico futuro migliore.Speculazione piuttosto inutile perchél’avvenire è notoriamente custodito sulleginocchia di Giove (ma potrebbe esserpeggio), comunque meno ridicola dialtre che oggi vanno per la maggiore …che ne so … dei provvedimenti anti-smog di questi giorni. Ricordo il più con-creto sentito finora: speriamo che piova!GR1 del 21 gennaio.

2 Alpinismo goriziano - 1/2002

risponde giusto non vince nulla, fa solobella figura.

Tanto varrebbe star zitti e gustarsitre o quattro congressi ad hoc, se nonfosse oltremodo seccante che, comesta avvenendo, l’Anno Internazionaledelle Montagne e la “solidarietà” ricer-cata dai Kirghizi si perdano nel polvero-ne che è stato qui imbastito sui poli scii-stici, ammanniti come estremo rimedioalla crisi della montagna. Rischio ormaidi sembrare un fissato perché ogni voltache si parla di crisi alpina me la pigliocoi promotori dello sci alle nostre quote,a sud delle Alpi e in questa fase clima-tica. Vorrei poter esser smentito daalmeno un bilancio negli ultimi diecianni, ma la lingua batte dove il denteduole e così duole al Friuli KirghiziaGiulia, in cui una buona iniziativapotrebbe essere tra non molto il finan-ziamento del recupero ambientale dellearee funestate dalla pesante e vanalogistica sciatoria, fermo restando chedisponendo di un ambiente naturale orinaturalizzato, per la verità bellino, poibisogna anche sapere che farne.

Uno spunto fenomenale mi arrivada un frate (“Eremita dell’Infernaccio.Monti Sibillini”- non è un indirizzo e-mail; meglio mandare cartoline che, rag-giunto il mezzo chilo, vengono, pare,recapitate). A qualche milione di tele-spettatori incantati sui panorami deiSibillini e di conseguenza poco attentialla voce fuori campo, l’eremita ha spie-gato con semplicità che la montagnanon è un mezzo per fare soldi e guada-gnarci su (GEO§GEO, 9/01/02: all’incir-ca).

Davanti all’ennesima definizione dicosa non è la montagna sono rimastosecco, poi ho pensato ad essa comesacro simbolo e fonte (l’acqua!) dellavita, quindi a un’espressione forte ecoerente verso un’etica condivisa daquasi tutte le grandi religioni, da cui sisentono esenti solo i piazzisti di funiviee i loro compari.

Non so che ne pensi l’ONU, ma ladirei obbligatoria per un frate e per unsocio del CAI, per lo meno quello tra ifamosi trecentomila che va spesso inmontagna dove, anche se non prega, disolito si svaga una mezza domenicasenza far male a nessuno. Poi ho pen-sato che proprio qui cominciano i guaiper il Kirghizistan esteso ad internazio-nale delle montagne, inteso comeluogo socioeconomicamente parados-sale.

A titolo d’esempio per un disagioche pur ben conoscete, mi spiego pro-pinandovi una storia con la “s” piccola:ho vissuto per un bel po’ (e per il perio-do più bello finora della mia vita) tra imonti, in un paese di trecento anime,sette osterie, bei boschi e molte gitepossibili. In quei miei Anni Assoluti sulleMontagne esercitavo un lavoro soddi-sfacente, come spero di voi, tale daconsentirmi di pilotare una piccola fami-glia in mezzo alle bufere dell’esistenza(e qualche volta nevicava di brutto). Adun certo momento, per spalancare leporte della cosiddetta vita al mio unicoerede, feci fagotto e mi trasferii a Valle.

Esiste suppongo anche chi non puòo non vuole farlo, e questo è più inte-ressante del finale della storiella che tral’altro comporterebbe il “trasferimentodi dati sensibili” circa il pargolo oggimaggiorenne. Posso però, senza pauradi prenderle, lavorare sulle ipotesi: fos-simo rimasti al paesello, quale futuroper lui?

Con roseo ottimismo e in clamorosacontraddizione col frate, a mo’ dimetafora paterna verso una metaforicastirpe, immagino un giovane e fascino-so brigante, un passeur, completo dicaverna colma d’oro sotto il Nebria.Oppure un capo malgaro col contributodel Parco, o un carabiniere (ma con gliocchiali non si può). Di più, di meglio,non trovo.

Ometti della Vetta Bella (m. 1900) e Forcella degli Ometti (m. 1840)

Vi tratteggio cioè un’Alpe popolatada una rarefatta monocultura di maestrie maestre di sci col doppio lavoro,ispettori forestali e guardia parco(impiego riservato ai portatori di handi-cap), tutti incollati a una montagnadisertata dalle “bruno alpine”, mesta-mente dirette allo zoo.

Cedo volentieri all’ironia e quindiditemi se sbaglio. Quel che vedo è inol-tre segno che il 1995 (Anno Europeodell’Ambiente) è passato invano sulleAlpi almeno per quanto attiene la difesadella biodiversità, come volevasi dimo-strare circa gli “anni emblematici”.

In quei miei anni di attiva intrusionein una comunità di montanari non hopotuto fare a meno di notare che i“veri”, quelli che con la terra avevanolegami più forti del mio giocoso alpini-smo, raramente uscivano dal bosco, dicui sapevano però ogni ramo: ho vistoanche che non si sognavano nemmenodi passare le domeniche tra i bricchi, se

non per tirar giù dalle spese qualchecamoscio.

Aggiungo allora alle minori opportu-nità tre altre condizioni caratteristiche:possesso, cultura, indole. Quel che valeper il frate, non vale cioè per il laico: eglici indica cosa in senso assoluto nondeve essere la vita se vogliamo salvare“l’anima”, ma nell’attuale contestosociale bisogna purtroppo coniugare ilsenso etico nelle quattro declinazionisuddette.

Rispetto altri piatti contesti, tra imonti in più si deve poter superare conqualche trovata da ONU lo stramaledet-to cortocircuito mercantile che condan-na i territori alpini alla emarginazione inquanto costituiti da terre oramai inde-centemente sfruttate, tecnicamenteimproduttive e parassitarie: quasi comegli impianti da sci.

Vista la premessa non sta a me ela-borare concetti: tocca a voi spiegarecosa avvicina e cosa allontana dalle

montagne, come esse siano state finorasconciamente sfruttate a vantaggiodello sviluppo nazionale, tocca all’ONUo chi per essa capirlo e poi provare aspiegarlo ai Kirghizi di tutte le montagnedella Terra, prima che si facciano frega-re. Davanti a una bella polenta proget-tiamo la riscossa dell’Alpe!

Ecco tutto: vedo ora che il “perso-nal” mi ha preso la mano e che l’ideuz-za s’è quasi svolta da sé sola, per cuispedirò la lettera a un nuovo amico, lanostra Rivista goriziana. Come avetenotato, è un amico che registra a voltecadute di stile in cui l’arroganza copreargomentazioni improbabili, ma servo-no buoni soggetti e buon materiale persuperare vuote polemiche, quindi date-ci sotto.

Ciao, proseguo a parte con una pagi-na personalizzata per ciascuno, ho anco-ra due parole da dirvi, ma sottovoce.

Con affetto, Giorgio Caporal

Alpinismo goriziano - 1/2002 3

Il ghiacciaio della Pasterze (Großglockner)

Altri animali di altre montagne / 2

Leopardo delle nevi: l’inafferrabiledi BRUNO D’UDINE

U na recente mostra al BritishMuseum di Londra ripropone ifasti e le raffinatezze dell’epocadi Solimano il Magnifico, che

l’ambasciatore degli Asburgo alla suacorte descriveva così: «...ovunque il bril-lare dell’oro, dell’argento, della porporae satin... Uno spettacolo più bello non siera mai presentato ai miei occhi».

Tra i costumi esposti, un piccolocafetano, tessuto per uno dei figli, attiral’attenzione per l’inusuale distribuzionedegli elementi decorativi sul rosso dellaporpora. La decorazione è di una geo-metria essenziale, riproducendo in oroun modello di tre macchie tonde dispo-ste a distanze irregolari.

Le macchie riprendono un motivofavorito della cultura ottomana e sugge-riscono, nel loro astratto simbolismo, ilmodello delle macchie presenti sullapelliccia di un raro felino: il leopardodelle nevi (Panthera uncia), l’animalepreferito anche dagli eroi delle leggendepersiane che usualmente si adornanodel suo trofeo.

Una letteratura e una araldica raffi-nata ci ricordano uno dei felini più enig-matici e elusivi di questo pianeta. Unanimale sempre più raro e minacciato diestinzione nei suoi habitat naturali e cheda secoli stimola la fantasia di chi ha lafortuna di incontrarlo o di chi finirà con ilnon vederlo mai ma ne idealizza l’imma-gine di solitario abitatore di regioni inac-cessibili e desolate dell’Asia Centrale.

Il leopardo delle nevi vive a notevolialtezze al limite delle nevi perenni, tra iquattro e cinquemila metri, e il suo area-le si estende dall’Indu Kush inAfghanistan verso Est lungo la catenahimalayana, attraverso il Tibet, e a Nord-Est oltre il Pamir, il Tien Shan e l’Altaifino alle montagne Sayan, nelle vicinan-ze del lago Baikal. Di tutti questi luoghi illeopardo delle nevi è un abitante raro etimido. Non risulta che attacchi l’uomo,neanche quando si spinge ai limiti degliabitati nei momenti di scarsità di prede.

Un naturalista, Peter Pallas, lo avevadescritto e classificato, distinguendolodal leopardo comune, già nel 1779, masolo recentemente gli zoologi sono statiattratti da questo felino e hanno iniziatoa studiarne sistematicamente la vitasociale e le abitudini alimentari. Le sueprede più comuni sono il bharal, o caprablu, e l’ibex alpino.

Viene descritto come un animalecon pallidi occhi di ghiaccio e un mantodi una leggera sfumatura grigia, conmacchie nere, a rosetta, velate da unapelliccia spessa e folta.

Gli individui adulti in media pesanouna cinquantina di chili, sono lunghicirca un metro e ottanta, inclusa unalunga coda con un grosso ciuffo in cima,che usano per bilanciarsi nei balzi checompiono per avventarsi sulle prede.Queste possono essere anche tre voltepiù grandi, come i giovani yak che pesa-no qualche centinaio di chili.

Le zampe di questo felino sonomolto grandi, la testa è grossa, compat-ta e araldica, proprio come nelle icono-grafie dei leopardi delle leggende. Lagestazione nelle femmine varia tra inovantasei e i centocinque giorni,nascono in media da due a tre piccoliper volta e aprono gli occhi dopo circauna settimana.

Gli individui adulti sono essenzial-mente dei solitari e percorrono lunghe

distanze alla ricerca delle scarse prede.Il corpo è estremamente agile ed ele-gante; la pelliccia, di un pallido grigiomaculata di nero, li rende mimetici tra lerocce e le nevi dei loro habitat.

George Schaller, uno zoologo famo-so per il suo appassionato interesse perle specie minacciate di estinzione, si èoccupato sistematicamente di questofelino dall’inizio degli Anni 70. La suaprima ricerca fu condotta nella zona diChitral, nel Nord del Pakistan, vicino alfiume Kunar, al confine conl’Afghanistan. Accanto alla raccolta deidati naturalistici, il leopardo delle nevisembra esercitare su Schaller anche unsuo fascino profondo di animale quasimitologico.

Le descrizioni che ne dà nel suolibro Stones of silence vanno oltre la suapassione di zoologo. Scrive: «...il leopar-do delle nevi rappresentava per me nonsolo un raro e splendido felino che vole-vo studiare, ma anche il simbolo dellaricerca di qualcosa di intangibile chesembrava per sempre elusiva».

Continua: «...avendo visitato moltidei posti selvaggi o remoti della Terra,sono conscio che una natura che abbiaperso i suoi grandi predatori, siano essiil lupo, il leopardo delle nevi o altri,manca di un ingrediente essenziale.Posso percepire la differenza, c’è menovitalità, meno tensione essenziale». Igrandi predatori sembrano così essereper Schaller l’anima segreta della natura.

Dei forse duecentocinquanta esem-plari di leopardo delle nevi rimasti inPakistan, pochi verranno osservati davicino da Schaller nei suoi anni di lavoroin quelle valli remote, ma il legame versoquesti animali diviene via via più intenso.Annota: «...uno ha spesso empatia con

gli animali, ma raramente e inaspettata-mente raggiunge uno stato aldilà delsoggettivo quando d’improvviso ci sem-bra che si «veda oltre»; qui in questavalle innevata dell’Indu Kush ho perbrevi istanti raggiunto questo stato diintensa compartecipazione».

L’elusivo leopardo delle nevi torna aessere anche per l’esperto zoologo lacreatura magica evocata dai poeti per-siani, il leopardo delle nevi in cui il misti-co tibetano Milarepa si trasforma, perconfondere i suoi nemici, e raggiungereil Lachi-Kang (Monte Everest).

Mille anni prima di Milarepa un gran-de yogi, Drutob Senge Yeshe, arrivònella remota valle di Dolpo in Nepalcavalcando, alto nel cielo, un leopardodelle nevi per convertire al buddismo deimonaci allora seguaci della dottrina ani-mistica B’on-pos.

Il leopardo volante aiuterà Drutobanche a sconfiggere gli dei della monta-gna, creature a forma di serpenti, e siduplicherà in cento e otto leopardi dellenevi che proteggeranno per sempre queiluoghi. Una montagna li accanto diverrànota come la Montagna di Cristallo, unacima inviolata, massimo luogo di pelle-grinaggi e devozione del buddismo tibe-tano ancora oggi.

La valle di Dolpo non vedrà perònella sua storia solo mistici e monaci,diventerà in anni recenti luogo di affasci-nanti studi di etologi, tra cui l’ingleseJohn Crook, che è anche un orientalistae studioso Zen, attirati dall’antica comu-nità di monaci che ancora vi risiede ealleva un branco di capre blu nei pressidella gompa. Le capre blu sono stateappunto oggetto di studi come il poten-ziale progenitore comune di pecore ecapre.

A Dolpo, con un lungo e avventuro-so viaggio, è arrivato anche Schaller nel1976 assieme a un altro zoologo e con-servazionista americano, PeterMatthiesen, entrambi alla ricerca delletracce del leopardo delle nevi ma anchedi qualcosa di spiritualmente elusivo chealtri hanno percepito tra queste monta-gne. Le emozioni, le fatiche e le espe-rienze di questa ricerca sono descritteda Matthiesen in un indimenticabile libronaturalistico e di viaggio che si chiamaappunto The snow leopard.

Il successo del libro segnerà l’iniziodi una campagna per salvare dall’estin-zione questo felino con la costituzione divaste aree di rispetto dove, solitario,raro e quasi invisibile, questo animalelotta per non scomparire per sempre,minacciato dal bracconaggio e dall’alte-razione degli ecosistemi che lo sosten-gono.

A Dolpo, vicino al monastero dove imonaci allevano le capre blu, qualcheesemplare si farà avvicinare da Schallerche lo descrive: «...una testa grossa,araldica, con occhi di ghiaccio che rac-chiudevano un’immagine di immensasolitudine; ... l’animale resta silenzioso eimmobile, sembrando impervio agli ele-menti. Turbini di nubi gli roteano attornotrasformandolo in una creatura fantasti-ca, parte mito parte realtà».

Recentemente, con mezzi moderni,come i radio-collari, due zoologi ameri-cani sono andati in Nepal alcuni anni perstudiare a fondo la vita sociale e l’habi-tat del leopardo delle nevi. RodneyJackson e Darla Hillard si sono stabilitinella zona del fiume Langu e hannocompiuto un eccellente lavoro sistemati-co.

Hanno catturato, marcato, misuratoe pesato diversi esemplari a cui hannoapplicato i radio-collari che consentonodi seguirli nei loro spostamenti con latelemetria.

Il loro studio ha determinato i per-corsi di singoli animali, l’area di caccia,le abitudini, tutti elementi che potrannoaiutare i vari governi interessati a salva-re dall’estinzione in natura questa splen-dida specie di felino.

4 Alpinismo goriziano - 1/2002

CCoonnttiinnuuoo ddaa ssoollooH o proseguito il mio viaggio dovel’avevo interrotto. A NovaGorica ho preso il treno delle3.40 che permette di arrivare ai

punti di partenza dalle 5.30 alle 6.30 – unorario molto utile per risalire le montagnesopra la valle della Baœa tra il Litorale e laGorenjska: Vogel, Rodica, Øija, Œrnaprst…

Alla stazione di Podmelec, da parec-chi anni priva di personale e illuminazio-ne, mi sono messo sulla fronte la lampa-da, perché dovevo attraversare la galle-ria e arrivare a Kneæa, come mi ero ripro-messo e cioè lungo una linea il più pos-sibile retta. A Kneæa ho preso la stradabianca che porta nella valle dell’omoni-mo torrente. Seguirono sette chilometridi piacevoli scoperte ai margini delprofondo alveo con le conche colmed’acqua verde, qualche romantico pontead arco in pietra, alcune cascate ai lati,pareti verticali e rocciose da ambe le rivee alcuni monumenti dedicati allaResistenza nell’ultima guerra. Una zonameritevole di essere rivisitata con mag-gior calma, ma allora mi mettevo fretta,poiché in giornata dovevo raggiungere ilrifugio alpino sotto il Bogatin a circa dieciore di cammino.

Nessun veicolo turbò la mia marcia.Visto il giorno feriale significa che nessunabitante della valle, in realtà quasi disabi-tata, lavora a Tolmino, a Most o nelcementificio di Anhovo. Nessuno mi sor-passò neppure in salita. Anche se l’aves-si voluto o desiderato, non avrei potutochiedere un passaggio con l’autostop.Ma evidentemente non avevo scelto diportare a termine quel percorso per cer-care soluzioni di comodo. Non avrebbeavuto nessun senso.

Dopo sette chilometri abbandonai lastrada per seguire il sentiero, all’inizioabbastanza ripido, che, rasentando lafrazione di Kogoj, mi portò fino al paesedi Kneøke Ravne. La strada vi arrivadopo numerosi e lunghi tornanti. Giuntoall’ultima casa chiesi come avrei potutoproseguire senza abbandonare la dire-zione tracciata sulla carta topografica. Miaiutarono il locale meteorologo e un vec-chio che aveva prestato il servizio di levaancora nell’esercito italiano e tra le dueguerre aveva esercitato saltuariamente ilcontrabbando proprio oltre le montagnesopra l’abitato, lungo la cresta delle qualicorreva il confine italojugoslavo. Mandaia memoria le sue descrizioni, le indica-zioni molto precise e l’avvertimento chesopra la linea dei boschi il sentiero sicu-ramente non era visibile. Nonostante leprecise informazioni dopo mezz’oraseguii erroneamente il solco di un torren-te privo d’acqua che mi portò fuori dallatraiettoria prestabilita. Dovetti faticareper uscire e tornare prima sul sentiero epoi sulla strada che mi condusse fino adun rifugio di boscaioli.

Notai un’automobile con vicino unapersona, il custode, che mi raccomandòcon tono convincente di proseguireverso il rifugio dei cacciatori più in alto e,giunto una volta presso la costruzione inlocalità Na Prodih, di passare rasente altubo esterno dell’acqua. Poi avrei dovu-to cercare tra gli alberi il sentiero daseguire e attraversare un torrente. Miconfermò pure che dopo gli ultimi laricidovevo arrangiarmi per salire progressi-vamente fino alla sella. Presso il rifugiofeci la prima vera sosta da quando eropartito quasi cinque ore prima. Aspettaianche la telefonata da casa, perché per

meridionali del monte Øija e dovevosuperare altri 700 m di dislivello. Invecedi un’ora e mezza ne impiegai due perattraversare i ripidi pendii erbosi e cerca-re le soluzioni più sicure. Se ci fossestata la nebbia, sarei sicuramente torna-to a valle, una cosa che consiglio achiunque intenda superare la catena dimontagne in quel punto.

Con due sostanziali correzioni dimarcia arrivai, piuttosto disidratato, sullasella e quindi sulla grande »arteria alpi-na« che scorre sulle montagne della

la prima volta da quando frequento lamontagna ci eravamo messi d’accordodi sentirci ogni quattro o cinque ore. Perla verità la cosa lungo tutta la giornatadiventa un impegno e poi non sempre èopportuno o piacevole fermarsi peraspettare il trillo, perché si è sudati o peril forte vento o per la pioggia imminenteo per una decina di altri motivi, ma d’al-tra parte durante le escursioni solitarie,quando si è fuori e senza contatti per lun-ghe ore, è rassicurante sapere che incaso di incidente, anche se lieve, si può

le cime. Avevo dinanzi a me ancoramolte ore di marcia.

SSoottttoo llaa ccrreessttaa ffiinnoo aall mmeerriittaattoo rriippoossooPoi scesi verso Vratca, risalii sui pen-

dii del Vogel e continuai per più di un’orasotto la cresta fino al Konjski preval.L’ultima volta lo avevo visitato 40 anni fa,alle prime armi, quando in montagnaerano gli altri a condurmi e ad insegnar-mi i comportamenti. Prima del riposo piùlungo della giornata al riparo del poncio,volsi uno sguardo rammaricato verso ipendii dell’Orlova glava, dove d’inverno ilpaesaggio è forse idilliaco con la spessacoltre di neve, ma d’estate sono evidentile ferite apportate alla natura dal turismoinvernale. E’ mai possibile che gli investi-menti per lo sfruttamento dell’alta mon-tagna non prevedano mai anche unavoce dedicata al ripristino almeno par-ziale dello stato naturale? Nel corso deipreparativi per le olimpiadi di Sarajevo

Montagne nostre

Da sorgente a sorgente (2ª parte)

di ALDO RUPEL

Slovenia da Maribor a Capodistria. Ilmezzo litro di latte che portavo nellozaino lo vuotai al riparo di alcune roccesul versante sud, perchè da settentrione,dalla conca di Bohinj, tirava un fortevento. Era comunque un buon segnale,perchè per molte ore non sarebbe piovu-to, nonostante qualche nube provenien-te da sudovest che cercava di superare

avevo notato sulla Bjelaønica nel 1980come i bordi delle piste venissero rico-perti con tappeti di erba e di una sostan-za rigenerante. Quindi esistono le solu-zioni! Certo costano, ma facciamole purepagare agli utenti, me compreso quandomi trasformo in turista sciatore.

Dopo il riposo e una parca merendafatta di crackers e formaggini più due o

far affidamento sul fatto che dopo il con-tatto telefonico i soccorsi arriveranno.Magari dopo quattro o sei ore e anchedieci, ma la consapevolezza di questo èmolto incoraggiante.

Mi fu di grande aiuto la carta topo-grafica, ma la salita ciò nonostante sidimostrò più lenta di quanto avevo pro-gettato. Il sole iniziò a riscaldare i pendii

Œez Hribarice (2358 m.) - Passo per la Valle dei laghi del Tricorno (Slo)

Alpinismo goriziano - 1/2002 5

tre sorsi di latte condensato, fu piacevo-le scendere fino all’ex malga ZaMigovcem e ancora più in basso. Troppoa valle, poiché sapevo che poi avreidovuto risalire. Le vie in montagna sonofatte così. I sentieri seguono una lorologica. L’intelletto cittadino deve pazien-tare e la bocca non esprima giudiziimmaginando di poter tracciare meglio ipercorsi. In montagna le scelte di chi ciha preceduto da molti decenni o anchequalche secolo sono state molto ponde-rate e comunque rispecchiano le esigen-ze di vita di allora. Perché non rispettarlee trarne vantaggio e insegnamento?

A Komna arrivai esausto anche per-ché avevo voluto rispettare i tempi indi-cati sulle scritte in montagna che indica-no i tempi necessari per arrivare da unpunto all’altro. Ma si sa che i ritmi nelleAlpi sono dettati dai montanari e non daipescatori sull’Isonzo o nel Golfo diTrieste. Il tragitto tra la Komna e il rifugioalpino sotto il Bogatin invece fu unabuona occasione per fare una passeg-giata nel pomeriggio ormai inoltrato.Trovai spazio per riposare, anche setemevo che un folto gruppo di giovanime lo avrebbe in parte impedito.L’esperienza insegna che i gruppi diescursionisti in alta montagna moltospesso sono paragonabili, per quantoriguarda la possibilità di dormire, allecavallette sui campi arsi dell’Africa. Unadevastazione. Mi è successo più di unavolta di dovere ascoltare i canti di chiaveva accompagnato l’amico o la ragaz-za a festeggiare il compleanno a 2000 md’altezza. Si dimostrò invece che si trat-tava di future guide alpine partecipantiad un corso di preparazione. Poiché ilmattino seguente dovevano percorrereparecchie ore di salita, alle 22.00 tutti nelrifugio tacevano. Anch’io, dopo una cenafatta di tre uova in tegame e due pezzi dipane, riempii la borraccia con del tè peril giorno successivo e andai a dormire.

LLaa mmaattttiinnaa ddooppooSveglia alle cinque e per colazione

una marcia di due ore e mezzo fino alrifugio dei Sette laghi che fanno parte delparco nazionale del Triglav. Una zona dafavola che insieme all’area della Komnafino al Œrno jezero può soddisfare itrekkers più sofisticati. Ogni ripetizione diquel percorso si trasforma in una pas-seggiata leggera attraverso boschi similia parchi con i tappeti erbosi, le collinettecoperte di mughi e di mattina presto difiori scintillanti di rugiada. All’età didiciannove anni l’avevo fatto con unragazzo di tredici sulle spalle dopo unattacco d’asma che l’aveva preso duran-te la notte.

Ordinai due tè accompagnandoli conaltri due formaggini e dei crackers, men-tre tutt’intorno ai tavoli gruppi e gruppet-ti di escursionisti si preparavano per lapartenza in varie direzioni. Fu impressio-nante vedere la quantità di cibo che lamaggior parte di loro porta appresso eriesce a mandar giù. Tutti stavanotagliando, spalmando, infilzando, masti-cando e bevendo; io con tali abitudinidietetiche non arriverei neppure fino allaterza svolta del sentiero.

Continuai verso il rifugio suiPrehodavci. La valle dei Sette laghi è unmito, ma ci si rende realmente contodella sua bellezza quando si abbandonail solito percorso a valle e si sceglie difare almeno una volta anche la cresta delLepo øpiœje che si trova sulla sinistra, sestiamo salendo. E’ facile incontrare icamosci, ma a prescindere da questapossibilità è la visione della Val Trentache merita di provarla da quell’altezza esopra lo strapiombo che finisce nel tor-rente Trebiønica e nell’omonima valle.

Oltrepassai il lago Ledviœka a formadi rene (è questo il significato del nomesloveno) e tutti gli altri più piccoli fino alrifugio. Anche per il pasto principale ilmenù comprendeva formaggini e tè.Dopo aver fotografato i bellissimi serviziigienici continuai il percorso scendendo

lungo la mulattiera che porta in valTrenta. Il sole intanto era salito al puntopiù alto infuocandomi la nuca per più diun’ora, dopodichè finalmente entrai nuo-vamente nel bosco sprofondando nellacalma, nel fresco e tra le foglie secchesparse a terra. Scesi per parecchie cen-tinaia di metri di dislivello incontrandonumerosi turisti che avevano iniziatotardi la salita: sloveni, tedeschi, cechi.Per arrivare dai Prehodavci sull’asfaltodella val Trenta sono necessarie tre oredi marcia. Negli ultimi anni la valle èdiventata molto più attraente anche perl’attenzione che è dedicata ai particolari:i guard rail in legno, le pittoresche indi-cazioni turistiche, i campeggi; il museodel Parco nazionale è un vero gioiellotecnologico al servizio delle bellezzenaturali.

Raggiunsi l’Isonzo praticamentedistrutto. Avevo accumulato nove ore di»permanenza all’aperto«. Attraversatol’alveo notai una tabella con l’indicazionedi un sentiero che mi avrebbe portatofino alla sorgente. Non ne avevo mai sen-tito parlare, ma prima di intraprenderel’ultima salita dell’intera fatica mi rinfre-scai nel fiume, poi masticai tre o quattropugni di frutta secca e un polpelmo chefino ad allora avevo dimenticato in fondoallo zaino e praticai una seduta di trai-ning autogeno addormentandomiprofondamente per circa venti minuti.

Il sentiero, bene attrezzato, mi con-dusse, in un susseguirsi di attraenti sce-nografie che mi spronarono a compieregli ultimi otto chilometri in salita in pocopiù di due ore, fino al rifugio vicino allasorgente. Alla fine, dopo aver ordinatol’ennesimo tè, mi misi in fila con gli altriper raggiungerla.

Arrivato alla fine del mio viaggio eall’inizio del fiume fotografai la grotta, mai risultati – lo capii dopo – non potevanoessere soddisfacenti in quel buio. Ebbimaggior successo nel riempire la botti-glietta contenente già l’acqua delVipacco mescolando i due liquidi.

L’idea nata alcuni mesi prima si erarealizzata. Nell’antro sotto l’enormemontagna non trovai nessun tesoro,come promesso in tutte le fiabe, se nonquello che si era accumulato lungo i cen-totrenta chilometri di percorso: avevoparlato con alcune decine di persone,avevo meditato e aumentato notevol-mente la resistenza alla fatica, alla famee alla sete, avevo avuto modo di ripeterele conoscenze topografiche, di percepiregli odori del legno, delle foglie, dell’erbatagliata, della resina, dei fiori d’alta mon-tagna, delle pietre e delle rocce, delleventate d’aria prodotte dalle cascate,avevo accarezzato il muschio, la cortec-cia dei faggi, le cime dei mughi e dellerocce riscaldate dal sole, avevo ascolta-to gli alberi, la foresta, i venti, le nuvole, iltempo, il mio corpo, avevo osservato lacostellazione della Cassiopea e avevocercato la Stella polare attraverso un’ariapulitissima sopra i mille metri...Certamente è stato anche faticoso.

Scesi verso la strada statale cheporta sul Vrøiœ, due curve più in bassosotto la statua di Kugy, per prenderel’autobus di linea che da Lubiana porta aNova Gorica. L’autista cortesementescese e mi ordinò di mettere lo zaino nelventre del veicolo. Pensai che volesseevitare fastidi agli altri passeggeri, maquando salii non vidi nessuno. Ero l’uni-co cliente e quindi avevo a disposizioneun tassì personale da trentaquattro posti.

Arrivato a casa mi rimase la botti-glietta con l’acqua delle due sorgenti.Dopo due settimane un pomeriggio scesicon il kajak dal confine sotto Salcanofino a Savogna, dove i due fiumi si incon-trano. Sul promontorio approntai unbivacco e accesi il fuoco ascoltando lalenta discesa delle acque. Dopo averdormito per alcune ore, all’alba restituii aidue fiumi quei due sorsi d’acqua cheavevo loro tolto alle sorgenti. Il triangoloora è chiuso.

VIII Premio “Alpi Giulie Cinema”

Scende dall’Everestla Scabiosa Trenta

Elleboro

S i è conclusa a Trieste la dodicesi-ma edizione della rassegna inter-nazionale “Cinema & montagna”organizzata da UISP - Lega monta-

gna di Trieste in collaborazione con lasezione di Gorizia del Club AlpinoItaliano. In parallelo si è svolta l’ottavaedizione del Premio “Alpi Giulie Cine -ma”, concorso riservato alle produzionicinematografiche di autori originari delleregioni alpine Friuli - Venezia Giulia,Slovenia e Carinzia dedicato alla monta-gna (sport, cultura e ambiente).L’iniziativa, unica nel suo genere, sia peril contenuto delle opere che per la carat-terizzazione internazionale, è diventataun punto fisso di riferimento culturale inun territorio come quello di Alpe Adria,che ferve di piccoli e grandi produttori difilmati dedicati alla montagna che diffi-cilmente trovano gli spazi adeguati perproporre le loro realizzazioni.

Giovedì 7 marzo nella affollata saladel Teatro Miela sono state proiettate leproduzioni premiate dalla giuria chequest’anno era composta da LucianoSantin, giornalista, Stelio Lutman, coor-dinatore delle attività del CentroRegionale di Produzione Televisiva egiornalista, e da Marco Sterni, guidaalpina e noto alpinista. La menzionespeciale della giuria è stata assegnata aToll’ Em All del regista triestino CristianFurlan per il grande interesse tecnico -documentaristico centrato sulla figuradel protagonista, Mauro “Bubu” Bole, esulla disciplina del dry tooling dellaquale testimonia i progressi tecnici com-piuti nell’arrampicata su terreno “misto”.Un omaggio giustamente dovuto anchea Bubu che per gli exploit compiuti si èrecentemente guadagnato il titolo di“alpinista dell’anno”.

Il premio “Luigi Medeot” istituito loscorso anno dagli amici triestini perricordare lo scomparso amico e diretto-

re di Alpinismo Goriziano è andato al filmVrtiglavica, - 643 m. dello sloveno DeanPestator. È il film di un grande desiderio:arrivare sul fondo di una delle piùprofonde verticali del mondo, in unagrotta nel massiccio del monte Canin.Nonostante il lungo e preciso allena-mento non tutto andrà come previsto.La motivazione della giuria recita: rac-conto di una “mancata impresa” nell’a-bisso del Canin, costruito con sensibilitàe poesia nella fase della preparazione e,in maniera più diretta, sulle nevi e nelleviscere della montagna. Il film rende par-tecipe lo spettatore delle capacità tecni-che del protagonista e delle aspettativeche animano l’impresa.

Il premio “Scabiosa Trenta” comemiglior film è andato a Janez Stucin perSki Everest 2000, il resoconto, molto benritmato nel linguaggio cinematografico,nel montaggio e nel taglio, dell’impresadello sciatore e alpinista sloveno DavoKarniœar che, primo uomo al mondo, hadisceso la più alta cima della terra inte-gralmente con gli sci. Nella loro scarnaessenzialità - affermano i giurati - leriprese in soggettiva, fornite dalla video-camera sul casco di Davo Karniœar,restituiscono in modo emozionante ilsenso della grande avventura di monta-gna. Va segnalato che il premio“Scabiosa Trenta” si ispira al fiore alpinocercato per una vita da Julius Kugy sullependici delle Alpi Giulie e mai trovato.Ogni anno gli organizzatori della rasse-gna incaricano un artista regionale diinterpretare il fiore immaginario.Quest’anno è toccato allo scultore trie-stino Ilario Bontempo che l’ha realizzatoin ferro.

Il successo di pubblico in tutte leserate della rassegna e la qualità delleopere premiate confermano, se mai cene fosse stato bisogno, la bontà dell’i-dea e il crescente interesse e importan-za che questo premio sta suscitando.

6 Alpinismo goriziano - 1/2002

Cose d’altri tempi

San Leopoldo in Val Canaledi CARLO TAVAGNUTTI

Superate le strettoie del Canal delFerro, oltre Pontebba, la valle delFella piega in modo deciso versoEst ed improvvisamente si allarga

assumendo una conformazione piùdolce e prende il nome di Val Canale.

Il ponte sul torrente Pontebbana, tragli abitati di Pontebba e Pontafel, è statoper un lunghissimo periodo limite territo-riale prima tra i possedimenti dell’Ab -bazia di Moggio e quelli dei Vescovi diBamberga, poi tra la Repubblica diVenezia e la Carinzia e quindi, fino al ter-mine della “Grande Guerra”, confine distato tra Italia ed Austria, ed avevasegnato anche la divisione quasi nettadegli idiomi: l’italiano ed il friulano a Suded il tedesco e lo sloveno a Est. In ValCanale le pendici dei monti a mezzogior-no si fanno meno ripide, lasciandodisponibili ampi spazi prativi e numerosipianori adatti alle coltivazioni. Anche iboschi diventano più ricchi con essenzepiù pregiate: alla prevalenza del pinonero presente nel Canal del Ferrosubentrano infatti rigogliose abetaie efaggete molte delle quali comprese nellagrande foresta di Tarvisio.

Il primo paese che s’incontra risa-lendo la valle è S. Leopoldo, fino a nonmolti anni fa un tranquillo ed ameno vil-laggio immerso tra fertili campi lavorati egrandi prati da sfalcio, terreni sottrattialle primitive foreste che ricoprivanotutto il territorio con anni di paziente eduro lavoro dei valligiani di un tempo.L’abitato ha origini antiche: infatti ilprimo insediamento sembra risalire allafine dell’XI° secolo, probabilmente attor-no alla piccola chiesetta costruita in quelsito per volere del Vescovo di BambergaOttone I° nel 1106 e dedicata a SantaGeltrude; forse una cappella votiva perricordare la liberazione da una banda dibriganti che infestava la zona.

Tutta la Val Fella era percorsa allo-ra dalla strada romana, la famosa “ViaBeloio” che collegava Aquileia a Villaco(Santicum). Una via di comunicazione digrande importanza che ha facilitato persecoli traffici di merci e movimento dieserciti e genti di varie etnie, lungo unitinerario altrimenti difficilmente percor-ribile, ed ha contribuito alla nascita deinumerosi villaggi che troviamo lungo ilcorso superiore del Fella. E proprio acavallo di quella strada si sviluppò, sullasinistra del fiume, anche Leopolds -kirche, l’attuale S. Leopoldo. Il paese,ora frazione di Pontebba ma che è statocomune autonomo fino al 1926, è cre-sciuto negli anni superando numerosecalamità, come si legge sulla lapide

murata sulla cinta del cimitero, raggiun-gendo tra il ’700-’800 le dimensioniattuali con la nuova chiesa che è del1775. Oltre ai fabbricati per le abitazionie le stalle c’erano anche una segheria,la fornace per la calce ed alcuni muliniad acqua (4 fino al 1903), l’ultimo deiquali, quello dei Kovatsch sul Rio Pegla,si era perfettamente conservato fino allacostruzione dello svincolo autostradale,alla fine degli anni ’80.

La popolazione consisteva alla finedegli anni ’50 di circa 350 anime, com-prese in 62 famiglie residenti che sidedicavano quasi esclusivamente allacoltivazione dei campi ed all’allevamen-to del bestiame. In quegli anni si conta-vano in paese un centinaio di muccheda latte, altrettante giovenche e quasitrecento capi tra capre e pecore edancora numerosi cavalli che venivanoimpiegati per i lavori agricoli e per i tra-sporti. Si coltivavano prevalentementegranoturco e patate, ma anche fagioli equant’altro necessario al fabbisognodelle famiglie. All’inizio dell’estate lemucche venivano condotte all’alpeggio,nelle malghe di proprietà comunale, e virimanevano fino a settembre. Le pecoree le capre, invece, lasciate libere sulmonte Cit a primavera e controllate sal-tuariamente, venivano recuperate a finestagione. I mesi estivi erano anche quel-li dedicati alla fienagione, che era unadelle attività più impegnative e che coin-volgeva tutti i componenti delle fami-glie… i fienili dovevano essere riempitiin tempo per garantire l’alimentazioneinvernale degli animali.

Esiste a S. Leopoldo, già da tempilontani, il Consorzio Vicinale (Nachbar -schaft) che ha amministrato ed ammini-stra tuttora le proprietà della comunità, iboschi e gli alpeggi, regolamentando losfruttamento dei pascoli in quota ed iltaglio delle piante da lavoro. Per illegname da ardere, invece, ogni fami-glia poteva e può disporre, per “dirittodi servitù” di teresiana memoria, di unsufficiente quantitativo annuale. Il pic-colo “stuet” ancora esistente nel bacinomeridionale del M. Scinauz è una testi-monianza dell’antico sistema di traspor-to del legname per fluitazione. La mon-ticazione, praticata già negli anni acavallo del 1600, si svolgeva nelle mal-

San Leopoldo nel 1932 (riproduzione di un quadro ad olio)

La chiesa dedicata a S. Geltrude del 1775 La lapide murata sulla cinta della chiesa e del cimitero

ghe S.Leopoldo e Jeluz per le muccheda latte e nella Berda per le giovenche.Il Consorzio provvedeva all’ingaggio delcasaro e dei pastori (6-7 persone) ed alpagamento delle prestazioni. La malgaS.Leopoldo è rimasta in attività fino al1960 circa, con l’ultimo casaro,Bartolomeo Di Marco di Pietratagliata.Della malga Jeluz rimane ancora unapiccola costruzione trasformata in rico-vero, mentre la malga Berda è comple-tamente diroccata ed “inghiottita” dalleortiche. Sembrano invece ancora vici-nissimi i tempi della benedizione dellemalghe … l’ultimo parroco, DonStefano, usava recarsi fin lassù a metàagosto ed a lui, per tradizione antica,spettava in quell’occasione l’intera pro-duzione casearia della giornata: era unaforma di contributo della comunità alproprio “pastore”.

Sugli alti pascoli la vita si è fermatasolo qualche decina di anni fa, ed ilsuono dei campanacci è già un lontanoricordo. A rompere il grande silenzio diquei luoghi c’è ora soltanto il gracchiaredi qualche corvo ed il delicato cantodelle pispole che nidificano nei pratiabbandonati.

Parlo con l’amico Isidoro nella suacasa calda ed accogliente in una grigiamattina di pioggia. Mi racconta storiedella sua gente, del suo paese, dove c’èancora la casa dei suoi avi. Storie di vitadi ogni giorno, di personaggi sempliciche sono vissuti e vivono lì: deiTributsch, dei Willemport, dei Trink, deiKovatsch e di tanti altri … il racconto siarricchisce di tanti particolari interes-santi. Guardo dalla finestra, nessunopassa per la strada, nessuna voce …quanto sono lontani i tempi dei mieiricordi, quando, agli inizi degli anni ’60, ilvillaggio era ancora in piena attività.Anche qui lo spopolamento della monta-gna si è fatto sentire ed ora i residentinon superano il centinaio e nelle stalle lemucche raggiungono forse le 8-10 unità.Non si odono più le grida dei bambini, néalcun rumore di attrezzi da lavoro, non siavverte più l’odore del fuoco di legna néil profumo di fieno. Anche la campana èquasi muta … i campi ed i prati non ven-gono più curati come un tempo. Il cosid-detto “progresso” è arrivato anche in ValCanale. Guardando il pianoro a valle, inmezzo ai campi è sorta una grande sta-zione autoportuale e doganale e, sullosfondo, alti pilastri e travi aeree dicemento incorniciano il paesaggio, men-tre gli alti muraglioni di contenimentodell’autostrada incombono sul paesedalla parte settentrionale.

Anche qui l’ultimo secolo ha vistoimportanti e decisive trasformazioni chehanno completamente stravolto un anti-co modo di vivere modificando radical-mente anche un ambiente naturaleunico.

Costruita: 1775, - Ricostruita 1909Patronato:

Diocesi di Bamberg 1006-1756; Imperatrice Maria Teresa 1756-1778Franz conte von Orsini Rosenberg 1778-1807, Anton Holl von Stahlenberg 1807-1812 Eredi fino -43

conte Renard 43-45, Casimir conte von Esterhazy Galan 45-58conte Arco Zinnenberg -58. Fondo religioso della Carinzia 1887-

1759 la chiesa e 36 case bruciarono, 1770 Parrocchia indipendente; 1815..16.17. anni di carestia;1836 moltissime morti per colera; 1837.51.1903 innondazioni.

In ricordodell’incendio del 3 Agosto 1905, il quale dal N. 27 fino al N. 16 e fino al N. 60

e il campanile ridusse in cenere.

1 settembre 1909 MMaarrttiinn KKoovvaaˇ̌cc

Alpinismo goriziano - 1/2002 7

Scialpinismo a vistanell’Appennino Reggianodi FABIO ALGADENI

In memoria

Jaka Œop (1911-2002)di VLADO KLEMØE

Foto e tecnologia

Click, la montagna è servitadi BRUNO CONTIN

Foronon e Modeon dal Buinz dai Secjons

L a mancanza di neve esasperanoi poveri scialpinisti in questoscampolo d’inverno. Si intrec-ciano le telefonate: “Hai saputo

se c’è neve?” “È nevicato in alto?” “Soloun centimetro di neve sopra i 2000”“Sciabile?” “No”. Niente, al nord nienteneve; e intanto giornali e televisione citrasmettono le immagini del sud Italiainondato di neve, di tanta neve, troppa,imbarazzante, ingombrante, non deside-rata. E noi all’asciutto.

La ricerca spasmodica della biancadispensatrice di felicità, la fatidica neve,si estende anche a Internet, c’è chi navi-ga sognando discese in mezzo a bian-che distese immacolate nel “grandesilenzio bianco”. Naviga e sogna, sognae naviga, e così questo qualcuno siimbatte in un sito che promette disceseinebrianti, metri di neve, paradisi scialpi-nistici immacolati. Dov’è questoEldorado per ski-alp? In Canada? InNorvegia? No, in Appennino, anchenell’Appennino più vicino a noi,l’Appennino Tosco-Emiliano.

Così inizia a far capolino l’idea diprovare, di andare a vedere, anche acosto di accollarci 400 chilometri di tra-sferimento automobilistico. Giro ditelefonate: “Sopra Modena si scia!”“Quanta strada c’è?” “Tanta” “Andiamolo stesso?” Cacciatori di neve, snow-hunters esacerbati dall’astinenza cerca-no sfogo, tentano di appagare il lorosfrenato desiderio di bianco. InfineGiovanni lancia il messaggio determi-nante: “Ho un contatto con uno scialpi-nista del CAI di Sassuolo: ci indica lui, ciporta lui!” È fatta, il tam-tam si avvia, chiviene?

Partiamo in cinque avventurosi in unsabato di metà gennaio, ad ore antelu-cane; autostrada fino a Modena Nord,poi verso Passo Cerreto, a Villa Minozzoincontro con gli amici del CAI diSassuolo; presentazioni (non più virtua-li), strette di mano, sorrisi. Si va? Dove?Sul Monte Cusna. Finalmente ... sullaneve.

Beppe Stauder, deus ex machinadello scialpinismo locale, è disponibilead accompagnarci in questa classicache tocca la più alta cimadell’Appennino Reggiano; così ci avvia-mo sotto la sua guida, illuminati dallasua evidente esperienza, edotti dalla sua

conoscenza dei luoghi e ben presto con-quistati dalla sua disponibilità e umanità.

Insomma una splendida gita in unaluminosa giornata di sole, una stimolan-te esperienza scialpinistica, e un bellissi-mo incontro umano con nuovi amici.

19 gennaio 2002: Regina Mittermayr,Giovanni Penko, Lorenzo Figel, MaurizioQuaglia, Fabio Algadeni.

Relazione tecnica

MMoonnttee CCuussnnaa ((mm.. 22112211))

La più alta cima dell’AppenninoReggiano si trova all’estremo ovest diuna lunga catena (detta dell’UomoMorto) che comprende diverse cimeraggiungibili con gli sci. È una gita clas-sica che si può effettuare fino a maggio,sfruttando la neve rimasta nei canaloni.Partenza: località Monteorsaro m. 1100Dislivello: m. 1000Difficoltà: BSPeriodo: da novembre a maggioTempo di salita: 3h

Via normale (da Monteorsaro): si rag-giunge Febbio e si prosegue per il borgodi Monteorsaro, poco prima del quale siparcheggia l’auto (m. 1100). Si risale lastrada forestale che conduce al Passodella Cisa. Senza scendere nel fosso diPrassordo, che salendo si lascia a dx, sicontinua lungo la forestale fino a sbuca-re sugli ampi prati di località Sara. Siprende a sx la cresta ovest (m. 1700) e lasi risale tutta fino alla pala finale e da lì invetta.

Discesa: per il fosso di Prassordo, sulladx della via di salita, con diverse varian-ti; il canalone mantiene la neve fino astagione inoltrata.

Varianti di discesa:- diretta est (difficile) per Vallone dellaBorra fino agli impianti di Febbio- diretta del Canale dei Cervi che portanella valle dell’Ozola- diretta della Valle delle Marmotte aovest con pendio iniziale molto ripido(45°) valutabile OS (ottimi sciatori) solo inprimavera con neve assestata- diretta del Fosso dei Bibbi con duecanali a Y impegnativi.

Se ne è andato, il 5 gennaio, JakaŒop. Alla montagna, alle Giulieed in particolare alla Val Trentaha dedicato gran parte della sua

lunga esistenza. Nato nel 1911 neipressi di Jesenice, da giovane si dedicòall’alpinismo, seguendo l’esempio dellozio paterno, Joæa Œop, uno dei più notirocciatori nel periodo fra le due guerre.

In seguito ad un grave infortuniodovette rinunciare all’arrampicata, manon alla grande passione per la monta-gna. Risalgono alla metà degli annitrenta i primi scatti, ovviamente in bian-co e nero, e inizia un particolare pelle-grinaggio di Jaka alla scoperta degliangoli più remoti delle Giulie. Un sen-tiero, anzi un intreccio di sentieri che sisnodano per più di mezzo secolo.

Accompagnato dalla Rolleiflexpassa giornate intere nella Val Trenta,incontra gli abitanti, cerca di cogliere edi fissare gli aspetti più significativi diuna vita, e di un modo di vivere che stacambiando e scomparendo. Spessoattraverso Bohinj raggiunge la ValleBaœa, visitando piccole frazioni o caso-lari per lo più abbandonati sui pendiiscoscesi, aspettando, magari per ore,l’ultimo, a volte anche il primo raggio diluce, oppure osservando la danza dellenuvole “che compongono il magicoquadro della montagna”.

Un approccio particolare, insolito,se confrontato con la prassi ed i ritmiodierni di “scatta e fuggi”.

Ho avuto la fortuna di incontrarepersonalmente Jaka Œop nel 1978 aGorizia, in occasione della mostra per ilbicentenario del Triglav / Tricorno.Allora lo invitai a visitare le scuole ele-mentari e medie dell’Isontino e a rac-contare attraverso immagini la fiaba diZlatorog, ossia il racconto popolare

sulla nascita e trasformazione dellemontagne che abbracciano la ValTrenta. Accettò con entusiasmo, poi-ché si trattava di avvicinare i giovanialla montagna.

In quasi vent’anni Jaka visitò tantis-sime scuole in Slovenia, raccontando lafiaba di Zlatorog a oltre 30 mila alunni.

Le fotografie di Jaka Œop venivanoregolarmente pubblicate sul Planinskivestnik e su diverse riviste e giornali,ed esposte nelle mostre. Nel 1962venne pubblicata la prima delle seifotomonografie: Svet med vrhovi (Ilmondo tra le cime), seguita da Rajpod Triglavom - 1969 (Il paradisosotto il Triglav), Viharniki - 1970 (Gliultimi), Kraljestvo Zlatoroga - 1989(Nel regno di Zlatorog), Slovenskikozolec - 1993 e Trenta e Soœa - 1996(Trenta e Isonzo).

Sono una grande ricchezza per laquale non possiamo che ringraziarlo ericordarlo.

Q uante volte ci siamo trovati difronte ad un paesaggio monta-no, ed a malincuore abbiamorinunciato allo scatto fotografi-

co per la mancanza di un valido primopiano che potesse completare la grade-volezza dell’immagine.

O al contrario, un orrido tralicciodella luce, una squallida casupola daltetto di lamiera o un’automobile par-cheggiata nel punto più inopportuno edineludibile, a rovinare la sobrietà dellacomposizione.

Sono situazioni che l’appassionatoben conosce e che fanno parte dellacomplessità, fortuna, capacità ed intui-to che stanno dietro ad una bella ripre-sa. Trovarsi poi nel classico posto almomento giusto è una chimera che tal-volta s’insegue per anni.

Ma la tecnica, oggi, ti viene incontroed offre “soluzioni” immediate a questiproblemi. Basta volerle accettare.

È una questione di mezzi? o soprat-tutto di etica?

Cromatismo? Soggetti da inserire?Distanze reali rispetto al contesto da

fotografare? Tutti problemi superabilicon un’appropriata manipolazione!

Ora si sposta, si avvicina, si toglie,si aggiunge, s’intensificano i colori, s’in-ventano situazioni che mettono a duraprova anche i più profondi conoscitoridegli angoli più reconditi.

Montagne ristrette e piegate dagrandangoli assurdi, ravvicinate edaddossate da teleobiettivi tali da rende-re irriconoscibile il luogo su cui sorgonoe da dove sono state riprese. Si cancel-lano, grazie al computer, settori interiperché esteticamente poco appariscen-ti, inventando panorami che nessuno saricordare.

E di conseguenza, si propongono,lussuose ed appariscenti, ad attiraresoprattutto i profani, falsando ancora,anche se in maniera abbastanza inno-cua, quel già delicato rapporto tra larealtà e la solita retorica enfatizzazionedi altri settori.

Sono queste le immagini che aspet-tavamo? Quelle che, evidentementetroppo irreali, avevamo accuratamenteevitato?

8 Alpinismo goriziano - 1/2002

Novità in libreria

Letti e rilettidi FLAVIO FAORO, PAOLO GEOTTI, MARKO MOSETTI

A ntonella Fornari ha una bellastoria: è nata in pianura, in pro-vincia di Mantova, ma è venutapresto a vivere nelle Dolomiti,

attirata da quella che è stata una sceltadi vita più che una semplice passione.Biologa, oggi è diventata scrittrice evive di montagna, quasi a tempo pieno.La montagna la conosce bene,Antonella Fornari. È infatti un’alpinistadi buon livello, con una bella collezionedi vie classiche sulle Dolomiti, oltre adescursioni e ricerche “sul campo” negliangoli più selvaggi di molti famosi grup-pi montuosi. Per questa sua notevoleattività è stata ammessa nel GruppoRocciatori “Caprioli” di San Vito diCadore, unica donna in cinquant’anni divita dell’associazione.

Qualche anno fa ha cominciato ascrivere. Libri. Libri che sono un po’particolari, non facilmente classificabili.A prima vista sembrano semplici raccol-te di itinerari: tante belle foto a colori,cartine corrette ed efficaci, zone nontroppo conosciute e spesso editorial-mente “vergini”. A prima vista, appunto.Perché ad uno sguardo appena piùapprofondito questi libri sono unastraordinaria mescolanza di ricercageografico - alpinistica e storica, conun’analisi puntuale e rigorosa non sol-tanto degli aspetti paesaggistici edescursionistici, ma anche (soprattutto?)delle vicende storiche, legate allaGrande Guerra in particolare, che hannoreso molti luoghi straordinari per l’inten-sità del messaggio che possono tra-smettere al visitatore. È questo cheAntonella Fornari ci dice, in sostanza:che questi luoghi - cime, creste, vallonie cenge - erano già meravigliosi e affa-scinanti ancor prima che l’uomo li cono-scesse, come straordinario esempio dinatura. Ma poi l’uomo è arrivato, e vi hascritto le sue storie. Tragiche e doloro-se, molto spesso, talvolta quasi incredi-bili per la mole di sofferenze e sacrificidi cui sono intessute. Ed è diventato unmotivo in più, quasi più grande e forte,per visitare e cercare di capire questemontagne.

Leggendo le descrizioni degli itine-rari quello che colpisce è proprio il gran-de rispetto e la sincera comprensioneche Antonella Fornari ha per le storiedegli uomini su queste montagne, storieche si fondono con gli aspetti naturali -la luce, il vento, le rocce, le nuvole - eche confluiscono in una prosa talvoltaquasi mistica, con molte soggettivazio-ni (e l’uso della maiuscola iniziale permolti sostantivi della natura o dello spi-rito lo dimostra), ben diversa dalla razio-nalità descrittiva delle guide consuete.Molte sono le pagine di storia: episodi,vicende e avventure della GrandeGuerra, soprattutto. Pagine preziose,ricche di informazioni che l’escursioni-sta spesso trascura, distratto da datitecnici o paesaggistici. Invece qui ècome se venisse costretto a guardare infaccia la storia, senza distrazioni dovuteal tempo che è trascorso o al meravi-glioso ambiente circostante. Percorrereuna cresta e scoprirne le vicende diguerra, assurde, dolorose, per noi quasiincomprensibili nella loro dimensione“eroica”, è ben diverso che godersi unapanoramica escursione in alta quota,pensando solo a fotografare gli scorcipiù scenografici o a superare le diffi-coltà dell’itinerario.

N on perdetevelo. Potrebbebastare, ma forse è più correttodirvi perché. Bene. Se avete daitrent’anni in su (ma meglio qua-

ranta); se andate (o andavate) in monta-gna, ad arrampicare o a sciare; se cono-scete un po’ – basta solo un po’ – leDolomiti e il loro ambiente umano enaturale, allora, ripeto, non perdetevelo.Sono 17 raccontini, ciascuno dedicato aun attrezzo del bagaglio dell’al pi -nista/escursionista/sciatore, pubblicatiin ordine alfabetico: bivacco, borracce,camicia scozzese, chiodi, corda, ecce-tera eccetera fino a scialpinismo ezaino. E ogni racconto è preceduto daun disegno, una vignetta, dello stessoautore. Eh sì, perché Vignazia è un affer-mato vignettista, anche di prima pagina,di giornali come Il Gazzettino, L’Adige,Famiglia Cristiana. Ed è un alpinista dibuon livello, con centinaia di scalate inDolomiti negli ultimi decenni. E questoci racconta, nel suo libro. Com’è cam-biato l’alpinismo – e gli alpinisti – attra-verso il cambiamento degli oggetti, ilmutare delle mode, l’affermarsi o losparire di accessori ritenuti, al momen-to, sempre indispensabili.

Il tutto con arguzia, ironia, talvoltacon sarcasmo. Si ride davvero, leggen-do queste pagine (come nel raccontoPanini), ma è un ridere che si accompa-gna spesso alla riflessione, al ricordo,ad una lucida visione di “come erava-mo” . Ma, in fondo, è un libro triste, unlibro che racconta come il tempo inrealtà passi solo per noi, e non per glioggetti che ci hanno accompagnato inmontagna, un libro in cui la scritturapulita e piana di Vignazia non riesce anascondere l’emozione, il rimpianto, lanostalgia.

Mi ero ripromesso di fare una recen-sione breve, secondo me bastavano,come dicevo, le prime due parole. Ma,già che ci sono, riporto un brano dellaprefazione che Mauro Corona ha scrittoper questo libro: “Era dai tempi di BepiMazzotti e della sua Montagna presa ingiro che non si leggeva qualcosa di iro-nico, di pungente, di non auto-celebra-tivo sull’alpinismo e che, nello stessotempo, regalasse un po’ di poesia.”

(F.F.)

Pendici Nord del M. Cocco

Ecco qual è il merito di questi volu-mi, merito che una scrittura talvolta unpo’ retorica non riesce a sminuire: quel-lo di costringerci a sapere, di arricchircinostro malgrado della conoscenza deifatti e degli uomini, di non darci scusan-ti per il nostro superficiale desiderio diaccontentarci della bellezza della mon-tagna.

Sono tre i volumi fino ad ora pubbli-cati, più altre raccolte minori: La vocedel Silenzio: itinerari su sentieri di guer-ra italiani ed austriaci nella Valle diLandro e nel Gruppo del Cristallo (1998),La scala del cielo: sulle vie di guerra inRegion Popera e nel Gruppo dei TreScarperi (1999), Lo spirito del Vento: dalMonte Elmo al Monte Peralba cavalcan-do storie di guerra e montagna attraver-so la Dorsale Carnica Occidentale(2001), tutti editi dalle Edizioni GraficaSanvitese di San Vito di Cadore.

Antonella Fornari presenta le suericerche anche con serate di diapositi-ve, spettacoli molto intensi, dove è l’uo-mo con le sue vicende ad accompagna-re la grandiosità della montagna e deglispazi delle fotografie. Il pubblico neesce sempre colpito, sorpreso che die-tro a una facile dimensione estetica lamontagna offra, a chi abbia solo un po’di disponibilità a conoscerne le vicende,emozioni così profonde.

(F.F.)

A vete in mente la schiettezzatoscana, quel parlar chiaroanche a costo di farsi guardarstorto, il gusto per la battuta

sapida, l’analisi lucida e sempre all’ope-ra di fatti e misfatti propri e altrui? Bene,sono gli ingredienti del libro Sci estroso,

di Marileno Dianda, collana Tascabilidel Centro Documentazione Alpina.Ingredienti toscani doc, dunque, mancasolo quell’accento gustoso che la pro-nuncia delle parole ci darebbe e la lettu-ra ci può solo suggerire, qua e là, conqualche espressione tipica. La storia,facile da descrivere, è quella di un grup-po di amici innamorati della montagna edello sci e abitanti in Toscana, in quellaLucca che, a due passi dal mare, è giàterra di montagna per gli ambienti e gliorizzonti e i dislivelli dei rilievi. E allorasciano, questi amici, sempre più sul ripi-do, sempre alla ricerca di nuovi canali evie estive che ripercorrono in discesacon gli sci, sempre più isolati e noncapiti da quelli per cui lo sci è palestradi ardimento, d’accordo, ma anche ter-reno di affermazione sociale, di conqui-sta di (micro)potere e (macro)ragazzenei corsi del Cai, di relax domenicale enon certo di ricerca e impegno. E allo-ra? Allora scontri, discussioni, compa-gni di salite e discese che vanno e ven-gono, imprese vere taciute o conosciu-te solo da pochi, pochi davvero. Sì, per-ché l’Appennino e le Alpi Apuane offro-no canali, creste e pareti che d’inverno,complice un mare vicino che porta umi-dità e precipitazioni, diventano terrenoper uno sci non ancora estremo (anchese i gradi di pendenza ci sono, come no)ma, appunto, estroso. Cioè creativo, diricerca e pazienza, di attesa delle con-dizioni giuste, di pendenze forti e didomeniche primaverili passate a sciarequando a pochi chilometri un mare giàquasi estivo richiama gli scialpinisti nor-mali.

Eppure un personaggio classico unpo’ Dianda lo è, cinquantaquattrenneinsegnante di filosofia nei licei, scrittore(autore, fra l’altro, del doloroso e appas-sionato Sopra zero, sul destino climati-co indotto dall’aridità umana), scialpini-sta in mezza Europa. E toscano - chesarà un cliché, d’accordo – ma lui lobecca in pieno, con gran gusto di chi lolegge e scopre, così, uno scialpinismoche ancora non conosceva.

(F.F.)

Alpinismo goriziano - 1/2002 9

Forcella Alta di Riobianco

L a presentazione del libro su e diOscar Soravito, avvenuta nellosplendido salone di PalazzoBelgrado a Udine il 18 dicembre

scorso, è stata nientedimeno che una“classica”, che tutti i presenti hannoripercorso con piacere.

Un momento di immersione totalenell’ambiente alpino, riprodotto in città,tra testimonianze di personalità, le vocidel coro della SAF, il pubblico di amicied il protagonista, il sempre autenticoOscar Soravito. Divo e antidivo allostesso tempo, protagonista di oltremezzo secolo di alpinismo friulano. Madi un alpinismo anche nostro trattasi,fatto di imprese eclatanti e di sempliciripetizioni canoniche, sempre con lacaratteristica della costante, affettuosa,esclusiva e contagiosa presenza inmontagna, oltre le stagioni, il tempo edil grado di difficoltà. E perfino quella cheparrebbe una noiosa elencazione di gitesi rende interessante per le relazioni chene dà ed i soggetti alpini che riguarda,cioè le nostre Giulie soprattutto.

Certo non raccoglieremo l’invito aricostruire la Capanna dei FratelliGarrone sul Montasio, che già è statooffeso abbastanza da ben altri manufat-ti!

Resta il fatto che il libro piace e neva dato merito agli autori, i giornalistiGiampaolo Carbonetto e LucianoSantin, mentre l’augurio di molti anniancora va naturalmente a quello spiritoinossidabile di Oscar Soravito.

(P.G.)

S ono anch’io un fedele e appas-sionato lettore di Mauro Corona,sono una di quelle oramai decinedi migliaia di persone che ad ogni

nuova uscita dei suoi libri, e siamo arri-vati al quarto, si precipitano in libreriaad acquistarli. Quello di Corona scritto-re è diventato nel nord-est da Il volodella martora in avanti un caso editoria-le. Tirature che vanno verso le 100.000copie per titolo non sono assolutamen-te comuni, anzi sono piuttosto rare nellosciapo panorama editoriale italianodove sembra esserci più gente con vel-leità di scrittura rispetto a quella convolontà di lettura. Ci si domanda per-ché, allora, i suoi titoli non compaionomai nelle classifiche di vendita che imaggiori quotidiani e settimanali nazio-nali ci propinano. Assumono così altrevalenze queste mostruose (sempre inrelazione alle medie italiane) cifre divendita ottenute senza la grancassasuonata ad arte dagli uffici stampa dellegrandi case editrici ma solamente gra-zie al lieve tam tam del passaparola trai lettori e quindi alla capacità dello scrit-tore di parlare e farsi ascoltare e capiredirettamente al loro cuore.

Siamo a quattro, dicevamo, conGocce di resina edito da “Bibliotecadell’immagine” di Pordenone. Corona èpassato dai racconti che caratterizzava-no i suoi lavori precedenti a una formapiù stringata e fulminante di narrazione,una paginetta e poco più per ogni capi-tolo, a descrivere fatti, personaggi,situazioni sempre legati a Erto, alla suavalle, ai suoi boschi, animali, montagnee abitanti. Sono una sessantina i branidi quest’ultima raccolta, veloci e ficcan-ti come schiocchi di fionda: infatti il libroavrebbe dovuto intitolarsi nelle primeintenzioni dell’autore proprio 61 schioc-chi di fionda. Questa dimensione brevis-sima però non mi sembra giovi allascrittura ed al racconto di Corona: trop-po poco approfonditi i personaggi, lesituazioni, gli ambienti, tanto che inalcuni casi le vicende raccontate sem-brano già note, già viste o lette da qual-

che altra parte, riferite ad altre situazio-ni, o forse già vissute da ciascuno deilettori, quasi archetipi di maldobrie.Credo che il racconto lungo sia più indi-cato alle corde di Mauro che ha nel suoDNA, come ho già avuto modo altrevolte di dire, il gene di secoli di narrato-ri di storie straordinarie dette nelle lun-ghe sere d’inverno quando le famiglie siraccoglievano nel luogo più caldo eaccogliente della casa, la stalla, per farei piccoli lavori tutti assieme, nel tepore.C’era sempre qualcuno che, antesigna-no di radio e televisione, allietava edistraeva l’uditorio. È questo il caricoche Corona si porta nello zaino e che ècapace di dispensare, assieme alla suaarte di scultore ligneo. Troppo facile eriduttivo relegarlo a folletto dei boschi.Corona è memoria, tragica e dolorosa,dalla stracitata ma mai abbastanza tra-gedia del Vajont, a procedere a ritrosonel tempo e nella vita di quei monti equelle valli dimenticate dagli uominisicuramente e probabilmente anche daDio.

Ben vengano allora anche questiracconti brevissimi se servono ad avvi-cinare nuovi adepti alla magia del libro.Il lettore più navigato e smaliziatoaspetta con fiduciosa ansia invece ilNostro alla prova più importante delromanzo che già si annuncia per laprossima stagione per i tipi di un impor-tante editore nazionale.

(M.M.)

D evo confessarlo, non avevomai letto I Bruti di ValRosandra. Eppure è l’operaprima e più celebrata di un

autore locale, di un autentico pezzo distoria dell’alpinismo qual è Spiro DallaPorta Xydias. Il fatto che il libro fosseesaurito fin da poco dopo la sua primauscita, negli anni cinquanta, non è cer-tamente una buona giustificazione. Loavrei potuto facilmente reperire tra ivolumi della biblioteca sezionale. No,solamente pigrizia. Poi, il fatto di avercomunque letto altre cose di Spiro, diaver sentito parlare o letto commenti suquel libro me lo facevano dare peracquisito.

È una bella sorpresa rivederlo inlibreria, accattivante fin dalla copertinacon la bella foto di gruppo, di un gruppodi giovani allegri che scherzano e sidivertono, forti, abbronzati, spensierati:i Bruti.

Fu una sorpresa anche allora, allaprima uscita, questo libro di un autorepressoché sconosciuto che vinse il“Premio Cortina”. Portava nei libri digenere una visione nuova, non sola-mente l’autore protagonista ma un inte-ro gruppo di amici, un microcosmo, laVal Rosandra, un modo di vivere l’ar-rampicata e la montagna, ed un periodocon lampi di luce solare e sfolgorante esciabolate di gelido, tragico, drammati-co buio.

L’Italia usciva sconfitta e a pezzi dauna guerra sciagurata ma aveva vogliadi ritornare a vivere, anche sui monti,sulle pareti, sulle cime. A Trieste le feri-te erano forse più profonde che altrove.Letto con gli occhi di oggi questi dueaspetti, il prima e dopo la guerra,appaiono netti. Spiro ci fa rivivereappieno quei sentimenti, di spensiera-tezza troppo presto spazzata via, diamore e amicizia per una vita, per degliuomini, dei ragazzi costretti a scegliere,a crescere velocemente.

C’è nostalgia nelle pagine de I Brutidi Val Rosandra e tanto amore. Amoreper la montagna, letto oggi forse appa-re un po’ ingenuo nella estrema since-rità, ma soprattutto per gli amici, i com-pagni di scalate, di avventure, di vita. È

un percorso di crescita che si sviluppaattraverso le pagine, dai primi maldestritentativi, alle ripetizioni, alle vie nuove,passando per gioie e drammi, perdite,allontanamenti, ritorni. Ho scoperto diessere arrivato in fondo al libro senzaaver badato molto all’aspetto alpinisticodel racconto, ed è proprio questo cheme lo ha fatto ammirare di più. Spiroparla di uomini, di amici, di carne viva, ene parla liberando i sentimenti, metten-doli in primissimo piano.

È un lungo apologo dunque I Brutisull’amicizia, sull’amore, sulla vita, intri-so sì di dolore e dramma (ma non lo èforse la vita?) ma con la speranza nelfinale. Spiro ritrova il caro amico EzioRocco. La vita ricomincia, va avanti,senza dimenticare. Quel gruppo, queiragazzi, quei momenti non ci sono più,chi inghiottito dalla fornace bellica deldio Marte, chi immolato alle vette, chiportato via semplicemente dalla vita,ma la montagna rimane e rimane lamemoria. Rinasce allora la voglia e ildesiderio di ricominciare, di continuareil cammino, con nuovi amici, con altricompagni. E Spiro è ancora qua che celo indica.

(M.M.)

A. Fornari LLaa vvooccee ddeell SSiilleennzziioo:: iittiinneerraarriissuu sseennttiieerrii ddii gguueerrrraa iittaalliiaannii eedd aauussttrriiaacciinneellllaa VVaallllee ddii LLaannddrroo ee nneell GGrruuppppoo ddeellCCrriissttaalllloo,, Edizioni Grafica Sanvitese,1998, 100 pagine.

A. Fornari LLaa ssccaallaa ddeell cciieelloo:: ssuullllee vviiee ddiigguueerrrraa iinn RReeggiioonn PPooppeerraa ee nneell GGrruuppppooddeeii TTrree SSccaarrppeerrii,, Edizioni GraficaSanvitese, 1999, 158 pagine.

A. Fornari LLoo ssppiirriittoo ddeell VVeennttoo:: ddaallMMoonnttee EEllmmoo aall MMoonnttee PPeerraallbbaa ccaavvaall--ccaannddoo ssttoorriiee ddii gguueerrrraa ee mmoonnttaaggnnaaaattttrraavveerrssoo llaa DDoorrssaallee CCaarrnniiccaaOOcccciiddeennttaallee,, Edizioni Grafica San -vitese, 2001, 141 pagine.

Marileno Dianda SSccii EEssttrroossoo,, ed.C.D.A., pag. 126, �8.78.

Pier Vittorio Vignazia LLaa MMoonnttaa’’aarriiaa,, ed.Mazzanti.

G. Carbonetto e L. Santin OOssccaarr SSoorraa --vvii ttoo UUnnaa vviittaa iinn mmoonnttaaggnnaa,, I.T.C.Editore in Udine, 2001 - �14,50.

Mauro Corona GGooccccee ddii rreessiinnaa,,Edizioni Biblioteca dell’Immagine, pag.141 Lit. 20.000.

Spiro Dalla Porta Xydias II BBrruuttii ddii VVaallRRoossaannddrraa,, ed. NORDPRESS - CampoBase, pag. 180 + 48 foto b.n. - �18,50.

10 Alpinismo goriziano - 1/2002

S. Maria di Trenta in altri tempi.

I lettori ci scrivono

Scusa Rudi

Una doverosarisposta Qualcosa che brucia

H o pubblicato 27 libri, e questopuò dare l’idea del numero direcensioni che mi sono statefatte. Per principio non ho mai

voluto entrare in merito a quanto sidiceva su di me: solo una volta sonointervenuto a difesa del buon nome diEmilio Comici attaccato in modo falso evolgare.

Oggi mi vedo obbligato a fare unaseconda eccezione per quanto dettoda Rudi Vittori nel suo articolo “Scusa,Manuela”. Neanche ora voglio com-mentare il tono ed il contesto di questarecensione - anche se mi pare che daparte di un “amico” si poteva sperarenel rispetto per chi ha fatto di questolibro una ragione di vita (Manuela) e dichi ha profuso forze ed energie perdare vita al volume.

Ma una cosa non posso tollerare,ed è la frase “I suoi appunti sono statistravolti, i suoi scritti ritoccati, enfatiz-zati, caricati di pathos”.

Queste sono affermazioni del tuttogratuite, false, grottesche. Il grossolavoro di Manuela e mio è consistito pro-prio nel mantenere intatto, nella forma enel costrutto, quanto scritto da Mauro.

Del resto la prova morale di questamia asserzione sta proprio nelle primeparole con cui Manuela inizia la presen-tazione del libro nelle varie serate orga-nizzate: “Questo non è un libro perMauro, ma il libro di Mauro”.

E checché ne possa pensare ilsignor Vittori, nessuno in questo puòessere migliore giudice di Manuela.

Un’ultima osservazione: se il libro èun tale fallimento, con una prefazione“...onesta, ma niente più...”, pubblicatoin “... un volumetto editorialmentepovero ...”, come mai in meno di unmese è stata esaurita totalmente laprima edizione?

Ringrazio per l’ospitalità

Spiro Dalla Porta - Xydias

H o sempre letto con interesseAlpinismo Goriziano e, qualsia-si sia stato l’argomento tratta-to, ne ho sempre ricavato inte-

resse e piacere. Non è stato così in que-sta fredda giornata di fine anno. Un arti-colo, a dir poco infelice, mi ha rattrista-to e mi ha spinto a scrivere questepoche note.

Ricordo due personaggi chemescolavano cibi di diversa consisten-za e sapore, come pure il vino, in unsolo recipiente e ingurgitavano tuttocon grande soddisfazione. Uno eraAnton Toæbar, la guida trentana di Kugyche poteva mangiare solo così perchéun orso gli aveva strappato la mandibo-la. L’altro si chiamava “Telo”, e lo face-va per non perdere tempo: aveva trop-po da fare nella sua braida.

Ora io vorrei conoscere quali moti-vazioni abbia avuto l’autore di “Ciurlarenel manico”, l’articolo apparso nelnumero di dicembre di AG, per mangia-re e poi sputare nei nostri, e quindianche nel proprio piatto, quella sbobbainfarcita di verità già ampiamente asso-date e da colossali sciocchezze.

Intanto, “ciurlare nel manico”,secondo il dizionario De Agostini, signi-fica “sottrarsi a un impegno con tenten-namenti e raggiri”. Inserita così com’ènel testo, al condizionale, l’espressionepuò passare quasi inosservata ma sbat-tuta a grandi caratteri in prima paginanon è accettabile e denota una gravemancanza di misura e di rispetto neiconfronti di tutti i frequentatori dellasede di Gorizia del Club Alpino Italiano.Se vuol essere una provocazione, il lin-guaggio usato è perlomeno iniquo; incaso contrario, si devono citare fatti ecircostanze.

A cominciare dalle affermazioni diPaolo Lombardo su quanto riguarda il

maggior senso di responsabilità, moltoè da discutere. Sappiamo che le notiziefornite dai media su avversità e inciden-ti accaduti in montagna sono redattegeneralmente da cronisti scarsamenteedotti sulla nostra materia prediletta,tanto che le inesattezze sono all’ordinedel giorno. Che spesso si punti al sen-sazionalismo e ad accrescere la tiraturaprima di ogni altra cosa è pure risaputo,ma ciò sicuramente non influisce sullafrequentazione, velleitaria o meno, dellamontagna. Una cosa è certa: non homai letto un testo nel quale un giornali-sta definisca delle persone “deficientimaldestri”, “scriteriati incoscienti”, nétantomeno “minus habens”. Semmai:turisti, escursionisti e alpinisti incauti,inesperti o sfortunati. Che la nostrasezione, poi, favorisca il proliferare disprovveduti cercatori di guai è falso eoffende tutti quelli che si danno da fare,o si sono dati da fare nel passato.

Certo, qualcuno potrebbe volere unCAI costituito da una élite di grandi alpi-nisti ed esploratori, specchio di unasocietà formata soltanto da gente per-fetta, come auspicava il famoso o fami-gerato personaggio che voleva unarazza superiore a guidare i destini delmondo dopo aver provveduto all’estin-zione di tutti i “minus habens”. Tale per-sonaggio è però scomparso, per fortu-na, soffocato in un profumo di mandor-le amare.

Vediamo adesso questo testuale“improvviso giustificazionismo” di certigenitori di fronte alle “stupide bravatedella loro stolta progenie”. Che vi sianoanche genitori iperprotettivi e scarsa-mente obiettivi non ci piove sopra, maio raramente ho sentito difendere l’ope-rato dei figli in errore da parte di paren-ti consci e aggiornati, e ciò in qualsiasiambito sia avvenuto il fatto o il fattaccio.

A pro Alpinismo Goriziano eleggo la recensione di RudiVittori al libro “Il mio sciestremo” di Mauro Rumez.

Sapevo che non ne condividevaalcune impostazioni per una prece-dente conversazione telefonica inter-corsa tra noi: ciò nonostante rileggocon cura e rimango deluso, profon-damente.

Mi convinco quindi che è beneprendere in mano una penna perrispondere e spiegare ciò che Rudinon è stato in grado di capire.

Non è un “volumetto editorial-mente povero” per il semplice fattoche non è stato pensato e realizzatocon l’intenzione di creare un best-seller letterario, ma come dono dafare a Mauro per ricordare impreseche nessuno ha mai pensato fossenecessario ricordare, è un regalofatto a tutti coloro che non sono staticosì fortunati da conoscerlo di per-sona nella sua grande umiltà e nelsuo essere genuino e semplice.

Non c’era l’intenzione di renderloun “superbo supereroe” e franca-mente non mi pare che il libro ne diaquesta immagine, ma quanto è statofatto da Mauro resta pur sempreimpresa alla portata di ben pochi, lasi consideri come tale o la si presen-ti come faceva lui alla stregua di unaqualunque sciata sui campetti diValbruna; non mi pare che tutto que-sto “pathos enfatizzante”, che Maurotanto avrebbe detestato, lo trasformiin un personaggio difficile da incon-trare. È semplicemente il modo divivere e descrivere questa esperien-za di Spiro Dalla Porta Xydias, che diMauro aveva la massima stima, che

amava Mauro dal momento in cui neaveva colto l’essenza del suo essereuomo, alpinista, sciatore dell’estre-mo e che quindi ha ritenuto un onorededicare il suo tempo a questoragazzo, aiutando Manuela a portareavanti questo progetto.

Credo perciò di poter dire sere-namente che questa era l’unica cosache andava tenuta presente nelmomento in cui ci si apprestava aleggere e commentare questo lavoro,non il proprio personale bisogno dirileggere le righe invece di riguardarele immagini o di convincersi che laprosa usata fosse quella più giusta,pretendendo di “aspettarsi qualcosadi più”, perché per arrogarsi questodiritto bisognava partecipare, contri-buire, soprattutto se si era nellaprofonda convinzione che si sarebbepotuto fare meglio, che si sarebbestati veramente capaci di presentareMauro per quello che era.

E nel tuo titolo, caro Rudi, c’è giàqualcosa che non va: non è aManuela che devi chiedere scusa,ma a Mauro stesso, alle persone cheil libro lo hanno acquistato perché èprima di tutto il ricordo di un amicoche praticava il suo sci estremo congioia facendo sentire fra le righe diquesto libro, per tua stessa ammis-sione “Il rumore delle sue lamine cheancora una volta incidono la nevedura del pendio”.

Credo che Mauro sapesse già dimeritare quanto questo libro hadimostrato: l’amore indiscusso dimolti, la stima di tutti.

Franco Toso

Alpinismo goriziano - 1/2002 11

C amminiamo affiancati lungo losterrato che si interna nella fore-sta. Anton sa poche parole d’i-taliano e io di sloveno, ma lui è

stato dieci anni in Australia e così riu-sciamo a comunicare nella lingua globa-le che non è né la sua né la mia. Pureognuno dei due cerca di fare fruttarequel poco che sa della lingua dell’altro ecredo che faccia piacere a entrambiquesto venirsi incontro, anche se claudi-cante e monco. Improvvisamente lui cifa svoltare a destra, seguendo una trac-cia scavata da qualche trattore diboscaioli. “Passano dappertutto coi loromaledetti bulldozer e squarciano la fore-sta” mi dice con una smorfia.

Non so perché proprio questa voltami sono messo in testa di scoprire dovesi trovasse di preciso il Debela Jelka, l’a-bete bianco gigante che costituì unadelle attrattive della Selva di Ternova eche da tanto tempo so non esistere più.Molti anni fa, quando cominciavo a fre-quentare queste zone, restava ancora ilcartello di un’area da picnic appena fuoriNemci (quattro case circa a metà stradatra Ternova e Loqua) colla scritta“Debela Jelka”. Da qualche anno èscomparso anche quello. Ma oggi, men-tre passavo in auto da Nemci, ho vistouna donna che stava nel suo orto, misono fermato, ho chiesto. Lei non si èstupita della domanda ma non parlandonessuna lingua oltre lo sloveno mi hafatto capire di attendere suo marito chesa l’inglese: lui mi avrebbe portatosenz’altro a vedere quel che resta del-l’albero.

Ora camminiamo sul sentierino checongiungeva Nemci all’abete, costruitodagli austriaci nel 1882, in occasionedella visita che il sostituto imperialeHohenlohe fece alla selva giungendo daTrieste. Si notano ancora le pietre delterrapieno e qualche gradino. Stiamopassando sotto abeti giganteschi, altioltre quaranta metri. “Alcuni di questisono diventati alti come il Debela Jelka”dice Anton “ma non potranno diventarealtrettanto grossi perché il terreno ormaiè impoverito.”

Il sentierino sale un pendio, attraver-sa un’altra pista di trattori e sbuca sottoun costone, una scarpata alta 5 o 6 metriintaccata da una specie di ampia nic-chia. Ci fermiamo. “Qui c’era l’abete. Eraalto 46 metri e con un diametro di quasidue. Guarda, ecco” mi fa Anton indican-domi un grosso brandello d’albero chemarcisce poco distante “quella potreb-be essere una parte del Debela Jelka.”

Poi continua a raccontarmi come l’albe-ro prese a seccarsi alla fine degli AnniTrenta, quando un fulmine ne schiantò lapunta minore (infatti ne aveva due) e daquello squarcio penetrò l’acqua chefece lentamente marcire il tronco. Nel1949 era morto e pochi anni dopo labora ne spezzò il tronco. Rimase unmoncone alto più di otto metri che sicercò di salvare chiudendolo in cimacon una protezione in legno, ma fu tuttoinutile e col tempo anche quello si sfaldòcompletamente. “Io non l’ho mai vistovivo” dice Anton “ma me lo ricordo giàspezzato dalla bora” e poi col piedescava un po’ il punto dove sorgeva ilceppo e mi mostra che lì non c’è terrenoma un impasto di legno rossiccio: ilDebela Jelka prosegue nella sua lentis-sima dissoluzione.

Debela Jelka, uno dei nomi fantasti-ci che mi incantavano quando salivoall’altipiano da ragazzo: alla fine l’ho tro-vato. Intanto Anton prosegue a raccon-tarmi di altri alberi notevoli nel ternovanoe della storia dell’abete gigante, di comesi fosse salvato dal taglio (abeti vicini,altrettanto grandi, finirono come alberida vascello) proprio perché aveva duepunte e per la sua età, stimata in circatre secoli. Io intanto guardo intorno efaccio qualche domanda. C’è qualcosadi misterioso e affascinante in questoluogo, quasi come se il fantasma del Redella Foresta (come venne chiamato l’a-bete durante il regno italiano) ancorapersistesse tra la penombra di questafolta pineta.

Quando torniamo verso la casa diAnton ormai quasi imbrunisce; ci salutia-mo con la mia promessa di rifarmi vivo econ la sua di farmi parlare col suoceroche sa tante cose sul Debela Jelka esulla foresta. Non so perché ma, scen-dendo verso Gorizia, mi torna in menteun brano della vita di Carlo Magno lettaal liceo. In una delle sue più sanguinosecampagne contro i Sassoni Carlo decisedi abbattere Irminsul, una querciaimmensa nella quale i nemici ponevanola radice della propria forza. E mentre,sconfitti i Sassoni, gli armigeri di Carlo siaccanivano a squarciare e scalzare l’al-bero gigante il futuro imperatore guarda-va e piangeva vedendo le sue stesse ori-gini, la sua più intima natura di barbaro,di adoratore delle forze naturali, scom-parire con Irminsul, sacrificate a undestino più vasto ed eterno ma cosìdolorosamente vive nel suo cuore difranco.

Stavoli Chiampeis (Lovea - Val Chiarzò)

Antiche tracce

Il re della selvadi LUCA MATTEUSICH

Questione di stiledi MARKO MOSETTI e MAURO GADDI

Per quanto riguarda l’incidente cheprobabilmente ha ispirato il suddettoarticolo, molti di noi hanno stigmatizza-to l’evento ma, soprattutto, hanno cer-cato di esaminare assieme ai tre malca-pitati la vicenda e di indicare loro i com-portamenti da tenere in futuro. Le criti-che che, generalizzando, il nostro cen-sore indirizza a tutto il sodalizio gorizia-no, dovrebbero invece andare a coloroche, sul piano pratico, hanno fatto trop-po poco per una migliore riuscita deivari corsi.

Su questo argomento si discute dalungo tempo, però possiamo affermareche non bastano cinque-sei sedute inpalestra di roccia per preparare futurialpinisti. Neppure cinque - sei gitedomenicali su rilievi più o meno erbosisono sufficienti per fare un buon escur-sionista. Se si vogliono ottenere miglioririsultati, bisogna prendere per manoquesti neofiti e sacrificarsi a portarli inmontagna, impartendo sul campo lelezioni che né l’aula né la palestra pos-sono dare. La selezione alla fine ci saràma naturale, senza ingiustizie palesi etraumi psicologici per gli inespertiappassionati della montagna.

Questo obiettivo richiede la massi-ma dedizione al CAI e alle sue iniziativedidattiche da parte dei soci più esperti.Quanti, dovendo trascurare impegniaffettivi, di studio, di famiglia, dovendomodificare orari e turni di lavoro o repe-rire il tempo da dedicare a un’adeguatapreparazione non si scoraggiano e sieclissano? Quanti sanno di essere por-tati all’insegnamento o ne posseggonoveramente le basi? Cosa può fare unConsiglio Direttivo quando, terminati icorsi, alcuni istruttori formano cordate egruppi esclusivi per puntare a mete piùappaganti, coinvolgendo forse il migliorallievo o la bellona di turno?

Perché allora scandalizzarsi sealcuni giovani, desiderosi di avventura,vanno a impelagarsi sul difficile e, fortu-natamente, sono in grado di chiamareaiuto? Se esiste qualcosa che non vanel CAI ci sono delle ragioni precise, emolte colpe sono da addebitare a colo-ro che si limitano a pontificare.

Ci sarebbe da dire anche sulla tesidella montagna da adibire a “riserva peruna élite” ma il discorso diventerebberipetitivo. Non è che certe affermazionisiano verità assolute perché espresse

da coloro che sono considerati i “gran-di vecchi”. Altra cosa discutibile è l’af-fermazione secondo la quale il direttivodella sezione dovrebbe conoscere per-fettamente i propri soci per poter indi-care ai capigita designati le modalitàdella loro gestione durante le escursio-ni. La verità è una sola: la sede è fre-quentata da non più di venti personeper serata su circa 1300 soci.

Nella serata di presentazione dellagita si arriva a stento alle trenta personele quali, una volta iscritte, hanno unagrande premura di andarsene per i fattiloro. Molti dei conduttori designati perle gite dell’anno non si vedono mai; nonpossono pretendere quindi che ilDirettivo levi loro le castagne dal fuoco.Per conoscere i soci bisogna frequen-tarli!

L’ultima “chicca” è l’indicazionedogmatica di come debba essere costi-tuito il Consiglio Direttivo di Sezione ecome l’avvicendamento e la dialetticafra i vecchi e i giovani debbano essernegli elementi fondamentali. Su ciò ilnostro riformatore ha scoperto l’acquacalda perché, essendo egli stato un gio-vane vicepresidente, dovrebbe ricorda-re quali difficoltà si incontrino ad anda-re oltre una gestione, come egli dice,fatta di “minimalismo e di pedissequaordinaria amministrazione” e a reperiregente disposta a impegnarsi in unvolontariato sempre più stressante.Meno che mai si trovano giovani.Ricordo che diversi di quelli che in pas-sato sono stati nel Consiglio Direttivonon si sono proprio distinti per spiritod’iniziativa e per disponibilità a compie-re qualche sacrificio per il trionfo delleproprie idee. Era ed è più facile daredelle colpe ai “boiardi di sezione” chefrequentare la sezione stessa. In fondo,forse al nostro Solone è solo scappatala penna nell’invitarci a meditare.

Forse se avesse anche lui meditato,non ci avrebbe infastidito con una pre-dica strasentita e forse si sarebbe ricor-dato che quei “cortigiani intriganti”,quando sono stati chiamati alle mansio-ni istituzionali della sezione, lo hannofatto con entusiasmo e spirito di sacrifi-cio, con educazione e tatto, con il sensodella misura di chi deve dare qualcosaagli altri e non mettere in mostra sestesso.

Seguono venti firme

È nostra opinione che Alpinismogoriziano debba continuare adessere un giornale letto edapprezzato - in provincia e non

solo - da tutti coloro che amano la mon-tagna, senza scadere, come magariqualcuno vorrebbe, in una sorta dibacheca o zibaldone sezionale. Forti ditale convinzione, si è sempre ritenutoche gli argomenti trattati di volta in volta- nessuno escluso - dovessero innanzi-tutto rispondere ad un comune denomi-natore: lasciare alle sedi competenti ladisamina e la discussione delle proble-matiche che riguardano nello specificola sezione del CAI di Gorizia. Ciò per unaquestione di rispetto nei confronti diquei lettori che non intendono indulgerenel pettegolezzo o nella sterile quantopretestuosa polemica, ma che, all’oppo-sto, preferiscono essere informati inmerito a problematiche di più vastorespiro che si riferiscono al mondo delverticale con tutto ciò che gli sta attorno.

Con assoluta adesione a questiprincipi deontologici è stato pure con-

cepito Ciurlare nel manico, articolo diapertura dello scorso numero diAlpinismo, che ha dato motivo ad un“gruppo” di soci di inviare alla redazio-ne del giornale la lettera che qui si pub-blica per intero e che lasciamo giudica-re ai nostri cortesi lettori. Ci piace tutta-via ricordare agli estensori di tale letterache se il dissentire con garbo, ironia epacatezza dalle opinioni altrui rappre-senta il sale di ogni moderna democra-zia, altro è fare uso di una dialettica vio-lenta ed autoritaria di stampo oscuranti-stico, che non può che destare timori epreoccupazioni nei confronti di coloroche hanno a cuore il futuro del CAI. Ainostri zelanti bacchettoni, anche acosto di “infastidirli” nuovamente, vor-remmo dedicare le parole del Poeta,affinché ne facciano tesoro: “[....] nonpur a me danno superbia fè; chè tutt’imiei consorti ha ella tratti seco nelmalanno” (Purgatorio, XI,67-69).Meditate gente, meditate (ma in silen-zio).

12 Alpinismo goriziano - 1/2002

I l tanto atteso Corso di escursioni-smo avanzato per i soci che hannosuperato brillantemente il Corso diescursionismo di base del 2001 e

per tutti gli appassionati che intendonoacquisire, oltre ad ulteriore esperienza, lenozioni fondamentali per affrontare insicurezza percorsi “escursionisticamen-te” difficili senza doversi assumere glioneri della meravigliosa, ma impegnativaarrampicata classica, si effettuerà neimesi di maggio e giugno 2002. Sono pre-viste 5 lezioni teoriche, che si svolgeran-no mercoledì 22 - 29 maggio e 5 - 12 - 19giugno, dalle ore 21.00 alle ore 22.00 -22.30, presso la nostra sede sociale diVia Rossini, 13 - Gorizia. Le lezioni prati-che, costituite da uscite in palestra diroccia ed escursioni in montagna, avran-no luogo nella domenica del 26 maggioed in quelle del 2 - 9 - 16 - 23 giugno2002.

Per poter partecipare al corso ènecessario essere in possesso della tes-sera aggiornata del Club Alpino Italiano edi un certificato medico attestante l’ido-neità fisica per attività sportiva non ago-nistica. Gli appassionati che non fre-quentano la nostra sede sociale, che nonpartecipano alle escursioni organizzatedalla nostra sezione e che quindi nonpossono essere conosciuti, né valutatidagli organizzatori, dovranno dimostraredi essere in possesso di una esperienzaescursionistica adeguata e tale da noncompromettere il regolare svolgimentodel corso. Allo scopo, al momento dellapresentazione della domanda d’iscrizio-ne dovranno specificare agli organizza-tori l’attività svolta in montagna e compi-lare un’apposita schedina - curriculum.

Le difficoltà tecniche che si affronte-ranno durante le escursioni saranno deltipo:EE = escursionismo per espertiEEA = escursionismo per esperti conattrezzature (sentieri attrezzati con cordefisse - vie ferrate, ecc.)Percorsi d’alta montagna con passaggidi 1° grado su roccia e qualche breve tra-versata su sentieri innevati.

Nelle uscite pratiche si prevedono iseguenti itinerari:Palestra di roccia “LE ROSE D’INVER-NO” - Val Rosandra - TriesteCRETA DI AIP - via normale da sud - AlpiCarnicheMonte CIMONE DEL MONTASIO - AlpiGiulie OccidentaliMonte AMARIANA - da nord - AlpiCarnicheMonte MALA MOJSTROVKA - Ferratadel versante settentrionale.

Questi itinerari non sono definitivi.Essi potranno subire delle variazioni inrapporto alle condizioni meteorologichedel momento ed all’approvazione daparte della Commissione Centrale perl’Escursionismo. Lo stesso dicasi per lelezioni teoriche, ma in linea di massimaesse non potranno discostarsi daiseguenti argomenti: preparazione fisica -equipaggiamento - materiali - alimenta-zione - caratteristiche principali dell’atti-vità escursionistica avanzata - cartogra-fia - orientamento - meteorologia - primosoccorso - soccorso alpino - tutelaambiente montano - organizzazionedelle escursioni - rischi e pericoli dellamontagna - progressione sulle vie ferra-te e sui sentieri innevati - fotografia inmontagna.

La programmazione del corso saràcomunicata in tempo utile agli appassio-nati tramite la stampa locale, condepliant distribuiti nella sede del sodali-zio e con locandine esposte nelle bache-che sociali e nei luoghi convenzionati.Per ogni ulteriore informazione gli orga-nizzatori sono a disposizione degli inte-ressati ogni giovedì, dalle ore 21.00 alleore 22.00, presso la sede della sezione.

Lettera ai socidi FRANCO SENECA

Foronon del Buinz 24 luglio 1988

AAllppiinniissmmoo ggoorriizziiaannooEEddiittoorree:: Club Alpino Italiano, Sezione diGorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia.DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee:: Fulvio Mosetti.

SSeerrvviizzii ffoottooggrraaffiiccii:: Carlo Tavagnutti.SSttaammppaa:: Grafica Goriziana - Gorizia 2002.Autorizzazione del Tribunale di Gorizia n.102 del 24-2-1975.

LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDII QQUUAALLSSIIAASSII AARRTTIICCOOLLOO ÈÈ CCOONN--SSEENNTTIITTAA,, SSEENNZZAA NNEECCEESSSSIITTÀÀ DDII AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE,,CCIITTAANNDDOO LL’’AAUUTTOORREE EE LLAA RRIIVVIISSTTAA..

Corso di escursionismo avanzatodi BENITO ZUPPEL

A bbiamo iniziato il nuovo annocon un Consiglio Direttivo rinno-vato ed i nuovi Consiglieri sonogià disponibili e attivi nelle ini-

ziative della Sezione. Sì, perché l’atti-vità sezionale in questo inizio d’anno èparticolarmente importante! Siamo tutticoinvolti, consiglieri e collaboratori,nella preparazione dell’attività didatticapropedeutica all’attività di montagna. Ilprogramma per i giovani, Montikids, èin fase di ultimazione e si prevede di ini-ziare in aprile sotto la guida di AndreaLuciani e di Giovanni Penko; ad Andreavanno le nostre congratulazioni per ilconseguimento del titolo ufficiale diAccompagnatore giovanile rilasciatoglidal Consiglio Centrale e l’augurio di unaproficua attività con i giovani e nellaprogrammazione dell’attività. Altrettan -to impegno è necessario per il corso diEscursionismo avanzato, in programmaper giugno; per il corso, che richiede unparticolare coinvolgimento organizzati-vo, sono stati attivati anche la Scuolaisontina di alpinismo ed il Gruppo alpi-nistico sezionale che interverranno conla loro esperienza specifica. Non èsuperfluo ripetere che l’impegno degliistruttori ed aiuto istruttori è notevole,ma anche che una loro numerosa pre-senza servirà a ridurre l’impegno deisingoli nelle cinque uscite previste. IlCorso sarà diretto da un Accompagna -tore di escursionismo della SezioneXXX Ottobre di Trieste. Un particolareringraziamento va a Marino Furlan cheper anni ha profuso il suo impegno perla riuscita dei corsi. Per il futuro speria-mo di contare su due o forse anche trenuovi Accompagnatori di escursioni-smo; disponiamo infatti già di possibilicandidati da inviare ai corsi di forma-zione previsti. A chi fosse interessatoricordo anche che presso la sede siaccettano le iscrizioni al Corso di roc-cia, organizzato come sempre dallaScuola isontina di alpinismo, che siterrà in maggio. Tutte le notizie neces-sarie sui Corsi citati sono disponibilipresso la sede sociale. L’attività escur-

sionistica prosegue ininterrotta ed intutte le gite sociali, per ora solo conmezzi propri, abbiamo rilevato una fortepresenza di partecipanti; questo ècerto segno di gradimento per i pro-grammi escursionistici e per la sceltadelle mete. Per competenza giro lanotizia alla Commissione gite, che è giàall’opera con il programma del 2003 eche è in attesa delle proposte di gite daparte dei soci. Tuttavia c’è qualcosache non torna in questa grande parteci-pazione alle gite con mezzi propri;quasi sempre si è notato che ad uncerto numero di soci iscritti alla gita ècorrisposta la presenza quasi doppia dipartecipanti. Ciò significa che molti nonintervengono alla presentazione dellagita con l’illustrazione delle eventualidifficoltà e che le loro capacità nonsono note ai capigita; si creano così dif-ficoltà logistiche ed organizzative e siappesantiscono le responsabilità degliaccompagnatori. Il calendario delle giteproseguirà, come già sperimentato,con un doppio programma, uno escur-sionistico ed uno di preparazione per lameta di Ferragosto che è il MonteBianco; quest’ultima richiede ovvia-mente un buon allenamento fisico eduna adeguata conoscenza di tecnica edi materiali. Un positivo riscontro si èavuto con il Corso di sci di fondo che siè tenuto nonostante molte incertezzesulla consistenza della neve sulle piste;meno positivo, per gli stessi motivi, ilbilancio del Corso di scialpinismo, chenon ha trovato spazi e condizioni adat-te per il suo svolgimento. L’attività tut-tavia non si arresta: ci sarà infatti un’u-scita di perfezionamento sui Pireneiorganizzata dal Gruppo alpinistico econ una folta partecipazione. Ricordoinfine l’interessante proiezione che ilnostro socio Paolo Valent ha presenta-to al Liceo Classico sulla sua esperien-za di turismo “avanzato” in Antartide.Un arrivederci all’Assemblea di finemarzo ed un cordiale augurio di BuonaPasqua.

Un secolo di istanti

Iscrizioni

S ono in corso le iscrizioni per l’an-no sociale 2002. Le nuove quote,stabilite in sede di Assemblea,sono: soci Ordinari 31,00 Euro,

Familiari 15,50 Euro e Giovani 10,50Euro. Sono soci Giovani i nati nel 1984ed anni successivi. La Segreteria è adisposizione per le iscrizioni il giovedìdalle ore 21 e, solo fino al 31 marzoprossimo, anche il martedì dalle 18.30alle 19.30. Si ricorda che la coperturaassicurativa e l’invio delle pubblicazionisono assicurati solo fino al 31 marzo. Siinvita a comunicare tempestivamente icambi di indirizzo per la continuità nel-l’invio delle pubblicazioni. Per chi nonpotesse rinnovare l’adesione presso laSede mettiamo a disposizione il c/cpostale n. 11588498 o il c/c bancario n.20003515/1 presso la Sede della Cassadi Risparmio di Gorizia intestati allanostra Sezione. Il pagamento del cano-ne per il 2002 presuppone la regolarità diiscrizione anche per gli anni precedenti.