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Corso di Laurea in DAMS – Curriculum MusicaTesi di laurea in Storia della musicaRelatrice: Dott.ssa Elisabetta PasquiniPresentata da: Daniele PiccoliIII sessione – Anno Accademico 2010/2011
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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di Laurea in DAMS – Curriculum Musica
Musica e media digitali. Distribuzione, fruizione
e manipolazione della musica nell’era digitale.
Tesi di laurea in Storia della musica II
Relatrice
Dott.ssa Elisabetta Pasquini
Presentata da
Daniele Piccoli
III sessione – Anno Accademico 2010/2011
Questa opera è rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.
INDICE
3 Introduzione 6 Capitolo I MEDIA DIGITALI E DISTRIBUZIONE MUSICALE 6 Il passaggio da analogico a digitale 9 Musica liquida e MP3 12 File sharing e distribuzione digitale 16 Open Music Model, streaming e Cloud music 20 Capitolo II MEDIA DIGITALI E FRUIZIONE MUSICALE 20 Atomizzazione della testualità e generi musicali 24 Logica del database, compilation e playlist musical i 27 La musica come colonna sonora personale: Walkman, iPod e telefonia 33 Capitolo III MEDIA DIGITALI E MANIPOLAZIONE DEI CONTENUTI 33 User-generated content e podcasting 36 Creatività come processo, sampling e remixing 39 Conclusioni 41 Bibliografia
3
I n t r o d u z i o n e
I lay on my back and scan the radio
All that comes out my speakers is a steady syrup flow.
Primus, The Antipop
(dall’album The Antipop, 1999)
Inserire un compact-disc nel sistema Hi-fi e programmare il lettore per
proporre unicamente le nostre tracce preferite; aprire il browser del nostro
computer e accedere a uno sconfinato – anche se spesso confuso – database di
brani musicali di ogni genere, forma ed epoca; acquistare canzoni attraverso
iTunes e trasferirle su iPod per poterle ascoltare attraverso l’autoradio integrata
con il nostro lettore MP3. Questi gesti, che nella maggior parte dei casi
appartengono alla nostra vita quotidiana, ci danno il polso della pervasività dei
media digitali nelle nostre abitudini e consuetudini di fruizione dei prodotti
musicali. Una familiarità con strumenti frutto di tecnologie avanzate che sarebbe
stata impensabile fino a pochi anni fa, e che d’altra parte è costituita
dall’evoluzione di pratiche che risalgono alla prima diffusione del consumo di
musica registrata, nella – percettivamente, ma non cronologicamente – remota
epoca del fonografo e del grammofono, dei cilindri di cera e dei dischi di
ceralacca. Lo scopo di questa tesi è dunque analizzare i fenomeni collegati
all’utilizzo delle tecnologie digitali di accesso e fruizione della musica e alle
modalità con cui il fruitore di prodotti musicali si rapporta con queste tecnologie.
Nota metodologica
Analizzare il complesso sistema di fenomeni, consuetudini e innovazioni che
circonda i media digitali non è compito semplice né privo di ostacoli. Un
potenziale fattore di debolezza dell’esame è costituito dall’evidente difficoltà di
conciliare la vertiginosa evoluzione dei nuovi media, per loro natura e struttura
inclini a rapide e repentine innovazioni, con la sostanziale staticità di una
4
trattazione cartacea. Il pericolo è in buona parte arginato da una constatazione
che emerge dai singoli argomenti qui sviscerati: la maggior parte dei fenomeni
riconducibili direttamente o indirettamente all’avvento dei media digitali presenta
evidenti elementi di continuità con le pratiche antecedenti l’introduzione e
diffusione delle tecnologie che hanno reso possibile queste stesse novità. In
quest’ottica vogliamo quindi parlare di evoluzione digitale,1 in netta ed esplicita
contrapposizione alla locuzione più prettamente giornalistica (ma spesso
indebitamente utilizzata nel linguaggio specialistico) di ‘rivoluzione digitale’ .
Sono poi necessarie alcune note sulla metodologia di studio che si è scelto di
seguire allo scopo di delimitare con chiarezza i margini di una trattazione che,
dato l’oggetto di studio, assumerebbe altrimenti le proporzioni di una ricerca
scientifica di dimensioni dottorali, che esula dagli scopi di questo elaborato. La
prima annotazione riguarda l’ambito di ricerca all’interno del sistema
complessivo dei media musicali, qui incentrato sugli stadi della distribuzione e
fruizione musicale in quanto strettamente connessi fra loro e convergenti nelle
pratiche di ricezione e fruizione del prodotto musicale da parte dell’utente finale.
Di conseguenza, lo stadio di produzione musicale, che pure si avvale dei nuovi
mezzi forniti dalle tecnologie digitali, sarà preso in causa unicamente ove
necessario. Una seconda annotazione riguarda l’area geografica (dove l’aggettivo
è da intendere sia nell’accezione propria, sia con riferimento alla geografia sociale
e culturale) presa in esame: abbiamo scelto un approccio complessivo ai
fenomeni analizzati, considerata la natura sempre più globalizzata della
distribuzione musicale e l’omogeneità sovranazionale delle pratiche e
consuetudini di ascolto, specie se si fa riferimento ad una fascia di utenza di età
relativamente bassa (dai quarantenni tecnologicamente attivi ai cosiddetti nativi
digitali) e dislocata prevalentemente nei Paesi in cui l’accesso alle risorse digitali è
1 G. SIBILLA, Musica e media digitali , pp. 36-47.
5
esteso alla maggioranza della popolazione.2 Anche a livello linguistico il criterio è
quello dell’analisi in campo lungo, con alcune necessarie precauzioni: se vengono
qui presi in esame sia l’ambito della musica ‘eurocolta’ sia quello
complessivamente definito come ‘popular music’,3 è tuttavia evidente che queste
due macro-categorie presentino una diversa natura testuale del prodotto
musicale, un differente pubblico di riferimento e una disparità di apertura
all’innovazione tecnologica, indubbiamente più evidente nel contesto popular.
Abbiamo infine ripartito l’elaborato in tre macro-sezioni tematiche, le quali
sono a loro volta suddivise in paragrafi che articolano i singoli punti dell’analisi
complessiva. La prima sezione riguarda le novità introdotte dalle tecnologie
digitali nei modi e canali attraverso i quali la musica viene veicolata dalla fase di
produzione a quella di consumo, con un’ampia parentesi sul concetto di musica
liquida, efficacemente rappresentato dalla tecnologia MP3; la seconda sezione
analizza i cambiamenti che i media digitali hanno apportato alla testualità
musicale e, di conseguenza, alle abitudini e ai modi con cui l’individuo organizza
l’ascolto, anche in mobilità; la terza ed ultima sezione tratta la processualità del
fenomeno creativo, che non riguarda più unicamente la produzione industriale
ma coinvolge l’utente finale in una rielaborazione continua e potenzialmente
infinita dei contenuti musicali, resa possibile dal sempre più esteso accesso alle
risorse tecnologiche storicamente considerate appannaggio dell’industria. In
chiusura troviamo alcune brevi valutazioni conclusive e le annotazioni
bibliografiche.
2 Per una panoramica sulla questione del Global Digital Divide , cioè la disparità di possibilità infrastrutturali di
accesso alle tecnologie digitali tra Paesi sviluppati, in via di sviluppo e del Terzo Mondo, ve di il rapporto
annuale dell’International Telecommunication Union, in http://www.itu.int/ITU-
D/ict/facts/2011/material/ICTFactsFigures2011.pdf.
3 Nell’accezione esposta in R. MIDDLETON, Studiare la popular music, Milano, Feltrinelli, 2007, pp 19-24.
6
C a p i t o l o I
MEDIA DIGITALI E DISTRIBUZIONE MUSICALE
1. Il passaggio da analogico a digitale
Le basi per un’evoluzione in senso digitale dei media musicali risalgono al
1937, anno dell’invenzione della pulse code modulation (lett. modulazione codificata
di impulsi, indicata anche con l’acronimo PCM) da parte dell’ingegnere inglese
Alec Reeves.4 L’intuizione di Reeves è alla base del campionamento, che a sua
volta rende possibile la rappresentazione audio digitale e quindi l’archiviazione e
lo scambio di dati sonori tra sistemi informatici.5 Bisogna tuttavia attendere
l’invenzione del transistor nel secondo dopoguerra perché la ricerca possa
compiere significativi progressi, e pazientare ancora fino agli anni ’80 del
Novecento perché queste tecnologie possano vedere la luce nel mercato musicale
con la commercializzazione del primo supporto audio digitale, il Compact Disc .
La cronologia che possiamo ottenere raccogliendo le date delle varia tappe
dello sviluppo tecnico degli strumenti di cattura del suono è tuttavia puramente
indicativa e non tiene conto della complessità che ci si trova ad affrontare
quando si voglia analizzare l’impatto che questi stessi strumenti hanno avuto sui
modi della fruizione musicale. I fenomeni legati alla diffusione di una particolare
tecnologia non possono infatti essere trattati come avvenimenti delimitati nel
tempo, ma vanno intesi – e di conseguenza analizzati – come processi evolutivi, i
cui effetti si presentano spesso sovrapposti in rapporti di coesistenza, alternanza
e competizione. Possiamo comunque teorizzare, come altri prima di noi6 e con
una buona dose di approssimazione cronologica, una bipartizione della storia
4 T. HILL, Genius Unrecognized , in http://www.bbc.co.uk/programmes/b00zs7v5, 2011.
5 Per una trattazione tecnica del la rappresentazione audio analogica e digitale, vedi V. LOMBARDO, A. VALLE,
Audio e multimedia, 3a ed., Milano, Apogeo, 2008, pp. 40 e succ.
6 In particolare vedi G. SIBILLA, op. cit., pp. 26-32.
7
tecnologica dei supporti musicali in due periodi: analogico e digitale. Questa
suddivisione è accettabile tenendo conto della sovrapposizione e almeno
temporanea coesistenza delle due categorie tecnologiche, nonché dei forti
elementi di continuità che esistono tra le due sfere, soprattutto per quanto
riguarda l’uso che l’utente fa di un dato modello tecnologico. A tutt’oggi
analogico e digitale convivono nelle metodologie di produzione, distribuzione e
fruizione della musica ed esiste una forte e diffusa contrapposizione di natura
ideologica tra i due campi, particolarmente viva fra esperti e appassionati di audio
professionale.7
Possiamo individuare il periodo propriamente analogico nel secolo che va dal
1877, anno dell’invenzione del fonografo di Edison, fino agli anni ’80 del secolo
successivo: questo esteso periodo è caratterizzato dalla progressiva diffusione dei
supporti fonografici fisici e dei relativi apparecchi di riproduzione, che
contribuiscono a plasmare i modi in cui la musica viene trasformata in oggetto
commerciabile e le relative modalità di distribuzione, il pubblico di destinazione
e le abitudini di ascolto. L’avanzamento tecnico dei supporti fonografici parte dal
cilindro in cera, primo contenitore musicale commerciato dalla fine del XIX
secolo, ed evolve attraverso l’introduzione del disco (dapprima plasmato in
ceralacca e in seguito prodotto a mezzo stampa su vinile da una matrice
originale), lo standard di riproduzione a 78 giri, il microsolco, la coesistenza di
33-⅓ e 45 giri e l’invenzione del nastro magnetico. Quest’ultima tecnologia,
sviluppata negli anni ’30 dalla tedesca BASF, dà vita alla musicassetta (detta
anche audiocassetta), lanciata sul mercato dalla Philips nel 1963 e utilizzata in
modo massiccio fino agli anni Duemila.8 La cassetta costituisce un importante
punto di svolta nella storia dei supporti fonografici, poiché consente per la prima
volta un ampio livello di autorialità all’utente e una portabilità inedita del
7 G. SIBILLA, op. cit., pp. 24-26.
8 E. ASSANTE, F. BALLANTI , La musica registrata. Dal fonografo alla rete e all'MP3 : la nuova industria musicale , Roma,
Dino Audino, 2004, pp. 34-36.
8
supporto, caratteristiche che ritroveremo ampliate e potenziate all’interno dei
media digitali.
Il periodo che, sempre con le dovute precauzioni, possiamo definire digitale
prende avvio proprio nel corso degli anni ’80 con l’introduzione da parte di Sony
del Compact Disc che, dopo un esordio in sordina, sostituisce progressivamente
il vinile. La cassetta magnetica viene invece affiancata dal CD, senza che vi sia
una vera e propria sostituzione, e grazie alla sua portabilità sopravvive fino
all’inizio del XXI secolo.9
1985 2012
Vinile Giradischi, jukebox
Musicassetta
Compact Disc
Radio
Videomusica
Piastra a cassette hi-fi, walkman, autoradio
Lettore CD
Sintonizzatore hi-fi, radio portatile, autoradio
TV, VCR
Compact Disc
Radio
Videomusica
Lettore CD hi-fi, CD walkman, autoradio,
PC, lettore DVD, console
Sintonizzatore hi-fi, radio portatile, autoradio
TV, VCR, PC, cellulare, console
DVD Lettore DVD, PC, console
Streaming e
online radioPC, sistemi integrati, cellulare
MP3 e altri
formati
PC, lettore MP3, lettore CD, console,
telefoni cellulari
Suonerie Telefoni cellulari
Figura 1. Evoluzione e sovrapposizione di formati e strumenti di diffusione e consumo della musica (rielaborazione da
OECD, Working Party on the Information Economy. Digital Broadband Content: Music, 2005, p. 19).
L’evoluzione in linea diretta dell’audiocassetta è rappresentata dal MiniDisc,
supporto a nastro digitale introdotto nel 1992 di nuovo da parte di Sony; tuttavia,
9 R. VISCARDI, Popular music. Dinamiche della musica leggera dalle comunicazioni di massa alla rivoluzione digitale , Napoli,
Esselibri, 2004, p. 89.
9
nonostante la qualità “quasi” pari (i dati sono compressi con il sistema ATRAC)
e le dimensioni minori rispetto al Compact Disc, il formato non gode del
successo commerciale sperato e rimane un prodotto di nicchia , destinato
prevalentemente ai professionisti , con l’unica – seppur notevole – eccezione del
mercato giapponese.10 Una sorte simile tocca ai due supporti che costituiscono
l’evoluzione del Compact Disc: il Super Audio CD (SACD) e il DVD Audio
(DVD-A), particolare tipologia di Digital Versatile Disc (DVD). Entrambi
presentano netti miglioramenti rispetto al CD per qualità sonora e capienza, ma,
nonostante questi vantaggi, la loro incompatibilità con i formati precedenti e
quindi la necessità per l’utente di disporre di apparecchi di riproduzione dedicati
ne frena considerevolmente la diffusione e acquisizione. 11
2. Musica liquida e MP3
L’evoluzione in senso digitale dei formati tradizionali prelude al fenomeno
che costituisce il vero nucleo dell’innovazione dei media musicali: la progressiva
smaterializzazione e compressione della musica nei formati audio informatici.
Parafrasando la nota metafora elaborata da Zygmunt Bauman 12 a proposito dei
rapporti sociali, ciò che avviene è il passaggio da una fase solida ad una fase
liquida, cioè la trasformazione della musica da bene materiale (cilindro, disco,
nastro) a immateriale (dati sonori contenuti in un sistema informatico). Il
“passaggio di stato” porta ad una musica liquida,13 svincolata dal supporto fisico e
caratterizzata dall’esperienza stessa dell’ascolto, un servizio di cui fruire
attraverso un canale.14 L’introduzione dei media digitali trasferisce dunque il
sistema dei media musicali in un nuovo spazio comunicativo nel quale
10 R. EMERAN, Music On The Move , in http://www.trustedreviews.com/opinions/music-on-the-move, 2008, p. 4.
11 R. VISCARDI, op. cit., pp. 301-302.
12 Z. BAUMAN, Modernità liquida, Roma, Laterza, 2002, pp. .
13 Interessante notare che il nome di uno dei primi formati audio digitali ad ampia diffusione, oggi non più in uso,
era Liquid Audio, introdotto nel 1996 dalla compagnia omonima.
14 G. SIBILLA, op. cit., pp. 14-15.
10
confluiscono le pratiche materiali di produzione, diffusione, consumo della
musica e le convenzioni sociali ad esse collegate. Questo rinnovamento e
ampliamento della rete comunicativa esistente è ciò Bolter e Grusin15 definiscono
rimediazione, ossia rappresentazione di un medium in un altro. La rimediazione è
un fenomeno intrinseco alla natura stessa dei nuovi media, che esplicitano se
stessi nel rapporto di sovrapposizione, contrasto o rinnovamento che instaurano
con i media che li precedono16: il processo – per quanto radicale – non cancella
dunque il paradigma esistente, ma ne trasforma il significato.17
Le osservazioni fatte fino ad ora possono essere applicare a tutti i formati di
audio digitale, dal Waveform Audio File Format (WAV) ai formati compressi (lossy,
cioè che implicano una perdita di informazioni sonore) come Liquid Audio
(LQT), Adaptive Transform Acoustic Coding (ATRAC), Windows Media Audio (WMA)
etc. Tra questi, quello che ha senza dubbio contribuito in massima parte alla
rimediazione dei media musicali è il formato MP3, rapidamente affermatosi, a
partire dalla sua introduzione nel 1993, come il principale contenitore di dati
sonori destinati allo scambio informatico.18 MP3 è un’abbreviazione che sta per
MPEG_1, Layer_3: il Moving Picture Experts Group (MPEG) è un gruppo di
lavoro che si occupa di definire standard per la rappresentazione in forma
digitale di audio, video e altri contenuti multimediali19; la seconda parte della sigla
si riferisce a una specifica tecnica del formato, cioè il terzo livello di
compressione nella codifica audio sviluppata da MPEG, e coincide con
l’indicazione della terza sezione del progetto complessivo, riferita appunto alle
tecnologie audio. L’obiettivo del progetto, avviato nel 1988, è eliminare le
barriere e ridurre al minimo lo sforzo necessario per la trasmissione e lo scambio
15 J.D. BOLTER, R. GRUSIN, Remediation. Understanding New Media , Cambridge (Massachusetts), MIT Press, 1999, pp.
44-50. 16 Ibidem.
17 G. SIBILLA, op. cit., p. 41.
18 E. ASSANTE, F. BALLANTI , op. cit., pp. 96-97.
19 Cfr. http://mpeg.chiariglione.org/who_we_are.php
11
di dati audio e video tra sistemi diversi: condizione necessaria perché ciò avvenga
è la riduzione delle dimensioni che i file occupano all’interno dei supporti di
memorizzazione digitale. Questa è resa possibile dalla natura stessa del processo
di codifica MP3, che riduce la quantità di dati memorizzati e si affida a fenomeni
psicoacustici che il corpo mette in campo per supplire alle informazioni mancanti
e impedire all’ascoltatore di percepire differenze sostanziali rispetto ai dati
originari.20 Tali differenze rimangono però percepibili e quantificabi li attraverso
un ascolto analitico: per questo motivo l’MP3 si presta prevalentemente ad un
ascolto casuale e distratto, favorito anche dalla moltiplicazione degli hardware di
riproduzione del suono in mobilità.
Un file MP3 possiede la significativa connotazione di artefatto culturale: pur
essendo di per sé un formato di compressione di dati, quindi un ‘contenitore
tecnologico’, è al tempo stesso considerato un oggetto a tutti gli effetti, dotato di
natura materiale e suscettibile di possesso personale. Questa falsa oggettualità è
una caratteristica assodata sia a livello specialistico, ad esempio nei testi delle
leggi riguardanti la tutela del copyright, sia nell’uso quotidiano da parte
dell’utente generico. Possiamo ipotizzare che questo fenomeno sia in sostanza
una sopravvivenza culturale (in senso tyloriano) della concezione di prodotto
musicale legato al suo supporto fisico: in questo senso l’MP3 si presenta come
una particolare e interessante biforcazione all’interno del dualismo
materializzazione-dematerializzazione della musica. Se quindi il discorso sulle
pratiche di ascolto è dominato dal concetto di demateria lizzazione, nell’idea di
possesso della musica digitale è insita un’oggettualità che non è – e non può –
essere fisica, ma ha un’origine puramente culturale.21
Ulteriore attributo dell’MP3 e differenza fondamentale rispetto ai supporti
fonografici tradizionali è il suo status di risorsa non rivale.22 Questa
20 J. STERNE, The mp3 as cultural artifact , «New Media & Society», vol. 8 n. 5, London, SAGE, 2006, pp. 832-836.
21 Ivi, pp. 830-832.
22 G. SIBILLA, op. cit., pp. 164-165.
12
denominazione, secondo la definizione elaborata da Katz,23 indica una risorsa il
cui consumo da parte di uno o più soggetti non limita il suo consumo da parte di
altre persone; in altre parole, una risorsa non rivale non può essere annullata dal
suo uso. In che termini questa concezione si applichi all’MP3 è evidente: un file è
replicabile all’infinito in copie identiche all’originale, senza che la sorgente si
deteriori durante il processo. Questa particolare caratteristica dell’MP3 è alla base
della possibilità di una distribuzione non commerciale che si attenga
rigorosamente ai principi del fair use (l’equivalente italiano è l’espressione ‘utilizzo
leale’), ossia lo scambio di opere protette da copyright a fine educativo e di
promozione culturale senza la – altrimenti necessaria – autorizzazione da parte
del detentore dei diritti.24
3. File sharing e distribuzione digitale
La musica è il settore della comunicazione mediale che meglio si adatta allo
scambio attraverso le reti informatiche, possedendo caratteristiche tecnologiche,
linguistiche e sociali che consentono e incentivano la sua circolazione in questo
ambito. Al momento della diffusione dell’accesso a Internet a metà degli anni
Novanta l’industria discografica ha già adottato e commercializzato supporti e
tecnologie digitali che predispongono i materiali audio alla circolazione
elettronica; inoltre, il pubblico della musica è costituito, per la maggior parte, da
un bacino sociale attento e ricettivo nei confronti delle nuove tecnologie .25 Non
avviene quindi una cesura netta rispetto al periodo precedente, poiché nei
supporti digitali la funzione fondamentale dell’ascolto rimane sostanzialmente
invariata rispetto ai mezzi tradizionali di diffusione della musica. Infine, la
musica stessa – e in particolar modo la popular music – è dotata di una testualità
23 Vedi M. KATZ, Capturing Sounds. How Technology Changed Music , Los Angeles, University of California Press, 2005.
24 Il fair use è previsto nell’ordinamento statunitense ed in particolare nel Copyright Act del 1976 ( 17 U.S.C.
§107), da cui discende l’adozione di questa norma anche in altri ordinamenti legislativi.
25 G. SIBILLA, op. cit., pp. 100-101.
13
suddivisa (e suddivisibile) in brevi testi spesso indipendenti tra loro, che si
prestano quindi ad uno scambio anche parziale e frammentato.26
Queste caratteristiche, aggiunte alla portabilità e trasferibilità del formato
MP3, sono le basi su cui si sviluppano due importanti fenomeni di natura socio-
economica: il file-sharing e la distribuzione digitale. Entrambi prendono vita in
una fase già avanzata dell’evoluzione di Internet , in cui, superate le limitazioni
tecnologiche che rendevano possibile unicamente l’e-tailing (vendita di merci su
ordinazione a mezzo elettronico) e introdotto il primo formato audio compresso
(Liquid Audio), possono avvenire i primi tentativi di trasferire musica per via
informatica. La pratica di scambio di file tra utenti è – prevedibilmente –
denominata file sharing. Questo scambio può avvenire sostanzialmente in due
modi: affidandosi ad sistema centrale che funge da punto di immagazzinamento e
scambio dei file (ad es. nel download server-based), oppure ricorrendo al peer to peer
(P2P), un insieme di sistemi reticolari e decentralizzati che realizzano una logica
di scambio orizzontale fra singoli utenti. Occorre rilevare che, nonostante i
sistemi P2P possano teoricamente essere privi di un nodo centrale, la pratica
d’uso più comune è quella di ricorrere ad un tracker, ossia un servizio che
indicizza i contenuti presenti in rete e mette a disposizione questi indici per la
ricerca da parte degli utenti.
Alla prima tipologia appartiene Napster, sito web divenuto celebre in quanto
primo esempio di struttura organica finalizzata a consentire il file sharing e
insieme prima “vittima” della guerra legale, economica e culturale che il sistema
discografico tradizionale muove contro le pratiche che, file sharing in testa,
infrangono le norme in materia di diritto d’autore. La seconda tipologia è
efficacemente rappresentata dal network Gnutella, nato nel 2000, che sviluppa il
meccanismo dello scambio tra utenti eliminando la necessità di un nodo centrale
e quindi il punto debole a livello di perseguibilità giuridica degli utenti che
condividono contenuti protetti; segue a breve distanza il sistema Bit Torrent, che
26 G. SIBILLA, op. cit., pp. 139-142. Vedi anche il § II.1 e II.2 di questa tesi.
14
rimane ad oggi, nelle sue varie incarnazioni, uno dei principali e più diffusi
protocolli destinati allo scambio di file.
Figura 2. Confronto fa un sistema server-based (a sinistra) e un sistema peer-to-peer (a destra).
È la stessa pratica del file sharing a dare lo stimolo necessario all’industria
musicale, nei primi anni Duemila ancora diffidente verso le nuove tecnologie a
causa della mancanza di sistemi efficaci di protezione dei contenuti, per
avventurarsi nella sperimentazione di forme di distribuzione telematiche che
diventeranno prevalenti nella seconda metà del decennio. La distribuzione
digitale (digital distribution, spesso abbreviata in DD) è intesa, da questo punto di
vista, come parte di un processo industriale di produzione e commercializzazione
di contenuti culturali, che implica l’idea di sfruttamento commerciale della
riproducibilità e trasferibilità dei contenuti digitali.27 Il primo esempio di
successo in questa direzione è costituito da iTunes Store, lanciato da Apple nel
2003 come parte di un sistema integrato in cui è affiancato all’iPod . Il grande
traguardo di Apple è essere riuscita a riunire in un unico negozio elettronico tutte
le principali major, oltre a varie etichette indipendenti, dopo una lunga fase in cui
il commercio musicale online era stato ostacolato dalla mancata disponibilità
27 G. SIBILLA, op. cit., pp. 139-142.
15
delle case discografiche a cedere i rispettivi cataloghi a diversi distributori. La
dimensione assunta già a metà degli anni Duemila dalla distribuzione digitale è
ribadita dall’inclusione delle statistiche di download in alcune classifiche di
vendita ufficiali e dalla redazione del Digital Music Report, pubblicato
annualmente dall’IFPI28 dal 2004.
La natura intrinsecamente commerciale della distribuzione digitale pone
quest’ultima in netto contrasto con le pratiche di file sharing: a partire dal Digital
Millennium Copyright Act (DMCA) del 1998, le case discografiche cercano di
realizzare un controllo sulla possibilità di copiare e distribuire i contenuti digitali,
equiparando i formati elettronici ai supporti fisici e adottando tecnologie di
Digital Rights Management (DRM) che precludono all’utente la possibilità di
manipolare liberamente i contenuti musicali .29 Come affermato30 – tra gli altri –
dalla Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), l’industria discografica non
si pone in completa opposizione nei confronti delle tecnologie digitali: al
contrario, lo scopo è quello di integrare queste tecnologie in un sistema che tenga
conto delle normative su copyright e diritto d’autore. Tuttavia è innegabile che su
questo tema le posizioni dell’industria siano spesso contraddittorie quando non
apertamente propagandistiche: in molti casi (le stesse IFPI e FIMI ne sono
spesso esempio) si ricorre ad una “retorica della pirateria” che, criminalizzando la
copia informatica nell’accostamento al reato di furto di proprietà, viene addotta a
giustificazione di una volontà di determinismo tecnologico che restituisca
all’industria discografica il controllo monopolistico sull’uso degli strumenti
digitali.31
28 International Federation of the Phonographic Industry , organizzazione che rappresenta gli interessi dell’industria
discografica. Vedi http://www.ifpi.org/.
29 T. MCCOURT, P. BURKART , When Creators, Corporations and Consumers Collide: Napster and the Development of On-line
Music Distribution , Media Culture Society», vol. 25 n. 3, London, SAGE, 2003, pp. 333-340.
30 Cfr. la voce n.1 in http://www.fimi.it/miti.php.
31 F. FABBRI, L’ascolto tabù. Le musiche nello scontro globale , Milano, Il Saggiator, 2005. Per una critica della “lotta alla
pirateria”, vedi anche C. GUBITOSA, Elogio della pirateria , Milano, Terre di mezzo, 2005.
16
4. Open Music Model, streaming e Cloud music
L’attrito tra distribuzione digitale e file sharing appena descritto è lontano dal
vedere una risoluzione condivisa, ma costituisce allo stesso tempo terreno fertile
per la sperimentazione di nuove modalità di distribuzione della musica che
tutelino l’autore dei contenuti musicali e allo stesso tempo soddisfino le richieste
di un pubblico sempre più attratto dalla prospettiva della libera circolazione delle
opere d’ingegno, svincolate – almeno in parte – da un meccanismo commerciale
diffusamente percepito come iniquo e avido di introiti.32
Tra le idee alla base di nuovi modelli di business nei media digitali riveste
particolare rilevanza l’Open Music Model, elaborato sulla base di ricerche
condotte presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) e illustrato in
prima battuta da Ghosemajumder nel suo “Advanced Peer-Based Technology
Business Models”33 del 2002. Questo saggio è particolarmente rilevante perché
anticipa il fallimento dei sistemi di distribuzione digitale basati sul Digital Rights
Management e contemporaneamente propone un’ipotesi di sistema distributivo
sostenibile, le cui caratteristiche verranno in parte adottate dall’industria
discografica negli anni successivi. Questo modello suggerisce un cambiamento
radicale nel modo di concepire l’accesso alla musica per mezzo digitale, in quanto
il contenuto musicale viene inteso non come merce destinata alla cessione tramite
acquisto bensì come servizio a cui l’utente accede previo pagamento di un
abbonamento; questo servizio, sempre secondo l’ipotesi di Ghosemajumder, è
fornito dall’industria discografica e implica l’esistenza di aziende che svolgono il
ruolo di intermediari tra industria e consumatore fornendo l’accesso ai contenuti.
Lo scopo implicito è il contrasto alla pirateria digitale, non in termini di lotta
attiva per vie legali (che Ghosemajumder ritiene «una battaglia che non può
32 G. SIBILLA, op. cit., pp. 159-164.
33 S. GHOSEMAJUMDER, Advanced Peer-Based Technology Business Models. A new economic framework for the digital
distribution of music, film, and other intellec tual property works , Sloan School of Management, Massachusetts Institute
of Technology, 2002, pp. 33-44.
17
essere vinta»34) ma tramite la creazione di canali di accesso alla musica che
forniscano i vantaggi della legalità e allo stesso tempo consentano le stesse
opportunità dei circuiti di file sharing, rendendo quindi poco attraenti e
convenienti i canali illeciti. Affinché il modello sia realmente efficace, occorre
rispettare alcuni requisiti indispensabili:
1. open file sharing: gli utenti devono essere liberi di condividere i file tra loro;
2. open file formats: i contenuti devono essere distribuiti in formato MP3 o altri
formati liberi da restrizioni;
3. open membership: i detentori di copyright devono avere la possibilità di
registrarsi gratuitamente per ricevere i pagamenti;
4. open payment: tutti i principali canali di pagamento devono essere accettati,
inclusi carta di credito e contanti;
5. open competition: i sistemi basati su questo modello devono coesistere senza
costituire monopòli.
Il modello che si evince da questa trattazione non è stato, ad oggi, applicato
nella sua interezza, ma alcune delle sue caratteristiche fondamentali sono
confluite in diversi sistemi di music delivery riconosciuti dall’industria discografica.
Tra gli altri: nel 2011 Apple lancia il servizio iTunes Match che, previo
pagamento di un abbonamento annuale, consente il file sharing tra i diversi
dispositivi di uno stesso utente (vedi punto 1, anche se parzialmente); nel 2007
Steve Jobs, CEO di Apple, pubblica sul sito dell’azienda una lettera aperta 35
contente un appello per l’abolizione della musica protetta da DRM:
conseguentemente due dei principali portali di acquisto di musica, iTunes e
Amazon.com, aboliscono nel giro di pochi mesi la vendita di questo tipo di file 36
34 Ivi, p. 41.
35 S. JOBS, Thoughts on music , in http://www.apple.com/hotnews/thoughtsonmusic , 2007.
36 G. SIBILLA, op. cit., pp. 175-176.
18
(vedi punto 2); iTunes, a partire dalla sua apertura nel 2003, accetta pagamenti
sotto forma di gift cards, acquistabili in contanti (vedi punto 4).
L’industria discografica appare refrattaria all’idea di concedere agli utenti il
controllo totale sui file a loro disposizione: piuttosto, la direzione generale
intrapresa dai maggiori sistemi di distribuzione digitale è quella di fornire al
consumatore musica in streaming, cioè “trasmessa” su richiesta all’utente
attraverso la rete.37 Questo tipo di fruizione riafferma la liquidità della musica,
non più legata al luogo fisico in cui risiede il supporto fonografico ma
connaturata alla molteplicità di canali attraverso i quali può essere fruita, e al
tempo stesso consente al fornitore del servizio di esercitare un controllo sul
comportamento dell’utente, il quale è quindi impossibilitato a condividere
illecitamente materiale protetto. Tra gli esempi importanti di questa impostazione
possiamo citare Spotify, lanciato in Svezia nel 2008 con un catalogo che supera i
18 milioni di brani38 e oltre 10 milioni di utenti (dei quali 1,6 milioni di abbonati
a pagamento39), e Grooveshark, lanciato nel 2007 con base negli Stati Uniti e
circa 30 milioni di utenti attivi ogni mese.40 Nel periodo recente si è inoltre
iniziato a parlare di “Cloud music” come declinazione particolare del cloud
computing.41 Il cloud computing consiste nello svolgere attraverso la rete
l’elaborazione di dati che normalmente competerebbe all’hardware con cui si sta
interagendo. La dislocazione dello svolgimento delle operazioni informatiche
trasforma la fruizione in un servizio a tutti gli effetti, con l’importan te possibilità
di una seamless integration (lett. “integrazione senza soluzione di continuità”, o più
semplicemente “integrazione”) che comprenda tutti i dispositivi di riproduzione
(mobile o immobile) in possesso del singolo consumatore: la musica è così
37 R. VISCARDI, op. cit., pp. 307-308.
38 Cfr. http://pansentient.com/new-on-spotify/.
39 Cfr. http://www.spotify.com/int/about-us/press/hello-america-spotify-here/.
40 Cfr. http://www.grooveshark.com/press.
41 T. MCCOURT, P. BURKART , When Creators, Corporations and Consumers Coll ide: Napster and the Development of On-line
Music Distribution , «Media Culture Society», vol. 25 n. 3, London, SAGE, 2003, pp. 285-302.
19
definitivamente svincolata dal suo supporto fonografico e trasformata in un
servizio a tutti gli effetti. Tra gli altri, citiamo a titolo di esempio iTunes (tramite
l’opzione iTunes Match, a pagamento), AmazonMP3 (tramite il servizio Amazon
Cloud Drive) e Google Music.
20
C a p i t o l o I I
MEDIA DIGITALI E FRUIZIONE MUSICALE
1. Atomizzazione della testualità e generi musicali
La compressione della musica nei formati digitali porta importanti
conseguenze sul piano della testualità musicale. Nell’era pre-fonografica la
fisionomia formale del testo musicale è definita esclusivamente da criteri stilistici
e compositivi, essendo la capacità di “archiviazione” della partitura virtualmente
infinita: un esempio imponente è Der Ring des Nibelungen di Richard Wagner
che, se considerato nella sua interezza, ha una durata complessiva di circa
quindici ore. Con l’avvento della riproduzione sonora, la possibilità stessa di
veicolare la musica tramite un supporto fonografico è vincolata alla capacità
temporale dello stesso. Alcuni esempi ci aiutano a capire l’evoluzione cronologica
dello spazio di archiviazione: un cilindro di cera può contenere fino a quattro
minuti di musica; un disco in vinile varia dai tre minuti per lato del 78 giri ai
venticinque del Long Playing; un’audiocassetta generalmente contiene 30 oppure
45 minuti per lato; un Compact Disc da 74 a 80 minuti in totale. L’analisi delle
forme musicali appartenenti alle rispettive epoche storiche dimostra la forte
correlazione esistente tra capacità di archiviazione e testualità musicale.42
La popular music,43 in particolare, nasce in concomitanza con la diffusione dei
mezzi di riproduzione, che contribuiscono a plasmarne in maniera consistente la
struttura formale. Il nucleo della musica pop è la forma-canzone, ereditata dalla
musica colta e folklorica44: componimenti lirici a struttura strofica sono infatti
diffusi in Europa fin dal Medioevo e presentano una fisionomia accostabile
42 G. SIBILLA, op. cit., pp.66-70.
43 Qui intesa nell’accezione espressa in R. MIDDLETON, Studiare la popular music, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 19-
24.
44 R. VISCARDI, op. cit., p. 19.
21
all’idea moderna di canzone già nella tradizione popolare del Seicento e
Settecento; non mancano gli esempi anche nella musica colta, come la chanson
francese, il Lied tedesco e alcune sezioni del melodramma italiano. La forma-
canzone moderna costituisce l’unità narrativa, il componente minimo e
inscindibile della popular music, e in questa accezione si sviluppa in aderenza ai
limiti tecnici dei media di diffusione di cui si avvale, cioè il disco e la radio : la
durata tipica della canzone pop, che si aggira intorno ai tre-quattro minuti, le
consente infatti di occupare esattamente lo spazio di una facciata del disco a 78 o
45 giri e allo stesso tempo si presta alla trasmissione radiofonica che rappresenta,
a partire dall’avvento della musica riprodotta , un elemento fondamentale nella
diffusione dei prodotti musicali.45 Nel momento in cui vengono introdotti
supporti dotati di maggiore capacità di archiviazione sonora non si verifica, come
si potrebbe pensare, l’espansione temporale della canzone, ma un processo di
giustapposizione di nuclei testuali (le canzoni, appunto), che vanno a formare
l’insieme macrotestuale di musica comunemente definito album.46 L’etimologia di
questo termine è d’altra parte esaustiva, poiché deriva dall’omografo latino
traducibile come ‘elenco’47: se infatti in un primo momento l’album costituisce
una raccolta di brani completamente indipendenti fra loro, le nuove possibilità
offerte dalla durata espansa del supporto fonografico portano a sperimentazioni
che riguardano la testualità complessiva generata dall’interazione fra i singoli
componenti dell’opera. Questa macrotestualità viene ulteriormente sottolineata
dalla natura continua della registrazione analogica, che è costituita da una
incisione (meccanica, nel caso del solco nel disco in vinile, o elettrica, nel caso
del nastro magnetico) senza soluzione di continuità dall’inizio alla f ine della
registrazione.48 La situazione cambia radicalmente con l’introduzione dei suppor ti
45 E. ASSANTE, G. CASTALDO, Blues, Jazz, Rock, Pop. Il Novecento americano , Torino, Einaudi, 2004, pp. 26-27.
46 F. FABBRI, Il suono in cui viviamo. Saggi sulla popular music , Milano, Il Saggiatore, 2008, pp. 39-44.
47 L. CASTIGLIONI, S. MARIOTTI , IL – Vocabolario della lingua latina , Torino, Loescher, 1990.
48 G. SIBILLA, op. cit., pp. 69-70.
22
digitali: il Compact Disc per primo introduce una discretizzazione reale delle
forme microtestuali, che vanno a costituire unità distinte e manipolabili
singolarmente anche quando contenute nell’insieme più esteso rappresentato
dall’album.49 Il fruitore ha quindi la possibilità di stabilire un percorso personale
all’interno dell’opera complessiva, scegliendo coscientemente una delle svariate
possibilità combinatorie che il disco offre e senza necessariamente aderire a
quella stabilita in sede di scrittura dall’artista. Ulteriore evoluzione avviene poi
all’interno dei media digitali che, svincolando completamente la musica dal suo
supporto fonografico minano alla base l’idea di una macrotestualità inscindibile.
Il concetto di album non viene negato dai nuovi media, piuttosto cessa di essere
vincolante: la singola canzone torna ad essere un nucleo narrativo autosufficiente
e in sé significativo, con possibilità di organizzazione narrativa pressoché infinite
(pensiamo ad esempio alla musica in streaming o alla Cloud music, il cui unico
limite – peraltro incredibilmente vasto – è costituito dall’ampiezza del catalogo
musicale). La collocazione delle singole componenti musicali in una struttura
reticolare teoricamente illimitata mette l’utente di fronte ad un ipertesto, una
fruizione non lineare che procede per nodi, il cui collegamento minimo è
costituito dalla volontà, dai gusti e dallo stato d’animo dell’ascoltatore.
Diversa è la questione se prendiamo in considerazione generi musicali “altri”
rispetto al pop, e in particolare la musica classica e il jazz, che per loro natura
possiedono strutture testuali maggiormente articolate rispetto alla forma-canzone
(che pure appare, sotto forme diversificate, nei due gli ambiti). Entrambi si
trovano a doversi confrontare, nel momento dell’introduzione della musica
riprodotta, con i limiti temporali imposti dai supporti fonografici: le conseguenze
sono, nel caso del jazz, la pubblicazione pressoché esclusiva di canzoni popular
reinterpretate in chiave jazzistica (d’altra parte prassi ricorrente in questo
variegato genere musicale); nel caso della musica classica i materiali che si
prestano alla pubblicazione sono singoli estratti delle opere complessive,
49 Ibidem.
23
tipicamente forme chiuse e quindi autosufficienti come l’aria d’opera (pensiamo
ad esempio alle famose incisioni su 78 giri di Enrico Caruso). Su queste prassi di
scomposizione di testi apparentemente indivisibili si basa il successo delle
pratiche ri-combinatorie in ambito jazz e classico, che vengono introdotte a
posteriori rispetto alla sperimentazione nell’ambito della canzone pop:
l’accostamento di riletture jazzistiche di più canzoni di diversa provenienza può
essere inteso in forma macrotestuale, e così anche la raccolta in uno stesso
contenitore di pezzi chiusi per la musica classica.
Considerazioni interessanti possono essere fatte per quanto riguarda l’aspetto
lessicale della distribuzione digitale. Prendendo in esame iTunes Store, in quanto
primo e più rappresentativo negozio di musica online, possiamo constatare come
i singoli prodotti acquistabili siano denominati songs (equivalente anglosassone di
‘canzone’), a prescindere dalla loro natura testuale: volendo ad esempio
acquistare la Sinfonia n. 9 in Mi minore op. 95 di Antonín Dvořák (nella versione
diretta da Arturo Toscanini con la NBC Symphony Orchestra), troveremo i
quattro movimenti trattati come singole ‘songs’ e acquistabili separatamente per
99 centesimi di dollaro l’uno,50 in maniera analoga a quanto avviene, ad esempio,
per l’album Born This Way di Lady Gaga51 (l’accostamento è volutamente
provocatorio). La scelta di suddividere in ‘canzoni’ un’opera concepita come un
unicum indivisibile e quindi trattarla con le stesse modalità di una canzone pop
appare quantomeno stravagante, ma non è priva di motivazioni: in primo luogo
la musica non-popular fa il suo ingresso nei meccanismi della distribuzione
musicale in un momento in cui questi sono già stati definiti in accordo con
l’organizzazione microtestuale della popular music; inoltre, la discretizzazione dei
nuclei narrativi musicali è parte integrante della digital izzazione e la sua
applicazione a macrotesti non suddivisibili, sebbene in apparenza forzosa, è
funzionale ad una fruizione ipertestuale che prevede – in linea teorica, ma anche
50 Cfr. http://itunes.apple.com/us/album/dvorak-new-world-symphony/id346470584.
51 Cfr. http://itunes.apple.com/us/album/born-this-way/id438732291.
24
nella pratica – la possibilità di un ascolto che passa dall’Allegro con fuoco della
sinfonia citata a ‘Heavy Metal Lover’ e viceversa.
La questione lessicale presenta discrepanze linguistiche nel momento in cui la
piattaforma globale in lingua inglese viene adattata ad una particolare area
geografica: troviamo infatti che l’equivalente italiano scelto per ‘song’ non è
‘canzone’ ma brano, di cui non esiste un corrispettivo preciso in inglese e che
implica un’accezione più ampia e meno legata alla natura del testo musicale. In
questo caso, la maggiore ricchezza lessicale consente di definire il singolo
elemento testuale senza addossargli forzatamente un portato storico-stilistico
come avviene nell’uso della parola ‘song’, mantenendo tuttavia una
denominazione chiaramente riferita alla singola cellula discreta.
2. Logica del database, compilation e playlist musicali
Come accennato sopra, la frammentazione della testualità nella popular music
è legata ai modi della fruizione musicale nell’universo digitale. Questo legame
agisce in due direzioni: da una parte la discretizzazione della musica è
connaturata alla struttura dei nuovi media, dall’altra questa stessa atomizzazione
contribuisce all’emergere di nuove forme di consumo del testo musicale. La
rimediazione della musica (vedi § I.2) non riguarda unicamente la rete
comunicativa dei media musicali: un medium è infatti ciò che rimedia i mezzi di
comunicazione preesistenti anche a livello di testo e linguaggio.52 Il processo di
trasferimento della musica all’interno dei media digitali implica due operazioni
connaturate alla logica informatica: una codificazione numerica (digitalizzazione)
e un’organizzazione di tipo modulare (discretizzazione).53 Il risultato di questi
passaggi è un prodotto musicale costituito da unità discrete (i singoli brani)
suscettibili singolarmente di manipolazione attraverso i meccanismi informatici
52 G. SIBILLA, op. cit., p. 71.
53 L. MANOVICH, The Language of New Media, Cambridge-London, MIT Press, 2001, pp. 53-63.
25
dell’automazione e della variabilità . Manovich parla a questo proposito di
transcodifica culturale54 dei contenuti, poiché il processo di digitalizzazione stesso
porta all’organizzazione dei contenuti culturali nei nuovi media nella forma di
raccolta strutturata di dati discreti. In sostanza, la “computerizzazione” della
cultura sottintende l’applicazione in ambito culturale della logica del database.55
La possibilità di combinare e ricombinare liberamente i singoli testi musicali
in un’infinita gamma di percorsi possibili è alla base della logica della
compilation. Con la parola ‘compilation’ (dal verbo inglese to compile, compilare)
si indica, nell’ambito di diffusione e consumo della musica , la riorganizzazione di
singoli testi che derivano da una o più opere originarie in un nuovo macrotesto.
Questo processo viene realizzato in prima istanza dall’industria discografica nelle
forme del ‘Greatest Hits’, che raccoglie una selezione dei testi di un artista, e
della raccolta tematica, che riunisce al suo interno opere di più autori; in questi
casi il database corrisponde al catalogo a disposizione della casa discografica o di
chi per essa realizza la collezione. Le manifestazioni più interessanti della
compilation sono però quelle che riguardano strettamente l’elaborazione digitale ,
ossia la selezione automatizzata e la creazione di playlist.
La selezione automatizzata è prassi estremamente diffusa nel broadcasting
radiofonico: un software (il più utilizzato è Selector) gestisce i brani musicali
disponibili secondo parametri di catalogazione (genere musicale, tempo, carattere
etc.) e realizza un flusso meccanizzato di trasmissione, secondo criteri previsti
dal programmatore sulla base della linea editoriale che si vuole ottenere.
Derivazione interessante di questi meccanismi di catalogazione e ricombinazione
della musica è rappresentata dalla web-radio Pandora.56 Questo servizio (al
momento disponibile solo negli Stati Uniti per ragioni di copyright) è uno dei
tanti esempi di radio personalizzate via web, ma la sua particolarità risiede nelle
54 Ivi, pp. 63-65.
55 Ivi, pp. 194-196.
56 http://www.pandora.com/ (al momento non accessibile dall’Italia)
26
modalità con cui avviene la selezione musicale: Pandora è infatti l’interfaccia
accessibile del Music Genome Project, un’iniziativa di catalogazione della musica
su larga scala che si avvale di circa 400 parametri compilati manualmente da un
team di musicologi, allo scopo di realizzare una sorta di database del DNA di
ogni singolo brano. Il percorso fruitivo viene determinato da un algoritmo
matematico che, sulla base di una traccia iniziale scelta dall’utente, sviluppa un
tragitto personalizzato all’interno del cospicuo catalogo disponibile (oltre
diecimila voci). Il programma fornisce una motivazione che indica i tratti salienti
in base ai quali è stata effettuata l’associazione tra due brani e l’utente stesso può
intervenire sull’andamento dell’itinerario dando un parere positivo o negativo alla
traccia proposta.
La compilation intesa come creazione di playlist personali ha invece le sue
radici non nella meccanizzazione della selezione ma, all’opposto, nella
manipolazione soggettiva ed emotiva dei cataloghi musicali. Questo tipo di
trattamento del macrotesto musicale non è ovviamente appannaggio della logica
digitale: dal momento in cui l’industria discografica non è più detentrice esclusiva
del controllo dei mezzi di assemblaggio dei contenuti musicali, e cioè a partire
dall’introduzione dell’audiocassetta registrabile negli anni ’60, l’utente acquista
l’abilità di stendere tracciati narrativi alternativi a quelli previsti in fase di
realizzazione del prodotto musicale. Da qui la grande diffusione e popolarità,
soprattutto a partire dagli anni ‘80, dei mixtapes, raccolte di brani compilate su
cassetta e destinate all’ascolto personale, allo scambio o alla vendita. Allo stesso
tempo l’introduzione dei lettori CD rende possibile la risequenziazione dei brani,
ma in questo caso la ricombinazione realizzata ha carattere volatile (i lettori CD
sono infatti privi di memoria) ed è limitata al contenuto del singolo supporto.
Anche qui la vera innovazione arriva con i formati digitali: i software musicali di
fruizione funzionano in accordo allo stesso principio del database, ma in essi, a
differenza dei processi di pianificazione automatica, la scelta della sequenza di
riproduzione dei brani è lasciata interamente all’utente. La ricombinazione in liste
27
sequenziali basate su criteri prettamente personali dà origine alla playlist
(traducibile come ‘scaletta dei brani’). Questo tipo di percorso narrativo, essendo
incentrato direttamente sul soggetto, costituisce una forma di racconto del sé,
alla cui funzione primaria di fruizione immediata si accompagnano la possibilità
di archiviazione (molti programmi e lettori MP3 consentono il salvataggio delle
playlist) e di condivisione con l’esterno, attraverso siti dedicati (due esempi
eloquenti sono 8tracks e l’italiano di 7433.it 57) e per mezzo delle funzioni
integrate nella maggior parte dei social network musicali (ad esempio Soundcloud
e YouTube).
Consideriamo infine il processo inverso, ossia come la logica del database
influisca sulla narrazione intesa in senso tradizionale: la fruizione atomizzata
trasforma l’idea stessa di assemblaggio dei testi musicali, diminuendo la rigidità
imposta dalla produzione di tipo industriale e consentendo quindi una
ridefinizione del formato macrotestuale in senso combinatorio. Non solo gli
utenti possono concepire l’ascolto nell’ottica di una compilation personale, ma
gli autori stessi possono sperimentare forme di unione fra i testi che non siano
necessariamente quelle affermate dal Long Playing. Un esempio a questo
proposito è costituito dal formato Extended Play (EP), le cui particolari
dimensioni (comunque puramente indicative: più lungo di un singolo, più breve
di un album) godono di grande diffusione all’interno dei media digitali,
nonostante il sostanziale abbandono da parte della produzione industriale per il
loro scarso interesse da un punto di vista commerciale.58
3. La musica come colonna sonora personale: Walkman, iPod e telefonia
I cambiamenti apportati dalla digitalizzazione dei media musicali alle forme di
fruizione dei contenuti si riflettono nell’evoluzione delle tecnologie di consumo,
57 Rispettivamente: http://8tracks.com/ e http://www.7433.it/.
58 G. SIBILLA, op. cit., pp. 87-88.
28
ed in particolar modo in quella dei dispositivi finalizzati all’ascolto musicale. Tra
questi, specifica rilevanza assumono gli apparecchi di riproduzione portatile.
Il primo lettore MP3 personale appare sul mercato nel 1999: il Diamond Rio
PMP300, pur essendo poco più di un prototipo date le dimensioni ancora
ingombranti, lo spazio di archiviazione esiguo (appena 32 MB) ed il costo
elevato, costituisce il primo passo della decisiva maturazione dell’audio digitale
portatile, che giunge a compimento con l’introduzione del primo modello di
Apple iPod nel 2001. La semplicità d’uso, resa possibile da un’interfaccia
estremamente user-friendly e dalla famosa Click Wheel che ne diventa il marchio
di fabbrica, il design curato e la memoria di grandi dimensioni decretano il
successo di questo dispositivo e ne portano le vendite complessive a superare i
321 milioni di unità (dati59 aggiornati a ottobre 2011). Il lettore digitale Apple è il
punto di arrivo dell’evoluzione orientata alla miniaturizzazione e portabilità dei
supporti e apparecchi audio che, con l’unico precedente della radio portatile a
transistor negli anni ’50 e ’60, compie il suo primo passo con l’immissione sul
mercato del Walkman nel 1979. Il lettore portatile a cassette, nato dall’idea di
Akio Morita (co-presidente della Sony) e basato sui preesistenti – ma ancora
ingombranti – mangianastri portatili,60 rende per la prima volta possibile l’ascolto
musicale in ogni luogo e situazione ed ha un impatto culturale tale da portare il
nome stesso dell’apparecchio, in origine marchio registrato, a diventare in breve
tempo sostantivo comune per designare tutte le tipologie di hardware di
riproduzione audio portatile.61 Lo stesso non avviene per i CD Walkman, ossia i
lettori portatili per Compact Disc: introdotti dalla stessa Sony nel 1984 sotto il
59 MYSCHIZOBUDDY (username), iPod sales per fiscal quarter , in
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ipod_sales_per_quarter.svg , 2011.
60 R. VISCARDI, op.cit., p. 19.
61 Nel 2002, una sentenza della Corte suprema dell’Austria sancisce il diritto di utilizzare liberame nte il termine
Walkman, anche in ambito commerciale, dando ragione a una ditta austriaca citata in giudizio da Sony per aver
usato la parola ‘walkman’ nel descrivere i lettori portatili di cassette di sua produzione; la sentenz a si basa sulla
percezione diffusa del termine ‘walkman’ non come marchio ma come nome indicante una tipologia di prodotti
(cfr. E. ASSANTE, F. BALLANTI , op. cit., p. 37).
29
marchio Discman, si affiancano gradualmente al Walkman a cassette senza
riuscire a sostituirlo a causa delle limitazioni tecniche del nuovo apparecchio
(maggiori dimensioni, consumo elevato di batterie e soprattutto instabilità delle
testine laser), che ne impediscono un uso particolarmente attivo e nomade.
Il Walkman è dunque il dispositivo che definisce in primo luogo modalità di
fruizione della musica in mobilità che permangono sostanzialmente invariate fino
ad oggi e possono per questo motivo essere usate in riferimento agli stessi lettori
MP3.62 In particolare, l’ubiquità dell’ascolto attraverso cuffie (o auricolari) si
accompagna a un’evidente ricaduta a livello sociale per l’individuo: l’isolamento
sonoro dall’ambiente circostante. Partendo da questo presupposto, Williams 63
individua dieci funzioni della musica fruita attraverso il Walkman, suddivise in tre
categorie sulla base dell’elemento a cui la funzione stessa fa riferimento (musica,
ambiente, utilizzatore): questi fenomeni sono schematizzati in Figura 3.
Attraverso queste funzioni, il lettore portatile svolge un ruolo di controllo del sé
attraverso la musica e costituisce una tecnologia di riconfigurazione dell’ identità
personale e di autoriflessione per l’individuo.64 I contenuti musicali sono perciò
selezionati, consciamente o inconsciamente, dall’ascoltatore secondo parametri
che corrispondono agli effetti individualmente ricercati. Sempre secondo
Williams65 è infatti possibile affermare – seppur a grandi linee – l’esistenza di una
vera e propria ‘Walkman Music’, contraddistinta da quattro caratteristiche:
1. è preregistrata;
2. è scelta dall’ascoltatore;
3. può essere fruita in luoghi non deputati all’ascolto, in mobilità e durante
altre attività;
62 G. SIBILLA, op. cit., pp. 204-206.
63 A. P. WILLIAMS, The functions of Walkman music, in http://hdl.handle.net/2440/49032, 2004, pp. 31-33.
64 G. SIBILLA, op. cit., p. 30.
65 A. P. WILLIAMS, op. cit., pp. 12-16.
30
4. è percepita dall’ascoltatore come esperienza solitaria e di isolamento
dall’ambiente.
Figura 3. Funzioni della musica da Walkman (elaborazione da A. P. WILLIAMS, op. cit., pp. 31-33).
Ulteriore fattore che contribuisce alla scelta dei contenuti in forma digitale è, da
un punto di vista più strettamente psicoacustico, la presenza del fenomeno della
loudness war,66 che fa sì che i brani “vittima” di questo trattamento sonoro si
prestino maggiormente alla soppressione dei rumori ambientali durante l’ascolto
66 La tendenza, diffusa a partire dall’introduzione del Compact Disc , ad esasperare il volume delle registrazioni in
fase di produzione, aumentando il livello sonoro e riducendo di conseguenza la gamma dinamica, allo scopo di
far risaltare un certo prodotto musicale all’interno di una serie o in un contesto non privo di altri rumori (cfr.
http://en.wikipedia.org/wiki/Loudness_war).
Funzioni focalizzate sulla
musica
Soddisfacimento del desiderio di ascoltare una
data musica
Studio e familiarizzazione con una data musica
Interazione con l’ambiente
Estetizzazione
Controllo dell’ambiente
Delimitazione dei confini personali
Mediazione interpersonale
Funzioni riflessive
Compagnia
Memoria uditiva
Controllo dell’umore
Controllo del tempo
Attivazione
31
in cuffia e siano pertanto implicitamente avvantaggiati all’interno della gamma di
possibili soluzioni sonore a disposizione dell’utente.
L’iPod (e i dispositivi che ne derivano) costituisce un esempio interessante
anche per quanto riguarda l’approccio alla testualità dei contenuti musicali:
l’organizzazione del catalogo digitale interno al dispositivo, navigabile secondo
criteri differenziati e singolarmente controllabili, e la possibilità di creazione di
playlist, sia in modalità istantanea (denominata on the go) sia attraverso una
preparazione studiata (attraverso il software iTunes), sono infatti perfettamente
aderenti ai meccanismi di discretizzazione e manipolazione soggettiva del
percorso musicale di cui abbiamo discusso nel paragrafo precedente.67
Da un punto di vista commerciale, la centralità dell’iPod come dispositivo di
consumo musicale in mobilità viene progressivamente affiancata
dall’introduzione dei telefoni cellulari attrezzati per riprodurre file audio. Dal
momento che la telefonia mobile ha, per sua natura commerciale, un tessuto di
penetrazione più ampio di quello del semplice lettore musicale, si verifica, nel
momento in cui l’avanzamento tecnico dei dispositivi lo consente, una
convergenza con le tecnologie di fruizione nomade, allo scopo di ampliare il
mercato discografico raggiungendo un numero potenzialmente più alto di utenti.
Gli esempi in questo senso sono molteplici, ma il più appariscente è sicu ramente
il progressivo avvicinamento, interno al catalogo Apple, di iPhone, telefonino
multimediale che annovera tra le sue funzioni quella di lettore musicale, e iPod
(nella fattispecie il modello iPod Touch), che mutua dallo smartphone una serie
di funzioni multimediali estranee al semplice ascolto musicale. Questa confluenza
tra audio digitale e telefonia mobile non costituisce però – almeno fin ad ora –
un’alternativa reale al mercato dei lettori MP3 , dato che il sovraccarico
funzionale degli attuali smartphone ne impedisce l’affermazione come mezzo
unico di fruizione della musica: ciò che si verifica è piuttosto una
67 Vedi anche G. SIBILLA, op. cit., pp. 211-218.
32
sovrapposizione delle due tipologie di dispositivi all’interno del panorama
tecnologico globale.
33
C a p i t o l o I I I
MEDIA DIGITALI E MANIPOLAZIONE DEI CONTENUTI
1. User-generated content e podcasting
Abbiamo fin qui analizzato le novità apportate dalle tecnologie digitali nella
distribuzione e fruizione della musica concepita in un ambito industriale e
commerciale. Queste stesse tecnologie hanno un altro importante risvolto:
l’accessibilità dei mezzi di produzione e manipolazione del suono e dei canali di
trasmissione della musica forniscono la possibilità all’utente di trasformarsi in
autore e distributore di contenuti. La creatività trova nei nuovi media, e
particolarmente nel Web, canali di diffusione potenzialmente universali ed è oggi
a tutti gli effetti possibile per l’individuo in possesso di alfabetizzazione
informatica di buon livello acquisire, in breve tempo e con investimenti
economici modesti, i mezzi e le conoscenze necessari per concretizzare le proprie
idee musicali in un prodotto fruibile dal pubblico, senza doversi necessariamente
affidare ad una intermediazione di tipo professionale .68
Il concetto di user-generated content (lett. contenuto generato dall’utente, spesso
abbreviato in UGC) è centrale al funzionamento dei nuovi media, pur
costituendo una definizione in sé generica per l’ampiezza dei fenomeni che
ricopre. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)
ha fissato le caratteristiche fondamentali degli UGC, nel tentativo di delineare –
seppur in modo generico – il fenomeno: queste caratteristiche sono il requisito
della pubblicazione, lo sforzo creativo e la creazione estranee a pratiche e routine
di tipo professionale.69 Il modello che si deduce da questa ipotesi è quello di un
68 ORGANIZATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT (OECD), Working Party on the Information
Economy. Participative Web: User-created Content , in http://www.oecd.org/dataoecd/57/14/38393115.pdf, 2006, p.
14.
69 Ivi, pp. 8-9.
34
contenuto amatoriale (nel senso di non-professionale, senza accezione
qualitativa) che presenta caratteristiche tali da poter essere considerato un lavoro
creativo e che viene reso disponibile ad un gruppo di utenti , selezionati secondo
un determinato criterio, oppure globalmente al pubblico generico. Alla base della
volontà da parte dell’utente di diffondere con queste modalità la sua opera vi
sono diverse motivazioni, di carattere personale (soddisfazione nel vedere il
proprio lavoro fruito da altri), sociale (reputazione artistica, status di membro
attivo di una comunità, connessione con altri individui , scambio di opinioni) e
pratiche (ricompense virtuali, ad esempio all’interno di una comunità, e tangibili,
in presenza di meccanismi di ricompensa in beni o benefici).
Poiché la definizione di user-generated riguarda essenzialmente i meccanismi
di diffusione dei contenuti, la natura di questi ultimi è estremamente varia e
multiforme. Rimanendo in ambito musicale possiamo individuare due categorie
di user-generated content particolarmente rilevanti: musica originale e podcast.
Nel primo caso, i contenuti sono i prodotti realizzati e diffusi in prima persona
da cantautori, compositori, band o ensemble non professionisti, che beneficiano
della facilità d’uso e dell’accessibilità delle tecnologie di registrazione digitale per
realizzare contenuti – anche di alto livello – senza ricorrere a professionalità
tipiche del settore e all’intermediazione della distribuzione industriale. Il lato
potenzialmente negativo di questa democratizzazione della distribuzione è dato
dall’assenza di una selezione prioritaria rispetto alla possibilità di diffusione, che
fa sì che vi sia un enorme incremento della quantità di contenuti disponibili in
rete, con il conseguente rischio di diluizione dei prodotti artisticamente rilevanti
in una nebbia di informazioni spesso superflue e di poco valore. 70 Per ovviare a
questa effetto collaterale le piattaforme che ospitano UGC adottano spesso
meccanismi di selezione e promozione basati sull’interazione dei fruitori, sotto
forma di numero di visite e commenti, e sistemi di valutazione che consentono
70 M. KRETSCHMER, Music artists’ earnings and digitization: a review of empiri cal data from Britain and Germany , «First
Monday», a. 2005, vol. X n. 1, pp. 7-8.
35
agli utenti di esprimere un giudizio di merito o demerito sul prodotto in
questione. Interessanti esempi di piattaforme orientate ai contenuti originali sono
Jamendo, Soundcloud e – in parte – lo stesso YouTube.71
Il secondo tipo di user-generated content consiste nella creazione di un
contenitore di tipo radiofonico, all’interno del quale l’utente colloca contenuti
propri o di altri autori, selezionati in base a criteri soggettivi e unitamente a
commenti personali che possono essere impliciti o espliciti. Questa prassi ha
assunto la denominazione di podcasting, derivante dalla fusione delle parole ‘iPod’
e ‘broadcasting’, dal momento che è orientata prevalentemente all’ascolto in
mobilità e si pone come alternativa all’ascolto radiofonico tradizionale . Ulteriore
caratteristica del sistema podcast è la possibilità di accedere ai singoli “episodi”
oppure, a discrezione dell’utente, di abbonarsi alla serie di trasmissioni t ramite un
apposito meccanismo di sottoscrizione. Questo metodo di produzione dei
contenuti offre svariati vantaggi rispetto alla trasmissione radiofonica in diretta:
necessita di minori risorse per la realizzazione e diffusione, permette una
maggiore libertà autoriale, consentendo di intervenire in sede di post-produzione,
ed è concepito per l’ascolto in differita e tramite dispositivi portatili.72 Questa
ultima caratteristica, in particolare, lo rende molto appetibile per l’utenza che
vuole fruire di contenuti on-demand in mobilità senza dover necessariamente
disporre di una connessione ad Internet. Il podcasting sta progressivamente
facendo il suo ingresso anche nel settore professionale, con l’adozione da parte
di radio tradizionali che usano questo sistema per ridistribuire la propria
programmazione in differita:73 in Italia un esempio interessante è costituito dai
tre canali di Radio Rai, che offrono in formato podcast la quasi totalità del loro
palinsesto.74
71 Rispettivamente: http://www.jamendo.com/, http://www.soundcloud.com/, http://www.youtibe.com/.
72 G. SIBILLA, op. cit., pp. 216-217.
73 OECD, Working Party on the Information Economy. Participative Web: User -created Content , p. 19.
74 Vedi, ad esempio, la lista dei podcast di Rai Radio2 in http://www.radio2.rai.it/dl/Radio2/podcast.html .
36
2. Creatività come processo, sampling e remixing
Le stesse tecnologie digitali che facilitano e democratizzano la creazione di
materiale musicale ex novo consentono di intervenire anche sui prodotti
preesistenti. La rimediazione della musica nei formati digitali (vedi § I.2) e la
contestuale rappresentazione dei dati sonori in forma discretizzata ed
agevolmente manipolabile (salvo le eventuali limitazioni imposte dal distributore)
rendono infatti qualsiasi prodotto musicale potenzialmente suscettibile di
manipolazione, a livello sia di forma sia di contenuti. La creazione artistica non è
più, nei nuovi media, rappresentata in maniera esclusiva dal prodotto, con le sue
caratteristiche di opera chiusa e inalterabile, ma si trasforma in un processo di
elaborazione continua e potenzialmente infinita.75
La rielaborazione dei contenuti avviene sostanzialmente secondo due
meccanismi: sampling e remixing. Il primo consiste nell’estrapolare campioni (in
inglese denominati appunto ‘sample’), ossia singole particelle di un testo
complessivo, allo scopo di assemblarle in un testo creato ex novo e differente dal
testo (o dai testi) di partenza.
Figura 4. Trascrizione per batteria dell’Amen Break
(fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Amen_break_notation.png).
Il sampling è una pratica particolarmente diffusa in ambito hip-hop: un esempio
significativo è il cosiddetto Amen Break (vedi Figura 4), un breve solo di batteria
75 G. SIBILLA, op. cit., pp. 184-185.
37
originariamente contenuto nella canzone “Amen, Brother”, incisa nel 1969 dal
gruppo soul statunitense The Winstons; questo frammento di poco più di cinque
secondi di durata è stato riutilizzato, nella sua forma originale e tramite
complesse permutazioni e alterazioni di tempo e sonorità, come base per un
enorme numero di brani hip-hop, jungle, drum and bass e via dicendo, già a
partire dagli anni ’80.76 L’introduzione delle tecnologie digitali di manipolazione
del suono, facilitando il sequencing, cioè l’ordinamento dei segnali sonori in una
nuova sequenza, contribuisce alla diffusione della pratica del sampling e la rende
accessibile anche all’utenza non specializzata, attraverso la compilazione di
database dedicati a questa tipologia di materiale sonoro.
Il remixing (lett. rimescolamento) è strettamente legato al sampling, tanto da
poterne essere considerato un’espressione particolare. Con il termine remix si
indica la versione alternativa di un brano originale, ottenuta tramite interventi
strutturali o formali (sonorità, tempo, dinamiche etc.). La pratica del remix nasce
negli anni ’80 sotto forma di estensione temporale dei brani destinati alle
discoteche, con semplici aggiunte finalizzate ad aumentare la “ballabilità” della
musica, per ovvie ragioni commerciali. Successivamente lo spettro di interventi
effettuati sul testo aumenta in numero e tipologia, e la pratica stessa assume una
valenza meno strumentale e più caratterizzata artisticamente, con l’emergere di
figure professionali (i dj, intesi nell’accezione più moderna) che si dedicano in
maniera esclusiva al remixing di brani originariamente composti da altri. 77
Manovich accosta il remix contenutistico all’espressione ‘post-modernismo’
proprio in virtù dell’approccio rielaborativo al contenuto culturale preesistente
che avviene all’interno di un determinato medium,78 in questo caso musicale. Il
rapporto del contenuto remixato con l’originale si realizza principalmente in tre
76 Vedi ad esempio Seven seconds of fire. How a short burst of drumming changed the face of music , in
http://www.economist.com/node/21541707, 17 dicembre 2011.
77 R. VISCARDI, op. cit., pp. 246-247.
78 L. MANOVICH, New Media and Remix Culture , in http://www.manovich.net/DOCS/LNM_Korea_intro.pdf, 2003,
p. 4.
38
tipologie: remix autorizzato – e quindi commissionato e promosso a scopo
creativo – dall’artista stesso, remix non autorizzato (spesso al centro di contrasti
legati al diritto d’autore) e remix a scopo parodistico.79 Un particolare metodo di
remix è il mash-up, cioè l’unione di due o più testi per creare un nuovo testo con
caratteri di originalità, spesso usato a fini parodistici.80 Anche per la pratica del
remixing è valido lo stesso discorso, già enunciato più volte, sul ruolo delle
tecnologie digitali, sia a livello di risorse economiche, sia di competenze d’uso
richieste. In particolare le tecniche di missaggio non lineare e computerizzate
consentono una libertà di intervento praticamente illimitata sui dati sonori che
costituiscono le componenti del remix.
I prodotti musicali che nascono da queste pratiche hanno, tranne nel caso di
artisti già affermati, scarsa diffusione nei circuiti di distribuzione digitale e
ricadono in massima parte nella tipologia di user-generated content.81 Alcune
piattaforme web basano interamente la propria attività su questa tipologia di
contenuti: un esempio recente e significativo è il servizio Soundcloud,82 avviato
nel 2008 con base a Berlino e diventato in breve tempo un punto di riferimento
per creatori e fruitori di musica remixata e creata attraverso il sampling.
79 G. SIBILLA, op. cit., p.227.
80 Sul mash-up come forma espressiva, vedi A. SINNREICH, Mashed Up: Music, Technology, and the Rise of Configurable
Culture, Amherst, University of Massachusetts Press, 2010.
81 G. SIBILLA, op. cit., p. 228.
82 http://soundcloud.com/
39
C o n c l u s i o n i
Abbiamo visto come l’evoluzione digitale dei media ridefinisca distribuzione,
fruizione e consumo dei contenuti, quale sia il suo effetto su testualità,
accessibilità e manipolabilità della musica e come stia portando ad una
trasmutazione della musica da prodotto a processo. La questione centrale è oggi
la ridefinizione delle categorie che costituiscono il sistema dei media musicali,
sulla base delle interazioni multidirezionali che si instaurano tra prodotto,
produttore e fruitore, in cui l’ultimo elemento della sequenza può diventare il
primo in un meccanismo di processualità creativa virtualmente infinito.
L’analisi del fattore tecnologico non può in ogni caso prescindere dal contesto
sociale entro il quale lo stesso si colloca, in quanto strettamente connesso ai
modi con cui i contenuti vengono fruiti dal pubblico e ai significati che le
pratiche sociali di consumo assumono in un contesto collettivo. Per questo
motivo occorre tenere presente la questione dell’accesso alle tecnologie, da cui
dipende la possibilità stessa dell’evoluzione digitale e che è rappresentata dal
digital divide, ossia il divario esistente tra le possibilità di accesso alle risorse
tecnologiche, sulla base di fattori economici, geopolitici, educazionali e
infrastrutturali. Le nuove tecnologie necessitano infatti, per poter essere
utilizzate, di disponibilità economica , infrastrutture e competenze tecniche
decisamente più elevate rispetto a quelle necessarie per operare attrezzature
analogiche.
Inoltre, se l’informatizzazione dei mezzi di comunicazione è un processo
globalizzante, altrettanto non può essere detto per la digitalizzazione della
musica: quest’ultima riguarda principalmente le nazioni in cui la musica stessa
viene prodotta industrialmente (in particolare i Paesi anglosassoni e l’Europa) e
di conseguenza costituisce non un processo di delocalizzazione dei contenuti ma
un fenomeno di ridefinizione dei canali distributivi all’interno degli stessi sistemi
40
nazionali.83 Il digital divide interno a questi sistemi si esplicita nelle competenze
informatiche e linguistiche necessarie per l’accesso alla musica digitale, suddivise
in due tipologie: un pubblico più adulto e meno tecnologicamente alfabetizzato,
la cui utenza è incentrata sulla semplice riproduzione sonora in senso
tradizionale, e un pubblico più giovane e più predisposto verso l’adozione dei
media digitali, che ne sfrutta appieno le potenzialità realizzando una fruizione
attiva attraverso la manipolazione narrativa e contenutistica. Il sistema dei media
musicali appare oggi sempre più orientato verso la convergenza di questi due
modi di rapportarsi al prodotto musicale, che riflettono sostanzialmente la
complementarietà di due diversi approcci tecnologici, l’uno ereditato dalle
consuetudini del periodo analogico, l’altro nativamente digitale.
È quest’ultimo, in particolare, il motore trainante dell’innovazione, la spinta
verso una fruizione della musica svincolata dal supporto fonografico e
trasformata definitivamente in servizio mediale. Lo scopo ultimo è quello di
rendere possibile una narrazione omnicomprensiva, una sorta di jukebox
universale che possa comprendere in sé tutte le espressioni di creatività musicale
mai realizzate, ma ciò potrà avvenire solo a patto che vengano superati i contrasti
e le contraddizioni interne al sistema dei media musicali e si trovi una via per
sopprimere il pericolo dell’information overload, del sovraccarico informativo che
porta l’espressione creativa a disperdersi nel mare magnum dei contenuti.
83 G. SIBILLA, op. cit., pp. 92-93.
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i Alcuni dei testi digitali indicati sono risultati non accessibili al momento della stesura: per la loro consultazione
si è fatto ricorso al servizio Internet Archive Wayback Machine (http://waybackmachine.org/).