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Anno XXVII • numero 1/2018 Tariffa regime libero: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Genova - P.P. ECONOMY Aut. DRT/DCB/GE/MG/525 del 04/11/03 PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA

n Anno XXVII - icoit.weebly.comicoit.weebly.com/uploads/3/4/2/1/3421789/2018.in.europa.1.pdf · a cura di Massimo Gaudina, responsabile della Rappresentanza della Commissione europea

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Anno XXVII • numero 1/2018

Tariffa regime libero: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonam

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Anno XXVII • numero 1/20

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PERCHÉ L’ITALIAIN EUROPA

APPELLO DELL’ALLEANZA ITALIANA PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

(WWW.ASVIS.IT)

Ai partiti e ai movimenti che partecipano alla campagna elettorale

1. Inserire nella Costituzione il principio dello sviluppo sostenibile, come giàfatto da diversi paesi europei.

2. Dare attuazione a una efficace Strategia nazionale per lo sviluppo soste-nibile orientata al pieno raggiungimento dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030,da realizzare con un forte coordinamento della Presidenza del Consiglio.

3. Promuovere la costituzione, all’interno del futuro Parlamento, di un inter-gruppo per lo sviluppo sostenibile.

4. Rispettare gli Accordi di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici e ra-tificare al più presto le convenzioni e i protocolli internazionali già firmatidall’Italia sulle altre tematiche che riguardano lo sviluppo sostenibile.

5. Trasformare il Comitato Interministeriale per la Programmazione Econo-mica (CIPE) in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile, cosìda orientare a questo scopo gli investimenti pubblici.

6. Definire una Strategia nazionale per realizzare un’Agenda urbana per losviluppo sostenibile che si affianchi a quella già esistente per le aree in-terne, rilanciando il Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane.

7. Istituire, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, un organismo perma-nente per la concertazione con la società civile delle politiche a favoredella parità di genere.

8. Coinvolgere la Conferenza Unificata per coordinare le azioni a favore dellosviluppo sostenibile di competenza dello Stato, delle Regioni e dei Comuni.

9. Raggiungere entro il 2025 una quota dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo pariallo 0,7% del Reddito Nazionale Lordo, coerentemente con gli impegniassunti dall’Italia di fronte alle Nazioni Unite.

10. Operare affinché l’Unione Europea metta l’impegno per attuare l’Agenda2030 al centro della sua nuova strategia di medio termine.

Anno XXVII • numero 1/2018

Tariffa regime libero: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonam

ento Postale - 70%

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NOMY Aut. DRT/DCB

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Anno XXVII • numero 1/20

18PE

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PERCHÉ L’ITALIAIN EUROPA

APPELLO DELL’ALLEANZA ITALIANA PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

(WWW.ASVIS.IT)

Ai partiti e ai movimenti che partecipano alla campagna elettorale

1. Inserire nella Costituzione il principio dello sviluppo sostenibile, come giàfatto da diversi paesi europei.

2. Dare attuazione a una efficace Strategia nazionale per lo sviluppo soste-nibile orientata al pieno raggiungimento dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030,da realizzare con un forte coordinamento della Presidenza del Consiglio.

3. Promuovere la costituzione, all’interno del futuro Parlamento, di un inter-gruppo per lo sviluppo sostenibile.

4. Rispettare gli Accordi di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici e ra-tificare al più presto le convenzioni e i protocolli internazionali già firmatidall’Italia sulle altre tematiche che riguardano lo sviluppo sostenibile.

5. Trasformare il Comitato Interministeriale per la Programmazione Econo-mica (CIPE) in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile, cosìda orientare a questo scopo gli investimenti pubblici.

6. Definire una Strategia nazionale per realizzare un’Agenda urbana per losviluppo sostenibile che si affianchi a quella già esistente per le aree in-terne, rilanciando il Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane.

7. Istituire, nell’ambito della Presidenza del Consiglio, un organismo perma-nente per la concertazione con la società civile delle politiche a favoredella parità di genere.

8. Coinvolgere la Conferenza Unificata per coordinare le azioni a favore dellosviluppo sostenibile di competenza dello Stato, delle Regioni e dei Comuni.

9. Raggiungere entro il 2025 una quota dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo pariallo 0,7% del Reddito Nazionale Lordo, coerentemente con gli impegniassunti dall’Italia di fronte alle Nazioni Unite.

10. Operare affinché l’Unione Europea metta l’impegno per attuare l’Agenda2030 al centro della sua nuova strategia di medio termine.

Anno XXVII • numero 1/2018

PERCHÉ L’ITALIAIN EUROPA

Numero 1/2018 anno XXVII Autorizzazione Tribunale di Genova n. 27 del 3 agosto 1991

Centro in Europa – Centro di iniziativa europeaVia dei Giustiniani 12/4 -16123 Genovatel. 010 2091270 - fax 010 [email protected] - http://www.centroineuropa.it

@CentroInEuropa

Centro in Europa

Direttore responsabile: Gianfranco De Ferrari

Realizzazione a cura di Carlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa

Ha collaborato Serena Maucci

Stampa: Andersen s.r.l. - Boca (No)

Progetto grafico: Elena Menichini

Realizzazione editoriale© 2018 - De Ferrari Comunicazione S.r.l. Via D'Annunzio, 2/3 - 16121 GenovaTel. 010 5956111 - 010 [email protected]

L’editore rimane a disposizione per gli eventuali diritti sulle immagini pubblicate. I diritti d’autore verranno tutelati a norma di legge.

Editoriale - Lavorare sui difetti, non disperdere i risultati Carlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa 5

Elezioni europee 2019. Il Parlamento europeo vicino ai cittadini Bruno Marasà, responsabile dell’Ufficio d’informazione del Parlamento europeo a Milano 7

Il programma di lavoro della Commissione europea per il 2018 a cura di Massimo Gaudina, responsabile della Rappresentanza della Commissione europea a Milano 11

Le antenne dell’Europa sulle religioni del mondo Franco Manzitti, giornalista 15

La (ir-)revocabilità del recesso del Regno Unito dall’Unione europea: uno studio commissionato dal Parlamento europeoChiara Cellerino, Università di Genova 20

PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA

Scegliere l’Europa Roberto Speciale, presidente del Centro in Europa 22

Più e non meno Europa Carlo Rognoni, giornalista 26

L’euro, l’Italia e il rilancio europeo Franco Praussello, professore ordinario di Politica Economica, Università di Genova 28

Trattati UE e Costituzioni nazionali: davvero Germania e Italia hanno regimi diversi? Francesco Munari, professore ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Genova 31

Stato di diritto a rischio in alcuni Stati membri. Quale risposta dalla UE? Andrea Venegoni, magistrato addetto al Massimario della Cassazione 34

Da Princeton a Genova nel segno del diritto dell’Unione europea Giuseppe M. Giacomini, avvocato specializzato nel diritto dell’Unione europea 37

In Liguria ora i Fondi europei sono più attenti al sociale Federico Vesigna, segretario generale Cgil Liguria 40

Che fine ha fatto la mucca pazza? Enrico M. Ferrero, direttore Struttura Complessa Sanità Animale ASL TO5, Regione Piemonte 43

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SOMMARIO

Europa. Le sfide italiane prima e dopo il 4 marzo Elisa Sola, assistente Unità Cambiamento climatico e Energie rinnovabiliDG Cooperazione internazionale e Sviluppo della Commissione europea 47

L’Unione fa la forza Serena Tonelli, laureanda in Scienze Internazionali e Diplomatiche, Università di Genova 49

LE RUBRICHE

SPAZIO CENTRO EUROPE DIRECTCentro Europe Direct Genova: un’avventura che continua Elisa Serafini, assessore alla Cultura, Marketing territoriale e Politiche giovanili, Comune di Genova 51

UNO SPAZIO PER LA SCUOLA La campagna elettorale che vorrei per i miei studenti Sonia Pastorino, insegnante 53

EUROPALIBRI“Introduzione alla E-Democracy” di Giancarlo Vilella recensione di Gianluca Prudenza, stagista al Parlamento europeo 56

ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA Sintesi dell’evento “Unione europea e Globalizzazione. Nuovi accordi commerciali, difesa dei valori e tutela degli interessi strategici” (Genova, 19 dicembre 2017) 59

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EUROPA. LAVORARE SUI DIFETTI, NON DISPERDERE I RISULTATI

EDITORIALE 5

Abbiamo chiesto a donne e uomini che a di-verso titolo hanno a che fare con l’Unioneeuropea (nell’ambito del diritto, dell’istru-zione, dei media, della pubblica amministra-zione, del sindacato, ecc.) di argomentare,proprio a partire dalla loro esperienza, sulperché l’Italia debba rimanere ancorata al-l’Unione europea. Vorremmo che questo fosse un elemento im-portante di discussione diffusa, in vista edopo le elezioni politiche del 4 marzo. L’ipotesi di una Italexit è remota, anche se èvero che il ruolo del nostro Paese in Europacontinua ad essere un terreno di scontro trale forze politiche impegnate nella campagnaelettorale. Per Carlo Rognoni – e altri commentatori – èproprio il confronto tra europeisti e sovranistia connotare questa consultazione. Certo laUE è spesso un pretesto di polemica politica:molti di questi articoli prendono spunto pro-prio da affermazioni, nuove o ripescate dalpassato, riguardanti l’Unione che si sono ma-nifestate – e si manifesteranno – fino alla datadelle elezioni. C’è un interrogativo che affiora in un paio diinterventi, e che trovo particolarmente stimo-lante: quanto la generalità dei cittadini siacoinvolta nella discussione sull’Unione euro-pea, sul suo futuro, sul ruolo in essa del nostroPaese. È la politica in generale che non ri-scuote fiducia. Lo scontento nei confronti diquella dell’Europa ha molte cause, da tempo

individuate e discusse. Tra di esse l’obiettivacomplessità del suo operare, la scarsa consa-pevolezza da parte dei più sui suoi risultati, lalimitatezza dei suoi poteri, a beneficio degliStati nazionali, in campi assai rilevanti per lepersone (a cominciare dalla dimensione so-ciale). L’Unione europea ha commesso anchemolti errori, ad esempio assecondando visionipolitiche dei suoi Stati-guida liberistiche o vo-tate ad un’austerità deleteria, che hanno fattosentire i loro effetti sulla popolazione. In Italia continua ad essere un grave handicapla mancanza di un’istruzione di base alla cit-tadinanza europea nelle scuole e nell’univer-sità. I giornali parlano di Europa più che inpassato (ma quanti leggono i giornali, oggi?).Alcuni politici – non molti, per il vero – hannouna chiara e realistica visione del quadro eu-ropeo. Le enclave europeiste (nel cui noverocolloco anche il Centro in Europa) prose-guono le loro attività di sensibilizzazione. LaCommissione europea e il Parlamento euro-peo hanno imbracciato la strumentazione “so-cial” nel lodevole tentativo di accrescere laloro visibilità. La debolezza politica della Germania non èuna buona notizia per l’evoluzione del pro-cesso di integrazione europea, per quanto inFrancia Macron tenti di assumere un ruolotrainante. Eppure le condizioni per una di-scussione sull’Europa ci sono. Sono apertimolti dossier che possono portare a risultaticoncreti, come il rafforzamento dell’area

EUROPA. LAVORARE SUI DIFETTI, NONDISPERDERE I RISULTATI CARLOTTA GUALCO - direttrice del Centro in Europa

EUROPA. LAVORARE SUI DIFETTI, NON DISPERDERE I RISULTATI

EDITORIALE6

euro e della dimensione sociale della UE, ilcompletamento dell’Unione bancaria, il go-verno dei flussi migratori anche attraverso ilsostegno allo sviluppo dei Paesi di origine, ilfuturo della politica di coesione (e del bilan-cio della UE), la realizzazione di un mercatounico digitale che ci aiuti a reggere di frontea concorrenti agguerriti. Sono tutti temi digrande rilevanza e spesso molto tecnici. Ri-ferendosi agli Stati che fanno parte del-l’Unione, è chiaro che chi non è in grado diconfrontarsi su questi terreni rischia che glialtri decidano per lui. La consapevolezza e la partecipazione dei cit-tadini è fondamentale per consentire all’Eu-ropa di non subire un processo di regressione,ma anzi per tentare di evolvere in forme piùefficaci. Per questo crea sgomento quanto staaccadendo in alcuni Paesi dell’Europa cen-trorientale: la limitazione dell’autonomia dellamagistratura, la stretta alla libertà di stampa,sciagurati arretramenti nella lotta alla corru-zione (ce ne parla Andrea Venegoni). Pensa-vamo di esserci lasciati alle spalle le riscritturea tavolino della storia (ma il caso della leggepolacca negazionista della Shoah ci dimostrache non è così), gli appelli alla patria – insaniperché non sono altro che richiami nazionali-stici –, l’uso della religione come strumento

di prevaricazione su altri, mentre Papa Fran-cesco mette in primo piano il dialogo (“Nonesistono culture superiori o inferiori” ha dettoincontrando i Mapuche nel Cile meridionale).Meno gravi (ci abbiamo fatto l’abitudine) mapur sempre allarmanti le “sparate” dei partitipolitici nella nostra campagna, negli intentirivolte a compiacere i cittadini scontenti (eritenuti creduloni).Sono questi, insieme ai pericolosi rigurgiti fa-scisti e razzisti, altrettanti richiami alla re-sponsabilità delle forze politiche perché met-tano al primo posto l’impegno per migliorarela condizione di cittadini europei poveri e im-poveriti, impauriti dalla minaccia terroristica,dalla mancata integrazione dei migranti, daiventi di guerra nucleare, dal cambiamento cli-matico. L’UE può avere un ruolo determi-nante nell’affrontare queste priorità? La ri-sposta, ancora una volta, è sì. Dipende ancheda noi dotarla di ulteriori poteri di intervento,orientati però al bene comune. Non voltia-moci dall’altra parte ma, come scrive Giu-seppe Giacomini, lavoriamo ai difetti dellaUE senza distruggere i risultati positivi rag-giunti. E diamo fiducia a quelle forze politicheche dimostrano non tanto di avere una visioneastrattamente pro (o anti) europea ma capa-cità di interagire con efficacia nelle sedi UE.

La UE connette l’Europa © Unione europea, 2017/ Fonte: CE - Servizio Audiovisivo/Foto: Mauro Bottaro

ELEZIONI EUROPEE 2019. IL PARLAMENTO EUROPEO VICINO AI CITTADINI

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D. Qual è il ruolo dell’Ufficio del Parlamento eu-ropeo, in particolare quello di Milano? Il nostro compito è promuovere le politicheeuropee e in particolare il ruolo che svolge ilParlamento europeo sia sul piano legislativoche su quello dell’indirizzo politico verso laCommissione e il Consiglio.In questo senso oltre a rispondere alle richiesteche vengono dai cittadini, sviluppiamo un’atti-vità permanente in contatto con istituzioni re-

gionali e locali, associazioni, scuole e universitàper approfondire i temi dell’agenda europea. Sitratta di un lavoro che ci permette di raggiun-gere una vasta platea e che, in parte, ci aiuta acolmare il deficit informativo sui temi europeiche, purtroppo, dobbiamo riscontrare neimedia (a parte naturalmente il ruolo preziosoche svolgono riviste come la vostra).C’è però una dimensione particolare del no-stro lavoro che ci dà molte soddisfazioni ed èquello con le scuole e le Università. Grazieall’impegno di decine di docenti riusciamo araggiungere migliaia di studenti con vere eproprie attività di studio e ricerca sulle istitu-zioni europee e il loro funzionamento e, cosaancora più importante, di informazione sulleopportunità europee per i giovani.Come sviluppo di questa attività stiamo por-tando avanti con successo il programma“Scuole Ambasciatrici del PE”. Queste scuolediventano dei partner permanenti e, in qual-che modo, ci permettono di entrare in rela-zione con altri settori sociali attivi sui temieuropei nel loro territorio.

D. Il Parlamento europeo ha appena inauguratoun nuovo centro multimediale, quali sono le suecaratteristiche salienti?Da tempo possiamo dire di avere come Par-lamento una “potenza di fuoco” informativa

ELEZIONI EUROPEE 2019IL PARLAMENTO EUROPEOVICINO AI CITTADINIBRUNO MARASÀ - responsabile dell’Ufficio d’informazione del Parlamento europeo a Milano

Bruno Marasà è responsabile dell’Ufficio del Parlamento europeo a Milano dal 2011. Prima di assu-mere questo incarico, era Capo Unità per la politica estera, sicurezza e difesa al Parlamento europeo.Da diversi anni tiene seminari sul Diritto dell'Unione europea in diverse Università italiane e ha pub-blicato diversi articoli e saggi (anche sulla rivista in Europa, ndR), soprattutto sul tema delle relazioniinternazionali ed euromediterranee.

straordinaria. Per gli addetti ai lavori e per ilgrande pubblico la nostra è davvero una casadi vetro. Si possono seguire in streaming i la-vori di tutte le commissioni parlamentari,avere accesso a una vasta gamma di prodottiinformativi tradizionali (il vecchio comuni-cato stampa) e multimediali, audio e tv. Pernon parlare della presenza su tutti i socialmedia. La nostra Direzione Generale dellacomunicazione ha superato di recente il mi-lione di followers.Adesso con il Centro multimediale sì è garan-tito un migliore coordinamento trai vari stru-menti e un accesso più semplice e diretto. Èla risposta del PE all’esigenza di comunicaremeglio, ma al tempo stesso di favorire l’ac-cesso di tutti a informazioni essenziali per co-noscere l’Europa, le sue istituzioni, le suepolitiche.

D. In che modo il Parlamento europeo partecipaall’attuale fase di dibattito e rilancio del processodi integrazione europea, simbolicamente aperto, loscorso anno, dalle celebrazioni del sessantesimoanniversario della firma dei Trattati di Roma?È chiaro che siamo entrati in una fase difficiledopo le decisioni sulla Brexit. Per la primavolta il cammino dell’integrazione, fatto diuna serie successiva di allargamenti, ha cono-sciuto una seria battuta d’arresto. Il negoziatosulla Brexit, paradossalmente, ha però fattoemergere con sufficiente chiarezza chi ha daperdere fuori dall’Europa. Il Parlamento europeo ha preparato il dibat-tito sulla nuova fase necessaria per rilanciareil processo d’integrazione europeo appro-vando importanti relazioni. In particolare conle proposte contenute nel rapporto dellaCommissione affari costituzionali di cui sono

ELEZIONI EUROPEE 2019. IL PARLAMENTO EUROPEO VICINO AI CITTADINI8

Studenti Erasmus alla porta di Brandeburgo (Berlino). © Unione europea, 2017/ Fonte: CE - Servizio Audiovisivo/Foto: Adam Berry

ELEZIONI EUROPEE 2019. IL PARLAMENTO EUROPEO VICINO AI CITTADINI

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stati responsabili i parlamentari MercedesBresso e Elmar Brok.Queste proposte si sono concentrate su que-stioni essenziali per ridare fiducia ai cittadinirispetto all’Europa. Inutile nascondersi che laprolungata crisi economica ha diffuso sfiduciae generato chiusure. Rilanciare gli investi-menti attraverso lo strumento di un vero bi-lancio europeo, gestito da un ministroeuropeo, inserito in una nuova governance cheveda al centro la Commissione europea comenucleo di un vero e proprio governo europeoe con poteri rafforzati di indirizzo e controlloper il Parlamento: questo il catalogo del con-fronto ormai aperto.Purtroppo questa fase, alla quale hanno par-tecipato molti leader europei e in particolare,nei mesi scorsi, il Presidente francese Ma-cron, si è in qualche modo interrotta per ilsusseguirsi di importanti scadenze elettoralinazionali (Germania, ma anche Italia ovvia-mente). Ma questo dibattito non si può interrompere.È significativo, per esempio, che una delleconseguenze della Brexit per cui non ci sa-ranno europarlamentari britannici nel Pe, si ètradotta nell’idea assolutamente innovativa didestinare una quota di quei seggi a liste tran-snazionali presentate da partiti europei. Nonè certo che si arrivi a concretizzare la propostagià fatta propria dal Parlamento, ma è impor-tante che essa abbia raccolto ampi consensi. A questo punto diventano ancora più impor-tanti le prossime elezioni europee che si ter-ranno il 26 maggio del 2019. Si tratta nonsolo di chiedere ai cittadini di contribuire conil loro voto a legittimare l’unica istanza che lirappresenta direttamente, ma di motivare ilrilancio del progetto europeo sulla base dichiari obiettivi per affrontare le grandi sfidedel mondo odierno: cambiamento climatico,effetti della globalizzazione e della rivoluzionetecnologica, migrazioni. Nessuno di questitemi può essere affrontato in una logica me-ramente nazionale. La dimensione europea èessenziale per trovare le risorse e le energienecessarie.

D. Hai qualche anticipazione sulla strategia dellacampagna istituzionale per le elezioni del Parla-mento europeo del 2019?Il fatto nuovo della nostra strategia comuni-cativa, già adottata dalla Presidenza del Par-lamento, è che concentreremo i nostri sforziin una campagna “pro-europea”. Di fronte airischi delle chiusure nazionaliste, alla crea-zione, fisica e spirituale, di nuovi muri l’Eu-ropa deve ritrovare le ragioni di fondo delprogetto unitario, ispirate a valori di pace e disolidarietà.Naturalmente questa strategia non può affi-darsi solo alla retorica. Soprattutto se sivuole colmare la distanza, risultato di pro-cessi più profondi, con le nuove generazioniche, per fortuna, non hanno conosciuto gliorrori della guerra.Allora bisognerà parlare anche delle realiz-zazioni effettive delle politiche europee, deisuccessi ottenuti dall’Erasmus+ , alla fine delroaming, ai finanziamenti per la ricercascientifica, alle norme ambientali, per fare al-cuni esempi.Per realizzare questa strategia si punterà a uncoinvolgimento dal basso di attori/stakehol-der con i quali collaborare e cercare di otte-nere un effetto moltiplicatore.“Un messaggio, tutti i canali” questo loschema di quello che abbiamo chiamato“Ground game “. Quindi una serie di azionie progetti da impostare con quanti voglionocondividere questo rinnovato impegno a fa-vore dell’Europa. Decisivo sarà in questaazione dal basso il ruolo di centri europei,della rete degli Europe Direct, dei movi-menti europeisti.Niente di sofisticato (inglese a parte), per ca-rità: solo lo sforzo di avvicinare le istituzioniai cittadini come ha ripetuto in numerose oc-casioni il Presidente del Parlamento, AntonioTajani, con strumenti e canali di comunica-zione il più possibile vicini ai cittadini.

Intervista a cura di C. G.

IL PROGRAMMA DI LAVORO DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL 201810

Diciotto mesi separano la Commissione Jun-cker dalla fine del suo mandato. Tanto è giàstato fatto, ma sfide importanti attendono an-cora l’esecutivo europeo, per rendere l’Eu-ropa del futuro «più unita, forte edemocratica». Sulla scia dell’appello lanciatodal Presidente Juncker nel discorso sullo statodell’Unione, la Commissione europea ha pre-sentato recentemente il suo programma percompletare i lavori sui temi-chiave per l’avve-nire dell’Unione. Il tutto sempre ispirato al“decalogo” di priorità della CommissioneJuncker, che pone al centro dell’azione euro-pea le ricadute positive per i suoi cittadini dioggi e di domani.

Occupazione, crescita e investimentiLa ripresa economica è ormai avvertita in tuttala Ue. Sono stati creati nuovi posti di lavoro,sono state supportate nuove infrastrutture, siafisiche che digitali, e si sono fatti passi avantiverso un’energia sempre più pulita. Questo èstato possibile grazie anche al piano di investi-menti per l’Europa, noto come “Piano Jun-cker”, che sta svolgendo un ruolo importantenel far decollare i progetti, sostenere le PMI efavorire la crescita. Per continuare quanto fatto,la Commissione intende presentare la proposta“EFSI 2.0” per aumentare la portata del Pianodagli attuali 325 a 500 miliardi euro.

MigrazioneLa gestione dei flussi migratori resta una dellesfide più drammaticamente urgenti che l’Eu-ropa dovrà affrontare anche quest’anno. Se intermini generali l’Europa ha bisogno di mi-grazione legale e qualificata per colmare la-cune demografiche e in alcuni casi ancheprofessionali, i morti del Mediterraneo e lagestione della crisi migratoria tracciano unasfida complessa, che richiede interventi suvari livelli, dai Paesi di partenza a quelli d’ar-rivo, dalle zone di transito al quadro giuridico. Molto è già stato fatto negli ultimi mesi in que-sto senso, ma la Commissione intende pro-muovere nuove azioni e rafforzare strumentiesistenti. Il quadro di partenariato per la migra-zione, già avviato con diversi Paesi africani, saràun elemento chiave delle politiche di gestionedella migrazione. Il lancio e il consolidamentodi un “piano Juncker per l’Africa” sarà la pietramiliare di una strategia di sviluppo locale afri-cano, che possa dare prospettive alle popola-zioni locali, con l’obbiettivo di ridurre nelmedio-lungo periodo i flussi migratori causatida ragioni economiche. Sarà inoltre importante sviluppare percorsi le-gali per i rifugiati e al tempo stesso consoli-dare le azioni di rimpatrio per i non aventidiritto. Ma anche la riforma delle regole diDublino e la protezione dei minori migranti

IL PROGRAMMA DI LAVORO DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL 2018

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IL PROGRAMMA DI LAVORODELLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL 2018A cura di MASSIMO GAUDINA, responsabile della Rappresentanza della Commissione europeain Italia a Milano

in collaborazione con Francesco Laera, Lisa Crippa, Alessandro Delmenico

avranno una posizione preponderante nel-l’agenda europea.

DigitaleCon 360 milioni di europei che utilizzano In-ternet ogni giorno, l’Europa ha bisogno di unvero mercato unico digitale e di una coopera-zione rafforzata per realizzare reti fisse e mo-bili 5G ad altissima velocità. Per completareil mercato unico digitale, nel corso del 2018verrà presentata anche una proposta sul-l’equità nei rapporti piattaforma-impresa e sa-ranno fatti passi avanti sull’iniziativa percontrastare le fake news, oltre a sostenereazioni innovative per rafforzare la cybersicu-rezza (rafforzamento dell’agenzia ENISA,messa in rete di centri di eccellenza, etc)

Energia e cambiamenti climaticiLa Commissione continuerà a lavorare permigliorare la sicurezza dell’approvvigiona-mento energetico e il funzionamento del mer-cato interno. La Commissione adotterà undocumento di riflessione su un futuro euro-peo sostenibile e una comunicazione sul fu-turo delle politiche dell’UE per l’energia e ilclima. In arrivo anche proposte per i gasdottiche entrano nel mercato interno del gas eu-ropeo. Nel settore dei trasporti, sono attesiprogressi sulle nuove norme sulle emissioni didi CO2 di automobili, furgoni e veicoli pe-santi e sarà data una particolare attenzionealle batterie e alle infrastrutture alternativeper le auto elettriche.

Imprese e industriaEconomia circolare, industria 4.0, revisione deldiritto societario e IVA saranno le prioritàd’azione nel 2018. In arrivo nuove propostesull’IVA, per semplificare il sistema IVA per lePMI e per tassare i profitti delle multinazionalinell’economia digitale. Per rafforzare equità so-ciale e diritti del lavoro, la Commissione pro-porrà un’autorità europea del lavoro e unnumero europeo di sicurezza sociale polifunzio-nale per semplificare le interazioni dei cittadinicon le amministrazioni in una serie di settori.

Euro e bancheNel corso del 2018 si lavorerà per trasformareil meccanismo europeo di stabilità, noto come“fondo salva-Stati”, in un vero e proprioFondo monetario europeo in grado di rispon-dere alle crisi economiche. La Commissioneproporrà inoltre di creare la figura di Ministropermanente dell’economia e delle finanze UEe di dedicare una parte del bilancio UE all’eu-rozona. Questi fondi verranno usati anche perfacilitare la stabilizzazione delle economie dei19 Paesi che usano l’euro e per promuovere leriforme strutturali nei singoli Paesi. Verrà inol-tre proposto uno strumento di convergenzaeconomica per facilitare l’adesione all’euro daparte dei Paesi che non ne fanno ancora parte. Sul fronte dell’Unione bancaria, la Commis-sione si aspetta dei progressi sul sistema euro-peo di assicurazione dei depositi. Un’Unionebancaria completa, unitamente all’Unione deimercati dei capitali, contribuirà a costruire il si-stema finanziario stabile e integrato di cui i cit-tadini e le imprese hanno bisogno.

Commercio esteroGli accordi commerciali, oltre a comportare deivantaggi per le imprese europee (riduzione deidazi doganali), sono un’opportunità per pro-muovere gli standard europei a livello mon-diale. Nel corso del 2018 la Commissioneintende portare avanti i negoziati commercialicon il Mercosur (il mercato comune dell’Ame-rica Latina), Messico, Singapore e Vietnam. C’èinoltre l’intenzione di avviare negoziati com-merciali con l’Australia e la Nuova Zelanda.Sempre sul fronte commerciale, ci si aspettache il Parlamento europeo e il Consiglio appro-vino norme più stringenti sulla protezione degliinteressi economici europei come, ad esempio,strumenti di difesa commerciale più moderni eil quadro di valutazione degli investimenti di-retti che i Paesi extra-UE fanno in Europa.

…e ancora Il 2018 è l’anno europeo del patrimonio cul-turale e saranno moltissime le opportunità divalorizzare agli occhi del mondo i mille tesori

IL PROGRAMMA DI LAVORO DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL 201812

italiani ed europei. Novità importanti ancheper i consumatori. Nel corso del 2018 la Com-missione presenterà nuove regole per rafforzarel’applicazione giudiziaria e il risarcimento ex-tragiudiziale dei diritti dei consumatori.Nel 2018 sono attesi passi avanti importantianche sulla cooperazione in materia di difesaeuropea, fortemente sostenuta dall’Alto Rap-presentante per la Politica estera FedericaMogherini. In particolare, il fondo europeo didifesa dovrà svolgere un ruolo chiave per so-stenere la ricerca collaborativa nel settoredella difesa e per sviluppare di capacità di di-fesa dell’Unione europea.Inoltre, una parte del programma di lavorodella Commissione è dedicata all’obiettivo di“legiferare meglio” e di chiarire la definizionedelle competenze tra livello europeo, nazio-nale e regionale. Una “Task-Force sulla sus-sidiarietà” presieduta dal Vice-PresidenteFrans Timmermans presenterà nel corsodell’anno le sue proposte in tal senso. Verranno anche proposte un’estensione deicompiti della Procura europea, per includere

la lotta contro il terrorismo, e un’iniziativa sulrispetto dello Stato di diritto.

Guardando al futuro Parallelamente al completamento dell’attualeagenda, la Commissione Juncker continueràa impegnarsi per preparare l’Europa di do-mani, quella che uscirà dalle urne delle pros-sime elezioni europee. A partire dal 30 marzo2019 l’Ue sarà un’unione di 27 Stati membrima al tempo stesso l’Europa avrà bisogno diuna prospettiva di allargamento credibile peri paesi candidati dei Balcani occidentali e ilsummit di Sofia (maggio 2018) sarà un’im-portante tappa in questo percorso. Inoltre, la Commissione presenterà nei pros-simi mesi una proposta per il futuro quadrofinanziario pluriennale post-2020, sia sul latodelle entrate che sul lato delle spese. Si trat-terà di un momento importante perché ini-zierà in quel momento un lungo negoziato,aperto e trasparente, che darà forma, dimen-sioni e priorità all’Europa che verrà, e soprat-tutto all’Europa che gli europei vorranno.

IL PROGRAMMA DI LAVORO DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL 2018

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15LE ANTENNE DELL'EUROPA SULLE RELIGIONI DEL MONDO

Dice Alberto Melloni, uno dei più attenti os-servatori del mondo religioso, “firma” di Re-pubblica e grande coscienza della spiritualitàcattolica, che questo, dopo gli epocali e apo-calittici cambiamenti climatici, è il più grandesommovimento che ci sia oggi nel nostro pia-neta. Allude alle mutazioni dell’atteggiamentoreligioso, quello dei popoli nei confronti dellareligione e quello delle religioni tra di loro eancora quello, veramente epocale, che si sin-tetizza con il termine, molto in uso in Italia,in particolare sulla bocca di molti vescovi, di“secolarizzazione” delle società moderne, svi-luppate o globalizzate.

Lo scossone è talmente forte che Jean-ClaudeJuncker, il presidente della Commissione eu-ropea, poco più di un anno fa ha deciso dicreare all’interno dell’Unione una struttura,con a capo non ancora un Commissario, maun “envoyé spécial” con specifico mandato po-litico per occuparsi del rapporto tra le religioni,chiaramente sottolineando un ruolo europeoda motore in questa azione a largo raggio dicontrollo e relazioni.Così l’Europa ha nominato “envoyé spécial”un ex vice premier slovacco Ján Figel’, 57anni, sposato, quattro figli, ex Commissariocon Prodi e Barroso, un cattolico forte,esperto di educazione e formazione, affian-candogli per ora una struttura leggera e agilee affidandogli un compito delicato, forse unodei più delicati in questa fase: perseguire undialogo e garantire le libertà di espressionedelle religioni, di ogni religione nel mondo,studiandone i reciproci rapporti e diventandointerlocutori in ogni angolo della terra. Nelnome e per conto dell’Europa.La pietra miliare di questa mission è garantirel’articolo 18 del Trattato europeo “Internatio-nal Convention of civil and political rights”.Garantire significa impegnarsi nel far rispet-tare ovunque questa regola sacra di ogni reli-gione verso l’altra e di ogni società civile versole religioni.Poco prima di Natale, a Bruxelles, la nuovastruttura ha invitato 300 Imam, prevalente-mente di origine marocchina, quasi tutti in ser-vizio in Italia, in una grande assemblea per

LE ANTENNE DELL’EUROPASULLE RELIGIONI DEL MONDOFRANCO MANZITTI - giornalista

spiegare che l’Europa si impegna ad aiutarli nelloro complicato impegno nelle città dove ope-rano: far rispettare la religione islamica, favorireluoghi di culto, agevolare le relazioni con le au-torità locali e sopratutto con le altre religioni. Deve essere stata una grande scena quella diqueste centinaia di Imam, prevalentemente inabiti musulmani, che battevano le mani al-l’envoyé Figel e ai suoi assistenti, che promet-tevano, in nome dell’Europa, di lavorare perottenergli tolleranze e aiuti tra le mille diffi-coltà, le diffidenze, i pregiudizi e gli obiettiviostacoli di un lavoro di frontiera.La riunione a Bruxelles è solo un piccoloesempio del compito impegnativo che lanuova “unità” europea ha intrapreso. L’Eu-ropa deve, infatti, rendere concreto il compitodi garantire la libertà religiosa in ben 170

paesi nel mondo, in molti dei quali la ten-denza all’esclusione degli altri è molto forte.Si pensi al Pakistan e al Sudan, paesi nei qualiFigel e i suoi si sono già recati per incontrarei capi religiosi.Il quadro che ha sollecitato l’azione corag-giosa di Juncker e della sua struttura è moltonegativo.Si parte proprio da quei sommovimenti glo-bali che sono paragonabili ai cambiamenti cli-matici, evocati da Melloni. C’è unaprogressiva e massiccia uscita mondiale daltema religioso, come ben racconta uno deipiù attenti studiosi di questa materia nelmondo, il francese Olivier Roy, che ha scritto“La Santa Ignoranza”, libro cult per capirecome oramai avanzi l’ateismo puro, si scatenila radicalizzazione e si manifesti una “social

LE ANTENNE DELL'EUROPA SULLE RELIGIONI DEL MONDO

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Incontro tra la Commissione europea e i leader religiosi (Bruxelles, 7 novembre 2017). © Unione europea, 2018 / Fonte: CE - Servizio Audiovisivo

hostility” ad ogni tipo di credo. Insomma, c’ècome un non ritorno alla religione e una mu-tazione del fatto religioso.In questo quadro il compito che l’Europa si èdata con la sua task force è, prima di tutto, disensibilizzare alla questione, di spingere al dia-logo e al rispetto della diversità. Un grandesforzo di comunicazione-educazione per ilquale Figel, che aveva precedentemente lavo-rato nella Commissione per l’educazione e laformazione, sembra particolarmente attrezzato.Si deve entrare in un terreno vergine, ma moltoaccidentato e con emergenze estreme, come,per esempio, quelle di almeno 40 paesi da se-guire strettamente perché si trovano ad affron-tare politiche terroristiche a sfondo religioso. Basta pensare all’Irak, al Sudan, al Marocco,al Senegal, alla Giordania, al Pakistan. Sitratta in parte di un terreno nuovo, proprioperché la diplomazia classica di ogni singolopaese è sempre stata restia ad occuparsi di re-ligione, solo gli Usa si sono tradizionalmenteinteressati di libertà religiosa, altrimenti esisteuna specie di “analfabetismo religioso”.L’azione dell’Europa, scesa in campo dapochi mesi, ha, quindi, due immediati obiet-tivi. Il primo riguarda l’educazione nellescuole. In molti paesi, infatti, i messaggi edu-cativi sono violenti. Nel caso delle scuole a re-ligione islamica gli “altri” vengono ancoradefiniti costantemente e duramente “infe-deli”. L’impostazione è quella del fanatismoche ben conosciamo e che conduce alle tragi-che estremizzazioni, di cui è segnata la cro-naca di questi anni.Il secondo obiettivo dell’azione europea è in-cidere nella cultura e nei media: come vienepresentata la religione, spesso l’”altra” reli-gione nei dibattiti culturali, nella comunica-zione dei media, sui giornali, nei cinema,perfino in quel sistema così popolarmente pe-netrante delle telenovelas? Con il dovuto ri-spetto, con la precisione delle descrizioni o inmodo distorto e fuorviante?Nello scenario mondiale è chiaro oggi chel’appartenenza all’Islam appare come la cul-

tura dominante, quasi travalicante, che con-quista sempre più territori, calcando molto ilsenso della appartenenza a quella religione. Equesto avviene mentre, più in generale, sem-bra che la religione sia cacciata dalla vita pub-blica e, semmai, relegata a quella privata. Proprio questo si chiama “secolarizzazione” eanche questo crea una difficoltà obiettiva al-l’instaurazione di quello che potremmo defi-nire un Islam europeo moderato. Da lì arrivano le enormi difficoltà dei 300Imam radunati a Bruxelles, che denunciano illoro stato di emergenza, stretti tra la loro reli-gione da proteggere e celebrare e una societàche cancella anche la propria di religione o lalimita a pochi aspetti privati e alza muri versola loro.Il grande cambiamento della società europeae globalizzata e immigrata a potenti iniezionidi multiculturalismo e multireligionismo èl’ostacolo più vicino per Figel e i suoi. Po-trebbe essere questo il problema nel propriocortile, banalizzando la mission. Poi c’è ilmondo, ci sono i capi religiosi che sono spessocapi di Stato o intrecciati ad essi in aree dovele società evolvono diversamente e la radica-lizzazione è potente.La nuova struttura europea ha incominciatoil suo tragitto con coraggio e determinazione,si è presentata non certo solo all’Europa, maanche al mondo, ha viaggiato, ha già incon-trato i capi religiosi in Pakistan, a Karachi eLahore, a Islamabad, ha discusso con il DalaiLama e con i nunzi apostolici romani dellaChiesa. Ha conosciuto certamente un Islamcompatibile con la res publica occidentale e hagià tratto le sue differenze. Perché in Franciae in Belgio si discute così animatamente del-l’uso del velo per le donne mussulmane, men-tre in Italia questa discussione è ancorasporadica?È molto importante capire l’Islam per “mo-derarlo”, creandogli spazio, luoghi di culto,dandogli respiro nel rispetto di tutte le sensi-bilità, disinnescando, per quanto è possibile,la rabbia della non integrazione.

LE ANTENNE DELL'EUROPA SULLE RELIGIONI DEL MONDO

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L’esito del referendum inglese del 23-24 giu-gno 2016 e la successiva notifica da parte delRegno Unito al Consiglio europeo, il 29 marzo2017, della volontà di recedere dall’UE ai sensidall’art. 50 TUE, ha dato inizio ad una com-plessa fase di negoziati che dovrebbero portarealla conclusione di un accordo di recesso tral’UE e lo Stato interessato ovvero, in assenza,alla cessazione “in tronco” degli effetti del di-

ritto UE nei confronti del Regno Unito a par-tire dal 29 marzo 2019 (cd. hard Brexit). Tut-tavia, le incertezze sull’esito dei negoziatinonché le difficoltà oggettive dello “sgancia-mento” di questo Paese dal coacervo di obbli-ghi derivanti dalla sua ultra-quarantennalepartecipazione al processo di integrazione eu-ropea, unitamente al desiderio di alcuni di ro-vesciare l’esito del referendum attraverso unanuova consultazione popolare, o altri strumentiparlamentari, ha sollevato una questione ulte-riore, quella cioè dell’opportunità (e legitti-mità) di un’eventuale revoca della notifica direcesso. Una sorta di dietro-front che il Go-verno del Regno Unito nega, nelle dichiara-zioni ufficiali, di voler perseguire, ma cherisulta invece oggetto di studio a molti livelli.Del resto, che non si tratti di una mera ipotesispeculativa pare trovare conferma nello studioda ultimo commissionato dal Parlamento eu-ropeo e pubblicato nel gennaio di quest’anno,dal titolo “The (ir-)revocability of the withdrawalnotification under art. 50 TEU”1. Lo studio è diparticolare interesse se si considera che l’art.50 TEU non prevede alcunché in tema di re-voca dello strumento di recesso. Gli argomenti a favore della legittimità di unarevoca possono sintetizzarsi come segue: l’as-senza di uno specifico divieto nel TUE eTFUE, l’applicazione del diritto internazionale

LA (IR-)REVOCABILITÀ DEL RECESSO DEL REGNO UNITO DALL’UNIONE EUROPEA20

LA (IR-)REVOCABILITÀ DELRECESSO DEL REGNO UNITODALL’UNIONE EUROPEAUno studio commissionato dal Parlamento europeo

CHIARA CELLERINO - Università di Genova

1 Esso è reperibile al seguente link:http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2018/596820/IPOL_IDA(2018)596820_EN.pdf

in materia di revoca del recesso dai Trattati in-ternazionali (v. infra), la volontà dei Trattati difavorire un’“Unione sempre più stretta” tra gliStati membri, l’illegittimità di un recesso nonpiù sostenuto da una volontà di recedere delGoverno interessato. Sono invece argomenticontrari alla revoca: l’impossibilità di assumereun diritto di revoca in assenza di un’indicazionedei Trattati in tal senso, la completezza della di-sciplina di cui all’art. 50 TUE, che prevede lasola possibilità per il Regno Unito di presentareuna nuova domanda di adesione, nonché lateoria del cd. “azzardo morale”, riferita al ri-schio, soprattutto per gli Stati più grossi, di unuso strumentale della comunicazione di recessoe della sua successiva revoca, per ottenere con-dizioni più favorevoli di partecipazione all’UE.Sul piano delle norme internazionali generali,giova rilevare che il recesso da un trattato in-ternazionale è consentito in due ipotesi: i) seè previsto dal Trattato stesso ed è conformealle sue norme ii) nel caso in cui vi acconsen-tano tutte le altre parti contraenti. La Conven-zione di Vienna sul Diritto dei Trattati ponepoi alcune condizioni procedurali del recesso(artt. 65 e 67 CVDT). Quanto alla sua revoca,essa è prevista in specifiche situazioni, purchéavvenga prima che la comunicazione di re-cesso abbia avuto effetto (art. 68 CVDT). Tut-tavia, lo studio mette in luce come talidisposizioni difficilmente si attaglino alla fat-tispecie della Brexit: da un lato, le norme con-venzionali menzionate non sono norme didiritto internazionale consuetudinario (aventeapplicazione generale) ma vincolano soltantole Parti contraenti della CVDT e non l’UE(che non ne è parte), non potendo quindi fun-gere da norme integrative dell’art. 50 TUE.Dall’altro lato, il recesso del Regno Unitodall’UE non sarebbe una questione mera-mente orizzontale tra lo Stato uscente e glialtri Stati membri dell’UE, coinvolgendo, in-vece, il rapporto verticale tra lo Stato uscentee le istituzioni UE. Con la conseguenza chetale situazione non trova più la propria disci-

plina nel diritto internazionale, ma esclusiva-mente nel diritto UE. A ciò si aggiunga che lanotifica di recesso produce già una serie di ef-fetti giuridici, tra i quali il decorso del terminedi due anni per la conclusione dell’accordo direcesso, nonché l’adozione degli orientamentidel Consiglio europeo ai fini del negoziato. Aquesto riguardo, le istituzioni europee riten-gono infatti che una revoca dello strumento direcesso potrebbe avvenire solo se concordatacon le stesse istituzioni, escludendo invece unarevoca meramente unilaterale che ristabiliscalo status quo ante. Lo studio conclude tuttavia nel senso diescludere che, ad oggi, l’art. 50 TUE consentauna presa di posizione chiara sulla legittimitàdella revoca della notifica di recesso. La suainterpretazione non può quindi che esserefornita dalla Corte di giustizia, unico organocompetente ad interpretare in modo defini-tivo i Trattati. Benché i giudici inglesi a suotempo investiti della questione relativa almancato coinvolgimento del Parlamento in-glese nella decisione di recesso (caso Miller ealtri2) non abbiano adito la Corte di giustiziasu questo aspetto, non è escluso un coinvol-gimento della stessa Corte in futuro, in trepossibili scenari: i) l’attivazione da parte dellaCommissione UE di una procedura di infra-zione contro il Regno Unito, qualora attuasseuna revoca unilaterale della notifica di re-cesso; ii) un’azione di annullamento ex art.263 TFUE avverso un ipotetico accordo di re-voca tra le istituzioni UE e il Regno Unito iii)un ricorso individuale avverso la revoca daparte di un cittadino inglese dinanzi ai giudicinazionali, con successivo rinvio pregiudizialealla Corte di giustizia. Resta da chiedersi sesia opportuno che un organo giurisdizionaleabbia l’ultima parola su una situazione tantocarica di implicazioni per i cittadini europei,che certamente avrebbe potuto e dovuto es-sere gestita, sin dall’inizio, con maggiore re-sponsabilità da parte della politica nazionaleche la ha generata.

LA (IR-)REVOCABILITÀ DEL RECESSO DEL REGNO UNITO DALL’UNIONE EUROPEA

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2 Reperibile al seguente link: https://www.supremecourt.uk/cases/docs/uksc-2016-0196-judgment.pdf

L’impegno del Centro in Europa per contri-buire a costruire la casa comune europea èun impegno antico, chiaro e forte. In un libro un po’ dimenticato ma allora moltodiffuso e valorizzato: “Europa in chiaro – guidae strumenti per vivere l’Europa, 1999” sono giàesposte, come un manifesto programmatico, leragioni di quell’impegno da parte di tutti gli au-tori e dalle prefazioni di Carlo Azeglio Ciampie Gina Lagorio. Ciò che è straordinario è che,pur essendo mutati, ovviamente, gli scenari e lepolitiche concrete, quelle parole e quelle indi-cazioni conservano tutta la loro attualità. E cosìCiampi afferma che “Come per gli altri Paesi,

il passo che ha compiuto l’Italia il 1° gennaio1999 (decisione della moneta unica N.d.r.) èl’impegno a continuare con uguale determina-zione in futuro”.Ricordando l’istituzione della lira nel 1862come moneta unica nazionale, poco dopo ladichiarazione dell’Unità d’Italia, Ciampi af-ferma “Quell’unificazione monetaria è statoun momento importante dell’unificazione na-zionale, come una bandiera ha tenuto unito ilPaese anche nei momenti più drammaticidella nostra storia”. Ed ancora: “Nella mo-neta da un euro coniata dalla zecca italiana èraffigurato l’uomo disegnato da Leonardo daVinci…averlo scelto…vuol dire sottolineareche l’uomo è la misura e che la moneta è unmezzo da utilizzare per una sempre più inci-siva affermazione dei valori civili” e tutto que-sto indica anche quanto l’Italia ha datoall’Europa e al mondo in termini di cultura,d’arte e di scienza ed è simbolo delle poten-zialità del nostro Paese.Ciampi conclude: “Da anni amo definirmicittadino europeo nato in terra d’Italia. Daoggi mi sento completamente tale”.E Gina Lagorio (la nota scrittrice) definiscel’idea di Europa come una passione capace discaldare, per i più giovani soprattutto, il ca-mino della vita e quindi “una protezione con-tro il vuoto”. Anch’io in quel libro ricordavoche l’Europa è un’idea forte, la più forte diquelle in circolazione, e chi si impegna per que-sto progetto non ha, non può avere il cuorefreddo. Quando si chiede la ragione principale

SCEGLIERE L’EUROPA

PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA22

SCEGLIERE L’EUROPA ROBERTO SPECIALE - presidente del Centro in Europa

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PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA 23

per costruire l’Europa unita non avevo e nonho ancora dubbi: rispondo che la sua impor-tanza sta nell’aver assicurato e di continuare adassicurare la pace tra gli Stati e i popoli in uncontinente che ha visto guerre ed orrori, natiproprio da un esasperato nazionalismo e daconcezioni totalitarie. L’Europa nasce dallaResistenza europea al nazismo e al fascismo,rappresenta l’uscita dalla nebbia della ragione.Vi sono stati precursori di questo progetto, trai quali nell’Ottocento Mazzini e Garibaldi epiù recentemente il Manifesto di Ventotene e Al-tiero Spinelli; vale però la pena ricordare unoscritto centrale di Benedetto Croce del 1931nella sua “Storia d’Europa”:“Per intanto già in ogni parte d’Europa si assi-ste al germinare di una nuova coscienza, di unanuova nazionalità (perché, come si è già avver-tito, le nazioni non sono dati naturali, ma stati

di coscienza e formazioni storiche); e a quelmodo che, or sono settant’anni, un napoletanodell’antico Regno o un piemontese del regnosubalpino si fecero italiani non rinnegando l’es-ser loro anteriore ma innalzandolo e risolven-dolo in quel nuovo essere, così francesi etedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzerannoa europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Eu-ropa e i loro cuori si batteranno per lei comeprima per le patrie più piccole, non dimenticategià, ma meglio amate. Questo processo diunione europea, che è direttamente oppostoalla competizione dei nazionalismi e sta controdi essi e un giorno potrà liberarne affatto l’Eu-ropa, tende a liberarla in pari tempo da tutta lapsicologia che ai nazionalismi si congiunge e lisostiene e ingenera modi, abiti e azioni affini”. E la sinistra? Come si è rapportata all’idea diEuropa? All’inizio, bisogna dirlo, per quanto ri-

L’hai voluta la Brexit? Theresa May istituisce il Ministero della solitudine. Vignetta di Gianfranco UBER http://www.cartoonmovement.com/p/3111

guarda soprattutto il PCI, con incertezza e dif-fidenza. Poi, soprattutto a cominciare daglianni ’70 ed ancor più negli anni ’80 del secoloscorso individuando con nettezza l’europeismocome una scelta per contribuire a creare unnuovo equilibrio contro le guerre e le contrap-posizioni frontali tra gli schieramenti mondialie come costruzione di una casa comune capacedi garantire democrazia, libertà e benessereeconomico e sociale. Il modello sociale euro-peo si è affermato come un esempio di civiltàper superare le ingiustizie e le disuguaglianze.Così in modo compiuto Alessandro Natta, al-lora segretario nazionale del PCI, in un inter-vento alla Camera, nel 1985, poteva parlare del“nostro europeismo” e dell’impegno per unacomunità politica europea così come nel 1986al XVII congresso definì il PCI “parte inte-grante della sinistra europea”, in stretto colle-gamento con gli altri partiti socialisti esocialdemocratici per il comune obiettivo dicostruire l’Unione europea ed assieme il suosviluppo e la sua dimensione sociale.Ancor oggi ed ancor più oggi l’Unione euro-pea deve essere la scelta dell’Italia. Il rifiutodi quell’ancoraggio porterebbe il nostro Paeseverso un futuro disastroso di marginalità e diirrilevanza e fomenterebbe le spinte naziona-listiche, razziste e fasciste che già si manife-stano in alcuni settori del Paese e in alcuneforze politiche. Non basta però: quel sì convinto all’Europa èparte di un percorso che dà autorevolezza allenostre istituzioni e che consente di intervenirepiù efficacemente per contribuire a modifi-care ciò che non funziona o funziona male inEuropa e per rivendicare le scelte necessarieper costruire un continente più forte e coeso,un gigante politico e non solo economico, unfaro di civiltà e non solo un punto di conve-nienza per i diversi, legittimi interessi.Abbiamo visto come è iniziata male questacampagna elettorale che ci porterà al voto del4 marzo. C’è stata una gara vergognosa framolte forze politiche a chi prometteva di piùper abbassare ogni tipo di tasse e garantireprovvidenze a tutti. Non è solo demagogia. È

irresponsabilità perché quelle promesse sonoirrealizzabili, impossibili e i denari di coper-tura non esistono e non sono nella disponibi-lità di chi li ha promessi.Se si manifesta un tasso così alto di irrespon-sabilità, tra l’altro mentre il nostro debitopubblico è enorme e corrisponde al 133% delPIL annuale, ci si può immaginare come ci sicollocherà dopo il 4 marzo. Quell’atteggia-mento dà anche l’idea di come vengano, daalcune parti, considerati i cittadini e gli elet-tori: stupidi, creduloni e in sostanza sudditi.Scegliere l’Europa vuol dire anche, dobbiamodirlo con forza, la responsabilità nel governo,il realismo degli obiettivi ma anche la civiltà deivalori fondamentali e dei diritti da esaltare.Mai più fascismo, mai più totalitarismi!L’unico antidoto è la ragione, il contrastosenza debolezze ai fomentatori di odio e dipaura, la rivendicazione di uno spazio euro-peo che esalti lo sviluppo sostenibile, i diritticivili, la solidarietà verso i più deboli, la sicu-rezza di tutti sconfiggendo la violenza, l’odioe ogni forma di criminalità.

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PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA24

Giugno 2017: aboliti i costi del roaming © Unione europea, 2017/ Fonte: CEServizio Audiovisivo/Foto: François Walschaerts

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PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA26

Personalmente non perdo occasione per direche il 4 marzo c’è solo una domanda allaquale gli elettori devono avere il coraggio dirispondere: più o meno Europa?Ovviamente io non ho dubbi: più Europa enon meno. Lo considero quasi un test di in-telligenza. La dimostrazione che non si ignorala realtà nella quale siamo immersi, fatta dellaglobalizzazione, dei grandi poteri continentali,della rivoluzione digitale e dello strapoteredella finanza internazionale.Pur capendo che possono esserci molti dubbisu come ha funzionato finora la sfida del-l’Unione.

Pur riconoscendo gli errori e i limiti dovuti aun sistema di bilancio e a istituzioni deboli,non sufficientemente coraggiose nel superaregli egoismi nazionali.Pur rendendomi conto che un elettorato chenon legge, che non si documenta, può facil-mente cadere vittima di una propaganda an-tieuropea alimentata da sentimenti nazionali-stici di chiusura in se stessi, da un malintesospirito di conservazione. L’ho scritto e riscritto e continuerò a ripeterlofino al 4 marzo: senza una dimensione conti-nentale i nostri governi – non importa quantoseri e consapevoli – non riescono a prendereperfino le misure più banali … che tuttaviasono anche le più necessarie per soddisfare icrescenti bisogni dei nostri cittadini. E pensoal lavoro, alla crescita, all’immigrazione, allalotta al terrorismo. Siamo davanti a problemienormi, a nodi difficilissimi da sciogliere. EPaesi a dimensione continentale come gli Usa,la Cina, la Russia, dispongono della spada.Noi di 27 sciabolette di latta.Con il sistema elettorale che l’Italia si è data,con un sistema che per due terzi si basa sulvecchio proporzionale, un sistema che dunqueincoraggia la frammentazione e ci inonda disigle anche di improbabili partiti, il rischio diconfondersi le idee, di perdere di vista le verequestioni e di inseguire presidenti-fantasma,più o meno seduttivi, è altissimo. Da qui losforzo che ogni elettore è tenuto a fare: con-centrare la propria attenzione su chi ci garan-tisce che si batterà per un’Europa più forte.

PIÙ EUROPA E NON MENOCARLO ROGNONI - giornalista

PIÙ EUROPA E NON MENO

PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA 27

Con un bilancio credibile. Con più poteri.Per un’Unione che si riforma anche dal puntodi vista istituzionale.Ho molto apprezzato l’editoriale di Sergio Fab-brini su “Il Sole 24 ore”. Ha scritto: “Al fondodell’offerta politica c’è una divisione fonda-mentale, tra chi pensa di governare un’Italiaindipendente e chi invece un’Italia integrata… gli indipendentisti costituiscono la coalizionedell’introversione italiana, avanzano propostesenza porsi il problema della loro fattibilità.Ragionano come se disponessero della sovra-

nità monetaria e o dell’autonomia di bilancio… gli europeisti costituiscono la coalizione chericonosce l’interdipendenza … il 4 marzo nondovremo scegliere tra decine di partiti, bensìtra due grandi opzioni strategiche. Da un latoi partiti dell’introversione sovranista, dall’altrolato quelli dell’interdipendenza europea”. Il 22 gennaio Macron e Merkel si sono in-contrati per rilanciare l’Unione. Ebbene l’Ita-lia vuole esserci? O decide di isolarsi, finendoai margini come un qualsiasi altro triste e pe-riferico Paese dell’Est?

Il Centro di Coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC) è il nucleo operativo della protezione civile UE. © Unione europea, 2017/ Fonte: CE - Servizio Audiovisivo/Foto: Mauro Bottaro

L’EURO, L’ITALIA E IL RILANCIO EUROPEOFRANCO PRAUSSELLO - professore ordinario di Politica Economica, Università di Genova

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Per una fase abbastanza lunga del secondo do-poguerra, dopo la ricostruzione, la partecipa-zione dell’Italia al processo di integrazione inEuropa fu accompagnata da un vasto consensopopolare. L’opinione pubblica e i leader politiciin misura via via crescente consideravano l’ag-gancio all’Europa un potente strumento di mo-dernizzazione dell’economia e della società, ein effetti la prima fase dell’integrazione, con larinuncia al protezionismo e la progressiva libe-ralizzazione dei mercati, accompagnò il passag-gio del paese dalle economie sostanzialmentearretrate al novero dei paesi più industrializzati

del mondo. I benefici delle politiche di aperturae di creazione per tappe del mercato europeoerano ben chiari (“l’Europa è un buon affare”,era lo slogan del tempo) e alimentavano l’esten-sione del welfare a livello nazionale. Era il pe-riodo del cosiddetto “europeismo diffuso”, chepermeava l’intera società, anche nelle compo-nenti che facevano riferimento ai partiti ini-zialmente contrari all’integrazione, a causa delledivisioni in Europa e nel mondo legate allaguerra fredda.In questo contesto, l’Italia era considerata unodei promotori più convinti del processo euro-

L’EURO, L’ITALIA E IL RILANCIO EUROPEO

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peo, che spesso completava la funzione di trainosvolta dal tradizionale motore franco-tedesco(dove l’egemonia era necessariamente svoltadalla prima componente) con iniziative volte aottenere risultati di carattere squisitamente po-litico.Oggi questa fase è del tutto alle nostre spalle ele forze della conservazione nazionale, nell’am-bito di una ripresa preoccupante dei populismie di pericoli di una rinascita di nuove forme dirazzismo, nazionalismo e fascismo, si propon-gono apertamente di ritornare alle chiusure na-zionali del passato, mettendo in discussione,alla lunga, il principale frutto dell’integrazione:quello della pace nel continente, dopo secoli ditensioni e di guerre, con i loro corollari di di-struzioni e di miserie.Fra le cause, almeno prossime e del quadrospecificamente europeo, di questo stato di cose,è molto probabile che una di esse, se non laprincipale, sia costituita da come i governi eu-ropei hanno dato vita alla costruzione dell’euroe hanno tentato di far fronte alla crisi dell’eu-rozona. E in effetti, gli avvenimenti legati all’introdu-zione dell’euro e al suo funzionamento hannomostrato i limiti, oltre che i vantaggi della crea-zione della moneta unica. Per quanto concerne il nostro paese, sgombe-rato il terreno da alcune polemiche iniziali, chehanno dato adito a giudizi divergenti circa labontà delle scelte effettuate dall’Italia di entrarea far parte dei paesi fondatori dell’eurozona apartire dal 1999, in un primo periodo i vantaggidella moneta unica furono ampiamente apprez-zati dalla generalità dell’opinione pubblica.Circa le polemiche iniziali, due furono in so-stanza gli argomenti, che attirarono l’attenzione:da un lato la determinazione del tasso di cambiofra la lira e l’euro, e dall’altro l’effetto sui prezzidovuto all’introduzione in circolazione dellanuova valuta nei primi mesi del 2002. Nelprimo caso, le scelte del governo italiano, gui-dato in quel periodo da Prodi, non furono “sba-gliate” come sostengono le destre, ma furonodi fatto obbligate dato che dipendevano dallamedia dei cambi fra le monete europee e l’ECU

nei tre anni precedenti. Un vincolo, di cui Ber-lusconi, che ha risollevato l’argomento in vistadelle elezioni di marzo, mostra di essersi di-menticato. Con l’aggiunta che anche nel se-condo caso la responsabilità della fiammata in-flattiva, che sembrò accompagnare la messa incircolazione delle banconote e delle monete delnuovo conio, fu dello stesso governo da lui pre-sieduto, il quale smantellò i controlli sui prezziprevisti dal precedente esecutivo Prodi, con-sentendo ai commercianti e in generale alle im-prese operanti in condizioni di scarsa concor-renza di aumentare i listini, al di là dei valorigiustificati dal concambio lira-euro.Prescindendo da questi elementi di breve pe-riodo, apparve ben presto chiaro che accantoai vantaggi di carattere strettamente tecnico diuna moneta unica (la maggiore trasparenzadei prezzi, il venir meno del rischio di cambionei rapporti intra-zona euro, con un aumentodegli scambi interni, e così via), per i paesi adalto indebitamento esterno quali l’Italia il be-neficio maggiore della partecipazione all’inte-grazione monetaria consisteva nella riduzionedei tassi di interesse, che da livelli a due cifreseguirono un sentiero di progressiva riduzione,convergendo verso i livelli del paese più stabile,vale a dire della Germania. Da qui la consistenteriduzione del costo del servizio del debito, cheavrebbe potuto portare a un calo dell’indebita-mento complessivo, come avvenne soltantosotto il governo di Prodi e come potrebbe av-venire anche in questi mesi grazie alle previsionidi una maggiore crescita del Pil, mentre i go-verni della destra furono caratterizzati da unatendenza ad aumentare le spese correnti, ag-gravando ulteriormente il rapporto fra debitopubblico e Pil (oggi intorno al 133%). In sintesi,durante i primi anni di vita dell’euro i mercatiritenevano che la solvibilità dell’Italia non fossea rischio, godendo di una garanzia implicita diintervento da parte delle autorità dell’eurozona,e questo nonostante il fatto che ufficialmentel’intera costruzione dell’integrazione monetaria,decisa a Maastricht, si basasse sulla clausoladel no bail-out, il divieto di salvataggio di unpaese a spese degli altri.

È noto, tuttavia, che la situazione cambiò radi-calmente quando la crisi finanziaria globale ori-ginata negli Stati Uniti nel periodo 2007-2008contagiò l’Europa traducendosi nella crisi deidebiti sovrani, con il timore che uno o più paesidell’area euro diventassero insolventi. In quellaoccasione emersero tutti i difetti di costruzionedell’eurozona, che non può essere considerataun’unione monetaria completa, dal momentoche accanto a essa manca la componente fiscale:la presenza in particolare di un bilancio europeoaccentrato dotato di sufficienti risorse per atte-nuare gli effetti negativi di una caduta del red-dito nei paesi più deboli. Questi ultimi, avendorinunciato alle monete nazionali e non potendoemettere liquidità espressa in euro, potere ri-servato unicamente alla Banca Centrale Euro-pea (Bce), furono costretti ad accettare le uni-che ricette disponibili per ricevere aiuti da partedei paesi creditori, vale a dire i piani di austerità,i quali aggravarono, anziché attenuare la cadutadel reddito. I welfare nazionali furono tagliati apiù riprese e i costi della crisi risultarono in al-cuni casi (si pensi alla Grecia) superiori a quellidella Depressione degli anni Trenta del secoloscorso. Il paradiso dell’euro, in seguito a quellache è stata definita la Grande Recessione, sitrasformò nell’inferno della disoccupazione permasse intere di lavoratori, come si è espressoPaul De Grauwe, uno degli economisti più lu-cidi che ne hanno studiato le cause e i possibilirimedi. Con la conseguenza che in questo con-testo si sono rafforzati i primi movimenti epartiti populisti, che imputavano all’Europa laresponsabilità della crisi e non alla mancanzadi strumenti di condivisione europei dei rischi,come risultava palese dai difetti di costruzionedell’euro. Il tutto, in attesa che la successivacrisi dei flussi migratori, dovuta anche in questocaso alla mancanza di strumenti europei all’al-tezza delle sfide di un mondo globalizzato, lirafforzasse ulteriormente, avvicinandoli alle so-glie del potere di governo.Giunta a un passo dall’implosione, la zona euroha però reagito grazie soprattutto alle politichecoraggiose della Bce, che ha inondato di li-quidità l’economia europea, acquistando titoli

pubblici e privati dei governi e delle impresedei paesi membri, evitando peraltro possibilitensioni inflazionistiche, mentre i governi met-tevano mano a riforme, che avevano il meritoprincipale di guadagnare tempo per poter ri-formare in modo corretto l’integrazione mo-netaria, garantendone la tenuta e la democrati-cità. Oggi l’economia europea è in ripresa ovunque,anche in Italia, dove gli effetti negativi dellaGrande Recessione sono stati in larga misurariassorbiti, e la tesi che i costi che ha sopportatoil nostro paese nel corso di essa siano imputabilialla sola esistenza dell’eurozona, come sosten-gono i movimenti e i partiti populisti che vor-rebbero abbandonarla, si rivela del tutto infon-data, come dimostra il fatto che gli altri paesiche ne fanno parte sono comunque cresciutitutti più di noi.Nel contempo, l’agenda dell’eurozona, dopo lasconfitta del Fronte nazionale in Francia aopera di Macron, vede all’ordine del giornol’imminente iniziativa della Francia e della Ger-mania per rilanciare il processo di integrazionecon riforme destinante a rendere più efficientie democratiche le strutture dell’Unione. Conla precisazione che i progetti di Macron preve-dono di costruire un’Europa che protegge, conprogressi verso la ripresa degli investimenti el’aumento dell’occupazione a livello continen-tale, il tutto sotto il controllo di un Parlamentodotato di poteri reali, con l’obiettivo ultimo digiungere agli Stati Uniti d’Europa. Elementi,questi, che sono alla base di una bozza franco-tedesca elaborata da quattordici economistifrancesi e tedeschi per l’avvio delle trattativeper superare le politiche di austerità della zonaeuro, dopo la formazione del governo di coali-zione di Berlino.È in questo contesto che l’Italia deve deciderese partecipare al rilancio europeo, sbarrando lastrada ai molti populismi che rendono incertoil nostro quadro politico interno o se isolarsi,esponendosi ai pericoli di emarginazione e diincapacità di difendere i nostri interessi che oggila vicenda della Brexit illustra in modo vivido.

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TRATTATI UE E COSTITUZIONI NAZIONALI: MA DAVVERO GERMANIA E ITALIA HANNO REGIMI DIVERSI?

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Tra le fake news (una volta si chiamavano“balle spaziali”) che si sentono in questo pe-riodo elettorale, vi è stata anche l’affermazionesecondo cui in Germania il diritto dell’Unioneeuropea sarebbe subordinato alla Costituzionetedesca, mentre in Italia così non accadrebbe,con conseguente “promessa” – in caso di vit-toria elettorale – di modificare la nostra Co-stituzione e adeguarla a quella tedesca, perresistere ai presunti “abusi” che l’Unione per-petra in danno dei cittadini italiani.Il tema del rapporto tra ordinamenti del-l’Unione e degli Stati membri è certamente

molto tecnico, e forse non molti politici sonoin grado di comprenderlo e tanto meno diesporlo in modo comprensibile agli elettori. Atutti bisogna concedere anche la presunzionedi buona fede, beninteso nei limiti della respon-sabilità che i leader politici hanno comunqueverso i cittadini a non eccedere nelle semplifi-cazioni, e tanto meno a non mentire.Visto però che il sasso nello stagno è statolanciato, è allora importante fare un po’ dichiarezza.Innanzitutto, il diritto dell’Unione prevale suldiritto nazionale di ogni Stato membro, inforza del principio del primato che è statosancito dalla Corte di giustizia fin dal 1964,nella celeberrima sentenza Costa c. ENEL, incui si stabilì espressamente che il diritto natodal Trattato per sua natura non può trovareun limite in norme di diritto nazionale, ivi in-cluse quelle costituzionali, «senza perdere ilproprio carattere comunitario e senza che siaposto in discussione il fondamento giuridicodella stessa Comunità». Quindi, il fatto che ildiritto UE possa menomare i diritti fonda-mentali sanciti dalla Costituzione di uno Statomembro, o i principi di una Costituzione na-zionale, fa parte delle notorie limitazioni disovranità che gli Stati hanno accettato quandohanno aderito all’Unione.In quei tempi, quando l’allora diritto comu-nitario aveva una natura essenzialmente eco-nomica, il principio del primato – e le conse-guenze che esso comportava – aveva suscitato

TRATTATI UE E COSTITUZIONI NAZIONALI:Davvero Germania e Italia hanno regimi diversi?FRANCESCO MUNARI - professore ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Genova

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perplessità proprio in quegli Stati, come laGermania e l’Italia, che avevano una Costi-tuzione “forte” e una Corte costituzionaleguardiana dell’ordinamento interno.Non potendo mettere in discussione quel prin-cipio, soprattutto quelle due Corti svilupparonola cd. teoria dei cd. contro-limiti: molto sem-plificando, esse accettarono il primato, ma siriservarono di valutare la possibilità di sancirel’incostituzionalità tout court dell’adesione deiloro Stati alla Comunità, quando le norme daessa prodotte avessero determinato uno scon-volgimento dei principi costituzionali fondantil’ordinamento dello Stato. Tale soluzione ap-pariva più teorica che reale, tanto più via viache il diritto europeo perdeva progressivamentela connotazione di ordinamento rivolto a gestirefenomeni e scambi di natura economica pertrasformarsi in un ordinamento più compiuto,che assimilava da quello degli Stati membri iprincipi fondamentali e le tradizioni costituzio-nali comuni.Non solo: per effetto di tale “osmosi giuri-dica”, la stessa Corte in qualche caso avevadato rilievo a principi fondamentali contenutinegli ordinamenti degli Stati membri, rite-nendoli anche meritevoli di prevalenza ri-spetto alle libertà, altrettanto fondamentali(ma economiche), previste dai trattati.Con la promulgazione, e poi l’inserimento neldiritto primario, della Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea, la teoria dei cd.contro-limiti pareva dover finire nel reliquariodella storia dei rapporti tra diritto UE e dirittinazionali. Ma in agguato era una nemesi, sortacon la crisi economico-finanziaria del 2007.Più precisamente, tutti sanno che, per effettodi questa crisi, le posizioni degli Stati membrisi sono contrapposte tra “rigore” e “flessibilità”,e questa contrapposizione ha avuto anche unsuo… côté costituzionale. Così, per timore chel’Unione potesse chiedere al contribuente te-desco di fare la propria parte per sostenere leeconomie dei Paesi membri più indebitati, laCorte costituzionale tedesca, a partire dal ce-leberrimo Lissabon Urteil, avvertì che il princi-pio di democrazia sancito dalla Costituzione

tedesca limitava il potere del Governo tedescodi stabilire in sede UE forme di assistenza fi-nanziaria ad altri Stati membri senza il coin-volgimento del suo Parlamento, perché esseavrebbero inciso sul bilancio della Germania equindi su una decisione riservata all’istituzione(il Parlamento, appunto) espressione della de-mocrazia. Dal lato opposto, altre corti supreme(tra cui, si noti, la nostra Corte costituzionalein un paio di sentenze che si occupavano dileggi dello Stato volte a tagliare alcune “pen-sioni d’oro” per esigenze di bilancio), dichia-rarono non conformi alla Costituzione nazio-nale misure di austerità che andavano a lederediritti fondamentali costituzionalmente previstia favore degli individui.Quindi, nuovi contro-limiti, che tuttavia nonsono dovuti a impreviste derive “antidemocra-tiche” dell’Unione (come pur implicava la “vec-

Cappelli di doganieri al Museo europeo di Schengen © Unione europea, 2017/ Fonte: CE - Servizio Audiovi-sivo/Foto: Mauro Bottaro

chia” teoria dei contro-limiti), quanto piuttostoperché si è incrinata la solidarietà tra Stati mem-bri, e l’obiettivo dell’integrazione dell’Europae dei suoi popoli non gode di ottima salute.Per la precisione, non tutto è “sovranismo eco-nomico”: ad esempio, l’ultima contrapposizione(invero marcata da estremo rispetto reciproco)che si è posta tra la Corte di giustizia e la nostraCorte costituzionale riguarda la prescrizionepenale, istituto di tipo sostanziale per il nostroordinamento (e quindi parte integrante dellalegalità penale e del principio di irretroattivitàdelle leggi penali), mentre così non è per laCorte di giustizia, che qualifica la prescrizionecome istituto processuale, suscettibile quindidi deroga quando la sua applicazione leda ob-blighi degli Stati membri sanciti dal diritto UE(nella specie, la repressione di frodi fiscali cuil’Italia è obbligata da norme UE e che in Italiaspesso non vengono sanzionate proprio per l’in-tervento della prescrizione: è la vicenda piùnota col nome Taricco, di cui si sono largamenteoccupati anche media generalisti).La mia personale lettura del ragionamento èun po’ questa, e vale ovviamente per tutti gliStati membri: negli ultimi anni, le costituzioninazionali sono state utilizzate per rallentare ilprocesso di integrazione europea, piuttostoche per tutelare diritti fondamentali delle per-sone asseritamente messi in pericolo dal-l’Unione: tanto è vero che – ad onta delle«tradizioni costituzionali comuni» su cui oltre40 anni fa la Corte di giustizia costruì la ca-tegoria dei diritti fondamentali “intrinseci” alsistema dell’Unione – i suddetti diritti sonospecularmente diversi da Stato membro aStato membro: in Germania i tedeschi hannoun diritto costituzionalmente tutelato a nonessere “impoveriti” da misure salva-(altri)Stati (salvo che il Bundestag non decida altri-menti); in Grecia, Portogallo e Italia, lesivedei diritti (sociali) fondamentali sono invecele misure di bilancio adottate dallo Stato perrispettare i cd. parametri di Maastricht, ilpatto di stabilità, o la condizionalità econo-mica che accompagna misure di assistenza fi-nanziaria erogate a favore degli Stati che ne

hanno fatto richiesta.Una cosa è certa: e cioè che non esistono co-stituzioni più forti di altre all’interno del-l’Unione, perché - come recita la dichiarazionen. 17 allegata ai Trattati - «per giurisprudenzacostante della Corte di giustizia dell’Unioneeuropea, i trattati e il diritto adottato dal-l’Unione sulla base dei trattati prevalgono suldiritto degli Stati membri alle condizioni sta-bilite dalla summenzionata giurisprudenza».Senza ovviamente alcuna distinzione tra lecategorie del “diritto degli Stati membri”.Se così è, allora le balle spaziali nascondonoaltre, e ben più preoccupanti implicazioni: ecioè la volontà di porre l’Italia tra i Paesi ostilial progresso dell’Unione, con ciò privando inostri cittadini, specie i più giovani, e le nostreimprese dell’unico realistico futuro migliorecui possiamo aspirare. Senza contare che inquesto periodo storico dovremmo invece faredi tutto per essere dentro l’Unione e tra i Paesitrainanti le sue riforme, per cambiare quelloche non va anche dal punto di vista degli in-teressi dell’Italia. Perché l’Unione non si di-sgregherà: al massimo, scarterà quelli che nonci stanno, e che rimarranno in tal modo sem-pre più inesorabilmente indietro: altrimentidetto, occorre giocare la partita secondo leregole, e non scappare dal campo, tanto menose non si può neppure rubare la palla.Evidentemente, Brexit non sembra aver inse-gnato nulla, e l’involuzione antidemocraticadi alcuni Stati membri dell’est Europa nep-pure. Ma forse queste cose interessano poco,o peggio sono l’obiettivo recondito di populistie sovranisti.Un ultimo dubbio: se invece la velleità di unconfronto muscolare con l’Europa implicassela possibilità di fare ulteriori deficit ed espan-dere ancora il debito pubblico, allora il primostrappo alla legalità sarebbe di tipo interno,visto che l’obbligo di pareggio di bilancio èprevisto anche dalla nostra Costituzione. Maquesto è davvero risaputo, e allora il leaderche incolpa l’Europa per violare la Costitu-zione oltrepassa quei limiti che, neppure inperiodo elettorale, sono valicabili.

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Forse non molti, ma certamente qualcuno, inItalia, ha avuto sentore di quanto avvenuto inTurchia dopo i fatti del luglio 2016.Sulla base della accusa di far parte di un mo-vimento antigovernativo, presunto ispiratoredel tentativo di colpo di Stato, numerosi ma-gistrati (ma anche giornalisti, poliziotti e mili-tari, nonché avvocati) sono stati chi radiatodalla possibilità di esercitare la propria profes-sione, chi arrestato, con conseguenze sulla im-parzialità del sistema che si possono facilmenteimmaginare. Lo stesso per la libertà di stampa.La Turchia è uno Stato del Consiglio d’Eu-ropa, istituzione creata nel 1950 per assicurare

il rispetto dei diritti umani tra i popoli deisuoi Stati membri, diritti consacrati nella Con-venzione Europea dei Diritti dell’Uomo (lac.d. CEDU), firmata a Roma nel 1950.Tuttavia, si dirà, per quanto membro del Con-siglio d’Europa, come noi, non è, però, così vi-cino da farci ritenere che quanto lì avvenutopossa turbare la nostra vita quotidiana.Forse, anzi certamente, è, invece, passato inos-servato all’opinione pubblica italiana quantoè avvenuto negli ultimi due anni in Polonia,per quanto riportato in fonti di notizie asso-lutamente aperte, come articoli di giornale esiti internet.È stata adottata una legge di riforma del Con-siglio Superiore della magistratura, in cui lostesso è stato suddiviso in due assemblee, dicui una di composizione essenzialmente politicae l’altra di elezione politica, e non più di elezionegiudiziaria; è stata adottata una legge che haattribuito il potere al Ministero della Giustiziadi sostituire i presidenti della Corte di Cassa-zione, si è proposto di attribuire al ministrodella Giustizia il potere di decidere a propriopiacimento circa il pensionamento o manteni-mento in servizio di tutti i giudici della CorteSuprema e di controllarne l’organizzazione. Insostanza, si è andati verso una drastica riduzionedell’indipendenza della magistratura.In tutto questo, la Polonia sarà sostenuta nelportare avanti queste riforme, nelle sedi ne-cessarie, dall’Ungheria, Stato nel quale giànegli anni precedenti è stato introdotto un si-stema di riforma del sistema giudiziario nel

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STATO DI DIRITTO A RISCHIOIN ALCUNI STATI MEMBRIQuale risposta dalla UE? ANDREA VENEGONI - magistrato addetto al Massimario della Cassazione

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quale ha avuto spazio una legge che ha ab-bassato drasticamente l’età pensionabile deimagistrati, che di fatto ha determinato la ces-sazione dagli incarichi di molti di essi.Sempre da fonti internazionali emerge poiche il 20 dicembre 2017 il Senato della Ro-mania ha approvato una legge che viene vista,dai commentatori, come un modo per limitarel’indipendenza della magistratura, mentre, nelfrattempo, lo stesso parlamento romeno avevagià approvato un’altra legge per depenalizzarel’abuso di ufficio quando il danno causato dalreato è inferiore a 200.000 euro. Negli ultimi tre casi, si tratta di situazioni chenon si sono più verificate, quindi, in Stati lon-tani, distanti da noi per storia e cultura.Si tratta, invece, di Stati della nostra vecchiaEuropa, e, soprattutto, di membri dell’Unioneeuropea, di una istituzione, cioè, che delloStato di diritto non solo fa una delle condi-zioni essenziali per entrarne a fare parte, mache del mantenimento dello stesso al propriointerno fa una bandiera da sventolare con or-goglio al resto del mondo.Perché tutto ciò sta avvenendo in questi Stati,è difficile spiegarlo nei limiti di questo brevescritto.Spiace, però, constatare che la reazione euro-pea è stata tutt’altro che vigorosa.Non parliamo di quanto avvenuto in seno alConsiglio d’Europa in merito alla situazioneturca, dove addirittura ricorsi alla Corte EDUsono stati, da quest’ultima, dichiarati irricevibiliper la sola mancanza del mero requisito formaledel previo esperimento di tutti i ricorsi interni1,con sentenze che hanno destato non poche per-plessità al di là di tutte le valutazioni “politiche”che si possono fare, ma restiamo sulla reazionedell’Unione europea a quanto avvenuto all’in-terno di alcuno dei propri Stati.È stato rilevato da puntuali osservatori2 che, afronte delle prime decisioni delle autorità po-lacche riguardanti la magistratura nel 2015, la

Commissione ha reagito solo nel luglio 2016con una raccomandazione. Essendo rimastaquesta del tutto inevasa, la Commissione hainviato una seconda raccomandazione nel di-cembre 2016 ed una terza nel luglio 2017, men-tre le riforme sopra ricordate hanno continuatoad avanzare.A questo punto la Commissione ha deciso diattivare la procedura ai sensi dell’art. 7 TUEche, a seguito della constatazione, però a mag-gioranza super-qualificata, dell’esistenza di unrischio grave di violazione dei valori del-l’Unione, e dopo l’invio, sempre con decisioniadottate con maggioranze molto qualificate,di raccomandazioni, può portare - è inutiledire, con un voto a maggioranza molto quali-ficata – alla decisione di sospendere alcuni di-ritti derivanti dall’applicazione dei Trattati.In sostanza, forse tra qualche anno si arriveràa qualche forma di sanzione, della cui efficaciae deterrenza si potrà discutere, ma nel frat-tempo, per così dire, quel che è fatto è fatto.Anzi, molto probabilmente a queste forme disanzione non si arriverà neppure, perché conla necessità di maggioranze così qualificate, econ la creazione di “blocchi” di Paesi nellevotazioni (basti pensare all’ormai famoso“gruppo di Visegrad” di alcuni Paesi dell’Este dell’Austria), non si raggiungerà mai unamaggioranza qualificata.A tutto questo noi, in Italia, non facciamo enon abbiamo fatto attenzione.Queste vicende, però, devono suscitare alcuneriflessioni.La prima è che nulla è scontato, nulla puòdarsi mai per acquisito.Anche in Europa, quell’Europa che, dopo lafine della Seconda Guerra Mondiale, ha ba-sato la propria convivenza su alcuni valoricome la pace e il riconoscimento della dignitàumana, e di cui lo Stato di diritto, inteso comela separazione dei poteri e l’indipendenza dellamagistratura, è stata una delle componenti

1 Caso Mercan c. Turchia, n. 56511/16, 17 novembre 2016, e caso Zihni c. Turchia, n. 59061/16, 29 novembre2016 2 Dastoli, UE: Bruxelles vs Varsavia, tanto tuonò che piovve, in www.affarinternazionali.it, 14.1.2018

essenziali – pur nelle varie in forme in cuiesso si manifesta nei vari Stati -, in quell’Eu-ropa che lo Stato di diritto si vanta di inse-gnare, attraverso le varie missioni internazio-nali di “capacity building” in giro per ilmondo, dai Balcani all’Asia Centrale, bisognaessere, oggi, consapevoli che il mantenimentoe perpetuazione del medesimo nel temponon sono, in realtà, automatici.La seconda è l’amara constatazione della de-bole risposta intervenuta finora da partedell’Unione europea, di cui pure gli Stati so-pra citati fanno parte.Delle ragioni e delle cause di questa debolezzasi potrebbe discutere a lungo, ma non è questala sede per farlo. Certo, la prima considera-zione è che l’Unione ha, in realtà, “armi” cheproducono effetti solo a medio-lungo termine,e prima di attivarle si muove sempre conestrema cautela. Sui casi specifici, almeno re-lativamente alla Polonia, poi, qualcosa, comeaccennato sopra, si sta muovendo ed è quindinecessario vedere gli sviluppi. Sulla situazioneungherese, occorre riconoscere, l’Unione si èattivata e la Corte di giustizia ha stigmatizzatoil mutamento dell’età pensionabile dei magi-strati, ma ciò non ha risolto il problema. Re-sta, però, la chiara impressione che, a volte,all’affermazione, a parole, di grandi, e appa-rentemente intoccabili, principi non corri-sponda poi una reazione immediata, prontaed incisiva quando essi devono essere con-cretamente affermati e difesi. Così, in mancanza di forti reazioni da partedelle istituzioni, è ben difficile che la sensibilitàdell’opinione pubblica si focalizzi su questifatti. E, peraltro, mi viene da pensare mentresto per alzarmi dalla sedia e lasciare il computersu cui ho buttato giù queste riflessioni, se anchevi si focalizzasse, siamo davvero sicuri che visarebbe un moto dell’animo, un istinto quantomeno di indignazione e di consapevolezza diallontanamento da un percorso virtuoso?Siamo davvero sicuri che i cittadini europei sipreoccupino di tutto questo, percepiscanoquanto è avvenuto come una diminuzione delloStato di diritto e delle garanzie di tutti, oppure

provvedimenti simili sono in grado, oggi, dipassare quasi inosservati, vuoi perché quellache potremmo definire la “coscienza civica” èancora, per molti, soffocata dai mille problemiquotidiani e dalla ricerca di un lavoro, e peraltri, invece, intorpidita, se non del tutto an-nullata, dal godimento di un ritrovato benesserefrutto della ormai avviata ripresa economica,cosicché il mantenimento dello Stato di diritto,anche in uno Stato dell’Unione, è veramenteoggi l’ultimo problema di cui l’opinione pub-blica europea si preoccupi?Mi alzo senza risposte chiare e rassicuranti aquesta domanda, anzi con dubbi angoscianti,ma con la certezza che, se l’Unione europeaavrà un futuro, una buona parte di esso verràgiocata sull’affermazione di determinati prin-cipi e valori.

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Visitatori nel campo di concentramento di Auschwitz-Bir-kenau (Polonia). © Unione europea, 2017 / Fonte: CE -Servizio Audiovisivo/ Foto: Bartosz Siedlik

Come noto, il processo di unificazione europeaattraversa anni difficili e non vi è dubbio chealcune importantissime, oggettive criticità la-sciano perplessi (o peggio) i cittadini europei.Parte non marginale degli elettorati dei Paesimembri votano per formazioni politiche con-trarie all’Unione europea e che promettono diuscirne con vantaggio in caso di loro vittoria.Si cita quale modello virtuoso la Brexit. Sichiede, quantomeno, l’uscita dall’area euro,

magari da decidere con referendum nazionale,per quegli Stati che ne fanno parte.Si invocano politiche economiche protezioni-ste a livello nazionale sul modello perseguitodall’attuale amministrazione USA.Si indica, quale parametro del fallimento egoi-stico delle politiche europee, il tema caldis-simo dell’immigrazione dai Paesi terzi per mo-tivi umanitari ed economici.Si intercetta il malessere reale di molte com-ponenti della società europea indicandone lacausa nella insensibile e distaccata governancedella élite burocratico/economica dominantea Bruxelles ed allo strapotere Tedesco e Fran-cese in tale ambito.Si sostiene (e si tenta di dimostrare con “ragio-namenti” arditi) che solo il ritorno alle frontierenazionali e alla loro protezione in termini eco-nomici/monetari e “militari” autarchici, a poli-tiche di ulteriore indebitamento anche per iPaesi europei, Italia in testa, già sovra indebitati,accompagnate da una drastica riduzione delcarico fiscale (di per sé ottima) anche senza ri-duzione della spesa corrente e con “coperture”sostanzialmente inesistenti o solo sperate o deltutto illusorie, risolverebbe o migliorerebbemolti stress con effetti positivi sulla vita dellepersone e delle imprese e sul loro futuro.

DA PRINCETON A GENOVA NEL SEGNO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

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DA PRINCETON A GENOVA NEL SEGNO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA GIUSEPPE M. GIACOMINI - avvocato specializzato nel diritto dell’Unione europea

Non è facile ragionare quando la pancia ed ilcuore prevalgono ed è doveroso capire i pro-blemi delle persone ma occorre spiegare conrigore, pazienza e determinazione che questeproposte in chiave antieuropea non sono lasoluzione ai problemi ma costituiscono untragico inganno.Occorre spiegare che restare in un’Europapiù forte e coesa è il solo modo per mantenereun ruolo nel turbolento ed aggressivo contestointernazionale esistente, che essere attivi epresenti nelle Istituzioni europee è il solomodo per contribuire ad orientare la nuovaEuropa, che i singoli Stati nazionali (Germa-nia compresa), da soli, sarebbero destinati asoccombere di fronte ai colossi geopolitici(USA e Cina in testa che, tra l’altro, sonoStati federali) ed agli altrettanto colossali con-glomerati economico/finanziari esistenti,ca-paci di sottomettere singoli Stati, anche di di-mensioni medio-grandi.Per dirla in breve:- L’Europa è la misura di scala minima peresistere in questo scenario mondiale.

- È solo in ambito Europeo che possiamo edobbiamo contare per portarvi e sostenerele nostre legittime ragioni sui temi strategicidi interesse comune.

- Ciò che sono in condizione di fare USA eCina in termini protezionistici o di globaliz-zazione, giusta o sbagliata che sia, a secondadelle opinioni, una via piuttosto che l’altra,non è minimamente replicabile dai singoliPaesi membri dell’UE che solo nella dimen-sione di scala Europea possono seriamentepensare di affermare una qualche politica,protezionista o globalizzata che sia.

- La Brexit, al di là delle sue irripetibili specifi-cità, è ben lungi dal dimostrare che usciredall’UE sia una cosa buona e semplice da fare.

L’Europa, insomma, non è la strada miglioreo peggiore in sé, semplicemente è l’unica per-corribile. Vista da “destra” o da “sinistra” facertamente grande differenza, ma questascelta viene dopo. L’Europa è per noi l’unicocampo di gioco praticabile ed è lì che ha sensopratico vincere la partita.

Ciò detto, l’evento che il 15 gennaio scorsoha avuto luogo a Genova, presso il Comune ecol suo patrocinio, merita qualche considera-zione che ben si armonizza con la premessa. Princeton (New Jersey) è una delle principaliUniversità USA e, sul finire del 2016, mi in-formava ufficialmente che aveva deliberato difinanziare con fondi propri e del Governo Fe-derale, tramite la National Science Foundation,una approfondita ricerca sulle origini dell’ap-plicazione del diritto UE da parte degli opera-tori giuridici (Avvocati e Giudici) nei principaliPaesi membri (Germania, Francia e Italia).Tutto ciò con attenzione non solo ai profilistrettamente legali ma anche e soprattutto alcontesto sociale, culturale, economico e “po-litico” nel cui ambito tali profili trovavano ap-plicazione.Mi veniva detto che, quanto all’Italia, sullabase dei dati che stavano raccogliendo, Ge-nova era al centro della loro attenzione e cheil nostro studio legale era stato individuatocome uno dei primi (cronologicamente) eprincipali attori in questa materia. Ci venivapertanto chiesta la disponibilità a collaborarecon un loro giovane Professore italo-ameri-cano, Tommaso Pavone, sotto il tutoraggiodei Prof. Moravcsik e Keleman, che sarebbegiunto in Italia ove si sarebbe trattenuto alcunimesi per sviluppare la ricerca “sul campo”.Ovviamente accettavamo e incontravamo ilProf. Pavone che ci forniva un primissimo draftdel lavoro dal quale emergeva la centralità as-soluta di Genova nell’applicazione del dirittoUE a partire dalla seconda metà degli anni ’80.Lo scorso ottobre il Prof. Pavone ci ha inviatoil draft della parte del lavoro che riguarda pro-prio Genova e lo study case “Porto di Genova”,storica sentenza resa il 10 dicembre 1991 dallaCorte UE (C-179/90), su rinvio pregiudizialeinterpretativo del Tribunale di Genova in causada noi promossa e patrocinata, che portò allaabolizione del monopolio dei “camalli” nel la-voro portuale e alla prima legge portuale (L.84/94) recentemente aggiornata.Il draft, nel contestualizzare le fasi preparatoriee successive alla sentenza della Corte UE, ap-

DA PRINCETON A GENOVA NEL SEGNO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

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profondisce il ruolo della nostra Città e dellasua pubblica opinione per la capacità di me-tabolizzare un evento allora davvero straordi-nario e di portata nazionale/europea, aprendola strada a quella che viene definita una “QuietRevolution through law”.Il lavoro complessivo verrà presentato a Prin-ceton, prevedibilmente, a fine 2018 nel mentrea gennaio il Prof. Pavone si trovava nuova-mente in Italia per completare la sua ricerca“sul campo” e così pure, ospite dell’Universitàdi Fiesole, la Prof.ssa Kim Lane Scheppeledel Program of Law&Public Affairs di Prin-ceton, riconosciuta esperta di diritto del-l’Unione europea.Questa è stata l’occasione ideale per organiz-zare l’evento che ha visto partecipe anche

l’Università ed il Presidente dell’Autorità diSistema Portuale nonché, in video conferenzada Princeton, il Prof. Paul Frymer, Direttoredel Program of Law and Public Affairs. Il di-battito ha ovviamente toccato il ruolo inno-vativo che la Città di Genova seppe positiva-mente cogliere e promuovere nei primi anni’90 grazie al diritto europeo con effetti di ri-levanza nazionale e continentale sull’econo-mia dei porti.Al di là di questo primato che ha posto la no-stra comunità locale all’attenzione di questaimportantissima ricerca di cui, specie dopo lasua presentazione ufficiale a Princeton nonappena ultimata, si parlerà certamente e, miauguro, non solo tra gli “addetti ai lavori”, ilfocus fondamentale è tuttavia rappresentatodalla tesi di fondo di questo studio.Esso, come ho accennato, tocca le implica-zioni politiche, sociali, culturali ed economi-che del diritto UE e fa sì che tutti i cittadinidell’Unione europea, secondo la visione cheautorevolmente ci giunge dall’UniversitàUSA, debbano sentirsi “addetti” a quei lavoriche hanno reso operativa l’Europa, anche at-traverso il diritto, realizzando una “Quiet Re-volution trough law” che, per la prima voltanella storia, ha dato vita pacificamente ad unaComunità di interessi e valori di libertà capacedi riconoscersi e di essere riconosciuta nelmondo quale modello verso cui tendere (oda odiare proprio per i suoi valori).Il punto, oggi, è dunque quello di lavorare aidifetti e non quello di distruggere i risultati po-sitivi raggiunti andando oltre nel percorso fede-rale a partire dai Paesi fondatori e valorizzandol’unità sociale, finanziaria, fiscale e di difesa co-mune in un contesto che, da soli, ci vedrebbesoccombenti rispetto a modelli che davvero sifatica a considerare migliori del nostro.Dopo aver scelto l’Europa quale campo di giocoassolutamente trasversale, ben vengano le di-verse ragioni su cui confrontarsi con la forza divisioni anche radicalmente differenti in ordinealla missione interna ed esterna che questoContinente può e deve perseguire nell’interesseproprio e per l’equilibrio del mondo.

DA PRINCETON A GENOVA NEL SEGNO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

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L’Europa garantisce l’assicurazione sanitaria anche a chiè in viaggio. © Unione europea, 2017/ Fonte: CE - Servi-zio Audiovisivo/Foto: John Charlton

Alla vigilia delle elezioni politiche vale la penainterrogarsi in che misura l’Europa resti un’op-zione strategica per il futuro del nostro Paese.Senza voler entrare nelle polemiche da campa-gna elettorale, ragionare d’Europa può volerdire, molto più prosaicamente, riflettere sulleopportunità offerte dai Fondi Strutturali Euro-pei e su come il nostro quadro politico, soprat-tutto a livello locale, si predispone a coglierle.Tutto questo vale ancor di più per una regionecome la nostra dove, nonostante il PresidenteGiovanni Toti faccia sfoggio di ottimismo sullemirabili sorti del nostro sistema produttivo, idati Istat ci condannano al ruolo di inseguitori.La Liguria fa fatica ad agganciare la ripresa ementre nel resto del paese, anche se il lavoro è

sempre più precario, comunque cresce l’occu-pazione, noi continuiamo a perdere posti di la-voro, con il paradosso che diminuisce anche ladisoccupazione e chi perde il lavoro o non locerca più o va a cercarlo da un’altra parte.Il risultato è che siamo una regione semprepiù piccola e sempre più anziana dove la que-stione demografica è diventata l’emergenzapiù grave.La risposta però non può essere la politicadegli incentivi fiscali della Regione. Non sa-ranno cento euro di sconti Irpef a convincerei nostri giovani a fare figli: quello che mancaè il lavoro.Ma in una regione che ha vissuto all’ombradell’industria di Stato, con un tessuto pro-duttivo che non ha mai metabolizzato la finedella stagione delle partecipazioni statali euna classe imprenditoriale poco propensa alrischio d’impresa, la politica degli incentivi edelle mani libere non è in grado di produrreeffetti apprezzabili.C’è bisogno di una politica che faccia il suomestiere ovvero una politica che programmi,indirizzi e orienti.Questa è la ragione per cui la programma-zione dei Fondi Europei rappresenta unagrande sfida su cui misurare la capacità delleIstituzioni di promuovere politiche di sviluppoa carattere inclusivo.Spesso a proposito dei Fondi Europei siamosoliti dire che viviamo in un paese che nonriesce a spendere i soldi che ci sono.Se parliamo di Liguria, quando siamo a metà

IN LIGURIA ORA I FONDI EUROPEI SONO PIÙ ATTENTIAL SOCIALE FEDERICO VESIGNA - segretario generale Cgil Liguria

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IN LIGURIA ORA I FONDI EUROPEI SONO PIÙ ATTENTI AL SOCIALE

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del guado (il Programma è quello 2014-2020), abbiamo speso il 9% del FSE, il 5%del FESR e solo il 3,6% del PSR, in assolutogli ultimi in Italia.Ma il problema non è solo spendere i soldi, ilproblema è soprattutto come si spendonoquesti soldi e per fare cosa.Proprio perché quello 2014-2020 è probabil-mente l’ultimo settennato della Programma-zione europea dove possiamo dire qualcosa,non possiamo sprecare l’occasione.Per troppo tempo la politica, con la scusa chele nostre imprese sono tutte in sofferenza, si èorientata a garantire poco, ma un po’ a tutti eil risultato è ben visibile.Le logiche di distribuzione a pioggia servonoa creare consenso politico ma lasciano le cosecome stanno e questo la Liguria non se lopuò più permettere.Ecco perche la politica è chiamata a dimostraredi avere la capacità e la forza di scegliere. Ecco perché Cgil Cisl Uil della Liguria hannodeciso di individuare poche priorità su cui con-centrare gli sforzi, raccogliendo il consenso delmondo delle imprese per fare blocco comunee scardinare la narrazione della Giunta Regio-nale che parla di una Liguria che non c’è.Per una regione come la nostra, con un tessutoproduttivo fatto di piccole e piccolissime im-prese, su un territorio fragile dove ogni voltache piove si rischia il peggio, se si vogliono pro-muovere misure di politica industriale per at-trarre imprese e promuovere innovazione, oc-corre fare prima di tutto una vera lotta controil dissesto idrogeologico, perché non si investedove ti frana il terreno sotto i piedi.E poi occorre scommettere sull’efficienta-mento energetico, che significa cambiare ilmodo di costruire e cambiare il modo di la-vorare in edilizia, ma rappresenta anche ilmodo più semplice per portare innovazionenelle imprese soprattutto quelle più piccole.In questi mesi, dentro la cornice della Cabinadi Regia per lo sviluppo della Regione Liguria,abbiamo lavorato con gli assessori competentiper sbloccare le risorse dei Fondi Europei edinvestire sul dissesto idrogeologico e sull’effi-

cientamento energetico del patrimonio im-mobiliare pubblico.Abbiamo firmato due protocolli che defini-scono le linea guida per l’aggiudicazione di90 milioni di euro di fondi FESR che genere-ranno investimenti sul territorio per circa 160milioni di euro nei prossimi tre anni.Si tratta di una boccata di ossigeno per unsettore in forte difficoltà come quello dellecostruzioni.Da una parte sosteniamo il tessuto produttivolocale uscito massacrato dalla crisi e proviamoa dare lavoro alle imprese e ai lavoratori liguri.Dall’altra impegniamo quelle stesse impresead assumere lavoratori svantaggiati ovvero ilavoratori che hanno perso il lavoro e si tro-vano in condizione di grave disagio sociale.Tutto questo avviene attraverso nuove regoleper l’aggiudicazione degli appalti, regole chescommettono sulla qualità degli interventi esulla qualità del lavoro. E infatti le gare soprail milione di euro non verranno aggiudicatesolo con il criterio dell’offerta economica-mente più vantaggiosa.Il prezzo conterà solo venti punti su cento esoprattutto verranno premiate quelle impreseche si impegnano ad assumere lavoratori svan-taggiati.Addirittura sotto il milione di euro per acce-dere all’elenco di imprese della procedura ne-goziata scatta l’obbligo di assumere almenoun lavoratore svantaggiato.Ma la novità più rilevante, che fa dei protocollisottoscritti un caso senza precedenti, che puòdiventare buona pratica a livello nazionale, èquella di aver individuato la platea dei lavo-ratori svantaggiati attingendo al bacino deipercettori del REI (Reddito di inclusione so-ciale) ovvero il nuovo strumento di contrastoalla povertà assoluta introdotto dal governoGentiloni in scadenza di legislatura.In questo modo chi si trova in condizione digrave disagio sociale viene aiutato con un con-tributo economico per far fronte ai bisogni diprima necessità e viene sostenuto dal sistemadei servizi pubblici per uscire dalla condizionedi povertà.

Poiché però, per reinserirsi nella società e re-cuperare la propria autonomia economica, c’èuna sola strada possibile ed è quella del lavoro,con la firma dei protocolli con la Regionecompletiamo il REI, diamo concretezza allalotta alla povertà e attraverso la responsabilitàsociale delle imprese siamo in condizione dioffrire vere occasioni di lavoro piuttosto chetirocini o work experience.Resta ancora molto lavoro da fare perché perfunzionare il sistema ha bisogno che venga po-tenziata la rete dei servizi pubblici, dai servizisociali dei Comuni ai servizi per l’impiego.Il governo ha stanziato oltre 200 milioni dieuro per investire nei servizi.Spetta alla Regione approntare il Piano diriorganizzazione del sistema dei servizi peraccedere a quelle risorse.L’esperienza dei protocolli su dissesto idro-geologico ed efficientamento energetico cidice che i Fondi Europei possono essere una

potente leva di promozione dello sviluppo conforti connotazioni sociali.Nel protocollo sull’efficientamento energe-tico di scuole, palestre ed edifici pubblici lo-cali abbiamo fatto inserire una soglia minimadei lavori a bando superiore ai 500 mila eurocon l’obiettivo esplicito di orientare gli in-terventi sull’involucro degli edifici anzichésugli infissi per spendere in modo più effi-cace, in termini di risparmio energetico, isoldi pubblici e contribuire a creare maggioriposti di lavoro.Quello dei Fondi Europei è una sfida fonda-mentale e la si può vincere scegliendo le prioritàe non disperdendo le risorse in mille rivoli; la sipuò vincere se la politica riesce a fare prevalerel’interesse generale con il coinvolgimento e lacollaborazione di tutte le parti sociali.Questo clima di eterna campagna elettoralenon aiuta, ma non abbiamo moltissimo tempo.Ne va del futuro della nostra regione.

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L’UE promuove crescita, occupazione e benessere. © Unione europea, 2015 / Fonte: CE - Servizio Audiovisivo/ Foto: Cristof Echard

L’approccio scientifico al tema della salutenel XXI secolo si sta orientando verso quellache viene definita “One health”, un nuovomodo di pensare secondo il quale la salutedegli esseri umani è strettamente legata aquella degli animali e dell’ambiente.L’evoluzione di questo nuovo pensiero non èindifferente alle grandi emergenze degli scorsidecenni, quando alcune malattie emergenti

hanno avuto un impatto globale. Una per tuttel’encefalopatia spongiforme bovina (BSE),meglio conosciuta come “mucca pazza”, chetanto allarme ha destato nelle persone, spin-gendo alcuni ad ipotizzare addirittura unapossibile epidemia con migliaia di morti.Del resto la stessa Agenzia Europea per la Si-curezza Alimentare (EFSA) ha evidenziatocome circa il 75% delle nuove malattie chehanno colpito l’uomo negli ultimi 10 annivenga trasmesso da animali o da prodotti diorigine animale1.In questo nuovo contesto l’Unione Europeaha giocato e gioca un ruolo primario e deci-sivo, anche se per lo più ignorato dall’opinionepubblica e dalla classe politica.Ma facciamo un passo indietro. Per chi si di-chiara contrario, se non addirittura ostile al-l’UE, uno degli argomenti più in voga pareessere quello di un’istituzione che passa iltempo ad occuparsi di inezie anziché deigrandi temi dell’umanità. Argomenti come ledimensioni dei legumi o la curvatura delle ba-nane sono diventati delle leggende metropo-litane paradigmatiche di un modo di vederel’Unione Europea alla stregua di un covo dioscuri ed ottusi burocrati.

CHE FINE HA FATTO LA MUCCA PAZZA?

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CHE FINE HA FATTO LA MUCCA PAZZA?Sicurezza alimentare, il ruolo dell'UE nell'affrontare le emergenze globali

ENRICO MARIA FERRERO - direttore Struttura Complessa Sanità Animale ASL TO5, RegionePiemonte

1 http://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/zoonotic-diseases

A parte l’evidente inconsistenza di tali criti-che, la maggior parte degli euroscettici nonriesce a comprendere che se l’UE non si oc-cupa ancora di certe materie è anche e so-prattutto a causa di chi si oppone, magari innome di un rinnovato spirito sovranista, al-l’estensione delle competenze legislativedell’Unione stessa.L’utopia di De Gasperi, Adenauer e Schu-man, ossia uno spazio europeo con regole co-muni, con diritti garantiti a tutti e in cui per-sone, merci e competenze possano circolareliberamente si è realizzata solo in parte. Maquella parte è sotto gli occhi di tutti, e vasenz’altro paragonata con la situazione con-flittuale che per secoli ha caratterizzato il con-tinente europeo.L’eliminazione delle frontiere, dei dazi e, inparte, delle monete nazionali, ha reso più di-namica l’economia e più fecondo il confrontotra i cittadini.Questo processo si è dispiegato in modo evi-dente soprattutto nel settore agricolo, dove laresponsabilità dei Paesi membri è stata pie-namente condivisa e le politiche gestite informa comune e non più singolarmente. Ciòha fatto sì che la quota della spesa agricolasul bilancio dell’UE sia arrivata negli anni set-tanta a rappresentare addirittura il 70% e, no-nostante il calo degli ultimi decenni in cui viè stata l’espansione di altre competenze, necostituisca tuttora circa il 38%.Senza una politica agricola comune l’Europanon sarebbe stata in grado di diventare, anchegrazie all’Italia, il principale competitore mon-diale per ciò che riguarda le produzioni agri-cole e, più in generale, il settore agroalimen-tare.Questo processo, partito oltre cinquant’annifa, ha condotto ad una progressiva armoniz-zazione delle regole che col passare del tempoha coniugato il sostegno alle produzioni agri-cole ad una sempre crescente sicurezza ali-mentare. In nessun altro continente le dispo-

sizioni legislative tutelano i consumatori comenell’UE e in nessun altro contesto i controllisono così accurati e incisivi. È ormai del tuttoevidente che il futuro degli alimenti e del-l’agricoltura, passa per una Politica AgricolaComune più consapevole della leadershipmondiale dell’UE, come ha puntualizzato laCommissione Europea nel documento “TheFuture of Food and Farming”, indirizzato alleistituzioni comunitarie a novembre 2017.2

Ma non solo, secondo un meccanismo vir-tuoso i cittadini dell’Unione hanno diversistrumenti per far sentire la propria voce edesprimere le proprie preoccupazioni sui temidelle produzioni agricole e della sicurezza ali-mentare, argomenti che toccano da vicino lasalute di tutti, la protezione dell’ambiente, glisprechi alimentari ed un crescente interesseverso la tutela degli animali da allevamento.In questo contesto sono diversi gli esempi dicome l’azione legislativa europea abbia deter-minato un notevole innalzamento della qualitàdegli interventi pubblici in agricoltura e inzootecnia. E sovente certi progressi sono statideterminati proprio da situazioni di emer-genza che, affrontate in modo comune, hannofornito l’impulso per innovare alcuni settori.E qui riprendiamo l’esempio lampante rap-presentato dal caso della “mucca pazza”.Il primo caso di malattia nel bovino fu dia-gnosticato in Gran Bretagna nel 1986, masolo successivamente venne dimostrato il pas-saggio dell’agente della malattia all’uomo.Poiché la comparsa della malattia era da ri-collegarsi all’uso di farine di carne nell’ali-mentazione dei bovini, in seguito a tecnicheproduttive non in grado di inattivare l’agente,divenne di fondamentale importanza potertracciare gli animali dalla nascita fino al piattodel consumatore finale o, per utilizzareun’espressione entrata ormai nel lessico co-mune delle istituzioni europee, from the farmto the fork.Fino ad allora ogni Paese membro disponeva

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2 https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2017/IT/COM-2017-713-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF

di sistemi di identificazione dei bovini più omeno sicuri e più o meno affidabili. Anche inItalia questa materia era normata in modopiuttosto generico e l’identificazione e regi-strazione dei capi era piuttosto sommaria etutt’altro che certa. Di fatto il servizio veteri-nario di ogni azienda sanitaria locale si occu-pava di verificare la correttezza delle pratichedegli allevatori, con diversi livelli di efficacianon solo tra Regioni ma anche tra territori li-mitrofi.L’emergenza BSE diede l’impulso necessarioaffinché tutti gli Stati membri convenisserosull’esigenza di un unico sistema di identifi-

cazione e registrazione dei bovini che non solone consentisse la tracciabilità per tutta la vita,ma che permettesse anche una semplifica-zione per ciò che riguardava i flussi commer-ciali transnazionali o all’interno di ogni Stato.Considerando che, per poter ricostruire rapi-damente e in modo accurato i movimenti de-gli animali, questi devono poter essere identi-ficati con sistemi sicuri ed univoci per tutta laloro vita, il Consiglio delle Comunità Europeenel 1992 adottò una direttiva3 relativa all’iden-tificazione e alla registrazione degli animali.Questa direttiva disponeva che gli Stati mem-bri si dotassero di un elenco aggiornato di

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3 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/?uri=CELEX%3A31992L0102

Allevamento di bestiame in Irlanda. © Unione europea, 2017 / Fonte: CE - Servizio Audiovisivo/ Foto: Paul Faith

tutte le aziende che detengono animali da red-dito, e che queste ultime avrebbero dovutodotarsi di un registro in cui annotare nascite,movimentazioni e morti.Non solo, la stessa direttiva prevedeva anchecriteri specifici per l’identificazione perma-nente dei bovini. Tutte queste novità avreb-bero dovuto essere applicate entro il 1996 datutti gli Stati membri.Nel processo di armonizzazione del dirittoeuropeo, una volta raggiunto l’obiettivo im-posto da una direttiva, Parlamento e Consigliodi solito procedono all’approvazione dei re-golamenti, fonti giuridiche direttamente ap-plicabili e obbligatorie in tutti i loro elementi.Così nel 2000 ha visto la luce il Regolamento1760/20004 che ha istituito una vera e propriaanagrafe bovina in cui ogni capo viene iden-tificato con sistemi sicuri (marche auricolaridoppie con numero univoco e, in alcuni casimicrochip) e tutti gli eventi che lo riguardano(nascita, movimentazioni, morte, ecc.) ven-gono registrati in una banca dati informatiz-zata attiva in ogni Stato5.Questo sistema, consolidatosi negli anni, con-sente oggi di tracciare in tempo reale ognisingolo animale della specie bovina e coin-volge ogni singolo allevatore dell’Unione Eu-ropea, le associazioni di categoria e le autoritàcompetenti sui controlli.Anche i consumatori sono stati resi partecipidi queste novità attraverso il nuovo sistemadi etichettatura delle carni bovine, che oggiindica chiaramente il Paese di origine di ognianimale. Attraverso il codice univoco di 14caratteri che identifica ogni bovino è possibileper chiunque conoscerne la storia attraverso

il portale informatico delle banche dati zoo-tecniche6. È sufficiente utilizzare le “informa-zioni capi bovini” inserendo il codice esattodell’animale, per essere informati su razza,sesso e storia di quel capo, ossia dove equando è nato, dove è vissuto e dove e quandoè stato macellato.Tutto questo sistema è pienamente operativoe consente ad esempio la movimentazione deibovini tra Stati membri attraverso un sistemadi notifiche incrociate per cui i servizi veteri-nari vengono informati su ogni partita di bo-vini che è in arrivo nel territorio di compe-tenza, potendo così effettuare controlli miratie sempre più efficaci.A maggior ragione il sistema è efficiente se pa-ragonato a sistemi simili attualmente lasciatiall’iniziativa dei singoli Stati, come ad esempiol’anagrafe degli animali d’affezione. Questi ul-timi, non essendo animali in produzione zoo-tecnica, non sono oggetto delle politiche agri-cole europee. Ne consegue che l’anagrafe dicani, gatti e furetti è materia affidata alla legi-slazione dei singoli Stati. Per di più, essendo inItalia la tutela della salute materia di legisla-zione concorrente Stato-Regioni, ogni Regioneha regolamentato il settore con la conseguentemessa in opera di venti anagrafi diverse chenon dialogano tra di loro. Il risultato? Oggicome oggi è più difficile risalire al proprietariodi un cane piemontese se si trova in Liguriapiuttosto che alla storia di un bovino prove-niente dalla Spagna o dalla Polonia.E, cosa da non dimenticare e non sottovalu-tare, l’Unione Europea con questi ed altri in-terventi ha debellato la BSE, di cui oggi nes-suno ha più timore.

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4 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2000:204:0001:0010:IT:PDF5 http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=1540&area=sanitaAnimale&menu=tracciabilita6 www.vetinfo.it

L’Italia deve restare ancorata alle politicheeuropee? La risposta potrebbe sembrare ovvia, certo chesì. Ma forse non lo è, o andrebbe alimentata disenso e connessione con la vita reale, con lapercezione delle persone, con i loro timori odubbi, o semplicemente con quello che non c’ètempo di conoscere o approfondire.Nella mia esperienza a Bruxelles, ho soprat-tutto pensato questo: manca la connessione.Non bastano gli slogan, non bastano neanchei dati a volte, o l’europeismo di chi ha giàstrumenti e spesso privilegi per credere fer-mamente in un’Unione Europea forte e senza

muri. Serve la connessione con chi in Italia lepolitiche europee le vive tutti i giorni, ne ricevea volte informazioni incomplete, o presenta-zioni del tutto fuori dalla realtà come succedea volte “grazie” ad alcuni esponenti politici digrande spicco ma forse con più a cuore il con-senso elettorale che il bene del Paese.La sfida per le prossime elezioni politiche èparlare ad ogni persona - e mi scuso per il rife-rimento berlingueriano, casa per casa, scuola,ufficio, azienda, ufficio di collocamento, asso-ciazione, parco. Ascoltare, capire, fare proposteche abbiano senso politico ed economico, eche abbiano un’identità. L’Unione Europea,le sue istituzioni, sono governate da maggio-ranze ed equilibri politici: la vecchia e mai su-perata distinzione tra destra e sinistra. L’Italiasta giocando un ruolo importante, a volte forsetroppo poco valorizzato. Certo, sono necessarie credibilità, idee, realismoe senso politico. Ed è necessario l’indirizzo po-litico. Abbiamo enormi sfide davanti: la crea-zione di lavoro di qualità, l’ambiente e il cam-biamento climatico, la sicurezza, i flussimigratori, il grande tema legato allo sviluppodigitale e la gestione di dati e informazioni. Leenormi potenzialità della cooperazione interna-zionale, anche nel prevenire o gestire conflitti.In un mondo inter-dipendente, dove le decisionisono prese a vari livelli, le persone si sentonospaesate, o addirittura abbandonate, è poi facilecadere in comportamenti regressivi, guerre tragruppi sociali in difficoltà, paure. È compito

EUROPA. LE SFIDE ITALIANE PRIMA E DOPO IL 4 MARZO

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EUROPA. LE SFIDE ITALIANE PRIMA E DOPO IL 4 MARZOELISA SOLA - assistente Unità Cambiamento climatico e Energie rinnovabili – DG Cooperazioneinternazionale e Sviluppo della Commissione europea

della politica, dei partiti, delle Istituzioni UE,costruire connessioni, trovare modi e canali elinguaggi, rendersi accessibili e svolgere il lororuolo. Altrimenti si riducono a contenitori vuoti,che danno stipendi e garantiscono i garantitinel loro fortino fino a che dura, non proprio loscenario ideale.Ogni volta che entro in ufficio, che una col-lega ha un problema con la bimba con l’in-fluenza o il tram che non passa o il figlio chesi è fatto male giocando a calcio, o dovercorrere a casa perché si è rotto un tubo,penso che sarebbe il miglior spot dell’UnioneEuropea: la realtà. C’è vita su Marte. Ed è lastessa vita che c’è quando torniamo a Roma,Savona, Bologna. Sono le stesse persone, chesi occupano di creare sviluppo, sistema, cre-scita, senza lasciare nessuno indietro ma con-sapevoli che non è facile, che ci sono ostacoli,sfide, interessi, errori. Nessuno dimenticamai di essere italiano, di che grande ruolol’Italia ha e può avere in Europa e nel mondo.Un paese di potenzialità e bellezza, il cui va-lore aggiunto più grande, quello vero, sono

gli italiani. Gli italiani da sempre o chi lo di-venta nel tempo. La capacità di trovare imodi, di stare nelle situazioni, di saper sem-pre portare uno spunto in più. La flessibilitàanche, quando è unita a visione e responsa-bilità. Le prossime elezioni politiche dovreb-bero essere un banco di prova per i partiti,per provare ad essere all’altezza dei cittadiniche devono rappresentare, per portare avantii risultati ottenuti, renderli concreti e perce-pibili nelle vite materiali, e saper proporremisure e soluzioni che sappiamo pensare ainostri figli e a nostri nipoti.Saranno in grado? A questa domanda non sonoin grado di rispondere, ma penso ognuno dinoi il 4 di marzo, per quanto preoccupato, alleprese con le difficoltà vere di arrivare a finemese o immaginare il futuro senza paura, do-vrebbe mettere da parte l’istinto di seguire chiriflette la frustrazione o i timori, e votare inmodo lucido, per il proprio bene e per quellodel Paese, per chi pensiamo possa saperlo gui-dare. Siamo un Paese più che all’altezza diognuna delle sfide che dobbiamo affrontare.

EUROPA. LE SFIDE ITALIANE PRIMA E DOPO IL 4 MARZO

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Etichette energetiche europee su elettrodomestici. © Unione europea, 2016/ Fonte: CE - Servizio Audiovisivo

Mi chiamo Serena, ho ventuno anni e vivo aGenova. Favorevole o contraria al processo diintegrazione europea? In realtà non mi eromai posta il problema; ci sono voluti la Brexite i corsi universitari di storia e diritto del-l’Unione per farmi capire che l’appartenenzaall’UE non è un dato di fatto, e che ogni citta-dino dovrebbe documentarsi a proposito al-meno quanto si informa sulla politica nazio-nale. Io ho elaborato un piano semplice edefficace per prendere posizione: una volta ef-fettuate le opportune ricerche, avrei enumeratotutti i pro e i contro dell’esistenza dell’UnioneEuropea, per stabilire poi, sulla base dei mieiinteressi e del bene della nazione, quale fosse

la scelta migliore. Con mia grande sorpresa,questo procedimento si è trasformato nel-l’elencazione di tutto ciò che non potrei fare econseguire se non fossi cittadina dell’UE, por-tandomi a scongiurare il recesso del mio paesee di qualsiasi altro Stato membro.Il mio primo pensiero è andato alla pace, e atutti gli individui, compresi i miei nonni, chedopo le devastazioni della Seconda GuerraMondiale hanno visto nell’istituzione dellaCECA una promessa di concordia. Con losviluppo delle Comunità Europee, di fatto,ad una società orientata dagli interessi con-flittuali di vari Stati nazionali è subentrato uncontesto multilaterale fondato sulla ricerca diconsenso e cooperazione, fattori imprescin-dibili per evitare scontri e lotte armate. Inoltre,per rendere la guerra “non solo impensabile,ma materialmente impossibile”, il Ministrodegli Esteri francese Schuman proponeva, nel1950, un’integrazione di tipo economico, por-tando alla luce il secondo obiettivo essenzialedell’Unione Europea, ossia la prosperità.Successivamente, mi sono concentrata sullelibertà fondamentali del Mercato EuropeoComune, la libera circolazione dei lavoratori,delle merci, dei servizi e dei capitali. Stu-diando questo oggetto, mi sono resa conto disapere davvero poco in materia, e ho scopertoche l’adesione all’UE facilita l’attività degliattori economici negli Stati membri. I lavora-tori subordinati, per esempio, possono spo-starsi nel territorio dei paesi europei per cer-

L’UNIONE FA LA FORZA

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L’UNIONE FA LA FORZA SERENA TONELLI - laureanda in Scienze Internazionali e Diplomatiche, Università di Genova

Giovani volontari del Corpo Europeo di Soldarietà lavorano alla ricostruzione della Basilica di San Benedetto(Norcia) dopo ilsisma del 30 ottobre 2016 © Unione europea, 2017 / Fonte: CE - Servizio Audiovisivo/ Foto: Fabio Frustaci

50PERCHÉ L’ITALIA IN EUROPA

L’UNIONE FA LA FORZA

care ed esercitare una professione, e rimanervidopo aver occupato un impiego; nei rapporticommerciali tra Stati membri sono vietati idazi doganali; i lavoratori autonomi hanno di-ritto ad accedere alle attività economiche tran-sfrontaliere vedendo rispettati i principi dellaparità di trattamento e della non discrimina-zione su base nazionale.La libertà di circolazione che più mi sta acuore, tuttavia, è quella delle persone. Essapermette a tutti i cittadini europei di spostarsinei territori degli Stati membri e soggiornarvi,e affonda le radici nell’accordo di Schengendel 1985, un trattato extra-UE che è stato in-tegrato nel diritto dell’Unione nel 1999. Ciòsignifica che da quando ho memoria non cisono controlli sistematici ai confini nazionali,e che ho potuto visitare molti paesi meravi-gliosi senza fare altro che portare con me lacarta d’identità. Tutto questo appare ovvioalla mia generazione, che non può nemmenoimmaginare di dover affrontare la polizia difrontiera per entrare in Francia, o ottenereun visto di ingresso per fare una vacanza inSpagna, ma è bene tenere a mente che, senzaUnione Europea, questo privilegio potrebbeandare perso.Un’ulteriore importante prerogativa dei cit-tadini europei è la possibilità di prendere parteal programma Erasmus, un sistema di mobi-

lità studentesca che si è esteso ed arricchitonegli anni, fino a trascendere i limiti dell’istru-zione, per coinvolgere giovani, volontari, im-prese ed istituzioni. Io ho partecipato in primapersona, frequentando, tra settembre 2016 efebbraio 2017, un’università di Madrid, edentrando a far parte della grande famiglia de-gli studenti europei. Per me l’Erasmus è statoun periodo di apprendimento, di diverti-mento, di comprensione, e soprattutto di cre-scita, personale e culturale, che mi ha per-messo di abbandonare la mia visione dellarealtà per recepire quella di ragazzi e ragazzespagnoli, cechi, portoghesi, polacchi, francesi,romeni, olandesi. È stata un’avventura stra-ordinaria, e devo ringraziare l’Unione Euro-pea per aver concesso a migliaia di cittadinicome me di realizzarla.Insomma, se l’Italia lasciasse l’UE mi preoc-cuperei delle relazioni con gli altri Stati delcontinente e della prosperità della mia terra,vedrei restringere i diritti economici dei mieiconnazionali e le loro opportunità di spostarsiper l’Europa, e prenderei tristemente attodell’impossibilità, per le generazioni future,di vivere il programma Erasmus. In sostanza,assisterei ad un indebolimento della condi-zione politica, economica e socio-culturale delmio paese, che rimarrebbe solo e, di conse-guenza, fragile. Sì, perché l’Unione fa la forza.

Il 2018 non poteva aprirsi con auspici migliori:proprio a fine dello scorso anno, il Centro Eu-rope Direct di Genova ha ottenuto la confermadel finanziamento da parte della CommissioneEuropea per il prossimo triennio! La notizia non era scontata, come potrebbeapparire dopo molti anni di lavoro, dal mo-mento che la Commissione ha ridotto il nu-

mero di Centri sul territorio nazionale, optandoper criteri di razionalizzazione e concentrazionesu base geografica: l’approvazione della pro-posta di Genova è la testimonianza della bontàdel lavoro svolto in tanti anni, a partire dal1998, quando il Centro era denominato “Info-Point Europa”, per proseguire con l’Antenna(a partire dal 2005), per arrivare all’attuale

CENTRO EUROPE DIRECT GENOVA: UN’AVVENTURA CHE CONTINUAELISA SERAFINI - assessore alla Cultura, Marketing territoriale e Politiche giovanili, Comune di Genova

51SPAZIO CENTRO EUROPE DIRECT

CENTRO EUROPE DIRECT GENOVA: UN’AVVENTURA CHE CONTINUA

configurazione del Centro, che a Palazzo Du-cale ha trovato la propria collocazione ideale,sia per la location che per la stretta integrazionecon gli altri punti informativi (Informagiovanie Sportello del Cittadino).Il 2018 è sicuramente un anno cruciale per ilfuturo dell’Unione Europea e per il ruolo chel’Italia aspira ad avere nella costruzione diuna nuova Europa, che recuperi sempre piùla centralità dei valori di solidarietà e coesione,rispetto al modello ispirato prevalentementeal rigorismo economico e all’austerità, che hadominato negli ultimi anni, almeno nell’im-maginario collettivo.Le elezioni nazionali del marzo prossimo e lesuccessive elezioni europee del 2019 rappre-sentano due straordinarie occasioni per tutticoloro che sui nostri territori e nelle nostrecittà si occupano di Europa: l’attenzione me-diatica sarà altissima e la posta in gioco parti-colarmente importante e delicata.In questo contesto, i Centri di InformazioneEurope Direct giocheranno sempre più unruolo fondamentale nel coinvolgimento e nellasensibilizzazione dei cittadini, anche al di làdei pur già ottimi risultati finora raggiunti: sidarà spazio, nella programmazione delle atti-vità, non solo alle opportunità che l’Europa

offre (programmi e fondi), ma anche a rifles-sioni sul futuro dell’Unione Europea, con unforte coinvolgimento di giovani e società ci-vile, animando una discussione sul modellodi Europa che i cittadini sognano per loro, ein cui spesso non si ritrovano attualmente.Genova, in particolare, ha già pianificato unintenso programma per la Festa dell’Europa2018, che darà spazio da un lato alle celebra-zioni per l’Anno Europeo del Patrimonio cul-turale, dall’altro ad un dibattito pubblico sultema della lotta all’Euroscetticismo, aperto apartner di altri Paesi UE: l’opportunità nascedalla partecipazione al progetto europeo CI-TIZEU, coordinato dalla città spagnola di Gi-jon, e dalla contemporanea campagna di sen-sibilizzazione condotta dalla rete Eurocities,denominata “Cities for Europe”.Il Comune di Genova, anche attraverso il suoCentro Europe Direct, dimostra ancora unavolta di voler svolgere un ruolo fondamentalenel coinvolgimento e nella partecipazione deicittadini sui temi europei, come sempre è statonel corso degli ultimi anni: sarà quindi ancorpiù importante il contributo di idee, di spuntie di critica che i cittadini sapranno e vorrannodare, per rinnovare e trasformare quell’Europache appartiene soprattutto a loro.

CENTRO EUROPE DIRECT GENOVA: UN’AVVENTURA CHE CONTINUA

SPAZIO CENTRO EUROPE DIRECT52

CENTRO D’INFORMAZIONE EUROPE DIRECTDIREZIONE MARKETING DELLA CITTÀ, TURISMO E RELAZIONI INTERNAZIONALI

Palazzo Ducale, Piazza Matteotti 24r, 16123 Genova - 010 [email protected]

www.comune.genova.itpagina Facebook: Centro Europe Direct Genova

profilo Twitter: Europe Direct Genova

Lavorare in un liceo, a quotidiano contattocon studenti tra i sedici e i diciannove anni, èun buon modo per capire che il presunto di-sinteresse dei giovani per la politica non è ge-neralizzabile a tutta la platea dei giovani, nétantomeno una tendenza irrevocabile. Certamente il mio è un osservatorio parziale:lavorare in un liceo come il Liceo classico elinguistico Colombo, nel centro cittadino diGenova che, nonostante la crisi e il ridimen-sionamento, resta tra le più grandi città delnord, vuol dire essere a contatto con una re-altà ben diversa da quella, ad esempio, delleperiferie degradate di Napoli. Non a caso,all’Assemblea studentesca del 25 gennaio, de-dicata al voto del 4 marzo e moderata dal

giornalista Mario Paternostro, direttore edi-toriale di Primocanale, hanno partecipatoesponenti genovesi di spicco di tutti i princi-pali partiti in corsa. Tante sono state le do-mande formulate sui temi caldi del futurodella scuola pubblica, l’alternanza scuola-la-voro, le tasse universitarie ma anche il ruolodell’Italia in Europa, lo ius soli, l’immigra-zione, i vaccini. Gli studenti, ad assembleaconclusa, hanno sottolineato più le affinità ele convergenze dei partiti su molti degli argo-menti trattati, piuttosto che le divergenze ir-rimediabili. Fatta eccezione per il rappresen-tante della Lega, fortemente criticato per leposizioni su ius soli e immigrazione. Probabil-mente, in un contesto che non era un formattelevisivo dove il conduttore aizza lo scontropiuttosto che la discussione, ha potuto emer-gere un confronto dai toni pacati, a cui glistudenti sono poco abituati. Sulla base delle suggestioni raccolte proveròa dare qualche suggerimento in merito a que-sta campagna elettorale, iniziata non nel mi-gliore dei modi, che vorrei più decisamenteorientata verso l’Europa e rivolta ai giovani.La crucialità dell’appuntamento elettorale do-vrebbe essere chiara agli italiani almeno quantolo è agli osservatori europei: Italia e Germaniasono chiamate a sostenere l’insperata sterzatadella Francia verso il rilancio della sovranitàeuropea. Il discorso di Macron del 26 settembre2017 ha entusiasmato chi crede nell’Europa enei valori e interessi che stanno alla base del“modello europeo”. Il momento può essere di

LA CAMPAGNA ELETTORALE CHE VORREI PER I MIEI STUDENTI

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LA CAMPAGNA ELETTORALECHE VORREI PER I MIEI STUDENTISONIA PASTORINO - insegnante

portata epocale se saremo in grado di sfruttarloperché, come ha detto il Presidente Juncker nelDiscorso sullo stato dell’Unione 2017, “l’Europaha di nuovo i venti a favore”.I passi giusti nella direzione del sostegno al-l’iniziativa francese sono stati fatti dal governoitaliano; ora è necessario che i partiti assu-mano una posizione netta e chiariscano aper-tamente da che parte stanno in merito alladifesa dell’euro e del progetto europeo.Tuttavia i partiti sono stati finora impegnatipiuttosto a dilaniarsi sulle liste dei candidatio a rincorrere l’elettorato con promesse tantoinsensate quanto insostenibili e che, se fosseromantenute, metterebbero in discussione il vin-colo europeo, mentre default e uscita dall’eurosarebbero dietro l’angolo. Ma i rischi di unavittoria degli antieuropei e degli euroscetticiavrebbero effetti enormi per il nostro paese eper l’Unione europea.Perciò nel contesto del provincialismo politicoitaliano, fatto di partiti tiepidi o marcatamente

ostili all’Unione, è necessario fare chiarezzasulla “discriminante europea”. Scegliere l’Eu-ropa contro i populismi, la xenofobia e i rigurgitirazziali e antisemiti emergenti è possibile solose si crede che la politica possa ancora orientaregli italiani e, in particolare, i giovani. Nelle irre-sponsabili promesse elettorali di molti si scorgesolo la volontà di avere immediato e visceraleconsenso da potenziali elettori trattati comesemi-dementi. Chi promette di smantellare, ap-pena insediato al governo, la “Buona scuola”dovrebbe anche spiegare se è disposto a can-cellare le assunzioni che hanno tolto dal preca-riato più di centomila insegnanti o i fondi perla scuola dell’infanzia e l’edilizia scolastica. Pa-recchio non ha funzionato nel momento del-l’attuazione della legge (ricordate, ad esempio,il pasticcio dell’algoritmo per i docenti delsud?), ma disfare tutto solo perché chi ha volutola legge è il “nemico totale” di cui cancellaretraccia è lo specchio del vuoto di idee in cui ri-schiamo di precipitare.

LA CAMPAGNA ELETTORALE CHE VORREI PER I MIEI STUDENTI

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Proviamo a invertire la rotta, anche smettendodi parlare solo di pensioni rivolgendoci esclu-sivamente a chi in pensione c’è già o sta perandarci; bisogna parlare ai giovani che ri-schiano di non andare affatto in pensione. Ildualismo e il conflitto generazionale cheemerge dai dati dell’Inps sui flussi pensioni-stici e sulle tipologie dei contratti di assun-zione è ciò che va ragionevolmente affrontato.Basta slogan e proposte dalla visione corta,ma basta anche al declassamento del lavoropolitico a mera ricerca del consenso e al pri-mato della comunicazione sulla verità. Propaganda e ricerca del consenso sono strut-turalmente legati alla democrazia, lo eranonell’Atene del V secolo come lo sono nelle de-mocrazie contemporanee, dove devono convi-vere gruppi culturali, religiosi ed etnici diversie quindi diventa centrale il problema delle cre-denze e dei costumi. Cercare di delineare valoricomuni che possano tenere insieme una societàdemocratica è il progetto di dare un’anima al-l’Europa attraverso la costruzione di strategie eretoriche adeguate. Conoscenza e analisi vannounite ad una grande battaglia delle idee che inquesta tornata elettorale può smuovere gli in-

decisi ed entusiasmare i giovani. È facendo ap-pello ai principi della tradizione repubblicanae democratica e dello slancio europeista cheMacron ha vinto contro la xenofobia e il razzi-smo della Le Pen.Avrei voluto più coraggio, da parte della passatalegislatura, per l’approvazione dello ius soli. Nelmicrocosmo delle aule scolastiche questa leggeè riconosciuta da tempo come necessaria. Sipuò essere nate in Ucraina e vivere in Italia davent’anni, come una delle mie studentesse mi-gliori, aver fatto la scuola dell’obbligo e poi fre-quentato il Liceo classico, laurearsi brillante-mente in medicina, ma scoprire tutte lepossibilità precluse in quanto extracomunitariae non cittadina italiana? Non c’è alcuna rela-zione logica tra l’emergenza immigrati e l’ap-provazione di una legge come questa. Se si ri-nuncia alla battaglia dei principi e vince la pauradi perdere voti, allora si perde davvero.Speriamo che i partiti italiani riescano a ve-dere e a far comprendere agli elettori che ilvoto del 4 marzo 2018 può diventare un’ im-portante tappa verso le elezioni europee del2019, e che la difesa di un progetto politicoin cui trovano posto solidarietà e tutela deidiritti potrà favorire un processo costituenteper la riforma dei Trattati.Il 1° dicembre 2017 ho partecipato con ungruppo di studenti alla giornata di studi fede-ralisti “L’Unione europea e il ruolo degli Statiin un mondo che cambia” a Palazzo Tursi.L’evento, magistralmente organizzato dai gio-vani del Movimento Federalista Europeo diGenova, prevedeva relazioni, tavole rotonde,gruppi di lavoro e dibattiti in plenaria per ladurata di più di otto ore. Raramente mi è capi-tato di osservare tanto coinvolgimento, atten-zione e passione da parte degli studenti, nono-stante l’impegno così consistente e prolungato.Su questo bisogna puntare: informazione, ap-profondimento, analisi dei principi che stannoalla base del processo di integrazione europea,ma anche prospettive concrete e slancio versoil futuro che facciano emozionare i giovani. Seci riusciremo, cominceremo a catturare “il ventonelle nostre vele”.

LA CAMPAGNA ELETTORALE CHE VORREI PER I MIEI STUDENTI

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: I Fondi UE sostengono l’integrazione dei migranti © Unione europea

Tra le maggiori tematiche che animano la ri-flessione sulla tenuta dei sistemi democraticirappresentativi e sullo svolgimento delle ele-zioni, il potere trasformativo delle nuove tec-nologie si distingue per la difficoltà di misu-rarne le conseguenze, i rischi ed i vantaggi.La disponibilità di tecnologie della comunica-zione e dell’informazione sempre più potentioffre la possibilità alle istituzioni pubbliche ditrasformarsi profondamente, ponendo però unadomanda fondamentale: è la tecnologia che sista avvicinando alla democrazia oppure è la de-mocrazia che nel suo processo di evoluzioneper rimanere al passo della società ha necessa-riamente bisogno della tecnologia? Troppo spesso, questi dibattiti sono ancoratiall’idea di rivalità concettuale tra democraziarappresentativa e democrazia diretta. Tale con-flitto, determinato dalla discordanza tra con-vinzioni di fondo e generazionali, pone un pro-blema che merita attenzione e che destapreoccupazione. Proviamo invece a fornire unapproccio differente, capace di conciliare duefiloni di pensiero apparentemente divergentiche Giancarlo Vilella, Direttore Generale dellaDG ITEC al Parlamento europeo e docenteall’Università Statale di Milano, è riuscito a cat-

turare nel suo libro “Introduzione alla E-de-mocracy” grazie alla sua esperienza nelle isti-tuzioni europee.Il punto di osservazione dell’Unione europea,ha il vantaggio di non rimanere prigioniero edingabbiato in questa anteposizione e proponeun rifiuto all’incongruenza tra democrazia di-retta e rappresentativa, cioè tra tecnologia eprocessi decisionali. La tecnologia viene messaa servizio di una strategia ben determinata che,da una parte, rende possibile il processo di in-formatizzazione e digitalizzazione dell’ammi-nistrazione e dall’altra rafforza il lavoro parla-mentare e politico, favorendo una maggiorevicinanza del cittadino. Cerchiamo ora di capire come l’Unione europeasta riuscendo ad integrare i due concetti spie-gandone l’attuale gestione, la maturità raggiunta,le misure di sicurezza e gli obiettivi futuri.

Il processo di maturazione dell’E-demo-cracy nelle istituzioni europeeLe tecnologie dell’informazione e i processidi innovazione sono diventati strumenti inso-stituibili per l’ambiente lavorativo dell’Unioneeuropea. In particolar modo, rappresentanouna parte fondamentale e costituente nel

UN NUOVO MODO DI CONSIDERARE L’E-DEMOCRACY: L’ESPERIENZA DELL’UNIONE EUROPEA

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UN NUOVO MODO DI CONSIDERARE L’E-DEMOCRACY:L’ESPERIENZA DELL’UNIONE EUROPEASpunti dal libro di G. Vilella “Introduzione alla e-Democracy”

GIANLUCA PRUDENZA - Stagista DG ITEC, IPIC Unit, Parlamento europeo

ruolo del Parlamento europeo (PE) di rap-presentare i cittadini nei complessi processidecisionali. Non a caso, il PE è consideratol’organo legislativo più avanzato del mondosotto il punto di vista tecnologico. Già in unprimo periodo di programmazione strategicaper legislatura 2009-2014, il PE si era predi-sposto l’obiettivo di introdurre la digitalizza-zione come una modalità naturale del lavoroe fattore centrale di sviluppo organizzativoper i deputati ed i cittadini. Il vigente ciclo diprogrammazione (legislatura 2014-2019),consolida ulteriormente la trasformazione at-traverso una piena digitalizzazione del pro-cesso legislativo (“e-Parliament”). Si tratta diun supporto tecnologico avanzato per deputatiil quale consente di lavorare e stare a contattocon i cittadini ovunque siano, aumentando lamobilità e la connettività, oltre che rappre-sentare un profondo ripensamento del mododi lavorare dello staff (interoperabilità).L’esempio del PE può essere considerato un

primo banco di prova per rispondere alla do-manda iniziale: la tecnologia non è uno stru-mento secondario o una “costola” dell’orga-nizzazione, ma rappresenta un processostrategico che consente ai deputati di svolgerein maniera sempre più efficiente il loro ruolo.Seguendo il ragionamento proposto da Gian-carlo Vilella, il coinvolgimento dei cittadininei processi legislativi e dunque la loro parte-cipazione online (e-Partecipation) rappresentail pilastro principale del nuovo modo di in-terpretare la democrazia. Dal canto suo, ilParlamento europeo ha ritenuto necessariointraprendere la strada per l’avvicinamentodei cittadini al processo legislativo attraversoil progetto linked open data and e-Participation,affiancandolo all’Ufficio europeo delle pub-blicazioni (OP) ed alla possibilità di raccoltafirme per via elettronica. A questa evoluzione, va aggiunto il lanciodella strategia e-Government 2016-2020 dellaCommissione europea basata sulla moderniz-zazione della pubblica amministrazione (e-Si-gnature, e-delivery, ID elettronica), estrema-mente utile nel comprendere come latecnologia sta cambiando la relazione tra cit-tadini ed Istituzioni.

La sicurezza come pilastro fondamentaleQuesto nuovo modo di relazionarsi e di aprirei processi democratici alle nuove tecnologie,idee che sono alla base del concetto di e-De-mocracy che vorrei suggerire, ci pongono difronte al bisogno di una maggiore sicurezza,ed in particolar modo alla cyber sicurezza. Anche qui l’esperienza europea offre spuntidi riflessioni notevoli per capire come la tec-nologia gioca nuovamente un ruolo fonda-mentale nella prevenzione della relazione cit-tadini ed Istituzioni.In linea con il progresso tecnologico e lo svi-luppo digitale, tra le preoccupazioni principalidell’Unione europea restano infatti gli attacchicibernetici. Vilella ci ricorda la Risoluzionedel Parlamento europeo sulla sicurezza e ladifesa cibernetica del 2013, la quale mira arafforzare la cooperazione interistituzionale

UN NUOVO MODO DI CONSIDERARE L’E-DEMOCRACY: L’ESPERIENZA DELL’UNIONE EUROPEA

EUROPALIBRI 57

tra gli Stati membri (uscendo ipoteticamentedall’UE si perderebbe qualsiasi forma di difesae sicurezza a livello sovranazionale). Di ugualeimportanza deve essere a mio avviso conside-rata la visione strategica della DG ITEC, laquale ha consolidato le iniziative degli ultimianni con il Cyber Security Action Plan, por-tando la sicurezza al cuore dello sviluppo deiservizi per i deputati e i cittadini ed inqua-drando la cyber sicurezza come pilastro fon-dante di qualsiasi strategia di trasformazionetesa verso la e-Democracy.L’esempio europeo ci insegna che grazie adun mondo digitale più sicuro, è possibile per-mettere un’integrazione della tecnologia neiprocessi democratici i quali contribuisconoalla creazione di cittadini più attivi e respon-sabili e di una democrazia più trasparente.

La cornice di supporto all’E-democracyAl fine di intensificare la partecipazione poli-tica, ritengo fondamentale che tutti i cittadinipossano connettersi tra loro e direttamentecon i deputati attraverso la distribuzione diinformazioni comprensibili e l’utilizzo di tec-nologie per la comunicazione e l’informa-zione. Per far ciò, è evidente la necessità diraggiungere un livello di maturità tecnologicaancora più elevato, che sia in grado di acco-stare la democrazia a coloro che gestiscono ilpotere tecnologico e che possa dunque elimi-nare i vari canali intermedi.Un altro punto importante è quello di renderela tecnologia necessaria per i processi demo-cratici collegata a reti reali di comunicazioneed informazione. Nonostante le buone inten-zione di rendere partecipi gli elettori su piat-taforme on-line o social network, molti citta-dini hanno ancora bisogno di una presenzapolitica marcata nel territorio. Di conse-guenza, la sfida tecnologica, come lo dimostral’esempio del Parlamento europeo, sarà man-

tenere un contatto fisico e diretto tra deputatie cittadini.Secondo le parole dell’autore, la formazionedi ciascun cittadino all’uso delle nuove tec-nologie, rappresenterebbe uno degli aspettipiù significativi che bisogna curare per il suc-cesso della E-democracy. In aggiunta a questeparole, ritengo necessario e fondamentale ilfatto di rivolgere ancor più interesse alla sen-sibilizzazione dei cittadini, protagonisti prin-cipali del processo democratico. Anche se lamaggior parte della popolazione risulti piut-tosto educata a livello tecnologico, contraria-mente non lo è per quanto riguarda la cono-scenza della tecnologia nei processidemocratici. Tale lacuna renderebbe l’utilizzodelle tecnologie nello svolgimento ordinariodelle pratiche democratiche piuttosto inutilese poi il cittadino non è in grado di sfruttarnetutto il potenziale. Ecco perché il Digital Edu-cation Action Plan dell’UE si riferisce ancheall’educazione ed all’insegnamento dellenuove tecnologie fin dai primi anni scolastici,con l’obiettivo non di creare esperti IT ma didiffonderne la loro conoscenza.Infine, un’ultima sfida che dovrà superare l’e-Democracy per affermarsi in tutti i campi am-ministrativi, sarà quella di espandere i propriconfini verso principi e tecniche di BusinessContinuity e Risk management. Magari, illu-strando come l’adozione di un modello digi-talizzato di gestione dei rischi di continuitàpossa assicurare una maggior resilienza, ar-gomento di grande importanza che merita unaltro tipo di considerazioni e riflessioni.Per concludere, riprenderei alcune paroledell’autore da me personalmente rielaborate.La tecnologia deve essere considerata come un’op-portunità che la democrazia deve saper cogliereper modernizzarsi, evolvere e rimanere al passocon l’evoluzione del singolo individuo, il qualeusa già la tecnologia in modo quotidiano.

UN NUOVO MODO DI CONSIDERARE L’E-DEMOCRACY: L’ESPERIENZA DELL’UNIONE EUROPEA

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L’incontro, organizzato lo scorso 19 dicembredal Centro in Europa con il sostegno dellaRappresentanza a Milano della Commis-sione Europea e in collaborazione l’Uni-versità di Genova e il Centro Europe Di-rect Genova, si è incentrato sulla sfidadell’Unione Europea nel mantenere un diffi-cile equilibrio tra apertura del suo mercato etutela degli interessi strategici propri, dei suoicittadini e delle sue imprese in un contestointernazionale caratterizzato dalle spinte pro-tezionistiche degli Stati Uniti e dall’accesaconcorrenza di altre aree, in primis la Cina. Come ha sottolineato la direttrice del Centroin Europa Carlotta Gualco nella sua intro-duzione, questo tema, di grande attualità, èstato anche al centro di un passaggio del di-scorso sullo stato dell’Unione pronunciato il13 settembre 2017 dal presidente della Com-missione Europea Jean-Claude Juncker. Nelnuovo contesto globale, c’è da domandarsi sel’Unione Europea abbia gli strumenti adeguatia far fronte alle nuove sfide della globalizza-zione e del commercio internazionale e se adessere messo in crisi non sia lo stesso concettodi multilateralismo, come dimostra la fase distallo dell’Organizzazione Mondiale del Com-mercio (WTO).

In un videomessaggioCarlo Pettinato, dellaDirezione Generale Trade della CommissioneEuropea, ha sintetizzato i contenuti della pro-posta di regolamento presentata della Com-missione Europea (CE) sul monitoraggio de-gli investimenti esteri in settori strategici1,attualmente in discussione. Il punto focale della proposta è proprio il con-trollo, in forma coordinata a livello europeo,di investimenti esteri che possano minacciarela sicurezza e l’ordine pubblico nella UE. Nelcontesto attuale, la proposta della CE rappre-senta la risposta adeguata e proporzionataall’obiettivo per il quale è stata formulata. Ildocumento di riflessione della CE dello scorso10 maggio sulla gestione della globalizzazione2

ha riconosciuto l’emergere di crescenti pre-occupazioni riguardo alle acquisizioni strate-giche di imprese europee che dispongono ditecnologie fondamentali da parte di investitoriesteri. Tali preoccupazioni hanno messo indubbio la capacità dell’attuale quadro nor-mativo di farvi fronte. Nel giugno scorso il Consiglio Europeo haaccolto con favore le iniziative menzionatedalla Commissione sulla gestione della glo-balizzazione e in particolare l’idea di vagliaregli investimenti provenienti da Paesi terzi nei

UNIONE EUROPEA E GLOBALIZZAZIONE

ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA 59

UNIONE EUROPEA E GLOBALIZZAZIONENuovi accordi commerciali, difesa dei valorie tutela degli interessi strategici

1 Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per ilcontrollo degli investimenti esteri diretti nella UE, COM (2017) 4872 https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/reflection-paper-globalisation_it.pdf

settori strategici. Il Parlamento Europeo hainvitato la Commissione a passare al vaglio,insieme agli Stati membri, gli investimentiesteri diretti (IED) provenienti da Paesi terzinei settori strategici, nelle infrastrutture e nelleprincipali tecnologie del futuro o in altre ri-sorse importanti ai fini della sicurezza nonchédella protezione dell’accesso alle stesse. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione ilpresidente della CE ha riaffermato il sostegnodell’Unione Europea al libero scambio ag-giungendo che l’Europa deve comunque sem-pre difendere i suoi interessi strategici. Perquesto la CE ha presentato lo stesso giorno(13 settembre) una proposta di regolamentoche stabilisce un quadro per il controllo degliIED nella UE. In parallelo, sta anche avviandoun’analisi dettagliata dei flussi di IED nellaUE; verrà istituito, anche con gli Stati mem-bri, un gruppo di coordinamento finalizzatoa individuare, nel corso del 2018, problema-tiche e soluzioni strategiche comuni. L’obiettivo della proposta di regolamento èmantenere un’UE aperta agli investimentiesteri con un quadro non discriminatorio, tra-sparente e prevedibile, rispondendo in ma-niera collettiva in difesa degli interessi strate-gici europei quando sono a rischio. La proposta contiene tre elementi. Primo, unquadro europeo che consenta agli Stati mem-bri (SM) di mantenere o adottare meccanismidi controllo degli IED per motivi di sicurezzao di ordine pubblico ma che comprende al-cuni requisiti procedurali essenziali come latrasparenza, la certezza dei termini, la non di-scriminazione tra investimenti esteri di originediversa e la garanzia della possibilità di pre-sentare ricorso contro le decisioni adottatenell’ambito di tale meccanismo di controllo.Il nuovo quadro garantirà agli investitori e aigoverni nazionali trasparenza e prevedibilità.Secondo elemento, un meccanismo di con-trollo tra SM e Commissione che può essereattivato qualora uno specifico investimentoestero, in uno o più SM, possa mettere a ri-schio la sicurezza o l’ordine pubblico di altriSM. Ciò consentirà lo scambio di informa-

zioni sugli investimenti diretti entranti suscet-tibili di avere un impatto sulla sicurezza e l’or-dine pubblico. Quindi la proposta fornisceagli SM e alla Commissione gli strumenti perrichiedere informazioni se necessario, e al con-tempo limita gli oneri per gli Stati stessi, gliinvestitori e le imprese non imponendo lorodi fornire quelle informazioni in anticipo oautomaticamente. Terzo elemento, il controllodella Commissione per motivi di sicurezza odi ordine pubblico nei casi in cui gli IED negliSM possono incidere su progetti o programmidi interesse per l’Unione, quali ad esempioHorizon 2020 nel settore della ricerca, Galileoin quello spaziale, le Reti Transeuropee deitrasporti, dell’energia e delle comunicazioni. La Commissione potrà fornire un parere agliSM in cui l’investimento è in programma o èstato realizzato, lasciando tuttavia la decisionefinale in merito alle modalità di risposta piùadeguate alle autorità nazionali: l’ultima pa-rola sui controlli degli investimenti spetteràinsomma agli Stati membri. Vista l’attuale si-tuazione, in cui alcuni Stati hanno già mec-canismi di controllo, mentre altri non ne di-spongono, e non ritengono necessariointrodurne, questa proposta appare la più piùadeguata a livello europeo. Qualcuno potrebbe domandarsi: ma perchénon tenete conto della mancanza di recipro-cità da parte di alcuni Paesi, della concorrenzasleale che danneggia la nostra industria? Èuna reazione istintiva e del tutto legittima.Ma occorre tener presente che l’UE disponedi uno dei regimi più aperti al mondo in ma-teria di investimenti, e quelli esteri non solosono essenziali per la crescita della nostra eco-nomia e per milioni di posti di lavoro mal’apertura agli investimenti esteri è sancita neiTrattati della UE. Se volessimo applicare oggiil principio di reciprocità in senso stretto comecriterio per aprire il nostro mercato agli inve-stimenti esteri, metteremmo a rischio milionidi posti di lavoro in Europa. L’apertura deimercati nei Paesi terzi per i beni, i servizi e leimprese europee è l’obiettivo principale dellanostra politica commerciale, che è lo stru-

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ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA60

mento idoneo a garantire che i Paesi terzi of-frano un livello di apertura agli investimentiesteri equivalente a quello dell’UE. Ma questonon succederà da un giorno all’altro. Condi-zionare l’accesso degli investimenti esteri conla reciprocità nell’accesso ai mercati dei Paesiterzi significherebbe anche una violazionemolto seria degli impegni presi dalla UE edai suoi Stati per esempio nell’ambito del-l’OMC, dell’OCSE e in alcuni casi di accordicommerciali bilaterali o regionali già conclusi.Per quanto riguarda la concorrenza sleale, do-vuta alle imprese sussidiate da Paesi terzi, lanostra politica di concorrenza, oggi, non per-mette di verificare l’esistenza di sussidi inPaesi terzi. A livello internazionale lo stru-mento principale è l’accordo OMC sui sussidiche proibisce l’esportazione di beni sussidiati.Nella sua proposta la CE ha comunque espli-citamente incluso la proprietà e il controllodi Stati esteri, in particolare tramite il sostegnodi sovvenzioni, quale fattore che può esserepreso in considerazione per valutare i rischiin termini di sicurezza e di ordine pubblico. L’UE è e rimarrà uno dei regimi più aperti almondo in materia di investimenti, che rap-presentano un’importante fonte di crescita,occupazione e innovazione. Non dobbiamosoccombere alle crescenti tentazioni protezio-nistiche e continueremo a sostenere attiva-mente il sistema internazionale di libero scam-bio mantenendo un clima aperto e favorevoleagli investimenti nella UE. Al contempo ab-biamo il dovere di impegnarci attraverso que-sto quadro europeo per rispondere collettiva-mente a potenziali minacce esterne, difendereefficacemente i nostri interessi essenziali e ga-rantire così ai cittadini europei la protezionedei nostri valori in un ambito economica-mente prospero e politicamente sicuro.

È seguita la relazione Unione Europea, Cina,Stati Uniti. Dialogo o scontro? di Mario Telò,professore all’Università Libera di Bruxellese all’Università LUISS Guido Carli di Roma.Innanzitutto va detto che stiamo parlandodella politica estera dell’Unione Europea, per-

ché, come già aveva compreso Alexis de To-queville duecento anni fa, la politica commer-ciale è il primo capitolo della politica estera,e questo è essenziale per una potenza civilecome la UE. La nuova proposta della Com-missione è una revisione dell’eccessivo libe-rismo e della mancata trasparenza praticatidalle Commissione negli anni ’90 e nel primoquindicennio del nuovo secolo e della politicacommerciale contraddittoria dalla passataCommissione Barroso/De Gucht: la nuovapresidenza Juncker ha innovato sia sul frontedella politica commerciale che della legitti-mità, soprattutto grazie alla Commissaria alcommercio, la svedese Cecilia Malmström eal suo documento dell’ottobre del 2015“Trade for all”. È evidente l’esigenza per laUE di perseguire con coerenza una terza viatra i passati eccessi neoliberisti e le spinte pro-tezionistiche odierne proprie di alcuni Paesimembri e di una parte di elettorati manipolatida leader nazionalisti senza scrupoli diestrema destra e di estrema sinistra. Bisognaandare oltre l’idea di Adam Smith e di Mon-tesquieu secondo cui la liberalizzazione com-merciale è di per sé portatrice di pace e ar-monia e avviarsi verso una globalizzazioneeconomica e commerciale regolamentata edistituzionalizzata. Lontana da Scilla e Cariddi(mondializzazione selvaggia e protezionismonazionalistico) l’azione dell’Unione Europeadeve essere più coerentemente orientata inquesto senso, dal momento che essendo unaistituzione sovrannazionale sui generis, nonpuò che diffondere i suoi valori e standard edifenderne i suoi interessi sulla scena inter-nazionale attraverso le sue competenze esclu-sive, tra cui, appunto, il commercio. Regio-nalismo e globalizzazione sono compatibili?La regolazione commerciale a livello regionaleinterno e interregionale (CETA, TTIP) deveessere attuata in modo tale da rilanciare ilprocesso di regolazione globale (OMC, oggibloccato a causa degli USA di Trump ma nonsolo), in primo luogo al fine di evitare guerrecommerciali, e una crisi del sistema econo-mico internazionale, oggi paradossalmente

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ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA 61

minacciate dalla amministrazione degli StatiUniti, Paese storicamente favorevole al mul-tilateralismo, soprattutto dal 1944. In secondoluogo occorre approfondire la qualità degliaccordi commerciali verso accordi di secondagenerazione. Alla domanda se l’Unione Eu-ropea stia rispondendo adeguatamente a que-sta sfida, aggravatasi dal 2017, Telò rispondeche, dopo il congelamento da parte di Trumpdel TTIP (Partenariato transatlantico per ilcommercio e gli investimenti tra USA eUnione Europea), l’UE ha lanciato una seriedi negoziati interregionali e bilaterali, peresempio il CETA già concluso col Canada,quelli con Corea del Sud, Messico, Vietname Giappone e il negoziato in corso con MER-COSUR e ASEAN, nonché l’annuncio di unaapertura di negoziati con Australia e NuovaZelanda. Il punto importante è questo: nonsi tratta più di semplici zone di libero scam-bio, ma anche di mercati regolati limitati adimportanti aree geografiche, dove la liberaliz-zazione è accompagnata da negoziati sullebarriere non tariffarie e su standard di rego-lazione sul modello del mercato unico euro-peo. Altroché liberismo, se si avanza in questadirezione, si tratta di un progetto politico digoverno della mondializzazione. Questi nuovitrattati, che chiamiamo di “seconda genera-zione”, sono infatti importanti anche perquanto riguarda l’introduzione degli standardsociali, ambientali e regolatori, espressionedella cultura europea e dei nostri valori: peresempio, a partire dalla protezione dell’originedegli alimenti fino ad arrivare agli standardsanitari e alla cultura della risoluzione deiconflitti commerciali via tribunali pubblici enon privati. L’Europa è il principale propulsore della crea-zione di istituzioni multilaterali mondiali perla risoluzione dei conflitti commerciali tra im-prese e Stati. Ciò significa affidare le contro-versie commerciali e sugli investimenti allagiurisdizione di tribunali permanenti e pub-blici, processo iniziato con il trattato con ilCanada, che comporta un cambiamento epo-cale nella gestione di tali controversie verso

un governo pubblico della globalizzazione. La posta in gioco è altissima per la piccolaEuropa che non rappresenta che il 7% dellapopolazione mondiale: l’UE si conferma, con-tro i nazionalismi protezionistici, l’unica viaper salvare interessi e valori dei cittadini eu-ropei. Chi oggi in Italia intende indebolire laUE, e l’Euro come suo cuore politico, o menteconsapevolmente ai cittadini, o vede l’alberoe non la foresta. Se la prende con Bruxelles ela Germania, mentre il rischio è che, entrodieci anni, un’Europa in declino economicoe occupazionale gravissimo debba accettare imodi di vita e di consumo e le gerarchie mon-diali stabiliti da altri, dagli USA o da potenzeemergenti coerenti nel perseguire i loro inte-ressi. Questa è la posta in gioco quando siparla di trattati commerciali.

Marco Vezzani, membro del Comitato Eco-nomico e Sociale Europeo, composto da rap-presentanti della società civile, chiamato adesprimere un parere sulla proposta di regola-mento, ha focalizzato il proprio interventosull’iniziativa politica della Commissione, so-stenendo che questa presenta alcuni limiti,come una certa timidezza dettata forse dal-l’intento di non superare la volontà sovranadegli Stati membri, pur costituendo un primopasso positivo. In particolare, sarebbe neces-sario riprendere la discussione con la Cina,ferma da cinque anni, per arrivare a chiarirein modo positivo per entrambe le parti sia laquestione di cosa si debba intendere per eco-nomia di mercato sia per giungere ad un veroe robusto accordo commerciale.

Tiziana Beghin parlamentare europea,membro della commissione commercio in-ternazionale al Parlamento Europeo e relatriceombra sulla proposta per il Gruppo Europadella Libertà e della Democrazia diretta, hatrattato l’argomento da un altro punto di vista.Non sembra ritenere la soluzione della Com-missione Europea una risposta adeguata allesfide odierne; ha infatti sottolineato che ilcommercio non è fine a sé stesso ma deve in-

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RISULTATI RAGGIUNTI E TRAGUARDI FUTURI DELLA UE62

vece essere inteso come mezzo per raggiun-gere vantaggi e benessere sociale. Ha inoltrefatto notare che solo minima parte delle pic-cole e medie imprese, che rappresentano lamaggioranza delle imprese europee, operanonel commercio internazionale e che spessonon sono favorite dalle policy che ricalcanointeressi nazionali invece che comuni, comenel caso degli accordi bilaterali di seconda ge-nerazione che spesso hanno creato più costiche benefici.

Marco Conforti, Board Member di Feport(Federation of European Terminal Port Ope-rators and Private Terminals), ha in seguitoofferto la prospettiva di un insider del settoremercantile-marittimo e ha commentato inmaniera più tecnica gli effetti dell’internazio-nalizzazione dei commerci, mettendo l’ac-cento sulla situazione del controllo dei porti,che ad oggi sono uno dei fulcri dell’interesseper gli investimenti. La grande efficienza deltrasporto intercontinentale, soprattutto ma-rittimo, ha di fatto “trasportato in Europa”industrie e operatori extracomunitari. Accantoalla positiva apertura dei mercati, quindi, an-drebbero progressivamente rese omogeneenorme e controlli. In tal senso, è benvenutal’iniziativa della Commissione a riguardo degliinvestimenti esteri diretti, anche se in paralleloa parametri di valutazione quali la reciprocitàdovrebbero esserne associati altri quali quellisui “comportamenti industriali” degli opera-tori nei vari settori. Resta comunque una pro-spettiva di qualche pessimismo sull’argo-mento, viste le divisioni dei Paesi membri e ladifficoltà del processo decisionale della UE.

Francesco Munari, ordinario di Diritto del-l’Unione Europea all’Università di Genova; hasottolineato il valore intrinseco del commerciocome mezzo di pacificazione internazionale e

sul fatto che l’Europa abbia acquisito compe-tenza sugli investimenti diretti esteri solo nel-l’ultimo decennio con l’entrata in vigore delTrattato di Lisbona, ragione per la quale soloda poco tempo l’Unione ha accelerato iniziativenella materia. Apprezzabile è quindi la propostadella Commissione di varare una disciplina alivello europeo che introduca filtri e possibilitàdi controllare, in un quadro normativo uni-forme, le tipologie e le caratteristiche di inve-stimenti esteri in imprese europee. In una logicanon impeditiva dell’investimento estero, maidonea a garantire maggiore trasparenza del-l’investitore. Rispetto all’attuale momento didifficoltà in cui versa il sistema WTO, non sipuò escludere che l’odierna fase dei rapporticommerciali internazionali implichi anche unaprofonda modificazione del multilateralismocome lo abbiamo inteso post nascita WTO. Ilche, in sé, potrebbe anche non essere undramma, quanto meno fino a quando a un mo-dello di multilateralismo degli scambi si possanosostituire altre forme di cooperazione nel com-mercio internazionale: ad esempio, lo sviluppodi accordi commerciali regionali idonei a crearepoli di interscambio ancora più rafforzati, puòcostituire un’alternativa idonea a controbilan-ciare l’attuale fase di crisi del multilateralismoin ambito WTO. In conclusione, la proposta della Commis-sione è apprezzabile, anche se forse non cosìcoraggiosa come pur le competenze del-l’Unione nella materia potrebbero implicare.Forse questo understatement può essere con-dizionato dall’attuale fase dell’Unione, in cuigli Stati membri hanno assunto, da qualcheanno, un peso significativo nei delicati equili-bri inter-istituzionali dell’Unione stessa.

L’incontro si è concluso con l’usuale giro didomande e interventi del pubblico e le rispo-ste dei relatori.

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RISULTATI RAGGIUNTI E TRAGUARDI FUTURI DELLA UE 63

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