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MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ANNO XXXVI • N. 11 - DICEMBRE 2003 Spedizione in abbonamento postale articolo 2 •comma 20/C • legge 662/96 • filiale di Roma IMMIGRATI, LA STAGIONE DEI DIRITTI KOSOVO, MEMORIE PER RICOMINCIARE KOSOVO, MEMORIE PER RICOMINCIARE IMMIGRATI, LA STAGIONE DEI DIRITTI Natale dopo un anno di guerra PACE SULLA TERRA, SOGNO IMPOSSIBILE? Natale dopo un anno di guerra PACE SULLA TERRA, SOGNO IMPOSSIBILE?

Natale dopo un anno di guerra PACE SULLA TERRA, SOGNO ... fileSOGNO IMPOSSIBILE? Natale dopo un anno di guerra PACE SULLA TERRA, SOGNO IMPOSSIBILE? ITALIACARITAS, LEGGI LA SOLIDARIETÀ

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IMMIGRATI,LA STAGIONE DEI DIRITTI

KOSOVO,MEMORIE PER RICOMINCIARE

KOSOVO,MEMORIE PER RICOMINCIARE

IMMIGRATI,LA STAGIONE DEI DIRITTI

Natale dopo un anno di guerra

PACE SULLA TERRA,SOGNO IMPOSSIBILE?

Natale dopo un anno di guerra

PACE SULLA TERRA,SOGNO IMPOSSIBILE?

ITALIA CARITAS,LEGGI LA SOLIDARIETÀ

Italia Caritas cambia volto. Dall’anno prossimoavrà più pagine. Più rubriche. Più colore.

Contenuti più incisivi. Dati sempre più capacidi sondare l’evolversi dei fenomeni sociali.

Opinioni sempre più qualificate.Per ricevere il nuovo Italia Caritas

per un anno occorre versare un contributo allespese di realizzazione, che ammonti

ad almeno 15 euro.A partire dalla data di ricevimento

del contributo (causale “contributo ItaliaCaritas”) verrà inviata un’annualità

del mensile.

Riaffermare – al di là di numeri e progetti - ilprimato delle relazioni come veicolo di comunicazioneefficace e considerare la fiducia verso l’altroelemento fondamentale di una cultura di solidarietà edi pace: è una delle sfide più grandi con cui lanostra società deve misurarsi. Caritas Italiana cercaquotidianamente di affrontare questa sfida senzadisperdere energie e risorse. E proprio per questochiede ancora una volta il vostro aiuto.Potete scegliere di sostenere uno dei progettiinternazionali che segnaliamo di seguito, inviandociun’offerta attraverso i canali indicati.Inoltre potete rimanere in contatto con noi attraversoil mensile Italia Caritas, inviando un contributo allespese di realizzazione di almeno 15 euro.Insieme al ringraziamento per il cammino finoracondiviso, giungano a voi e alle vostre famiglie inostri più sinceri auguri di un Santo Natale, chesperiamo sempre più segnato da scelte di giustizia edi pace.

monsignor VITTORIO NOZZAdirettore Caritas Italiana

LE RELAZIONI E LA FIDUCIA,SFIDA DA VINCERE INSIEMECome contribuire ai nostri progetti. Come ricevere Italia Caritas

con i leader religiosi musulmani, con le autorità civili e con glialtri organismi sociali operanti in Pakistan. La spesa comples-siva annuale è circa 25.500 dollari Usa. Continuano anche iprogetti di microcredito iniziati nel 2001 ed estesi a decine dicooperative di donne e persone in difficoltà.

Crisi sociale - L’Armenia, anche a causa del terremoto del1989, della guerra di secessione del Nagorno Karabak e dellesanzioni imposte da Turchia e Azerbaigian, presenta una si-tuazione sociale con vaste sacche di povertà estrema. La Ca-ritas ha costituito un’équipe molto ben affiatata, che oltre agliacquisti oculati degli alimenti sul mercato locale cura la distri-buzione domiciliare e, contemporaneamente, assicura una ve-rifica di tipo socio-sanitario, segnalando alla struttura sanitariastatale, o al medico dell’ambulatorio Caritas, le persone in sof-ferenza a causa di malattie che meritano di essere assistite. Ilprogetto sostenuto da Caritas Italiana prevede la fornitura dirazioni alimentari di base e servizi sanitari a duecento personeanziane non autosufficienti, per un costo annuale complessivodi 77.770 euro.

Dopoguerra - La Caritas, presente dal 1991 nel paese, è ri-masta attiva sia durante il conflitto (per lenirne gli effetti deva-stanti) a sostegno della popolazione, sia nella difficilissima edelicata fase postbellica. Ora sono in atto interventi nei se-guenti settori: rientro degli sfollati, potabilizzazione dell’acqua,istruzione, sanità e nutrizione, ricostruzione di alloggi, micro-credito, progetti di sviluppo comunitario, pace e riconciliazione.Si prevede un impegno di un milione di euro per due anni. Gliaiuti alimentari hanno già raggiunto 1.845 destinatari, mentre16.951 persone, tra bambini e donne incinte, hanno beneficia-to di un programma sanitario-nutrizionale.

Crisi sociale - Per far fronte alla gravissima crisi politica e so-ciale che ha investito il paese, provocando numerose vittime eun cambio di governo, Caritas Bolivia ha lanciato lo scorso ot-tobre un Piano di assistenza immediata. Caritas Italiana haespresso vicinanza e sostegno nella fase di emergenza. Pro-segue inoltre la collaborazione con la Chiesa locale nei se-guenti ambiti: promozione delle donne indigene, progetti idrici,progetti nell’ambito della giustizia (pastorale penitenziaria eazioni in favore dei bambini carcerati a Santa Cruz), interventisocio-sanitari. Complessivamente, negli ultimi tre anni, sonostati avviati un centinaio di interventi (di cui 89 microprogetti)per un importo totale di circa 520 mila euro.

Guerra - Caritas Italiana, presente nella regione dal 1995, hacondotto, in collaborazione con le realtà ecclesiali locali, pro-getti di urgenza e sviluppo in ambito sociale, sanitario, di pro-mozione economica e di rafforzamento delle capacità locali,per una spesa complessiva di oltre 2,5 milioni di euro. A Kindusono circa mille i bambini assistiti nei centri nutrizionali. Oltreall’attività ordinaria, vengono anche aiutate centinaia di donnevittime di violenze.

Tensioni sociali - Il progetto Social harmony prevede una se-rie articolata di incontri nelle scuole, nei villaggi e in quartieriurbani, volti a far superare incomprensioni e motivi di conflittiche spesso assumono connotazioni religiose. Il programma diformazione mira a coinvolgere gradualmente circa un milionedi persone, cioè tutti i componenti delle comunità cristiane lo-cali, nelle sei diocesi del paese. Si svolgeranno incontri anche

Si possono inviare offerte a CaritasItaliana (specificando la causale)tramite:• Versamento su c/c postale n.

347013 • Bonifico una tantum o

permanente sui seguenti c/c:- c/c bancario 11113 – BancaPopolare Etica, Piazzetta Forzatè2, Padova – Abi 05018 Cab 12100- c/c bancario n° 10080707 –Banca Intesa – p.le Gregorio VII,Roma – Abi 03069 Cab 05032 • Donazione con Cartasì e Diners

telefonando al numero06.54.19.21 (ore 9-18)

PROGETTI PER CINQUE CONTINENTI

Le persone che effettuano offerte in favore dei paesi in via di sviluppo o a soste-gno di iniziative umanitarie a favore di popolazioni colpite (in Italia o all’estero)da calamità naturali o da altri eventi straordinari, possono conservare la ricevu-ta, sia postale che bancaria, della loro offerta, come previsto dall’articolo 138,comma 14 della legge 388/2000 e dall’articolo 27 della legge 133/1999: in questomodo potranno detrarre l’offerta in occasione della successiva dichiarazione deiredditi. Per le offerte a mezzo bonifico, l’estratto conto ha valore di ricevuta; perquelle con carta di credito va abbinato alla copia della richiesta di addebito.Coloro i quali inviano offerte tramite bonifico bancario, qualora desiderino esse-re identificati, sono pregati di comunicare gli estremi del versamento e i propridati anagrafici (cognome e nome, indirizzo, eventuali riferimenti telefonici), uni-tamente al consenso al loro trattamento da parte di Caritas Italiana ai sensi dellalegge 675/96.Tali informazioni vanno spedite a Caritas Italiana, viale F. Baldelli 41, 00146 Ro-ma, o inviate via fax al numero 06.54.10.300, o tramite e-mail a [email protected]

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

PAKISTAN

ARMENIA

IRAQ

BOLIVIA

LE OFFERTE E IL FISCO: COME DEDURRE E DETRARRE

5EDITORIALE

Dio si fa uomo e cichiama alla faticadella solidarietà

6PAROLA E PAROLE

Il sole su giusti eingiusti, la giustiziadi Dio ci salva

7IL PUNTO SU

L’unità di tuttigli italiani controla follia terrorista

8VOLONTARIATO E CARITAS

Nuova legge suivolontari: un clonedalla vita breve?

14UN VOLTO UNA STORIA

Baby sitter da tuttoil globo, nasce l’asilo“arcobaleno”

16TERRITORIO E CARITAS

Pace, un segno deitempi: «Muoveancora i giovani»

20IL PUNTO SU

L’anno che feceimpazzire la forza,il diritto e la pace

21OBIETTIVO EUROPA

Bulgaria, speranzee timori: «L’Europacosterà cara?»

SOMMARIO

28A TU PER TU

Aids, un flagelloepocale che il mondopuò battere

23GLOBALCONTINENTI

Caritas al Forumsociale: «Per uncontinente equo»

25OSSERVATORIO DI CONFINE

Noi e le vittime deiBalcani: «Trasformiamoi conflitti»

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre versa-re un contributo alle spese di realizzazione, che am-monti ad almeno 15 euro (causale “contributo ItaliaCaritas”).Le persone che effettuano offerte in favore dei paesiin via di sviluppo o a sostegno di iniziative umanitariea favore di popolazioni colpite (in Italia o all’estero) dacalamità naturali o da altri eventi straordinari, posso-no conservare la ricevuta, sia postale che bancaria,della loro offerta, come previsto dall’articolo 138,comma 14 della legge 388/2000 e dall’articolo 27 del-la legge 133/1999: in questo modo potranno detrarrel’offerta in occasione della successiva dichiarazionedei redditi. Per le offerte a mezzo bonifico, l’estrattoconto ha valore di ricevuta; per quelle con carta dicredito va abbinato alla copia della richiesta di adde-bito.La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi diorganizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.Le offerte possono essere inoltrate alla Caritas Italia-na tramite:• Conto Corrente Postale n. 347013• Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzaté, 2

Padova C/C n. 11113 – Abi 05018 – Cab 12100• Banca Intesa, Agenzia Rm P.le Gregorio VII

C/C 100807/07 – Abi 03069 – Cab 05032• Cartasì e Diners, telefonando al n. 06/541921, in

orario d’ufficio.

ITALIACARITASMensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della CEI

Viale F. Baldelli 41 00146 Romawww.caritasitaliana.it

E-mail: [email protected]

Direttore Don Vittorio NozzaDirettore responsabile Ferruccio Ferrante

In RedazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Paolo Brivio,

Giuseppe Dardes, Marco lazzolino,Renato Marinaro, Francesco Marsico,Francesco Meloni, Giancarlo Perego,Roberto Rambaldi, Domenico Rosati

Grafica, impaginazione e fotolito:Editrice Adel Grafica srl

Vicolo dei Granari, 10a - 00186 Roma

Stampa: OmnimediaVia del Policlinico, 131 - 00161 Roma

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Tel. 06/541921 (centralino)06/54192226-7-77 (redazione)

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OffertePaola Bandini Tel. 0654192205

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Inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrate

Marina Olimpieri Tel. [email protected]

Spedizione: in abbonamento postaleArticolo 2 - comma 20/c legge 662/96

Filiale di Roma

Autorizzazione N° 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 24 novembre 2003

Hanno collaborato:Alberto BOBBIODavide BERGAMINIDiego CIPRIANIGiancarlo CURSIGuido MIGLIETTAEmanouil PATACHEVGiovanni SALVINISergio SPINAMarco TOTI

Anno XXXVI n. 11 – Dicembre 2003

12DA ESCLUSI A CITTADINI

Stranieri: è l’oradei diritti, garanziadi pace sociale

18A TU PER TU

«Il popolodell’arcobaleno nonceda allo sconforto»

11POLITICHE SOCIALI

Natalità, scuola ereddito: Finanziariada modificare

L’immagine di copertina, proveniente da Caritas Albania, è tratta dal manifestoCaritas per l’Avvento 2003: “Giustizia e pace si baceranno”

5 dicembre 2003

Dio si fa uomo e ci chiamaalla fatica della solidarietà

Vittorio Nozza

Tempo di Avvento, tempo di acco-glienza del Dio-fatto-uomo. Un in-vito per ognuno di noi a entrare in

un orizzonte nuovo, indicatoci dalla Pa-rola di Dio, nel quale vivere la nostra fedee rimotivare la nostra speranza. Per vede-re, ascoltare e interpretare l’ansia di chisoffre e attende; per comprendere, espri-mere e comunicare la buona novella finnelle pieghe della storia.Quali sono dunque oggi le principali epiù faticose attese del mondo? Intanto c’èuna guerra che insanguina non solo l’I-raq, ma tutta l’area del Medio Oriente.Pensata per prevenire un disastro, invadesanguinosamente il 2004. E l’inquietantespada di Damocle del terrorismo è semprepronta a colpire con ferocia.Ma accanto a questi fatti e tendenzepreoccupanti, si erge la testimonianzaprofetica di Giovanni Paolo II, un Papache ha davvero dominato gli eventi. Loha ribadito anche ultimamente, quandoha sottolineato che in Terra Santa c’è bi-sogno di gettare ponti di congiunzione edialogo. Soprattutto ha impedito che ilmessaggio cristiano venisse piegato a so-stegno del cosiddetto “scontro di civiltà”.E così ha lasciato aperte le vie del dialogointerreligioso. Che va continuato, anchese gli ostacoli sembrano insormontabili.Così come serve uno sforzo comune perritessere gli orditi della convivenza pacifi-ca e riconsiderare il ruolo degli organismiinternazionali.

Solidarietà, qualcosa di esigenteIn ambito ecclesiale, c’è da produrre unosforzo straordinario per mettere tutte lacomunità cristiane a servizio di una testi-monianza della carità che anticipi e com-pleti l’azione per la giustizia. E c’è dunqueda alimentare una coscienza globale delle

responsabilità che ogni soggetto, singoloo comunitario, deve esercitare affinché sirafforzino dovunque le ragioni della vitae della speranza.Siamo insomma chiamati a seguire la pi-sta ardua e faticosa della solidarietà socia-le e politica. Che è qualcosa di più esigen-te dell’atteggiamento di spontanea bene-volenza che sempre si mantiene verso chista peggio. Se giustizia significa dare a cia-scuno il suo, bisogna stabilire ciò chespetta a ogni persona in termini di garan-zia della propria dignità: il cibo, la casa, lasalute, il lavoro, l’istruzione, la speranzadi vita, la libertà effettiva.Mi auguro allora che nel tempo che ci av-vicina a Natale si trovi il modo di fermar-si e di riflettere attorno a questioni crucia-li: dove porta la corrente in cui siamo im-mersi e che cosa bisogna pensare e fareper mutarne il corso, sapendo che il cri-stiano non può rinunciare al compito diumanizzare la vita. Non ci sono, per noi,target aziendali. La chiesa annuncia ilVangelo della carità, e le Caritas in ognidiocesi ostinatamente cercano di attivareattorno a esso comportamenti autentici ecoerenti. Con la consapevolezza che, nellungo periodo, il compito primario èquello di educare ed educarci alla mon-dialità, all’interculturalità, alla pace.Un compito che coinvolge tutti: chiesa,famiglie, scuole, mass media e istituzioni.Per riuscire a stare nel nostro tempo e a“viverlo” come tempo “abitato” da Dio.Come tempo del Dio che si fa uomo. “Ab-biamo bisogno di luce. Signore, il tuo farsiuomo è luce per la vita e per sempre. Tu faigrandi progetti per noi ed è questa tua cura arenderci uomini. Viviamo in un presepe dipalazzi, traffico e cemento, ma vogliamo ri-manere semplici pastori con il desiderio im-menso di visitarti”. Buon Natale. ■

L’Avventoci invitaa entrarein unorizzontenuovo,nel qualerimotivarela speranza.Attornoè guerrae terrore.Ma,con il papa,siamochiamatia osarenuovi pontidi dialogo.E atestimoniarela carità,che anticipae completal’azione perla giustizia

edito

riale

…siate figli del Padre vostro celeste, che fasorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra ibuoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gliingiusti (Mt 5,45)

Uno degli scogli più ostici per lacomprensione del Vangelo e delsenso profondo del Regno dei cieli

è senza dubbio rappresentato dalla nostraidea di giustizia. Non è forse questo ilnostro problema più drammatico nelleggere le vicende della nostra esistenza?Non è forse il punto decisivo e dolente sucui va in crisi la nostra idea della bontà edell’onnipotenza di Dio? Non è forse veroche quasi ogni giorno vicende nostre o dialtri ci pongono drammaticamente nellacondizione di intentare veri e propriprocessi a Dio, quasi sempre condannandodentro di noi la sua insensibilità o la suaingiustizia nei confronti di chi secondonoi non si merita o si merita il male?Il versetto 45 del capitolo quinto delVangelo di Matteo ci consegna, inproposito, una frase di Gesù volutamentescandalosa per la mentalità giudaica, eanche per la nostra. Dio fa splendere ilsole e manda la pioggia (metafore del benee del male della vita) su buoni e cattivi, sugiusti e ingiusti… e noi siamo chiamati dalSignore ad assomigliargli, in questo, comefigli. Un Dio che non tiene in alcun contoil comportamento dell’uomo, dunque? UnDio qualunquista o addiritturaindifferente?

L’oscillazione del pendoloIn realtà basterebbe una minuscolariflessione per capire il vero senso diqueste parole. Basterebbe smetterla diconsiderare buoni e cattivi, giusti e ingiusticome due categorie di persone in cui èdivisa l’umanità. Basterebbe supporre,certo con un maggiore realismo, che i

buoni e i cattivi non sono persone diverse,ma le stesse persone in momenti esituazioni diversi della loro esistenza. Sitratta dell’oscillazione del pendolo, dellostormire delle fronde dell’esistenza,dell’ondeggiare di ogni passo della nostrastrada di creature ambivalenti e ferite –tutte – dal peccato. Se nel momento in cuila nostra vita passa attraverso l’inevitabilevalle oscura della cattiveria edell’ingiustizia Dio ci togliesse anche ilraggio di sole che ci permette diintravedere la via del ritorno o se, alcontrario, nel momento in cuicamminiamo alla luce piena del bene nondovesse più cadere pioggia sui nostri passi,correremmo i due rischi letali che possonodevastare un’esistenza umana. Da unaparte lo scoraggiamento e la disperazionedi chi ha camminato al buio talmente alungo da essersi chiuso definitivamente aogni possibile salvezza. Dall’altra il cieco esupponente orgoglio di chi pensa di averimparato il trucco del vivere e crede diresistere, forte della propria esperienza odella propria prudenza.In entrambi i casi si finirebbe per fare ameno di Dio. Nel primo perché si èconvinti che nemmeno il suo amore cipuò (o ci vuole) più salvare; nel secondocaso perché si pensa che ormai il suointervento salvifico sia superfluo. Moltomeglio ritrovarci ogni giornoingiustamente riscaldati da un sole chesplende per tutti o sorprenderci bagnatifradici da una pioggia che non crediamodi meritare. Questo non per condannarci auna sterile sensazione di precarietà, maancora una volta per salvarci, spingendociverso l’unico atteggiamento che cigarantisce la felicità: abbandonarci senzapaura alle scelte del Padre che dal cielo –alla fine dei conti – manda per noi sempree solo la sua salvezza carica di amore. ■

dicembre 2003 6

Il sole su giusti e ingiusti,la giustizia di Dio ci salva

Giovanni Salvini

paro

la e

par

ole

Le vicendedella vita

ci portanospesso

a dubitaredell’equità edella bontà

di Dio.Ma è solo

perchériteniamol’umanità

divisa indue schiere,e non feritadal peccato

e apertaall’amore

in ciascunacreatura.Gli eventi

atmosfericimetafora

della curache il Padre

nutreper noi

7 dicembre 2003

Terrorismo, da terrore. Lo si può pra-ticare per un fine intrinseco, perchése ne trae piacere. O per un motivo

estrinseco, politico o di altro genere, co-munque per una “causa”.Ma il “genere” terrorismo annovera unnumero indeterminato di specie, tuttenocive, s’intende. Negli ultimi tempi il ri-corso alle bombe è in linea di massima daattribuire a pratiche di segno anarchico:in tale categoria sarebbero da annoverarei “pacchi” recapitati ai carabinieri o allequesture. Ma c’è stata anche una tradizio-ne fascista, che ha marchiato la strage dipiazza Fontana e le successive. E oggi nel-la graduatoria del terrore internazionalesvettano le gesta dei “martiri” islamici.L’altra specie è quella del terrorismo “mi-rato”, espressione eccessivamente nobileper indicare l’assassinio a scopo politicodi “bersagli”, cioè persone, selezionati inragione del ruolo ricoperto, della funzio-ne svolta o del simbolo rappresentato. Perrestare in Italia, è questo il campo d’ele-zione delle Brigate Rosse e di tutte le altresigle, al riparo delle quali si sono esercita-ti diversi gruppi organizzati di killer. Daldelitto Moro a quello di Marco Biagi, lastoria italiana è segnata da una scia san-guinosa. Con la ripetizione – a ogni occa-sione luttuosa, a ogni scoperta di covi o aogni arresto di presunti responsabili – diuna sequenza ormai codificata di interro-gativi: chi sono? da dove vengono? chi liarma? chi li alimenta ideologicamente? Eancora: che cosa vogliono, oltre la sop-pressione dei loro bersagli? E infine, ine-vitabilmente: chi c’è dietro e chi li usa?

Fermare al corsa al sospettoAnche in occasione della cattura dei pre-sunti assassini di Massimo D’Antona eMarco Biagi, le domande sono state ripe-

tute e le risposte date nel modo consueto.Con il corollario dell’inquisizione sui sog-getti della sinistra storica, politica e sinda-cale, perché dichiarino estraneità e con-danna. E con riserva di misurare se le di-stanze prese siano sufficienti e la buonafede garantita.Ma è proprio questa rincorsa tutta politi-ca (e propagandistica) all’espansione delsospetto che finisce col fare il gioco deiprotagonisti dell’assassinio. Conferisce in-fatti alle loro azioni un’aura di attendibi-lità che va incontro, pur non volendo, aldesiderio che essi hanno di diventare, ri-conosciuti, interlocutori politici. Almenoper quel che riguarda la matrice “rossa”del terrorismo, è indubbio che essa hasempre manifestato l’aspirazione a costi-tuirsi in “partito armato”, accreditato co-me tale accanto agli altri partiti… disar-mati, ma con un carato in più di efficien-za derivante dal carattere persuasivo deidelitti compiuti.L’esperienza tragica della vita italiana, dicui si va consumando l’epilogo, o almenocosì si spera, è che il terrorismo è statobattuto (anche se poi la mala pianta si èriprodotta in forme diversificate) tutte levolte che si è opposta a esso la certezza diun riconoscimento negato, cioè il rifiutodi attribuire dignità politica a chi nonespone altri argomenti che la violenza el’eliminazione degli avversari.Per ottenere tale risultato l’unità di tuttoil popolo è una condizione pregiudiziale.Lo è stata in passato. Lo è adesso. Messag-gi di divisione, su questo fronte, creanospazi di manovra che non vanno conces-si. La “cosa buona” di quest’autunno con-siste nel fatto che governo e maggioranzasi sono affiancati alle forze di minoranzae ai sindacati nelle manifestazioni di con-trasto alla minaccia terroristica. ■

L’unità di tutti gli italianicontro la follia terrorista

Domenico Rosati

L’Italiane haconosciutediverse specie.E oggi si vaconsumandoquella degliattacchi“mirati”,incarnatadalle BrigateRosse.La storiainsegna:il terrorismosi batte solorifiutandodi attribuirglidignitàpolitica.Per questoè positivoche governo,sindacatie partitimanifestinoinsieme

il punt

o su

dicembre 2003 8

La nuova stagione fu inaugurata nel1991. Il riconoscimento formale daparte dello stato arrivò con la legge

quadro 266. Da allora il volontariato ita-liano ha voltato pagina, su molti versanti.Molto è cambiato, nell’esperienza di vo-lontari e organizzazioni. A cominciare dalrapporto costi-benefici nella collaborazio-ne con le istituzioni pubbliche e con iCentri di servizio al volontariato promos-si proprio in base alla 266. Quest’ultimoaspetto è stato oggetto di una specificaproduzione legislativa, derivata dalla leg-ge quadro attraverso normative regionali.Da alcuni anni l’esigenza di aggiornare lanormativa, attraverso alcune modifichealla legge quadro 266/91, ha spinto gran-di e piccole organizzazioni di volontariatoe del terzo settore a promuovere in variambiti, a partire dall’Osservatorio del vo-lontariato istituito al ministero del welfa-re, una riflessione e una progressiva messaa punto delle modifiche ritenute più op-portune e urgenti. Attraverso un gruppotecnico, promosso dall’Osservatorio e dal-le organizzazioni che vi aderiscono, il mi-nistero ha ultimamente elaborato un arti-colato di modifica della 266: una propo-sta di legge, presentata pubblicamente ainizio novembre a Roma dal sottosegreta-rio al welfare, Maria Grazia Sestini.re ed evidenziare.

Autentiche relazioni di aiutoIl nuovo assetto previsto dal governo pre-senta elementi di positività e di criticità.Che la Caritas – nell’intento di accompa-gnare responsabilmente, come cerca di fa-re sin dalla sua fondazione, il cammino dicrescita del volontariato italiano sul deli-cato versante del rapporto con le istitu-zioni pubbliche – non manca di analizzaAnzitutto, va rilevato che il testo presen-

tato dal governo è frutto di un processodi consultazione condotto dal ministero eche ha interpellato il volontariato, le or-ganizzazioni del terzo settore, le fonda-zioni bancarie, gli enti locali e i sindacati.La consultazione non ha invece raggiuntoi reali destinatari della solidarietà volon-taria, ovvero le centinaia di migliaia dipersone e famiglie povere, escluse o incondizioni di disagio, che avrebbero legit-time aspettative intorno a come, per pub-blico servizio o per motivazioni “private”,ci si occupa delle loro delicate realtà.Il nuovo testo reca con sé novità origina-te da istanze e proposte emerse in modocomposito, e a volte contrastante, dai varisoggetti interessati. Nel testo hanno peròevidente rappresentanza anche indirizzi

Nuova legge sui volontari:un clone dalla vita breve?

Giancarlo Cursivolo

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iato

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Il governo hapresentato la

proposta dimodifica della

legge quadrosul

volontariato.L’iniziativa

recepiscealcune

delle istanzeprovenienti

dalleorganizzazioni.

Ma introduceanche elementiche snaturano

un’identitàlegata alla

gratuità.E non riconosce

alcunifenomeni

innovativi

9 dicembre 2003

ed esigenze del governo. Tra le principalinovità, per esempio, compaiono alcunepossibilità di deroga rispetto al requisitodell’azione per fini di solidarietà come cri-terio di identificazione delle organizzazio-ni di volontariato (requisito per fortunarecuperato, almeno in forma generale,nell’ultima bozza di testo presentata, ac-canto ai requisiti della gratutità delle pre-stazioni, della continuità dell’agire e della

democraticità in-terna dell’orga-nizzazione). An-cora, nell’ultimabozza sembra ir-risolto il proble-ma dell’erogazio-ne diretta di fon-di alle organizza-zioni da partedei Centri di ser-vizio al volonta-riato o, in alter-nativa, da partedei Comitati digestione di talicentri.L’ampia consul-tazione condottadal governo, siapur inframmez-zata da incom-prensibili silenzi(vedi Italia Cari-tas ottobre 2003),ha prodotto un

testo in gran parte recettivo di molte esi-genze maturate nello scorso decennio dasvariate organizzazioni e dallo stesso Os-servatorio nazionale del volontariato. Manon si possono tacere i rischi che le ano-malie accennate, e altre individuabili neltesto, possono comportare. È dunque im-portante rinforzare la garanzia della gra-tutità delle prestazioni come fattore iden-tificativo dell’azione volontaria, assiemealla destinazione di tale azione a personenon appartenenti al gruppo operante.Tutto ciò va ribadito, soprattutto in unafase in cui è sempre più evidente che larelazione autentica di aiuto rischia di es-sere la grande assente dai servizi socio-as-sistenziali e sanitari, di cui dovrebbe inve-ce costituire l’anima. E le relazioni più au-

tentiche nascono fra persone libere, nongravate da logiche remunerative: si giocaa questo livello la specificità del volonta-riato nella lotta al disagio personale, col-lettivo, culturale e ambientale. Quando ilvolontariato, portatore di autentiche rela-zioni di aiuto, è assente o escluso, la qua-lità dei servizi finisce per regredire.Una seconda questione che occorre tene-re presente, nella revisione della legge, èinterna al mondo della solidarietà orga-nizzata, segnato da un incontro fra le cul-ture sempre più intenso. Non sono infattipiù pensabili o sopportabili una condu-zione e un’erogazione di servizi che nonsi modifichino nel rispetto di persone edesigenze segnate da appartenenze cultura-li diverse. Il processo di modificazione edi adeguamento interculturale apre uncantiere di lavoro impegnativo per i vo-lontari, ma arricchisce la qualità e l’au-tenticità dei servizi e la storia personale diogni volontario, restituendo alla societàcittadini capaci di accompagnare la cre-scita culturale del paese.

Una nuova cultura della proprietàLa bozza proposta dal governo affrontapoi, come detto, la questione della gestio-ne dei fondi per il sostegno e la qualifica-zione del volontariato, affidata ai Centridi servizio e ai rispettivi Comitati di ge-stione. A questo proposito va ricordato,anzitutto, che oggi il volontariato sta sco-prendo nuove modalità e criteri di gestio-ne dei beni, che poco hanno a che farecon i classici sovvenzionamenti. Il posses-so di beni e risorse suggerisce oggi usi in-tegrativi e diversificati dei beni pubblici eprivati. Il bisogno crescente di risorse, be-ni e spazi di servizio e di impegno socialefa maturare visioni più ampie a propositodell’uso delle proprietà: l’impiego dellestesse a scopi sociali diventa indice di ci-viltà da parte delle collettività o dei sin-goli proprietari. Non si tratta di rispolve-rare ideologie sulla proprietà privata ocollettiva, ma di sostenere una nuova cul-tura dell’uso della proprietà, che nascedal senso di responsabilità del volontarioverso la propria comunità. L’uso persona-le dei propri mezzi o immobili, l’impiegodi ampie strutture da parte di comunitàlocali: su questi fronti si sperimenta oggi,

dicembre 2003 10

fra i volontari, una rivalutazione dei crite-ri di gestione e di uso a favore dei servizidi solidarietà e di pubblica utilità, nel se-gno di una crescente versatilità dell’im-piego di beni spesso assegnati a usi limita-ti e limitanti. Queste esperienze incrocia-no, tra l’altro, il tema della responsabilitàsociale delle imprese, sempre più dibattu-to anche nel nostro paese.

Esperienze pionieristicheAltra questione cruciale riguarda il fattoche il volontariato italiano è sempre piùsensibile agli effetti distruttivi della logicae dell’economia dei consumi oggi impe-ranti, dovendosi misurare ogni giornocon le sacche di povertà e i flussi di immi-grazione generati dall’impoverimento edal peggioramento delle condizioni am-bientali di ampie regioni del mondo. Si-gnificativi settori del volontariato italianoconducono con spirito pioneristico espe-rienze di consumo e di valorizzazione dicatene alternative di produzione e distri-buzione dei beni.Tali esperienze vanno trasformando le or-dinarie prassi di cooperazione locale eplanetaria. Ma ben poco si coglie di tuttociò nella proposta governativa di aggior-namento del testo di legge, così come c’è

scarsa consapevolezza del fatto che nellesocietà occidentali molte persone, ridottio esauriti i tempi del lavoro, dispongonodi tempo libero, competenze e autonomiaeconomica che potrebbero essere investitiin impegni di solidarietà e gratuità. Molterealtà di volontariato hanno cominciato avalorizzare queste risorse, e alcuni sogget-ti conducono esperienze in cui l’auto-or-ganizzazione di tali persone consente disviluppare programmi di solidarietà e diutilità sociale di grande qualità, fortemen-te connotati da competenza professionalee da alta valenza relazionale (seniores,mentoring, ecc.): tutto ciò avrebbe forse bi-sogno di specifici percorsi di intesa e col-laborazione con le istituzioni pubbliche,soprattutto a livello locale. Di ciò non sitrova traccia nel nuovo articolato di leg-ge.L’aggiornamento della legge quadro sulvolontariato rischia dunque di partorireun clone di quanto già esiste, magari conminor speranza di vita dell’originale. Èsperabile che l’iter parlamentare dellaproposta e il ruolo che saprà giocare ilmovimento di opinione e di cittadinanzaattiva animato dal volontariato italianofavoriscano una reale innovazione, di cuil’intera società italiana ha bisogno. ■

Articolo 1 Non è chiaro che il referente della legge sono“le organizzazioni” e non genericamente il vo-lontariato. La dicitura “princìpi fondamentali disolidarietà” non esplicita la prevalente destina-zione delle attività a favore di terzi non aderentiall’organizzazione: ignorare ciò significa non di-stinguere un volontario da un membro di ungruppo di auto-aiuto.

Articolo 2 Rinforza la genericità a proposito del termine“solidarietà”.

Articolo 3 Assimila nel termine “organizzazioni di volonta-riato” sia quelle costituite in prevalenza da vo-lontari che quelle di “coordinamento del volon-tariato”, che potrebbero essere prevalentementecostituite da persone retribuite. Prevede inoltrela possibilità di annoverare fra le organizzazionidel volontariato, a discrezione del ministro delwelfare, anche quelle non pienamente democra-tiche, con cariche non eleggibili dai membri co-me, per esempio, i dirigenti di un’istituzione

pubblica o privata, un parroco o una superiora,il dirigente di un’impresa privata profit.

Articolo 5 Le organizzazioni di volontariato, in base alcomma 1 punto i, possono raccogliere fondi e ri-sorse anche attraverso attività profit tipo gioco inborsa o similari, purché legali.

Articolo 10 L’Osservatorio del volontariato continua a resta-re un organo consultivo del ministro del welfareed è composto a piacimento del ministero condebole (o non richiesta) rappresentatività.

Articolo 15 Le fondazioni bancarie riprendono il potere diorientare il 50% dei fondi destinati al volontaria-to (15% dei loro proventi annuali) verso le regio-ni in cui abbiano interesse a farlo. Attraverso iComitati di gestione dei Centri di servizio al vo-lontariato, composti per più del 50% da loro rap-presentanti, le fondazioni bancarie riassumonola possibilità di gestire e distribuire i fondi an-nuali per finanziare progetti delle organizzazionidi volontariato richiedenti.

ARTICOLO PER ARTICOLO I PUNTI DEBOLI DELLA PROPOSTA

11 dicembre 2003

Parlare di Finanziaria in corso d’ope-ra, mentre è in discussione in parla-mento, espone al rischio di essere

smentiti nel giro di poche ore, magari acausa di un emendamento approvato ocancellato: una valutazione completa èpossibile solo alla fine del percorso parla-mentare. Emergono però, anche in corsod’opera, segnali di tipo culturale che dan-no il senso di un orientamento politico.Nello schema della legge approvato inprima lettura dal Senato tre appaiono lenovità di tipo chiaramente sociale.Assegno di maternità. Tra le politiche disostegno alla natalità, priorità indicatadal governo nel Libro bianco sul welfare,figura il sostegno economico, previsto inmille euro, per ogni figlio dopo il primo oogni figlio adottato. L’apprezzamento perquesto importante segnale va accompa-gnato però ad alcune riflessioni: siamo inpresenza, infatti, di un contributo unatantum che non risolve i problemi, anchedi costo, che le famiglie affrontano nonsolo alla nascita, ma nei primi anni di vi-ta di un bambino. Inoltre è un contributoofferto a tutte le donne italiane e comuni-tarie, anche quelle con redditi elevati (intempi di ristrettezze finanziarie questopuò sembrare un lusso); ne sono inveceescluse le donne extracomunitarie, anchequelle con carta di soggiorno. C’è inoltreda chiedersi se l’incentivo economico allanatalità debba valere allo stesso modo perpersone sprovviste di reddito e personecon redditi elevatissimi.Buono scuola. Si incrementa (pressochéun raddoppio) il finanziamento per le fa-miglie che accedono alla scuola paritaria,detraendolo dal Fondo nazionale per lepolitiche sociali, che è il finanziamentoordinario dello stato alle regioni, e quin-di ai comuni, per il funzionamento dei

servizi sociali esistenti: il riconoscimentodi un bisogno sociale viene dunque fattoa spese di altri bisogni.Reddito di ultima istanza (Rui). La tan-to attesa ed annunciata (Patto per l’Italialuglio 2002) nuova misura contro l’esclu-sione sociale rimane piuttosto indetermi-nata. Lo stato si impegna a cofinanziarele regioni che istituiranno il Rui, ma se-condo modalità stabilite successivamentedal governo, e comunque in misura dadefinire all’interno del Fondo nazionalepolitiche sociali. Non si dice per oraquanto e in che modo lo stato si impe-gna a spendere; si rimanda l’istituzionedella misura alle regioni che vorranno epotranno avviarla. Si intravede il pericoloche alcune regioni, dotate di maggiori ri-sorse economiche, riescano a istituire ilReddito di ultima istanza, mentre altre,anche se volessero, non lo potranno fareper mancanza di risorse proprie. Vengo-no così al pettine i nodi di un malintesoregionalismo o federalismo, che rischia diagevolare i sistemi territoriali economico-sociali che storicamente hanno conosciu-to uno sviluppo maggiore, a ulteriore sca-pito delle aree del paese meno forti. Ilnuovo esodo dal sud verificatosi negli an-ni ’90 (confrontando i censimenti 2001 e1991 si nota, nonostante una più alta na-talità, una forte diminuzione di popola-zione in alcune aree di Sicilia, Calabria,Basilicata, Molise e Puglia) non trova an-cora valide risposte.Va inoltre ricordato che nell’Unione Eu-ropea solo la Grecia, oltre all’Italia, nonha una misura generalizzata di contrastoalla povertà. Il futuro ci dirà se un partedell’Italia l’avrà e un’altra no. E chissàche la finanziaria definitiva non pongarimedio a sviste, sempre possibili in corsod’opera. ■

Il testo dellalegge 2004non haancoraconcluso l’iterparlamentare.Ma siscorgononovitàin ambitosociale.L’assegnoper il secondofiglio basta?E perchénegarloalle donneextra-Ue?Perché nonprevedereuna misuradi sostegnoal redditoestesa a tuttoil paese?

polit

iche

socia

liNatalità, scuola e reddito:Finanziaria da modificare

Marco Toti

dicembre 2003 12

tari presenti da oltre sei anni, ma solo 150mila hanno ottenuto la carta di soggior-no. Le persone che hanno ottenuto la cit-tadinanza sono invece 100 mila, ma gliaventi diritto, cioè le persone presenti daoltre dieci anni in Italia, sono almeno350 mila. Mediamente una persona im-migrata attende uno, anche due anni pri-ma di ottenere la carta di soggiorno o lacittadinanza.Ci sono poi i diritti di protezione sociale.Che riguardano soggetti particolarmentefragili. Per esempio gli oltre 16 mila mi-nori stranieri che oggi, in Italia, risultanoabbandonati o non accompagnati: è unarealtà per lo più sommersa, che chiede unlavoro di strada e di comunità spesso fati-

L’eco, da parte dei mass media ita-liani, è stata vasta. Anche perchétutti, ormai, ritengono il “Dossier

statistico sull’immigrazione” realizzatodalla Caritas uno strumento indispensabi-le per leggere e interpretare il fenomeno,così come si sviluppa in Italia. La tredice-sima edizione del Dossier è stata presenta-ta in contemporanea in undici città, a fi-ne ottobre, dal nord al sud del paese. Iltesto delinea il volto dell’Italia come unodei grandi paesi di immigrazione in Euro-pa: sono ormai infatti oltre due milioni emezzo gli immigrati in Italia (il 4,2% del-la popolazione), un livello ormai parago-nabile a quello di Germania (7,3 milionidi immigrati), Francia (3,3 milioni) eGran Bretagna (2,5 milioni).In Italia, dunque, l’immigrazione si pre-senta come un fenomeno non più occa-sionale, ma stabile, che chiede, più cheassistenza, tutela dei diritti civili e politici(voto e cittadinanza), dei diritti sociali(accesso a tutti i benefici), dei diritti eco-nomici (pari opportunità nei diversi set-tori), della diversità culturale e religiosa(necessità di rispetto). La mancanza di ad-vocacy, ovvero di tutela dei diritti, costi-tuisce una preclusione grave alla crescitaarmonica del nostro paese e innesca nuo-vi, seri motivi di conflittualità sociale.

Voto, diritto esigibile da pochiNegli ultimi mesi è (giustamente) ripresoil dibattito sul diritto di voto alle elezioniamministrative degli immigrati in posses-so della carta di soggiorno, cioè residentida almeno sei anni in Italia. Se il tema deldiritto al voto è importante, altrettantoricco di significato è il tema dell’esigibi-lità di tale diritto, spesso resa difficile dauna burocrazia pesante. In Italia sono al-meno 750 mila gli stranieri extracomuni-

da e

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citta

dini

I dati del13° Dossier

statisticoCaritas

fotografanola realtà

di un paesein cui

l’immigrazionechiede

non più soloassistenza.

Voto,cittadinanza,

protezionesociale,scuola,

associazioni,religione:

la crescitadi una società

armonicapassa per un

insiemedi pratiche

nuovein vari settori

Stranieri: è l’ora dei diritti,garanzia di pace sociale

Giancarlo Perego

13 dicembre 2003

coso, non appagante. Rientri non accom-pagnati o abbandoni per mancanza difondi – circostanze che purtroppo si veri-ficano – rischiano di compromettere si-tuazioni già precarie.Il fenomeno della prostituzione di stradainteressa invece circa 30 mila donne, perl’80% straniere illegali nel nostro paese,sfruttate, minorenni. L’articolo 18 dellalegge 286 del 1998, confermato dalla leg-ge Bossi-Fini, ha consentito nel 2002 laprotezione di 851 donne; nel 2001 le ra-gazze in protezione sociale erano state744. L’ottenimento del permesso di sog-giorno avviene, per queste donne, attra-verso lo svolgimento di un percorso di re-cupero, giudiziario o sociale. Oltre lametà dei permessi concessi riguardanoquattro regioni: Lazio, Puglia, Piemonteed Emilia Romagna. L’incremento del nu-mero delle donne ammesse a questa mi-sura è troppo lieve: senza un maggior in-vestimento sociale serviranno decenniper incidere seriamente sul fenomeno.

Libertà di fede, nella reciprocitàL’impatto di una immigrazione struttura-le si fa sentire anche nella vita quotidia-na. La scuola italiana, per esempio, è or-mai policentrica dal punto di vista etnico:nelle scuole dell’obbligo sono presenti186 nazionalità per un totale di oltre 180mila studenti. La più rappresentata, tra glistudenti stranieri, è l’area balcanica. Il fe-nomeno si presta a molteplici considera-zioni: i diritti possono essere negati anchenelle piccole cose d’ogni giorno. Anzitut-to, gli studenti che giungono in Italia do-po il ricongiungimento familiare ad annoscolastico iniziato sovente sono costretti aperdere mesi prima di essere inseriti inuna classe; magari trovano posto in scuo-le lontane da casa, difficili da raggiunge-re. Inoltre l’inserimento può avvenire inuna classe di ragazzi con uno o due anniin meno. E talora le tasse di iscrizione so-no più elevate per gli studenti che pro-vengono dall’estero, perché non residentida almeno due anni nel comune. Grave,infine, è anche la situazione della “media-zione culturale”: il 70% degli operatoridei 703 enti che lavorano in tal senso èrappresentato, oggi, da donne italiane.Occorre intensificare e diversificare que-

sto servizio.L’immigrazione è anche un fattore di ar-ricchimento del tessuto della società civi-le. Sono ormai 893 – secondo lo studiodella fondazione Corazzin di Venezia – leassociazioni di stranieri censite in Italia.Poche, però, partecipano all’elaborazionedei piani di zona dei servizi sociali neglienti locali, e poche rappresentano puntidi riferimento per la costruzione di per-corsi di mediazione culturale o di educa-zione sociale. Le associazioni di stranieripotrebbero anche contribuire a promuo-vere il diritto allo svolgimento del servi-zio civile nazionale per i giovani stranieritra i 18 e i 26 anni: purtroppo tale diritto,che poteva essere una grande opportunitàd’ingresso nella società italiana, è statoprecluso dalla legge 64 del 2001.Sul fronte della libertà religiosa, le recentipolemiche sul crocifisso nelle scuole han-no rischiato di accendere un dibattitoideologico dai toni fondamentalisti. InItalia quasi la metà degli immigrati si ri-conosce in una delle confessioni religiosecristiane, poco più del 30% è di religioneislamica, mentre le religioni orientali arri-vano al 5%; in valori assoluti, all’iniziodel 2003 risiedevano in Italia più di unmilione di immigrati cristiani (cattolici,protestanti, ortodossi) e circa 800 milamusulmani. La differenza religiosa non èpiù un dato marginale, ma una realtà sta-bile con cui ci si deve confrontare quoti-dianamente. Ne scaturisce la necessità diriflettere in concreto su come tutelare ildiritto alla libertà religiosa: nelle scuole,nei luoghi di lavoro, nella società. Questodiritto alla libertà religiosa comporta co-munque, oggi con più forza, un richiamoalla reciprocità.In definitiva, lavorare per la tutela dei di-ritti dei migranti è lavorare per un futurodi qualità nella convivenza civile del no-stro paese. Ogni investimento in terminidi tutela dei diritti non costituisce unaperdita di identità o un cedimento aun’indebita invasione – come alcuni pre-giudizi antistorici e beceri tendono a farcredere –, ma prepara la società del futuroe previene una nuova conflittualità socia-le, una nuova “lotta tra classi”: non piùtra capitalisti e proletari, ma tra immigratie italiani. ■

dicembre 2003 14

Fino a un paio d’anni fa faceva la se-gretaria in Marocco, a Casablanca.Oggi Souad si appresta a iniziare un

nuovo lavoro a Bologna. «Un lavoro – os-serva la trentottenne – che di solito fannogli italiani. A noi stranieri toccano altrimestieri: donne delle pulizie, colf, badan-ti, spazzini, operai, manovali…. Qui davoi spesso (anche in buona fede) si pensache veniamo da un altro pianeta, alcunipensano che da noi gli asili per l’infanzianon esistano. Dicono che se veniamo quiin Italia vorrà dire che da noi è tutto peg-giore. Ma questa volta no, ho la possibi-lità di fare un lavoro importante: un lavo-ro che ho sempre sognato, quello di starecon i bambini».Souad è una delle otto donne straniere,provenienti – oltre che dal Marocco – daNigeria, Angola, Filippine, Etiopia, Koso-vo e Iraq, che di recente hanno fondatola cooperativa sociale di servizi per l’in-fanzia “Siamo qua”, assieme ad alcuni vo-lontari della Caritas di Bologna. Dopo al-cuni mesi di formazione, nelle prossimesettimane queste donne, tutte tra i 20 e i40 anni, attiveranno un servizio di custo-dia per bambini da 0 a 6 anni in strutturao a domicilio. Un po’ baby sitter e un po’maestre d’asilo: è il nuovo lavoro, di cuiSouad e le altre sono orgogliose.Ognuna ha una sua storia di immigrazio-ne, ognuna una sua vicenda familiare piùo meno facile, ma assieme comporrannouna squadra “internazionale” che diven-terà un prezioso punto di riferimento pertanti bambini e famiglie italiani e stranie-ri. La storia di Souad è simile a quella ditante altre connazionali: l’arrivo in Italiaalla ricerca di una nuova vita e di un la-voro migliore, la ricerca di un alloggiocon l’aiuto di qualche amica, quindi il fa-ticoso inserimento. Ancora, un corso per

imparare l’italiano, uno per assistere glianziani, uno stage in casa di riposo.«L’abbandono del mio paese – racconta –per me è stata una scelta meditata: un la-voro ce l’avevo anche là, ma volevo co-struirmi una vita autonoma e qui in Italiapenso di riuscire a farlo».Per Songul, invece, non è stata una sceltaabbandonare l’Iraq con una laurea di in-gegneria in tasca, per venire in Italia conla famiglia. Anche lei però ora vede nellacooperativa un modo per riscattarsi.«Ognuna di noi porterà un po’ della pro-pria cultura e della propria storia in que-sto lavoro. Anche se – osserva un po’sconsolata – non credo che se fossimo sta-te sole, senza l’appoggio della Caritas, igenitori italiani si sarebbero fidati di la-sciare a noi i loro figli».Anche Merita, kosovara, vent’anni, dadieci in Italia, la più giovane del gruppoma anche quella che da più tempo è inse-rita nel nostro paese, è scettica sul fattoche «da sole» avrebbero potuto mettere inpiedi una realtà tanto innovativa. «I bam-

un v

olto

una

stor

ia

Souad,Songul,Merita

e le altre:otto donne,a Bologna,

hannofondato –complice

la Caritas –la coopertiva

“Siamoqua”.

Serviziodi custodia

dei bambinianche

a casa,in orari noncoperti dalle

strutturetradizionali:un modo per

consentirea moltemamme

di lavorare

Baby sitter da tutto il globonasce l’asilo “arcobaleno”

Davide Bergamini

Le donne che hanno dato vita alla cooperativa “Siamoqua”, insieme a operatori di Caritas Bologna

15 dicembre 2003

bini però – ne è sicura – ci daranno la for-za per decollare. Loro non ci diranno lecose che talvolta ci dicono gli italiani, per-ché non hanno i pregiudizi dei genitori».

Come creare e mantenere un lavoroAdesso, insomma, incomincia una nuovaavventura. L’avventura dell’educare, fa-cendo delle diverse provenienze una ric-chezza. “Siamo qua” è una cooperativasociale costituita ai primi di novembredalle otto donne, da alcuni volontari del-la Caritas di Bologna e dalla cooperativasociale “La piccola carovana” che offriràsostegno, nella fase di avvio, per la gestio-ne amministrativo-pedagogica. La coope-rativa nasce nell’ambito del progetto “Ioapprendo, io lavoro: noi creiamo impre-sa”, promosso dalla Caritas diocesana egestito da Aeca e Ciofs/Fp-Er Bologna peraiutare le mamme che lavorano in orariinsoliti e per dare un lavoro a donne chenon lo hanno, ma anche per fornire unservizio di babysitting in orari non copertidal servizio pubblico.Caritas Bologna, grazie ai suoi “punti diascolto”, ha osservato che le donne stra-niere e italiane con figli si trovano spessosole, senza rapporti parentali o amicali,impossibilitate a organizzare efficacemen-te la propria vita lavorativa. La loro prin-cipale difficoltà non consiste nel trovareun’occupazione, ma piuttosto nel poterla

mantenere, poiché non riescono ad affi-dare ad altri i propri bambini durante illavoro, che spesso si svolge nelle primeore del giorno o durante le ore notturne.Questo problema riduce fortemente le lo-ro possibilità lavorative, mettendole ingrave difficoltà.“Siamo qua” ha quindi molteplici obietti-vi: accogliere i bambini (in uno spazioche le donne hanno voluto chiamare “Ilparadiso dei bambini”, presso la parroc-chia di Sant’Antonio da Padova, nel quar-tiere Navile, a Bologna), permettere allemadri di mantenere l’impiego, creareun’opportunità di lavoro per alcune di es-se, avviare un servizio innovativo apertoa tutti e al servizio della città.Il servizio sarà coordinato e supervisiona-to da una pedagogista e sarà caratterizza-to dalla flessibilità dell’orario e dalla pos-sibilità di spostarsi anche a domicilio permeglio soddisfare i bisogni dei genitori,ma soprattutto dei bambini. Finanziatonella prima fase dal Fondo sociale euro-peo attraverso il consorzio NoiCon-Sov-venzione Globale B1, il progetto ha presoil via con un corso di formazione di 160ore, gestito dal Ciofs/Fp, con momentispecifici sulla creazione di impresa e altridi carattere pedagogico. Perché nulla siimprovvisa. E “Siamo qua” non vuol esse-re una meteora, ma una storia carica difuturo. ■

«Si tratta di straniere in condizione di grandefragilità, ma dietro questa fragilità – osserva donGiovanni Nicolini, direttore della Caritasdiocesana di Bologna, a proposito della nuovacooperativa – ci sono risorse da far valere. Questedonne hanno “personalità speciali”, capaci di faredi una condizione di solitudine qualcosa chefavorisce relazioni e collaborazione. Ne è natauna proposta che la nostra società non contempla,perché o c’è il servizio pubblico o c’è lasolitudine, oppure ancora la cultura dei nonni.L’iniziativa può essere interessante anche per lemamme italiane: è un regalo che queste donnestraniere fanno a loro stesse e a noi».Al convegno di presentazione di “Siamo qua” era

presente anche Flavia FranzoniProdi, docente diorganizzazione dei servizisociali all’Università diBologna, che ha sottolineatoche il progetto non va visto «nécome un modo per riparare iguasti prodotti da un sistemaproduttivo, che chiede semprepiù tempo alle famiglie, né come qualcosa disostitutivo di ciò che dovrebbe essere fatto daaltri», cioè gli enti locali. È invece «una risorsada integrare in una rete di opportunità, chiamata asalvaguardare i diritti dei bambini e a conciliarele difficoltà tra tempi di lavoro e di famiglia».

«DONNE CON PERSONALITÀ SPECIALI,DALLA FRAGILITÀ CREANO RELAZIONI»

dicembre 2003 16

terr

itorio

e ca

ritas

Grandeconvegno

ecclesiale,a Bergamo,

nel 40°dell’enciclica

di papaGiovanni

“Pacemin terris”.

«Purtropponon

abbiamoancora

compresoche la

guerra è una“roba damatti”».

Ma ci sonopercorsiconcreti

apertial futuro:riflessione

sul serviziocivile

nazionale

Nel dedicare al quarantesimo anni-versario dell’enciclica Pacem in ter-ris il messaggio per la Giornata

mondiale della pace 2003, Giovanni Pao-lo II aveva invitato “a fare tesoro dell’in-segnamento profetico di Papa GiovanniXXIII” ed esortato le comunità ecclesiali a“celebrare questo anniversario in modoappropriato”. Il doppio invito è stato ac-colto un po’ ovunque, nelle diocesi italia-ne, complice anche un anno – il 2003 –in cui si è dovuto parlare molto di pace. Epurtroppo di guerra.Il quarantennale della grande enciclicagiovannea richiedeva però occasioni diapprofondimento oltre le commemora-zioni di rito. Con questa intenzione, a ot-tobre, anche la Commissione episcopaleper i problemi sociali e il lavoro, la giusti-zia e la pace, Pax Christi e Caritas Italianahanno promosso un convegno, svoltosi aBergamo, diocesi natale di papa Giovan-ni, dal tema “Pacem in terris: impegnopermanente. Le comunità cristiane prota-goniste di segni e gesti di pace”.L’appuntamento ha cercato di orientare lariflessione su quattro elementi che fannodella Pacem in terris un’enciclica ancoraattuale. Anzitutto il pontefice che lafirmò, il beato Giovanni XXIII, che non acaso volle indirizzarla anche a tutti gli uo-mini di buona volontà, convinto che lapace fosse un “affare” che riguarda ogniuomo e ogni donna. La testimonianzaportata al convegno da monsignor LorisCapovilla, che di papa Giovanni fu a lun-go segretario particolare, ha contribuito aricordare un pontefice che ha sicuramen-te costituito una svolta nella storia delNovecento, soprattutto grazie all’intuizio-ne del Concilio Vaticano II da lui indetto.In secondo luogo, ci si è concentrati sulcontesto internazionale nel quale l’enci-

clica si pose quarant’anni fa (oggetto delcontributo di monsignor Crepaldi, delPontificio consiglio “Justitia et pax”) eche per molti versi appare assai simile aquello in cui viviamo. «Oggi, come ieri, –ha ricordato monsignor Francesco Mon-tenegro, presidente della Caritas Italiana –l’umanità non ha ancora interiorizzatoquell’alienum est a ratione che fa dellaguerra moderna una “roba da matti”, perdirla con don Tonino Bello. Cioè un ele-mento irrazionale, fuori del connotato ra-zionale che contraddistingue la specieumana».

Globalizzazione e personaUn terzo tema è stato quello della visioneantropologica e teologica che fa da fonda-mento all’enciclica. Il professor AntonioPapisca, dell’Università di Padova, e ilteologo monsignor Bruno Forte hanno

Pace, un segno dei tempi:«Muove ancora i giovani»

Diego Cipriani

Fiaccole alla marcia della pace dell’ultimo dell’anno 2002,svoltasi a Cremona

17 novembre 2003

evidenziato tutto lo spessore del testo dipapa Roncalli: il suo ancoraggio alla visio-ne della persona umana proprio della tra-dizione cristiana, la radice cristologicadella pace, la felice intuizione dello scru-tare i “segni dei tempi” come esercizioquotidiano per riuscire a leggere e inter-pretare la realtà nella quale costruire unmondo più giusto e più solidale.Infine, è emerso l’impegno delle comu-

nità cristiane a co-struire la pace attra-verso segni e gesticoncreti. Da Bergamoè stata ribadita l’esi-genza di «avviare unaprogettualità sulla pa-ce – ha ricordatomonsignor TommasoValentinetti, presiden-te di Pax Christi – cheveda protagoniste lediocesi, le Caritas dio-cesane e le parrocchiein modo che tutta lachiesa lavori su que-st’obiettivo e che al-l’interno dei consiglipastorali diocesani,dei consigli presbite-riali e dei consigli pa-storali parrocchiali cisi confronti su prio-

rità, segni, gesti di pace, di riconciliazionee di perdono». Il tutto a partire da un’en-ciclica, ha fatto eco monsignor Gianfran-co Bregantini, che «parla oggi a una Chie-sa che costruisce la pace in itinerari con-creti di perdono e riconciliazione. Essa èda rileggere in rapporto alla globalizzazio-ne, che sarà feconda solo se punterà sullapersona. E ci aiuta a capire la realtà attua-le, che possiamo decifrare solo frequen-tando la palestra dei “segni dei tempi”».Insomma, un’enciclica non da non ripor-re sullo scaffale, ma da usare come guidadi un impegno permanente, e urgente,cui tutti siamo chiamati.

Dopo la stagione dell’obiezioneAl convegno di Bergamo ha fatto seguitoil meeting che ha visto riuniti a Sotto ilMonte alcune centinaia di giovani e re-sponsabili delle Caritas di tutta Italia,

chiamati a riflettere su “Servizio civile,servizio di pace”. Proprio nel paese nataledi papa Giovanni ci si è ritrovati a riflette-re sul significato di un’esperienza che hacoinvolto, negli ultimi trent’anni, mi-gliaia di giovani che hanno scelto l’obie-zione di coscienza al servizio militare co-me gesto di pace, come scelta di rifiutodella guerra e della sua preparazione,nonché come impegno personale a favoredei più deboli e delle vittime delle tanteviolenze e ingiustizie. Tale esperienza èdestinata a terminare nei prossimi mesi, acausa della sospensione della leva obbli-gatoria, ma lascia il posto al Servizio civi-le nazionale (che molti giovani hanno giàdeciso di svolgere in Caritas), cui conse-gna l’eredità di una tradizione che coniu-ga l’impegno per la pace alla costruzionedella giustizia. Non a caso Giovanni Pao-lo II, lo scorso 8 marzo, ha definito il ser-vizio civile un “segno dei tempi” e ha ri-cordato che in questi anni, «attraverso lascelta dell’obiezione di coscienza e il ser-vizio civile, si è intensificata la coopera-zione tra la chiesa, i giovani e il territo-rio». ■

Si svolgerà quest’anno a Termoli (Cb) la tradizionale marcia lapace del 31 dicembre, appuntamento indetto dall’Ufficio lavoro,pace, giustizia e salvaguardia del creato della Cei, da Pax Christi edalla Caritas Italiana, che hanno scelto di stare vicini allepopolazioni colpite dal sisma dell’ottobre 2002. «Questa scelta –afferma monsignor Tommaso Valentinetti, vescovo della diocesi diTermoli-Larino e presidente di Pax Christi Italia – è segnodell’attenzione e della solidarietà di tutta la chiesa italiana e nesiamo molto lieti. La marcia sarà occasione per stringere legamiancora più profondi con quanti, fin dai primi giorni dopo ilterremoto, sono venuti a offrirci il proprio aiuto e che riconosciamofratelli nel comune cammino per la pace». La marcia è dedicata altema scelto da papa Giovanni Paolo II per la Giornata mondialedella pace 2004: “Il diritto internazionale via alla pace”.La prima marcia di Capodanno si svolse il 31 dicembre 1968 daBergamo a Sotto il Monte (23 chilometri) con il titolo, ripreso dauna frase di padre Davide Turoldo, “La pace non è americana,come non è russa, romana o cinese: la pace vera è Cristo”. Lemarce vennero poi dedicate al tema della Giornata mondiale dellapace istituita, il 1° gennaio di ogni anno, da Paolo VI proprio apartire dal 1968.

LA MARCIA DI S. SILVESTROIN PROGRAMMA A TERMOLI

dicembre 2003 18

te, non con decisioni unilaterali. Demo-crazia e libertà non si possono esportarecon la forza. È un processo lungo, da co-struire su basi culturali, attraverso il dialo-go e il rispetto. Solo così si combatte epreviene il terrorismo.

Ma sul piano individuale c’è ancoraposto per i “costruttori di pace”?

È sempre più evidente che la pace è uncammino che passa attraver-so l’esperienza di ogni per-sona, in ogni ambito. È undovere che va praticato sem-pre, direttamente. Non è de-legabile. E va coltivato. Perquesto è necessario avereconsapevolezza dei proble-mi del mondo e soprattuttodelle ingiustizie sociali. Nes-suno può ritirarsi in se stes-so, come se queste fosserofaccende irrilevanti per ildestino di ognuno. Di fron-te alla globalizzazione com-

merciale e, dobbiamo dire adesso, anchedel terrore, è urgente far crescere quellache il Papa definisce la “globalizzazionedella solidarietà”.

Nel libro parlano molte voci autore-voli del mondo cattolico. Quale ruo-lo può giocare la chiesa in tema dipace?

Un ruolo importantissimo, e il Papa lo hadimostrato con un’efficacia straordinaria.Giovanni Paolo II, con estrema lungimi-ranza, ha subito capito quali erano i ri-schi, quale era l’abisso verso il quale l’u-manità si stava indirizzando, dopo l’11settembre, seguendo la logica della ritor-sione e della vendetta. Soprattutto ha ca-pito l’urgenza di chiamare a raccolta le re-

Da novembre è in libreria “I giornidella colomba”. Gli autori, il gior-nalista di Famiglia Cristiana Fran-

cesco Anfossi e il vaticanista del Tg3 AldoMaria Valli, a partire dalle grandi manife-stazioni di piazza del 15 febbraio 2003hanno inanellato analisi, testimonianze einterviste per ricostruire la storia e andarealle radici del movimento per la pace.Particolare attenzione è dedicata al ruolodei cattolici: nel libro parla-no il cardinale Etchegaray, idirettori dell’Osservatore Ro-mano, del Tg3, di Radiovati-cana e di Famiglia Cristiana.Aldo Maria Valli (nella foto)sintetizza per Italia Caritas ilmessaggio di un libro quan-to mai attuale.

“Per i pacifisti, la guerranon è finita”: così termi-na I giorni dellacolomba. E inizia inveceun nuovo capitolo perl’impegno del variegato popolo dellapace. Con quali prospettive?

In questo momento, mentre il mondo in-tero è sotto la minaccia del terrorismo, èdavvero difficile rispondere, ma allo stes-so tempo è più che mai necessario. Lepreoccupazioni del Papa e di tutti coloroche sono scesi per le strade contro laguerra in Iraq si stanno dimostrando ter-ribilmente fondate. A questo punto il pri-mo dovere, come dice nel libro il cardina-le Etchegaray, è quello di non cedere allosconforto, alla tentazione di ritirarsi in sestessi. Occorre riaffermare con decisioneche la guerra preventiva è un metodoinaccettabile e pericoloso. Le controversieinternazionali si affrontano con il diritto,con il coinvolgimento delle Nazioni Uni-

«Il popolo dell’arcobalenonon ceda allo sconforto»

Ferruccio Ferrante

Intervistaad Aldo

Maria Valli,vaticanista

del Tg3,co-autore

di “I giornidella

colomba”.«I pacifisti

avevanotimori

rivelatisifondati.

E il papaaveva capito

che laspirale delle

ritorsionirischia

di gettareil mondo

nell’abisso.La pace

passaattraversoil percorso

di ogniuomo»

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per

tu

19 dicembre 2003

ligioni – ed ecco Assisi – per mettere inguardia da un loro uso strumentale a fa-vore dei conflitti e delle contrapposizioni.La chiesa cattolica, con il suo duplice ruo-lo, spirituale e diplomatico, è in prima li-nea al servizio della pace. Purtroppo, da-vanti a interessi politici, economici e geo-strategici, la sua voce viene spesso ignora-ta o sottovalutata. Con i risultati che tuttivedono.

Non si può uccidere in nome di Dio.Ma dopo l’11 settembre si profila unnuovo “disordine mondiale”. C’èdavvero il pericolo di uno scontro diciviltà?

Il pericolo è più che mai evidente. Con laguerra in Iraq gli Stati Uniti si sono infila-ti in un’autentica trappola, coinvolgendol’Occidente intero. Ora, agli occhi di mol-ti musulmani, americano vuol dire occi-dentale, occidentale vuol dire cristiano, ecosì cristiano diventa sinonimo di nemi-co. Ed è al tempo stesso paradossale edrammatico che tutto ciò avvenga pro-prio a partire dall’Iraq, un paese in cui lapresenza cristiana, in convivenza con l’I-slam, ha radici antichissime.

La violenza non è soltanto quelladelle armi. È anche l’ingiustizia cau-sata da meccanismi economici basa-ti sullo sfruttamento dell’uomo...

Molto spesso le armi non fanno che sot-tolineare e accrescere un’ingiustizia chenasce prima di tutto sul terreno economi-co. Pensiamo agli armamenti che l’Occi-dente ricco e “sviluppato” continua avendere ai paesi poveri, quegli stessi paesiai quali le grandi multinazionali sottrag-gono materie prime e risorse. Qui sono lebasi dell’instabilità mondiale, qui le radicidel male. Occorre far crescere questa con-sapevolezza, anche educando a stili di vi-ta diversi dagli attuali, meno consumisti-ci, più rispettosi e aperti alla condivisio-ne.

“Ho il dovere di dire a tutti i giova-ni: mai più la guerra!”. Così ammo-niva il Papa all’Angelus del 16 mar-zo 2003, ricordando le sue esperien-ze in tempo di guerra. Come è possi-bile oggi raccontare la pace a bambi-

ni e giovani?Quando i miei figli hanno appeso al bal-cone di casa la bandiera arcobaleno, miamoglie e io abbiamo chiesto: siete propriosicuri di riuscire a mantenere questo im-pegno? Cioè: la pace non può essere ri-dotta a un simbolo da piazzare in bellaevidenza per mettersi a posto con la co-scienza. Deve essere un impegno da vive-re ogni giorno, nei rapporti personali, ascuola, in ufficio. Solo così le si dà una so-stanza. È necessario quindi che gli educa-tori, e soprattutto i genitori, riescano atradurre l’impegno per la pace in gesticoncreti, in un vero e proprio abito men-tale. È un’opera da svolgere ogni giorno,con semplicità ma anche con grande con-vinzione e passione.

Storie da bruciare in nome dell’au-dience, calpestandone i protagonisti.Questo consumismo è forse il vizioin cui cade più spesso il mondo del-l’informazione. È possibile un “im-pegno permanente” per la pace e lasolidarietà da parte di chi opera neimezzi di comunicazione?

L’informazione tradisce se stessa quandocade preda del sensazionalismo, quandoresta alla superficie, quando mostra solole conseguenze e non dà le spiegazioni,non presenta il contesto, non rispetta ladignità umana. Questi sono mali eviden-ti, ma, anche in questo caso, non bisognalasciarsi prendere dallo sconforto che sitraduce in disimpegno. Ci sono tanti ope-ratori dell’informazione che la-vorano seriamente, con passio-ne, che rendono davvero unservizio alla comunità sociale.E il pubblico è meno indiffe-rente di quanto si pensi: buo-na parte di esso sa valutare escegliere. L’importante è pen-sare che ci rivolgiamo a per-sone vere, non a quel mo-stro, chiamato audience, alquale spesso vengono sacrifi-cate onestà e intelligenza. ■

Francesco Anfossi e Aldo Maria Valli, I giorni della colomba,edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2003, pagine 184, euro 11. Iproventi del libro verranno devoluti a Caritas Italiana.

IL LIBRO

dicembre 2003 20

pa dalle sabbie del deserto e atterra comeun dio su una portaerei festante per an-nunciare che la guerra è finita, la demo-crazia sta arrivando, la missione è final-mente compiuta.

Un deficit di responsabilitàNon importa se il diritto è stato calpesta-to, gli organismi di garanzia internaziona-le, la razionalità diplomatica, l’arte deldialogo, persino l’uso commisurato dellaforza gettati nel cestino della spazzatura.Come si può credere alle finalità umanita-rie di una forza di occupazione militare,quando chi ha inventato il gioco si è di-menticato delle convenzioni internazio-nali, che impongono la ricostruzione delpaese e la protezione dei civili da parte dichi ha fatto la guerra?Gli italiani hanno interpretato assai di-versamente il proprio ruolo. Occupanti?No, cooperanti, gente che mette in prati-ca la Convenzione di Ginevra, ricostrui-sce, suda e non spara. Ma è stata soloun’illusione. Nelle menti irte d’odio, ditanti allenati all’odio, è assai difficile di-stinguere immagini che si sovrappongo-no con contorni sfumati.L’anno è passato tra ambiguità e cose ma-lamente svelate. C’è stato un deficit dipolitica, di responsabilità. Qual è stato ilruolo dell’Italia? Abbiamo partecipato allaguerra oppure no? Abbiamo contribuito aprevenire il flagello della guerra, da qua-lunque lato la si osservi, oppure abbiamotentennato e balbettato parole? Abbiamocercato di ridare vigore all’Onu, oppureabbiamo misurato solo interessi corti econvenienze? I morti di Nassiriya impon-gono una riflessione globale sulla guerra esulla pace, sul diritto e la giustizia. Va fat-ta per rispetto a tutti gli uomini, i morti ei vivi. ■

Forse adesso che l’anno si avvia alla fi-ne vale la pena di riflettere sulla for-za e sul diritto. E sull’uso che gli

americani ne hanno fatto in nome e perconto del resto del mondo, senza che ilresto del mondo gliene abbia riconosciu-to la delega.Si gioca e si esaurisce attorno a questiconcetti la vicenda della guerra e del falsodopoguerra iracheno. Tale riflessione ser-ve per comprendere il lutto che ha colpi-to l’Italia a Nassiriya e per spazzare ilcampo da tante illusioni, compresa quellache fa dei morti comunque degli eroi,mentre invece sono stati solo uomini chehanno fatto il loro dovere dentro una cor-nice sbagliata. Quella, appunto, che hafatto impazzire il diritto e la forza.La logica perversa della guerra preventivanon poteva che portare ai risultati chetutti vedono. La tragedia di Nassiriya è latragedia della guerra: inevitabile, quandoil dialogo e la diplomazia vengono messiall’angolo e schiacciati. Se si è scelta laguerra globale per portare la pace globale,si corrono certi rischi. Ne vale la pena? Imorti alla fine sono tutti uguali: iracheni,afgani, italiani, americani, inglesi, spa-gnoli, morti di tutto il mondo, gente chesognava la pace, la libertà, la democrazia.Altri a Washington avevano immaginatocavalcate spavalde, bandiere al vento, labenigna pax americana che avrebbe svelta-mente abbracciato ogni popolo a ogni la-titudine.Dopo l’11 settembre l’occasione era pro-pizia. Due colpi e giù l’Afghanistan, duesoldi erogati e stati fino ad allora definiticanaglia si sarebbero rimessi in riga. Poi lagrande caccia al nemico numero uno, ilcompimento del lavoro lasciato a metànel 1991 nel Golfo. Il figlio di un presi-dente che resuscita una vittoria, la strap-

L’anno che fece impazzirela forza, il diritto e la pace

Alberto Bobbio

Il 2003doveva

esportare lademocrazia

in MedioOriente.

Si chiudemacchiato

da tragedie,figlie della

logicaperversa

della guerrapreventiva.

Troppeambiguità,la politicalatitante:

qual è statoil ruolo

dell’Italia?Occorre

fermarsia riflettere.Per rispetto

di tuttii morti

il punt

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21 dicembre 2003

L’allargamento dell’Unione Europeaè un momento storico. Nel 2004 viaderiranno dieci nuovi paesi e fra

tre anni, nel 2007, si prevede che anchela Bulgaria ne diventi membro (insiemealla Romania). La Bulgaria ha avuto i pri-mi contatti con la Comunità Europea nelmaggio 1990. L’accordo per associare ilpaese all’Unione è stato firmato tre annidopo; la richiesta per diventare membroUe è stata avanzata ufficialmente nel1995. Nel 1999 l’Unione ha deciso diaprire le trattative per l’adesione, comin-ciate alla Conferenza intergovernativa del15 febbraio 2000.Nella fase attuale proseguono i contattiper il compimento del processo di adesio-ne. Il 6 novembre scorso il capo della de-legazione della Commissione Europea inBulgaria ha consegnato al primo mini-stro, Simeone di Sassonia Coburgo Gotha,il Rapporto della Commissione per l’a-vanzamento del paese nel processo diadesione all’Ue. Il parere di Bruxelles ri-guardo all’esecuzione degli impegni as-sunti da Sofia è stato positivo e incorag-giante. La Bulgaria ha fatto passi in avan-ti, applicando le norme e i criteri politicied economici posti come condizione dal-la Commissione. Secondo il Rapporto, ilpaese ha buone prospettive di concluderele trattative durante l’attuale mandatodella Commissione Europea. La quale pre-senterà, all’inizio del 2004, la sua propo-sta sui fondi da destinare alla Bulgaria persostenerne il cammino nella fase di pre-adesione.I siti internet delle principali istituzionistatali bulgare contengono molte infor-mazioni sull’andamento delle trattative.Ma ancora poche persone, in Bulgaria,hanno accesso alla rete. Analogamente, iltema è trattato quotidianamente dai mass

media, ma spesso in termini di attualità enon di approfondimento. La popolazionebulgara avrebbe bisogno di campagne chespieghino in modo semplice il significatodell’adesione alla Ue e i fattori positiviche essa comporterà. E sarebbe necessarioanche che si parlasse delle possibili rica-dute negative: per esempio, le tensionisociali che potrebbero prodursi.La popolazione, dunque, non è abbastan-za informata sul processo: secondo alcunestatistiche, circa il 75% dei bulgari sonofavorevoli all’adesione, ma le stesse perso-ne esprimono il desiderio di saperne dipiù. L’opinione pubblica manifesta svaria-te tendenze: si va da aspettative estrema-mente positive per lo sviluppo del paesefino alla paura che la vita quotidiana di-venti ancora più difficile e che la Bulgarianon abbia uno statuto paritario rispettoagli altri paesi europei.

Moltissimi in povertà assolutaNonostante i recenti cambiamenti in am-bito economico e lo sforzo del governo dicombattere l’economia “grigia”, il livellodi disoccupazione in Bulgaria continua aessere molto alto rispetto alla media deipaesi Ue. Nell’ultimo trimestre è stato cal-colato intorno al 13,5%, comunque in ca-lo rispetto al 2002, quando era al 16,8%:tale diminuzione è conseguenza del pas-saggio a un regime di aiuto centrato sullaricerca di occupazione per i disoccupatipermanenti.Lo stipendio medio mensile nel paese è di270 leva (circa 138 euro) e la pensionemedia è attorno a 80 leva (40 euro); lo sti-pendio minimo è di 110 leva (55 euro) ela pensione minima è di 50 leva (25 eu-ro). Ma si calcola che ogni membro diuna famiglia necessiti dell’equivalente di137 euro mensili per condurre una vita

Bulgaria, speranze e timori«L’Europa costerà cara?»

Emanouil Patachev*

Il paesebalcaniconon aderiràall’unionenel 2004:il suoingressoè previstonel 2007.Le trattativecon Bruxellesvanno bene.Maimpongonoriformeche hannocosti sociali.L’impegnoe l’opinionedi CaritasBulgaria,tra leprincipaliong del paese

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pa

dicembre 2003 22

e le ong vengano valorizzate come strut-ture con un ruolo attivo per lo sviluppoumano del continente.I problemi sociali con cui oggi CaritasBulgaria si misura sono spesso il risultatodei cambiamenti e delle riforme avviatinel paese per rispettare i criteri di ammis-sione fissati dalla Ue. La Caritas mettespesso l’accento sulla necessità di svilup-pare i servizi sociali e l’assistenza medicaa domicilio, soprattutto per anziani e per-sone sole. Queste categorie sono le princi-pali vittime delle riforme del sistema sani-tario; gli anziani pagano anche la forteimmigrazione, che vede molti giovani (lo-ro figli) cercare la propria realizzazione al-l’estero.Altre preoccupazioni riguardano le tossi-codipenze, fenomeno purtroppo in cresci-ta a causa della mancanza di controllo daparte di uno stato che vede indebolite lesue strutture sociali, ma anche per unacattiva interpretazione dei concetti di li-bertà personale e democrazia.Buona parte del nostro lavoro è inoltreorientata all’assistenza sociale e psicologi-ca ai profughi. Inoltre lavoriamo con lepersone disabili, aprendo centri specializ-zati per il reinserimento sociale e lavorati-vo. Infine stiamo organizzando corsi dispecializzazione per i disoccupati, perchépossano affrontare le dinamiche del mer-cato del lavoro sia in Bulgaria che nell’Eu-ropa unita. ■

* segretario generale Caritas Bulgaria

normale: solo il 10,6% dellapopolazione supera questo in-dice, mentre il 22% vive inpovertà assoluta. La maggiorparte degli indigenti ha origi-ne turca o zingara.Sullo sfondo di questo pano-rama sociale, molti bulgari te-mono che l’integrazione nelleistituzioni europee possa ave-re effetti deleteri, soprattuttose i prezzi di luce, gas, acqua eservizi saranno armonizzati aquelli europei, mentre stipen-di e pensioni non subirannoanaloga evoluzione. Con l’a-desione all’Ue, in altre parole,la vita diventerà ancora piùdifficile?Caritas Bulgaria è una delle più attive ongdel paese nella fornitura di servizi socialie nell’impegno per la promozione dei di-ritti dei poveri e degli emarginati. Secon-do l’insegnamento della dottrina socialecattolica, auspica che l’adesione alla Uecomporti investimenti non solo nelle isti-tuzioni e nei processi economici, ma an-che nello sviluppo delle risorse umane,affinché l’Unione allargata consideri iflussi migratori come forza motrice e noncome minaccia, i cambiamenti economicinon abbiano conseguenze sociali negative

Caritas Bulgaria è stata fondata nel 1993 dalle tre organizzazionidiocesane preesistenti: Caritas Plovdiv, Caritas Russe e CaritasSofia. Attualmente è membro di Caritas Europa e CaritasInternationalis. Ha strutture in 19 località nel paese ecollaboratori in 8; conduce oltre 30 progetti attraverso le treCaritas diocesane e le 19 parrocchiali. Nelle sue strutture sonoimpegnati 98 operatori e più di 250 volontari.I servizi di Caritas Bulgaria sono erogati tramite cantine sociali ecucine mobili; gabinetti medici; assistenza a domicilio, assistenzasociale e medica; centri diurni e doposcuola per bambini egiovani; centri diurni per bambini disabili; centri di formazioneprofessionale per disoccupati; attività di integrazione sociale,insegnamento e sostegno per profughi. Per alcuni progettil’organizzazione lavora in partnership con Caritas Italiana, CaritasAmbrosiana e altre organizzazioni della famiglia di CaritasEuropa.

CARITAS: RETE DI SERVIZIESTESA A TUTTO IL PAESE

Assistenzadomiciliare

condotta daun’operatrice di

Caritas Bulgaria:è uno dei

principali impegnidella

organizzazione

23 dicembre 2003

«Dal primo “Rapporto sulla po-vertà in Europa” (dossier cu-rato da Caritas Europa, che

ha condotto uno studio statistico e de-scrittivo della condizione sociale nel con-tinente grazie ai contributi di 43 Caritasnazionali, ndr) emerge una fotografia del-la società e delle politiche sociali del vec-chio continente, alle prese con una distri-buzione sbilanciata delle risorse, con unaforte discriminazione femminile in ambi-to lavorativo e con tassi ancora alti dimortalità dei neonati». Denis Viénot, pre-sidente di Caritas Europa, ha portato consé questo bagaglio di preoccupazioni econsapevolezza, rappresentando a metànovembre la rete delle Caritas del conti-nente al Forum sociale europeo di Parigi.Con lui c’erano membri di alcune Caritaseuropee, tra cui quelle di Francia e Spa-gna, che hanno preso parte al dibattitocondotto da una molteplicità di organiz-zazioni non governative, associazioni cul-turali e movimenti popolari, impegnati adare forza a un pensiero e a proposte al-ternative a quelle delle istituzioni finan-ziarie mondiali.La parola d’ordine della seconda edizionedel Forum sociale europeo è stata élargis-sement. Ovvero “allargamento geografi-co”: al Forum c’era anche un numero im-portante di delegati, provenienti dall’Eu-ropa centrale e orientale e dai paesi delSud del mondo. Ma soprattutto “allarga-mento sociale”, per dare spazio a voci cheil dibattito pubblico generalmente ignorao deliberatamente esclude. Sono le vocidei sans: i “senza” casa, documenti, lavo-ro, gli abitanti dei quartieri ghetto natinegli anni dell’immigrazione magrebinaattorno alle grandi città industriali, che inFrancia chiamano cités. A differenza dellaprima edizione (Firenze 2002), i lavori del

Fse si sono svolti in tre siti diversi: Saint-Denis, Bobigny e Ivry-sur-Seine, tre citta-dine della cerchia metropolitana di Parigidove si trovano alcune delle cités più pro-blematiche di Francia. Il Forum ha costi-tuito un’occasione importante per coin-volgere persone e comunità che vivonoin condizioni spesso precarie e che subi-scono con maggior violenza le conse-guenze delle politiche liberiste e delle lo-giche securitarie. L’agenda del Fse ha de-dicato numerosi appuntamenti alle pro-blematiche connesse all’immigrazione, aldiritto al lavoro e alla cittadinanza, allalotta all’esclusione.

Il continente delle disparitàContro “l’Europa fortezza” i rappresen-tanti di oltre 60 paesi, in 55 sedute plena-rie, 300 seminari e centinaia di laboratori,hanno dibattuto di residenza per tutti, li-bertà di circolazione, eguaglianza dei di-ritti sociali, civili e politici, tentando ditracciare le linee guida di un’Europa de-mocratica dei cittadini e dei popoli. «AlForum – racconta Viénot – Caritas Europaha avuto modo di presentare la propriaposizione in materia di povertà, migrazio-ni e diritto d’asilo. Inoltre ha denunciatola distribuzione non equa delle risorse nelcontinente. Nel Regno Unito il 20% deiricchi possiede il 43% delle risorse dispo-nibili e il 20% dei poveri usufruisce sol-tanto del 6,6%: dati che, in termini disperequazione, superano quelli relativi aBielorussia, Croazia e Ucraina. In Turchia,paese candidato all’Unione, il 20% ab-biente ha a disposizione quasi la metàdella ricchezza (47,7%), mentre al 20%povero resta il 5,8%. Fra gli stati non can-didati, la disuguaglianza più evidente siverifica nella Federazione russa, dove il20% dei ricchi ha il 53,7% delle risorse: al

Caritas al Forum sociale:«Per un continente equo»

Sergio Spina

Unadelegazionedi CaritasEuropaha partecipatoa metànovembreall’iniziativadi Parigi,dedicataalla riflessionedei movimenticontrole guerree gli eccessiliberisti.Ha presentatole sue ricerchesulla povertàe lasperequazione.E chiestopolitiche control’emarginazione

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dicembre 2003 24

oltre 150 milioni di “nuovi po-veri”. Ma anche la recrudescen-za dei conflitti, compresi quellinell’Europa orientale, ha pro-vocato un aumento massicciodel numero di rifugiati, sfollati,richiedenti asilo e immigrati. Aquesto si aggiunge l’accelerazio-ne del processo di globalizza-zione, “occasione per una piùgrande ingiustizia”. Si sono, in-fatti, globalizzati anche “la trat-ta di esseri umani, il traffico distupefacenti e il terrorismo in-ternazionale”.

Le aspirazionidegli emarginatiIl Forum ha prodotto una moledi documenti che è presto persintetizzare. Ma è sicuro che ilconcetto “Un nuovo mondo èpossibile” è divenuto l’elemen-to ordinatore di esperienze, lot-te e ricerche molteplici, che mi-

rano a scardinare la gabbia in cui guerra eneoliberismo costringono l’umanità. Orai movimenti sono chiamati a uscire da unatteggiamento di resistenza per riproporreil tema della trasformazione, anche nellecosiddette “aree forti”, dove la precarietàsociale non riguarda più fasce specifiche,ma si generalizza e invade ogni momentodell’esistenza, estendendosi dai tempi dilavoro a quelli di vita. Una precarietà cherischia di compromettere ogni sovranitàpolitica, economica, sociale, culturale e disottrarre alla collettività beni essenziali edelementari come acqua, suolo, aria, ener-gia e cibo. «La missione di Caritas Europa– ha concluso Viénot – è far sì che ciascu-na persona possa partecipare, individual-mente o collettivamente, alla dimensionesociale, perché tutti abbiano riconosciutoil diritto a una vita degna e giusta. Il Fo-rum social europeo, con il suo spirito digiustizia e di fraternità, procede propriocon ambizioni di questa portata. Il suoimpatto contribuirà a prendere in consi-derazione le aspirazioni dei più emargina-ti. L’Unione Europea, indipendentementeda ogni difficoltà, dovrà definire le suenuove relazioni di solidarietà con i popolidei paesi europei non membri». ■

quinto dei più poveri ne resta appena il4,4%».Se le sperequazioni sono sempre più forti,anche la diffusione della povertà va cre-scendo. Considerando come soglia dellapovertà la metà del reddito medio, tra glistati membri dell’Unione la percentualepiù elevata della popolazione povera tra il1987 e il 1997 si è registrata in Italia(14,2%) e nel Regno Unito (13,4%): il no-stro paese e la Gran Bretagna totalizzanouna percentuale più alta di poveri rispettoanche a paesi come Repubblica Ceca, Un-gheria e Polonia. A partire dai risultati del Rapporto Caritas– che denuncia la carenza delle politichesociali per la protezione delle fasce piùdeboli della popolazione –, Viénot ha de-lineato alcune priorità: «L’accesso al lavo-ro e la lotta contro la discriminazione,l’aiuto economico per l’istruzione deibambini in famiglie disagiate e lo svilup-po di scambi economici e di solidarietàtra Europa dell’est e dell’ovest». Le causedella povertà in Europa – secondo il rap-porto di Caritas Europa – sono da ricerca-re nelle ripercussioni geopolitiche delcrollo dell’Unione Sovietica e del bloccodell’Est, che ha provocato l’emergere di

25 dicembre 2003

Si fa presto a dire riconciliazione. Mapoi bisogna attraversare gli spazid’ombra che incupiscono un dopo-

guerra. E non pretendere di scioglierne aogni costo tutte le contraddizioni: sareb-be artificioso, antistorico, al limite forierodi nuovi conflitti. Che invece bisognaprovare a trasformare. Con pazienza. Conil senso del limite. Con atteggiamenti divicinanza e cura. Che possono accompa-gnare traiettorie di dialogo, in società che– ha ricordato di recente il papa – hannobisogno di ponti, e non di muri.E di ponti ne sono caduti molti, in diecianni di guerre balcaniche. Alla vicendadel Kosovo manca l’emblema di un gran-de ponte distrutto. Ma non le trame do-lenti di innumerevoli storie di violenza,sopraffazione, deportazione, tortura, spa-rizione. Migliaia di persone, migliaia difamiglie lacerate per anni, magari persempre. Che nel travagliato dopoguerrahanno potuto ricostrui-re la casa, ma faticano arestaurare l’unità dellerelazioni che la abitava-no.A queste persone, e alleloro comunità, si è ri-volto l’impegno delprogetto Revivi, con-dotto da Caritas Italianaper sedici mesi (feb-braio 2002 - giugno2003) in nove munici-palità del Kosovo, gra-zie al cofinanziamentodell’Unione Europea. Ilprogetto (“Proposte perla riabilitazione di vitti-me di violenza, torturae punizioni crudeli”)aveva come destinatari

principali due categorie di persone: ex de-tenuti politici – generalmente albanesi re-duci dalle carceri serbe – e famiglie di per-sone scomparse – inclusi esponenti dellaminoranza serba, che hanno dovuto subi-re le vendette degli estremisti albanesi do-po la guerra Nato del ’99 –. A costoro Re-vivi ha offerto opportunità di riabilitazio-ne e reinserimento sociale: iniziative disostegno psicologico tramite l’attivazionedi gruppi di auto-aiuto; fornitura di at-trezzature, sementi e animali per riavviareattività agricole; percorsi di formazioneprofessionale; erogazione, solo quandonon era possibile fare altro, di aiuti d’e-mergenza. Ma il progetto ha cercato an-che di “costruire memoria”: ha registratotestimonianze, racconti, denunce (di cuiin queste pagine offriamo due brevi stralci)con l’intenzione di produrre un reperto-rio di dati e informazioni che scongiuri ilpericolo dell’oblio e al quale individui, fa-

Noi e le vittime dei Balcani«Trasformiamo i conflitti»

a cura dell’Area internazionale

Il progettoRevivi,condottoper sedicimesi inKosovo,si estendeadessoad altrerepubblichedella exJugoslavia.Settemilaindividuiraggiunti,tra exdetenutie famigliedi scomparsi.Ora si lavoracon leassociazionidelle vittime:«Aiutiamoa costruirereti didialogo»

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In questa immagine e nelle successive, scene dal dopoguerra in Kosovo

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miglie e comunità possono rifarsi, quan-do negoziano con istituzioni e organismiinternazionali la tutela dei loro diritti e ilrisarcimento per le sventure che hannodovuto patire. Da tanto sforzo nascerà an-che una pubblicazione, che vedrà la lucenei prossimi mesi.

Potenziale incendiarioIl lavoro svolto in Kosovo è stato sorpren-dentemente fitto: ha raggiunto 7.091 in-dividui e 896 famiglie, ha coinvolto 200persone nei gruppi di auto-aiuto, ha for-nito supporto per il lavoro agricolo a 259gruppi familiari, ha inserito 69 individuiin attività di formazione professionale, hastretto contatti con 16 associazioni di fa-miliari. Adesso si appresta ad ampliare gliorizzonti: senza abbandonare la provinciaa maggioranza albanese, avrà sviluppi(grazie a un nuovo finanziamento di circa300 milioni di euro, disposto dalla Cei)

anche in Croa-zia, Bosnia Er-zegovina e Ser-bia Montene-gro. «Nelle re-pubbliche exjugoslave –spiega MicheleCesari, respon-sabile del pro-getto – le for-me di auto-or-ganizzazionedelle vittime

della guerra e dei loro famigliari sono in-numerevoli. Queste persone si riunisconoper far circolare informazioni, fare lobbynelle sedi istituzionali, provvedere a qual-che forma di sostegno psico-sociale. Pri-ma il nostro approccio era bilaterale: so-stenevamo direttamente le vittime. Ades-so ci proponiamo di seguire uno schematrilaterale: il nostro compito (grazie ancheal coinvolgimento delle Caritas nazionali)sarà rafforzare le associazioni, perché sia-no più capaci di aiutare i loro aderenti».La scelta non intende burocratizzare ilprogetto. Non equivale a ritrarsi nellequinte. Al contrario: il lavoro con soggettiorganizzati mira a moltiplicare la capacitàdi aiuto e intervento a favore delle vitti-me, diffondendola tra coloro che le ferite

(…) Mio padre è stato rapito dai militari il 27 aprile 1999. Eramattina e come al solito ci eravamo alzati presto, per esserpreparati a scappare in fretta se la guerra fosse arrivata sottocasa. Papà addirittura non dormiva, da quando sapeva di esserefinito nella Lista.Uscendo di casa lo vidi dall’altra parte della strada, accigliato, chemi faceva dei gesti con le mani: «Arrivano i soldati». Mi disse dilasciar perdere le mucche, chiamare la famiglia e cominciare ariempire le valigie con quanto riuscivo a infilarci. Alle mie spalle,il villaggio di Korenica stava già bruciando.Nella casa vivevamo in 37: mia madre, i miei zii, tutti i mieicugini. Prima che riuscissimo a raggiungere papà fuori, nel cortilepiombò un automezzo blindato. Ne uscì un poliziotto alto almenodue metri che con un calcio sfondò la porta di casa.Senza parlare, mamma tirò fuori una decina di marchi tedeschi equalche dinaro. Lui rise forte e urlò di consegnargli i soldi chenascondevamo e le armi di papà. Mamma non sapeva cosa fare erimase zitta. Lui allora mi puntò la canna della pistola sulla frontee disse «Dimmi dove sono i soldi o ti ammazzo».Mentre rimanevo gelato tra sudore e lacrime, miamadre gli si mise di fronte. «Ma sei un uomo? –disse semplicemente, con voce ferma – Non haifigli a casa?» Quella frase sembrò toccarlo.Rinfoderò l’arma, e ci fece segno di lasciare tutto.«Andate in Albania», disse.Qualche ora dopo, stavamo attraversando i campiintorno al nostro villaggio. Papà ci aveva raggiuntiappena fuori dal centro abitato. Mentre decidevamola strada da prendere, ci si fecero incontro quattrouomini con cappelli e gradi da militari. Uno di lorotrasse dal taschino un foglio accartocciato. LaLista. «Ti stavamo cercando», salutarono miopadre. In due lo presero per le braccia e lo alzaronoquasi da terra. Prima di essere portato via, riuscì aguardarmi un’ultima volta: «Vai, figlio mio, e non avere paura».Non era la prima volta che il regime colpiva la nostra famiglia.Mio fratello era entrato nell’Esercito di liberazione del Kosovo eavevamo subito ripercussioni. Saremmo potuti scappare prima, maogni volta una sorta di calamita ci fermava i piedi. Appena fupossibile però tornai in Kosovo. Trovai tutto distrutto. La natura eratornata selvaggia come se l’uomo non avesse mai messo piede suquelle terre. Cominciammo a lavorare su quelli che un tempoerano stati i nostri campi. Non posso descrivere quello chetrovammo, semiseppellito e mezzo divorato dagli animali: ossaumane, denti, divise ridotte a brandelli. E ovunque, nefasti einvadenti, i bossoli dei proietti. Tutte le pallottole avevano lasciatoun cadavere. Erano più delle pietre.Attualmente, sei miei familiari sono dispersi. Io e quattordici mieicugini siamo orfani. Vorremo sapere dove sono i nostri congiunti,o almeno riavere i loro corpi per seppellirli. Vorrei anche scrivereun elenco con i nomi delle persone che ho visto sparire. Ma lorosu una lista ci sono già stati, e non credo vorrebbero tornarci. (…)

LA LISTA CHE INGHIOTTÌIL PADRE DI JETON

27 dicembre 2003

della guerra le sentono ancora bruciaresulla pelle. «Il nostro criterio d’azione –avverte Cesari – non è un vago richiamoall’esigenza della riconciliazione, ma èl’impegno per una concreta “trasforma-zione dei conflitti”. I Balcani ex jugoslavi,oggi, sono ancora focolaio di tensioni econtrapposizioni. Inutile nascondersi chele persone e le comunità cui ci rivolgiamosono esposte al vento dell’estremismo emagari del nazionalismo o della xenofo-bia: hanno pagato prezzi tragici, sono fa-cilmente strumentalizzabili per ragioni diconsenso politico o elettorale. Ma rappre-sentano anche una componente della so-cietà aperta al cambiamento individuale,comunitario e sociale. Il loro potenzialeincendiario può essere tramutato in prati-che di rinascita, dialogo, solidarietà e de-mocrazia».

Vittime che si parlanoSu questo poten-ziale, dunque, siscommette. Pro-vando a fornire oc-casioni di ritornoalla normalità, per-ché la povertà e l’e-sclusione non tra-scinino alla derivaanche coscienze eforme di espressio-ne collettiva. Epuntando sulrafforzamento del-le reti. «Pur molto diverse – conclude Ce-sari –, quando sono fatte colloquiare leassociazioni delle vittime riconoscono diessere portatrici di interessi comuni. Noici proponiamo di incrementare la rappre-sentatività di ciascuna organizzazione e lasua capacità di far emergere ed esprimerei reali bisogni dei suoi aderenti. Ma so-prattutto speriamo di aiutare ogni sogget-to a confrontarsi con altre realtà. Segni diavvicinamento, soprattutto in Croazia eBosnia, dove la guerra è finita da anni, or-mai si manifestano». Quando le vittimedell’uno e dell’altro campo proveranno aparlarsi, d’altronde, forse capiranno di es-sere state oggetto di un unico raggiro. Eallora riconciliazione apparirà una parolameno pretenziosa. ■

Sejdi Bellanica è stato arrestato il 23 maggio 1998 nella città diPrizren, insieme ad altri membri dell’Unione indipendente deglistudenti della High Pedagogic School, che frequentava.(…) Era un sabato, verso mezzogiorno, quando la polizia feceirruzione nel nostro ufficio per arrestarci. Dopo essere statotorturati, fummo spediti alla corte investigativa e, dopo unasettimana, tradotti in prigione. Lì sono rimasto da solo in cellaper un mese. Ogni giorno portavano in carcere nuovi prigionieri,di cui avvertivo solo le frequenti grida per le continue torture.L’accusa che mi è stata rivolta? Far parte dell’Uck (Esercito diliberazione del Kosovo), con il compito di formare nuove celleeversive e rifornirle di armi. Condannato a tre anni e mezzo, l’11settembre 1998 sono stato trasferito con gli altri compagnicondannati a Nis, in Serbia. Lì siamo rimasti per sette mesi,insieme ai prigionieri serbi, fino all’inizio dell’attacco Nato, il 24marzo ’99: quel giorno separarono serbi e albanesi, perché sisapeva ciò che stava per accadere.Furono giorni duri, perché ogni volta che risuonava l’allarme per

un attacco Nato le guardie venivano atorturarci tre, quattro volte al giorno. Inquel periodo, a causa delle condizioniigieniche, mi ammalai di tubercolosi.Il 29 aprile noi prigionieri fummo trasferitinella prigione di Dubrava. Il 19 maggioanche quella prigione venne bombardata.Due giorni dopo i militari ci portarono sulcampo di calcio e ci misero in fila.Iniziarono a sparare: oltre trentaprigionieri attorno a me morirono, io ealtri iniziammo a scappare cercando unrifugio. Rimanemmo nascosti fino al 24maggio, quando venne un ispettore pertrasferirci nella prigione di Nis: alla fine diquella settimana si contavano però oltre

130 morti e svariati feriti. A Nis non subimmo alcuna tortura, connostra grande sorpresa: ci dissero poi che era stato firmato iltrattato di pace.Fui rilasciato il 9 marzo 2001, insieme a dodici compagni, inseguito a un’amnistia. Eravamo liberi, ma senza casa e lavoro.Dopo un mese ho trovato lavoro in una scuola: andavo lì almattino e dedicavo il pomeriggio ai miei compagni di sventura,con cui avevo stretto forti legami. Ora sono tutta la mia vita, gliunici che possono capire ciò che ho passato in prigione. Durantela prigionia la mia famiglia è venuta a vistarmi poche volte aPrizren. A Nis è venuto solo mio fratello, dopo la guerra ho vistoqualche volta mia sorella. Mi portavano cibo, sigarette e vestiti,ma la maggior parte veniva rubata dalle guardie. Le istituzioniinvece ci hanno ignorato: solo la Croce Rossa Internazionale si èinteressata a noi, ma una volta tornati a casa nessuno ci haofferto aiuto. Ora sono insegnante di lingua albanese nella scuolasecondaria di Krusha. Un lavoro che mi appassiona, e che miaiuta a non dimenticare le mie origini e il mio passato. (…)

LE PRIGIONI E LE TORTURE,MA OGGI SEJDI INSEGNA

dicembre 2003 28

trenta milioni, vive proprio in Africa, cosìcome il 90% dei bambini sieropositivi omalati. Il dramma si concentra soprattut-to nella parte meridionale del continente(Zimbabwe, Botswana, Namibia, Lesothoe Swaziland), ma anche nell’Africa centra-le e orientale. In Asia sono colpite soprat-tutto le aree meridionale e sud-orientale,con 7 milioni e più di infettati (molti ac-certati solo di recente). Nessuno dei con-tinenti è comunque risparmiato dal virus:la più rapida crescita mondiale dell’epide-mia si è osservata, negli ultimi anni, inUcraina e nella Federazione Russa.

Nel corso del vertice sull’Aids tenu-to all’Assemblea generale delle Na-zioni Unite a New York lo scorso

22 settembre, l’Organizzazione mondialedella sanità ha dichiarato che la mancan-za di accesso ai farmaci contro il virus Hivrappresenta un’emergenza sanitaria a li-vello mondiale. Dall’anno scorso l’Oms èimpegnata nell’allestimento di un pro-gramma colossale (Three for five, “Tre percinque”), che ha l’obiettivo di metteresotto trattamento con i farmaci antiretro-virali, entro il 2005, tre milioni di perso-ne malate. Il 1° dicembre, Giornata mon-diale della lotta all’Aids, l’organizzazioneha reso noto un dettagliato piano strate-gico per la realizzazione dell’obiettivo:l’Oms interverrà dettando direttamente lastrategia in cinque paesi africani, mentrepromuoverà l’intervento in tutti gli altri.Unaids (l’ufficio delle Nazioni Unite perla lotta contro il virus) nel 2001 ha stima-to in più di 20 milioni le persone giàmorte a causa del virus a partire dalla sco-perta della malattia (all’inizio degli anniOttanta), in 13 milioni gli orfani sotto i15 anni, in più di 40 milioni le personeinfettate, circa un sesto delle quali (oltresei milioni) manifestavano tutti i sintomidello stadio conclamato (e inesorabile)della malattia. A fine 2002 la stima degliinfettati è salita a 42 milioni di uomini,donne e bambini.La situazione si presenta particolarmentetragica in alcune aree del mondo. Il Bot-swana nel 2020 avrà più adulti con un’etàtra i 60 e i 79 anni che tra i 40 e i 59 anni,decimati dal virus. Ma i dati sono pur-troppo (e incredibilmente) spesso sotto-stimati: alcune fonti sostengono che l’A-frica abbia già oggi 18 milioni di orfani daAids e che ne avrà 24 milioni nel 2010. Il70% circa degli infettati e malati, circa

Aids, un flagello epocaleche il mondo può battere

Guido Miglietta

non

solo

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Onu e Omsrilanciano

la lottaalla malattia

che contaoltre 40milioni

di infettatinel mondo.

Le cifre di undrammache oggi,tuttavia,

si puòtamponare

sul pianosanitarioe sociale.

A pattodi perseguire

politichedi equità.Nel segno

di unasolidarietà

davveroglobalizzata

Le immagini “sociali” e la considerazioneculturale della malattia sono profonda-mente mutate nel tempo. All’inizio deglianni ’80 la si descrisse come “malattia deigay”, poi come malattia degli slim (“gio-vani magri”: così all’inizio se ne parlò inAfrica orientale, dove colpiva ventenni etrentenni di entrambi i sessi), quindi co-me problema di coloro che avevano rice-vuto sangue delle trasfusioni, ancora co-me “punizione” di chi si iniettava droghescambiando aghi o siringhe, infine comemalattia dei bambini infettati durante lagravidanza, alla nascita o durante l’allat-tamento al seno.

L’impatto del cocktailDa alcuni anni, però, la terapia antietro-virale (Arvs), combinazione di farmaciche mira a sopprimere l’attività virale, hacancellato l’idea di ineluttabilità legata al-l’Aids. I farmaci antiretrovirali non sonoin grado di far scomparire il virus Hiv, malo riducono a livelli impercettibili. Con-servando l’integrità del sistema immuni-tario, gli effetti della cura sono sorpren-denti: portano al recupero fisico e consen-tono la vita sociale, migliorano qualità esperanza di vita. Negli Stati Uniti, dove siè cominciato a impiegare il cocktail di an-tiretrovirali nel 1996, la mortalità perAids è caduta del 70%. La grande sfida èora mettere a disposizione tale terapia, se-condo il principio di equità, a tutto ilmondo.Dal 1996 a oggi prima il Brasile, poi Bot-swana, Costa Rica, Cuba, Nigeria, Sene-gal, Thailandia e altri paesi hanno messoa disposizione le cure ai loro cittadini, an-che ai più indigenti, mentre i governi diHonduras e Panama hanno contribuito ariduzioni significative del prezzo. Un de-cisivo passo avanti sarà però possibile so-lo se l’Oms sarà messa in grado di centra-re gli “Obiettivi del millennio” delineatidall’Onu in ambito sanitario, combatten-do l’Hiv-Aids, oltre alla malaria e alle altremalattie della povertà (tubercolosi, affe-zioni respiratorie acute, malattie diarroi-che e morbillo).L’epidemia di Hiv-Aids rappresenta unasfida etica, oltre che sanitaria: colpiscetutto il pianeta, mettendo a repentagliolo sviluppo economico e umano di interi

popoli. Ma esiste un circolo vizioso trapovertà, sofferenza e virus. L’accesso disu-guale alle medicine di base è un’ingiusti-zia colossale. La risposta a questo drammaepocale reclama un coinvolgimento atti-vo delle vittime nei processi di cura e assi-stenza, lontano da una recezione passivadella benevolenza altrui.La mobilitazione deve però coinvolgeretutti i settori della società: responsabilitàevidenti spettano ai governi del sud e delnord del pianeta, ma anche alle istituzio-ne internazionali della salute e del com-mercio, sino ad arrivare alle aziende(spesso multinazionali) che producono ifarmaci, e che finora hanno badato piùalla protezione di brevetti e profitti chealla tutela della salute pubblica globale.Pure il volontariato e le chiese sono chia-mati a una risposta ispirata a verità, li-bertà e giustizia: i cristiani sono attesi ainiziative pastorali e di autentico servizio,ma anche a una denuncia profetica e a unannuncio di liberazione.Uno sforzo convergente chiede anzituttol’aiuto economico di tutti i paesi, un effi-cace impiego dei fondi mondiali per lalotta contro l’Aids, trattative con le multi-nazionali dei farmaci perché la difesa deibrevetti non pregiudichi cruciali esigenzedi salute pubblica. In questo settore, pri-ma che altrove, si dovrà sperimentarequanto è praticabile l’imperativo “globa-lizzare la solidarietà”. ■

29 novembre 2003

Caritas Italiana continua il suo impegno per affermare il dirittoalla salute collaborando con realtà ecclesiali in diversi paesi diAmerica Latina, Asia e Africa. Nel settore della lotta all’Aids,promuove e sostiene iniziative di formazione per la prevenzione ela cura della malattia in Eritrea, Kenya, Niger e Bolivia. L’impegnodella chiesa è stato ribadito dal cardinale Lozano Barragan,presidente del Pontificio consiglio per la pastorale degli operatorisanitari, che ha recentemente ricordato che il 25% dei servizi dicura per i malati di Aids è gestito dalla chiesa cattolica, il che fadelle chiese locali i principali alleati dei governi nella lotta controla malattia. L’Oms tiene regolari contatti con la rete mondialedelle chiese cristiane; a inizio ottobre ha incontrato a Ginevral’Ecumenical Pharmaceutical Network, di cui Caritas Italiana èmembro.

IL 25% DEI SERVIZI DI CURASONO DELLA CHIESA CATTOLICA

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Per andare oltre gli aspetti spettacolari e tra-gici di ciò che è accaduto e accade in Iraq,

può essere utile leggere due re-centi pubblicazioni: I mieigiorni a Baghdad di Lilli Gru-ber (pagine 324, Rai-Eri Riz-zoli, Milano 2003) e Tempidi guerra - Essere cristiani aBaghdad di Michele Zanzuc-chi (pagine 136, EdizioniCittà Nuova, Roma 2003).Il libro della Gruber – popo-lare giornalista tv e inviataspeciale del Tg1 – ripercor-re come in un diario perso-nale le tappe che hanno scandito la guerrain Iraq, definita il “primo grande conflittodel terzo millennio”. LilliGruber fa il suo mestiere direporter non solo lasciandoparlare i fatti, le persone e iluoghi visitati, ma cercandodi “dare ordine agli avveni-menti sparsi, assumendosiun rischio: quello di aprirela porta ai sentimenti”. Malo fa soprattutto interro-gandosi sulle ragioni e sul-le conseguenze di un in-tervento militare che sem-bra destinato a esasperare la situazione socio-politica e strategica della regione.Le pagine del secondo libro, invece, oltre aessere un documentato reportage sull’Iraq deldopo-Saddam, si soffermano in particolaresulla situazione della comunità cristiana.L’incontro dell’autore con monsignor Fer-nando Filoni (nunzio apostolico a Baghdad eAmman) e con monsignor Emmanuel-KarimDelly (vescovo emerito della capitale irache-na per la Chiesa caldea, uno dei massimiesponenti della cristianità nel paese), ma so-prattutto il dialogo con i cristiani del luogoaiutano a conoscere la vita, le paure, le spe-ranze e i piccoli-grandi eroismi di questa co-munità.

Madre Teresa di Calcutta ha vissuto e an-nunciato la carità, radicando la sua testi-

monianza su due frasi del Vangelo: “Ho sete” e“Lo avete fatto a me”. Ancorato a queste frasi èil ritratto autentico e fedele che il cardinalePio Laghi ha tracciato della nuova beata, nellibro Madre Teresa di Cal-cutta – Il Vangelo in cin-que dita (pagine 151, Edb,Bologna 2003), apparsonelle librerie in occasionedella beatificazione.Madre Teresa, donna sco-moda, originalissima te-stimone dell’amore “as-soluto” di Dio, secondomonsignor Laghi inse-gna alla chiesa di Cristoa “essere Chiesa della ca-rità”. Che deve essere,però, una carità “universale”, per tutti e perciascuno: “Quello che ci deve stare a cuore èl’essere umano, gli uomini uno per uno”, indi-pendentemente dal fatto che essi siano cre-denti o non credenti, indù, musulmani o cri-stiani.E sulle orme di Madre Teresa, Laghi incalza:“Tutta una gamma di comportamenti caritati-vi non ci debbono più appartenere: carità co-me passatempo, come calcolo e semplice pro-selitismo, come gesto funzionale alla riparazio-ne dei nostri guasti; carità come brevetto dibuona coscienza per quanti hanno dato unamano all’ingiustizia; carità come beneficenza,come surrogato della giustizia; né può bastarela carità come sostegno dato ai nostri (quellidella nostra fede), o la carità come istituziona-lizzazione delle nostre opere di assistenza”.Tutto ciò che Madre Teresa ha vissuto, testi-moniato e lasciato scritto, per noi credenti eoccidentali benpensanti, suona come un ri-chiamo, una provocazione e una sfida. E pertutti gli uomini di buona volontà può rappre-sentare un disinteressato invito a un serio esa-me di coscienza. Il libro di Laghi ne è un docu-mento ineccepibile e inappuntabile.

LIBRI

Cosa succede in Iraq?Le ragioni e i sentimenti,la fatica di essere cristiani

Il Vangelo in cinque dita:la fede di Madre Teresa ela via autentica della carità

di Francesco Meloni

31 dicembre 2003

INTERN

ET

Con il 2003 si chiude an-che l’anno europeo del-

la disabilità. Il web ospitasempre più siti dedicati aquesto tema. Tra essi spiccawww.disabili.com, il pri-mo progetto online in Italiainteramente dedicato ai di-sabili e a quanti operanonel settore. Visitato ognimese da migliaia di naviga-tori, offre un luogo di in-contro e discussione, conchat e forum, oltre ad ag-giornamenti e consulenzesul mondo della disabilità.Periodicamente la redazio-ne cura speciali pensati peragevolare i navigatori, for-nendo notizie “semplifica-te”, nel caso delle normati-ve, e “testate”, nel caso distrutture o località accessi-bili. Disabili.com offreinoltre spazi gratuiti alleattività non profit delle as-sociazioni: una visibilità ef-ficace, come testimonia ilfatto che il sito si è aggiu-dicato il Premio www 2003,istituito da Il Sole 24 Ore.Uno stralcio della motiva-zione che ha indotto lagiuria a premiare la testatapadovana: «Caratterizzatoda un chiaro taglio di servi-zio. Di particolare rilievol’apertura al mondo asso-ciativo.Sviluppato con semplicità,favorisce una reperibilitàimmediata dei contenuti edei servizi».

Disabili: un sitodi grande efficacianell’Anno europeo

di Danilo Angelelli

Il papa ha rinnovato l’appel-lo a costruire ponti e non

muri. La Lucerna, associazio-ne di volontariato che si oc-cupa di intercultura, cerca difarlo anche attraverso le fia-be. Un ponte di fiabe (edizio-ni Sinnos, Roma, pagine 192,euro 10) è un’antologia diracconti dalla viva voce diimmigrati di 30 paesi: dal Ca-merun alle Filippine, dal Ko-sovo all’Ecuador, dal Pakistanalla Palestina.Un giro delmondo sempli-ce e delicato co-me sanno esser-lo le fiabe, perentrare piùprofondamen-te in comuni-cazione conculture diver-se e assapo-rarne la ricchezza. I destina-tari del volume non sono di-rettamente i bambini, ma glioperatori di scambi intercul-turali. Per questo GiulianaMartirani, docente di geogra-fia dello sviluppo, accompa-gna il lettore in ogni raccon-to, proponendo un paradig-ma di attualità e la scansione– di proppiana memoria – deiconflitti e della risoluzione,didatticamente evidenziatada opportune sottolineaturegrafiche. Un ponte di fiabecome un arcobaleno di pace,che affonda le radici nell’an-tica tradizione orale per arri-vare alle sfide della globaliz-zazione e ai conflitti che at-traversano il nostro tempo.

Ponti di fiabeper capireil nostro mondo TV

L’orario non è dei più faci-li, specialmente perché i

bambini, dopo una settima-na di “levatacce” per la scuo-la, forse la domenica amanodormire un po’ di più. Ma sesono particolarmente matti-nieri, Raitre ha una sorpresadecisamente educativa pertutti loro. La sorpresa si chia-ma Andrea Tuttestorie, ilcontenitore che inizia alle 7 esi protraefino alle9.10.Nel con-tenito-re, ilcartoneanima-to “Lestorie diAnna”, una serie tut-ta italiana in 26 episodi da12 minuti ciascuno. La picco-la Anna è una narratrice fan-tastica: raccontare è la suadote. Nonostante una malat-tia l’abbia immobilizzata sul-la sedia a rotelle, la sua vo-glia di vivere è rimasta im-mutata.Con tanta immaginazione,ottimismo e una sensibilitàspeciale riesce a compensarel’handicap e a vivere una vitasimile a quella dei suoi coeta-nei, che amano riunirsi in-torno a lei per ascoltare i suoiracconti. Dispiace per l’orariodi messa in onda, ma siamocomunque davanti a un belsegno di attenzione al mon-do dell’infanzia: “Le storie diAnna” è il cartone che man-cava.

Andrea Tuttestorie:fantasie a cartonidella piccola Anna

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,stampa e spedizione di Italiacaritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:Caritas Italiana – c.c.p. 347013 – viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma – sito internet: www.caritasitaliana.it

www.creativisinasce.it

Realizzato daFRANCESCA PELLEGRINI, ADRIANA BOZZI, ALESSIA D’ALONZO, DAVIDE FORESI,

ANDREA FENILI, GIORGIA GALLI, NICOLETTA IODICE, MANUEL RODRIGUEZ, MATTIA TOALDOUniversità “La Sapienza” Roma

3° premio sezione Manifesti