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12 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 18 GIUGNO 2017 Orizzonti Nuovi linguaggi Occupazioni Una società ha realizzato una piattaforma di intelligenza artificiale per uffici, call center, help desk aziendali. Lavora h24, conosce 40 lingue e impara dall’esperienza. Abbiamo parlato con Lauren Hayes, che le ha dato il volto di ALESSIA RASTELLI L auren contro Lauren (o meglio, Amelia). Lo scorso primo giugno a New York, davanti a oltre quat- trocento manager in giacca e cra- vatta, è andata in scena una sfida che sa di — prossimo — futuro. Sul palco c’erano Lauren Hayes, 27 anni, modella da quando ne aveva 13, vicepresidente di una startup dedita ai preparati vitaminici, e — stessi capelli raccolti, identica giacca ne- ra, analoghe espressioni del viso — il suo avatar virtuale Amelia. «Al pubblico — racconta Lauren a “la Lettura” — era stato chiesto di porci do- mande su un qualunque argomento. La scelta è caduta sull’internet delle cose. Io ho provato a rispondere, insieme con le persone sul palco, leggendo un articolo di Wikipedia da un iPad, Amelia aveva già digerito l’intera voce dell’enciclopedia online e rispondeva da sola». Il summit, dal titolo Digital Workforce («Forza lavoro digitale»), è stato organiz- zato da Ipsoft, compagnia statunitense specializzata nell’automatizzazione delle aziende e nelle tecnologie cognitive. Pro- prio come Amelia, piattaforma di intelli- genza artificiale dalle sembianze umane — Lauren le ha prestato il volto, il corpo, le emozioni — messa a punto dalla socie- tà americana dopo aver studiato per 15 an- ni il nostro cervello. Risultato: un’efficien- tissima impiegata digitale, un’«agente virtuale» che appare sullo schermo del computer o dello smartphone, proposta da circa un anno alle aziende (incluse quelle italiane) dalla multinazionale della consulenza Accenture e presentata all’in- zio di questo mese a Manhattan in una nuova versione 3.0. Una risorsa instanca- bile, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che ha già iniziato a impensierire centralinisti e la- voratori dei call center, ma anche addetti al servizio clienti o degli help desk interni alle aziende, consulenti nelle assicurazio- ni, nelle banche, nel settore turistico e in loni ma di Amelia mi ha impressionato quanto i suoi gesti replichino i miei. Mi ri- conosco, è come se mi avessero disegna- to, come se l’avatar fosse una visione alte- rata di me, con gli occhi e la bocca che sembrano più larghi». Se la propria espressione impressa in un manifesto re- sta inoltre fissa, non altrettanto accade con i sorrisi, i musi lunghi, gli occhi sgra- nati che Amelia può potenzialmente usa- re, quando algoritmo comanda, in miglia- ia di conversazioni contemporanee, con voci diverse, negli uffici di tutto il mondo. Lauren però non si sente derubata di se stessa: «Amelia userà i miei gesti, ma si comporterà in modo professionale, non sono preoccupata». Né la modella teme di contribuire ad alimentare lo stereotipo (il rischio c’è) dell’assistente sempre donna, giovane e bella, in un’epoca in cui le lavo- ratrici fanno ancora fatica a far valere il merito e arrivare ai vertici: «L’avatar è in primo luogo amichevole e professionale. Nati a Seattle, i Fleet Foxes sono i depositari del new-folk, hanno in tasca la foto di Dylan e Young e non pensano alla classifica, scrivono canzoni dal fascino anni Settanta. Due soli dischi, 6 anni dopo ora arriva Crack-Up: songwriting di qualità, ancora mandolini e chitarra acustiche, sonorità country rock e cori degni di Crosby, Stills & Nash e dei Beach Boys. Sempre fuori dalle mode e sempre dentro il tempo: il loro tempo (il 3 luglio saranno a Ferrara, unica data italiana). La macchina del tempo dei Fleet Foxes { Incisioni di Renzo Matta L’ avatar della modella fa l’ impiegata L’immagine Nella foto grande: a sinistra Lauren Hayes, 27 anni. Modella e vicepresidente della startup Ritual, specializzata in preparati vitaminici, vive in California, a Los Angeles, ed è stata scelta dalla compagnia americana Ipsoft per essere il volto dell’intelligenza artificiale Amelia. L’avatar è a destra nell’immagine quello farmaceutico, dove viene speri- mentata. «Per la precedente Amelia — racconta Lauren — ho posato all’interno di una struttura a cupola che sembrava la Morte Nera, la stazione da battaglia spa- ziale di Star Wars, con centinaia di fotoca- mere digitali e io seduta al centro. Un paio di mesi fa, invece, sono stata in Serbia per il nuovo avatar, che verrà lanciato nella se- conda parte dell’anno, sempre nell’ambi- to della versione 3.0. La tecnica è stata il motion capture: ho indossato una tuta che registrava i movimenti del corpo. Ave- vo marker, rivelatori a forma di sfera, ovunque sul viso e un casco che memoriz- zava ogni mia espressione». Amelia deve risultare familiare a chi la usa. «Sono stata scelta tra altre modelle perché avevo un volto amichevole», dice Lauren, protagonista anche lei, nel suo ambito, di una nuova frontiera: lavorare come immagine di un’intelligenza artifi- ciale. «Sono abituata a vedermi sui cartel- Grazie a Main Sponsor Sponsor Sponsor tecnico PLATINUM PARTNER Con il Patrocinio di 04/11/2016 – 15/10/2017 www.robertwilsontales.it VILLA PANZA VARESE

Nati a Seattle, i Fleet Foxes sono i depositari del ... · quelle italiane) dalla multinazionale della consulenza Accenture e presentata all'in- ... scrivono canzoni dal fascino anni

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12 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 18 GIUGNO 2017

Orizzonti Nuovi linguaggi

Occupazioni Una società ha realizzato una piattaforma di intelligenza artificiale per uffici, call center, help desk aziendali. Lavora h24, conosce 40 lingue e impara dall’esperienza. Abbiamo parlato con Lauren Hayes, che le ha dato il volto

di ALESSIA RASTELLI L auren contro Lauren (o meglio,Amelia). Lo scorso primo giugnoa New York, davanti a oltre quat-trocento manager in giacca e cra-vatta, è andata in scena una sfida

che sa di — prossimo — futuro. Sul palcoc’erano Lauren Hayes, 27 anni, modella daquando ne aveva 13, vicepresidente di unastartup dedita ai preparati vitaminici, e —stessi capelli raccolti, identica giacca ne-ra, analoghe espressioni del viso — il suoavatar virtuale Amelia.

«Al pubblico — racconta Lauren a “laLettura” — era stato chiesto di porci do-mande su un qualunque argomento. Lascelta è caduta sull’internet delle cose. Ioho provato a rispondere, insieme con lepersone sul palco, leggendo un articolo diWikipedia da un iPad, Amelia aveva giàdigerito l’intera voce dell’enciclopedia online e rispondeva da sola».

Il summit, dal titolo Digital Workforce(«Forza lavoro digitale»), è stato organiz-

zato da Ipsoft, compagnia statunitensespecializzata nell’automatizzazione delleaziende e nelle tecnologie cognitive. Pro-prio come Amelia, piattaforma di intelli-genza artificiale dalle sembianze umane— Lauren le ha prestato il volto, il corpo,le emozioni — messa a punto dalla socie-tà americana dopo aver studiato per 15 an-ni il nostro cervello. Risultato: un’efficien-tissima impiegata digitale, un’«agente virtuale» che appare sullo schermo delcomputer o dello smartphone, propostada circa un anno alle aziende (inclusequelle italiane) dalla multinazionale dellaconsulenza Accenture e presentata all’in-zio di questo mese a Manhattan in unanuova versione 3.0. Una risorsa instanca-bile, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che ha giàiniziato a impensierire centralinisti e la-voratori dei call center, ma anche addettial servizio clienti o degli help desk internialle aziende, consulenti nelle assicurazio-ni, nelle banche, nel settore turistico e in

loni ma di Amelia mi ha impressionatoquanto i suoi gesti replichino i miei. Mi ri-conosco, è come se mi avessero disegna-to, come se l’avatar fosse una visione alte-rata di me, con gli occhi e la bocca che sembrano più larghi». Se la propriaespressione impressa in un manifesto re-sta inoltre fissa, non altrettanto accadecon i sorrisi, i musi lunghi, gli occhi sgra-nati che Amelia può potenzialmente usa-re, quando algoritmo comanda, in miglia-ia di conversazioni contemporanee, convoci diverse, negli uffici di tutto il mondo.

Lauren però non si sente derubata di sestessa: «Amelia userà i miei gesti, ma sicomporterà in modo professionale, non sono preoccupata». Né la modella teme dicontribuire ad alimentare lo stereotipo (ilrischio c’è) dell’assistente sempre donna,giovane e bella, in un’epoca in cui le lavo-ratrici fanno ancora fatica a far valere ilmerito e arrivare ai vertici: «L’avatar è inprimo luogo amichevole e professionale.

Nati a Seattle, i Fleet Foxes sono i depositari del new-folk, hanno in tasca la foto di Dylan e Young e non pensano alla classifica, scrivono canzoni dal fascino anni Settanta. Due soli dischi, 6 anni dopo ora arriva Crack-Up: songwriting di qualità,

ancora mandolini e chitarra acustiche, sonorità country rock e cori degni di Crosby, Stills & Nash e dei Beach Boys. Sempre fuori dalle mode e sempre dentro il tempo: il loro tempo (il 3 luglio saranno a Ferrara, unica data italiana).

La macchina del tempo dei Fleet Foxes

{Incisionidi Renzo Matta

L’avatar della modellafa l’impiegata

L’immagineNella foto grande: a sinistra Lauren Hayes, 27 anni. Modella e vicepresidente della startup Ritual, specializzata in preparati vitaminici, vive in California, a Los Angeles, ed è stata scelta dalla compagnia americana Ipsoft per essere il volto dell’intelligenza artificiale Amelia. L’avatar è a destra nell’immagine

quello farmaceutico, dove viene speri-mentata. «Per la precedente Amelia —racconta Lauren — ho posato all’internodi una struttura a cupola che sembrava laMorte Nera, la stazione da battaglia spa-ziale di Star Wars, con centinaia di fotoca-mere digitali e io seduta al centro. Un paiodi mesi fa, invece, sono stata in Serbia peril nuovo avatar, che verrà lanciato nella se-conda parte dell’anno, sempre nell’ambi-to della versione 3.0. La tecnica è stata il motion capture: ho indossato una tuta che registrava i movimenti del corpo. Ave-vo marker, rivelatori a forma di sfera,ovunque sul viso e un casco che memoriz-zava ogni mia espressione».

Amelia deve risultare familiare a chi lausa. «Sono stata scelta tra altre modelleperché avevo un volto amichevole», dice Lauren, protagonista anche lei, nel suoambito, di una nuova frontiera: lavorarecome immagine di un’intelligenza artifi-ciale. «Sono abituata a vedermi sui cartel-

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VILLA PANZAVARESE

DOMENICA 18 GIUGNO 2017 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 13

Sono orgogliosa sia una donna. È capace,sveglia, una pioniera. Il suo nome è ispira-to all’aviatrice Amelia Earhart».

L’agente virtuale di Ipsoft, che parla fi-nora 40 lingue, è in grado di dialogare congli esseri umani in modo piuttosto natu-rale, di spaziare tra diversi argomenti nel-la stessa conversazione e di capire lo statod’animo dell’interlocutore (in un modoche ricorda il film Her di Spike Jonze),adattando il tono della risposta. Caratteri-stiche che rendono Amelia adatta a inte-ragire con il pubblico. Ma non solo. Il suo«cervello» apprende dall’esperienza; è do-tato di una memoria semantica in cui ac-cumula fatti, concetti e associazioni; sagestire grandissime quantità di dati econnettersi ad altre piattaforme del-l’azienda: informazioni in base a cui fa va-lutazioni e dà pareri. Nelle assicurazioni enella banche, ad esempio, sulle polizze osui mutui. Il prezzo di base per averla, cuivanno aggiunte le implementazioni, variada 500 mila a un milione di euro.

Tra chi ha sperimentato Amelia nelproprio help desk ci sono la compagniaamericana di tecnologie mediche BectonDickinson e, in Svezia, l’istituto di creditoSkandinaviska Enskilda Banken (Seb).Qui, nelle prime tre settimane, l’intelli-genza artificiale ha risposto a 4 mila chia-mate di 700 impiegati e, nelle ore di mag-giori richieste, il tempo per resettare unapassword è sceso da 20 a 4 minuti. Il gi-gante dei videogiochi Electronic Arts faparlare Amelia con i clienti, addestrando-la a bloccare gli attacchi phishing, ovverole truffe su internet in cui si viene indotti afornire dati personali e codici. Mentre lacompagnia di assicurazioni Fortune 100usa l’avatar per formare e aggiornare isuoi agenti in carne e ossa.

«Non credo che Amelia sia più intelli-gente di me — dice Lauren — ma lei puòcercare informazioni su fonti multiple inpochi secondi». Nell’era dell’intelligenzaartificiale, «l’uso della conoscenza diven-terà una commodity, una merce a disposi-zione», osserva Marco Morchio, respon-sabile di Accenture Strategy per Italia, Eu-ropa centrale e Grecia. «Sarà il cosa farse-ne a non poter essere rimpiazzato, eresterà in mano all’uomo». Dei lavori difatica o ripetitivi — ma anche della ge-stione delle nozioni — potranno dunqueoccuparsi Amelia e i suoi colleghi, ma«non saranno altrettanto competitivi intermini di creatività e imprenditorialità»,sostiene il top manager, alla guida dellastruttura di Accenture che definisce lestrategie di integrazione delle tecnologienel business. La stessa che propone Ame-lia in Italia, «al momento in inglese, vistoche non c’è ancora nella nostra lingua».

L’agente virtuale di Ipsoft è un esempiodi quanto non solo gli operai ma anche gliimpiegati si sentano a rischio. Se davvero,come annunciato l’anno scorso al WorldEconomic Forum di Davos, da qui al 2020fattori tecnologici e demografici porte-ranno una perdita di 7,1 milioni di posticontro la creazione di 2,1 milioni di nuovi.

«Come tutte le trasformazioni — osser-va Morchio — anche questa va gestita. Leaziende devono formare i singoli connuove competenze. Poi, accelerare il cam-biamento dei modelli operativi e di busi-ness: non solo fare le cose in modo auto-matico ma mutare l’intero sistema. Lacombinazione di questi fattori può di-mezzare il rischio occupazionale». D’ac-cordo sulla necessità di «regole sovrana-zionali, su temi come la tassazione e laproduzione, in un’ottica di sostenibilitàeconomica e sociale delle tecnologie co-me i robot», Marchi dissente invece dachi, come Elon Musk o Stephen Hawking,teme che possano arrivare a distruggere laspecie umana: «Viviamo nel decennio incui si realizzerà l’interazione uomo-mac-china. Dilagherà in 20-30 anni e avrà unimpatto dirompente, ma siamo distantidal dominio dell’intelligenza artificiale».

«Al summit di Ipsoft c’era il professoredi Oxford Nick Bostrom, che sostiene lanecessità di politiche per proteggerel’umanità dalle “super intelligenze”. Ne hagià suggerite diverse e io sono ottimista,mi piace pensare che la tecnologia cam-bierà il mondo in meglio» sostiene Lau-ren, incinta al quinto mese. E sicura che«questo, almeno, Amelia non riuscirà afarlo molto presto».

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Oltre Siri La generazione recente di dispositivi abbandona gli smartphone e punta su una dimensione domestica

La segretaria vocale ha trovato casadi PIETRO MINTO

«P er decenni la tecnolo-gia ci ha stuzzicato conun sogno in cui sarem-mo stati in grado diparlarle. Lo abbiamo

visto promettere molte volte, ma il sognonon si è mai avverato». Philip Schiller èun volto noto ai fan della Apple: dal ritor-no di Steve Jobs in azienda nel 1997 è statauna presenza fissa dei keynote che hannofatto la storia della Mela. La frase citata ètratta da un evento del 2011 in cui Schillerpresentò un nuovo prodotto per iPhone:un assistente vocale chiamato Siri. Il so-gno si era finalmente avverato.

Sono passati appena sei anni e quel-l’innovazione, così stupefacente per il pubblico d’allora, appare oggi normale ainostri occhi. Nel frattempo a Siri si sonoaccostati altri prodotti simili per altri si-stemi operativi, da Google Assistant a Cortana di Microsoft; e oggi Apple, che fupioniera del settore, si trova a inseguireuna concorrenza sempre più agguerrita.A cambiare è stato anche il nostro rap-porto con la voce. L’idea di usare uno smartphone per attivare l’assistente voca-le è stata superata da un nuovo tipo di di-spositivo pensato per un luogo più vastoe intimo: la nostra casa.

La prima azienda a capire le potenziali-tà di un assistente vocale casalingo è stataAmazon con il suo Echo, un cilindro nerocon una strisciolina luminosa, un orec-chio pronto a rispondere alle domande di chi lo risveglia chiamandolo per no-me: in questo caso Alexa, non Siri. Lastrategia di Echo è stata rivoluzionaria:eliminando tastiera e schermo dall’equa-zione, Amazon non ha più bisogno di un’interfaccia visiva e ha creato un ogget-to con cui parlare e basta. Un cilindro chedà risposte, consigli sul meteo, suonamusica e può persino leggere audiolibri.Quello che sembrava essere il punto de-bole di Amazon — il fatto di non essere

un produttore di smartphone di successocome Apple e Google — si è rivelato unasso nella manica del colosso di Seattle:perché gli assistenti vocali devono aver bisogno di un telefono, quando è la casail loro habitat naturale? E perché tirarli fuori dalla tasca quando possono esseresempre lì, pronti a risponderci?

La corsa è quindi cominciata. Googleha risposto presto con Google Home, di-spositivo simile, e ai primi di giugno, do-po mesi di anticipazioni, è arrivata anche

Apple con HomePod. Quest’ultimo, in li-nea con la tradizione di Cupertino, ha unprezzo molto più alto rispetto alla con-correnza (349 dollari contro i 179 di Echoe 129 di Google Home), differenza cheviene giustificata con una migliore resaaudio. Tuttavia in questo settore le speci-fiche tecniche o i dettagli estetici sonoquasi secondari: il dispositivo non ha bi-sogno di enorme potenza e deve al massi-mo fungere da arredo. A fare la differen-za è la capacità dell’intelligenza artificialee del riconoscimento vocale del sistema:un campo in cui Siri sembra accusare pa-recchi colpi, specie contro Alexa, ad oggiil più veloce e preciso degli assistenti vo-cali.

Il peso dell’intelligenza artificiale nelsettore vocale è notevole, tale da bloccaresul nascere la concorrenza di start up in-dipendenti che non possono contare sul-le possibilità di investimento dei soliti gi-ganti — Facebook, Google, Amazon, Ap-ple —, tutti non a caso molto concentratisullo sviluppo del settore. O meglio, tuttitranne Apple. Come ha scritto l’analistaMarco Arment, «Amazon, Facebook eGoogle — soprattutto Google — hannoinvestito moltissimo in servizi web basatisu big data e intelligenza artificiale permolti anni, dando loro altissima priorità.Oggi stanno scommettendo tutto sul set-tore, sperando che saranno i servizi attor-no ai quali costruiremmo i dispositivi delfuturo. Se hanno ragione a farlo, (...) allo-ra sono preoccupato per Apple».

Che il colosso di Cupertino sia davveropreoccupato? Probabilmente no, anchese il suo HomePod è stato presentato uf-ficialmente sei mesi prima della sua mes-sa in vendita. Un anticipo sospetto con cui Apple sembra voler annunciare almondo di essere ancora in gioco — e diessere pronta a entrare nelle nostre case.

@pietrominto© RIPRODUZIONE RISERVATA

ILLUSTRAZIONEDI ANNA RESMINI