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Nell’anno 1612 uno tra i più temuti samurai “MAYMOTO MUSASHI” · monaci di praticare le arti marziali e stabilì come prima regola la ... SHI-ZONG usufruì dei monaci shaolin

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Nell’anno 1612 uno tra i più temuti samurai “MAYMOTO MUSASHI” affrontò un altro grande samurai “SASAKI KOJIRO”.

I due erano i più grandi dell’epoca e il duello era atteso da tempo.

MUSASHI, per affrontare il duello, usò la calma e la forza del suo

spirito; KOJIRO invece, ripose fiducia solo nella sua grande forza fisica

e nella sua tecnica perfetta, alla fine l’incontro fu vinto da MUSASHI

grazie alla sua forza spirituale.

Perché iniziare una tesi riportando semplicemente un episodio relativo

ad un duello?

Vi sono molteplici esempi in cui la forza di volontà e la spiritualità si

oppongono con risultati positivi alla mera forza bruta.

Tutto nasce intorno al 3730 a.C., in una terra tra il fiume Indo e il fiume

Gange, l’attuale India, all’epoca della dinastia SUDA e della

BATTAGLIA DEI RE.

Che la scienza marziale discenda da esseri divini è ampiamente

dimostrato anche dall’iconografia vedica che raffigura le forme divine

munite di molteplici braccia che brandiscono altrettante armi. Ad

esempio: SRI VISNU ha quattro braccia, regge quattro simboli sacri: il

disco, la mazza, la conchiglia e il fiore di loto.

Tramite i VEDA (Sacri Testi ) si viene a conoscenza anche della Dea

PADMAVATI dalle diciotto braccia che impugnano le originali armi

vediche, da cui derivarono le diciotto armi di SHAOLIN; della divinità

SRI BALARAMA la quale regge nelle due mani la mazza e la piccozza.

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Tutto questo è concentrato nell’antica arte marziale “DHANURVEDA”

da cui partirono tutte le forme di arti marziali sparse per il mondo.

Queste formidabili tecniche marziali erano combinate con i poteri mistici

dello YOGA. Ancora oggi gli Indiani del nord si divertono in tornei di

lotta chiamati DHANUR YAJNA, molto popolari anche cinquemila anni

fa.

Al tempo dell’apparizione di BUDDHA (VI Sec. a.C.) la cultura Vedica e

le sue nobili arti avevano subito una grave degenerazione nei valori

morali e spirituali. Rimasero a tramandare ciò che rimaneva nella

disciplina mistica del DHANURVEDA i guerrieri del piccolo regno di

MANIPUR, e su larga scala i monaci buddhisti.

Sebbene il buddhismo che predica la non violenza fino al

vegetarianesimo, e l’arte marziale possono sembrare incompatibili, ogni

cosa ha la sua ragione d’essere ed il saggio sa usare tutto

appropriatamente. Gli insegnamenti di Buddha ponevano l’accento

sull’importanza della forza per la difesa delle leggi spirituali. Per questo

alcune divinità buddhiste come i Deva e gli Aditya, sono sempre

rappresentati in posizioni marziali.

In Cina sorgeva sul monte Song, un tempio chiamato SHAOLIN, in cui

vivevano monaci dediti al ritiro spirituale. Avvenne che nel 498 d.C., con

l’arrivo del monaco indiano buddhista di nome BUDDHABHADRA, si

ebbe una rivoluzione in senso marziale delle arti coltivate in questo

monastero.

BUDDHABHADRA iniziò dunque l’opera della divulgazione della

dottrina buddhista traducendo le sacre dottrine indiane, accanto alle

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dottrine religiose introdusse anche nozioni marziali. Si formarono quindi

monaci dediti alle arti marziali, due dei quali, HUI-GANG e SENG-

CHOU specializzati rispettivamente nei due stili ROU-QUAN (forza

fluida che crea il pugno morbido) e nello stile esterno YING-QUAN

(forza rigida che crea il pugno duro). Il discepolo SENG-CHOU fu il

primo religioso di SHAOLIN che divenne esperto nelle arti marziali.

Succedendo a BUDDHABHADRA, SENG-CHOU permise a tutti i

monaci di praticare le arti marziali e stabilì come prima regola la

selezione degli studenti, i quali non dovevano abusare delle loro abilità

personali per aggredire i deboli e mai ostentare la propria forza. È in

questo periodo che risale la creazione di molte tecniche marziali, come

la famosa tecnica di bastone denominata “il metodo della doppia pelle

di tigre”. Ma fu con l’avvento del monaco indiano buddhista

BODHIDHARMA (483) che vi fu il perfezionamento di tutte le tecniche

marziali studiate fino ad ora. Si dice che meditando per nove anni di

fronte ad una roccia seduto nella posizione del loto ad ascoltare il grido

delle formiche BODHIDHARMA detto DAMO, lasciò misticamente

impressa sulla roccia, la sua immagine così dettagliata che sono ancora

visibili le pieghe del suo vestito.

La storia narra che un suo discepolo si amputò un braccio per

donaglielo per aver l’iniziazione spirituale alla saggezza.

Egli guidò i monaci sulla strada della santità, insegnando loro la

disciplina del corpo e della mente, DAMO fu così riconosciuto come il

fondatore dell’ordine buddhista.

La meditazione seduta, insegnata da DAMO, si protraeva per sei ore al

giorno e i suoi discepoli, che non erano abituati a lunghi periodi di

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immobilità, cadevano spesso vittime dell’intorbidimento fisico e della

sonnolenza. Così per rinvigorire i loro corpi, DAMO ideò una serie di

movimenti terapeutici basati su precetti dei maestri indiani secondo i

quali certi esercizi fisici e respiratori favoriscono la triplice armonia tra la

mente ,il respiro ed il corpo, prevengono le malattie e frenano le

tendenze aggressive della natura umana. Perciò introdusse la sua

conoscenza del DHANURVEDA nel praticare queste discipline,

finalizzandole soprattutto allo sviluppo armonico del corpo e della

mente, un metodo originale di allenamento, in cui la tecnica marziale è

al servizio dello spirito, e la chiamò KUNG-FU.

Fu sempre DAMO che iniziò i monaci shaolin all’uso delle armi, ciò

ampiamente dimostrato dalla nomenclatura delle sequenze classiche

come: DAMO-JIAN (spada di DAMO); DAMO-GUN (bastone di DAMO);

DAMO-GUAI (piccozza di DAMO).

Fra i discepoli più autorevoli , la figlia dell’imperatore LIANG-WU di

nome MING-LIANG che imparò a maneggiare con assoluta maestria la

spada e fu la prima monaca guerriera.

I monaci shaolin diventarono presto famosi in tutta la Cina per le loro

abilità; i contadini imploravano il loro aiuto per combattere i briganti e gli

imperatori per proteggere il loro regno, tanto che per gli uomini santi

della montagna divenne un grande merito liberare il paese da tiranni e

despoti. A DAMO succedettero sei patriarchi che divulgarono la dottrina

shaolin fuori dalla Cina. In Giappone, venne portata intorno al

milleduecento dal monaco giapponese DOGEN che visse a lungo in

Cina apprendendo i segreti ed i dettami del C’HAN (ZEN) .

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Il buddhismo C’HAN affascinò la classe militare dei samurai, che da

C’HAN divenne ZEN (che riprenderemo nella parte finale della tesi). Da

qui l’arte della guerra si tramutò nello speciale stile di vita chiamato

BUSHIDO (il tao del guerriero).

La fama di shaolin era talmente grande che tutti i maestri di arti marziali

di rilievo della Cina, desideravano far dono al tempio delle loro tecniche

per ottenerne il riconoscimento e la protezione. Su una quantità di

duemila monaci, un quarto era dedito alle arti marziali che prosperarono

a partire dal 1400 d.C.. Esistevano già a quel tempo diverse scritture

relative all’uso delle armi, come il QIANG-SHU (arte della lancia) e

sempre in quel periodo, lo shaolin KUN-FU venne introdotto

nell’esercito imperiale ed usato in battaglia. Si racconta che l’imperatore

SHI-ZONG usufruì dei monaci shaolin per respingere i pirati che

infestavano le coste cinesi.

Durante la dinastia QING(1644-1911) vennero più volte distrutti i templi

shaolin perché coinvolti indirettamente nelle ribellioni delle sette segrete

MING. Grazie ai sopravvissuti delle distruzioni dei templi, lo shaolin

incominciò ad espandersi inesorabilmente in tutta la Cina, dando vita a

molti stili di KUNG-FU, per esempio il TAE-KWON-DO in Corea, il VIET-

VO-DAO in Vietnam, il KITO-RYU (antenato del Judo), il JU-JUTSU, l’

AIKIDO, lo SHORINJI-KEMPO e il TODE in Giappone che divenne poi

il KARATE.

Le arti marziali in Giappone si sono sviluppate e consolidate a partire

dal IX sec.d.c. e presentano oggi una notevole quantità di metodi e

varianti. Ciascun metodo e arma costituisce una specialità (JUTSU) che

significa appunto arte, tecnica, che regola il modo di utilizzare un’arma

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o una parte del corpo come arma. Ma le arti marziali giapponesi non

sono semplicemente tecniche di guerra e per comprenderle più a fondo

è necessario conoscerne l’etimologia. Fondamentale in tutte queste arti

è il DO, letteralmente sentiero, via che indica la disciplina di vita che chi

pratica un’arte marziale deve seguire. Inoltre, DO compare anche in

diverse parole connesse alle arti marziali: DOJO è la palestra, BUDO

indica tutte le arti marziali giapponesi ed infine BUSHUDO , la via del

samurai, il codice di regole e principi che i samurai dovevano rispettare

in età feudale e che vige ancora adesso. I samurai erano tenuti ad

imparare una serie di BUDO: il BA-JUTSU, l’arte equestre; il BO-

JUTSU, lotta con le aste; l’HOJO-JUTSU, metodo per immobilizzare gli

avversari e molte altre che prevedevano l’uso di lance, coltelli, spade.

Le più note arti marziali giapponesi son il KARATE, il JUDO, il JU-JITSU

e l’AIKIDO.

Il KARATE nato in tempi abbastanza recenti, consisteva in origine in

una tecnica di autodifesa disarmata contro un avversario armato mentre

ora prevede la possibilità della lesione all’avversario.

Il JUDO costituiva per i samurai una rigida disciplina morale oltre che

una tecnica di difesa da nemico armato effettuata senza armi; esso

raggiunse il massimo perfezionamento e la più larga diffusione nel

diciottesimo secolo.

Il JU-JITSU è una tra le più antiche arti, fondata soprattutto su una

rigorosa disciplina e sull’esercizio: non necessita di vigore fisico, ma di

agilità, insegna a difendersi da attacchi, anche molteplici e ad

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individuare i punti deboli dell’avversario. Questa arte contempla anche

l’uso delle armi per difesa ed attacco.

L’ AIKIDO è un’arte molto poco aggressiva fondata sull’atterramento e

sullo sfruttamento dell’energia (KI) avversaria a proprio vantaggio:

AIKIDO significa infatti “via dell’unine degli spiriti”.

Senza dubbio si tratta di tecniche di combattimento, ma in molti casi le

arti marziali tendono ad una certa elevazione morale e spirituale, alla

ricerca di un rapporto armonico con la natura e con il mondo.

Sinora abbiamo scritto riguardo la religione buddhista rappresentata dai

monaci shaolin i quali ne fecero anche una dottrina marziale, dedita

però a soluzioni difensive o per aiutare bisognosi e oppressi. Tutte

quindi le dottrine derivate dal confucianesimo devono adempire queste

prerogative. Scrivendo a riguardo allo ZEN, al TAOISMO, al

MAZDAEISMO ed al CONFUCIANESIMO, si intende dottrine

essenzialmente passive cioè non dedite al protagonismo od alla

bellicosità od alla soverchia. Infatti nelle dottrine religiose occidentali, si

può notare a volte un’aggressività in nome della stessa religione che in

oriente non si evince. Costatiamo anni e anni di lotte tra cristiani ed

islamici, tra protestanti e cattolici, tra protestanti e ortodossi, eccetera.

Di contro nelle dottrine orientali la marzialità viene coltivata anche per il

solo sviluppo del corpo del guerriero, molti samurai perseguivano la vita

da monaci dopo aver passato una intera vita tra guerre e duelli. Nella

arti marziali vi è soprattutto la devozione verso il carisma del maestro

(SIFU) che non è solo depositario nell’arte della guerra, ma soprattutto

nella ricerca del DO e apportatore di verità, situazione che in occidente

era impensabile.

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In occidente il maestro d’armi era quello e tale rimaneva. Costui

insegnava solamente ad utilizzare le armi (spada, lancia, mazza, ascia,

arco), ma spiritualmente non era in grado di trasmettere nulla. Infatti se

noi ricordiamo ciò che antecedentemente ho scritto, constatiamo che il

patriarca DAMO intraprese un lungo e pericoloso viaggio dall’India alla

Cina con la sola missione di illuminare le masse , inserendo la pratica

delle discipline marziali, come ausilio alla vita spirituale. Nella pura

coscienza spirituale, di norma, un guerriero poteva agire come un

monaco e viceversa poiché a questo livello le distinzioni d’ordine

materiale, non esistono più. Sarà per il monaco guerriero una continua

ricerca del BUSHIDO (la via del guerriero).

Due massime proverbiali ZEN danno l’idea di maestro “Un cavallo può

avere la forza per percorrere mille chilometri ma senza le redini non

saprà mai dove andare” , così “Senza uno specchio pulito una donna

non sa in che situazione è il suo viso”.

Uno dei più prestigiosi maestri shaolin (LAO-ZE) disse: Un uomo viene

al mondo tenero e duttile, quando muore è rigido e duro; Le piante

giovani sono morbide e piene di linfa vitale, quando muoiono sono

appassite e secche. Ciò significa che la rigidità e la durezza sono

discepoli della morte mentre la morbidezza e la malleabilità sono le basi

della vita. Per un ulteriore avvallamento della nostra tesi leggendo i

primi diciassette principi ZEN sull’etica che l’allievo, deve rispettare,

riscontriamo una profonda analogia con i cinque dettami del DOJO-

KUN del KARATE, per esempio “esercitati costantemente nel seguire il

cammino”, nel DOJO-KUN si legge “rafforza instancabilmente lo

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spirito” , nello ZEN “non coltivare mai i pensieri malvagi”, nel DOJO-

KUN troveremo “percorri la via della sincerità” e così via.

Come cardine della religione Buddhista vi è la filosofia delle due forze

opposte ma convergenti “YIN e YANG”, nonostante siano opposte, il

bene ed il male, la donna e l’uomo, il bianco ed il nero, coesistono in

un’orbita perfetta.

Lo spirito non va esercitato solo verso l’esterno, ma soprattutto per

vincere i sei nemici interiori, la lussuria, la collera, l’avidità, l’invidia, la

pazzia e l’illusione.

Con l’apporto della dottrina ZEN per esempio, dovendo combattere un

aggressore lo si farà liberando la mente da pensieri come il desiderio di

vincere a tutti i costi o la paura della propria incolumità. Si riuscirà così

ad intuire in anticipo il momento dell’attacco dell’avversario e delle sue

ansie. Con il corpo e la mente rilassata le nostre azioni diverranno più

fluide.

Dobbiamo al monaco Buddhista BODHIDHARMA la creazione di una

nuova dottrina che staccandosi del Buddhismo ne rileva gli aspetti

migliori smorzandone i contenuti più pragmatici, si ebbe così la nascita

dello ZEN (forma giapponese derivata del cinese C’HAN) attorno

all’anno 540 d.c.

Secondo lo ZEN la comprensione è possibile solo ignorando l’intelletto,

prestando ascolto agli istinti e alle intuizioni. In Giappone venne

assimilata come unica dottrina da tutti i Samurai.

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In campo militare l’influenza ZEN si manifestò inizialmente come

approccio all’arte di brandire la spada od a tirare con l’arco pervenendo

ad un disciplinato disprezzo della morte, ben maggiore di quello ispirato

da ogni altra religione.

Dice un famoso proverbio passato ad uso dei samurai, alla domanda

“Come si fa a vedere le cose così chiaramente”, la risposta è “basta

chiudere gli occhi”. Per quanto sorprendente possa sembrare un simile

dottrina; per i razionali occidentali; ha dato vita a fenomeni tipicamente

giapponesi quali i samurai e i kamikaze, accomunati dal disprezzo della

morte, i quali secondo un’espressione nipponica, vivono come se

fossero già morti.

Ricordiamoci infatti che lo ZEN si assicurò la prerogativa di religione

nipponica dopo varie peripezie e molte persecuzioni superando dottrine

come AMIDISMO e NIKIREN. Oltre ad aggiudicarsi nel secolo

dodicesimo la supremazia religiosa, lo ZEN si assicurò l’appoggio

governativo, divenendo religione di stato.

Durante l’anno 1191 d.c., il monaco EISAI, di formazione ZEN, si recò in

Giappone fondando un tempio ZEN e provocandone una ferma

reazione da parte dei monaci TENDAI.

Fu per una genialità che si decise la supremazia della dottrina ZEN su

tutte le altre. Mentre le altre concorrenti avevano come punto base

l’erudizione ,lo ZEN ne metteva in dubbio l’utilità. Sostanzialmente

illetterati i samurai si sentivano in stato di inferiorità intellettuale nei

confronti dell’acculturata aristocrazia, inoltre l’importanza che lo ZEN

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attribuiva alla risposte pronte s’accordava con il loro atteggiamento

verso lo scontro armato.

EISAI ebbe l’intuizione di scrivere un trattato sulla diffusione dello ZEN

per la difesa della nazione per cui si accattivò di tutto l’estabilishment

giapponese. La svolta che diede un’impronta più marziale allo ZEN

Giapponese la diede lo stesso EISAI, dichiarando che, nelle forme di

azione e di disciplina, nello ZEN non c’è confusione tra giusto ed

ingiusto. Esteriormente potrebbe sembrare un vantaggio della

disciplina a scapito della dottrina, interiormente invece esso porta alla

saggezza interiore, cioè anche se pratichiamo più l’esteriorità che lo

studio dell’ego, egualmente avremo l’accrescimento in noi della

saggezza.

Sir GEORGE SANSOM (Studioso di storia e cultura nipponica) asseriva

che per un guerriero, capace di riflessioni, la cui vita fosse sempre in

pericolo di morte, la verità era il balenare di una spada che trancia la

problematica dell’esistenza ed in cui i momenti più supremi erano quelli

in cui la morte era più vicina.

Vorrei inserire una piccola parentesi: non tutte le forme di ZEN nate in

Giappone erano favorevoli alle arti marziali, vi fu in particolare lo ZEN

SOTA che rimase sempre estraneo alla casta dei guerrieri.

EDWIN REISCHAUER scrisse che lo ZEN contribuì in larga scala allo

sviluppo di una durezza interiore e di una forza caratteriale tipici del

guerriero giapponese feudale.

Prima dell’avvento dello ZEN, i guerrieri nipponici si scontravano in

battaglie piene di brutalità e senza un codice deontologico. Con

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l’avvento dello stesso i duelli e gli scontri bellici vennero leggermente

modificati.

Con lo ZEN si svilupparono le arti marziali, soprattutto l’arte della spada

e dell’arco, dopo il periodo di stabilità (HEIAN) iniziando dal periodo

KAMAKURA (capitale orientale).

Per poter capire tutto ciò, è necessario dare brevi accenni del periodo

sopracitato.

Dopo il periodo HEIAN, in cui si ebbero per circa duecento anni una

stabilità ed un periodo di pace conclamata , anche perché la custodia di

tale situazione fu possibile grazie al demandatario sistema voluto dalla

classe dominante che delegò il rispetto della pace a due principali clan

di samurai, i TAIRA e i MINAMOTO.

I TAIRA in occidente, i MINAMOTO nel Giappone orientale, dove

nascerà la bellicosa capitale KAMAKURA.

Come sempre, avvenne anche qui in Giappone che i subalterni resosi

conto del loro potere si insidiarono al posto dei loro mandatari. Si

avvenne così ad una faida tra i due clan dei samurai che portò ad una

guerra civile detta “GEMPEI” che durò cinque anni. La faida provocò

una carneficina senza precedenti. La guerra civile terminò con

l’insediamento del vincitore MINAMOTO-YORIMOTO alla giuda del

Giappone, il quale si fece incoronare come SHOGUN, la cui prima

iniziativa fu di spostare la sede del governo da KYOTO a KAMAKURA,

che per quasi settecento anni avrebbe avuto il predominio della casta

dei guerrieri (tipo di feudalesimo). Si generò una nuova casta di baroni

detta “Guerrieri Equestri”. Furono i più feroci combattenti che si fossero

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mai visti fino ad allora “ I SAMURAI”

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Il loro maneggio delle spade ubbidiva solo ad un comandamento, “Il

principio ZEN”. I duelli iniziavano con il lancio delle frecce a

disposizione dei due contendenti, ne seguiva la carica a cavallo

annunciando preventivamente il nome delle rispettive casate nella

speranza di aggregazione da parte di altre famiglie. Dopo lo scontro a

cavallo si giungeva al duello appiedati non solo con le spade (Katana),

ma anche con corte lame. Al termine del duello avveniva la

decapitazione del vinto.

Con breve accenno storico voglio spiegare come avvenne il

cambiamento delle loro tecniche marziali.

Nel 1268 d.c., il KUBLAJKAN iniziò il tentativo di invasione del

Giappone e così sei anni di alterne vicende venne definitivamente

sconfitto. Questo conflitto servì ai samurai per comprendere che il

metodo di battaglia, che fino ad ora avevano usato, nelle nuove forme

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belliche non avrebbe più avuto efficacia. Furono i monaci ZEN a

formalizzare e migliorare l’ arte della spada e del tiro con l’arco.

Nel 1281 d.c., si verificò l’ultimo tentativo di invasione da parte dei

mongoli sulle coste giapponesi nei di KYUSHU, dove i samurai

sbaragliarono sia in mare che sulle coste i centomila mongoli. I

giapponesi furono aiutati durante la battaglia navale dall’arrivo di un

tifone che ribaltò la totalità delle navi mongole. Tale vento venne

chiamato KAMIKAZE (vento divino).

Come simboli dei samurai, la spada e l’arco erano ritenuti i corpi

animati da uno spirito ((KAMI). Gli stessi fabbri costruttori di spade

erano figure

sacerdotali e si accingevano al loro compito solo dopo una purificazione

spirituale e sempre indossando vesti bianche.

Per la cronaca solo nel secolo scorso in occidente si è riusciti a

produrre acciai paragonabili a quelli giapponesi.

I samurai tenevano talmente alta la considerazione ed il rispetto verso

la propria arma che avrebbero preferito perdere la vita che l’arma

stessa.

Per affinare l’allievo all’arte della spada, il maestro praticava contro lo

stesso nel periodo dell’addestramento attacchi improvvisi e simultanei

in modo che l’allievo reagisse automaticamente, senza essere

influenzato da dubbi, desideri o ansie; insomma un vero automa.

Nel guerriero ZEN la spada ed il braccio si fondono insieme come se

fosse un solo strumento bellico.

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Oltre all’insegnamento dell’arte della spada, nello ZEN si curava inoltre

quella del tiro con l’arco. Mentre il maneggio della spada richiede

l’unificazione tra braccio e spada oltre a non aver la consapevolezza

dell’avversario sino al momento critico, l’uso dell’arco richiede il

distacco totale dall’arma, per potersi concentrare interamente sul

bersaglio. Anche qui sussiste una differenza tra le tecniche del tiro

all’arco in forma ZEN e quelle occidentali.

Il guerriero zen non presta direttamente attenzione all’obbiettivo da

colpire, non si preoccupa dell’accuratezza, ma lascia invece che questa

sorga come risultato dell’intuitività e di una forma collaudata e perfetta.

Questa tesi si può chiarire analizzando le differenze tra l’arco zen e

l’occidentale. La differenza più evidente è nell’impugnatura, che

nell’arco zen è situata a circa un terzo dalla distanza della punta

inferiore, anziché al centro delle due punte nell’arco occidentale. Ciò

permette all’arciere che stia in piedi od inginocchiato, di servirsi di un

arco più lungo della sua statura (circa mt.2,5) e richiede in oltre che la

tensione della corda sia oltre la linea dell’orecchio. Inoltre l’arco

giapponese risponde ai requisiti di costruzione molto più complicati e

superiori tecnologicamente a quelli occidentali, infatti è composto di

laminati di bambù che gli donano una elevata elasticità e dal duro legno

anacardio che gli dona una sicura precisione. Il cuore dell’arco consiste

di tre rettangoli di bambù racchiusi tra due sezioni semilunate anche

queste di bambù che ne compongono il ventre e la schiena; così come

l’arco, anche le frecce sono di bambù, la corda viene tesa dal solo

pollice anziché dal pollice e indice come usato in occidente. È chiaro

che a quei tempi, il materiale usato in tutte le cose, doveva provenire

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dall’ambiente in cui si viveva (materiale autoctono). Quindi in Giappone

il bambù era più facilmente reperibile che nelle zone Europee.

Oltre all’attrezzatura divergeva e di molto l’addestramento all’arte

marziale.

La prima lezione ZEN relativa alle arti marziali consisteva nel controllo

della respirazione , pervenendo a ciò con la pura meditazione (ZAZEN).

Il controllo del respiro è essenziale sia per la tensione dell’arco, sia nel

maneggio della spada. Nell’arco ,in quanto la freccia è discosta dal

corpo e ciò richiede meno muscoli sviluppati di quanto ne occorrono

nell’arco occidentale.

Il tramonto di questa cultura iniziò nel 1542 d.c., quando una nave

portoghese attraccò sulle coste nipponiche, la nave era carica di fucili e

cannoni.

Continuando la nostra ricerca nell’assimilare l’avvento dello ZEN e dei

monaci saholin alle arti marziali, si intuisce che l’arte bellica sia

subordinata a una rigorosa autodisciplina e al superamento delle

funzioni manifeste della mente.

Nella evoluzione delle arti marziali abbiamo come madre di tutte il KUN-

FU, che ne originò la maggior parte tra cui il TO-DE che pone le basi

per il futuro KARA-TE.

Ci si pone una domanda ora; come mai le religioni orientali

producevano oltre le arti figurative, l’agricoltura, ecc., anche arti

marziali; mentre in Occidente le religioni coltivavano sì arti come

l’agricoltura, la zootecnia, arti figurative, ma si appoggiava per le

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guerre a re e feudatari, dichiarando le guerre religiose solamente per

imporre il proprio credo.

Secondo il mio modesto parere avvicinandosi alle arti marziali,

supportate da degni maestri, non solo si avrà un beneficio corporeo ma

anche un miglioramento per ciò che riguarda l’etica e il giudizio su tutto

ciò che ci circonda (Tipo rispettare i nostri avversari) e gestendo ogni

nostro problema con una mera semplicità.

Nel 1853 il Comodoro COLBRAITH PERRY con la sua flotta approdò in

Giappone portando con sé nuove religioni, nuove metodologie di

governo e l’industria, tra cui quella bellica. Si pervenne così a un

mutamento di forma bellica, oltretutto a una persecuzione a tutte le

forme di Buddismo sia da parte dell’imperatore che dei scintoisti che ne

presero le distanze e prendendone il loro posto.

Dopo aver analizzato le dottrine in simbiosi con le arti marziali che si

sono evolute ad est dell’India e da essa provenienti, analizziamo ora,

quello che successe ad ovest del Gange e dell’Indo.

Anche in questo caso vi fu un profeta che ispirandosi alla fonte indica,

promosse una nuove religione nei paesi situati tra il Tigri e l’Eufrate,

attorno al 588 a.c.

La religione venne chiamata MAZDEISMO ed il suo profeta

ZOROASTRO (ZARATHUSTRA).

Tra le prime cose che fece, oltre che ad assicurarsi l’appoggio dei

potenti (Ciro il Grande), fu quella di istituire un corpo di monaci-frati

dediti anche alle arti marziali.

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Questi monaci chiamati MAGI furono una setta per metà religiosi e per

metà guerrieri. ZOROASTRO intuì che, per aver l’appoggio delle

popolazioni e quindi sviluppare la sua religione, occorreva venir loro

incontro, quindi dopo aver abolito i sacrifici umani ed animali

(quest’ultimi necessari alla sopravvivenza di allevatori ed agricoltori),

insegnò loro, tramite i MAGI, che divennero la prima forma di polizia,

l’arte della difesa e del combattimento.

Sempre ai MAGI era demandato il dover insegnare al popolino la

costruzione di muri e abitazioni a difesa di predoni.

Lo sviluppo maggiore del MAZDEISMO si ebbe sotto l’impero di Ciro il

Grande, il quale dopo la conquista di tutte le terre degli Assiri ne obbligò

la diffusione.

Indicativa è la frase di ZOROASTRO per cui,” il potere bellico senza

quello religioso e viceversa” avrebbe avuto vita breve.

Anche in questa civiltà si creò un ceto nobile (KSATRJA) che aveva il

privilegio di condurre carri o bighe in guerra a discapito del soldato

(EXERTENCATI) di estrazione popolare.

Questi nobili in poco tempo si procurarono dei vantaggi per cui

nell’impero Babilonese avvennero i primi Motti Popolari.

Per contrastare questo mal contento , ZOROASTRO , tramite la sua

religione predicò che l’uomo nasceva diviso in tre livelli: il guerriero, il

sacerdote ed il contadino, importanti tutti allo stesso livello ed

intercambiabili.

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Anche in questa religione, come nelle religioni politeistiche, vi è un Dio

guerriero chiamato MITHRA, rappresentato con un bastone (BO) o con

l’ascia mentre guida un carro trainato da cavalli. Il Dio MITRHA era già

esistente prima dell’avvento del MAZEISMO dal quale non venne mai

ben accettato dallo stesso profeta che lo catalogò “Menzogna”.

Il quale sosteneva che solo un Dio aveva un potere di vita o di morte, il

Dio ancora oggi venerato dai MAZDEISTI “HAURA MAZDA”.

Circa ottocento anni dopo l’avvento di ZOROASTRO e la diffusione

della sua dottrina all’ovest stava sorgendo una nuova potenza militare “I

MACEDONI” condotti da ALESSANDRO MAGNO.

Questi apportarono un nuovo tipo di belligeranza e di armi, tipiche le

lunghe PICCHE.

ALESSANDRO MAGNO sconfisse attorno all’anno 327 a.c. l’impero di

DARIO III°, appianarono quindi la questione religiosa con un metodico e

continuo contrasto per cui i seguaci di ZOROASTRO furono costretti a

professare la loro religione segretamente.

Oltre la loro religione i Greci portarono un nuovo tipo di combattimento,

derivante dalle loro olimpiadi, nelle quali si svolgeva già l’attività della

lotta corpo a corpo e conosciuta in tutte le terre a loro confinanti. Ma

quello che di nuovo esportarono fu il Pugilato.

Si parla già del quinto secolo a.c..

Descrizioni di combattimenti di pugilato si trovano nelle cronache degli

antichi giochi olimpici celebrate dai Greci, le quali parlano di uomini che

si battevano con i pugni fasciati da un guanto chiamato “Cesto”.

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Presso i romani il pugilato prese il nome di “Pancratium” e venne

esercitato dai gladiatori i quali si battevano nelle arene per il

divertimento degli spettatori. I combattimenti di Pancratium erano però

di una rara e crudele violenza e il più delle volte si concludevano con la

morte dei due contendenti, i quali usavano fasciarsi le mani con strisce

di cuoio su cui erano applicate borchie o punte di metallo.

Tornando al nostro impero Persiano e all’avvicendamento con la

supremazia macedone attorno all’anno 656 d.c.si ebbe l’annientamento

della religione MAZDEISTICA e di tutte le forme pseudo militari, tipo i

MAGI.

Per concludere, passando da Oriente a Occidente, abbiamo constatato

che prima dell’avvento di CRISTO, avendo come fulcro la zona tra i

fiumi il Gange e l’Indo, tutto quello concernente le religioni, le dottrine

marziali da lì si propagarono.

Abbiamo quindi come patria di tutto ciò l’ INDIA, la quale è tuttora più

conosciuta come esportatrice di moralità, etica e religione.

Si è constatato che tutti i paesi a lei limitrofi erano dediti ad altre

occupazioni tipo azioni belliche o conquiste di altri territori.

I popoli indiani non sono famosi come orde di conquistatori ma risoluti

apportatori di pace, di saggezza e di religiosità.

È chiaro che anch’essi ebbero i loro travagli, ma di lotte intestine fino al

185 a.c. , sino che il buddista ACOKA PRIYADARCIN portò l’impero

alla sua massima estensione. Contrastando efficacemente l’esercito

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macedone riuscì a portare avanti il spirito unitario fino all’invasione

Mongola del 400 d.c.

ELENCO TESTI CONSULTATI

-LA CULTURA ZEN THOMAS

HOOVER

-LO ZEN NELL’ARTE DEL TIRARE DI SPADA REINHARD

KAMMEN

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-GRANDE MENTE GRANDE CUORE DENNIS

GENPO MERZEL

-ZEN MICHEL

BOVAY

-LO ZEN ALDO

TOLLINI

- LO SHAOLIN (mistero e magia dei monaci guerrieri)-SRI

ROHININANDANA

-ENCICLOPEDIA “STORIA DELLE RELIGIONI” BIBL.DE

“la repubblica

-ZOROASTRO E LA FANTASIA RELIGIOSA IL

SAGGIATORE