73
FRIDA KAHLO E MACONDO NELLE FOTOGRAFIE DI LEO MATIZ

NELLE FOTOGRAFIE DI LEO MATIZ - accademiadelmarmo.it · Stefano W. Pasquini Testi in catalogo di Fiorenzo Alfieri, Salvo Bitonti, Antonio Massarelli, Armida Massarelli, Gerald Martin,

Embed Size (px)

Citation preview

FRIDA KAHLO E MACONDO NELLE FOTOGRAFIE DI

LEO MATIZ

32

FRIDA KAHLO E MACONDO NELLE FOTOGRAFIE DI

LEO MATIZ

16 Marzo – 3 Giugno 2018

A cura di Armida Massarelli

con la collaborazione di Alejandra Matiz

Associazione Ecomuseo Vallalta Antonio Massarelli

Catalogo a cura di Armida MassarelliSalvo Bitonti Stefano W. Pasquini

Testi in catalogo diFiorenzo Alfieri, Salvo Bitonti, Antonio Massarelli, Armida Massarelli, Gerald Martin, Alejandra Matiz

Revisione testiLaura Valle

Progetto graficoStefano W. Pasquini

Fotografie Leo Matiz

Allestimento

Diego GiachelloMichele Cirone

Con il patrocinio di

Ambasciata di Colombia in Italia

Si ringrazia

Museo Civico di Bari

Mario Adda Editore

Carla TarditiNoris Lazzarini Francesco Carofiglio

Con il contributo di

Main Sponsor

PresidenteFiorenzo Alfieri

DirettoreSalvo Bitonti

Consiglio di AmministrazioneFiorenzo Alfieri – PresidenteSalvo Bitonti – DirettoreRoberto Villa – Rappresentante DocentiAlessandra Villani – Rappresentante Studenti

Consiglio AccademicoSalvo Bitonti – PresidenteFabio AmerioEdoardo Di MauroGiuseppe LeonardiMonica SaccomandiPaolo SerrauLaura ValleGreta Massa – Rappresentante StudentiSara Mercadante – Rappresentante Studenti

Direttore AmministrativoAlessandro Moreschini

Direttore di RagioneriaGennaro Criscuoli

Direttore Pinacoteca AlbertinaBiblioteca storica e modernaGabinetto delle StampeGipsotecaSalvo Bitonti

Pinacoteca AlbertinaCoopCulture

Relazioni esterne Enrico Zanellati

Servizi al pubblicoSara Vigliocco

Attività didatticheStefania Davico

Edizioni

Presidente Fiorenzo Alfieri

Direttore editoriale Salvo Bitonti

Comitato scientificoSalvo Bitonti – Direttore editoriale, Docente titolare di RegiaLuca Beatrice – Docente di Storia dell’Arte Edoardo Di Mauro – Docente titolare di Storia e Critica dell’ArteAntonio Musiari – Docente titolare di Storia dell’Arte

RedazioneLaura Valle – Docente di PitturaStefano W. Pasquini – Docente di Tecniche Grafiche Speciali

L’editore si scusa se per cause indipendenti dalla propria volontà ha omesso alcune referenze fotografiche ed è disponibile ad assolvere eventuali diritti omessi. © 2018 Accademia Albertina di Belle Arti di Torino © 2018 gli autori ISBN: 978-88-94843-10-1 Printed in Italy

5

INDICE

6 Questa volta la fotografia Fiorenzo Alfieri7 Il lungo viaggio di Leo Matiz da Macondo all’Albertina di Torino Salvo Bitonti8 Legami di arte e bellezza Alejandra Matiz Antonio Massarelli11 Frida Kahlo e Leo Matiz nella Casa Azul Armida Massarelli

15 Frida Kahlo48 Biografia di Frida Kahlo

51 Leo Matiz e Macondo Gerald Martin

54 Macondo

139 Biografia di Leo Matiz

76

La Pinacoteca Albertina è diventata un centro di attività espositive quanto mai diverse per i contenuti e coerenti nei significati. In quest'ultimo periodo, per esemplificare, ha visto la conclusione della grande mostra su Giacomo Grosso, realizzata in collaborazione con il Museo Accorsi Ometto; la presentazione critica dell'opera di Giuseppe Giovenone che la Banca Patrimoni Sella ha acquistato, restaurato, e destinato al museo Borgogna di Vercelli; una sezione della mostra L'infinita curiosità dedicata al lavoro grafico-artistico del fisico Tullio Regge; la prima delle tre mostre che saranno dedicate ad artisti allievi di Grosso, quella dedicata a Venanzio Zolla, padre del famoso scrittore Elémire. Nelle sale dalla 1 alla 9 è la volta adesso di una mostra sul grande fotografo colombiano-messicano Leo Matiz, realizzata in collaborazione con l'Associazione Ecomuseo Vallalta e con la figlia Alejandra Matiz, con cui l'Accademia ha stretto rapporti di collaborazione. Arte moderna, arte antica, arte informatica, fotografia: un susseguirsi di iniziative che sta creando qualche interrogativo in Città: come fa l'Accademia Albertina in tempi di vacche magre in campo culturale a reggere questo ritmo? Già come fa? I primi a essere stupiti siamo noi. Poi se entriamo nel merito riusciamo a capire che cosa significa il vecchio detto che "l'unione fa la forza". Unione con altri musei, con partner privati, con associazioni, con famiglie di artisti, con

fondazioni con sostenitori (Reale assicurazioni), con sponsor (in questo caso Gobino). Si tratta di un metodo di lavoro che sta andando avanti da circa cinque anni e che mi auguro proseguirà in futuro.Ogni mostra ha uno stretto rapporto con quanto si insegna in Accademia. In questo caso la protagonista è la fotografia. Abbiamo una scuola che funziona molto bene, grazie al titolare Fabio Amerio e ai suoi studenti. Le fotografie dei tanti cataloghi prodotti in questi anni e in qualche caso di sezioni delle stesse mostre sono il risultato del loro lavoro e non va dimenticato che anche la documentazione su tutto quanto succede in Accademia, utilizzata nelle pubblicazioni e durante gli eventi, è tutta frutto dell'attività fotografica di questa scuola. Una scuola che permette all'Accademia di riconoscersi e di conservare la sua memoria. Questa mostra le permette anche di studiare uno dei maggiori maestri della fotografia internazionale; non è quindi solo una nuova offerta ai cittadini e al sistema culturale ma anche un'occasione che viene proposta agli studenti per rapportarsi con un artista famoso e con il suo impegno nel documentare personaggi e momenti storici fra i più interessanti e memorabili.

Fiorenzo AlfieriPresidente dell’Accademia Albertina di Torino

Ho conosciuto per la prima volta Alejandra Matiz, fi-glia del grande fotografo colombiano Leo Matiz, du-rante l’inaugurazione di una bella mostra fotografica di scatti di suo padre, esclusivamente dedicati a Frida Kahlo, a Venezia, nell’estate del 2015. Oltre la bellezza delle immagini, che ci davano un ritratto insolito e an-cora più intimo dell’artista messicana, tra cui alcune rarissime fotografie a colori, erano presenti in mostra anche alcune composizioni a collage di carta e fotogra-fie, realizzate dal fotografo colombiano in tarda età in collaborazione con l’artista italoamericano Emanuele Viscuso, anche amico della nostra Accademia, che ora, per i casi della vita, vive anche lui in Messico. Ema-nuele Viscuso mi introdusse ad Alejandra, che, oltre a essere un’abile restauratrice e la maggiore esperta dell’enorme lascito di negativi e fotografie del lavoro del padre, Leo Matiz, è anche colei che ha trascorso e trascorre tuttora la sua vita in un’inesauribile attività di mostre, convegni e incontri in tutto il mondo indi-rizzati alla maggiore conoscenza di colui che è stato il cantore per immagini dell’universo latinoamericano, soprattutto dei più umili, in epoca pre-seconda guerra mondiale e immediato dopoguerra. Un’epoca che ha scoperto questo mondo arcaico e mitico e la sua gente, nelle sue terre della Colombia, del Messico e del Vene-zuela. Ho ritrovato ancora Alejandra Matiz nella sua bella casa dell’antico quartiere di Coyoacán, a Città del Messico, nel dicembre del 2016, dove erano conserva-te, a cura di un’apposita Fondazione, il patrimonio fo-tografico e la raccolta delle riviste internazionali su cui sono state pubblicate le foto del padre durante tutta la sua lunga carriera. Ho avuto modo di poter consul-tare personalmente molti originali fotografici, soffer-mandomi in particolare, data la mia competenza sul cinema, sull’attività che Leo Matiz dedicò alla nascen-te industria cinematografica messicana, con foto dai set più importanti e foto di celebri attori dell’epoca, anche americani, che andavano, negli anni cinquan-ta, a girare molti film in trasferta messicana; questo aspetto potrà essere certamente motivo per un’altra mostra fotografica in un prossimo futuro. Oggi alla Pi-nacoteca Albertina di Torino si presentano due mostre in unica soluzione di continuità intitolata Frida Kahlo e Macondo nelle fotografie di Leo Matiz. La mostra pro-viene dal Museo Civico di Bari, che ringrazio per la collaborazione, dove ha avuto uno straordinario esito

ed è organizzata dall’Associazione Ecomuseo Vallalta di Antonio Massarelli, con la delicata curatela di Armi-da Massarelli e con la vigile presenza della figlia del fotografo, Alejandra, a cui va il nostro pensiero grato; e qui si desidera ringraziare anche l’Ambasciata della Colombia in Italia, la Signora Carla Tarditi e in partico-lare l’Ambasciatore, S.E. Juan Mesa Zulueta, che ha vo-luto concedere il suo patrocinio a questo evento, segno del significato profondo che continua ad avere questo artista per il suo paese. Nello stesso quartiere dove vive Alejandra Matiz a Città del Messico, anzi a pochi isolati da casa sua, a Cayoacàn, si trova la splendida Casa Azul di Frida Kahlo e Diego Rivera. Per i fortunati che hanno avuto modo di visitarla, non potrà sfuggire come la macchina fotografica di Matiz, nelle immagi-ni qui presentate, sia stata capace di offrirci un ritrat-to inedito di Frida nei primi anni quaranta e del suo tormentato rapporto con il marito, il pittore muralista Diego Rivera. Rivivono gli interni e il giardino di que-sta abitazione d’artista con tutti i simboli archetipi, mitici e apotropaici che l’adornano ancora oggi, men-tre il folgorante bianco e nero è capace di restituirci un’atmosfera d’ambiente, di natura e di cultura che fu di quella casa, insieme al sorriso o all’atteggiamento pensoso dello sguardo di Frida Kahlo, che racconta più di mille biografie sulla grande pittrice messicana. Direttamente dalla regione di Aracataca in Colombia, dove il fotografo nacque, (luogo poi magicamente tra-slato letterariamente da Gabriel Garcia Marquez con il nome di Macondo), provengono le oltre 70 immagi-ni presenti in questa altra sezione della mostra. Qui si incontrano alcuni degli scatti più celebri del fotografo colombiano dedicati alla sua terra, in un intreccio mi-rabile di paesaggi di luce, di gente al lavoro, di ven-ditori, di volti unici, con una predilezione per pesca-tori o per raccoglitori di frutta, di sguardi di donne e bambini, a volte immobili, come per un’attesa infinita o colti in un movimento vitalistico, come nelle imma-gini del circo di Macondo o tesi nello sforzo di un atto di fatica nei campi, fino al pescatore che lancia la rete, capolavoro assoluto di Leo Matiz e manifesto poetico di tutta la sua arte fotografica.

Salvo BitontiDirettore dell’Accademia Albertina di Torino

QUESTA VOLTA LA FOTOGRAFIA IL LUNGO VIAGGIO DI LEO MATIZ DA MACONDO ALL’ALBERTINA DI TORINO

98

La mostra di Leo Matiz, allestita nella prestigiosa sede della Pinacoteca Albertina di Torino, è il risultato di una proficua collaborazione con l’Associazione Ecomuseo Vallalta da me delegata, per l’Europa, alla promozione di esposizioni fotografiche di mio padre.

Come spesso accade alla presentazione di mostre suggestive e di grande valore di Leo Matiz, mi fa piacere ricordare le storie, le casualità, i legami che sono stati determinanti nel creare occasioni di arte e di bellezza.

Negli anni Novanta vivevo a Caracas dove gestivo un atelier di restauro d’opere d’arte. In quel periodo sono venuta in Italia per partecipare, a Brescia, ad un corso di aggiornamento. Magda, docente di restauro in quella struttura, nell’apprendere della presenza di una latino-americana ha voluto che fossi ospite a casa sua. Si è avviata così un’amicizia mai più interrotta.

Nel 1992 è accaduto un fatto inaspettato ed imprevedibile. La Provincia di Milano aveva voluto celebrare i Cinquecento anni dalla scoperta dell’America con una mostra fotografica di mio padre. Naturalmente all’inaugurazione era presente Magda. Davanti ad una fotografia l’ho vista fermarsi e sostare

a lungo commossa: si era riconosciuta in una foto scattata, a sua insaputa, a Caracas alla fine del 1957, esattamente trentacinque anni prima.

Quella fotografia è diventata presto un’icona tanto che il MOMA di New York, fra le sei opere di Leo Matiz acquisite, l’ha scelta quale simbolo d’amabilità nei rapporti umani.

Una ragazza, nata nella vecchia Bari, grazie all’intuito di Matiz, è così diventata un emblema di cordialità, caratteristica propria della donna latino-americana.

Magda e il marito Antonio sono i soci fondatori dell’Associazione Ecomuseo Vallalta.

Alejandra Matiz

In occasione della fiera internazionale del libro di Bogotà del 2015, dedicata a Gabriel García Márquez, è stata presentata la pubblicazione Macondo visto por Leo Matiz. Gerald Martin, biografo del Nobel della letteratura, nella premessa del libro, ha scritto: “Macondo è un luogo dell’immaginazione. Ma quando vedo le foto di Leo Matiz avverto una vicinanza spirituale molto forte fra le sue immagini e le parole di García Márquez”. Alejandra, quale segno d’amicizia, ci ha proposto di trasformare la pubblicazione dedicata al padre in una mostra. Abbiamo pensato ad un allestimento capace di suscitare l’emozione provata da Gerald Martin, idoneo sia per esposizioni all’aperto, inserite nella natura, sia in specifici spazi chiusi.Il successo delle mostre all’aperto presso la sede

dell’Associazione nel 2015 e nel 2017 a Bari, negli ambienti del Museo Civico, hanno confermato la validità della scelta.Con la mostra di Torino negli spazi della prestigiosa Pinacoteca Albertina si conclude una fase importante dell'articolata esperienza nel settore dei beni culturali avviata nel 1970 con l’istituzione del primo ecomuseo italiano e i primi corsi regionali di alta formazione di restauro. Un grazie particolare ad Alejandra Matiz e al prof. Salvatore Bitonti, direttore dell’Accademia Albertina, dell’opportunità che ci è stata riservata.

Antonio MassarelliPresidente dell’Associazione Ecomuseo Vallalta

LEGAMI DI ARTE E BELLEZZA

Associazione Ecomuseo Vallalta

Magda e il nanoCaracas, 1957, MoMA New York

1110

Ci sono vite che a un certo punto del loro percorso inesorabilmente si incrociano – per caso, per fatalità, per fili invisibili che legano, per coincidenze o affinità – e dall’incontro non possono che scaturire cose uniche e preziose. Spesso scenario di questo trovarsi o ritrovarsi è un luogo straordinario, impregnato di storie, suggestioni e forza creativa. È quanto accade, tra il 1941 e il ’43, a due singolari artisti latino-americani, Frida e Leo, nella Casa Azul, a Coyoácan, antico quartiere di Città del Messico. La vita di Leonet Matiz Espinoza (Aracataca, Colombia, 1917 - Bogotá, 1998), fotografo di fama internazionale noto come Leo Matiz, è un susseguirsi di sorprendenti coincidenze, di vicende complesse e incontri incredibili, di trame che si ingarbugliano e rapiscono. Realtà, fantasia, prodigi sembrano fondersi in una speciale combinazione che è concretezza e incanto al tempo stesso. Un destino segnato dal luogo di nascita, la città colombiana Aracataca dove, dieci anni più tardi rispetto a lui, sarebbe nato Gabriel García Márquez che ne avrebbe fatto la magica Macondo di Cent’anni di solitudine. Matiz, instancabile e curioso viaggiatore, tra il ’40 e il ’47 vive un periodo di grande successo in Messico, allora grande attrazione per i fotografi e i registi di tutto il mondo. Negli stessi anni Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón, nota come la pittrice Frida Kahlo (Coyoacán, Città del Messico, 1907, Coyoacán, 1954), consolida la sua fama internazionale, ottenuta con precedenti viaggi e mostre a New York, Parigi, Città del Messico, San Francisco. Frida è ormai una donna e un’artista matura, affermata, autonoma. Lontani gli anni difficili di sofferenza e affanni, sposa per la seconda volta il celebre pittore muralista Diego Rivera, suo grande e tormentato amore, e si trasferisce insieme a lui nella Casa Azul, la casa natale della pittrice. È proprio qui che Matiz trova una donna dalla vita intensa, ricca di passioni: sembra quasi una creazione di García Márquez, una rara combinazione di reale e straordinario. Dall’incontro di due complessi universi scaturisce un proficuo rapporto artistico e d’amicizia che dà vita a un percorso estetico ed evocativo,

concretizzato in una serie di fotografie che ritraggono la pittrice nella sua vita quotidiana, nella sua casa, nel suo quartiere. Sin da piccola Frida aveva avuto una frequentazione familiare con la fotografia. Suo nonno materno era fotografo di dagherrotipi. Suo padre, Wilhelm Kahlo, nato in Germania, trasferitosi in Messico a diciotto anni, si era conquistato, con un’esperienza professionale fitta e variegata, il primato di fotografo ufficiale del patrimonio culturale del Messico. Da lui Frida eredita la passione per gli autoritratti, occasione per lei di osservarsi, leggere con franchezza le proprie sembianze e vivere la solitudine forzata in un costante dialogo con se stessa. Per lei l’obiettivo fotografico è, di conseguenza, una lente d’ingrandimento sulla vita, uno strumento di conoscenza ed esplorazione. Ora, con Matiz, in più c’è il valore e la storia di un’amicizia, di una speciale prossimità, di reciproche accoglienze. Frida apre all’amico Leo gli spazi più intimi, dove ha vissuto le esperienze più dolorose e travolgenti che hanno contrassegnato la sua vita, la malattia, i postumi del devastante incidente avuto a diciassette anni, l’isolamento, la disperazione. Sono gli spazi in cui lei ha scoperto il disegno, la pittura, il colore, l’arte come possibilità di andare oltre e altrove, come consapevolezza spietata e meticolosa di sé, come opportuna condizione per la ricomposizione di un io frantumato ma non inesorabilmente annientato. Sono gli spazi di un amore complicato, folle, appassionato. Gli spazi dell’ospitalità, degli incontri tra artisti, intellettuali, personalità di spicco da Tina Modotti a Lev Trockij, da Sergei Eisenstein a George Gershwin, Nelson Rockefeller, Maria Felix, André Breton, un vero e proprio crocevia e cenacolo culturale. Un luogo straordinario. Qui, del tutto a suo agio, fiera, sicura di sé, Frida dona all’amico fotografo, con naturale semplicità, il suo mondo interiore, le sue contraddizioni, la sua complessità. Leo percorre con rispetto e discrezione quei luoghi abitati da una tranquilla quotidianità, accoglie l’intimità e le confidenze contenute in sguardi, gesti, movenze. Così, in una complicità spensierata e

FRIDA KAHLO E LEO MATIZ NELLA CASA AZUL

Armida Massarelli

1312

sincera, l’una offre all’altro la possibilità di lasciarsi coinvolgere in un gioco di scoperta e rivelazione. Tra il fotografo e la donna si crea un legame fatto di dedizione, coinvolgimento, concentrazione, in un’esperienza di esplorazione aperto a tutti i possibili esiti. Lo sguardo diviene relazione, profonda e inesauribile comunicazione, alla ricerca silenziosa e pacata di una memoria intima, nascosta, che, traslata nell’immagine, assume significati inediti, cercati e conquistati. Frida di fronte a Leo che non indaga ma “ascolta”, con insolita leggerezza di cui pare compiaciuta e appagata, guarda l’obiettivo e si svela, aprendo con disinvoltura un mondo di verità e di mistero. Lei offre la sua realizzata essenza, la sintesi di trame intricate e percorsi tortuosi, lui se ne prende cura e ne fa consapevolezza, impressione, segno. Ne deriva, oltre a un’interessante documentazione su un periodo di maturità artistica e personale della vita di Frida, un ritratto insolito, in cui la sua personalità, il suo universo, la bellezza non convenzionale, senza pose e messe in scena, sono portati allo scoperto grazie a un canale comunicativo che solo l’amicizia e l’arte possono aprire. Sguardi dialoganti, quelli di Frida e di Leo interpellano la capacità l’uno dell’altra di entrare nel profondo e dilatare spazi di significato e di possibilità. Sguardi che generano impalpabile stupore. Sguardi scevri da pensieri ingombranti che non temono di perdersi, anzi correndo il fecondo rischio dello smarrimento, tra enigmi e certezze, tra istinto ed esperienze, ne fanno occasione di armonia e bellezza. C’è vitalità, energia in quegli sguardi, c’è tutta l’instancabile, vigorosa proclamazione della meraviglia della vita e, a differenza di tanti altri periodi della vita di Frida e anche delle sue stesse opere, ora prevale un’atmosfera di pace, di movimento calmo, come in una raggiunta sospensione del dramma e del dolore che, certo, non vengono annullati o dimenticati ma fluiscono come tracce indelebili. L’urlo, la rabbia, la disperata ostinazione lasciano spazio alla fierezza, a una sensualità istintiva e sincera, all’ironia, alla tenerezza. È uno sguardo fresco, spontaneo, a tratti ilare e gioioso, di una seduzione nuova. Leo e Frida si concedono il divertimento di raccontare piccole/grandi vicende della quotidianità come l’affiorare pacato dei pensieri, il dinamismo degli stati d’animo, l’imprevisto affacciarsi dell’immaginazione, per dar loro vibrazione, valore e tramutarle in arte. Le quattro fotografie di Frida nel giardino (Xochimilco, México, ca. 1941) sono, ad esempio, sequenze di un graduale cambio d’umore, dalla dura fierezza della donna indomita che sfida con risolutezza l’interlocutore, all’occhiata finemente maliziosa, al sorriso appena accennato che si addolcisce e, infine, al sorriso deciso, rallegrato da chissà quale imprevisto. Il tutto incorniciato da una luce intensa, brillante che si insinua tra rami e foglie. E, poi, c’è la Frida che interrompe uno sguardo silenzioso e raccolto, che nella sua fissità contiene inesauribili moti del pensiero, con una semplice, necessaria bevuta da una bottiglia (Xochimilco, ca. 1941), in un gioco di ombre e di luce che ha del poetico e finemente rivelatore. Sequenze di un frammento di un tempo vissuto nella sua unicità e grazia. Lo sguardo di Matiz è tanto attento al globale quanto al dettaglio: è capace di mostrare l’essenza di una cultura, di una storia, di una vita in un particolare. Grazie a lui

anche un solo fotogramma offre l’emozionata e densa percezione dello scorrere del tempo, della durata, della continuità. Così nelle fotografie che ritraggono Frida distesa nell’erba (Frida che prende il sole, Xochimilco, ca. 1941), le braccia posate sulla fronte poi dietro la nuca e infine tese all’indietro raccontano l’abbandono alla terra, la resa senza riserve alla luce, al fulgore che abbaglia, alla vita. Così nelle fotografie del 1943 (Frida nella Casa Azul, Coyoacán), la guancia lievemente poggiata sulla mano, le mani e le braccia incrociate, gli occhi ora socchiusi ora chiusi e intrisi di sole, il sorriso abbozzato, il passo lieve che scende gradini, sono gesti e movimenti che rivelano la leggerezza raggiunta, la pacatezza assaporata, una tregua dal dolore che non è scomparso ma trasformato. Il tutto in un gioco di luce e ombre che suddivide il campo fotografato in due sezioni distinte e complementari, come modi diversi di considerare lo stesso soggetto, come una realtà che offre di sé un aspetto luminoso e nitido, l’altro oscuro e misterioso. Il corpo e il volto di Frida contengono, impressa, la memoria della fragilità, dell’esperienza della sofferenza, di ferite incancellabili, della femminilità lacerata e ricomposta, di assenze ingombranti. Racchiudono la veemenza, l’urgenza, il bisogno e il mistero dell’atto del creare, primo fra tutti il creare vita. E, nel dolore della maternità mancata, del sentire forte la vita e, con ostinazione, fare, forgiare, immaginare. Quel corpo e quel volto diventano così narrazione di una lotta incessante contro la Morte, quella Pelona che troppo presto “cominciò a danzare attorno al suo letto”, di un percorso vissuto, odiato, amato, mai ignorato, trasformato in linguaggio, in generatore di comunicazione. Leo è lì con lei a rendere la fotografia strumento e forma espressiva per dire la vulnerabilità dell’esistenza, per raccontare le casualità che talvolta ne determinano andamento e destini, per rivelare il nascosto e l’inenarrabile. E anche la fragilità, per quanto difficile e faticosa da vivere, tramite Frida, sono mostrate come straordinarie, preziose fonti di possibilità. La bellezza della fragilità come la bellezza della verità. Lo straordinario delle fotografie di Matiz sta in questa rivelazione insolita e coinvolgente e nell’esplicita certezza che la gran ocultadora, come Frida si definiva, è tutta lì, ancora, nella poesia di un braccio che produce ombra e mistero sugli occhi neri e penetranti, di uno sguardo enigmatico verso il cielo, di un corpo delicato spesso coperto dai vestiti tradizionali. Anche quegli abiti delle belle e risolute donne di Tehuantepec, che Frida indossa con disinvoltura in tutto il mondo, la svelano e la nascondono, in un gioco di rimandi tra il detto e il non detto, tra un passato e un presente che si fondono. L’originale sguardo di Matiz su Frida e i suoi abiti coglie il vezzo tutto femminile, l’estrosità che diviene eleganza e, al contempo, l’espressione della cultura matriarcale messicana. Le fotografie intuiscono la sincerità e il bisogno con cui lei incarna, anche con l’abito, quel Messico forte e coraggioso, rivoluzionario e gioioso, impregnato di conflitti e di speranza, di anima e di sensi, di allegria e malinconia. L’abito non è maschera, costume, ma concretizzazione di quella mexicanidad visibile e interiore che Frida personifica, fatta di tenace ricerca di origini indigene, di una

1514

tradizione non corrotta, pura, di energie primordiali e incorruttibili. La sua Mexicanidad è anche sincretismo, narra di contaminazioni, scambi e mescolanze, di mondi e culture che si intersecano e contengono svariate appartenenze, di identità ibrida e plurale mai dichiarata definitivamente ma in continuo divenire e trasformazione. Frida, padre tedesco figlio di ebrei ungheresi, viaggiatore, curioso di un Messico “sconcertante” e ammaliatore, madre messicana, devota alla vergine della Soledad, discendente da una famiglia di generali spagnoli e con padre di origine india, trasporta in sé, nella sua indole e nella sua arte, questa intrigante mescolanza. Matiz, figlio anche lui di una terra di commistioni e contrasti, culla del “realismo magico”, coglie in Frida quel Messico da lei cercato, primigenio e selvaggio, il richiamo alla Madre Terra, forza generatrice che dà e toglie la vita, non perché maligna ma per semplice legge di natura. Da fotografo e, soprattutto da latino americano, legge in lei e nella sua terra un’identità ancestrale, ora tutta vista e vissuta al femminile che, come il corpo di Frida, porta i segni e gli esiti di fratture e ferite, alcune ancora aperte altre risanate, intrisa di contrasti e paradossi, primo fra tutti la smania per la vita e la presenza costante della morte. La mexicanidad, alimento dell’anima e dell’arte di Frida, è anche negli oggetti custoditi nella Casa Azul e ritratti da Matiz al suo ritorno nel 1997 come una sorta di documentazione, connotata da emozionata

nostalgia. Lei e Diego, grande appassionato della cultura messicana nel senso più lato, avevano collezionato oggetti dell’arte popolare preispanica, statuette, idoli, sculture, oggetti rari. Ora Frida non c’è più ma Leo ritrova intatta quella raccolta, potente e densa di tutti quei simboli di cui è ricca la Casa Azul, a partire dall’azzurro con cui fu dipinta. Gli ambienti sono ancora pregnanti dell’incessante ricerca di origini, forse del rimpianto di un tempo remoto, mitico, dell’impegno inarrestabile nel creare connessioni, legami profondi con elementi soprannaturali e prodigiosi, quasi a cercare la cura del corpo e dello spirito. Con lo sguardo affezionato e con la consapevolezza di un’assenza, il fotografo rintraccia quel microcosmo da lei creato nei suoi spazi, la casa e il giardino, ne raffigura l’atmosfera e le suggestioni. Ne ricorda – forse – i profumi. La Casa è ancora tutta impregnata dei colori, dell’estro di Frida e Leo ne respira l’aria intrisa di vibrazioni e incanti. L’amico Matiz continua così, dopo più di cinquant’anni, la sua narrazione di un’artista, di una donna speciale, figlia degli Aztechi come della rivoluzione, innamorata della vita, geniale e creatrice d’arte e di sogni. Il racconto si chiude con l’immagine di Leo riflessa nel vetro di una libreria. E nell’evanescenza di un’insolita fotografia, immancabile basco, barba e capelli bianchi, occhi bassi, nel silenzio intriso della voce e della presenza di Frida, Leo dedica all’amica il suo sguardo di nostalgia.

1716

Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997Stampa contemporanea

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941

Stampa alla gelatina ai sali d’argento

1918

Frida in giardinoXochimilco (Messico), 1941Stampa contemporanea

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941

Stampa alla gelatina ai sali d’argento

2120

Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1943Stampa piezografica, 1995Firmata dall’autore

Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1943Stampa piezografica, 1995

Firmata dall’autore

2322

Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1943Stampa piezografica, 1995Firmata dall’autore

Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1943Stampa piezografica, 1995

Firmata dall’autore

2524

Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1943Stampa piezografica, 1995Firmata dall’autore Frida a Xochimilco

Xochimilco (Messico), 1941Stampa alla gelatina ai

sali d’argento

2726

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941Stampa alla gelatina ai sali d’argento

Frida nel giardinoXochimilco (Messico), 1941

Stampa alla gelatina ai sali d’argento

2928

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941Stampa alla gelatina ai sali d’argento

Frida nel giardinoXochimilco (Messico), 1941

Stampa alla gelatina ai sali d’argento

3130

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941Stampa alla gelatina ai sali d’argento

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941

Stampa alla gelatina ai sali d’argento

3332

Frida a XochimilcoXochimilco (Messico), 1941Stampa alla gelatina ai sali d’argento

Frida a CoyoacánCoyoacán (Messico), 1943

Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

3534

Frida a CoyoacánCoyoacán (Messico), 1943

Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

3736

Frida e il venditore di tessutiCoyoacán (Messico), 1943Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

Frida e una sua alunnaCoyoacán (Messico), 1943

Stampa contemporanea

3938

Frida e Diego vissero in questa casaCoyoacán (Messico), 1997Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

Il giardino della Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997

Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

4140

Scultura preispanica nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

Scultura preispanica nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997

Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

4342

Camera da letto di Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997Stampa contemporanea

Camera da letto di Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997

Stampa contemporaneaFirmata dall’autore

4544

Studio di Frida con il ritratto di StalinCoyoacán (Messico), 1997Stampa alla gelatina ai sali d’argento

Studio di Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997

Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

4746

Teschio di Frida nella Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997Stampa alla gelatina ai sali d’argentoFirmata dall’autore

Casa AzulCoyoacán (Messico), 1997

Stampa contemporanea

4948

Frida Kahlo

1907Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón nasce il 6 luglio a Coyoacán, Messico. Figlia di Matilde Calderón e Guillermo Kahlo, terza di quattro sorelle. Fu allattata da una balia india perché sua madre era malata.

1910Per solidarietà con la Rivoluzione messicana Frida sceglie il 1910 come data della sua nascita.

1914Frida si ammala di poliomielite. Suo padre la incoraggia a praticare diversi sport per recuperare la forza del suo corpo. Lei si riprende, ma la gamba destra rimane troppo magra in seguito alla malattia.

1922Frida studia alla “Escuela Preparatoria Profesional” per poi studiare Medicina all’Università. Osserva con ammirazione Diego Rivera mentre dipinge un murale nella stessa scuola.

1924Frida inizia una relazione con il suo compagno di studi, Alejandro Gómez Arias.

1925Il 17 settembre un grave incidente di autobus lascia Frida in cattive condizioni fisiche, il suo corpo non riuscirà mai a riprendersi del tutto. Durante la sua degenza, Frida incomincia a dipingere.

1926I suoi medici scoprono che ha tre vertebre fuori posto. Per immobilizzare la sua colonna vertebrale le applicano un busto intero, il primo di molti artefatti che porterà durante tutta la vita.

1927Frida si unisce alla lega comunista. Alejandro si trasferisce a Berlino e Frida gli scrive molte lettere d’amore.

1928Frida si ritrova nuovamente con Diego e incominciano a corteggiarsi. Nell’affresco Balada de la Revolución che Diego realizzò per il Ministero della Pubblica Istruzione appare Frida che consegna le armi per la lotta rivoluzionaria.

1929Il 21 agosto, Frida e Diego si uniscono in matrimonio civile. Lei diventa la sua terza moglie – l’elefante e la colomba –. Diego viene espulso dal partito comunista e la coppia si trasferisce a Cuernavaca, Messico.

1930Frida deve interrompere la gravidanza di tre mesi, si rende conto che ci sono poche probabilità che il suo corpo possa reggere una gravidanza completa dopo l’incidente del 1925. La coppia si trasferisce a San Francisco, California, dove ritrovano il dott. Leo Eloesser, conosciuto in Messico nel 1926. Il dottore diventerà il suo consigliere medico e un amico di fiducia.

1931La coppia torna in Messico per cinque mesi, successivamente ritorna a New York. Il dipinto Frida y Diego Rivera è esposto alla “Sixth Annual Exhibition of the San Francisco Society of Women Artists”.

1932Frida e Diego si trasferiscono a Philadelphia e poi a Detroit, Michigan. Frida subisce un altro aborto spontaneo e trascorre tredici giorni all’ Henry Ford Hospital. Riceve un telegramma in cui la informano che sua madre sta morendo. Disperata, torna in Messico. Sua madre muore il 15 settembre.

1933Diego riceve un incarico per dipingere un murale nel Rockefeller Center, la coppia si trasferisce a New York. Diego inserisce nel murale un ritratto di Lenin e il suo contratto è annullato. Ritornano in Messico e decidono di costruire una nuova casa a San Ángel, il cui progetto prevede due residenze separate unite solo da un ponte.

1934Frida torna in ospedale, questa volta per un’operazione al piede: diverse falangi vengono amputate. Per la terza volta viene interrotta una gravidanza. Diego e Frida si separano in seguito ad una relazione di Diego con la sorella di Frida, Cristina.

1935Frida ha una relazione con lo scultore Isamu Noguchi. Lei e Diego hanno incontri occasionali.

1936Frida viene operata una terza volta al piede destro. Frida e Diego si adoperano per far ottenere l’asilo politico al comunista russo Leon Trotsky e a sua moglie Natalia. Collaborano anche alla raccolta di fondi per la lotta repubblicana contro le forze di Franco durante la guerra civile spagnola. Diego si unisce alla Lega Trotskista Internazionale Comunista. Dinanzi all’infedeltà di Diego, Frida inizia ad avere rapporti con altri uomini e donne.

1937Leon Trotsky e sua moglie Natalia si trasferiscono alla “Casa Azul”. Frida e Diego prendono delle precauzioni per proteggere il loro ospite politico. Frida ha una relazione con Trotsky.

1938André Breton, poeta e saggista surrealista, con sua moglie Jacqueline Lamba sono ospiti dei Rivera. A Frida sembra che Breton sia troppo pretenzioso, ma il poeta diventa uno dei suoi grandi ammiratori. Edward G. Robinson compra quattro autoritratti e Frida allestisce la sua prima personale a New York nella Levy Gallery.

1939Frida e il fotografo americano Nicolas Murray diventano amanti. Frida viaggia in Francia e rimane

con i Breton a Parigi, a marzo si reca a New York e ad aprile torna in Messico. Trotstky litiga con Diego. I coniugi Trotstky lasciano la “Casa Azul” e si trasferiscono in un appartamento proprio. Frida e Diego divorziano.

1940Frida viaggia da sola a San Francisco per vedere il dott. Eloesser. Ha una breve relazione con il mercante d’arte Heinz Berggruen. Frida e Diego si risposano a settembre. Leon Trotstky è vittima di un attentato e muore assassinato con un piccone.

1941Il padre di Frida muore ad aprile e lei piomba in una stato depressivo che mina la sua già debole salute. La sua opera è presente nella mostra Modern Mexican Painters nell’ Institution of Modern Art di Boston.

1942Opere di Frida sono presenti nella mostra 20th Century Portraits nel Museum of Modern Art di New York.

1943Frida insegna presso “La Esmeralda”, l’Accademia di Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione messicano. Dopo qualche mese d’insegnamento le sue precarie condizioni di salute la costringono a dare lezioni ai suoi studenti restando nella “Casa Azul”.

1944Frida è in uno stato di salute molto delicato e per consolarsi incomincia a scrivere un diario.

1945La fotografa messicana Lola Álvarez Bravo scatta alcuni ritratti di Frida.

1946Il Ministero della Pubblica Istruzione concede a Frida il “Premio Nacional de Artes y Ciencias”. A giugno Frida è sottoposta a una operazione alle ossa. Inizia a soffrire di allucinazioni dovute agli alti dosaggi di morfina che assume per i dolori.

1947Diego si ammala di broncopolmonite ed è ricoverato.

1948Frida rientra nel partito comunista (l’aveva abbandonato quando Diego ne venne espulso).

1949Il piede destro di Frida ha la cancrena.

1950Frida si sottopone a diverse operazioni alla colonna vertebrale e rimane in ospedale per quasi tutto l’anno.

1951Frida è costretta sulla sedia a rotelle, assistita da infermiere. Durante l’anno assume alte dosi di antidolorifici.

1952Frida dipinge una serie di nature morte e lavora attivamente nella raccolta di firme per il movimento per la pace.

1953Le viene amputata la gamba destra fino al ginocchio. Nel periodo in cui allestisce la sua personale nella Galleria d’Arte Contemporanea di Città del Messico, la sua città natale, Frida sta praticamente morendo. Prende comunque parte all’inaugurazione sdraiata su un letto.

1954Pochi giorni prima di morire, Frida partecipa a una dimostrazione contro l’intervento della CIA in Guatemala.Frida muore il 13 luglio per una embolia polmonare nella “Casa Azul”, ma si sospetta il suicidio. Suicidio che non si è mai potuto accertare. La veglia ha luogo nel Palazzo delle Belle Arti e una grande quantità di ammiratori le danno l’ultimo saluto. Il suo corpo viene cremato alcuni giorni dopo.

5150

Era il nome di una piantagione di banane nella periferia di Aracataca, dipartimento di Magdalena, nel nord della Colombia. La stessa Aracataca (un nome che emana luce, sole, ritmo), viene trasformata, sotto un altro nome più cupo (oscurità, pioggia, sopore), nello sfondo del romanzo più importante e più emblematico della storia dell’America Latina, un romanzo che riguarda l’infanzia dell’America Latina e in America Latina. A volte, in momenti di tristezza e disincanto, Macondo diventa metafora di tutta l’America Latina: oppressa, dimenticata, sottosviluppata (la sua realtà storica) eppure piena, sempre, di dignità, coraggio, gioia, speranza e di bellezza umana e artistica (la sua magia atemporale). Aracataca e Macondo. Guacharaca e tamburo, con la fisarmonica – la voce – di Gabriel García Márquez.

Il grande fotografo Leo Matiz nacque nel 1917 ad Aracataca, una piccola città di luci e ombre. Il grande scrittore Gabriel García Márquez nacque nello stesso paese nel 1927. Io l’ho sempre trovato e lo trovo ancora incredibilmente straordinario che il grande maestro della parola dell’America latina e il grande maestro delle sue immagini siano stati dati alla luce – sì, proprio alla luce – in quel minuscolo paese sconosciuto dei Caraibi colombiani. Aracataca.

Abracadabra. La magia del creare e del credere – doni gemelli dello zingaro viaggiatore Melquíades, avatar del trovatore Gabriel.

È nei Caraibi che è stato inventato il Nuovo Mondo; è nei Caraibi che l’impatto del colonialismo europeo si è manifestato più intensamente; ed è nei Caraibi che il realismo magico è stato concepito e sviluppato in modo decisivo. In spagnolo, in particolare, ma anche in francese, in inglese, in olandese (Miguel Ángel Asturias, Alejo Carpentier, Aimé Césaire e altri ) a partire dagli anni Venti del secolo scorso, cioè tra l’anno in cui è nato Matiz e l’anno in cui è nato García Márquez. Coloro che esplorano e indagano questo stile e questo movimento troveranno un altro modo di concepire e comprendere non solo il mondo in cui abbiamo vissuto dal 1917, ma lo sviluppo della cultura occidentale negli ultimi cinquecento anni, da quando Colombo è arrivato nelle Indie, vale a dire i Caraibi. Il realismo magico era implicito nella scoperta dell’America e si è reso esplicito tra il 1917 e il 1927. Perché, come il suo nome implica, il realismo magico è un genere artistico che mescola la realtà quotidiana occidentale – presumibilmente storica e scientifica – con altre dimensioni dell’esperienza umana, come i miti, le leggende e, senza dubbio, la magia delle società

LEO MATIZ E MACONDO

Gerald Martin

"Non sapeva nemmeno che per qualche persona la gabbia che aveva appena costruito era la gabbia più bella del mondo.

Era abituato a costruire gabbie fin da bambinoe per lui quello non era stato altro

che un lavoro più difficile degli altri"Gabriel García Márquez

La prodigiosa sera di Baltasar

L M

5352

più tradizionali. Teoricamente e tecnicamente è un fenomeno artistico molto complesso e inafferrabile, ma la sua caratteristica più importante, in mia opinione, è che conferisce la stessa validità – e dignità – sia alla visione del mondo non occidentale, pre-occidentale o addirittura anti-occidentale, sia alla stessa visione occidentale che, in fin dei conti, domina il pianeta in cui viviamo.

Per farlo e per capirlo bisogna essere democratici, solidali e viaggiare molto, per poi tornare, arricchiti, alla realtà e all’arte, all’Itaca – o all’Aracataca – originaria. Leo e Gabo coincidono anche in questo, entrambi viaggiatori dalla straordinaria lucidità e vitalità artistica: entrambi vissero molto intensamente non solo l’infanzia e l’adolescenza nel loro paese di origine, ma anche i loro soggiorni in due paesi altrettanto vitali: Messico e Venezuela (in Colombia, Leo e Gabo avevano viaggiato lungo lo stesso fiume, avevano contemplato lo stesso mare; in Venezuela lavorarono persino insieme; in Colombia e in Messico furono entrambi amici di quel grande colombiano e latino americano che fu Álvaro Mutis). “Matizando” un po’, quello che vedo nell’opera di Leo – lui è nato prima – e Gabo è la fertile fusione della magia della realtà latinoamericana – o macondina – con la magia dell’arte. Si confronti, ad esempio, una scarna immagine come El bebedor de agua di Matiz con quella meraviglia fotografica che è il Pavo real del mar; o un classico testo del realismo letterario come Nessuno scrive al colonnello di García Márquez con quel romanzo prodigo di miti e di miracoli che è Cent’anni di solitudine.

È chiaro che Aracataca è stata l’ispirazione di Macondo, anche se naturalmente bisogna sempre ricordare che la letteratura ha anche il suo status autonomo o semi-autonomo,

e Macondo è, dopo tutto, un luogo di immaginazione. Ma quando rivedo le foto di Leo Matiz sento una vicinanza spirituale molto forte tra le sue immagini e le parole di García Márquez. Questa esperienza mi porta a dire che l’incontro istantaneo tra le due forme artistiche rappresenta proprio una rivelazione. Sono due forme diverse ma rivelano un unico mondo: un mondo radiante, che i due artisti hanno conosciuto sin dall’infanzia, con una luce interiore che riescono a ri-creare. I grandi artisti scoprono e rivelano sempre la magia presente nella realtà.

Queste foto sono un tesoro: costituiscono in primo luogo un magazzino di immagini indispensabili per avvicinarsi alla vita degli abitanti della costa colombiana nei decenni decisivi del secolo scorso; ma sono anche un punto di riferimento affascinante per confrontare la materialità fisica del mondo caraibico con la ricreazione verbale svolta da García Márquez, il più famoso scrittore caraibico di quel periodo. Straordinarie, indimenticabili, di una bellezza evidente e autosufficiente, in esse si capta non solo la resistenza e la dignità degli abitanti della Costa colombiana, ma anche un certo alone magico che le unisce al loro ambiente in modo molto peculiare e speciale.

Nel famoso prologo al suo romanzo Il Regno di questo mondo (1949), lo scrittore cubano Alejo Carpentier, grande teorico de lo real maravilloso (o “realismo magico”), affermò: "Ma qual è la storia di tutta l’America se non una cronaca del realismo magico?" Sì, l’America è meravigliosa, ma solo attraverso i suoi artisti – poeti, romanzieri, musicisti, pittori, scultori, fotografi – può trasformare le sue meraviglie in opere durature e eternamente giovani: libere e prigioniere nella gabbia invisibile dell’arte.

Leo Matiz e Gabriel Garcìa Màrquez, Biarritz, Francia, 1995

5554

Tramonto a Santa Maria. UominiColombia

Uomo sulla palmaCaribe colombiano

5756

TramontoCartagena (Colombia), 1963 ca.

Primo pozzo petroliferoTotumal (Colombia), 1953

5958

6160

AracatacaColombia, 1963 ca.

AracatacaColombia, anni ‘50

6362

Il fiume AracatacaRío Aracataca (Colombia), 1968

Primo pozzo petroliferoTotumal (Colombia), 1953

6564

Canale di BarranquillaColombia, 1963

a destra: Zona BananeraAracataca (Colombia), 1939

6766

Raccoglitore di cacaoColombia, 1952 ca.

Venditrice di bananeAracataca (Colombia), 1957

6968

Venditore di "casabe"Venezuela, 1953

Trasporto e vendita di plataniPuerto Colombia, 1939 ca.

7170

Venditore di "casabe"Venezuela, 1953

Trasporto e vendita di plataniPuerto Colombia, 1939 ca.

7372

TelegrafistaAracataca (Colombia), 1939 ca.

Zona bananeraColombia

7574

CocchiereSanta Marta (Colombia)

CommercianteColombia

7776

“Gallero”Aracataca (Colombia)

“Gallero”Aracataca (Colombia), 1951

7978

A sinistra: LavoratoreColombia

ContadinoAracataca (Colombia)

8180

Gli uomini del petrolioColombia, 1950

Trasportando forme di formaggioCordoba (Colombia), 1967

8382

Il pavone del mareMagdalena (Colombia), 1939

8584

A sinistra: Il tessitore di retiRío Magdalena (Colombia), 1960 ca.

Il pescatoreRío Magdalena, Aracataca (Colombia), 1955

8786

PescatoreIslas del Rosario (Colombia),1979 ca.

PescatoreColombia, 1951

Pagina successiva: PescatoreRío Magdalena (Colombia), 1955

8988

9190

La pescaSanta Marta (Colombia), 1950 ca.

Pescatori a Santa MartaColombia, 1960

9392

PescatoreTaganga (Colombia)anni ‘60

PescatoriRío Magdalena (Colombia)

9594

PescatoreColombia

PescatoreColombia

9796

LavandaiaRío Magdalena (Colombia), 1939

Trasporto di acquaAracataca (Colombia)

9998

Venditrice di caramelleCaribe colombiano

CuocaAracataca (Colombia)

101100

LavandaieRío Magdalena (Colombia)

Portatrici d’acquaCaribe colombiano

103102

“Sancocho trifásico”Aracataca (Colombia), 1950

Ritratto di donnaCaribe colombiano

105104

Petra CotesColombia, 1960

InnamorataAracataca (Colombia), ca 1960

107106

A sinistra: La sposaMelgar (Colombia), ca 1973

BallerinaColombia

109108

Gitana flor de Praga tra la Colombia e il Messico1941

PalafitteVenezuela, 1958

111110

Bambina che trasporta un saccoColombia

BambiniAracataca (Colombia), 1950 ca.

113112

Bambini sul muloAracataca (Colombia), 1960

Trasportando legnaArmero, Tolima (Colombia), 1979

115114

Zona bananeraColombia

BambiniRío Magdalena (Colombia)

117116

Venditori di cocadasSanta Marta (Colombia), 1963 ca.

Casa di BaharequeRío Magdalena (Colombia), 1950

119118

Leggendo sulla spiaggiaSanta Marta (Colombia), 1960

Combattimento tra galliAracataca (Colombia), 1960

121120

Bevendo acqua stagnanteAracataca (Colombia), 1960

Casa ad AracatacaColombia

123122

MusicistiColombia, 1961

Il circo di MacondoColombia, 1960

125124

Persone in riva al fiumeColombia

Il Piroscafo “Atlántico”Río Magdalena (Colombia), 1939

127126

Il Piroscafo nel fiume MagdalenaRío Magdalena (Colombia)

Il treno di MacondoAracataca (Colombia)

129128

Le vedove di MontielRio Magdalena (Colombia), 1939

CampesinoColombia

131130

AracatacaColombia

GenteCaribe colombiano

133132

Guajiros venezuelaniLo stato di Zulia, 1975

Il Chisciotte di AracatacaColombia, 1998

135134

BambinoColombia

Anziano Aracataca (Colombia), 1953 ca.

137136

I turchiColombia 1960

Salpando al crepuscolo Cartagena, Colombia, ca. 1963

139138

Leo Matiz

1917Il primo aprile, in un paese chiamato Arataca, nei caraibi colombiani, nasce Leonet Matiz Espinoza, primogenito di sette figli di Tulio Matiz ed Eva Espinoza.

1933Pubblica le sue prime caricature sulla rivista Civilización e allestisce la sua prima mostra nella pasticceria Excélsior di Santa Marta, la città più antica della Colombia, capoluogo del dipartimento di Magdalena.

1935A Santa Marta fonda la rivista umoristica e di critica politico-sociale Lauros. Crea la rivista domenicale e caricaturale TVO, assumendone la direzione artistica. Collabora con le testate El Heraldo e La Prensa di Barranquilla. Si reca a Bogotà ed entra nella Scuola Nazionale di Belle Arti, fondata nel 1886. Collabora con la rivista El Grafico, in quel momento una delle pubblicazioni più tradizionali del paese.

1936Organizza la sua terza mostra di caricature alla “Asociación Empleados de Commercio” di Magdalena. Espone per la seconda volta all’Excélsior di Santa Marta. La Heladería Imperial ed il Club Rotario della vicina città di Ciénaga, Magdalena, espongono una mostra di caricature dove viene presentato come un “fervoroso cultore del disegno e perpetuo innamorato della sua arte perenne”. Allestisce una mostra di caricature nel Casinò di Manizales, una città della “Zona Cafetera” colombiana.

1937Enrique Santos Montejo, “Calibán”, co-direttore di El Tiempo – testata a diffusione nazionale – sprona Matiz a dedicarsi alla fotografia per il suo giornale e gli regala la sua prima macchina fotografica: una Roylander a soffietto. Leo Matiz Si forma nello studio del pittore e fotografo Luis B. Ramos, pioniere del giornalismo grafico in Colombia, che creerà un nuovo stile. Collabora alla campagna “Cinema Educativo “ del Ministero di Istruzione colombiano, per la quale lavora come direttore della fotografia del teatro infantile di Santa Marta. Nel Teatro Variedades di questa città espone le sue caricature e collabora con la rivista Brigada.

1938Partecipa alla direzione grafica della rivista Santafé. Insieme al giornalista Ximénez crea Folletón, che fu uno dei primi settimanali ad occuparsi dei atti di cronaca di Bogotà e che si distinse per i suoi reportage popolari, storie sensazionalistiche e racconti di avventura.

1939Assunto dalla rivista Estampa, sotto la direzione di Jorge Zalamea, José Umaña Bernal ed il poeta messicano Gilberto Owen, Leo Matiz intraprende il suo primo viaggio come reporter grafico. Attraversa la Ciénaga Grande del dipartimento di Magdalena per realizzare servizi sulla pesca e sui mestieri popolari.

A questo periodo risale la sua prima, importante fotografia: La Red o El Pavo Real del Mar. Collabora con i quotidiani El Tiempo e El Espectador. Viene nominato professore di disegno presso la Scuola di Belle Arti di Barranquilla. Collabora come illustratore per la rivista umoristica Guau Guau, insieme al caricaturista Alberto Arango Uribe.A Bogotà, insieme allo scultore Julio Abril, fonda ARCOM, laboratorio di arti grafiche e commerciali specializzato in propaganda moderna e fotomontaggi. In quello stesso anno Julio Abril viaggia in Messico per studiare all’Accademia di San Carlos.

1940Ispirato dal film Allá en el rancho grande (diretto da Fernando de Fuentes e con Gabriel Figueroa alla fotografia), Matiz salpa il 20 agosto da Barranquilla per il Messico con il proposito di esporre i suoi disegni, “perfezionare la sua caricatura” e conoscere Leon Trotski. L’incontro con il rivoluzionario russo non ebbe luogo perché fu assassinato il giorno dopo la partenza di Leo Matiz, che venne a sapere dell’accaduto al suo sbarco a Panama. Nel mese di Ottobre arriva in Costa Rica, dove presenta nel Teatro Nazionale il suo lavoro artistico intitolato Caricature, disegni e fotografie, con l’appoggio dell’Associazione di Artisti e Scrittori della Segreteria per la Pubblica Istruzione di quel paese. Organizza inoltre una mostra con i suoi disegni e dipinti nel “Colegio Superior de Señoritas” e realizza caricature dei visitatori alla “Gran Feria y Baile” del Fondo Winston Churchill a San José, la capitale. A novembre continua il suo viaggio a piedi per il Centroamerica. Il 31 dicembre arriva a San Salvador, dove espone fotografie, incisioni, disegni, caricature e dipinti nell’Ambasciata della Colombia, insieme all’incisore Francisco Amighetti. A Gennaio espone nuovamente insieme all’incisore Francisco Amighetti nel Casinò di San Salvador. Successivamente entra in Messico dalla città di frontiera di Tapachula, Chiapas, insieme alla sua prima moglie Celia Nichols. Seguendo il consiglio del poeta colombiano Porfirio Barba Jacob si unisce alla rivista Así, pubblicata a Città del Messico. Barba Jacob e Julio Abril fecero entrare in contatto Leo Matiz con la realtà culturale messicana. Nel mese di maggio pubblica El oro verde, il suo primo reportage. Partecipa ad 87 numeri della rivista Así (1941-1945) e collabora in altri sette numeri della rivista Hoy (1941-1944). Insieme agli artisti Julio Abril, Luis Alberto Acuña, Juan Sanz de Santamaría y Rómulo Rozo partecipa alla mostra “Pitture, sculture e incisioni di artisti colombiani residenti in Messico”, che si tenne il 20 luglio nelle gallerie del Palazzo delle Belle Arti. La mostra fu realizzata per la commemorazione del Giorno dell’Indipendenza della Colombia e fu inaugurata dal poeta Pablo Neruda, console del Cile. L’esposizione ebbe l’appoggio del governo messicano e dell’ambasciata colombiana.

1942A giugno organizza una personale nella galleria Decoración di Città del Messico. Con l’appoggio di Gabriel Figueroa e Manuel Álvarez Bravo, si iscrive Il colonnello

Aracataca (Colombia), 1939 ca.

141140

al Sindacato dell’Unione Cinematografica del Messico come fotografo di scena. Entra a far parte del mondo del cinema e lavora come stillman nei film El Circo, diretto da Miguel M. Delgado e La virgen que forjó una patria, del regista Julio Bracho. Si occupa dei primi casting per il cinema dell’attrice María Felix per poi realizzare, in seguito, ritratti fotografici anche per altri famosi artisti del cinema messicano.

1943Allestisce l’esposizione Tipos y costumbres de México nel suo studio in Avenida Juárez, con l’appoggio dello scrittore Jorge Zalamea, Ambasciatore della Colombia.

1944Come inviato della rivista Hoy, si reca negli Stati Uniti per perfezionare le proprie tecniche. A novembre espone pitture, disegni e acquarelli nell’Advertising Club of New York. Collabora con la rivista Nosotros, pubblicando su 23 numeri (1944-1945).

1945Conosce il regista spagnolo Luis Buñuel e gli mostra il suo lavoro fotografico sugli emarginati di Città del Messico, materiale che probabilmente ha ispirato Buñuel per il suo film I figli della violenza (Los olvidados) (1952). La stampa gli assegna il premio come migliore reporter grafico del Messico per il suo reportage El pulque, pubblicato sulla rivista Nosotros. Inizia con David Alfaro Siqueiros un progetto di collaborazione estetica tra fotografia e pittura per il murale Cuauhtémoc contra el mito. Apporta al progetto 500 fotografie. Lavora per la rivista Norte, pubblicando su 23 numeri (1945-1948). Continua il suo lavoro cinematografico con i film Lo que va de ayer a hoy, diretta da Juan Bustillo Oro; El puente del castigo, del regista Miguel M. Delgado; Nuestros maridos, di Víctor Urruchua e Las cinco advertencias de Satanás, del regista Julian Soler.

1946Partecipa al film La devoradora di Fernando de Fuentes, regista ispiratore del suo viaggio in Messico. È il direttore di fotografia del film Fiesta (Fiesta brava), diretto da Richard Thorpe e prodotto negli Studios Metro-Goldwyn Mayer.

1947Denuncia sulla stampa nazionale ed internazionale David Alfaro Siqueiros per plagio delle sue fotografie nel catalogo di una serie di opere esposte nel Palazzo delle Belle Arti di Città del Messico. Pubblica sulla rivista America l’articolo Ni Chantaje, ni mentira, una difesa del proprio lavoro fotografico svolto nel progetto del murale Cuauhtémoc contra el mito di David Alfaro Siqueiros. Dopo l’incendio che distrusse il suo studio di Città del Messico, abbandona il paese aiutato dall’ambasciatore della Colombia, lo scrittore Jorge Zalamea, che gli offre asilo. Collabora con la pubblicazione Sucesos colombianos diretta da Plinio Mendoza Neira e con la casa editrice Sábado. Lavora per la rivista Selezione dal Reader’s Digest e viaggia in diversi paesi del Centro e Sudamerica, dove scatta fotografie a colori per le copertine di 25 numeri dell’edizione spagnola, tra il 1947 e il 1951.

Fa parte di una mostra collettiva nel Museo di Arte Moderna di New York. In questa città realizza reportage per le riviste Life e Norte come inviato speciale in Sudamerica.

1948Si reca a Bogotà inviato alla IX Conferenza Panamericana dall’Agenzia di Stampa Pix Corporation, fornitrice del materiale informativo della rivista Life. Durante la sua permanenza nella capitale colombiana verrà ferito nel corso dell’insurrezione popolare scatenata dall’uccisione del leader Jorge Eliécer Gaitán il 9 aprile. Quello stesso giorno Matiz aveva un appuntamento con Gaitán, che lo avrebbe dovuto presentare al giovane Fidel Castro. Scatta l’ultima fotografia dell’assassinio del leader immolato. Questa immagine fa il giro del mondo.Nella guerra arabo-israeliana, partecipa come fotografo ufficiale dell’ONU, dove si ustiona dopo essere caduto in un pozzo petrolifero. È testimone della morte del mediatore di pace del conflitto, il conte Folke Bernadotte. Il repertorio bellico di Matiz è divulgato da numerose agenzie di stampa internazionali. A seguito del suo lavoro nell’ONU, è considerato come uno dei dieci fotografi più importanti al mondo.

1950Con il poeta Álvaro Mutis viaggia in Colombia con l’obiettivo di realizzare una serie di reportage per la rivista Lámpara sullo sfruttamento petrolifero nei vari paesi della Valle della Magdalena. Si trasferisce a Caracas, dove collabora con diverse riviste, tra le quali El mes financiero y económico, diretta da Plinio Mendoza Neira.

1951Fonda la Galleria d’Arte Leo Matiz a Bogotà e organizza la prima personale del giovane artista Fernando Botero. La galleria diventa l’epicentro della vita culturale della città, frequentata da artisti, politici e letterati come León de Greiff, Jorge Zalamea ed un giovane scrittore nato ad Aracataca, Gabriel García Márquez. In Venezuela realizza il libro Así es Caracas, pubblicazione di El mes financiero y económico.

1952Il 6 aprile nasce sua figlia Eva Alejandra, che sarà battezzata dal poeta Álvaro Mutis. La Galleria d’Arte Leo Matiz allestisce una seconda personale di Fernando Botero, in cui si percepiscono echi di cubismo.

1955Matiz porta avanti un lavoro di documentazione visiva sulla modernità urbanistica di Caracas, per la rivista La arquitectura de Venezuela, pubblicazione del IX Congresso Panamericano di Architetti.

1957Con la firma Mendoza & Mendoza pubblica il libro Del Urbanismo y de la moderna arquitectura en Caracas. È nominato fotografo ufficiale del Palazzo Miraflores, sede della Presidenza del Venezuela.

1958È il reporter grafico della rivista venezuelana Momento ed insieme al suo concittadino Gabriel García Márquez realizza un servizio sulla caduta del dittatore Marcos Pérez Jiménez a Caracas. Le foto dell’insurrezione, scattate da Matiz, sono pubblicate su diverse riviste, tra le quali Paris Match. Matiz si consolida come uno dei grandi protagonisti del giornalismo fotografico in Venezuela.

1964Realizza delle fotografie per il libro che commemora i 75 anni del birrificio colombiano Bavaria, pioniere di questo tipo di industria nel paese.

1966Collabora con reportage fotografici esclusivi per la rivista Cromos, settimanale di intrattenimento e attualità colombiana ed internazionale, fondata nel 1916.

1972Torna a Caracas in compagnia di sua figlia Alejandra, convocato dal candidato alle presidenziali Carlos Andrés Pérez. Collabora con il cinema venezuelano – messicano.

1976Lavora come fotografo nel film El pez que fuma del regista venezuelano Roman Chalbaud e per la Oficina Central de Información della Presidenza della Repubblica del Venezuela.

1978Torna in Colombia. A Bogotà è vittima di una rapina in cui perde l’occhio sinistro. Si rifugia in una tenuta a nord della capitale e rinuncia alla fotografia per un lungo periodo.Con l’appoggio di sua figlia Alejandra Matiz, che si assume la diffusione dell’eredità artistica del padre, l’opera di Leo Matiz incomincia ad essere conosciuta in tutto il mondo.

1988In omaggio ai suoi 50 anni di carriera come artista e fotografo, il Museo d’Arte Moderna di Bogotà organizza una retrospettiva itinerante per tutta la Colombia. Torna ad Aracata, la sua città natale, dopo 50 anni di assenza.

1992La galleria Il Diaframma e la Provincia di Milano allestiscono una retrospettiva con la pubblicazione di Leo Matiz, fotografie, il suo primo libro edito in Europa. 1994La galleria Carla Sozzani di Milano organizza una mostra collettiva ed itinerante per l’Europa e gli Stati Uniti riguardante la figura di Frida Kahlo, con 45 ritratti realizzati da Leo Matiz, Manuel Álvarez Bravo, Lola Álvarez Bravo, Fritz Henle, Guillermo Kahlo, Lucienne Bloch, Bernard Silberstein ed Emmy Lou Packard. Allestisce la mostra Visión de un continente al Queens College Art Center di New York. In Italia partecipa all’esposizione itinerante America Latina 1900-1993, Racconti fotografici d’autore, con opere di Leo Matiz, Victor Agustín Cassola, Fernando Paillet ed Alicia D’Amico.

1995Riceve a Milano il premio Harus Sicof. Matiz è invitato alla XVII Edizione del Festival Latinoamericano di Biarritz, dove è nominato Chevalier de l’Ordre des Art set des Lettres dal governo francese, in presenza dei suoi amici colombiani Gabriel García Márquez, Álvaro Mutis e Manuel Zapata Olivella. Espone nell’Espace Photographique des Paris, attuale Maison Europèenne de la Photographie. L’Istituto Europeo di Design di Milano ospita la mostra Los personajes de Leo Matiz.Viene pubblicato in Colombia il suo libro El tercer ojo.

1996In Italia riprende la fotografia in studio, dopo 18 anni di abbandono, ispirato da un'artista e modella italiana. Viaggia ad Atene invitato dalla Federazione dei Produttori di Caffé della Colombia. Espone all’Hotel Hilton. Ritorna in Messico cinquant’anni dopo, quasi cieco, in compagnia di sua figlia e della modella italiana. Si ritrova con i suoi amici Manuel Alvarez Bravo e Gabriel Figueroa. La città di Aracataca rende omaggio alla sua vita e alla sua opera.

1997Con la collaborazione del Gruppo Fertinal viaggia per le campagne messicane, fotografa contadini e paesaggi e con queste immagini pubblica il libro Los hombres del campo, un tributo al popolo che tanto lo ispirò. A Firenze riceve il premio “Filo d’Argento” nel Palazzo Vecchio, festeggia il suo compleanno e nel Caffé Giubbe Rosse organizza la mostra MatizSiqueiros, cinquant’anni dopo. L’arte per l’arte. A Venezia scatta fotografie dell’acqua con la modella Elisabetta Valentini.

1998Il governo del suo paese gli rende omaggio riconoscendo Matiz come il fotografo colombiano più importante del XX secolo. Per questo evento viene pubblicato il libro La metafora del ojo, scritto dal suo biografo, scrittore e giornalista Miguel Ángel Flores Góngora, curato da Alejandra Matiz; il libro è corredato da un CD-ROM e da un documentario. La Biblioteca Nazionale della Colombia e la galleria Diners si uniscono all’omaggio con due esposizioni. Leo Matiz crea la Fondazione Leo Matiz insieme a sua figlia Alejandra Matiz. Leo Matiz nomina inoltre sua figlia unica erede universale di tutta la sua opera e presidente a vita della Fondazione. Alejandra Matiz invita Miguel Ángel Flores Góngora ad entrare a far parte della Fondazione Leo Matiz per la dedizione, amicizia e rispetto che lo scrittore e giornalista ebbe nei riguardi di suo padre. A Bogotà, all’alba di sabato 24 ottobre, il maestro muore tra le braccia di sua figlia Alejandra Matiz.

142

Edizioni dell'Accademia Albertina e della Pinacoteca AlbertinaVia Accademia Albertina, 6 – 10123 TorinoTel. 011.88.90.20 – Fax 011.812.56.88www.accademialbertina.torino.it

Stampa e rilegatura a cura di Pixartprintig, Quarto d'Altino (VE)

Finito di stampare nel mese di marzo 2018

ALBERTINA RESS