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1 Giuliano Campioni Cronologia di F. Nietzsche 1844 Il 5 ottobre Friedrich Nietzsche Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken presso Lützen nella Sassonia prussiana. Suo padre Karl Ludwig (1813-1849), pastore protestante di quel piccolo villaggio, aveva sposato Franziska Oehler (1826-1897) nel 1843. 1846 Nel luglio nasce la sorella Elisabeth. 1848 Nascita di un fratello: Joseph. 1849 Morte del padre. 1850 Morte del piccolo Joseph. Franziska Nietzsche si trasferisce a Naumburg coi figli. 1858 Nietzsche è ammesso alla scuola di Pforta. 1860 Coi suoi amici di Naumburg, Gustav Krug e Wilhelm Pinder, fonda l'associazione “musicale e letteraria” Germania. 1864 Con Paul Deussen, suo amico di Pforta a Bonn per frequentare l'università. 1865 Prima lettura di Schopenhauer. Nietzsche ha lasciato l'Università di Bonn ed è in ottobre a Lipsia: seguirà le lezioni di Friedrich Ritschl anche lui trasferito. 1867 Amicizia con Erwin Rohde. Dal 9 ottobre servizio militare a Naumburg, interrotto nel marzo dell'anno seguente per una caduta da cavallo. Sul Rheinisches Museum appare il suo primo lavoro filologico su Teognide. 1868 Il suo lavoro sulle “fonti di Diogene Laerzio” è premiato all'Università di Lipsia. In novembre conosce personalmente Richard Wagner. 1869 Il 13 febbraio è chiamato alla cattedra di filologia classica dell'Università di Basilea. Il 19 aprile giunge a Basilea. Il 17 maggio prima visita a Richard Wagner e Cosima von Bülow a Tribschen presso Lucerna. Il 28 maggio tiene all'università la sua prolusione su Omero e la filologia classica. 1870 18 gennaio conferenza all'Università sul Dramma musicale greco; il primo febbraio su Socrate e la tragedia. In agosto partecipa come infermiere alla guerra franco-prussiana. Il 7 settembre si ammala di dissenteria e difterite, ricoverato a Erlangen. Alla fine di ottobre torna a Basilea. Segue le lezioni di Burckhardt sullo “studio della storia” (poi note sotto il titolo di Meditazioni sulla storia universale); rapporti personali con Burckhardt. Amicizia con Franz Overbeck, col quale abiterà per cinque anni. 1872 Esce la Nascita della tragedia dallo spirito della musica. In maggio, attacco di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff. Wagner e Rohde replicano a Wilamowitz. Conferenze di Nietzsche Sull'avvenire delle nostre scuole alla “Società accademica” (gennaio-marzo). Dal 25 al 27 aprile a Tribschen: Richard e Cosima Wagner lasciano la Svizzera. Il 22 maggio posa della prima pietra del teatro wagneriano a Bayreuth, dove Nietzsche fa la conoscenza di Malwida von Meysenbug. Per Natale dedica a Cosima il manoscritto Cinque prefazioni per cinque libri non scritti. 1873 Pubblica la prima “Considerazione inattuale”: David Strauss l'uomo di fede e lo scrittore. Nell'autunno a Bayreuth, un suo “Appello ai Tedeschi” per la causa wagneriana non viene approvato dai delegati delle associazioni wagneriane. Conoscenza con Paul Rée. Karl Hillebrand (1829-1884) recensisce, lodandola, la prima Inattuale. 1874 Pubblica altre due Inattuali: Sull'utilità e lo svantaggio della storia per la vita e Schopenhauer come educatore. Amicizia con Marie Baumgartner e suo figlio Adolf. Seconda edizione della Nascita della tragedia. 1875 Appunti per la Inattuale Noi filologi (non pubblicata). Lettura di Dühring, programmi di studi scientifici. Alla fine dell'anno grave peggioramento della salute. Legge con grande interesse le Osservazioni psicologiche di Pau Rée.

Nietzsche. Vita, opere e pensiero

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Alcune riflessioni su Nietzsche

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Giuliano Campioni Cronologia di F. Nietzsche 1844 Il 5 ottobre Friedrich Nietzsche Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken presso Lützen nella Sassonia prussiana. Suo padre Karl Ludwig (1813-1849), pastore protestante di quel piccolo villaggio, aveva sposato Franziska Oehler (1826-1897) nel 1843. 1846 Nel luglio nasce la sorella Elisabeth. 1848 Nascita di un fratello: Joseph. 1849 Morte del padre. 1850 Morte del piccolo Joseph. Franziska Nietzsche si trasferisce a Naumburg coi figli. 1858 Nietzsche è ammesso alla scuola di Pforta. 1860 Coi suoi amici di Naumburg, Gustav Krug e Wilhelm Pinder, fonda l'associazione “musicale e letteraria” Germania. 1864 Con Paul Deussen, suo amico di Pforta a Bonn per frequentare l'università. 1865 Prima lettura di Schopenhauer. Nietzsche ha lasciato l'Università di Bonn ed è in ottobre a Lipsia: seguirà le lezioni di Friedrich Ritschl anche lui trasferito. 1867 Amicizia con Erwin Rohde. Dal 9 ottobre servizio militare a Naumburg, interrotto nel marzo dell'anno seguente per una caduta da cavallo. Sul Rheinisches Museum appare il suo primo lavoro filologico su Teognide. 1868 Il suo lavoro sulle “fonti di Diogene Laerzio” è premiato all'Università di Lipsia. In novembre conosce personalmente Richard Wagner. 1869 Il 13 febbraio è chiamato alla cattedra di filologia classica dell'Università di Basilea. Il 19 aprile giunge a Basilea. Il 17 maggio prima visita a Richard Wagner e Cosima von Bülow a Tribschen presso Lucerna. Il 28 maggio tiene all'università la sua prolusione su Omero e la filologia classica. 1870 18 gennaio conferenza all'Università sul Dramma musicale greco; il primo febbraio su Socrate e la tragedia. In agosto partecipa come infermiere alla guerra franco-prussiana. Il 7 settembre si ammala di dissenteria e difterite, ricoverato a Erlangen. Alla fine di ottobre torna a Basilea. Segue le lezioni di Burckhardt sullo “studio della storia” (poi note sotto il titolo di Meditazioni sulla storia universale); rapporti personali con Burckhardt. Amicizia con Franz Overbeck, col quale abiterà per cinque anni. 1872 Esce la Nascita della tragedia dallo spirito della musica. In maggio, attacco di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff. Wagner e Rohde replicano a Wilamowitz. Conferenze di Nietzsche Sull'avvenire delle nostre scuole alla “Società accademica” (gennaio-marzo). Dal 25 al 27 aprile a Tribschen: Richard e Cosima Wagner lasciano la Svizzera. Il 22 maggio posa della prima pietra del teatro wagneriano a Bayreuth, dove Nietzsche fa la conoscenza di Malwida von Meysenbug. Per Natale dedica a Cosima il manoscritto Cinque prefazioni per cinque libri non scritti. 1873 Pubblica la prima “Considerazione inattuale”: David Strauss l'uomo di fede e lo scrittore. Nell'autunno a Bayreuth, un suo “Appello ai Tedeschi” per la causa wagneriana non viene approvato dai delegati delle associazioni wagneriane. Conoscenza con Paul Rée. Karl Hillebrand (1829-1884) recensisce, lodandola, la prima Inattuale. 1874 Pubblica altre due Inattuali: Sull'utilità e lo svantaggio della storia per la vita e Schopenhauer come educatore. Amicizia con Marie Baumgartner e suo figlio Adolf. Seconda edizione della Nascita della tragedia. 1875 Appunti per la Inattuale Noi filologi (non pubblicata). Lettura di Dühring, programmi di studi scientifici. Alla fine dell'anno grave peggioramento della salute. Legge con grande interesse le Osservazioni psicologiche di Pau Rée.

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1876 In occasione del festival bayreuthiano esce la quarta Inattuale, Richard Wagner a Bayreuth. Prima collaborazione di Heinrich Köselitz (da Nietzsche chiamano in seguito Peter Gast). In agosto a Bayreuth per assistere alla prima esecuzione dell'Anello del Nibelungo. Primi appunti del “libro per spiriti liberi”. Dalla metà di ottobre congedo dall'università per ragioni di salute. Dal 24 ottobre a Sorrento con Paul Rée e il suo scolaro Albert Brenner presso Malwida von Meysenbug. Ultimo incontro con Cosima e Richard Wagner. 1877 Ai primi di maggio lascia Sorrento per la Svizzera. Soggiorno a Ragaz e Rosenlauibad fino al settembre, poi di nuovo a Basilea dove riprende le lezioni all'università. Preparazione del manoscritto definitivo della sua nuova opera con la collaborazione di Peter Gast. 1878 Wagner gli invia il testo del Parsifal in gennaio. Maggio: Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi. Rottura con Wagner. 1879 Pubblica come appendice a Umano, troppo umano: Opinioni e sentenze diverse. In primavera, grave peggioramento delle condizioni di salute. Dimissioni dall'università. Durante l'estate, a St. Moritz. In autunno, a Naumburg. 1880 Ai primi dell'anno esce Il viandante e la sua ombra, come “seconda e ultima appendice” di Umano, troppo umano. In gennaio vista di Paul Rée a Naumburg. Dal 12 marzo alla fine di giugno a Venezia con Peter Gast. In estate a Marienbad. In settembre di nuovo a Naumburg, poi – passando da Francoforte a Basilea (visita agli Overbeck) – a Stresa dall'8 ottobre. In novembre a Genova. 1881 Pubblica Aurora. pensieri sui pregiudizi morali. In primavera a Recoaro con Gast per la correzione delle bozze. Dal 4 luglio al primo ottobre, primo soggiorno a Sils-Maria. Quindi di nuovo a Genova. 1882 In febbraio visita di paul Rée a Genova. Il 13 marzo, a Roma, Rée conosce Lou von Salomé presso Malwida von Meysenbug. Lettere di Malwida a Rée a Nietzsche sulla “giovane russa”. Nietzsche a Messina dai primi di aprile. Il 20 aprile a Roma. Conoscenza con Lou. Piani di studio in comune (Lou, Rée, Nietzsche). Prima domanda di matrimonio a Lou respinta. Con la madre di Lou e con Rèe a Orta, in viaggio verso la Svizzera. Dal 13 al 16 maggio con Rèe e Lou a Lucerna, nuova domanda di matrimonio respinta. Dal 23 maggio al 24 giugno a Naumburg, poi a Tautenburg fino al 27 agosto. Dai primi di agosto anche Lou a Tautenburg, accompagnata dalla sorella di Nietzsche. Rottura con la madre e la sorella a causa di Lou. In ottobre a Lipsia ultimo incontro con Lou a Rée: i piani di studio comune vengono formalmente mantenuti. Intanto Nietzsche ha pubblicato La gaia scienza e, sulla rivista del suo editore Schmeitzner, gli Idilli di Messina. Il 15 novembre, Nietzsche a Basilea dagli Overbeck. Dal 23 novembre a Rapallo. 1883 Raffreddamento e rottura con Rée e Lou. Grave depressione di Nietzsche, idee di suicidio, abuso di sonniferi. Il 13 febbraio a Venezia muore R. Wagner. Dal 23 febbraio al 3 maggio, a Genova. A Roma, conciliazione con la sorella. Esce la prima parte di Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno. A partire da quest'anno Nietzsche soggiornerà d'estate a Sils-Maria e d'autunno-inverno a Nizza, fino alla primavera del 1888. (Tra i soggiorni a Sils e a Nizza viaggi vari). Nuova crisi con la sorella, che si fidanza con Bernhard Förster, noto agitatore antisemita e wagneriano. Esce la seconda parte di Così parlò Zarathustra. 1884 Terza parte di Così parlò Zarathustra. 26-28 agosto: visita di Heinrich von Stein a Sils-Maria. 1885 Quarta e ultima parte di Così parlò Zarathustra. Matrimonio della sorella, il 22 maggio, con Bernhard Förster. 1886 Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire. Nietzsche pubblica anche le prefazioni per La nascita della tragedia (Ovvero: grecità e pessimismo. Nuova edizione con un tentativo di autocritica). La sorella di Nietzsche in Paraguay col marito. Carteggio con Hippolyte Taine. 1887 Prefazioni per Aurora e Gaia Scienza. Nell'estate: Per la genealogia della morale. Uno scritto polemico. Il 26 novembre prima lettera di Georg Brandes. Rottura dell'amicizia con Erwin Rohde.

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1888 Georg Brandes tiene all'università di Copenaghen lezioni su Nietzsche. Dal 5 aprile al 5 giugno a Torino. Poi di nuovo a Sils-Maria. Pubblicazione di Il caso Wagner. Il problema di un musicante. Scrive e fa stampare il Crepuscolo degli idoli (di cui vuol riservare l'uscita per il 1889). Anche l'Anticristo è pronto per la stampa. Dal 21 settembre di nuovo a Torino. Scrive Ecce homo e Nietzsche contra Wagner. 1889 Nei primi giorni di gennaio termina i Ditirambi di Dioniso. Tra il 3 gennaio, giorno probabile del crollo psichico, e il 7 gennaio: biglietti della pazzia, ad amici, case regnanti, a Cosima, a uomini di Stato, “ai Polacchi”, a Umberto I. Una lettera del 6 gennaio a Burckhardt induce quest'ultimo ad avvisare Overbeck. Overbeck a Torino, l’8 gennaio. Il 9, a Basilea con Nietzsche, che viene ricoverato nella clinica per malati mentali. Il 13 gennaio la madre di Nietzsche a Basilea. Il 18 gennaio, Nietzsche è ricoverato a Jena nella clinica universitaria di Otto Binswanger. Suicidio di Bernhard Forster per il fallimento della sua impresa coloniale nel Paraguay. 1890 A partire dal 13 maggio Nietzsche a Naumburg con la madre. 1897 20 aprile, morte della madre di Nietzsche. La sorella si assume la cura di Nietzsche e lo porta a Weimar, dove dal 1896 si era trasferita con l'“archivio Nietzsche” (da lei già fondato nel 1894 a Naumburg, dopo il ritorno definitivo dal Paraguay). 1900 25 agosto: morte di Friedrich Nietzsche.

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1.

Gottfried Benn Torino

« Cammino con le scarpe rotte», scrisse questo genio universale nella sua ultima lettera - poi

lo portano a Jena - psichiatria.

Non posso comprarmi i libri, li leggo nelle librerie:

appunti - poi a prender l'affettato: - questi sono i giorni di Torino.

Mentre la nobile muffa d'Europa di Pau, Bayreuth ed Epsom si nutriva,

lui abbracciava due ronzini, finché il padrone non lo trasse a casa.

da Epistolario vol. V [Adelphi 2011] 1256. A Jakob Burckhardt <Torino,> 6 gennaio 1889 Caro signor professore, in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto di tralasciare per colpa sua la creazione del mondo. Vede, comunque e dovunque si viva, è necessario fare dei sacrifici. – E tuttavia mi sono riservato una stanzetta da studente situata di fronte al Palazzo Carignano (– nel quale sono nato come Vittorio Emanuele), che inoltre mi consente di udire dal tavolo di lavoro la splendida musica della Galleria Subalpina, sotto di me. Pago 25 fr. servizio compreso, mi procuro il mio tè e faccio tutte le spese da solo, soffro per gli stivali rotti e ringrazio il cielo ad ogni istante per il vecchio mondo, per il quale gli uomini non sono stati abbastanza semplici e silenziosi. – Poiché sono condannato a intrattenere la prossima eternità con cattive spiritosaggini, qui mi dedico a un lavoro di scrittura che davvero non lascia nulla da desiderare, molto piacevole e nient’affatto faticoso. L’ufficio postale è a 5 passi da qui, imbuco io stesso le lettere per comunicare con i grandi elzeviristi del grande monde. Naturalmente sono in stretti rapporti col «Figaro», e per farLe avere un’idea di quanto io possa essere innocuo, ascolti le mie prime due cattive spiritosaggini: Non prenda troppo sul serio il caso Prado.* Io sono Prado, sono anche il padre di Prado, oserei dire che sono anche Lesseps...* Vorrei offrire ai miei parigini, che amo, una nuova nozione – quella di un criminale per bene. Io sono anche Chambige* – pure lui un criminale per bene. Seconda spiritosaggine. Saluto gli immortali Monsieur Daudet* è uno dei quarante Astu.* Quello che è spiacevole e che mette a prova la mia modestia è che in fondo io sono tutti i nomi della storia; è così anche per i figli che ho messo al mondo, per cui mi sto chiedendo con una certa diffidenza se tutti quelli che vengono nel «regno di Dio» non provengano anche da Dio. Quest’autunno sono stato presente due volte al mio funerale, vestito il meno possibile, prima come conte Robilant* (– no, è mio figlio, in quanto io sono Carlo Alberto,* la mia natura sotto) ma

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Antonelli* ero proprio io. Caro signor professore, dovrebbe vedere questo edificio; dato che sono del tutto inesperto riguardo alle cose che creo, è a Lei che spetta ogni critica, io Le sarò grato, senza poterLe promettere però di trarne profitto. Noi artisti siamo incorreggibili. – Oggi mi sono visto la mia operetta* – genialmente moresca –, e in questa occasione ho anche constatato con piacere che attualmente tanto Mosca quanto Roma sono qualcosa di grandioso. Vede, neppure riguardo al paesaggio mi si contesta il mio talento. – Ci rifletta, facciamo una bella bella chiacchierata, Torino non è lontana, non abbiamo pressanti impegni professionali, bisognerebbe procurarsi un bicchiere di Veltliner.* È di rigore un négligé. Con affetto cordiale il Suo Nietzsche Domani arriva mio figlio Umberto con la graziosa Margherita,* ma anche qui li riceverò solo in maniche di camicia. Il resto per la signora Cosima... Arianna... Di tanto in tanto si fanno degli incantesimi... Vado ovunque col mio vestito da studente, ogni tanto do una pacca sulla spalla a qualcuno e dico: siamo contenti? son dio, ho fatto questa caricatura*... Ho fatto mettere Caifa* in catene; e l’anno scorso sono stato crocefisso a lungo dai medici tedeschi. Wilhelm Bismarck e tutti gli antisemiti eliminati. Di questa lettera potrà farne qualsiasi uso, purché non mi screditi nella considerazione dei basileesi. – NOTE: 1256. Indirizzata a Basilea. Vittorio Emanuele] Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878). il caso Prado] si veda nota alla lettera 1176. Lesseps] il famoso costruttore del Canale di Suez, implicato in uno scandalo, era oggetto di grande attenzione da parte della stampa. In particolare il caso era seguito dal «Journal des Débats» (cfr. ad esempio M. de Lesseps et le Panama, 17 dicembre). Nietzsche doveva rimanere attratto da Lesseps per la descrizione che se ne faceva, quale espressione di ferma volontà tutta concentrata su uno scopo («esprit de la même famille que Christophe Colombe»: cfr. Paul Desjardin, Notes contemporaines, in «Journal des Débats», 18 agosto 1888). Chambige] studente parigino di diritto con forti interessi filosofici, conosciuto personalmente da Paul Bourget, aveva ucciso a Costantine l’amante e cercato di suicidarsi. Fu arrestato in Algeria. Cfr. P. Bourget, Introduzione a A. Bataille, Causes criminelles et mondaines de 1888, cit., p. 22. Sul caso Chambige scrivono anche Anatole France (Un affaire littéraire e Le meurtrier analyste, in «Temps», 11 e 12 novembre 1888) e Maurice Barrès (La sensibilité d’Henri Chambige, in «Le Figaro», 11 novembre 1888). All’interno del resoconto a puntate Le drame de Sidi-Mabrouk, il «Journal des Débats» pubblica parte del Mémoire autobiografico di Chambige, in cui si legge tra l’altro, alla data del 7 novembre 1888: «Plus j’ai pensé, plus je me suis déséquilibré. Je m’affermis peu à peu dans l’éternel provisoire. Le scepticisme fut l’outil de démolition qui frappa sans relâche la maison de mon âme, jusqu’au jour où je fus devenu, comme Montaigne, Sainte-Beuve et Renan, un homme absolument impartial, ce que le public appelle, avec une antipathie parquée, un homme sans conviction». Si veda anche «Le Figaro» del 2-4 novembre 1888). Monsieur Daudet] Alphonse Daudet aveva pubblicato, nel 1888, L’Immortel, moeurs parisiennes, una satira verso l’Académie Française e i suoi membri («i quaranta»). Meta von Salis ricorda: «L’Immortel di Daudet ha da un lato deliziato Nietzsche, dall’altro l’ha disgustato. Deliziato, nella misura in cui le ruote motrici della venerabile accademia francese sono state messe in luce senza pietà e tuttavia Daudet non riesce a nascondere del tutto l’acceso desiderio per una delle 40 poltrone; disgustato per la fredda, ingrata parodia della Corsica e dei Corsi. Egli lesse con soddisfazione la risposta fornita dagli isolani, scherniti per il loro amore della povertà, all’uomo che aveva goduto della loro calorosa ospitalità e mangiato le loro disprezzate castagne. Povero quale sinonimo di disprezzabile: questa valutazione era estranea a Nietzsche e degna della ricca plebe». (Philosoph und Edelmensch, cit., p. 54).. Johann Drumbl ha notato che il nome del protagonista è Aster-Rehu il cui anagramma può essere Astu Astu] per questa enigmatica firma non si è data finora una spiegazione soddisfacente. Si veda, per alcune interpretazioni: P. D. Volz, Nietzsche im

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Labyrinth seiner Krankheit, cit., pp. 266-67 conte Robilant] si veda nota alla lettera 1143. Carlo Alberto] Carlo Alberto Amedeo di Savoia (1798-1849). Antonelli] si veda nota alla lettera 1227. Caro signor professore … questo edificio] Nietzsche si riferisce alla Mole Antonelliana e chiama in causa Burckhardt in qualità di esperto di pittura e architettura italiana. operetta] probabilmente si riferisce a La gran via: si veda nota alla lettera 1192. Veltliner] vino bianco secco della Valle Isarco. la graziosa Margherita] Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia (1851-1926), consorte del secondo sovrano del Regno d'Italia, Umberto, fu regina dal 1878 al 1900. son dio, ho fatto questa caricatura] tutto in italiano nel testo. Caifa] soprannome di Giuseppe, sommo sacerdote ebreo dal 18 al 36 d.C. LETTERE contro l’antisemitismo: 819. A Theodor Fritsch

Nizza, 23 marzo 1887 Stimatissimo Signore, Con la lettera che mi è appena arrivata* Lei mi rende un tale onore che non posso fare a meno di rivelarLe un altro passo tratto dalla mia opera che si occupa di ebrei: sia pure soltanto per darLe doppiamente il diritto di parlare dei miei «giudizi distorti». Legga, La prego, Aurora a p. 194.* Oggettivamente parlando, gli ebrei sono per me più interessanti dei tedeschi: la loro storia presenta problemi ben più sostanziali. Non sono avvezzo a mettere in campo la simpatia o l’antipatia in questioni così serie: come si conviene alla disciplina e alla moralità dello spirito scientifico e – in fin dei conti – anche al suo gusto. Devo inoltre ammettere che mi sento troppo estraneo all’attuale «spirito tedesco» di adesso per poter guardare alle sue particolari idiosincrasie senza perdere la pazienza. Tra queste annovero in particolare l’antisemitismo. Ai «testi classici» di questo movimento, che vengono decantati a p. 6 del suo pregevole giornale,* devo persino qualche sollazzo: oh se Lei sapesse quanto ho riso, la primavera scorsa, per i libri di quella testa balzana, tanto boriosa quanto sentimentale, che ha nome Paul de Lagarde!* Evidentemente mi manca quell’«altissima prospettiva etica» di cui si parla in quella pagina. Mi resta solo da ringraziarLa per il benevolo presupposto che «non sono state considerazioni di carattere sociale a fuorviarmi e a spingermi a giudizi distorti»; e forse può servire a tranquillizzarLa se aggiungo, da ultimo, che non ho nessun ebreo tra i miei amici. Ad ogni modo anche nessun antisemita. Potrebbe intravedersi nella mia vita una qualche probabilità che mi vengano «tarpate le ali» per mano di chicchessia? – – Con questo interrogativo mi raccomando a una Sua futura benevolenza – e riflessione... Suo devotissimo

Professor Dr. F. Nietzsche

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Poscritto: Un desiderio: pubblichi una lista di eruditi, artisti, poeti, scrittori, attori e virtuosi tedeschi, ebrei per nascita o di origini ebraiche! (Sarebbe un prezioso contributo alla storia della cultura tedesca (e anche alla sua CRITICA!). note 819. Risponde a una lettera non conservata di Theodor Fritsch. Il giornalista e scrittore Theodor Fritsch (Fritsche), 1852-1933, sostenitore della causa antisemita, godeva in Germania di grande popolarità. Nel 1885 aveva creato la «Antisemitischen Correspondenz» quale organo di propaganda antigiudaica. Del 1893 il suo scritto più famoso, Antisemiten-Katechismus. Si vedano i frammenti 5[45] e 7[67] estate 1886-autunno 1887: «Frattanto mi ha scritto lettere da Lipsia un signore assai singolare di nome Theodor Fritsch: non potei fare a meno, poiché era insistente, di affibbiargli un paio di amichevoli calci. Questi “Tedeschi” attuali mi disgustano sempre di più» (Opere, VIII/1, 189). «Recentemente mi ha scritto un certo signor Theodor Fritsch di Lipsia. in Germania non c’è nessuna banda di persone più impudenti e stupide di questi antisemiti. Per ringraziamento gli ho inviato per lettera un bel calcio. E questa canaglia osa pronunciare il nome di Zarathustra! Schifo, schifo, schifo!» (Opere, VIII/1, 305). Si veda anche la lettera 823. Aurora a p. 194] aforisma 205 (Opere V/1, 150). Ai «testi classici» … pregevole giornale] nel suo lungo articolo «Unsere Arbeit, unsere Ziele!» [Nostro lavoro, nostri fini!] apparso sull’«Antisemitischen Correspondenz» del gennaio 1887, n. 9, pp. 5-7 (riprodotto in KGB III/7,3,2, 888-92), Bernard Förster citava Richard Wagner, Paul de Lagarde, Eugen Düring e Adolf Wahrmund quali «tedeschi che hanno trattato la questione dal più alto punto di vista etico». Si vedano anche note alla lettera 823. Paul de Lagarde] di Paul Anton de Lagarde (1827-1891), teologo, filosofo, linguista e orientalista, acceso antisemita, nella biblioteca di Nietzsche si conserva Juden und Indogermanen. Eine Studie nach dem Leben. Aus dem zweiten Bande der «Mittheilungen» besonders abgedruckt Göttingen 1887. Registrato dal catalogo di Rudolph Steiner (1896) viene poi espunto con un frego a penna, in quanto appartenente a Förster, come si evince dalla firma e dalla dedica dell’autore sul frontespizio. Nietzsche possiede invece, fin dal 1876, Ueber die gegenwärtige lage des deutschen reichs, Göttingen 1876 (si vedano i frammenti 23[13] del 1876 e 26[4] del 1884). 823. A Theodor Fritsch

Nizza, 29 marzo 1887 (prima della partenza)

Egregio Signore, Con la presente Le restituisco i tre numeri della sua Corrispondenza, ringraziandoLa per la fiducia che mi ha accordato permettendomi di gettare uno sguardo nel guazzabuglio di princìpi che sta alla base di questo bizzarro movimento. Però La prego, per il futuro, di non prendermi più in considerazione per questa spedizione; temo di finire col perdere la pazienza. Mi creda: questa smania disgustosa di noiosi dilettanti di voler dire la loro sul valore di uomini e razze, questa sottomissione nei confronti di «autorità» che qualsiasi spirito più avveduto non può non respingere con freddo disprezzo (ad es. E. Dühring, R.

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Wagner, Ebrard,* Wahrmund,* P. de Lagarde – chi di loro è il meno autorizzato, il più ingiusto nelle questioni della morale e della storia?), queste continue e assurde falsificazioni e manipolazioni di concetti vaghi come «germanico», «semitico», «ariano», «cristiano», «tedesco» – tutto questo potrebbe alla fine farmi arrabbiare sul serio, facendomi perdere quell’ironica benevolenza con la quale ho assistito finora alle virtuose velleità e ai fariseismi dei tedeschi d’oggigiorno. – E per finire, cosa crede che io provi quando sento il nome di Zarathustra in bocca a degli antisemiti?...

Suo devotissimo Dr. Fr. Nietzsche

NOTE: 823. Indirizzata a Lipsia. Si veda lettera 819 e noteE. Dühring, … P. de Lagarde] questi rappresentanti dell’antisemitismo sono citati nel violento articolo di Bernard Förster «Unsere Arbeit, unsere Ziele!» come riconosciuti «portavoce» i cui scritti sarebbero da considerare da ogni antisemita come il Talmud da un rabbino. Si veda lettera 819 e nota. Johann Heinrich August Ebrard (1818-1888), filosofo, teologo, professore all’Università di Zurigo, dal 1847 a Erlangen e Adolf Wahrmund (1827-1913), orientalista, acceso antisemita, era autore, tra gli altri, di Das Gesetz des Nomadenthums und die heutige Judenherrschaft (1887?), nel quale sosteneva la derivazione degli ebrei dagli arabi, nomadi e violenti, e l’opportunità di allontanarli dall’Europa “ariana”. Poco dopo questo scambio di lettere Fritzsch, con lo pseudonimo di Thomas Frey, attaccò Nietzsche nella recensione ad Al di là del bene e del male (Der Antisemitismus im Spiegel eines “Zukunft-Philosophen”, «Antisemitische Correspondenz», n. 19). Si veda quanto ne scrive Mazzino Montinari: «Egli vi trovava, e con buona ragione, una “esaltazione degli ebrei” e un’“aspra condanna dell'antisemitismo”. E allora liquidava Nietzsche come “filosofo superficiale”, che non nutriva “alcuna comprensione per l'essenza della nazione” e che, in Al di là del bene e del male, non faceva altro che coltivare “chiacchiere filosofiche da vecchie comari”. Le affermazioni di Nietzsche a proposito degli ebrei non erano per Fritsch altro che “le spiritosaggini superficiali di un povero studioso da strapazzo, corrotto dagli ebrei”. “Per fortuna” – egli concludeva – “i libri di Nietzsche vengono letti appena da un paio di dozzine di persone”» (M. Montinari, Interpretazioni naziste, in Su Nietzsche, Roma 1981, p. 75). 854. A Elisabeth Förster

<Coira, poco prima del 5 giugno 1887> 1) Mio caro Lama, trovi Tuo fratello assolutamente riluttante a sborsare del denaro*: la sua situazione è troppo incerta, e la Vostra non offre sufficienti garanzie per permettere di agire pensando solo al presente. 2) Oltretutto la cosa peggiore è che i nostri interessi e desideri proprio in questo momento vanno in direzioni totalmente divergenti. In quanto la vostra impresa è un’impresa antis<emita> – cosa che nel frattempo mi è stata dimostrata ad oculos* – 3) in fondo al cuore non nutro alcuna fiducia nei suoi confronti, né la guardo neppure di buon occhio, augurandomi che abbia un esito felice. Se l’opera del Dr. F<örster> avrà

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successo, voglio ritenermi soddisfatto per amor Tuo, e cercare per quanto possibile di dimenticare che rappresenta il trionfo di un movimento che disprezzo; se dovesse fallire, mi rallegrerò per il tracollo di un’impresa antis<emita>, compiangendoTi tanto di più per il fatto che per dovere e per amore Ti sei legata a una tale causa. 4) Lo dico una volta per tutte: con profondo dispiacere per il fatto che dovevo assolutamente dirlo. 5) È infine mio desiderio che siano i tedeschi a venirVi in qualche modo in aiuto, costringendo gli antisemiti ad abbandonare la Germania: e non ci sono dubbi che loro, in tal caso, ad altri paesi preferirebbero il P<araguay>, la Vostra terra «promessa». D’altra parte auguro sempre di più agli ebrei di giungere al potere in Europa, in modo da perdere quelle proprietà (ovvero non averne più bisogno) per le quali finora si sono imposti come oppressi*. Del resto ne sono sinceramente convinto: un tedesco che solo per il fatto di essere t<edesco> pretenda di essere più di un ebreo è un personaggio da commedia: ammesso che non sia da manicomio note. 854. Abbozzo della lettera successiva, da indirizzare a Asuncion. sborsare del denaro] si vedano lettere 769, 773, 774, 850 e 851 e note. la vostra impresa … ad oculos] attraverso la lettura dei proclami di Förster: si veda lettera 847 e nota. Ma anche i numeri della «Antisemitische Correspondenz» inviatigli da Fritsch in cui era pubblicato l’articolo di Förster «Unsere Arbeit, unsere Ziele!». Si vedano lettere 819, 820 823 e note. auguro … come oppressi] Cfr. in particolare Al di là del bene e del male 251 (Opere VI/2, 163-165). 967. A Franziska Nietzsche

Nizza, 29 dicembre 1887 – – – ora che ho letto la «antisem<itische> Correspondenz»,* non conosco più alcun riguardo. Questo partito mi ha rovinato, nell’ordine, il mio editore,* la mia reputazione, mia sorella, i miei amici – non c’è niente che ostacoli la mia ricezione quanto il fatto che il nome di Nietzsche sia stato accostato a un antisemita come Dühring:* spero che nessuno se la prenda con me se ricorro alla legittima difesa. Butterò fuori della porta chiunque faccia sorgere in me dei sospetti su questo punto. (Tu comprendi in fino a che punto è per me un autentico sollievo se questo partito comincia a dichiararmi la guerra: purtroppo con 10 anni di ritardo –)* NOTE 967. Frammento di lettera, da indirizzare a Naumburg. Franziska Nietzsche risponde il 17 gennaio 1888 (KGB III/6, 147). Sul margine sinistro Elisabeth Förster Nietzsche ha scritto: «La nostra buona mamma, per motivi insondabili, ha distrutto la prima metà della lettera. Mi ricordo molto bene del contenuto inoffensivo». Ma si veda il tono dell’abbozzo successivo. ora che … Correspondenz»] si veda nota alla lettera 820. il mio editore] Schmeitzner, col quale Nietzsche

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aveva rotto, anche a causa del suo antisemitismo. il fatto che … Dühring] si vedano lettere 613, 614, 616, 823 e note. con 10 anni di ritardo] dalla presa di distanza radicale, da parte di Nietzsche, dall’ideologia germanica e antisemita di Wagner. 968. A Elisabeth Förster

<Nizza, fine dicembre 1887> Nel frattempo mi è stato dimostrato nero su bianco che il Signor Dr. Förster non si è ancora svincolato dai suoi legami col movimento antis<emita>. Si è assunto questo compito un tanghero piccolo borghese di Lipsia (Fritsch, se ben mi ricordo), – che, nonostante le mie energiche proteste, continua a inviarmi regolarmente la «Antis<emitische> Corresp<ondenz>»* (finora non ho letto niente di più spregevole di questa Correspondenz). Da allora mi resta difficile opporre in tuo favore un po’ di quell’antica tenerezza e indulgenza che per tanto tempo ho avuto per te; in questo modo la separazione tra noi si è a poco a poco compiuta nella maniera più assurda. Non hai dunque affatto compreso lo scopo per cui sono al mondo? Vuoi avere un catalogo dei modi di pensare che sento come antipodi? Li troverai accostati in bell’ordine nelle Nachklängen zu P<arsifal> del tuo consorte; quando le ho lette ho avuto la sensazione raccapricciante che tu non abbia capito niente, niente della mia malattia, come pure della mia conoscenza più dolorosa e inaspettata – mi riferisco al fatto che l’uomo che avevo venerato più d’ogni altro, era finito a poco a poco in una disgustosa degenerazione, nella trappola degli ideali morali e cristiani che ho sempre disprezzato più di ogni altra cosa. – Ora si è arrivati al punto che debbo difendermi con le mani e coi piedi per non essere scambiato con la canaille antis<emita>; dopo che la mia stessa sorella, la mia sor<ella> di una volta, come pure di recente anche Widemann,* hanno dato l’avvio al più sciagurato di tutti gli equivoci. La mia pazienza ha raggiunto il limite quando ho letto nella «Antis<emitische> Correspondenz» persino il nome di Z<arathustra>* – adesso mi trovo a dover agire per legittima difesa contro il partito del tuo consorte. Questi maledetti sporchi ceffi antisemiti non devono mettere le mani sul mio ideale!! Quanto ho sofferto per il fatto che col tuo matrimonio il nostro nome si è mescolato a questo movimento! Negli ultimi 6 anni hai perso la ragione e ogni riguardo. Cielo, come si sta facendo pesante per me questa situazione! Non ho mai preteso da Te, com’è giusto, che tu <capissi> qualcosa della posizione che, in quanto filosofo, ho assunto di fronte al mio tempo; tuttavia, se tu avessi avuto un grano d’affetto istintivo, avresti potuto evitarmi di andarti a collocare ai miei esatti antipodi. Adesso penso delle sorelle quasi la stessa cosa che pensava Sch<openhauer>, – sono superflue e seminano scompiglio.

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Come risultato degli ultimi 10 anni, sto godendomi il fatto di aver perduto la piacevole illusione che qualcuno sapesse chi io fossi. Per anni sono stato a un passo dalle morte: nessuno che avesse anche solo un sentore del perché. E quando di nuovo riuscii lentamente a riprendermi, quasi tutte le p<ersone> che conosco hanno fatto letteralmente a gara per far vacillare la mia salute con gli oltraggi più offensivi: oramai mi guardo bene dall’intrattenere rapporti con le persone con cui vengo a contatto; dato che mi ricordo di essere stato trattato ignobilmente, nei periodi più duri della mia vita, da quasi tutte le persone che ho conosciuto sino ad ora […] NOTE: 968. Abbozzo di lettera, da indirizzare a Asuncion. un tanghero …Corresp<ondenz>»] si vedano, ad esempio, le lettere 819, 823 e note. Nachklängen zu Parsifal] Parsifal-Nachklänge (1883, 18862), cit. Si veda nota alla lettera 577. Widemann] che aveva accostato Zarathustra e Dühring nella parte finale del suo libro Erkennen und Sein. Si veda la nota alla lettera 613. il nome di Z<arathustra>] si vedano le lettere 819, 820 e note non avevo perdonato … d’incontrare] il riferimento è a Lou von Salomé. Probabilmente le presunte critiche di Ida Overbeck erano state riportate, all’epoca, da Elisabeth. Ma così descrive, ad esempio, Ida Overbeck un incontro con Elisabeth Nietzsche a Bayreuth, all’epoca di Tautenburg: «Parlai per un attimo con la signorina Nietzsche a Bayreuth nell’estate del 1882, e rimasi inorridita per il suo modo di esprimersi. Essa mostrava una violenta avversione verso la signorina Salomé, che si interessava, così diceva, ai nemici di suo fratello. Nello stesso tempo le rimproverava di essere incapace di entusiasmo, adducendo sempre se stessa a paragone. Aveva scarsa opinione del talento della signorina Salomé, e per via della sua maggiore giovinezza voleva sovrastarla in tutti i campi possibili, e comunque allontanarla da suo fratello. Ebbi l’impressione che non avesse nulla da contrapporre a quel talento. Accusava aspramente suo fratello, come già in passato, per il suo comportamento, la sua mancanza di riguardi verso di lei» (in Carl Albrecht Bernoulli, Franz Overbeck und Friedrich Nietzsche. Eine Freundschaft, 2 voll., Jena, 1908, I, p. 340). Si veda anche nota alla lettera 233, in Epistolario IV, 681-82. 1249. A Franz Overbeck

<Torino, intorno al 4 gennaio 1889>

All’amico Overbeck e signora

Sebbene finora abbiate dimostrato scarsa f iducia nella mia solvibil i tà, spero tuttavia di riuscire a

dimostrare che sono uno che paga i suoi debiti – ad esempio quello nei vostri confronti... Sto facendo

fucilare tutti gli antisemiti...

Dioniso

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2. Scienza e vita nella filosofia del giovane Nietzsche Nella decisa autocritica di Nietzsche (1886) nei confronti del suo scritto giovanile, La nascita della tragedia, “impossibile” libro romantico, “arrogante ed esaltato”, compromesso col wagnerismo e la modernità, tra i punti centrali da salvare e valorizzare viene in primo piano l’avere messo temerariamente in questione la scienza in rapporto alla vita: «lo stesso problema della scienza – la scienza concepita per la prima volta come problematica, da mettere in questione» ed avere posto il compito di «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte invece con quella della vita…» (GT, Versuch einer Selbstkritik 2). E in Ecce homo, anche a proposito dell’Inattuale sulla storia, Nietzsche scrive: «La seconda Inattuale (1874) mette in luce quanto c’è di pericoloso, di corrosivo e venefico per la vita nel nostro modo di praticare la scienza: la vita malata, a causa di questo ingranaggio e meccanismo disumanizzato, a causa della “impersonalità” del lavoratore, di questa falsa economia della “divisione del lavoro”. Si perde lo scopo, ossia la civiltà – e il mezzo, cioè la pratica scientifica moderna, viene barbarizzato...» (EH, p. 325). Nietzsche nell’ultimo periodo scrive questo mentre, d’altro lato, rivendica fino in fondo il valore del coraggio della conoscenza e della probità scientifica, l’importanza del metodo e della pazienza riaffermando un tema presente fin da Umano, troppo umano: «ognuno dovrebbe aver imparato dalle fondamenta almeno una scienza: allora sì che saprebbe che cosa significhi metodo e come sia necessaria un’estrema circospezione» (MA 635). Proprio il Nietzsche che ritorna su un tema centrale dei suoi scritti giovanili affida ora lo sperimentare estremo ai «nuovi filosofi», agli spiriti liberi che nelle epoche dominate dal costume furono considerati «nemici di Dio», spregiatori della verità, «ossessi»: «Tutti i metodi, tutti i presupposti del nostro attuale costume scientifico hanno avuto contro di sé, per millenni, il più profondo disprezzo: in conseguenza di essi si era esclusi dai rapporti con gli uomini “ben costumati” […] In quanto mentalità scientifiche, si era dei Ciandala... Abbiamo avuto contro di noi l’intero pathos dell’umanità»(AC 13). È certo che Nietzsche, ai suoi inizi, riflette sulla “scienza” a partire dalla propria pratica della filologia. Nel giovane la serietà dello specialismo si contrappone al pericolo di dispersione e dilettantismo che può diventare disgregazione: il «vagabondare senza meta in tutti i campi dello scibile» («Mi ero talmente immedesimato nell’idea di acquistare scienza e capacità universali, che correvo il rischio di diventare un vero stravagante e visionario»). La scelta per la filologia non è, nell’autoriflessione del filosofo, espressione di un ‘istinto’ o vocazione, ma nasce dalla «educazione, riflessione, forse addirittura dalla rassegnazione». «Quando mi volgo a considerare», si legge in un appunto autobiografico dell’inizio del 1869, «come sono passato dall’arte alla filosofia, dalla filosofia alla scienza, e in quest’ambito a interessi sempre più ristretti: la cosa ha quasi l’aria di una consapevole rinuncia» (NA 69 [10] Frühjahr 1868). Era anche, in un comune sentire schopenhaueriano, la consapevole scelta dell’amico della giovinezza, il filologo Erwin Rohde esplicitata in una lettera a Nietzsche del 4 novembre 1868. Per chi non ha la libertà del genio si pone la necessità di «conquistare un terreno solido, un campo che possa essere coltivato con risorse minori; giacché, a noi piccoli uomini, l’agio necessario per l’esistenza non può darcelo se non un lavorìo coscienzioso, in una sfera liberamente scelta del filisteismo» (KGB, I, iii, 299-300). E certamente la figura del “filisteo”, dominante la critica delle Inattuali, rimanda più che al senso comune e diffuso del termine (di origine studentesca) dell’ ἄµουσος, dell’uomo negato per le arti in contrasto con chi è “figlio delle Muse”, alla definizione metafisica di Schopenhauer: «Sarei ora tentato di determinare la definizione di filisteo da un punto di vista superiore, indicando con tale termine gli individui continuamente affaccendati nel modo più serio attorno a una realtà che non è tale» (Parerga e paralipomena, Sämmtliche Werke, vol. V, p. 362: cfr. NF 27[56]). Nelle figurazioni molteplici dell’ ultimo uomo, nel corso dello Zarathustra, vi è una indubbia ripresa delle caratterizzazioni che furono del filisteo dalla piccola virtù: «vi sono altri che sono come orologi da caricare tutti i giorni; essi mandano un ticchettio e vogliono che il loro ticchettio si chiami virtù» (Za II: Dei virtuosi). E così pure, per i dotti, gli uomini di scienza: «Ottimi orologi:

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purché non si dimentichi di caricarli giusto! E allora ti dicon l’ora senza fallo, mentre emettono un rumorio discreto» (Dei Dotti: Za ). Questa immagine rimanda direttamente alla fonte principale di Nietzsche per la caratterizzazione del filisteo: Schopenhauer in cui la realtà storica è interamente ridotta a forme di automatismo a cui, per chi sa penetrare gli interni meccanismi, si riduce tutta la ricchezza della vita umana: gli uomini somigliano ad orologi, che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; e ogni volta, che un uomo viene generato e partorito, è l’orologio della vita umana di nuovo caricato, per ancora una volta ripetere, frase per frase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata (Il mondo, p. 400). Fin dall’inizio l’attenzione di Nietzsche è rivolta allo scienziato, allo specialista, al Fach-Mensch vedendovi – contro la sua pretesa di oggettività e di conoscenza libera da interessi – un “metallo impuro” che, per avidità, vive all’ombra rassicurante della torre della scienza, oppure si spinge in un furore distruttivo verso la vivisezione di ogni fissità o ideale superiore. Nelle pagine della III Inattuale dedicata alla “vivisezione dei vivisettori” Nietzsche mostra che «lo scienziato è fatto di un complicato intreccio di istinti e di stimoli diversi, è un metallo assolutamente impuro» (SE, 6). È totalmente estranea a Nietzsche quella idea di un istinto cognitivo originario separato dalle forme comuni di vita che legittima ad esempio in Comte e Renan – da Nietzsche spesso avvicinati – l’equazione scienza-sacerdozio. La scienza è implicata nel meccanismo degli interessi vitali e non esiste una scienza ma un insieme di upratiche di cui Nietzsche sottolinea sempre l’origine strumentale, dove i tratti di questa origine si conservano e si tramandano nell’atteggiamento dello scienziato: L’origine della scienza: si faccia attenzione. Essa nasce non presso i preti e i filosofi, suoi avversari naturali. Nasce presso i figli di artigiani e di uomini d’affari di ogni sorta, presso gli avvocati, ecc.: gente per la quale l’abilità di un mestiere e i suoi presupposti si sono trasferiti a quei problemi e alla loro soluzione (FP 1888, p. 36). All’uomo di scienza Nietzsche avrebbe voluto dedicare un’intera inattuale: nello scritto su Schopenhauer mostra come l’egoismo della scienza, accanto a quello degli affaristi e dello Stato, sia una forza ostile alla vera cultura che ha un senso solo nel servizio del genio. Analizza i vari motivi, impulsi, caratteri etc. che spingono alla conoscenza scientifica: che vengono così riassunti in un appunto preparatorio: «Analisi dell'uomo di scienza rispetto al suo senso della verità. 1) Abitudine 2) Fuga davanti alla noia 3) Guadagnarsi il pane 4) Considerazione presso gli altri eruditi, timore del loro disprezzo 5) Senso di dover acquistare qualcosa di proprio (qualcosa che dev'essere «vero», altrimenti gli altri lo possono a loro volta rubare) 6) Fare e disfare piccoli nodi. – Misura del senso della verità: quando è abbattuta una vecchia teoria, quando il loro ceto e la loro cultura sono attaccati, quando alza la voce chi non appartiene al mestiere; essi odiano la filosofia, perché non sa che cosa farsene degli eruditi. La non verità, se gode della considerazione generale, viene trattata dagli eruditi come verità. Essi temono le religioni e i governi – 7) Una certa ottusità; essi non vedono le conseguenze e non provano alcuna compassione 8) Non si accorgono dei problemi principali della vita e per questo si occupano di quelli minimi, cioè in ciò che è essenziale non hanno la minima esigenza di verità. Per questi motivi non esiste in alcun luogo una repubblica degli eruditi, ma sempre e soltanto un'oclocrazia di eruditi. E la rara mente geniale, l'amico della verità, come pure l'artista, sono odiati e cacciati con l'ostracismo» (29 [10] cfr. 29 [13]). Si va quindi dal movente del “guadagnarsi il pane” , i famosi “borborigmi di uno stomaco che langue”, Ingenii largitor venter, (riprendendo non a caso le immagini del Nipote di Rameau a caratterizzare il lenocinio della “verità” a vantaggio di qualche casta) all’«istinto dialettico per l’indagine e il

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gioco, il piacere del cacciatore [ …] non è propriamente la verità che si cerca, bensì il ricercare stesso». Quest’ultimo tema – come altri (la durezza dello sperimentare con la metafora della vivisezione) – sarà positivamente recuperato e valorizzato da Nietzsche con la figura del Dongiovanni della conoscenza. Nietzsche, comunque, contro la chiusura dello specialismo e i pericoli del filisteismo (che aveva sentito avvicinare con la cattedra di Basilea), porta entro la cornice della scienza più accademica e rigorosa della Germania dell’epoca le forti tensioni e gli impulsi che avevano caratterizzato il suo percorso giovanile. Egli cerca, volta a volta, nuovi punti di equilibrio e di convivenza tra metafisica dell’arte e filologia, fino alla definitiva conquista di una ‘propria’ filosofia. Solo lo spirito diventato libero potrà sciogliere definitivamente il rapporto di subordinazione del filologo/educatore nei confronti del ‘genio’, e continuare a valorizzare «l’arte di leggere bene» propria della filologia. L’atteggiamento filologico rimarrà sempre lo strumento necessario di pulizia e di probità intellettuale contro ogni tentativo di ‘corruzione’ del testo attraverso il suo ‘approfondimento’ con interpretazioni morali e teologiche: è il caso delle letture pneumatiche della natura o della lettura in termini di colpa e castigo di sofferenze fisiche1. Scienza è quindi, agli inizi della riflessione di Nietzsche, la filologia e una serie di metafore mostra che la nozione di scienza è attraversata dalla preoccupazione di fornire un modello di società che superi in una dimensione organica la dispersione “analitica” e gli effetti disgreganti della divisione del lavoro. Al centro di questa preoccupazione c’è il rapporto scienza-genio. Il primo movimento critico di Nietzsche verso la sua pratica filologica ha in Schopenhauer il catalizzatore. La figura del genio schopenhaueriano, libero dalla pressione egoistica della volontà e capace della prospettiva universale, della comprensione della totalità, si oppone a quella dello “scienziato” specializzato che «somiglia all’operaio di fabbrica, il quale, durante tutta la vita, non fa altro che fabbricare una certa vite o un certo gancio, o un noto manico di un certo arnese o di una certa macchina, e in questo ramo raggiunge, certo, un incredibile virtuosismo...» (Parerga, p. 1187). Nietzsche riprende letteralmente la metafora dell’operaio di fabbrica più volte applicandola al lavoro del filologo sia nelle lettere precedenti la venuta a Basilea sia nelle conferenze Sull’avvenire delle nostre scuole. In una lettera a Deussen del ’68, il filologo è legato a un ruolo produttivo limitato, e anche per i «nostri massimi talenti filologici» vale la loro assimilazione a «operai» subordinati al genio filosofico che si identifica con il «datore di lavoro», colui che indica lo scopo e conosce la destinazione della cooperazione di fabbrica (Epistolario I, pp. 622-623). La divisione del lavoro, legata al trionfo degli specialismi e allo sviluppo unilaterale delle facoltà umane è l’apice della moderna «barbarie» civilizzatoria, a cui Nietzsche contrappone la schilleriana cultura come «unità di stile nella vita di un popolo». La vita non può essere sottoposta all’osservazione scientifica senza smembrare ed uccidere l’aspetto di immediata produttività e totalità, che si esprime nell’opera d’arte. La polemica schopenhaueriana contro la pratica della vivisezione diventa in Wagner la metafora di una hybris contro la natura, contro l’immediatezza organica che – romanticamente – non può essere smembrata, propria della cospirazione tra atteggiamento scientifico-analitico e atomismo disgregato e macchinale della Zivilisation. La connessione wagneriana tra scienza e Zivilisation è quindi certamente presente nella connotazione di Nietzsche sugli «effetti barbarizzanti della scienza» dove quest’ultima è significativamente riferita, nella sua dispersione alessandrina, al modello del laissez faire economico: «Alla filosofia sfuggono gradualmente di mano le redini della scienza. […]Il bene comune richiede che si giunga nuovamente a domare quell'impulso, e che in tal modo si ottenga al tempo stesso

1 Cfr. KGW, IV, III: Der Wanderer und sein Schatten, (17), 189; Opere, 144 e KGW, VI, II: Jenseits von Gut und Böse, (22), 31; Opere, 27.

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un'elevazione ed una concentrazione. Il laisser aller della nostra scienza è analogo a certi dogmi dell'economia politica: si ha fede in un esito assolutamente favorevole. […] Oggi noi comprendiamo come sia notevole la figura di Schopenhauer: egli raccoglie tutti gli elementi che hanno ancora un valore per dominare la scienza. Egli si rivolge ai più profondi e originari problemi dell'etica e dell'arte, e imposta il problema del valore dell'esistenza. Mirabile unità di Wagner e Schopenhauer! Essi sorgono dal medesimo impulso. Le qualità più profonde dello spirito germanico si apprestano qui alla lotta: come era avvenuto presso i Greci» (19 [28]1872-1873). Il legame tra scienza e trionfo del mondo servile, indicato nella Nascita della tragedia con la figura di Socrate, viene ampliato nella considerazione inattuale Sull’utilità e il danno della storia per la vita dove la polemica contro la torsione pratica della scienza sfocia in una analogia tra lavoro scientifico e lavoro di fabbrica: Credete a me: quando gli uomini devono lavorare e diventare utili nella fabbrica della scienza prima di essere maturi, la scienza è in breve tanto rovinata quanto lo sono gli schiavi impiegati per troppo tempo in questa fabbrica. Io deploro che sia ormai necessario servirsi del gergo dei padroni di schiavi e dei datori di lavoro per designare quei rapporti che di per sé dovrebbero essere pensati liberi da utilità, sottratti alle miserie della vita; ma involontariamente vengono in bocca le parole «fabbrica», «mercato del lavoro», «offerta», «utilizzazione» – o comunque suonino i verbi ausiliari dell’egoismo – quando si vuol descrivere la generazione di dotti più recente (HL, 7). Tuttavia non c’è piena coincidenza con la soluzione wagneriana: Nietzsche non cancella il valore della scienza con un gesto che riabiliti miticamente la totalità della vita. L’attacco è prevalentemente rivolto alla degradazione civilizzatoria, priva di centro, della figura dello scienziato: Queste pagine dell’inattuale sembrano risentire della lettura di Über die Natur der Cometen di Zöllner (Leipzig, 1872), cioè della preoccupazione di correggere la preminenza dell’atteggiamento induttivo, puramente sperimentale, nel campo scientifico (tipico della cultura scientifica inglese) che conduce a una proliferazione di specialismi senza unità, senza altro scopo che non sia la subordinazione («avvilimento servile») alla pratica e all’industria: «Per i popoli forniti di superiore aspirazione scientifica si tratta di respingere energicamente tali pretese dell’intelletto pratico. Non è il metodo o la quantità di acume applicata nelle operazioni dell’intelletto a determinare il loro carattere scientifico o non scientifico, ma solo e unicamente lo scopo per cui tali operazioni vengono intraprese» (F. Zöllner, Über die Natur, cit., p. 228). Rivendicando il ruolo dell’atteggiamento deduttivo nella scienza, Zöllner pensa di liberarla dal riferimento ai motivi pratico-egoistici, di renderla espressione e strumento dell’ideale, di impulsi antiegoistici e universalizzanti. Incrollabile – scriveva dopo aver citato «le profetiche opere di Schiller» – vive in me la fede in un’epoca ventura dominata dalla conoscenza deduttiva del mondo... Solo la Germania è chiamata a diventare la portatrice e lo scenario di una tale epoca, perché solo lo spirito germanico racchiude nella sua profondità quella pienezza di esigenze e capacità deduttive indispensabili per padroneggiare fino in fondo con successo il materiale induttivo accumulato dalle scienze esatte2. L’opera di Zöllner traduceva in termini di riforma della comunità scientifica il tema schilleriano (allora ampiamente diffuso nella cultura tedesca) di un consapevole sforzo per un’armonica unità della Kultur contro la tendenza «manchesteriana» della società moderna, dominata dalla dispersione del laissez faire e della divisione del lavoro, dal gioco antagonistico degli egoismi non regolati

2 F. Zöllner, Über die Natur, cit., p. LXX.

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dall’ideale. «Ciò che Zöllner lamenta, lo sperimentare senza fine e la mancanza di forza logico-deduttiva, è presente anche nelle discipline storiche» – scrive Nietzsche e poco più avanti, applicando ancora la polemica di Zöllner alla storia, parla di «insensato sperimentare» (NF, 1873, 29[24]e [92]). Lo sperimentare è ancora legato alla debolezza dell’uomo moderno, schopenhaueriana e wagneriana concrezione di bisogni artificiali, maschera variopinta che nasconde il vuoto. La richiesta dell’uomo moderno alla scienza è di soddisfare, in una degradazione faustiana, i bisogni molteplici e indotti che comunque lo confermino nella realtà data (dunque una ricerca che sfocia nel filisteismo e nel museo): di qui il movimento insensato dello sperimentare. La situazione è analoga nel campo della storia (che Nietzsche identifica con la scienza), in cui l’uomo moderno va alla ricerca di una forma e di un costume di vita e per interiore debolezza subisce l’eccesso di stimoli che preme dal passato, ma che in realtà riflette il caos disgregato dell’attuale situazione. Ma le pagine conclusive dell’Inattuale sulla storia sono attraversate da una caratteristica tensione da un lato tra il pathos distruttivo della verità che emerge come risultato della scienza, espressiva della forza dinamica della Zivilisation – il terremoto che sconvolge la saldezza dei riferimenti, « il fondamento di tutta la sua sicurezza e la sua pace, la fede in ciò che perdura ed è eterno» (HL 10, pp. 351-352) – e di cui Nietzsche subisce il fascino e dall’altra la ribadita volontà di rimanere fedeli al progetto wagneriano di fondare l’organicità della Kultur sulla base delle forze antistoriche e sovrastoriche, l’oblio che comporta la limitazione dell’orizzonte e «le potenze che distolgono lo sguardo dal divenire, volgendolo a ciò che dà all’esistenza il carattere dell’eterno e dell’immutabile, l’arte e la religione». La scienza invece «odia l’oblio, la morte del sapere, come pure cerca di eliminare tutte le delimitazioni dell’orizzonte e getta l’uomo in quel mare infinito e illimitato di onde luminose, nel mare del divenire conosciuto» (HL, 10 p. 351). E Nietzsche si chiede: « Ma la vita deve dominare sulla conoscenza, sulla scienza, oppure la conoscenza sulla vita?» ed avverte il pericolo: «Se invece le dottrine del divenire sovrano, della fluidità di tutte le idee, i tipi e le specie, della mancanza di ogni diversità cardinale fra l’uomo e l’animale – dottrine che io ritengo vere ma micidiali – saranno scagliate nel popolo ancora per una generazione nel furore di istruzione oggi abituale, nessuno si dovrà poi meravigliare se il popolo andrà in rovina a causa di ciò che è egoisticamente piccolo e miserabile, della ossificazione e dell’amore di sé, se cioè andrà in pezzi e cesserà di essere popolo: al suo posto poi compariranno forse sulla scena dell’avvenire sistemi di egoismi particolari, affratellamenti a scopo di rapace sfruttamento dei non fratelli e consimili creazioni di utilitaristica bassezza» (HL 9, pp. 339-340). La teoria di Darwin è «vera» («Tremende conseguenze del darwinismo, che considero d'altronde come vero. Ogni nostra venerazione si riferisce a delle qualità, che noi riteniamo eterne: qualità morali, artistiche, religiose, ecc.» 19[132 1872-1873): essa assume nel periodo delle Inattuali addirittura il ruolo di simbolo della scienza, intesa come forza dagli effetti devastatori e nichilistici verso le consistenze mitiche e l’immediatezza dell’ideale, dunque come verità dannosa per la necessaria illusione. Una volta abbandonata la tematica dell’illusione e dell’ideale come terapeutica della vita, resterà fermo ed anzi si potenzierà questo carattere della scienza: Darwin comparirà allora, accanto ad Hegel, come affermatore di una integrale scienza del divenire, senza ricorsi mitologici all’essere. Il tentativo di Strauss in Vecchia e nuova fede di ricomporre gli aspetti conflittuali dello sviluppo storico nella giustificazione di una «cosmodicea» progressiva (dove la lotta per l’esistenza, secondo moduli naturalistici tipici del darwinismo sociale è il meccanismo che sanziona il progresso e produce risultati utili al potenziarsi dell’elemento generico della specie uomo) è attaccato da Nietzsche come deformazione apologetica del vero darwinismo. Perché in Strauss il carattere distruttivo delle certezze e dei valori proprio della scienza integralmente storica, viene stravolto a ideologia della sicurezza, del successo e del progresso garantito proprio del filisteo tedesco dopo Sedan (l’accostamento straussiano tra Bismarck e il «Darwin benefattore»). Di fronte alla santificazione della vittoria militare, Nietzsche esprime la necessità di mantenersi freddi e critici in

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mezzo all’«ubriacatura generale». Per ora la critica di Nietzsche è rivolta soprattutto all’esito più esteriore dell’apologia: la «nuova fede» di Strauss, che unendo hegelismo e scienza si fa portavoce del filisteismo tedesco più piatto e materialistico. Questa polemica è ancora in consonanza con la lotta di Wagner per Bayreuth contro la Zivilisation. Ma i primi motivi di distacco da Wagner (e di una sua progressiva smitizzazione rispetto alla completa idealizzazione del genio del primo anno di Tribschen) sono già implicite nel diverso atteggiamento verso la vittoria. Il nazionalismo è un pericolo, una forma di ripiegamento che rischia di santificare e sublimare un elemento dell’attualità in contrapposizione al carattere in divenire della comunità estetica. Burckhardt agisce su Nietzsche come contrappeso critico all’ideologia germanica di Wagner: i due professori di Basilea vedono nella guerra ‘zoologica’ tra nazioni, un minaccioso pericolo per la cultura. «Il più delle volte, il vincitore diventa stupido, il vinto diventa malvagio. La guerra semplifica [...]. È un letargo invernale della civiltà»(32[62] 1874). Quella delle Inattuali è ‘la metafisica della cultura’ che è anche una metafisica della gioventù capace di un nuovo eroismo (il modello è Sigfrido): la situazione della cultura viene giudicata in base ai solitari, grandi eroi di un’epoca ed al loro rapporto con il popolo3. Tutta l’azione di Nietzsche (e le Inattuali pretendono di essere azione contro le viltà e le pigrizie dell’epoca) si presenta come sacrificio e dedizione per la realizzazione del genio. La lotta è contro le varie maschere del filisteismo e la pavidità che fa uso della passata grandezza per opporsi alla costruzione di una nuova cultura e alla possibilità di nuovi genii. I filistei, nascosti dietro il rassicurante ‘noi’ e a maschere irrigidite nei ruoli sociali, «preoccupati della commedia comune e niente affatto di sé», hanno come parola d’ordine: «non dobbiamo più cercare»4. Anche in questo caso il riferimento di Nietzsche è, puntuale, a Wagner che parla del dono fatto, a chi nasce, dalla più giovane delle Norne perché tutti, un giorno, possano diventare dei genii: «Lo spirito mai soddisfatto e che cerca sempre qualcosa di nuovo»5. Ancora è lo spirito tedesco quello che cerca «con seria perseveranza ciò che il filisteo colto vaneggia di possedere, ossia la genuina, originaria cultura tedesca» (DS 2). Rispetto alla lettura rassicurante e non conseguente del darwinismo propria del filisteo Strauss per cui attraverso la lotta e la selezione si fissano necessariamente i caratteri utili allo sviluppo progressivo della specie, Nietzsche ricorre a Schopenhauer accostato alla intrepida serietà di Hobbes e di Darwin. È lo Schopenhauer che il giovane Nietzsche aveva valorizzato nei suoi studi sulla teleologia contro ogni finalismo per il «folle sperpero» e la «terribile lotta degli individui (...) e delle specie» che il filosofo pessimista vede nella natura. Ma contro il pericolo legato all’insensato cambiamento di prospettive, al trionfo del divenire che dissolve ogni fissità e che ha come conseguenza inevitabile la disgregazione del corpo sociale, ancora Nietzsche ricerca la forza idealizzante dell’arte e della religione, pone il limite dell’orizzonte come sicurezza vitale. Contemporaneamente ed in sotterraneo contrasto con la direzione della comunità, la sua lotta va a favore dell’individuo che, con il suo «eroismo» affronta il flusso e sperimenta nuove maniere di vita, cerca di coniugare la verità della scienza ad un tipo di esistenza superiore alternativa a quella del «gregge». Questa la prospettiva in cui si interpretano le figure dei presocratici. Ciò che viene messo in luce nei filosofi presocratici, nelle lezioni e nei frammenti postumi, non è più il momento metafisico come nella Filosofia nell’epoca tragica dei Greci (basti ricordare la lettura strettamente schopenhaueriana di Anassimandro) bensì la lotta contro il mito, la posizione favorevole alla scienza ed alla conoscenza contro le religioni del tempo. Questo atteggiamento è già 3 KGW, III, II: Über die Zukunft unserer Bildungsanstalten, 190; Opere, 145. 4 KGW, III, I: David Strauss der Bekenner und der Schriftsteller, 164; Opere, 177. 5 R. WAGNER, Una comunicazione ai miei amici, Pordenone, ediz. Studio Tesi, 1985, p. 26 (nell’ed. ted., Eine Mitteilung an meine Freunde, in Dichtungen und Schriften, 10 voll., a cura di D. Borchmeyer, Frankfurt a. Main, 1983, vol. VI, p. 221).

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presente in Talete; nella sua proposizione che pone l’acqua come origine di tutte le cose, è possibile vedere la «vittoria dell’uomo scientifico» sull’uomo «mitico»: l’abbandono della religione e della superstizione come fonti di spiegazione della natura. Il confronto tra la figura di Socrate e quella di Democrito ci può far capire meglio quali intenti guidassero Nietzsche nella sua critica al modo di praticare la scienza, come questa investisse lo scienziato, il dotto attuali piuttosto che una pratica coraggiosa del conoscere. Nietzsche, nei suoi primi lavori filologici, nei suoi non molti riferimenti, non vede affatto in Socrate quella figura centrale di “mistagogo della scienza” e razionalista che emergerà con La nascita della tragedia. Piuttosto, su questi temi, la sua attenzione, simpatetica, si rivolge (fin dall'estate 1867) a Democrito la cui fisionomia provò a ricostruire partendo dall'esame critico dell'immagine che ne aveva dato Diogene Laerzio. Democrito è “un razionalista fiducioso”, il “padre di tutte le tendenze illuministiche e razionalistiche”, colui che “raggiunge, primo fra i Greci, il carattere scientifico , che consiste nel tentativo di spiegare in modo unitario una quantità di fenomeni senza chiamare in aiuto, nei momenti più critici, un deus ex machina” Democrito vuole liberare dalle paure e dalle superstizioni, dal “timore degli déi”, dalla “fosca mitologia”, attraverso la conoscenza scientifica: per questo condanna “ogni intromissione di un mondo mitico”. L'attività scientifica ha in Democrito un senso etico: nella scienza egli vede “lo scopo di ogni eudaimonia” (ibidem). Nietzsche sottolinea però come Democrito non trovi affatto nella scienza la felicità che cercava essendo figura assolutamente anomala, in lotta solitaria contro il suo tempo e contro i filosofi precedenti ancora legati a concezioni mitiche. “Una vita scientifica era a quel tempo un paradosso”, la sua dedizione assoluta al sapere “contraddiceva alla formazione armonica e alla misura” proprie del mondo greco. Tale scelta lo condannò ad una vita “nomade e inquieta, piena di disagi” (Opere, vol. I, t. II, p. 215)6. Democrito pagò con l'infelicità il grande merito di avere per primo creduto alla scienza come “principio di vita”. Nietzsche sottolinea il carattere “fanatico”, passionale del democriteo “impulso al sapere (Wissenstrieb)” che comporta uno “slancio poetico”: “Democrito una bella natura greca, come una statua all’apparenza freddo eppure pieno di ardore nascosto” (ivi, p. 216). Ancora nell’inverno 1872-1873 Nietzsche può definire Democrito “il più libero” (Demokrit der freieste Mensch). E’ quindi evidente che, al di là dell’apparente vicinanza e comuni aspetti (razionalismo e scienza), tra la figura di Democrito e quella di Socrate – già delineata, in questi anni, ne La nascita della tragedia – vi è una profonda differenza e forti elementi di opposizione. Soprattutto: in Democrito “il mondo [è] senza significato morale o estetico, pessimismo del caso” (23[35], inverno 1872-73), la sua ipotesi scientifica di spiegazione della realtà allontana come superfluo il Nous di Anassagora. In Democrito Nietzsche valorizza, fin dall’inizio, la lotta contro la teleologia (gli appunti filologici sul filosofo greco si mescolano con le riflessioni personali su questo tema). Com’è noto, è La Storia del materialismo di Lange, ad offrire a Nietzsche una simpatetica ricostruzione delle moderne teorie scientifiche, in particolare fisiologiche e biologiche; solo il criticismo è, secondo Lange, all'altezza dei problemi che queste teorie pongono alla filosofia. Nietzsche è molto impressionato dal radicalismo naturalistico di un Darwin che egli conosce attraverso Lange: come questi egli vede nella descrizione darwiniana del processo di selezione, governata dal «caso più cieco» e in cui «l'insuccesso di ciò che è cominciato è la regola»7, una rinascita del punto di vista empedocleo «per cui ciò che è conforme ad un fine appare solo come un caso tra le molte cose che non lo sono» (NA 57[26], Obras I, p. 248 Cfr.. F.A.Lange, Geschichte des Materialismus, p. 404). Nietzsche avvicina Empedocle alle teorie darwiniane anche nelle lezioni sui filosofi preplatonici (KGW II, 4, p. 324)

6 Cfr. anche: Demokrit der wissenschaftliche Reisende (colui che viaggia per la scienza) (19[318] 1872-1873)

7 Cfr. F.A.Lange, Geschichte des Materialismus, Iserlohn 1866, p. 402 e p. 403

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La coordinazione di una spiegazione meccanicistica con la constatazione del dominio incontrastato del caso (Cfr. [P I 8, 34]: NA 62[45] «La tempesta che agita le cose è il caso. Questo è conoscibile» Obras I p. 315), sembra rendere possibile la confutazione della concezione finalistica che bucherella l'esistenza di miracoli. Nietzsche polemizza contro l'ottimismo implicito nella visione teleologica del mondo sottolineando la pluralità delle prospettive, legate a forme di vita infinitamente diverse, da cui è possibile osservare ciò che avviene. Ciò che è conforme al fine «visto da un altro lato spesso non è affatto conforme.» ( [P I 8, 76]). Nell'opera di Lange Nietzsche trovava una forte valorizzazione di Democrito oltre che un ampio resoconto della ricezione di Democrito in Bacone e Gassendi, in la Mettrie e Feuerbach. Il riferimento ai grandi protagonisti della storia del materialismo torna di frequente negli appunti nietzscheani su Democrito. In essi all'intento di una corretta ricostruzione delle tesi democritee si sovrappone a tratti l'interesse a individuare nel padre dell'atomismo l'anticipazione di motivi e concetti della filosofia moderna. La posizione di Democrito è ostile ad ogni ottimistica teleologia. Con Socrate comincia invece l’ottimismo: egli “ha una teleologia e crede in un dio buono”, con lui,“comincia la fede nell’uomo buono che sa”(23[35], inverno 1872-73). Un frammento dell’autunno 1867-primavera 1868, chiarisce questa differenza sostanziale: “Che cosa ha portato alla scarsa considerazione di Democrito? La sua decisa opposizione alla teleologia. Per la vita di Socrate fu un fatto epocale la lettura di Anassagora, che per primo abbozzò una forma di teleologia. Socrate riconobbe questo punto, ne trovò scadente l’attuazione e non sapeva che fare. Poi venne il deuvtero" plou`"”8. Nietzsche, con questa espressione metaforica (“deuvtero" plou`"”: la seconda navigazione, quella che si fa con i remi in mancanza di vento) ricorda la scelta che Socrate dice di aver fatto dopo l’insoddisfazione provata nei confronti delle teorie cosmologiche e fisiche precedenti, tra cui quella di Anassagora, incapace anch’essa di conoscere “la vera causa” (Fedone, 99cd). La teleologia del Nous di Anassagora per Democrito è superflua e antiscientifica, per Socrate insufficiente e fuorviante. Se l’impulso etico di Democrito si identificava con una ricerca scientifica senza presupposti, in Socrate la ricerca è invece sorretta e spinta da presupposti etici che ne inficiano, a priori, la radicalità. Nelle lezioni sui filosofi preplatonici questo emerge con estrema chiarezza: “la filosofia socratica è assolutamente pratica: essa è avversa ad ogni conoscenza non congiunta a conseguenze etiche” “conoscenza e moralità coincidono” “da Socrate prorompe un flusso morale e per questo egli appare profetico e sacerdotale. Egli è convinto di dover compiere una missione”9 Da qui anche la differenza di stile. Nietzsche fa propria la valorizzazione, da parte della tradizione, degli scritti filosofici di Democrito come “modelli di esposizione filosofica”10. Ancora nelle Lezioni sulla storia della letteratura greca, Democrito è definito “il primo classico” (der erste Klassiker): il suo stile scientifico viene contrapposto a quello retorico e argomentativo di Socrate. Dai due stili contrapposti risulta la differenza epocale: il “filologoß” Socrate sviluppa, in modo straordinario, l’arte del “parlar bene” contro il rigore scientifico che caratterizza il “piccolo numero” di filosofi precedenti. Le loro ricerche, in più campi, sono ritenute da Socrate lontane dall’interesse dell’uomo. “Tra Democrito e Socrate un baratro, nessun ponte: Socrate inventa una nuova forma del “eu

8 Opere, vol. I, t. II, p. 209. Su questo tema Nietzsche utilizza nache il saggio di Carsten Redlef Volquardsen, genesis des Socrates in “Rheinisches Museum”, XIX [1864], pp. 505-520, cfr. Scritti giovanili, cit. p. 211. 9 KGW II, 4, p. 355; trad. it.´I filosofi preplatonici , a cura di Piero Di Giovanni, p. 138. Cfr. anche sull’ „attività missionaria“ di Socrate: ST, p. 36. Nell’aforisma 72, WS, Missionari divini, l’arroganza di colui che si sente „missionario divino“ è mitigata in Socrate dall’ironia e dal gusto di scherzare: il compito „di mettere il Dio alla prova“ è intesa come una espressione, non compiuta, sulla via della „libertà dello spirito“. 10 KGW I, 4, 57[36]; Opere, I, II, p. 211, Cfr. la lezione di Nietzsche sui filosofi preplatonici, par. 15, KGW II, 4, p. 331: "È un grande scrittore: Dionigi di Alicarnasso (De comp. verb., c. 24) lo cita assieme a Platone e Aristotele come scrittore modello. Cicerone, De orat., I, 11, lo avvicina a Platone a causa del suo slancio e dell'ornatum genus dicendi; in De divinat., II, 64, si loda la sua chiarezza, Plut., Sympos., V, 7, 6, ammira il suo slancio". Cfr. Diels-Kranz, 68 A 34, 68 A 77.

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scolazein” con la passione del dialogo, ma rende ai suoi scolari oggetto di ripulsa la ricerca scientifica e la vita solitaria del dotto”11 “Socrate è nell’etica ciò che Democrito è nella fisica” (1[106] autunno 1869). Nel cammino verso la filosofia dello spirito libero, soprattutto nei frammenti postumi degli anni 1875-1876, Nietzsche incontra di nuovo la figura di Socrate in contrasto con i filosofi che lo hanno preceduto caratterizzati nella loro volontà di “trovare la via dal ‘mito’ alle leggi della natura, dall’immagine al concetto, dalla religione alla scienza” 12. Anche Socrate – a differenza di Platone, “il primo grandioso carattere misto” – appartiene comunque, per la sua forza caratteriale, a “quegli uomini tutti d’un pezzo, scolpiti da da una sola pietra. Tra il loro pensiero e il loro carattere intercorre una rigorosa necessità” (PHG, p. 273). I filosofi preplatonici mostrano nuove concrete possibilità di vita, al di là della fede nei miti e nella religione. Scelsero un modo di vita al di fuori delle illusioni “in cui le difficoltà sono enormemente accresciute. Chi vuole la conoscenza dovrà sempre nuovamente abbandonare la terra su cui vive l’uomo, avventurandosi nell’incertezza; e l’impulso che vuole la vita, dovrà sempre nuovamente cercare a tastoni un luogo abbastanza sicuro, per potersi fissare su di esso»13.”. Si spogliarono del mito che faceva risplendere la vita dei Greci, eppure riuscirono a vivere in modo superiore. L’individuo «vuole poggiare su se stesso»(6[7] estate 1875), l’istinto tirannico è proprio di questi grandi filosofi. La scelta dell’abbandono delle illusioni è vista come difficile, specialmente in Grecia dove il mito è espressione di valori di vita ascendente, ed è originato da quella stessa tracotanza che spinge i preplatonici alla solitudine della conoscenza: “Repressione dell’elemento mitico. – Rafforzamento del senso della verità di fronte alla libera poesia. Vis veritatis, ossia rafforzamento del puro conoscere (Talete, Democrito, Parmenide” (23[14] 1872-1873]). Il mito ha però una forza isolante e disgregatrice, limitato com’è alla comunità della polis. I limiti della polis stavano nella sua forza tirannica, nell’irrigidimento del mito. Il dominio politico di Atene che soffocò grandi forze spirituali, impedì l’avvento di quella riforma panellenica preannunciata dai filosofi presocratici, e che avrebbe, secondo Nietzsche, favorito il sorgere di grandi e belle individualità. La lotta contro il mito da parte dei filosofi presocratici si accompagna quindi a progetti politici alternativi a quelli della comunità naturale della polis, illuminata, ma anche circoscritta, dal mito. I presocratici con la loro vita realizzarono le premesse delle nuove individualità: vissero «in modo libero» senza diventare «dei pazzi o dei virtuosi». «I greci erano sul punto di trovare un tipo di uomo ancora superiore a quelli precedenti, ma intervenne allora un colpo di forbici» (6[18] estate 1875). Questo fu dovuto, nel campo della filosofia, a Socrate: il filosofo «rovesciò tutto quanto, nel momento in cui ci si era massimamente avvicinati alla verità; ciò è particolarmente ironico» (6[7] estate 1875). Attraverso Socrate (”bastò un cervello strambo…”) si compì «l’autodistruzione dei Greci» » (6[23] estate 1875): tra le conseguenze perniciose l’annientamento dello spirito scientifico che aveva trovato l’espressione più compiuta e pura in Democrito14. Il radicalismo scientifico di Democrito appare la causa più forte del “socratismo”: “Democrito: il mondo è del tutto privo di ragione e di istinto, è prodotto da uno scotimento che mescola ogni cosa. Tutti gli dèi e i miti sono inutili. Socrate: allora non mi rimane null’altro che me stesso; la preoccupazione per noi stessi

11 KGW II, 5, p. 308 e 312. Tra le definizioni storiche del filologo che troviamo nelle prime pagine delle lezioni introduttive allo studio della filologia, Nietzsche pone quella di Platone che definiva filologo Socrate in quanto ‘amico della conversazione orale’ e dei logoi filosofici, rispetto ad Aristotele per il quale filologo è il filosofo in quanto ha bisogno di una grande mole di materiali empirici. (Encyclopädie der klassischen Philologie und Einleitung in das Studium derselben in KGW, II, III, p. 342-343): 12 KGW II/4, p. 214; trad. it., I filosofi preplatonici, p. 5 13 FP, IV, 1, p. 175. 14 Si veda anche l’aforisma 261 (I tiranni dello spirito) di Umano, troppo umano, I, che rielabora e riassume i contenuti dei frammenti dell’estate 1875 dedicati ai filosofi preplatonici. Socrate appare qui la pietra nell’ingranaggio capace di far saltare la macchina fortemente accelerata della cultura greca: “in una notte lo sviluppo della scienza filosofica, fino allora così meravigliosamente regolare, anche se troppo celere, fu distrutto”.

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diventa l’anima della filosofia” (6 [21] estate 1875). La filosofia diventa “individualistica e eudemonologica” : da Socrate in poi si manifesta “la sciocca pretesa alla felicità”15 come prima motivazione speculativa. La filosofia, “si separò dalla scienza quando pose la questione: qual’ è quella conoscenza del mondo e della vita nella quale l’uomo vive più felice? Ciò avvenne nelle scuole socratiche: col punto di vista della felicità si legarono le vene alla ricerca scientifica e lo si fa ancor oggi” (MA I, 7). Questo tema, con diverse accentuazioni, sarà presente fino alle ultime riflessioni di Nietzsche: “filosofia: è, da Socrate in poi, quella suprema forma di accortezza che non cade in errore quando c’è di mezzo la felicità personale” (25[17] primavera 1884). Il giudizio sembra addirittura opposto a quello della Nascita della tragedia in cui Socrate viene presentato quale “araldo” e “mistagogo della scienza”, padre del razionalismo scientifico e dell’alessandrinismo. La teleologia dominante che comporta la conciliazione tra verità e morale è, nel suo aspetto più profondo, ostile e inconciliabile con una radicale ricerca scientifica senza presupposti etici. L’Uno originario, artistico e provvidenziale della Nascita della tragedia, assegna a Socrate morente un ruolo decisivo nella “cosmodicea”: “La scienza, spronata dalla sua robusta illusione, corre senza sosta fino ai suoi limiti, dove l’ottimismo insito nell’essenza della logica naufraga. Infatti la circonferenza che chiude il cerchio della scienza ha infiniti punti, e mentre non si può ancora prevedere come sarà possibile misurare interamente il cerchio, l’uomo nobile e dotato giunge a toccare inevitabilmente, ancor prima di giungere a metà della sua esistenza, tali punti di confine della circonferenza, dove guarda fissamente l’inesplicabile” (GT, 15, p. 103). Faust rappresenta lo Streben dell’uomo moderno senza posa legato a quella “brama di sapere” che deriva da Socrate: il lui anche il senso di insoddisfazione e l’aspirare all’azione . “Dal vasto e mare del sapere” si anela di nuovo ad una costa (GT, 18, p. 119-120). Simbolo è il ricorrente sogno di Socrate: «La cosa più profonda, peraltro, che poteva essere detta contro Socrate, l'ha detta a lui un sogno. Molto spesso gli veniva in sogno, come racconta in carcere ai suoi amici, una stessa apparizione, che diceva sempre la stessa cosa: “Socrate, datti alla musica !”» La percezione del limite della conoscenza, esplorata fino agli estremi limiti, apre la via inevitabilmente all’arte tragica, alla musica. La scienza stessa in definitiva serve il mito: l’uomo socratico appartiene interamente alla teleologia dell’inconscio che prepara una nuova e superiore arte: “Lo scopo della scienza, inaugurata da Socrate, è la conoscenza tragica come preparazione del genio. Il nuovo stadio dell’arte non fu raggiunto dai Greci: esso rientra nella missione germanica. L’arte suscitata da quella conoscenza tragica è la musica”16. Certamente uno dei limiti della GT era per Nietzsche l’aver ceduto ad una prospettiva teleologica sorretta dalla metafisica dell’arte, probabilmente sotto l’influenza di Eduard von Hartmann («ha un ripugnante odore hegeliano» - scrive in Ecce homo). Ne La nascita della tragedia è presente una sorta di filosofia della storia giocata sui due principi (apollineo e dionisiaco) che cercano l’unità. La struttura metafisica di fondo rende l’arte necessaria non solo per l’individuo ma per la stessa natura. L’eterno soggetto creatore trova nell’arte la sua consolazione e la sua necessità, l’artista (il genio) è a sua volta “opera d’arte” per la natura, la realizzazione più alta, la sua giustificazione. La creazione artistica nasce dall’inconscia identità con l’Uno originario che, come unico creatore e spettatore della commedia artistica, trae da essa, per sé, un eterno godimento. Il postulato dell’impossibilità pratica della negazione della vita, della noluntas,(in netta opposizione alla filosofia della storia di Hartmann) comporta l'accettazione di meccanismi di illusione (Wahn) funzionalizzati alla costruzione di una civiltà superiore. Nell'istinto si esprime direttamente una volontà che sottomette con l'inganno l'individuo. L'istinto è illusione che perpetua la volontà di vivere, è l'inganno da parte del «genio della specie» a spese dell'individuo. L'arte e il mito sono 15 Cfr. i frammenti 6[14] e 6[15] (estate 1875). La citazione di Nietzsche (una frase di Merck, amico di Goethe), è tratta da Arthur Schopenhauer Parerga e paralipomena, ediz. ital. tomo primo a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 1981, pp. I, p. 551-552. 16 F: Nietzsche. 7[174] (fine 1870-aprile 1871). Cfr. anche 7[166]: “Euripide e Socrate danno una nuova impostazione allo sviluppo dell’arte: partendo dalla conoscenza tragica. Questo è il compito dell’avvenire […] la tragedia greca si può vedere solo come preparazione: serenità inappagata”.

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l'immagine illusoria più alta di seduzione alla vita: «correggere il mondo — ecco la religione o l'arte. »17. Ma accanto a queste illusioni anche l’illusione teoretica appartiene alle seduzioni alla vita più nobili contro le illusioni quotidiane, avviluppate nell’apparenza, del filisteo. In Hartmann, che pure si richiamava alla testimonianza delle scienze induttive, come già in Strauß Nietzsche legge, nell’inattuale sulla storia, il tradimento di ogni probità scientifica per far giungere, in un processo del mondo guidato dalla sicurezza dell’Inconscio (“una teologia camuffata” come quella di Hegel), alla ripugnante e gaudente vecchiaia dell’umanità, all’ultimo uomo: «Dove conduce il considerare la storia come un processo, ce lo mostra E. von Hartmann a p. 618 (e da ciò comprendo il suo incredibile successo). Qui la visione storica si accomuna al pessimismo: ora se ne osservino le conseguenze! Le età della vita del singolo individuo offrono l'analogia, la poco lusinghiera descrizione del presente muove soltanto verso la conclusione che andrà ancora peggio e che questo è il processo necessario al quale bisogna abbandonarsi. Per l'analogia serve una specie di uomo alquanto volgare, che l'età virile conduce ad una «solida mediocrità», ad un'arte che per lui rappresenta più o meno «ciò che di sera è la farsa per l'agente di borsa berlinese». […] Ma se l'umanità deve vivere la propria vecchiaia quasi in maniera leopardiana, dovrebbe essere più nobile di quanto è in realtà, e soprattutto avere un'età virile diversa da quella assegnatale da Hartmann. Il vecchio che corrispondesse a una tale età virile sarebbe assai nauseabondo e sarebbe attaccato alla vita con una ripugnante avidità, avviluppato più che mai nelle illusioni più basse» 29[51]. L’ipostatizzazione della storia concepita come una totalità orientata teleologicamente è contraria alla vita: rende impossibile ogni «dar senso» concreto e individuale: di qui l’indignazione di Nietzsche: «ammesso che vi sia uno scopo universale, sarebbe impossibile conoscerlo, perché noi siamo pulci di terra e non governiamo il mondo. Ogni divinizzazione dei consunti concetti generali, come Stato, popolo, umanità, processo del mondo, ha lo svantaggio di alleggerire il fardello dell'individuo e di sminuire la sua responsabilità. Se tutto dipende dallo Stato, poca importanza ha l'individuo: come dimostra ogni guerra. Trasposto in senso morale: chi toglie all'uomo la convinzione che egli sia qualcosa di più fondamentale ed importante di tutti i mezzi per la sua esistenza, lo rende peggiore. Le astrazioni sono i suoi prodotti, i suoi mezzi per l'esistenza – ma nulla di più, non lo devono dominare. Gli deve essere permesso in ogni momento, in quanto essere morale, di perire lottando contro mezzi che diventano strapotenti, reinterpretati come scopi…» 29 [74] «L'uomo e il «processo del mondo»! La pulce di terra e lo spirito universale! (29 [53]) «… processo cosmico! Ma si tratta soltanto della meschinità delle pulci di terra che sono gli uomini!» (FP 29[52]). E certamente l’ultimo uomo predicato sul mercato da Zarathustra ha tutti i caratteri del vecchio di Hartmann ed è anch’esso “pulce di terra” ma non destinato alla fine assoluta per forza del “processo universale”: «La terra allora sarà diventata piccola e su di essa saltellerà l'ultimo uomo, quegli che tutto rimpicciolisce. La sua genia è indistruttibile, come la pulce di terra; l'ultimo uomo campa più a lungo di tutti». Nietzsche combatterà fino in fondo teorie come quella di Hartmann che ponevano come necessaria – per il “processo del mondo” o per cosmologie pseudoscientifiche inficiate da presupposti metafisici o teologici – una fine assoluta. Vi vedrà la permanenza pericolosa delle “ombre di Dio”, gli “effetti postumi” della più antica religiosità (nella teleologia negativa come nella postulazione di un inizio assoluto), una esigenza della debolezza (FW 109, 127). In modo significativo Nietzsche ricerca la liberazione da ogni prevaricazione antropologica ricorrendo, già nei frammenti critici di Hartmann a Democrito e Darwin: «Da questo «processo del mondo» hartmanniano si rifugge volentieri verso il caos degli atomi di Democrito e la dottrina darwiniana della sopravvivenza del più idoneo alla vita fra le innumerevoli combinazioni. Almeno qui c'è ancora posto per i grandi individui, se pure è stato un caso a scagliarli fuori».

17 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente, in KGW, III, III, p.105; Opere, III, III/1, p. 99.

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Non il servire il feticcio della scienza (proprio del dotto-strumento) ma l’asservire la scienza attraverso una superiore assimilazione dei contenuti è la via per la liberazione (una sorta di nuovo eroismo della conoscenza). È necessario valutare a fondo l’importanza che Nietzsche dà al motivo dell’assimilazione del vero di contro all’accumulazione ed incorporazione di errori e di illusioni pietrificati in “costume” e al servizio della violenza comunitaria. Questi temi solo nelle opere successive troveranno più maturi sviluppi con la lotta aperta alla comunità ed ai suoi residui nella moderna civiltà. Si teorizza allora un progresso realistico: una luce che tenga conto dell’ombra «che tutte le cose mostrano quando il sole della conoscenza cade su di esse». Abbandonata ogni prevaricazione antropocentrica sulla realtà naturale (la metafisica dell’artista e la sua teleologia) c’è ora la volontà modesta di fare della commedia umana solo un episodio trascurabile sullo sfondo di vicissitudini cosmiche: la goccia di vita che è nel mondo è senza importanza per il carattere totale del mostruoso oceano di divenire e trapassare... Forse la formica nel bosco immagina altrettanto fortemente di essere meta e scopo della esistenza nel bosco, come facciamo noi quando alla fine dell’umanità, nella nostra fantasia, ricolleghiamo quasi involontariamente la fine della terra: anzi siamo ancora modesti quando ci fermiamo a ciò e non organizziamo, per i funerali dell’ultimo uomo, un crepuscolo universale del mondo e degli dèi. Anche l’astronomo più spregiudicato quasi non può immaginare la terra senza vita altro che come lo splendente e fluttuante tumulo dell’umanità (WS, af. 14)

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3. “Spirito libero” e nichilismo: su un componimento poetico di Nietzsche* [pubblicato in In: Critca della ragione e forme dell'esperienza. Studi in onore di Massimo Barale. (ETS 2011)] Nella lettera del 22 luglio 1888 al vecchio amico Deussen, dopo aver affermato di allontanarsi sempre più dal proprio tempo «per principio e non senza successo» e avere manifestato le sue preoccupazioni per la «recrudescenza delle antiche sofferenze» con la sensazione «di essere in qualche modo incurabile», nel commiato affettuoso Nietzsche definisce se stesso con espressioni goethiane: «Serbami il tuo affetto e credi nell’amore di un vecchio “essere disumano” [Unmensch] e “senza dimora” [Unbehaust], per dirla con Goethe». Il riferimento è ai versi dell’ Urfaust: «Non sono io il reietto, il senza dimora,/ l’essere disumano senza meta né pace, /che come una cascata balza di roccia in roccia, /furiosamente attratta dall’abisso?» (vv. 3348-3351). Nietzsche, fin dai suoi anni giovanili, si è confrontato costantemente e in più modi con Goethe: ricordiamo come abbia ripreso il tema del ribelle prometeico dell’inno goethiano del 1773 nel breve dramma in un atto dedicato al titano (1859); come abbia visto poi in Goethe l’erede più degno, con Leopardi, dei poeti-filologi dell’Umanesimo italiano, e alla fine, per la capacità di dominare il caos e di affermare la totalità («l’uomo più vasto possibile, ma non perciò caotico»), ne abbia fatto l’espressione piena dello spirito dionisiaco, capace di superare la parzialità di ogni prospettiva vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena e mobile. All’eroismo della lotta, che caratterizza il frammento di uomo nella direzione del superuomo, Nietzsche contrappone la nuova ultima libertà che Goethe ha saputo realizzare: «un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto — egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso» (GD Scorribande, 49) Nella lettera a Deussen, Nietzsche assume come proprio lo Streben faustiano già presente in Schopenhauer come educatore. Nella Considerazione inattuale, però, l’immagine esemplare dell’“uomo di Goethe” depotenziava la figura di Faust, inizialmente «ribelle e liberatore del mondo», a «uno che viaggia per il mondo», all’«uomo contemplativo in grande stile», «forza conservatrice e tollerante» che può degenerare nel filisteo. «Tutti i campi della vita e della natura, tutte le epoche passate, le arti, le mitologie, tutte le scienze vedono volare davanti a sé l’insaziabile contemplatore» (SE 4). Come ha messo bene in luce Sandro Barbera, qui indubbiamente Nietzsche prefigura (avvicinandosi al «Goethe idillico ed epico, piuttosto che tragico») «la caratteristica di “viaggiatore” e “viandante” propria più tardi dello “spirito libero” e del suo stile di vita»18. Questo è * Per gli scritti di Nietzsche il riferimento si intende sempre all'edizione: Friedrich Nietzsche, Werke, Kritische Gesamtausgabe, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1967 sgg. [KGW]. La traduzione italiana utilizzata è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari delle Opere di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1964 sgg. Salvo diversa indicazione, la numerazione dei frammenti e dei voll. delle Opere corrisponde a quella dell’edizione tedesca. Per le lettere di Nietzsche e dei suoi corrispondenti il riferimento si intende sempre all'edizione: Friedrich Nietzsche, Briefwechsel, Kritische Gesamtausgabe, de Gruyter, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1975-2004 [KGB]. La traduzione italiana utilizzata (quando disponibile), è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari dell’Epistolario di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1976 e sgg. I riferimenti sono dati utilizzando, per gli scritti di Nietzsche, le sigle dell’edizione critica seguite dal numero dell’aforisma o del frammento [NF] e identificando le lettere dalla data e dal nome dei corrispondenti. 18 Cfr. Sandro Barbera, Friedrich Nietzsche dal mito alla tradizione (“Belfagor”, LVIII, 2003) ora in Guarigioni, rinascite, metamorfosi. Studi su Goethe, Schopenhauer e Nietzsche, a cura di Stefano Busellato, Le Lettere, Firenze 2010, pp. 141-42.

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confermato anche dal confronto con Wagner presente nella quarta Inattuale: la violenta incorporazione, da parte del drammaturgo ditirambico, dei saperi più vari si realizza con l’azione, la creazione artistica unica a cui tutto è sottomesso. Di contro, Goethe «appare, come discente e sapiente, simile a una ramificatissima rete fluviale, che però non porta tutta la sua forza al mare, e ne perde e sparge invece nelle sue vie e nelle sue incurvature almeno tanta, quanta ne porta con sé alla foce. È vero, una natura come quella di Goethe ha e fa più piacere, intorno a lui aleggia qualcosa di nobilmente prodigo, mentre la violenza del corso e della corrente di Wagner può forse spaventare e respingere» (WB 3). L’atteggiamento contemplativo, puramente conoscitivo, proprio dell’“uomo di Goethe”, caratterizza il processo dello “spirito libero” solo in un primo tempo, quando il disincanto del procedere del viandante, che raccoglie e fa esperienza, si lega a un “nomadismo intellettuale” ancora lontano dalla consapevolezza nichilistica che emerge successivamente come compagna del cammino nel gelo e nel deserto. Nell’aforisma 211 di Opinioni e sentenze diverse l’atteggiamento del viandante, proprio degli “spiriti di libero domicilio”, legato ad un impulso alla libertà contro “gli intelletti legati e radicati”, viene definito un “nomadismo intellettuale” (das geistige Nomadenthum). L’espressione, come conferma un appunto di Nietzsche, è di Emerson ed è tratta dal saggio sulla Storia: «Il nomadismo intellettuale è il dono dell’oggettività, oppure il dono di trovare dappertutto uno spettacolo dilettevole. Ogni uomo, ogni cosa è una mia scoperta, è mia proprietà: l’amore che lo anima per tutto gli appiana la fronte»19. Il riferimento ai versi del Faust nella lettera a Deussen (l’Unbehaust, «il senza dimora», l’Unmensch, «l’essere disumano senza meta né pace») rimanda, piuttosto che al contemplativo viandante goethiano di Schopenhauer come educatore, alla figura caratterizzata nel singolare componimento del 1884 che porta il titolo Der Freigeist e che, più di altri testi, unisce il tema dello spirito libero a quello del nichilismo, del gelo. Vorrei accompagnare la lettura di questo testo a qualche rapsodica considerazione. Lo spirito libero Commiato «Gracchiano le cornacchie e si volgono con volo fremente sulla città: tosto nevicherà – buon per colui che ancor oggi – ha patria. Ora te ne stai irrigidito, già da un bel pezzo, ahimé!, guardi all'indietro, perché dinanzi all’inverno, tu pazzo, sei scappato – nel mondo? Il mondo – una grande porta su mille deserti, muta e fredda! Chi ha perduto 19 Cfr. NF 17[13] 1882 e R.W. Emerson, Versuche, Hannover 1858, p. 16 [BN]. Nietzsche riprende la citazione quasi alla lettera: pone però alla prima persona il verbo. Su questi temi si veda G. Campioni, "Wohin man reisen muss". Über Nietzsches Aphorismus 223 aus Vermischte Meinungen und Sprüche, in "Nietzsche-Studien", Bd. 16, 1987, Berlin, pp. 209-226.

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quel che tu hai perduto, mai fa sosta. Ora te ne stai pallido, con la maledizione di peregrinare in inverno, simile al fumo, che sempre cerca cieli più freddi. Vola uccello, fa’ stridere la tua canzone con l'accento di un uccello del deserto! – nascondi, o pazzo, il tuo cuore sanguinante nel ghiaccio e nello scherno! Gracchiano le cornacchie e si volgono con volo fremente sulla città: tosto nevicherà, guai a colui che non ha patria!». Risposta Misericordia! Lui crede che io bramassi di ritornare nel caldo tedesco, nella felicità intanfita delle stanze tedesche! Amico mio, ciò che qui m’impedisce e trattiene è il tuo intelletto, la compassione di te! la compassione dello storto intelletto tedesco! [trad. italiana di Giorgio Colli] Der Freigeist. Abschied „Die Krähen schrei’n Und ziehen schwirren Flugs zur Stadt: Bald wird es schnei’n — Wohl dem‚ der jetzt noch — Heimat hat! Nun stehst du starr‚ Schaust rückwärts ach! wie lange schon! Was bist du Narr Vor Winters in die Welt — entflohn? Die Welt — ein Thor Zu tausend Wüsten stumm und kalt! Wer Das verlor‚ Was du verlorst‚ macht nirgends Halt. Nun stehst du bleich‚ Zur Winter-Wanderschaft verflucht‚ Dem Rauche gleich‚ Der stets nach kältern Himmeln sucht.

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Flieg’‚ Vogel‚ schnarr’ Dein Lied im Wüsten-Vogel-Ton! — Versteck’‚ du Narr‚ Dein blutend Herz in Eis und Hohn! Die Krähen schrei’n Und ziehen schwirren Flugs zur Stadt: Bald wird es schnei’n‚ Weh dem‚ der keine Heimat hat!“ Antwort. Daß Gott erbarm’! Der meint‚ ich sehnte mich zurück In’s deutsche Warm‚ In’s dumpfe deutsche Stuben-Glück! Mein Freund‚ was hier Mich hemmt und hält ist dein Verstand‚ Mitleid mit dir! Mitleid mit deutschem Quer-Verstand! 20 In primo luogo, emerge la forte differenza con la caratterizzazione del viandante presente nell’aforisma finale di Umano troppo umano, in cui l’Aufklärung che deriva dalla “libertà della ragione” scioglie dai vincoli: il Wanderer «non potrà legare il suo cuore troppo saldamente ad alcuna cosa particolare: deve esserci in lui stesso qualcosa di errante, che trovi la sua gioia nel mutamento e nella transitorietà». Se vi saranno cattive nottate e stanchezza, pure prevarrà lo spirito della “filosofia del mattino”, la serenità legata all’«equilibrio dell’anima mattinale», la felicità della conoscenza. Il viandante non è il viaggiatore diretto ad una meta finale, che non esiste, ma colui che sa gioire del “divino imprevisto”, della provvisorietà e fugacità, delle molteplici esperienze offerte dal cammino (MA 638). Nel componimento poetico del 1884, la via è invece solo quella del gelo e della solitudine, il viandante non crede più nei «doni di tutti gli spiriti liberi che abitano sul monte, nel bosco e nella solitudine», dispera che vi siano altri “spiriti liberi”. La poesia si presenta in forma di dialogo: un commiato da una parte, la risposta del viandante dall’altra. Nella prima parte: la durezza del cammino intrapreso («Il mondo – una grande porta /su mille deserti, muta e fredda!», l’essere senza patria, la solitudine, il deserto…). Lo sguardo di compassione – che è un commiato definitivo – proviene dallo spirito radicato nella comunità, nella Heimat: «buon per colui che ancor oggi – ha patria»; «guai a colui che non ha patria!». Ma la risposta dello spirito libero alle parole di congedo è il deciso rifiuto motivato dalla compassione verso chi se ne rimane «nel caldo tedesco,/ nella felicità intanfita delle stanze tedesche!». Keine Stubenkultur – si legge in un frammento giovanile (32[73], 1874): lo Stuben-Glück, lo Ofen-Gluck (come si legge in una variante) appartengono del tutto allo 20 NF 28[64] autunno 1884, pp. 329-330. La traduzione italiana, col testo tedesco a fronte, in Ditirambi di Dioniso e Poesie postume (1882-1888) in F. Nietzsche, Opere VI/4, pp. 140-143. Il componimento poetico si trova in un quaderno di materiali e abbozzi poetici elaborati per la pubblicazione in una progettata raccolta di cui restano più piani e titoli. Molti di questi materiali saranno utilizzati da Nietzsche per le successive opere. I titoli provvisori del componimento poetico nel manoscritto: «Ai solitari», «Dal deserto invernale», «Nel tardo autunno tedesco», «Compassione a destra e a manca». Le varianti del testo in KGW VII/4/2, pp. 244-248.

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Stubengelehrte verso cui Nietzsche ha manifestato, fin dalle Considerazioni inattuali, la sua decisa ostilità. Nessuna durezza o solitudine gelata può fare tornare indietro lo spirito libero nella comodità sicura, nel calore mefitico delle “stanze tedesche”. Uno dei primi titoli per questo componimento sottolineava proprio questo aspetto: Mitleid hin und her [Compassione a destra e a manca]. Certamente, in primo piano, appare il “vivere risolutamente”21, il “vivere pericolosamente” contro ogni comodità e sicurezza propria dell’istinto gregario. Le cornacchie gracidano nel gelo: il gelo, simbolo mitico-psicologico di un rifiuto di investimento affettivo sul mondo, caratterizza nei Lieder romantici il cammino del viandante nella sua solitudine e nell’abbandono. Basti pensare al ciclo Winterreise di Müller /Schubert – che Nietzsche ha certamente presente in questo caso – dove torna più volte il tema delle cornacchie: Ho inciampato su ogni pietra,/ tanto m’affrettavo a scappare dalla città;/le cornacchie mi tiravano neve e grandine/ sul cappello da ogni casa [Hab' mich an jeden Stein gestoßen,/ So eilt' ich zu der Stadt hinaus;/ Die Krähen warfen Bäll' und Schloßen/ Auf meinen Hut von jedem Haus] (VIII, Rückblick- Sguardo indietro). Nel quindicesimo Lied (La cornacchia) si trova il tema, ricorrente nel ciclo, della morte come rifugio: la cornacchia segue il viandante svolazzando sopra il suo capo, attendendo di nutrirsi della sua spoglia: «Certo, non durerà ancora a lungo il cammino/ mio e del mio bastone./ Cornacchia, lasciami infine vedere/ fedeltà fino alla tomba!» [Nun, es wird nicht weit mehr geh'n / An dem Wanderstabe. /Krähe, laß mich endlich seh'n, / Treue bis zum Grabe!] Ma certo, nel ciclo di Müller/Schubert non manca, in più punti, una sorta di deciso eroismo, la volontà del Resolut zu leben fino alle affermazioni del penultimo Lied [Mut] che trovano echi in Zarathustra: Mi vola la neve sul viso,/ la scuoto via./ Se il cuore mi parla nel petto,/ canto chiaro e allegro.// Non ascolto ciò che mi dice,/ non ho orecchie;/ non voglio sentire i suoi lamenti,/ lamentarsi è da stolti.// Lieto nel mondo, sempre avanti,/ contro vento e tempesta!/ Se non c'è nessun dio in terra,/ siamo noi stessi dèi! [Fliegt der Schnee mir ins Gesicht,/ Schüttl' ich ihn herunter./ Wenn mein Herz im Busen spricht,/ Sing' ich hell und munter.// Höre nicht, was es mir sagt,/ Habe keine Ohren;/ Fühle nicht, was es mir klagt,/ Klagen ist für Toren.// Lustig in die Welt hinein/Gegen Wind und Wetter!/ Will kein Gott auf Erden sein,/ Sind wir selber Götter! Il binomio gelo-nichilismo ritorna – con le cornacchie – nella Genealogia della morale: «qui è neve, la vita qui è ammutolita; le ultime cornacchie che fanno udire qui il loro verso, dicono: “a che scopo?” “Invano!” “Nada!” – qui non cresce e non fruttifica più niente, al massimo metapolitica pietroburghese o “compassione” tolstoiana» (GM III, 26). Nietzsche riecheggia da vicino la caratterizzazione che Bourget fa del nichilismo di Flaubert: «come lo scheletro del dipinto di Goya solleva la pietra della sua tomba, e con il suo dito bianco scrive “Nada...– non c’è niente...”22: i morti delle civiltà antiche si drizzano davanti agli occhi 21 Nietzsche riprende più volte questa espressione dai versi di Goethe, che aveva sentito recitare da Giuseppe Mazzini sul Gottardo nel febbraio del 1871. Cfr. la lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, del 13 novembre 1871: «Alla fine [Gersdorff] ha ritrovato il verso di Mazzini “e vivere risoluto nell’interezza, pienezza e bellezza”: era nei canti conviviali di Goethe» (Goethe, Generalbeiche). 22 Francisco José de Goya, Ello dirá Titulo: Nada (1810-14), Museo del Grabado de Goya.

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evocatori del poeta e gli giurano che uno stesso nulla era al fondo della felicità di allora, che uno stesso sgomento e una stessa angoscia erano alla fine di ogni sforzo e che, barbaro o civilizzato, l’uomo non ha mai saputo né ridurre il mondo a misura del suo cuore, né adattare il cuore a misura dei suoi desideri!»23. Il tema del gelo torna con frequenza nei testi di Nietzsche legato al senso nichilistico: «Tutto è liscio e pericoloso sul nostro cammino, e intanto il ghiaccio che ancora ci sostiene è diventato così sottile: noi tutti sentiamo il caldo, sinistro respiro del vento australe — dove noi ancora camminiamo, ben presto non potrà più camminare alcuno» (NF 25[9]1884). E fino all’ultimo Nietzsche parla della «verschneite Seele», dell’«anima coperta di neve», «cui fa coraggio il vento del disgelo» (NF 20[3] autunno 1888]); e in un abbozzo di lettera da Torino (29 novembre 1888) si legge: «vengo da mille abissi, su cui non ha mai osato affacciarsi nessuno sguardo, conosco altezze dove nessun uccello ha mai volato, ho vissuto sul ghiaccio – sono stato bruciato da mille nevi: mi sembra che caldo e freddo nella mia bocca siano un’altra cosa». Nel frammento 16[32] della primavera-estate 1888, Nietzsche giustifica come necessaria la lunga esperienza del «pellegrinare per ghiacci e deserti», in quanto «ogni conquista della conoscenza consegue dal coraggio, dalla durezza verso se stessi». La “filosofia sperimentale” ha in sé «le possibilità del nichilismo sistematico», anche se tale aspro cammino vuole giungere all’affermazione dionisiaca. La realizzata Umwertung, con la pubblicazione de L’anticristo, comporta l’essere giunti come Iperborei «al di là del Nord, dei ghiacci, della morte», aver trovato «la nostra vita, la nostra felicità» «l’uscita da interi millenni di labirinto»24. La metafora del ghiaccio ricorre nell’Ottocento ad indicare l’incrinatura che si apre anche nei momenti di massima efficacia ed espansione delle filosofie del progresso. Per la cultura francese a cui Nietzsche fa riferimento si può menzionare una traccia continua che va dalla futura «âge glacée» di Le Peuple di Michelet, alla notte eterna popolata dalla «procession funèbre» dei pianeti spenti, «cadavres sideraux» di L’éternité par les astres di Blanqui, al ghiaccio come manifestazione fisica della morte delle civiltà in Renan, fino a quel curioso opuscolo di Gabriel Tarde (Fragments d’histoire future, 1896) dove il progressivo raffreddarsi della crosta terrestre per una “anemia solare”, costringe i pochi sopravvissuti guidati da un salvatore – un Milziade che non ha disperato dell’Umanità – a ricercare nelle viscere del pianeta il calore necessario alla sopravvivenza. Gelo e nichilismo: Nietzsche è dolorosamente colpito dall’accusa da parte wagneriana (il musicologo Schuré) di «nihilisme ecœurante» per le sue nuove posizioni filosofiche dopo la pubblicazione di Umano, troppo umano. Nichilismo e malattia sono i termini usati da Wagner e dalla sua cerchia per esorcizzare il senso della scelta operata dal filosofo di pulizia razionale, nella direzione dello spirito libero. Emancipatosi dalla soffocante tirannia del wagnerismo, Nietzsche per la prima volta fa suo il termine “nichilismo”, quasi in risposta alle dolorose critiche: «In che misura ogni orizzonte intellettuale più limpido appare come nichilismo» (NF 12[57] autunno 1881). Il nichilismo si lega alla ricerca di orizzonti intellettuali aperti, allo sperimentare del viandante, alla durezza del suo cammino solitario25. Nella prefazione del 1886 ad Umano, troppo umano, la durezza iniziale si lega all’«evento decisivo di una grande separazione», che interviene improvviso, come uno scoppio di energia per lo spirito saldamente legato (e tanto più è legato quanto più è di «specie alta ed eletta») dai nobili doveri. Il

23 Paul Bourget, Décadence. Saggi di psicologia contemporanea, ediz. italiana a cura di Francesca Manno, p. 87. 24 AC, 1. L’immagine degli Iperborei, con riferimento a Pindaro (Pitiche, X, 29-30), si trova già nel frammento 5[46] del 1886, e nei frammenti 15[118] e 20[71] (in versi) del 1888. 25 Significativa, a tal proposito, la riflessione presente nel frammento 9[123] dell’autunno 1887: «Per la genesi del nichilista. Solo tardi si ha il coraggio di ciò che propriamente si sa. Che io sia stato finora un nichilista radicale, me lo son detto solo da poco: l'energia, la nonchalance con cui da nichilista andavo avanti, mi ingannava su questo fatto fondamentale. Quando si va incontro a uno scopo, sembra impossibile che “la mancanza di scopo in sé” sia il nostro principale articolo di fede».

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sentirsi a casa nel calore della comunità rafforzata dal costume e dalla buona coscienza: tutto quello che la “giovane anima” aveva per sé, viene lasciato con sofferenza. “Piuttosto morire che vivere qui”, così parla la voce imperiosa della seduzione: e questo “qui”, questo “a casa” è tutto ciò che fino ad allora la giovane anima aveva amato! Un subitaneo orrore e sospetto verso ciò che amava, un lampo di disprezzo verso ciò che per essa significava “dovere”, una smania ribelle, capricciosa, vulcanicamente impetuosa, di peregrinare, espatriare, estraniarsi, raffreddarsi, disincantarsi, gelarsi, un odio per l’amore, forse uno sguardo e un gesto sacrileghi all'indietro, là dove aveva finora pregato e amato, forse un rossore di vergogna per ciò che ha appena fatto, e nello stesso tempo un'esultanza per averlo fatto, un ebbro, profondo, esultante brivido, in cui si rivela una vittoria – una vittoria? su che? su chi? una vittoria enigmatica, piena di interrogativi, problematica, ma comunque la prima vittoria: – simili cose tristi e dolorose appartengono alla storia della grande separazione (MA, Prefazione 3). «Peregrinare, espatriare, estraniarsi, raffreddarsi, disincantarsi, gelarsi». La “libertà dello spirito” non si presenta come facile e gaia leggerezza e caduta improvvisa di pesi: presuppone per lungo tempo un “morboso isolamento” di chi si distacca dalle certezze incorporate, diventate istinti, diventate morale: l’«essere sempre in cammino, inquieto e senza meta come in un deserto», con pensieri ed esperimenti inquietanti, pericolosi, che «lo seducono e lo conducono sempre più lontano, sempre più lontano. La solitudine lo circonda e lo stringe, sempre più minacciosa, soffocante, attanagliante quella terribile dea, e mater saeva cupidinum - ma chi sa oggi che cosa sia la solitudine?» (MA, Prefazione 3). Nietzsche cita qui Orazio (Carmina liber I 19): significativamente, e in modo ambiguo, la solitudine si identifica per il filosofo con «Venere, terribile, cruda madre degli amori». La figura del Wanderer, l’“ombra di Zarathustra”, il “buon Europeo” della quarta parte dello Zarathustra fa parte degli “uomini superiori”, che non si rassegnano, disperano, esprimono sofferenza e disagio e si oppongono al processo di Verkleinerung: «in verità, io vi amo, uomini superiori, perché oggi non sapete vivere! Così, infatti, voi, vivete – nel modo migliore!» (Za IV, Dell’uomo superiore 3). Sono figure della decadenza che sperimentano con pericolo nuove forme di vita, gli estremi prodotti di un'epoca di transizione, ancora incapaci di signoreggiare e ordinare i molti istinti contraddittori di cui sono costituiti come figli della modernità. La figura dell' ombra, «viandante sempre in cammino ma senza una meta», la cui irrequietezza infrange ogni cosa venerata («nulla è vero, tutto è permesso»)26 e rovescia «le pietre di confine», per stanchezza, al termine di un faticoso percorso sperimentale, può cercare alla sera il primo punto di riposo rimanendo prigioniero di «una fede ristretta, di una severa e dura illusione» (Za IV, L’ombra). Sono anche figure delle stazioni di Nietzsche: nel percorso dello spirito libero tracciato mirabilmente nella Prefazione a Umano, troppo umano, prima di arrivare alla pienezza di energia della grande salute, rimane «il pericolo che lo spirito si perda e per così dire si innamori delle sue stesse vie e resti fisso, inebriato, in un punto qualsiasi» (MA Prefazione 4). Oppure sogna la Heimat, il suo calore, la impossibile regressione. Nietzsche comprende come la debolezza del romanticismo non sia capace di fare a meno del dio cristiano, comunque trasfigurato e trasmutato, e vede presenti e forti “les nostalgies de la croix” (GM II, 7). Necessarie la terapia antiromantica e il gelo: le chiare affermazioni di Ecce homo esprimono la coerenza di un atteggiamento teorizzato a partire da Umano, troppo umano dove, accanto al «genio» e al «santo», congela «l'eroe». È la guerra, ma una guerra senza polvere da sparo e senza fumo, senza pose guerresche, senza pathos né membra contorte; tutto questo sarebbe ancora “idealismo”. Un errore dopo l’altro viene tranquillamente messo sul ghiaccio, l’ideale non viene confutato, congela (EH, MA 1).

26 Za IV, L’ombra. Il motto dell'ordine degli Assassini («quell’ordine di spiriti liberi par excellence», GM III, 24) compare accanto agli appunti per la figura dell'uomo superiore (primavera 1884). Cfr. almeno: NF 25 [304],[322] 1884.

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La solitudine di Zarathustra, la sua distanza dalla grande città, è una scelta per il «gelo della conoscenza» contro il calore del piccolo uomo e delle sue menzogne, un volontario esercizio di autodisciplina che segna il «cammino del creatore». A partire da Umano troppo umano la solitudine diviene per Nietzsche necessaria per l’esercizio della critica, contro l’attività macchinale della professione e del ruolo sociale e la bugiarderia dell’idealismo che questi producono come narcotico. La «fortezza» di Nietzsche è presupposto di un «contromovimento» rispetto al moderno e il suo atteggiamento si definisce e si precisa nel confrontarsi a fondo con le antitetiche espressioni della città, della décadence. E se il percorso di Nietzsche può precisare il suo senso solo nello sfondo storico, la dissezione dei fenomeni del moderno serve a illuminarne il significato. Il tema del “gelo” è mirabilmente recuperato, in senso diverso, da Musil e da Mann. In Musil il gelo intellettualistico, che smonta analiticamente le macchine che sostengono l’immediatezza dell’effetto, appartiene al «tipo cerebrale dell’avvenire», alla crudeltà dell’esperimento (caratterizzato col termine nietzscheano di «vivisezione»), alla morale matematica. Ed anche Mann, nel Doctor Faustus – il romanzo di Nietzsche, il “suo Parsifal” come “romanzo della fine” ed estrema “radicale confessione” – nel suo sofferto fare i conti col romanticismo wagneriano, sottolinea il gelo che circonda Leverkuhn; il suo duro ascetismo è pur lontano dalla barbara, cattiva socialità che lo circonda e che marcia, corre verso la catastrofe. La salvezza per Mann sta nell’ascetico operare quotidiano, nella metodica costruzione in cui l’artista/artigiano perde la vita, si inaridisce (il gelo dell’artista sta nella costruzione dell’arte come sostituto della vita fino al pericolo della “gelida misantropia”)— ostile comunque, fin dall’inizio alla “teatralità”, alla messa in scena, all’estetismo facile legato al culto dell’immediatezza, «l’estetismo della scelleratezza e del Rinascimento, quel culto isterico della forza, della bellezza e della vita di cui si compiacque per un certo tempo una certa poesia»27. Oppure basti ricordare il sarcasmo, nel Lesedrama Fiorenza, con cui Mann investe l’«egregia masnada di artisti, quella beata compagnia di parassiti e attaccabrighe, di spacconi e di buffoni, geniali, sensuali e arcibalordi, la cui morale irresponsabilità allegramente incespica fra le sale e le aiuole di Careggi»28. E, a proposito di Nietzsche, la storia del suo «evolversi spirituale» è quella di chi – anche attraverso la malattia – «è proiettato, per così dire, in alto, fuor di una sfera di splendida normalità, nelle sfere gelide e grottesche di una conoscenza che uccide, di una moralità che isola...»29. Gelo e nichilismo: il componimento del 1884 ha attirato più volte l’attenzione di Gottfried Benn, colpito in particolare dai versi «Chi ha perduto/ quel che tu hai perduto, mai fa sosta». Benn sfiora il tema in un saggio del 1930, vedendovi il distacco dai “presupposti sociali”, in quanto Nietzsche, come il suo Eraclito, era “fra gli uomini, come uomo, impossibile” nella volontà di “chiamare dal profondo, da una profondità antica e primitiva” un’esperienza primordiale e originaria, «un’oscura forma e incrollabile. Le cornacchie sono il suo grande animale: “Gracchiano e si volgono con volo fremente sulla città: tosto nevicherà, guai a colui che non ha patria!”»30. Nella lettera a Oelze del 16 settembre 1935, Benn torna sul componimento chiedendosi: «che cosa intendeva veramente N. con i versi: “Chi ha perduto quel che io ho perduto/, più non posa in alcun luogo”. Che cosa aveva perduto? Che mai può essere ciò di cui risentì a tal segno la perdita? Me lo sono spesso chiesto. Ho soltanto una risposta: forse, il riconoscere che ogni comunità è impossibile. E magari, in aggiunta: il riconoscere specialmente che i popoli non hanno alcun bisogno dei loro

27 Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico, a cura di Mariano Marianelli e Marlis Ingenmey, Adelphi, Milano 1997, p. 46. L’ammirazione della forza e della “bella brutalità” della vita, del Rinascimento italiano come epoca “fumigante di sangue e bellezza”, caratterizza, per Mann, i circoli culturali pre-nazisti e viene messa in caricatura nel Doctor Faustus. 28 Ivi, pp. 110-11. 29 Thomas Mann, Dostoevskij – con misura, in Nobiltà dello spirito e altri saggi, a cura di Andrea Landolfi, Mondadori, Milano 1997, p. 868. 30 Gottfried Benn, Problematica della poesia, in Lo smalto sul nulla, a cura di Luciano Zagari, Milano, Adelphi 1992, p. 44.

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grandi uomini. E dunque neppure di lui. Assai più hanno bisogno dei loro uomini mediocri. I grandi sono soltanto ridicoli. Appendice della vita?»31. Benn sembra qui proiettare in Nietzsche, suo modello mitico, le sue scelte legate alle delusioni politiche: significativamente assolutizza la prima parte del componimento e mette in prima persona («quel che io ho perduto») le affermazioni che appartengono al commiato dello spirito vincolato («quel che tu hai perduto»). Nel saggio Pessimismo, scritto nel 1943, ripropone questa interpretazione: «la supposizione della perdita di ogni fede nella collettività» legata, secondo l’interpretazione “germanica” di Benn, alla biologia, alla razza, alla “bestia bionda”. Tale perdita di fede è talmente traumatica da essere forse la causa, per Benn, del “crollo” della «caduta nel decennale nirvana della degenza in un letto»32. Ma è soprattutto nel saggio del 1950, Nietzsche cinquant’anni dopo, che Benn giungerà all’affermazione radicale del pieno nichilismo presente nei versi del filosofo che ha inaugurato “il quarto uomo” «senza contenuto morale e filosofico che vive per i principi della forma e dell’espressione. È un errore ritenere che l'uomo abbia ancora un contenuto o debba averne uno. […] Non esiste anzi più affatto l'uomo, esistono ancora solo i suoi sintomi. Il verso di Nietzsche: “Chi ha perduto ciò che tu hai perduto non si arresta in nessun luogo” non può essere interpretato se non in questo senso, egli ha perduto il contenuto – solo così possiamo giungere a una spiegazione adeguata per questo verso enigmatico»33. Benn assolutizza dunque la prima parte del componimento, il commiato, non facendo mai riferimento alla risposta dello spirito libero. La sofferenza e la durezza del cammino non significano affatto il voler ritornare al calore intanfito della Germania, della vecchia, rassicurante Europa con la sua morale consolidata. Il viandante-ombra di Zarathustra è anzi definito anche il “buon Europeo” contro il cattivo Europeo della vecchia Europa; il buon francese della “Francia del gusto” (contro il riconoscimento e rispecchiamento nazionale e popolare in un vate come Victor Hugo) ha dalla sua l’essere ibrido e mediatore, raffinato psicologo e prossimo alla decadenza, mediatore tra il nord e il sud (JGB 254); il buon tedesco è colui che supera (über), che va al di là del germanesimo, si “sgermanizza”. Goethe è buon tedesco e buon Europeo: non solo supera l’elemento nazionale ma sperimenta e alla fine acquista uno sguardo sovraeuropeo, orientale, sovraorientale del tutto nuovo. L’uomo di Goethe come espressione compiuta del dionisiaco è tutto questo. Ma ancor più, se il dialogo del componimento poetico del 1884 mette in scena lo spirito libero contro lo spirito vincolato, chiuso nello Stuben, tipicamente tedesco, questo è il senso del duro confronto con Rohde, una distanza del tutto consumata e venuta alla luce a proposito del significato del tutto provenzale della Gaia scienza, espressione di un civiltà superiore, capace di coniugare la raffinatezza arabo-moresca con la cultura neoromanza34. Cercando le origini culturali dell’Europa, Nietzsche ha incontrato una civiltà complessa, ibrida, sovranazionale, cortese e felice, affermatrice, brutalmente soffocata in germe: una possibilità superiore distrutta dalla violenza. Occorre di nuovo allontanarsi dalla vecchia Europa uniforme (al di là delle piccole politiche nazionali che pretendono di essere “grande politica”) e dalla sua morale pretesa egemone, si deve divenire viandanti e spiriti liberi:

31 Gottfried Benn, Lettere a Oelze. 1932-1945; ediz. ital. a cura di Amelia Valtolina, Milano, Adelphi 2006, p. 49. 32 Gottfried Benn, Pessimismo in Lo smalto sul nulla, cit., p. 243. 33 Gottfried Benn, Nietzsche cinquant’anni dopo in Lo smalto sul nulla, cit., pp. 264-65. Benn conferma questo senso nichilistico dei versi in un saggio del 1952: si veda su questo il bel volume di Marco Meli, Olimpo dell’apparenza. La ricezione del pensiero di Nietzsche nell’opera di Gottfried Benn, Ets, Pisa 2006, pp. 262-63. 34 Sul significato del confronto di Nietzsche con Erwin Rohde e sul tema della gaya scienza provenzale si veda: G. Campioni, "Gaya scienza" und "gai saber" in Nietzsches Philosophie in: Letture della "Gaia scienza" – Lectures du "Gai savoir" (a cura di G. Campioni. Ch. Piazzesi, P. Wotling), Pisa, ETS 2010, pp. 15-37.

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Perché la nostra moralità europea possa essere osservata da lontano, per commisurarla ad altre moralità anteriori o di là da venire, si deve fare come il viandante che vuol sapere quanto sono alte le torri di una città: egli abbandona la città per questo. […] Si tratta, per lo spirito libero, di praticare “una libertà da tutta l'“Europa”, la vecchia Europa, intesa questa come una somma di imperanti giudizi di valore, trapassati in noi fino a divenire carne e sangue” (FW 380). Della Gaia scienza Rohde non ha capito neppure il titolo né, tantomeno, la proposta di nuova civiltà e nuovi valori che vi è contenuta: nella sua lettera si compiace per lo stato di migliorata salute dell’amico solitario e sofferente mentre afferma: «questa gaia scienza non vuole ancora apparirmi una scienza, ma ora diventa davvero più libera e più gaia». Da una parte, la compassione del dotto tedesco – vecchio amico allontanatosi e ormai chiuso nell’intanfito calore della sua stanza di studio – verso il nomade sofferente senza patria, che ricerca e sperimenta nel gelo e nel deserto e, di contro, la “compassione” dello spirito libero per il dotto tedesco, per il suo “storto intelletto tedesco”, per la sua miseria. Scrive Nietzsche in un appunto per la prefazione alla nuova edizione della Gaia scienza: «A prescindere da alcuni dotti, la cui vanità venne urtata dalla parola “scienza” (mi fecero intendere che si trattava forse di qualcosa di “gaio”, ma certo non di “scienza”), tutti presero questo libro come un ritorno a “tutti”, e in grazia sua si mostrarono concilianti e affettuosi nei miei confronti» (NF 2[156] autunno 1885-autunno 1886). Quello che Nietzsche non intende e non vuole è un ritornare indietro, “a tutti”, e ritrovarsi nel calore malato delle stanze tedesche. E il tema della sofferenza e della solitudine, del loro significato, la forza di liberazione del “grande dolore” che porta a porre domande «più profonde, più rigorose, più dure, più cattive, più silenziose», ad una crisi di fiducia nella vita che significa anche un diverso modo di amare ed anche “una nuova felicità”, percorre l’intera Prefazione della Gaia scienza. «Grande liberatore», per il filosofo, è il pensiero che «la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza», afferma. E nelle lettere, nei frammenti e negli aforismi di questo periodo torna più volte l’esclamazione «che importa di me!», a sanzionare un destino legato a un compito imperioso, dettato dall’inesorabile «tiranno che è in noi». Giuliano Campioni

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4. VERSO IL SUD Nello Zarathustra si legge : «mi sono spuntate le ali per volare via verso remoti tempi futuri. In termpi futuri ancor più lontani, in meridioni ancora più meridionali,[ in Sud più a Sud – In südlichere Süden] di quanto non abbia mai potuto sognare un artista: là dove gli dei si vergognano delle vesti» Il Sud – cifra simbolica complessa. Visione del futuro, legata alla possibilità dell’altro uomo,

dell’altra superiore forma di vita, legata al simbolo del superuomo.

La perfezione animale, legata alla solarità e al mito del Sud, è solo la inziale premessa. Nietzsche

insiste più volte sulla ‘divinizzazione del corpo’ segnata dal nome di Dioniso, l’estensione della

felicità che è la cifra distintiva del Sud: “Riscoprire in sé il Sud e tendere sopra di sé un chiaro,

splendido, misterioso cielo del Sud; riconquistare la salute meridionale e la riposta potenza

dell’anima”. Non è casuale che nello stesso frammento, il filosofo leghi l’equilibrio fisiologico e la

felicità animale alla possibilità di diventare gradualmente “più vasti, più sovranazionali, più

europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci” (41[6] e [7] agosto settembre 1885). Il

greco come l’uomo del Rinascimento è una cifra ideale di una umanità più chiara e affermatrice, di

un’anima più vasta.

agosto settembre 1885 41 [6] Alle gioie umane più alte e insigni, in cui l'esistenza celebra la propria trasfigurazione, pervengono, come è giusto, solo gli esseri più rari e meglio riusciti; e anche questi solo dopo aver vissuto, essi stessi e i loro predecessori, una lunga vita preparatoria indirizzata a tal fine, e senza neanche la coscienza di codesto fine. In tal caso una strabocchevole ricchezza delle forze più disparate e insieme la più agile potenza di un «volere libero» e di un disporre sovrano abitano in un uomo amorevolmente l'una accanto all'altra; lo spirito è allora altrettanto a suo agio e familiare con i sensi, quanto i sensi io sono con lo spirito; e qualunque cosa accada in quest'ultimo, non può non suscitare anche in quelli una ricreazione e una felicità sottili e straordinarie. E lo stesso inversamente! Si rifletta su questa inversione a proposito di Hafis; anche Goethe, per quanto già con un’immagine indebolita, dà un presentimento di questo fatto. È probabile che in tali uomini perfetti e felici le funzioni più sensibili finiscano con l'essere trasfigurate da un'ebbrezza allegorizzante della più alta spiritualità. Essi avvertono in sé una specie di divinizzazione del corpo e sono remotissimi dalla filosofia da asceti della frase: «Dio è uno spirito», dalla quale risulta chiaramente che l'asceta è «l'uomo mairiuscito», che approva di sé - e chiama «Dio» - solo una parte, e precisamente la parte giudicante e condannante. Da quell'altezza di gioia in cui l'uomo sente se stesso, e se stesso in tutto e per tutto come una forma divinizzata e un'autogiustificazione della natura, giù giù fino alla gioia dei contadini sani e dei sani animali quasi umani: tutta questa lunga, prodigiosa scala di luci e di colori della felicità, il Greco la chiamò, non senza il brivido riconoscente di colui che è iniziato a un mistero, non senza molta cautela e religiosa riservatezza, con il nome di un dio: Dioniso. – Cosa sanno mai tutti i moderni, figli di madri fragili, molteplici, malate e stravaganti, dell'estensione della felicità greca, cosa potrebbero saperne! Da dove attingerebbero mai gli schiavi delle «idee moderne» il diritto di celebrare feste dionisiache? 41 [7] Quando «fiorivano» il corpo greco e l'anima greca, e senza gli stati di morbosa esaltazione e follia, sorse quel misterioso simbolo della più alta affermazione del mondo e trasfigurazione

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dell'esistenza che si siano mai raggiunte sulla terra. E dato qui un metro, commisurato al quale tutto ciò che da allora è cresciuto risulta troppo corto, troppo povero, troppo stretto; basta pronunciare la parola «Dioniso» di fronte alle migliori cose e ai migliori nomi moderni, di fronte a Goethe, diciamo, o Beethoven, o Shakespeare, o Raffaello: e di colpo sentiamo giudicati le nostre cose e i nostri momenti migliori. Dioniso è un giudice! Mi si è compreso? Non c'è dubbio che i Greci abbiano cercato di interpretare per sé, in base alle loro esperienze dionisiache, i misteri ultimi «del destino dell'anima» e tutto ciò che sapevano sull'educazione e il raffinamento, e soprattutto sull'immutabile gerarchia e disuguaglianza di valore tra uomo e uomo: ecco la grande profondità, il grande silenzio riguardo a tutto ciò che è greco - non si conosceranno i Greci finché quel nascosto accesso sotterraneo rimarrà sepolto. Gli indiscreti occhi eruditi non vedranno mai nulla in queste cose, per quanta dottrina s'impieghi al servizio di quegli scavi; perfino il nobile zelo di appassionati del- l'antichità come Goethe e Winckelmann ha proprio qui qualcosa di illecito, di quasi immodesto. Aspettare e prepararsi; aspettare lo zampillare di nuove sorgenti, prepararsi nella solitudine a voci e volti estranei; lavare la propria anima e renderla sempre più pura dalla polvere e dal chiasso da fiera di quest'epoca; superare ogni cosa cristiana con qualcosa di sovracristiano, e non solo liberarsene - perché la dottrina cristiana fu la controdottrina che negava quella dionisiaca; riscoprire in sé il Sud e tendere sopra di sé un chiaro, splendido, misterioso cielo del Sud; riconquistare la salute meridionale e la riposta potenza dell'anima; diventare gradualmente più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovreuropei, più orientali, infine più greci - giacché la grecità fu la prima grande unificazione e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l'inizio dell'anima europea, la scoperta del nostro «mondo nuovo»: - per chi vive sotto tali imperativi, chissàcosa potrà mai capitargli un giorno? Forse appunto un nuovo giorno!

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5. CRITICA DELL’IDEALISMO WAGNERIANO: il caso Malwida La radicalità e il sarcasmo impietoso della critica de Il caso Wagner colpisce – come Nietzsche avverte – coloro che, di aperta fede wagneriana, avevano conservato un rapporto amichevole o una costretta vicinanza con lui: Ho causato un terribile spavento anche tra i conoscenti e le persone a me più vicine. Come ad esempio il mio vecchio amico Barone von Seydlitz a Monaco, che sfortunatamente in questo momento è presidente della Società wagneriana di quella città; il mio ancor più vecchio amico consigliere di giustizia Krug a Colonia, presidente della locale Società wagneriana; mio cognato Dr. Bernard Förster in Sudamerica, non sconosciuto antisemita, uno dei più zelanti collaboratori dei «Bayreuther Blätter»; la mia venerabile amica Malwida von Meysenbug, autrice di Memorie di una idealista, che continua a scambiare Wagner per Michelangelo…( Lettera a Georg Brandes del 20 ottobre 1888 (Epist. V, p. 771) Malwida von Meysenbug (1816-1903), una delle più costanti interlocutrici di Nietzsche, conosciuto nel maggio 1872 in occasione della prima posa del testro wagneriano. Baronessa, figlia di C.L. Rivalier, funzionario governativo dell’Assia elettorale, di origine ugonotta. A partire dal 1843 Malwida si staccò dalla famiglia, proponendosi di contribuire alla lotta per l’emancipazione della donna e battendosi per il diritto delle donne all’educazione. Fu attiva nei movimenti democratici del 1848 in Germania. Nel 1850 entrò nell’accademia femminile di Karl Fröbel ad Amburgo, dove si impegnò nel lavoro sociale e nell’assistenza ai poveri. Quando quell’istituzione venne chiusa in seguito a un’ondata di repressione, per sfuggire alla polizia emigrò a Londra, dove si guadagnò da vivere con lezioni e traduzioni. Qui conobbe anche il pubblicista rivoluzionario russo Aleksandr Herzen (di cui tradusse le Memorie in tedesco), e si prese cura dei suoi tre figli rimasti orfani di madre, Aleksandr, Natalie e Olga. Intima dei Wagner, fu testimone di nozze al loro matrimonio e seguì sempre fedelmente la causa wagneriana. Dal 1877 risiedette stabilmente a Roma. Autrice di una vasta pubblicistica e di numerose traduzioni, è nota soprattutto per la sua autobiografia: Memorie di una idealista (1869 e 1876). Con la Nascita della tragedia e con le Inattuali Nietzsche era apparso a Malwida il portavoce più nobile e geniale di quell’eroismo idealistico che doveva trovare il suo esito migliore nel compito di “educatore” all’ombra della metafisica dell’arte e del genio wagneriano. Comune, inoltre, l’apprensione per le incerte sorti del teatro nazionale di Bayreuth, fortemente circonfuso, da parte di entrambi, di idealità: Estati future di Bayreuth. Riunione di tutti gli uomini realmente vivi: gli artisti presentano la loro arte, gli scrittori leggono le loro opere, i riformatori espongono le loro idee nuove. Dovrà trattarsi di un bagno generale delle anime: laggiù si risveglierà il nuovo genio, si schiuderà un regno dei veri valori (Frammento 12[4], estate-fine settembre 1875). Così scrive Nietzsche in un appunto per la Considerazione inattuale dedicata a Wagner. Già negli appunti del 1874 Nietzsche è approdato alla consapevolezza su Wagner, sui pericoli della “teatrocrazia” tirannica e delle visioni mitiche, sul proprio oscuramento romantico: e il Festival inaugurale del 1876, che il filosofo abbandona a metà, diventa per lui il momento simbolico di un distacco irreversibile. Al contrario, la fedele Malwida ne esce edificata ed estasiata: in Der Lebensabend einer Idealistin ella ricorda come, alla fine delle rappresentazioni di Bayreuth, nel banchetto di commiato, dopo il discorso di Wagner (che terminava con l’affermazione: “Avremo un’arte tedesca”) prendesse la parola Liszt: “Egli dichiara che, nello stesso modo in cui si inchinava

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davanti a Dante e a Michelangelo, ora si inchinava davanti al genio la cui opera si era a noi manifestata”35. Questa enfasi, che Malwida farà propria nel contrasto finale con Nietzsche, corrispondeva alle affermazioni di Wagner sul proprio ruolo “rigeneratore”. Wagner, che dalla sua avversione nei confronti delle figure del Rinascimento neolatino salvava solo Michelangelo – soprattutto dopo la lettura de La Renaissance di Gobineau fatta nel novembre del 1880– era commosso dalla figura di Michelangelo, che trovava simile a sé per l’“eccessiva violenza nel suo temperamento, unita a una grande energia”. Come l’artista rinascimentale, egli sente di lottare con la forza ideale dell’arte contro una società corrotta: “Sono il plenipotenziario della decadenza” – afferma, e anche le figure di Michelangelo portano “il doloroso peso della décadence”36. Wagner condivide la stessa sorte di Michelangelo, la grande figura che sovrasta l’epoca, a cui si oppone con tutta la sua energia senza poterne arrestare la decadenza. Le Memorie testimoniano come l’idealismo morale trascinasse, in un primo periodo, Malwida per l’Europa in un forte impegno pratico e sociale, nella diretta partecipazione alla lotta nei movimenti democratici del 1848 in Germania e in una decisa azione per l’emancipazione femminile, nella vicinanza e amicizia di personaggi quali Giuseppe Mazzini e di rivoluzionari quali Aleksandr Herzen: con le dure conseguenze dell’esilio e della rottura con la famiglia di provenienza. Con questo spirito Malwida si era rivolta al Wagner “rivoluzionario” nel loro primo incontro, dopo che aveva indirizzato al musicista “lettere entusiastiche” su L’opera d’arte dell’avvenire. Ma già al secondo incontro Malwida si mostrava conquistata al nuovo corso wagneriano, dando un nuovo sostrato – aristocratico, pessimistico e misticheggiante – al suo “idealismo”. “Avevo trovato l’artista i cui sforzi realizzavano per me un nuovo ideale e mi confermavano nella convinzione che il regno dell’ideale esiste solo nell’arte”, si legge nelle ultime pagine delle Memorie di una Malwida fiduciosa ormai solo in una Germania ideale a cui “un genio tedesco” indicava la via. Aveva termine la parte “pubblica” della sua vita: la storia personale sembrava ora annullarsi, perdere la propria individualità e il proprio senso, nel momento in cui il genio aveva porto “la chiave del mistero della vita”37. L’idealismo diventava essenzialmente, più che spinta al mutamento, trasfigurazione superiore della vita. Perciò, ancora nei suoi tardi appunti, Malwida potrà scrivere: “Il più grande dolore, è l’assenza dell’ideale”38. Il Nietzsche della lotta contro l’attualità si trovò edificato, nella primavera del 1876, dalla lettura delle Memorie di una idealista, aderendo a quell’idealismo eroico originario dai risvolti concreti che impronta tutti e tre i volumi. Nelle sue lettere da Ginevra, egli si pronuncia decisamente contro lo scetticismo e la debolezza. L’“idealista” Malwida, col suo libro da poco uscito, secondo le dichiarazioni dello stesso Nietzsche, ha una parte decisiva nel recupero temporaneo e particolare del filosofo agli ideali di Bayreuth, che comunque devono essere profondamente riformati. Il libro viene letto e consigliato agli amici: agisce profondamente da stimolo verso l’autodeterminazione e la conseguente “guarigione” (“ero malato e dubitavo delle mie forze e delle mie mete”)39. Il tema centrale del rimanere fedeli a se stessi si rafforza: è l’inizio del tirocinio dello “spirito libero”, nella consapevolezza della durezza di un proprio cammino da conquistare. A Giuseppe Mazzini, figura centrale delle Memorie di Malwida, Nietzsche deve l’espressione “vivere risolutamente” contro ogni comodità e sicurezza propria dell’istinto gregario, dello “spirito vincolato”, di colui che sta nel calore di patria e casa. Nietzsche riprende più volte questo motto dai versi di Goethe, che aveva sentito recitare da Mazzini sul Gottardo nel febbraio del 1871: “Alla fine [Gersdorff] ha ritrovato il verso di Mazzini ‘e vivere risoluto nell’interezza, pienezza e bellezza’: era nei canti conviviali di Goethe”40. 35 Meysenbug, Lebensabend einer Idealistin 1898, p. 44. 36 Wagner 1976-1977, vol. III, pp. 623-624 (21 novembre 1880) e 682 (4 febbraio 1881). 37 Meysenbug 1876, vol. III, pp. 301-302. 38 Meysenbug 1898, p. 359. 39 Lettera a Malwida von Meysenbug del 14 aprile 1876 (E III, p. 136). Cfr. anche E III, pp. 137 e 139. 40 Cfr. la lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche del 13 novembre 1871 (E II, p. 228). La citazione è da Goethe, Generalbeichte.

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ROTTURA DEFINITIVA Amica venerata, mi perdoni se prendo la parola un’altra volta: potrebbe essere l’ultima. Ho reciso via via quasi tutti i miei rapporti con gli uomini, disgustato dal fatto che mi si prende sempre per qualcosa di diverso da quello che sono. Ora tocca a Lei. Le invio da anni i miei scritti, col risultato che Lei candidamente mi dichiara: “Aborro ogni parola”. E ne avrebbe anche qualche diritto. Lei è infatti una “idealista” – e io tratto l’idealismo come una falsità diventata istinto, come un non voler vedere la realtà a qualsiasi costo: ogni frase dei miei scritti contiene il disprezzo dell’idealismo. Finora non c’è stata sciagura peggiore per l’umanità di questa disonestà intellettuale; si è svilita ogni realtà concreta per inventarsi di sana pianta un “mondo ideale”… Non comprende niente del mio compito? Di che cosa voglia dire “Trasvalutazione di tutti i valori”? Del perché Zarathustra consideri i virtuosi il genere più nefasto tra gli uomini? Del perché egli debba essere il distruttore della morale? – Si è dimenticata che egli dice “spezzate, spezzate ve ne prego, i buoni e i giusti”? – – Dal mio concetto di “superuomo” Lei si è ricavata – cosa che non Le perdonerò mai – “una sovrumana impostura”, qualcosa che stava in compagnia di sibille e profeti: mentre qualsiasi lettore serio dei miei scritti deve sapere che un tipo d’uomo che non provoca il mio disgusto è proprio il tipo opposto agli idoli ideali di prima, e somiglia cento volte di più a un Cesare Borgia che a un Cristo. E quando Lei addirittura osa pronunciare in mia presenza il venerando nome di Michelangelo insieme a quello di una creatura profondamente disonesta e falsa come Wagner, io risparmio a Lei e a me la parola per definire il sentimento che provo. – In tutta la Sua vita Lei si è ingannata quasi su tutti: non poche disgrazie, anche nella mia esistenza, sono da ricondursi al fatto che Le si elargisce fiducia, mentre il Suo giudizio non ne è assolutamente degno. E da ultimo arriva a confondere Wagner con Nietzsche! – E mentre scrivo questo provo vergogna per aver posto il mio nome accanto al suo. – Dunque Lei non ha capito nulla della nausea che provavo, insieme a tutte le nature probe, allorché 10 anni fa voltai le spalle a Wagner, quando con la comparsa dei «Bayreuther Blätter» l’impostura divenne palese? Le è sconosciuta la profonda amarezza con cui, insieme a tutti i musicisti onesti, vedo dilagare sempre più questa peste della musica wagneriana e questa corruzione dei musicisti che essa comporta? Non si è proprio accorta che da dieci anni sono una sorta di consigliere per la coscienza dei musicisti tedeschi e che, dovunque fosse possibile, ho cercato di fare nuovamente attecchire la rettitudine artistica, il gusto aristocratico, il più profondo odio per la disgustosa sessualità della musica wagneriana? Che l’ultimo musicista classico, il mio amico Köselitz, proviene dalla mia filosofia e dalla mia educazione? – Lei non ha mai capito una sola delle mie parole, uno solo dei miei passi: non c’è niente da fare; su questo occorre fare chiarezza tra noi – anche in questo senso il Caso Wagner è per me un caso fortunato – –41. Qui Nietzsche mette definitivamente ad acta l’idealismo morale di Malwida, che in buona fede è incapace di vedere, di distinguere, di conoscere. Da tempo il filosofo ritiene che le migliori intenzioni che caratterizzano Malwida siano legate a una presunzione priva di conoscenza adeguata: “La buona Malwida, grazie alla suddetta presunzione, per tutta la vita non ha combinato altro che

41 E V, pp. 772-774.

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guai”42. E qui Nietzsche allude anche al ruolo di “consigliera” e pacificatrice nella vicenda di Lou Salomé, che certo ha lasciato nel filosofo profonde ferite. Ormai, perduta l’aura di chi ha duramente lottato nella vita, Malwida ha acquisito – all’ombra di Schopenhauer e Wagner – quella dell’“anima bella” a cui “non è dato di vedere la realtà. Viziata per tutta la vita, alla fine se ne sta assisa sul suo sofà come una piccola e comica Pizia sentenziando: ‘Lei si sbaglia sul conto di Wagner! Ne so più io! Proprio come Michelangelo’” – scrive con sarcasmo Nietzsche a Meta von Salis43. Malwida è assolutamente incapace di cogliere il senso e la direzione della filosofia di Nietzsche. La critica della “venerata amica” si accompagna all’idea che il filosofo possa e debba tornare alla vera natura da lui caparbiamente tradita: all’idealismo metafisico dell’arte. La brava Malwida, che con la sua rosea superficialità si è sempre mantenuta “a galla” in una vita difficile, mi ha scritto una volta, procurandomi un amaro divertimento, che le sembrava già di veder “spuntare” dalle pagine del mio Zarathustra “il tempio sereno” che costruirò su queste fondamenta. C’è semplicemente da morire dal ridere; e con l’andar del tempo mi accontento che non si riesca a scorgere che tipo di “tempio” io stia costruendo44. L“idealismo” di Malwida può giudicare “geniale” il libro Sur la diversité des races humaine di Gobineau, al cui pessimismo nichilistico certamente ella obietta – in ortodossia wagneriana – l’elemento creatore e rigeneratore del sangue del Cristo45. Un “idealismo” che la porterebbe a seguire “il bravo Förster in Paraguay”, nella sciagurata impresa della colonia Judenfrei “nueva Germania”, se solo la salute e l’età glielo permettessero (lettera a Heinrich von Stein dell’8 giugno 1883); mentre, da parte sua, Nietzsche fin dall’inizio non nutre alcuna illusione sul carattere nefasto dell’impresa, vedendone in anticipo, per gli sconsiderati azzardi, anche i rischi di fallimento economico (l’unico merito, azzarda Nietzsche, potrebbe essere quello di liberare la Germania dai “maledetti sporchi ceffi antisemiti”46). Del resto, è l’idealismo wagneriano che spinge e incoraggia all’impresa Förster che, nel suo intervento sui «Bayreuther Blätter» della fine del 1888, scrive: Quale occasione offriamo noi per i lavoratori tedeschi che in molte parti della nostra vecchia patria si consumano nella miseria, la disperazione e la malattia! Noi diamo loro il pane, mentre la socialdemocrazia liberale dà loro solo pietre. […] Qui noi sogniamo il rinnovamento della nostra razza che sta diventando vecchia e stanca. Io dirigo nel mio duro, finora molto duro lavoro, abbastanza sovente lo sguardo verso Bayreuth, e l’immagine originaria del lavoratore, artista e pensatore tedesco […] si presenta davanti all’occhio del mio spirito. Per una parte essenziale del mio agire egli è il genio ispiratore. Quando l’ascia risuona nella foresta vergine, quando puliamo il sottobosco col sudore della fronte per preparare la fertile terra alla coltivazione, quando scaviamo fossi per far defluire l’acqua che ristagna, – quanto appare lontana questa attività dalla sacra collina di Bayreuth! Ma nel profondo del cuore sentiamo che è proprio questo nostro duro lavoro che fa di noi gli eredi spirituali di Richard Wagner47.

42 Lettera a Elisabeth Nietzsche della metà marzo 1885 (E V, p. 26). Si veda anche la lettera di Nietzsche alla sorella dei primi di marzo 1885, conservata solo nella trascrizione di Elisabeth, in Appendice, n. 1 (E V, p. 896). 43 E V, p. 786. 44 Lettera a Franz Overbeck del 25 marzo 1886 (E V, p. 165). 45 Meysenbug 1898, p. 197-198. 46 A Elisabeth Förster, poco prima del 5 giugno 1887: “È infine mio desiderio che siano i tedeschi a venirVi in qualche modo in aiuto, costringendo gli antisemiti ad abbandonare la Germania: e non ci sono dubbi che loro, in tal caso, ad altri paesi preferirebbero il P<araguay>, la Vostra terra ‘promessa’”. (E V, p. 383). Per l’espressione usata per gli antisemiti si veda E V, p. 526. 47 Cit. in Podach, Bernhard und Eli Förster, in Gestalten um Nietzsche. Mit unveröffentlichten Dokumenten

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Nietzsche non sopporta l’accostamento tra “il venerando nome di Michelangelo” e “quello di una creatura profondamente disonesta e falsa come Wagner”. Abbiamo visto come la matrice di questo giudizio stia nella stessa autostima del musicista-vate. Nelle sue tarde memorie, Malwida risponde alle critiche di Nietzsche a proposito del confronto Wagner-Michelangelo, riprendendo probabilmente le argomentazioni presenti nella lettera non conservata: Wagner fu la conclusione possente di una delle grandi epoche produttive della musica, come Michelangelo nell’arte plastica. Dopo di lui viene Bernini, come ora vengono gli epigoni di Wagner. La loro somiglianza è molto grande; è una sorta di lotta la vita di questi due artisti colossali. La linea pura della bellezza si era esaurita con Raffaello, Mozart, Bach, Beethoven. Questi due grandi uomini vivono qualcosa di ancora superiore e cercarono, con i mezzi di cui disponevano sulla terra, di esprimerlo e di attingerlo. Il giudizio universale, i Profeti, le Sibille della Cappella Sistina, gli dèi del Walhalla e Parsifal dicono la stessa cosa; cercano l’“uomo ideale” (non il superuomo nell’accezione di Nietzsche)48. Questa l’esaltazione idealistica di fronte a Wagner, posto letteralmente sugli altari. Nietzsche, di fronte alle ulteriori, dure rimostranze (non conservate) di Malwida, prende la decisione di finirla con ogni ambiguità e scrive nell’abbozzo di lettera dell’8 dicembre 1888: Da ogni parola del mio scritto su Wagner c’è da imparare qualcosa: e Lei ha il diritto, in quanto [– – –] di Wagner, a pronunciarsi contro di esso. Preferisco di gran lunga una simile lettera alla Sua bontà. Sarebbe indegno di me tenere in piedi più a lungo un rapporto ambiguo – ho anche esaurito la mia pazienza: se qualcuno vuole restare attaccato a me e contemporaneamente a Wagner, è giusto che venga da me respinto. Sino ad ora Lei si è interessata solo di décadents. Lei è una di loro: – mi permetta di non essere interessante per Lei... Lei è tra gli incontri [–] della mia vita, ha superato tutte le esperienze negative che ho fatto con W<agner>. Eppure non c’è nessuno con cui io abbia avuto più pazienza! Sbagliarsi sul conto del primo uomo di tutti i millenni, nel suo momento decisivo – e Le avevo detto che questo momento era giunto. 6. I tre secoli Nietzsche valorizza lo ‘spirito’ di Descartes ribadendo, fino all’ultimo, in Ecce homo, la probità del filosofo francese contro la mancanza di pulizia mentale dei Tedeschi e mantenendo il contrasto tra la sua ragione signorile e il plebeo e caotico Rousseau. Gli appunti dell’autunno del 1887 ribadiscono con forza questo concetto. In quel periodo Nietzsche accumula materiali vari per la definizione dell’‘anima moderna’ in tutti i suoi aspetti volendo avere “uno sguardo complessivo sul nostro secolo, sull’intera modernità, sulla ‘civiltà’ raggiunta” (9[177]). Per questo, in particolare, mette a confronto ‘i tre secoli’ la cui diversa sensibilità Nietzsche caratterizza e riassume emblematicamente con i nomi di Descartes (‘aristocratismo’), Rousseau (‘femminismo’) e

zur Geschichte seines Lebens und seines Werkes, Lichtenstein, Weimar, 1932, pp. 152-153. 48 Meysenbug 1898, p. 392.

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Schopenhauer (animalismo)49. Il XVII secolo, segnato dal nome di Descartes, si caratterizza per il “dominio della ragione, testimonianza della sovranità della volontà”, il XVIII secolo per il “dominio del sentimento, testimonianza della sovranità dei sensi (bugiardo)”. Il XIX secolo infine per il “dominio della brama, testimonianza della sovranità dell’animalità (più onesto, ma tetro)”. È evidente, per Nietzsche, la superiorità del secolo caratterizzato dalla ‘ragione’ di Descartes: “aristocratico, ordinatore, superbo verso ciò che è animale, severo con il cuore, ‘non cordiale’, anzi senza cuore, ‘non tedesco’, avverso al burlesco e al naturale, generalizzante e sovrano verso il passato: perché crede in sé. Molta predacità in fondo, molta abitudine ascetica per rimanere padrone. Il secolo della volontà forte; anche quello della forte passione” (9[178]). Questo brano propone il Seicento come ‘il secolo della volontà’ che si caratterizza come capacità di ordinare il caos e la contraddizione senza tagliare via, semplificando la molteplicità. Una civiltà si caratterizza per la grandezza ed anche la ‘terribilità’ delle passioni che può permettersi senza andare in rovina, per la sua capacità di ‘usarle’ 9[138]: “il dominio sulle passioni, non il loro indebolimento o sradicamento! Quanto maggiore è la forza dominatrice della volontà, tanto maggiore è la libertà che si può concedere alle passioni” (9[139]). La concezione della ‘volontà’ che qui Nietzsche propone si allontana fino all’opposizione da quella di Schopenhauer: “L’equivoco fondamentale di Schopenhauer sulla volontà (come se nella volontà l’essenziale fossero desiderio, istinto, impulso) è tipico: sminuimento del valore della volontà fino all’intristimento.[...] Grande sintomo di stanchezza o di debolezza della volontà: giacché quest’ultima è propriamente ciò che tratta i desideri da padrona, che assegna loro una direzione e una misura...” (9[169]). La posizione di Schopenhauer è certo l’espressione di un secolo ‘più animale’, ‘più realistico’, ‘più naturale’ rispetto alla superficialità del secolo precedente ma “debole di volontà, ma triste e oscuramente smanioso, ma fatalistico. senza soggestione né stima né per la ‘ragione’ né per il ‘cuore’; profondamente convinto del dominio dei desideri” (9[178]). L’anima moderna così dubitosa di sé e della propria ‘volontà, appartiene interamente alla décadence che non ha più fiducia nel futuro: l’épuisement dell’energia vitale sostituisce la ‘velleità’ alla forza plasmatrice, il désir alla ‘volontà’. In tal modo si opera la “riduzione della volontà a movimento riflesso, la negazione della volontà come “causa efficiente”; infine — un vero ribattezzamento: si vede tanta poca volontà, che la parola diventa libera di significare qualcosa d’altro”. E’ appunto il caso di Schopenhauer. Anche in queste riflessioni di Nietzsche sulla ‘volontà’, nell’ultimo periodo del suo filosofare, si sente l’eco delle teorie della nuova psicologia e fisiologia francesi attente a cogliere non solo il carattere dinamico della realtà ma anche la sua complessità. E’ anche attraverso la mediazione di queste letture, dirette e indirette, che il filosofo tedesco è approdato alla struttura plurale dell’io, alla costruzione genealogica del soggetto, alla ricerca di “un nuovo centro”. La realtà psicologica è molteplicità: il suo forte dinamismo non tende ad una spontanea armonia tra le parti che è invece il risultato di un esercizio egemonico di una parte sulle altre. Nietzsche ha così potuto concludere che la fonte della volontà sta nelle azioni biologiche che si compiono nell’intimità più profonda dei nostri tessuti: in tal misura è vero dire ch’essa è noi stessi. La sua critica alla volontà come facoltà è radicale (“Wille” — eine falsche Verdinglichung: una falsa concretizzazione50) giacché la volontà come “activité raisonnable” gli appare, come aveva scritto Ribot, “il coronamento, l’ultimo termine di una evoluzione, il risultato di un gran numero di tendenze disciplinate seguendo un ordine gerarchico”51.. Ed è nel fisiologo Charles Richet (Essai de psychologie générale)collaboratore della rivista di Ribot, i cui libri sono presenti nella sua biblioteca, Nietzsche trova la definizione della volontà come la puissance de direction che non può né deve essere confusa con la coscienza che se

49 Il confronto tra i tre secoli era un tema diffuso - in particolare nella critica letteraria del tempo: cfr. ad es. il già citato Paul Albert: “Toute époque a sa philosphie dominante. Au XIX e siècle, c’est l’éclecticisme qui finit et le positivisme qui gagne; au XVIII e siècle c’était le sensualisme, au XVIIe le cartesianisme” ( La littérature française au dix-neuvième siècle. Tome deuxième, Paris: Hachette et C.ie, 1cit. p. 4-5). 50 FP, VIII, 1, p. 19. 51 TH. RIBOT, Les maladies de la volonté, Paris 192233, p.74.

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ne ha e neppure con la liberté de direction52 : “Cet énorme enchevêtrement d’images, de souvenirs, d’émotions, de désirs, de perceptions, nous est inconnu: le resultat seulement nous apparaît, qui nous commande telle ou telle attention, qui impose tel ou tel acte”53. La volontà - affermano gli psicologi francesi - non è un prodotto naturale, ma è il risultato dell’arte, dell’educazione, dell’esperienza, fruit d’une conquête. Essa esprime — come forza di coordinazione — lo stato di salute e di energia di un corpo. Così la forza ordinatrice della volontà e della ‘raison’ dominante nel secolo XVII esprime la vitalità superiore di quell’epoca. Nietzsche è consapevole che la luminosa ed equilibrata classicità di quel secolo, il progetto della ‘ragione’ signorile, ha dovuto imporsi su istanze più oscure e forti: “Il XVII secolo soffre dell’uomo come di una somma di contraddizioni, ‘ l’amas de contradictions’ che noi siamo; cerca di scoprire, ordinare, portare in luce l’uomo; mentre il XVIII secolo cerca di dimenticare ciò che sa della natura dell’uomo, per adattarlo alla sua utopia” (9[183]). Di qui, ancora una volta, la ricerca del momento iniziale del carattere di una cultura in figure paradigmatiche: il confronto tra Rousseau e Voltaire è sulla stessa linea di quello tra Rousseau e Descartes. Proprio perché legato con lo spirito aristocratico del XVII secolo e rappresentante di un illuminismo ‘classicistico’, Voltaire ha i tratti dello ‘spirito libero’e continua la tradizione che inizia con l’umanesimo di Petrarca ed Erasmo (MA, 26). Come artista egli appare spirito leggero e ordinatore di contro alla barbarie dello scatenamento romantico del sentimento e della passione. In questo è vicino ai Greci, al loro gusto (MA, 221). A tale ‘illuminismo’ caratterizzato con la figura di Voltaire, Nietzsche. oppone, con forza, fin da Umano, troppo umano, la figura di Rousseau che rappresenta la corruzione dello spirito dell’illuminismo in una direzione ‘fanatica’ e morale: il primo è tanto aristocratico e serenamente ‘libero’, campione di tolleranza, quanto il secondo è ‘plebeo’ e viziato da sentimentalismo, intollerante, espressione di debolezza romantica (“Romantik à la Rousseau”). Laddove Voltaire “rappresentava ancora l’umanità nel senso del Rinascimento, come anche la virtù, (come ‘alta cultura’) ... ” (9[184], 1887), Rousseau si mostra come l’antitesi della tradizione umanistico-rinascimentale e del mondo classico e ordinato che Descartes esprime (“la follia considerata grandezza” “il diritto sovrano della passione” “la mostruosa dilatazione dell’io”). Il suo fanatismo morale (die ‘Moral-Tarantel’) lo avvicina piuttosto a Lutero: Robespierre è suo discepolo (M. Introduz. 3) e la follia della Rivoluzione discende da Rousseau, o perlomeno — afferma talvolta Nietzsche — dalla sua immagine mitica, dall’interpreta-zione mitica dei suoi scritti ( WS 216). E’ ormai documentato come questi frammenti dell’autunno 1887, in cui c’è il confronto tra secoli l’un contro l’altro armati e tra le figure che li rappresentano emblematicamente (in particolare Rousseau-Voltaire) risentono fortemente della lettura di due saggi di Ferdinand Brunetière (Descartes et la litterature e Classiques et romantiques)54 che Nietzsche possedeva nella troisième série degli Etudes critiques, del 1887. Da Brunetière — allora agli inizi della sua potente carriera e che Nietzsche mai ha nominato nei suoi scritti né nell’epistolario, — derivano excerpta letterali, riuniti e intramezzati da personali riflessioni55. Proprio l’opposizione classico/romantico, e dunque quella tra i secoli XVII e XVIII, è al centro di questo rappresentante di una critica ‘tradizionalista’ di cui Nietzsche terrà presente anche il primo libro, Le roman naturaliste, per la critica al naturalismo. Per Brunetière il Seicento, che rappresenta il compiuto classicismo, ha come ideale “un développement harmonieux de toutes les facultés. Ni l’imagination ne doit avoir le pas sur la

52 Richet, Charles, Essai de psychologie générale par Charles Richet , Paris: F. Alcan, 1887, p. 169. 53 ivi, p. 171. 54 F. BRUNETIÈRE, Classiques et romantiques, “Revue des Duex Mondes”, 15 gennaio 1883, pp. 412-432; in Etudes critiques sur l’histoire de la littérature française, troisième série, Paris, Hachette, 1887, p. 291 sgg. 55 Da sottolineare, ancora una volta come questi testi, appunti di lettura intrecciati a considerazioni proprie, siano finite — feticisticamente dati — nell’Hauptwerk Volontà di potenza. Per la testimonianza puntuale delle corrispondenze letterali tra Brunetière Cfr. E. KUHN, Cultur, Civilisation, die Zweideutigkeit des “Modernen”, “Nietzsche-Studien”, 18 (1989), pp. 600-626. Meraviglia come anche i primi lettori di Nietzsche, per i quali Brunetière era una vera e propria autorità nel campo della critica, non abbiano avvertito, negli ‘pseudoaforismi della Volontà di potenza, fossero fedeli - a volte letterali - appunti di lettura.

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raison, ni la raison ne doit étouffer l’imagination […]. Toutes nos facultés nous ont été données pour nous en servir. Il faut trouver entre elles un ‘temperament’, une ‘juste médiocrité’”56. L’equilibrio della classicità, per lui come poi per Nietzsche, si conquista — stoicamente — con una vittoria della volontà sugli istinti e i desideri. In questo studio, Brunetière pone l’ armonia come un vero e proprio criterio, ne fa una norma positiva, una definizione sia del classico che, per contrasto, del romantico. Per Brunetière — che pure deriva molto da Taine — nello stile ‘classico’ “l’équilibre en lui de toutes les facultés qui concourent à la perfection de l’oeuvre d’art” esclude la presenza di una faculté maîtresse intorno a cui si organizza la forma: “Il y a des artistes chez qui une faculté prédomine très nettement sur les autres: d’autres possèdent, ou conquièrent, cet équilibre, cette ‘pondération de toutes les facultés’ qui seule peut faire de l’oeuvre une oeuvre parfaite57. Nietzsche, nel frammento 9[166] dell’autunno 1887, riprende e rielabora personalmente la definizione di Brunetière: “Aesthetica. Per essere un classico si deve: avere tutte le doti e i desideri forti, apparentemente contraddittori; ma in fondo che si intreccino sotto un solo giogo”. Il filosofo mantiene — più vicino a Taine — la necessità del primato di un tratto dominante (“sotto un solo giogo” ) che organizza: a volte Nietzsche lo definisce faculté maitresse, altre volte ‘istinto dominante’58. Il permanere di un tratto ordinatore che tenta di imporsi ad una molteplicità in movimento e in lotta, lascia aperta la via ad una realtà più mossa che rompe l’equilibrio classico - così come proposto dal critico francese - sorretto e protetto dalla tradizione morale, un equilibrio che significa ordine e mediocritas: “I monstra morali non debbono essere necessariamente dei romantici, nel dire e nel fare? … Una tale preponderanza di un elemento sugli altri (come nel monstrum morale) si contrappone appunto ostilmente alla potenza classica dell’equilibrio; ammesso che si possedesse questa altezza e si fosse ciò nonostante un classico, sarebbe allora possibile l’ardita conclusione che si starebbe anche sullo stesso livello supremo di immoralità:... (9[166], autunno 1887) . 56 F. BRUNETIÈRE, Le mal du siècle…, p. 460. 57 E. CARAMASCHI, Critiques scientistes et critiques impressionistes: Taine, Brunetière, Gourmont…, p. 50. 58Nietzsche utilizza più volte il termine "dominierender Instinkt" (“istinto dominante”) con cui traduce ed interpreta il concetto di "faculté maîtresse", categoria centrale in Taine fin dalla prefazione all’ Essai sur Tite Live (1856) Essa designa i tratti dominanti caratteristici di una persona o di un gruppo, capaci di dare ordine alla complessità di un campo di forze. Si veda anche il brano di Taine su Napoleone, citato da Nietzsche, (5[91], 1887) in cui compare il termine "faculté maîtresse”. Su questo ed altri analoghi concetti quali "conception maîtresse", posa l’intera produzione critica di Taine con cui Nietzsche si confronta. Sulla "faculté maîtresse" si veda Jean-Thomas Nordmann, Taine et la critique scientifique, Paris, Puf 1992, pp. 155 sgg., e Regina Pozzi: Hippolyte Taine. Scienze umane e politica nell'Ottocento, Venezia, Marsilio 1993, p. 56 sgg.. Anche Bourget utilizza più volte questa categoria (in parte con riferimento esplicito a Taine: cfr. Paul Bourget: Essais de psychologie contemporaine, Paris, Lemerre 1883, S. 196).

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7. FISIOLOGIA DELL’ARTE E DELLA DECADENZA (Da: Sulla strada di Nietzsche, ETS)

1. Il museo della strada.

Nei confronti della folla anonima e inquietante della grande città nasce, nei primi decenni dell’Ottocento, sviluppandosi impetuosamente nell’incontro col positivismo, la «fisiologia» come genere letterario volto a rassicurare più che a conoscere, che permette di suddividere e classificare quell’indistinto mondo nei suoi strati, nei suoi mestieri, nei suo costumi. Il modo di camminare, di vestire, l’ora della giornata, le abitudini iscritte nel corpo, diventano i segni che permettono all’osservatore attento ed esercitato, allo «psicologo» capace di ozio, di sciogliere quel mondo caotico in individui e ceti cercando di trasformarlo nel «magnifico museo della strada». È questo atteggiamento che fa naturalmente dei Goncourt, secondo il giudizio di Bourget, gli storiografi «di quello che gli storici dimenticano comunemente: le abitudini della vita»59.

Balzac per tutti, con un atteggiamento di inquieta fascinazione, da amatore, trae da Parigi, «mostro completo», oscuri diletti per chi ne conosce

perfettamente la fisionomia [tanto] da sapervi scorgere ogni ruga, ogni foruncolo, ogni macchiolina. Parigi è triste o gaia, brutta o bella, viva o morta: è una creatura; ogni uomo, ogni frazione di casa è una cellula di questa grande cortigiana di cui essi conoscono bene la testa, il cuore e le usanze fantastiche. (Ferragus).

Già in Balzac questi individui sono accomunati, pur nella forte diversità dei tipi e dei ceti, di cui si fornisce la «fisiologia», da una tensione febbrile verso «il danaro e i piaceri», dall’«impronta incancellabile di un’avidità ansimante»; «uno degli spettacoli più spaventosi di questo mondo è quello offerto dall’aspetto della popolazione parigina: gente orrenda a vedersi, smunta, gialla, tirata».

Parigi è come un enorme campo, sempre agitato da un turbine di interessi; sotto l’impeto della tempesta si agita una mèsse di uomini, falciati dalla morte con frequenza maggiore che altrove e che rinascono sempre più fitti: volti scavati e contorti, che sprizzano da ogni poro lo spirito, i desideri e i veleni che ingrossano i loro cervelli; più maschere che volti: maschere di debolezza, di forza, di miseria, di gioia o d’ipocrisia; tutte sfinite, tutte con l’impronta incancellabile di un’avidità ansimante (La fille aux yeux d'or).

Questa immagine diventa presto un luogo comune nella letteratura e, in genere, nelle analisi della crescente «degenerazione» della grande città. Nel suo magistrale saggio su Balzac, Taine fa dello stesso scrittore una espressione di quella lotta quotidiana nell’«arena»: «egli fu parigino di costumi, di spirito, di inclinazione». La «febbre cerebrale» ed i sensi allucinati, l'essere in balia di ambizioni e preda del milieu, caratterizzano anche lo scrittore che più di ogni altro ha saputo descrivere, di questa «serra surriscaldata» che si chiama Parigi, le passioni, le monomanie, l’eccesso come costume ordinario. «Balzac diceva di morire di cinquantamila tazze di caffé; avrebbe dovuto aggiungere che di queste cinquantamila tazze era vissuto»60. E il suo stile ripete il «caos gigantesco»61: Balzac è lontano dal dominio di sé e della forma proprio dello spirito classico. Balzac «fisiologista», abituato 59 P. BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine, Paris 1886, p. 158 (la sottolineatura è di Nietzsche); BN. 60 H. TAINE, Notes sur Paris. Vie et opinions de M. Frédéric-Thomas Graindorge, Paris 1867, p. 141. 61 H. TAINE, Nouveaux essais de critique et d’histoire, Paris 1865, p. 111.

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alle sale di dissezione, sa comunque dipingere come nessun altro le nuove «bestie da preda, piccole o grandi62. «Considerava l’uomo come una forza; ha preso per ideale la forza»63.

Lo stesso Taine si farà emulo di Balzac con le sue Notes sur Paris. Vie et opinions de M. Frédéric-Thomas Graindorge in cui l’ozio dello psicologo («Per me vado tra la gente come se andassi a teatro, anzi più volentieri che a teatro»)64, può esercitarsi nell’analisi pessimista delle forme di vita della grande città e delle diverse maschere della società moderna.

La lotta per l’esistenza comporta l’analogia con la foresta e con le bestie da preda. La battaglia ha prodotto i suoi vinti, i suoi scarti e comunque segna il corpo e il volto di tutti; i balli pubblici65 sono l’occasione per osservare la degenerazione della «razza» lavoratrice:

La cosa più notevole è che tutti, tranne uno o due, sono piccoli e macilenti. Molti sembrano bambini: ci sono donne alte quattro piedi. Gente rachitica, cresciuta a stento, nana, debole, deforme. Di padre in figlio hanno bevuto vinaccio, mangiato carne di cane, respirato l'aria infetta del Bobino, lavorato troppo allo scopo di divertirsi troppo. Corpi storti, rattratti, sguardi febbrili. La vita parigina dei bassifondi ha distillato l'uomo, l'ha concentrato, bruciato, rovinato. Col vino ha fatto un liquore66.

L’operaio di Parigi si caratterizza in Taine che riprende un diffuso stereotipo, per la sua esibita vanità e «viziosa sensualità»: «può diventare un eroe a Sebastopoli o un diavolo sulle barricate».

La battaglia per la vita ha perso la libertà degli spazi in cui la forza si manifestava apertamente. Ogni giorno le formiche lasciano le loro tane per ricominciare una lotta più aspra:

Il più triste pensiero è che la battaglia si scatenerà a corpo a corpo, secondo leggi fisse, su un terreno misurato, diviso e chiuso; ogni uomo, già di per sè piegato dal peso della tradizione e del tirocinio, è nel suo scompartimento, meccanico e artificiale come la sua mostruosa prigione di mattoni [...]. L'individuo si piega sotto il peso della massa e si trova imprigionato in un ordine stabilito 67.

I sentimenti di «angoscia, ripugnanza, spavento» che Benjamin ha individuato nello sguardo «veggente» gettato sulla metropoli e sulla folla metropolitana da Balzac ed ancor più da Baudelaire, sono l’esperienza di orrore ed incantesimo suscitati insieme dalla grande città che torna continuamente nei versi del poeta:

Brulicante città, città piena di sogni... Nelle pieghe tortuose delle vecchie capitali dove tutto ti incanta, anche l’orrore... Richard Wagner ha valorizzato in Balzac il «genio» capace di svelare, con fedeltà «realista», il

rovescio della compiuta teatralizzazione e convenzione della vita di Parigi che nascondeva sotto veli attraenti il desolante orrore della violenta civilizzazione. Più volte, nei Diari di Cosima, torna l'appassionato interesse per Balzac.

Wagner, con la stessa allucinata «veggenza» intravede il deserto della vita cittadina da cui, nei suoi momenti di sincerità, non vede speranza di uscita («nessuno di noi toccherà la Terra promessa;

62 Ivi, p. 119. 63 Ivi, p. 135. 64 TAINE, Notes sur Paris, cit., p. 21. 65 Si veda anche la descrizione, fatta dai Goncourt in Idées et sensations (Paris 1866), del «ballo pubblico» la cui tristezza viene definita da Bourget «epilettica e lussuriosa» (BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine., cit., p. 188). 66 TAINE, Notes sur Paris, cit., pp.44-45. 67 Ivi, p. 287.

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morremo tutti nel deserto»). La Lettera a Stein del 1883 si apre con la descrizione di un’esperienza visionaria nell’ultimo giorno dell’Esposizione universale di Parigi del 1867. La fantasmagoria delle merci che segna il trionfo della civiltà moderna è interrotta dalla vista di file interminabili di scolari parigini in visita all’Esposizione. Nell’esercito di giovani che stava a rappresentare tutto un futuro, Wagner, avvicinandosi alla sensibilità di Balzac, vede il destino di vuoto delle metropoli:

Tutto m’aveva riempito di orrore ed angoscia: vedevo in anticipo tutti i vizi della popolazione della grande città, debolezza e morbosità, ottusità e desiderio malvagio, stupidità e repressione della vitalità naturale, terrore e paura, accanto a sfrontatezza e perfidia68.

Qui Wagner ripete Balzac: maschere, non volti che affermano il destino di degradazione legato alla grande città.

Alcune osservazioni sull'anima di Parigi possono spiegare le cause del suo aspetto cadaverico che ha solo due età: l'infanzia e la vecchiaia: infanzia scialba e scolorita, vecchiaia imbellettata che vuol apparire giovane (La fille aux yeux d'or).

L'atteggiamento di Wagner non è soltanto l’esasperata prosecuzione di quel «cruento odio per l’intera nostra civilizzazione, disprezzo per tutto ciò che ne deriva e nostalgia per la natura» che ha costituito a lungo il centro della sua ideologia anticapitalistica.

L’analisi più matura di Nietzsche su Wagner considera il germanesimo e l’idealismo di Bayreuth come un pesante involucro di deformazioni e falsificazione.

Il falso germanesimo in Richard Wagner, questa mescolanza estremamente «moderna» di brutalità e di rammollimento dei sensi, mi ripugna quanto la falsa romanità di David o il falso Medioevo inglese di Walter Scott69.

In questi anni Nietzsche matura la comprensione del caso Wagner legando il musicista al «naturalismo», al tardo romanticismo francese, alla tirannia dell'effetto e dei colori.

Di qui la vicinanza con gli aspetti «plebei» che caratterizzano il movimento naturalista.

L'abbondanza di istinti plebei nel giudizio estetico attuale dei romanzieri francesi. E infine: vi sono molte cose nascoste che essi non vogliono enunciare, proprio come in Richard Wagner; 1) il loro metodo è più facile, più comodo, la maniera scientifica della massa di materiale e il colportage: bisogna menare gran rumore con i princìpi, per nascondere questi fatti; ma gli scolari li rivelano, i talenti inferiori; 2) la mancanza di disciplina e di bella armonia dentro di sé fa sì che per loro sia interessante ciò che è simile a loro, sono curiosi con l'aiuto dei loro istinti inferiori, non hanno la nausea e l'egida; 3) la loro pretesa di impersonalità è un sentire che la loro persona è meschina, per esempio Flaubert, sazio di se stesso come «bourgeois»; 4) vogliono guadagnare molto e far scandalo, come mezzo per il grande successo momentaneo70.

Impotenza, debolezza, disprezzo di sé, volontà di fuga, dominio del milieu (l'ego plasmato), romanticismo di nature deluse, caratterizzano la natura di Wagner come quella dei nuovi romanzieri parigini.

La pittura invece della logica, l'osservazione isolata, il piano, il prevalere del proscenio, dei mille particolari: tutto è improntato ai bisogni di uomini nevrotici, in Richard Wagner come nei Goncourt. Richard Wagner appartiene al movimento francese: eroi e mostri, passione estrema e insistenza sui particolari, brivido momentaneo71.

68 R. WAGNER, Brief an H. v. Stein, in Dichtungen und Schriften, cit., vol. X, p. 165. 69 FP, VII, 2, p. 222. 70 Ivi, pp. 53-54. 71 Ivi, p. 54.

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Nei framme nti dell'inverno-primavera 1883-84, a partire dalla lettura degli Essais di Bourget, con un rapporto intenso con la letteratura e la critica francese contemporanea, Nietzsche definisce le categorie della sua interpretazione fisiologica di Wagner e dell’arte della decadenza che trovano la sua sistemazione nel Caso Wagner.

Domina una sorta di «legge dei ritardatari»: «la Germania segue la Francia»: anche la maschera del germanesimo e dell'idealismo («questo Wagner “veramente tedesco” non esiste affatto») trova la spiegazione, in profondo, nella genuina natura di Wagner in quanto artista della decadenza e della grande città.

«E infine, per quanto riguarda Richard Wagner si tocca con mano, se non forse con i pugni, che Parigi è il terreno appropriato per Wagner»72: si legge in Nietzsche contra Wagner; e ne Il caso Wagner l’analogia e la stretta vicinanza tra le eroine wagneriane e madame Bovary continua assegnando a Wagner la natura compiuta di artista metropolitano:

sembra che Wagner non si sia interessato di alcun altro problema salvo quelli che interessano oggi i piccoli décadents parigini. Sempre a quattro passi dall’ospedale! Niente altro che problemi modernissimi, problemi assolutamente da grande città 73.

Qui Nietzsche riprende le espressioni che il saggio di Louis Desprez, L’évolution naturaliste aveva dedicato a Flaubert: Madame Bovary visto come lo studio di un «caso patologico molto frequente nelle nostre società avanzate». Desprez riprendeva il giudizio di Sainte-Beuve: «Anatomisti, fisiologisti, vi ritrovo dovunque!» Il libro di Flaubert aveva la dura impassibilità di un trattato di medicina, la fisiologia e la psicologia si costeggiavano continuamente, si usava il bisturi, l’atmosfera era quella dell’ospedale: «l’umanità sanguinante di Madame Bovary vi prenderà allo stomaco, vi ossessionerà come una visione d’ospedale» — scriveva Desprez74. Tale immagine torna a caratterizzare anche il lavoro dei Goncourt: «L’ospedale è il rendez-vous di tutti i dolori, come l’opera dei Goncourt è il museo della sofferenza umana»75. Anche Brunetière parla a proposito di Madame Bovary e di Germinie Lacerteux di «uno studio disinteressato di un caso patologico», del tentativo di rivaleggiare nel romanzo con la «clinique médicale»76. Bourget, lo psicologo a cui Nietzsche si sentì sopra tutti vicino, riprende l’immagine: «La Madame Bovary di Gustave Flaubert ha come un odore d’ospedale»77.

Queste letture danno a Nietzsche strumenti per una rilettura del «caso» Wagner. La sua posizione è ostile alla pretesa obiettività di Flaubert e dei naturalisti come «equivoco moderno» .

Nei moderni, vi è il disprezzo di se stessi [...]. Quel che raggiungono è scientificità o fotografia, cioè descrizione senza prospettive, una specie di pittura cinese, tutta primo piano e sovraffollata. In verità, nella moderna furia storica e naturalistica, vi è molto disgusto — si rifugge da se stessi e anche dal creare un ideale, dal far meglio, cercando in che 72 NW, VI, 3, p. 401. 73 WA, VI, 3, p. 30. Si confronti almeno il framm. 15 [99]: «Wagner non ha fatto altro che mettere in musica delle storie cliniche, dei casi interessanti, dei tipi modernissimi di degenerazione, che proprio per questo ci riescono comprensibili. Non vi è altra cosa che i medici e i fisiologi moderni abbiano studiato meglio del tipo isterico-ipnotico dell’eroina wagneriana: Wagner, in questo campo, è conoscitore, anzi è fedele alla natura fino a destare la nausea: la sua musica soprattutto è un’analisi psicologico-patologica di stati morbosi, e come tale dovrebbe conservare il proprio valore [...] con la musica di Wagner ci troviamo all’ospedale» (FP, VIII, 3, p. 252; cfr. anche framm. 14 [63] e 15 [15], ivi, pp. 39 e 204). 74 L. DESPREZ, L’évolution naturaliste, Paris 1884, p. 42, BN. 75 Ivi, p. 106. 76 F. BRUNETIÈRE, Le roman naturaliste. Nouvelle édition, Paris 1884, p. 8, BN. 77 BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine., cit., p. 141.

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modo tutto è venuto: il fatalismo dà una certa tranquillità di fronte a questo disprezzo di se stessi. I romanzieri francesi descrivono, in parte dalle sfere più alte della società, in parte da quelle più basse — e il centro, il bourgeois, lo odiano tutti, ugualmente. Infine non riescono a liberarsi di Parigi78.

Le nozioni di décadence e la fisiologia dell’arte trovano una loro definizione attraverso il confronto attivo con la «psicologia» francese. Ostile all’ideologia del germanesimo, Nietzsche vedeva vivere nella Parigi-Cosmopolis la tradizione e l’energia degli «spiriti liberi» nei seguaci di Stendhal (i «rougistes»79) che si opponevano alla diffusa e fatale «malattia della volontà». Nietzsche individua una linea forte che partendo dagli idéologues trova il suo punto centrale in Stendhal, psicologo e analista, quale venive letto in quegli anni. Erede di questa tradizioneTaine, «colui che spezza in modo audace gli idoli della metafisica ufficiale» secondo il giudizio di Bourget, e l'immagine è significativa per Nietzsche.

Per alcuni tratti del suo nichilismo scientifico, Taine appare capace di far fronte alla malattia europea della volontà incarnata dal dilettantismo voluttuoso di Renan.

Indubbiamente l'immagine che Nietzsche ha di Taine deve molto al ritratto tracciato da Bourget: solida energia del carattere, invincibile rigore nella interna disciplina, ascetismo della scienza ed, in ultimo, nichilismo radicale e coraggioso. Da ricordare i riferimenti a Taine nella terza parte della Genealogia della morale ed anche il confronto duro con Rohde a proposito del giudizio espresso dal filologo sullo storico. Nietzsche vede in Taine un «coraggioso pessimista», «un ben riuscito ed onorevole esemplare delle qualità più nobili» dell'anima moderna:

coraggio radicale, assoluta chiarezza di coscienza intellettuale, stoicismo commovente e modesto in mezzo a grandi privazioni e alla solitudine80.

Nietzsche sa esprimere anche la sua distanza da Taine, dal suo improbabile atteggiarsi a «uomo di mondo e conoscitore di donne» nel Graindorge81, all'eccesso di colore nello stile82. La critica di Nietzsche è rivolta soprattutto alla teoria tirannica del milieu e alla presunta «oggettività» di Taine che nasconde la preferenza per i «tipi forti ed espressivi», per «coloro che godono, più che per i puritani»83. Potrebbero essere evidenziati analiticamente anche gli apporti positivi e a Nietzsche simpatetici: il modello dell'equilibrio della perfetta salute (in Byron e Goethe), la valorizzazione della cultura greca («la Grecia ha così ben fatto del bell'animale umano il suo modello, ch'essa ne ha fatto il suo idolo e lo glorifica sulla terra divinizzandolo nel cielo»), l'ammirazione per i «mostri di forza» dai «condottieri» del Rinascimento a Napoleone, ecc.

78 FP, VII, 2, pp.48-49. 79 Si veda su questo la lettera dell’11 marzo 1885, indirizzata a Parigi, di Nietzsche a Resa von Schirnhofer, in cui Nietzsche invita la signorina a mettersi in caccia dei «Rougistes», gli entusiasti di Stendhal, tra cui il più vivo è Bourget, collaboratore della Revue nouvelle (KGB, III, 3, pp. 18-19). 80 KGB, III, 5, p. 76. Trad. in Lettere a Erwin Rohde, cit., p. 117-18 (la datazione della lettera è stata corretta nell’edizione critica da 21 maggio in 19 maggio 1887). 81 FP, VII, 2, p. 249. 82 Ivi, p. 246. Qui Nietzsche fa proprio il giudizio di Doudan nella lettera a Piscatory del 19 maggio del 1866: «mais que cela est rouge, bleu, vert, orange, noir, nacré, opale, iris et pourpre! [...] c’est une boutique de marchand de couleurs». 83 Ivi, p. 219

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2. La malattia della volontà.

Parigi, il grande laboratorio sperimentale dei valori, produce necessariamente materiale di scarto di grande interesse per lo «psicologo»: i decadenti, gli estremi prodotti di un’epoca di transizione, incapaci di signoreggiare e ordinare la contraddizione dei molti istinti di cui sono costituiti come figli della modernità. Nietzsche analizza e combatte le multiformi espressioni di una décadence storicamente definita ed espressione comunque di un disagio e rifiuto dell’uomo «medio»: esotismo, cosmopolitismo, culto del primitivo e dell’innocente, religione della sofferenza, tolstoismo, wagnerismo come oppiaceo, buddismo, ecc. Molte di queste maschere della decadenza si trovano rappresentate nelle «figure» dell’uomo superiore nella quarta parte dello Zarathustra.

Nietzsche porta negli ultimi anni alle estreme conseguenze la sua ricerca antimetafisica, trovando nella nuova psicologia francese (che con la fisiologia coglieva non solo il carattere dinamico della realtà ma anche la sua complessità) elementi di liberazione dalla rigidezza dei miti legati al linguaggio che pietrifica, immmobilizza in una metafisica spontanea. Di contro l’approdo alla struttura plurale dell’io, alla costruzione genealogica del soggetto, alla ricerca di «un nuovo centro».

L’uomo, al contrario dell’animale, ha allevato dentro di sé una massa di istinti ed impulsi antagonistici: mediante questa sintesi è signore della terra. Le morali sono l’espressione di gerarchie, localmente delimitate, in questo molteplice mondo degli istinti: sicché l’uomo non va in rovina per le loro contraddizioni. Dunque, un istinto come padrone, il suo contrario indebolito, raffinato, come impulso che fornisce lo stimolo per l’attività L'uomo superiore avrebbe la massima plurlità degli istinti, e li avrebbe anche nell'intensità relativamente maggiore che può essere sopportata84.

Gli studi sull’ipnotismo e sulla doppia coscienza (e sulle coscienze plurime) venivano definiti una sorta di vivisezione morale: l’uso del termine rimanda ancora una volta al primato del metodo di Claude Bernard, che gioca un ruolo essenziale in quegli anni.

La costruzione e il mantenimento della persona: il presupposto è un edificio complicato e fragile che poteva ogni volta, in parte, essere mandato in rovine. Le pietre distaccate sono il punto di partenza per la nuova costruzione che si eleva rapidamente al lato dell’antica.

Non si deve in genere presupporre che molti uomini siano «persone». E poi alcuni sono anche più persone, i più non sono nessuna persona85.

L’ipnotismo consente il recupero di un lato della vita psichica ignoto alla coscienza, le restituisce la ricchezza posta in ombra dall’affermazione della coscienza personale; fornisce allo psicologo lo strumento per strappare l’inconscio ai fisiologi senza farne un’entità misticamente oscura. L’indagine psicologica diviene un processo d’analisi che consente di affrontare il soggetto nel suo complesso, senza rinunciare all’osservazione né del suo lato organico né di quello psichico, e che permette di ricostruire o addirittura di seguire la storia dell’evoluzione della malattia e della guarigioni.

Si tratta di una sorta di genealogia di una storia plurale: di qui anche la vicinanza e spesso l’interscambiabilità in Nietzsche dei termini genealogista, psicologo, fisiologo.

La «vivisezione morale» cambia i tradizionali parametri di lettura con la dissoluzione del concetto stesso di individuo psicologico col superamento della monodimensionalità della vita psichica: ci troviamo di fronte a più storie, più organizzazioni, al conseguente carattere convenzionale/sociale delle valutazioni di salute e malattia.

La realtà psicologica è molteplicità: il suo forte dinamismo non tende spontaneamente 84 Ivi, pp. 267-68. 85 FP, VIII, 2, p. 139.

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all’armonia tra le parti ma questa è frutto dell'esercizio egemonico di una sulle altre. Anche il tema della volontà, in Nietzsche, trova in connessione alle discussioni del tempo, una migliore definizione (pensiamo all’importanza di uno scritto come Les maladies de la volonté di Th.Ribot, 1883).

La fonte della volontà sta nelle azioni biologiche che si compiono nell’intimità più profonda dei nostri tessuti: in tal misura è vero dire ch’essa è noi stessi.

C’è quindi una critica radicale alla volontà come facoltà («Wille» — eine falsche Verdinglichung: una falsa concretizzazione86).

La volontà come «activité raisonnable» appare «il coronamento, l’ultimo termine di una evoluzione, il risultato di un gran numero di tendenze disciplinate seguendo un ordine gerarchico» 87.

Essoterico-esoterico. Tutto è volontà contro volontà/non c’è affatto una volontà88.

L’equivoco fondamentale di SCHOPENHAUER sulla volontà (come se nella volontà l’essenziale fossero desiderio, istinto, impulso) è tipico: sminuimento del valore della volontà fino all’intristimento.[...] Grande sintomo di stanchezza o di debolezza della volontà: giacché quest’ultima è propriamente ciò che tratta i desideri da padrona, che assegna loro una direzione e una misura89.

La nostra personalità cosciente — o meglio: la coscienza che ciascuno di noi ha del suo stato attuale connesso a stati anteriori — non può mai essere che una debole porzione della nostra personalità rispetto a quella che resta affondata in noi:

siamo oscuri a noi medesimi; la nostra vera persona si agita, si ingegna, si accresce, deperisce a nostra insaputa90.

E Nietzsche, più volte, e con particolare forza all’inizio della Genealogia:

Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi.91.

Allo stato normale; la connessione tra le due parti della «persona» è sufficiente e coerente. Noi siamo per noi stessi e per gli altri una storia vivente, senza grandi lacune. Ma se, in questo subtratum inconscio (fisiologico) da dove tutto emerge, dei gruppi enormi restano inattivi, l’io non può più apparire a se stesso conformemente alla sua storia vera. Dallo stato patologico allo stato normale, non vi è differenza che dal più al meno. La coscienza non ci rivela a ogni istante il nostro io che sotto un solo aspetto, tra quelli possibili.

La falsa personalità è riducibile ad una idée fixe, a una idée maitresse verso la quale converge tutto il gruppo delle idee concordanti, le altre essendo eliminate e come annientate.

L’unità dell’io è quella di un complexus ed è solo attraverso una illusione metafisica che gli si accorda l’unità ideale e fittizia del punto matematico. Essa consiste non nell’atto di una «essenza» pretesa semplice, ma in una ccordinazione di centri nervosi che rappresentano loro stessi una

86 FP, VIII, 1, p. 19. 87 TH. RIBOT, Les maladies de la volonté, Paris 192233, p.74. 88Ivi, p. 176. 89FP, VIII, 2, pp. 87-88. 90 BOURGET, Nouveaux Essais de psychologie contemporaine., cit., p.142. 91 GM, VI, 2, p. 213. Si veda anche la posizione di Taine in cui comunque l’elemento chimico-combinatorio prevale sul genetico-dinamico: «L’idea dell'io è un prodotto; alla sua formazione concorrono molti materiali diversemente elaborati [....] per quanto vicini si possa essere a noi medesimi, noi possiamo ingannrci in più modi a proposito del nostro io».(TAINE, De l’intelligence, II, Paris 1870, p. 191).

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coordinazione delle funzioni dell’organismo.

La coordinazione di innumerevoli azioni nervose della vita organica è la base della personalità fisica e psichica, perché tutte le altre coordinazioni si appoggiano su essa, si aggiungono ad essa; perché essa è l’uomo interiore, la forma materiale della sua soggettività, la ragione ultima del suo modo di sentire e di agire, la fonte dei suoi istinti, sentimenti, passioni e, per parlare come nel medioevo, il suo principio d’individuazione92.

Noi constatiamo che gli stati di coscienza sempre instabili si suscitano e si soppiantano. È l’effetto d’una trasmissione di forza e di un conflitto di forze che, per noi, ha luogo non tra gli stati di coscienza ma tra gli elementi nervosi che li supportano e li ingenerano.

La personalità cosciente debole è solo una parte della intera personalità. L’unità non va dall’alto al basso ma dal basso in alto; non è un punto iniziale ma un punto terminale.

L'io è una coordinazione. Oscilla tra questi due punti estremi dove cessa di essere: l’unità pura, l’incoordinazione assoluta. Tutti i gradi intermedi si incontrano infatti, senza demarcazione, tra il sano e il morboso: l’uno prevale sull'altro93.

E Nietzsche:

Illusione prospettivistica dell’io. Unità apparente in cui, come una linea d’orizzonte, tutto si racchiude. Seguendo il filo conduttore del corpo si scopre un’enorme molteplicità.94

3. Stili della «décadence».

Questi temi qui accennati, al centro della riflessione dell’ultimo Nietzsche, vengono generalizzati dalla letteratura naturalista e decadente, che esibisce in romanzi alla moda, nei fortunati Essais di Bourget, casi clinici da grande città.

In Bourget: la perdita di un centro, la mancanza di un istinto dominante capace di ordinare, la «malattia della volontà» come le mal du siècle, vengono letti negli intellettuali-guida della Francia, come il bilancio di una intera generazione.

C'è il sentimento generale di vivere in un periodo di radicale crisi dei valori, in una società condannata a morte. La mancanza di un credo collettivo, la fine delle vecchie religioni, il nichilismo della scienza, il dominio della massa che schiaccia le possibilità dell'individuo, il dilettantismo, il cosmopolitismo, la diffusione del buddismo, ecc., sono fenomeni legati all'usura fisiologica, ad una generale impotenza alla vita.

In questa sede ci limitiamo ad accennare a qualche suggestione, in una direzione in buona parte ancora da approfondire dalla Nietzsche-Forschung, dell’incrociarsi di questi temi nel confronto Nietzsche-Wagner.

Nietzsche, ne Il caso Wagner, applica al musicista la nozione di decadenza che aveva annotato nei suoi appunti, fin dall’inverno 1883-84 desumendola esplicitamente dal saggio di Bourget su Baudelaire. L’«incapacità di plasmare organicamente, la sua incapacità di giungere allo stile» che si accompagna alla ammirevole invenzione del dettaglio, fa di Wagner «il nostro più grande miniaturista musicale che rinserra in uno spazio estremamente esiguo un’infinità di sensi e di dolcezza». Il complesso di questa argomentazione de Il caso Wagner è però organicamente formulato nella lettera

92 TH. RIBOT, Les maladies de la personnalité, Paris 190814, p. 162 93 Ivi, p.171. 94 FP, VIII, 1, p. 94.

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a Carl Fuchs di metà aprile 1886.

La formula wagneriana «melodia infinita» esprime nel modo più amabile il pericolo, la corruzione dell’istinto, e anche la tranquillità della coscienza in mezzo a tale corruzione. L’ambiguità ritmica, per cui non si sa più, non si deve più sapere, se una cosa è capo o coda, è senza dubbio un trucco artistico mediante il quale si ottengono effetti meravigliosi — il Tristano ne è ricco —; ma come sintomo di un’arte è e rimane il segno del dissolvimento. La parte impera sul tutto, la frase sulla melodia, l’attimo sul tempo (anche sul tempo musicale), il pathos sull’ethos (carattere o stile come lo si voglia chiamare), e finalmente l’esprit sul pensiero. Scusi! Ma quello che io credo di scorgere è un capovolgimento della prospettiva: si vede molto, troppo minutamente il particolare; molto, troppo confuso l’insieme. In musica la volontà è tesa verso quest’ottica sovvertitrice, e più della volontà l’ingegno. E questo è décadence: una parola che tra gente come noi, s’intende, non giudica ma definisce95.

La decadenza è un fenomeno di decomposizione di qualunque tipo di organismo (animale, sociale) che libera dalla gerarchia e dalla subordinazione al lavoro coordinato della totalità — che definisce invece il grande stile ed esprime salute — l’autonomia della cellula, e genera così «anarchia». E Bourget concludeva:

Uno stile di decadenza è quello in cui l’unità del libro si decompone per lasciare il posto all’indipendenza della pagina, in cui la pagina si decompone per lasciare il posto all’indipendenza della frase, la frase a sua volta all’indipendenza della parola96.

Nietzsche, con il suo stile aforistico, si pone consapevolmente agli antipodi nella volontà di definire e di esprimere, con la sentenza, «una forma dell’eternità»: «La mia ambizione è quella di dire in dieci proposizioni quel che ogni altro dice in un libro — quel che ogni altro non dice in un libro»97. Nietzsche si trova più vicino comunque all’ambizione classica del moralista francese espressa da Joubert:

Se vi è un uomo tormentato dalla maledetta ambizione di mettere tutto un libro in un pagina, tutta una pagina in una frase, e questa frase in una parola, sono io98 .

Agli antipodi dello stile della decadenza Bourget pone la scrittura di Taine: vero e proprio processo «di anatomia psicologica di un cercatore che vede nella letteratura un segno».

La filosofia è la «passion dominatrice» capace di dare ordine dimostrativo alla forza delle immagini, inserendole in una struttura argomentativa.

Non esiste affatto, nella letteratura attuale, stile più sistematico e di cui ogni procedimento traduca meglio il partito preso di un pensiero sicuro di se stesso.Ogni periodo d'una di queste forti pagine è un argomento, ogni membro di questi periodi una prova, in appoggio di una tesi che il paragrafo intero sostiene, e questo paragrafo stesso si lega strettamente al capitolo, il quale si lega all'insieme così bene che, al pari di una piramide, tutta l'opera converge dalle più minute molecole delle pietre delle fondamenta fino al blocco di roccia della cima, verso una punta suprema e che attira a sé l'intera massa99.

La rigorosa costruzione che domina e sottomette a sé anche le «metafore visionarie» si oppone allo stile della decadenza come caratterizzato da Bourget per Baudelaire (ma vale anche per l'impressionismo dei Goncourt) e ripreso da Nietzsche per Wagner.

In molti frammenti di Nietzsche si trova esplicita la contrapposizione tra lo stile turgido e

95 KGB, III, 3, pp. 176-77. 96 BOURGET, Essais de psychologie contemporaine, cit., p. 25. 97 GD, VI, 3, pp.152-53. 98 J. JOUBERT Pensées, Paris 1874, VI ediz., p. 8 (BN; sottolineato da Nietzsche). 99 BOURGET, Essais de psychologie contemporaine., cit. p. 188.

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metaforico di Balzac («plebeo» che ha bisogno di forti sensazioni, preda della grande città) e lo stile secco, chiaro, matematico di Stendhal. Questa opposizione rimanda al saggio di Taine: di contro ai forti colori di Balzac, Beyle rimane classico: «semplice allievo degli ideologi e del senso comune». Lo stile metaforico è lo stile inesatto, afferma Taine:

Quando la vostra idea, in mancanza di riflessione, è ancora imperfetta e oscura, non potendo mostrarla così, voi indicate gli oggetti a cui essa assomiglia; voi uscite dall’espressione corta e diretta, per gettarvi a destra e a sinistra nei paragoni. È dunque per impotenza che voi accumulate le immagini100 .

La potenza e la ricchezza della definizione vuole appartenere all'aforisma e alla scrittura di Nietzsche che è consapevolmente lontana (dopo il periodo romantico) da ogni valorizzazione dello stile metaforico.

Ciò che è immagine, o simbolo, tutto si offre come l'espressione più vicina, più giusta, più semplice101.

La scelta della metafora, se lontana dalla volontà di definire, significa vaghezza, suggestione, debolezza. Oppure è un effetto del moltiplicare indifferentemente i punti di vista, le interpretazioni, nella moderna età critica. Questo comporta lo scetticismo alla Renan, la vacillation de la volonté, l'impotenza.

La décadence di Bourget deve il suo carattere alla nozione positivistica di malattia, in particolare nei termini che aveva fissato Taine: la malattia è processo di disgregazione di una forma, dove però l’elemento particolare, acquistando autonomia «morbosa» e sottraendosi alla subordinazione funzionale al tutto, produce un incremento di visibilità. Essa è perciò, secondo le iniziali indicazioni di Claude Bernard, un esperimento non costruito, ma offerto spontaneamente dalla natura che fornisce la stessa procedura di isolamento del fenomeno propria dell’esperimento scientifico.

L’acutezza di sguardo, la precisione del dettaglio e nella definizione del particolare in Baudelaire, nasce da questa necessaria vicinanza malattia-visibilità. Nell’analizzare l’analogia tra il Wagner di Nietzsche e il Baudelaire di Bourget, (ma anche altri sono i contesti di riferimento) si deve mettere in luce l’attenzione di Nietzsche al momento allucinatorio dell’arte wagneriana. Lo stile allucinato dell’esperienza è visto da Bourget come caratteristico dei poeti e scrittori di quella metropoli che tende fino allo spasimo la «macchina nervosa» ed è capace di frammentare la sensibilità.

Bourget, a proposito dei Goncourt, parla di

fini impressioni nervose, una prodigiosa mobilità di sguardo, una novità incomparabile del pittoresco, e di un fremito della parola che rivela una vibrazione quasi inquietante di tutto l’essere102.

La «forte febbre allucinatoria» (la frase è sottolineata da Nietzsche nella sua copia) caratterizza la malattia ricercata e voluta dai due romanzieri ostili all’equilibrio della salute: moltiplicando all’infinito le emozioni artistiche, frammentandole nell’ottica del bibelot, i Goncourt spingono agli estremi la delicatezza del proprio sistema nervoso e finiscono per trasportare l’eccitabilità di una natura estetica nella quotidianità.

Il bibelot diventa simbolo del dilettantismo e dell'esotismo: è la caratteristica peculiare dei Goncourt «uomini da museo, ed in questo moderni». Il museo risponde ai bisogni più diversi di 100 TAINE, Nouveaux essais de critique et d’histoire, cit., p. 57. 101 EH, VI, 3, p. 349. 102P. BOURGET, Nouveaux Essais de psychologie contemporaine, cit., p.154.

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stimolo estetico: è il corrspettivo del grande magazzino che offre una risposta anticipata a tutti i desideri. Anche nel grande magazzino, che sfrutta questa generale passione si trova il bibelot :

se ne andrà come tutte le mode, ma chi analizza la nostra società contemporanea non può trascurarlo più che lo storico del grand siècle non può passare sotto silenzio il paesaggio tagliato del parco di Versailles103.

I nuovi romancière, sono come Baudelaire, figli della «vita di Parigi» e della analisi scientifica: città e scienza hanno assolto allo stesso compito di disgregazione degli organismi totalizzanti basati sulle grandi illusioni:

scrittori d’eccezione che come Edgar Poe, hanno teso la loro macchina nervosa fino a diventare allucinati, sorta di retori della vita torbida e già «venata dall’asprezza della decomposizione» (Gautier). Dovunque balena ciò che egli stesso, con espressione strana ma necessaria, chiama la «fosforescenza della putrefazione»; egli si sente attirato da un magnetismo invincibile104.

Il modello di Bourget era, anche qui, la psicologia che Taine aveva formulato in egual misura nell’opera filosofica De l’intelligence e nella descrizione della follia rivoluzionaria nelle Origines de la France contemporaine. In particolare la dottrina tainiana della sensazione come «allucinazione vera» ritaglia il campo della percezione corretta della realtà come un caso particolare, eccezionale e precario, del processo morboso dell’allucinazione. La costituzione della personalità come centro saldo di percezione realistica dipende dall’obbedienza a regole e criteri socialmente costruiti. I grandi fenomeni di disgregazione delle civiltà (di cui le «convulsioni di Parigi» sono l’esempio terrificante che la Comune ha messo sotto gli occhi di tutti indicando i confini labili di ragione e follia) spazzano via regole e criteri dissolvendo l’unità di stile percettivo e di comportamento che costituisce la persona umana. Il soggetto si perde così in una successione di sensazioni e di atti senza centro e prive di criteri correttivi, che le Origines interpretano in chiave politica. Qui le forme di rettifica dell’allucinazione, della propensione spontanea all’irrealismo della follia, si incorporano nell’esistenza di una élite sociale adeguata, cioè capace di controllare, frenare e reprimere l’espandersi dell’immaginazione sociale, e il conseguente comportamento collettivo di tipo allucinatorio.

Negli Essais Bourget assegnava a Parigi una forza disgregante rispetto alla personalità:

Questa città è il microcosmo della nostra civilizzazione [...]. Dite ora se è possibile conservare un’unità di sentimenti in questa atmosfera sovraccarica di correnti elettriche, in cui le informazioni multiple e circostanziate volteggiano come una popolazione di atomi invisibili. Respirare a Parigi è bere questi atomi105.

Nietzsche ha descritto come caratteristica dell’esperienza decadente il richiamarsi reciproco della disgregazione sotto lo choc della grande città e la fuga verso appagamenti allucinatori. Il tardo romanticismo francese nasce come «esperienza per una “realtà” mancata, disdegno contro i boulevards». La sottomissione agli stimoli forti del milieu da parte della personalità debole (épuisement fisiologico, della razza) suscita un «mondo di hashish, di vapori esotici, pesanti, avvolgenti, di ogni specie di esotismo e simbolismo dell’ideale, solo per liberarsi una buona volta della propria realtà». Anche il nazionalismo e l’ideologia di Bayreuth, col suo pesante e grigio simbolismo, sono «palude» che, lungi dall’essere l’antitesi genuina e pura dell’innaturale metropolitano, nascono proprio dalla «palude» della città.

Un certo cattolicesimo dell’ideale soprattutto in un artista, quasi la dimostrazione che egli disprezza se stesso, che 103 Ivi, p.150. 104 Ivi, pp. 30-31. 105 BOURGET, Essais de psychologie contemporaine, cit., p. 73-74.

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sta nella «palude» : il caso di Baudelaire in Francia, il caso di Edgar Allan Poe in America, il caso di Wagner in Germania106.

Ancora una volta Bourget indica la fuga romantica verso l’ideale, verso il misticismo come espressione di una impotenza verso la grande città:

Uno scrittore passeggia sul boulevard e il tumulto della folla lo inebria. Eccolo sposare, con la sua intelligenza tutte le forme di questa vita cangiante e variegata... se al contrario lo scrittore è tra coloro la cui natura troppo fragile ripugna alle violenze dello sforzo animale, lo spettacolo di questa via lo brutalizza; i visi apparsi un minuto gli rivelano le piaghe interiori e l’ossessionano. Chiude gli occhi per non vedere il quadro di questa dolorosa realtà, ed elabora in se stesso il sogno di un altro universo107.

Bourget vede in questo un aspetto della solitudine dell’artista moderno:

racchiuso dai suoi sogni estetici nella prigione in una sorta di contrada dell’haschisch, non si preoccupa più della portata immediata della sua opera108.

In quest’ultimo periodo Nietzsche insiste anche su una lettura fisiologica della décadence approfondendo il tema positivistico della degenerazione.

Il «caso» Wagner è inteso appunto nella sua caratterizzazione medico-fisiologica. L’esperienza della grande città è al centro dei processi di disgregazione del soggetto. Utilizzando le immagini del nutrimento e della digestione, Nietzsche contrappone ad un atteggiamento attivo, che accumula le energie attraverso una selezione e una digestione prolungata (Einverleibung, incorporazione) di stimoli, la sottomissione al «prestissimo» delle impressioni accelerate, contraddittorie e puntuali della modernità:

ne risulta un indebolimento della capacità di digestione. Subentra una specie di adattamento a questo eccesssivo accumularsi delle impressioni: l’uomo disimpara ad agire; si limita ormai a reagire agli eccitamenti dall’esterno. Spende la sua energia in parte nell’assimilare, in parte nel difendersi e in parte nel replicare. Profondo indebolimento della spontaneità109.

È lo stesso motivo che guida la critica di Nietzsche alle ideologie darwinistiche. Il darwinismo è da lui inteso come un’ideologia della lotta in cui il soggetto, completamente subordinato alla struttura polemica, è incapace di signoreggiare autonomamente il milieu attraverso una forza plastica di assimilazione. La teoria del mileu è perciò «una teoria della decadenza, ma penetrata e divenuta dominante in fisiologia»110.

La teoria del milieu, oggi la teoria parigina per eccellenza, è essa stessa la prova di una rovinosa disgregazione della personalità. Quando il milieu comincia a formare e la situazione è tale che è lecito intendere i talenti di primo piano come mere concrescenze del loro ambiente, allora è finito il tempo in cui si poteva ancora radunare, ammucchiare, raccogliere — è finito l’avvenire. [...]. L’attimo divora ciò che produce — e guai! ciò nonostante rimane affamato111.

Nel continuo confronto che Nietzsche instaura con i décadents parigini, questi fanno comunque parte di un impetuoso movimento di crescita del reale. La percezione della crisi rilevata dalla décadence è in Nietzsche nettamente diversa dalla dominante prospettiva positivistica, nella quale i 106 FP,VIII, 3, p. 367. 107 BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine, cit., pp. 91-92. 108 Ivi, p. 197. 109 FP, VIII, 2, pp. 114-15. 110FP, VIII, 2, framm. 15[105], p. 255. 111 Ivi, p. 255.

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processi degenerativi di una forma di civiltà sono ridotti e padroneggiati nei termini di una regressione a livelli atavici.

Ciò che prima non si sapeva, ciò che oggi si sa o si potrebbe sapere, sta nel fatto che una trasformazione regressiva, un ritorno, in qualsiasi senso e grado non è affatto possibile... Nessuno ha la libertà di essere gambero. Non giova a nulla: si deve andare avanti, voglio dire un passo dopo l’altro più oltre nella décadence (questa la mia definizione del moderno «progresso»...). Si può intralciare questo sviluppo e, intralciandolo, arginare, concentrare, rendere più veemente e più improvvisa la degenerazione stessa: di più non si può112.

Al fondo la décadence rivela una duplice caratteristica: da un lato l’incapacità di signoreggiare il processo di crisi della forma, la subordinazione al milieu, dall’altro la visibilità sul reale implicita nella malattia.

Per quanto riguarda il secondo lato Nietzsche rielabora qui, per certi versi, e ripensando la sua giovanile teoria del sogno e dell’estasi, la coppia positivistica regressione-modernità. La disgregazione della forma e dello stile fa comparire alla superficie della vita stati psichici di rammemorazione di epoche remote dell’umanità, che sembravano del tutto cancellate e che trovano capacità espressive nel linguaggio musicale e nell’estasi dell’ebbrezza. «Talvolta la musica suona come il linguaggio di un’età scomparsa in un mondo stupito e nuovo» scriveva già in Opinioni e sentenze diverse113, là dove vincolava l’espressione musicale ad un sentimento del passato; e ricordando le «feste delle memorie» degli Elleni morenti, incalzati dai barbari e prossimi alla distruzione della loro civiltà affermava:

il meglio di noi è stato forse ereditato da sentimenti di epoche anteriori, a cui per via diretta quasi non possiamo più giungere; il sole è già tramontato, ma il cielo della nostra vita arde e risplende ancora di esso, sebbene non lo vediamo più114.

Ma nei frammenti del 1888 il tema è ripreso con maggiore radicalismo, giacché l’arte wagneriana non appare più come il medium che trasmette all’estenuazione moderna le immagini e le energie delle epoche anteriori. La gratitudine per questa funzione dell’arte è ora totalmente convertita in vivisezione di quei processi della modernità che permettono il ritorno del rimosso. Ne Il caso Wagner la sua arte è in quanto malattia, visibilità accresciuta di tali processi.

La prima cosa che la sua arte ci offre è una lente di ingrandimento: si guarda dentro115.

La stessa espressione nello stesso senso viene usata da Bourget per Amiel che lascia andare agli estremi, fino alla malattia, «lo spirito germanico, lo spirito analitico, il gusto del sogno» che in lui convivono come espressioni della modernità116.

Nel frammento La religione nella musica l’impianto mitico religioso del Parsifal, riproduce l’essenziale funzione rammemorativa, ma la isola dalla modernità, e dunque rende invisibili i processi che l’hanno generata rinchiudendosi in uno spazio sacro.

Che la musica possa prescindere dalla parola, dal concetto — oh come ne trae vantaggio, questa astuta santarella, che riconduce, anzi seduce a tornare a tutto quanto fu una volta creduto! [...]. La nostra coscienza intellettuale non ha bisogno di vergognarsi, — perché ne resta fuori, — quando un qualche antico istinto beve, con labbra tremanti, da

112 GD, VI, 3, p. 143. 113 VM, IV, 3, p. 65. 114 MA, IV, 2, p. 159. 115 WA, VI, 3, p. 10. 116 BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine, cit., p. 256.

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calici proibiti117.

Ma il frammento immediatamente successivo accosta musica ed ebbrezza insistendo sull’elemento della visibilità:

Con l’alcool e la musica ci si riporta a gradi di cultura e incultura che i nostri progenitori avevano già superato; in questo senso niente è più istruttivo, niente «più scientifico» dell’inebriarsi118.

Al primo lato della decadenza è connesso il tema dell’épuisement e della sostituzione della velleità alla forza plasmatrice, del désir alla volontà.

La visione può sorgere, oltre che per sovrabbondanza di energia nell’artista dionisiaco (ed è il caso di Zarathustra che Nietzsche ribadisce in Ecce homo) anche come espediente reattivo contro il sentimento del vuoto, come fuga per debolezza dal caos delle sensazioni forti e disgreganti: «Dietro la contrapposizione tra classico e romantico non si nasconde la contrapposizione tra attivo e reattivo?»119.

Anche l’atteggiamento reattivo, teorizzato e praticato da Huysmans, che caratterizza per molti aspetti l’uomo superiore (homme supérieur) dello Zarathustra nei confronti del milieu, è espressione di impotenza e debolezza, incapacità di andare oltre.

La teoria del milieu, adattata da Taine all’arte è giusta — ma giusta al contrario (à rebours) quando si tratta di grandi artisti perché su questi il milieu agisce con la rivolta, con l’odio che provoca in loro; invece di modellare, di plasmare l’anima a sua immagine, esso crea, nelle immense Boston, dei solitari Edgar Poe; esso agisce alla rovescia, crea nelle vergognose France dei Baudelaire, dei Flaubert, dei Goncourt, dei Villiers de l’Isle-Adam, dei Gustave Moreau, dei Redon e dei Rops, degli esseri d’eccezione che rivolgono indietro il passo, ripercorrono il cammino dei secoli e si gettano, per il disgusto delle promiscuità che esso fa loro subire, nei baratri delle età passate, nei tumultuosi spazi degli incubi e dei sogni120.

Lo stesso atteggiamento anarchico, distruttore, è visto da Nietzsche come risposta immediata e subalterna allo stimolo esterno di chi gli è sottomesso ed è incapace di signoreggiarlo: impotenza quindi che produce il sogno di una natura originariamente buona, che sta, disponibile, al di là delle macchine complicate della civilizzazione. Anche l’aspetto «istrionico» di Wagner, commediante e Cagliostro che si adegua all’epoca dominandola con una sublimazione teatrale della disgregazione, è agli occhi di Nietzsche politica decadente della crisi in cui l’ideale (il mito) non è presente come leva di cambiamento, ma come conferma dell’esistente, poiché la sua autentica natura ribadisce e rafforza l’elemento estatico e di «ebbrezza» della sensibilità decadente.

Sono i limiti dell’uomo superiore che non può essere inteso pienamente nel suo significato, se non si tengono presenti sullo sfondo le contemporanee formulazioni di Taine, Renan, Bourget, Brunetière, dei Goncourt, ecc., ed anche la criticità esercitata da Nietzsche verso gli esiti decadenti e nichilistici dei contemporanei. La quarta parte di Zarathustra può essere letta allora come gli Essais di psicologia contemporanea di Nietzsche, diagnosi della cultura dell’epoca, con l’urgenza, di fronte ai «tipi» della decadenza di dare una risposta, di avviare un contromovimento sotto il segno dell’affermazione dionisiaca.

117 FP, VIII, 3, p. 30. 118 Ivi, p. 31. 119 FP, VIII, 2, p. 56. 120 J. K. HUYSMANS, L’art moderne-Certains, Paris 1975, p. 258-59.

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8. Il Rinascimento e la “plante humaine”: Stendhal, Taine e Nietzsche Il ‘Rinascimento’ ha fornito a Nietzsche gli argomenti contro la presunta superiorità della cultura germanica in quanto sedicente espressione privilegiata dell’elemento umano-universale, capace di resuscitare l’antichità classica: “Il Rinascimento italiano incluse in sé tutte le forze positive a cui si deve la cultura moderna: ossia liberazione del pensiero, disprezzo dell’autorità, vittoria dell’istruzione contro l’alterigia della schiatta, entusiasmo per la scienza e per il passato scientifico degli uomini, affrancamento dell’individuo, amore ardente per la veracità e ostilità verso l’apparenza e il mero effetto [ … ]; sì, il Rinascimento ebbe in sé quelle forze positive che finora, nella nostra cultura moderna, non sono ancora ridiventate così potenti. Esso fu l’età aurea di questo millennio, nonostante tutte le sue pecche e i suoi vizi” (MA, af. 237). A partire da Umano, troppo umano, Nietzsche identifica in Lutero il nemico dell’Aufklärung che interrompe il cammino sulla via dei lumi iniziato con l’umanesimo neolatino. Nel ‘rozzo’ monaco tedesco la fede e la convinzione significano fanatismo e chiusura, e quindi violenza, contro la ‘libertà dello spirito’ e la mitezza. “La Riforma luterana fu, in tutta la sua estensione, l’esasperazione della semplicità contro qualcosa di ‘molteplice’; per esprimerci in termini cauti, un grossolano, candido fraintendimento cui molto deve essere perdonato – non si comprese l’espressione di una Chiesa vittoriosa e si vide soltanto corruzione, si fraintese il nobile scetticismo, quel lusso di scetticismo e tolleranza che ogni potenza vittoriosa, sicura di sé, si concede… ” (FW, af. 358). Il fanatismo di Lutero, nemico dell’onestà intellettuale, si congiunge a quello di Rousseau in un elenco di “spiriti malati,… epilettici dell’idea” che conduce alla distruzione dell’Auflärung e dello spirito ‘libero’: “Convinzioni sono carceri.[...] La libertà da ogni specie di convinzioni, il saper guardare liberamente è parte integrante della forza... [..] Il credente non è libero in genere una coscienza per la questione del “vero” e del “non vero”: essere onesti su questo punto sarebbe la sua immediata rovina. Il condizionamento patologico della sua ottica fa dell’uomo convinto un fanatico — Savonarola, Lutero, Rousseau, Robespierre, Saint-Simon —, il tipo antitetico allo spirito forte, divenuto libero” (AC, 54). L’uomo del Rinascimento viene caratterizzato e contraris, come sintesi di una pluralità di forze mobili e come apertura nelle forme sociali e culturali: non si subordina a valori trascendenti e rigidi ma vede nei valori strumenti pragmatici della costruzione di sé e dello Stato ‘opera d’arte’. Il Rinascimento è esplosione della complessità nella conoscenza e nella morale. E’ la vitalità e l’energia del Sud contrapposte al freddo e uniforme Nord: “Il protestantesimo, questa forma di decadenza spiritualmente impura e noiosa, in cui il cristianesimo si è saputo finora conservare nel mediocre Nord: come qualcosa di dimezzato e di complesso, è pregevole per la conoscenza, in quanto ha fatto confluire nelle stesse menti esperienze di diverso ordine e diversa origine. Valore delle forme complesse, del mosaico psichico e perfino della disordinata e trascurata economia dell’intelligenza” (1887-1888, 10[54]). Con Stendhal, mediato da Hippolyte Taine, Nietzsche attraversa il mito letterario del Sud che trova nel Rinascimento la sua età d’oro. Tale mito è parte di una geografia sentimentale ed ideologica, che ha una lunga tradizione, da Helvetius a Montesquieu, da Rousseau a Mme de Staël, a Sismondi: la riflessione sulla psicologia dei popoli, il contrasto tra il Nord e il Sud, ed infine la presenza forte del mito italiano: “La Pianta uomo nasce più robusta qui che altrove”. Questa espressione di Stendhal torna più volte in Nietzsche e in Taine121.

121 L’espressione di Vittorio Alfieri si trova in Stendhal, Rome, Naples et Florence, Paris 1854 [BN], p. 383 (il passo è sottolineato da Nietzsche) e a p. 345 dove è citata per esteso, in italiano: “La pianta uomo nasce più robusta in Italia che in qualunque altra terra, gli stessi atroci delitti che vi si commettono ne sono una prova” e ricorre anche nell’Histoire de la peinture en Italie, Paris: Michel Lévy Frères, 1868, [BN].p. 285: “La végétation humaine y est plus forte. Là se trouve le ressort qui fait les grands hommes”. Nietzsche fa più volte riferimento a questa espressione: cfr. JGB 44, Frammenti 27[40.59], estate-autunno 1884; fr. 34[74.146.176] aprile-giugno 1885; 37[8].

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La valorizzazione della ‘Renaissance’ da parte di autori quali Barbey d’Aurevilly e Arthur de Gobineau ha alla sua radice l’esaltazione dell’energia extramorale, all’interno del ‘beylisme’ nascente. Bourget, che come Nietzsche è approdato a Stendhal attraverso Taine, pone al centro degli Essais de psychologie contemporaine l’epitafio Arrigo Beyle, Milanese, voluto dallo stesso scrittore: Stendhal “savoura, comme un barbare, cette voluptuose impression animale du soleil, si caressante à ceux dont la jeunesse a grandi sous le nuages du Nord”122. Al di là della ricostruzione autobiografica che parla di un incontro del tutto fortuito, senza suggestioni esterne, con lo scrittore francese (“Stendhal, uno dei casi più belli della mia vita”123), si deve osservare che Nietzsche, solo nel 1879, dopo aver letto Taine nell’estate del 1878, legge con passione Stendhal al quale rimarrà fedele fino all’ultimo come a colui che “forse ha avuto — fra tutti i Francesi di questo secolo — gli occhi e gli orecchi più ricchi d’intelligenza” (FW, 95). Felicità, passione, forza, energia, analisi vivisettrice, insouciance, “dolce far niente”, amore, vanità, ‘bellezza come promessa di felicità’[“La beauté n’est que la promesse de bonheur”], il Midi e la sua musica, il contrasto tra la "gaiezza" e il tedio e la pruderie, la caratterizzazione dei vari popoli europei etc. sono temi e categorie che troviamo, con appunti dalla lettura di Stendhal, in particolare nei frammenti postumi del 1880, a costituire la trama della "filosofia del mattino". Lo stesso ateismo di Stendhal, per Nietzsche, è un aspetto della sua salute, si lega senza sforzo alla sua vitalità affermatrice — non è espressione di risentimento, rifugge dalle ombre di Dio. E Nietzsche gli invidia "la più bella battuta da ateo": “Dio ha la sola scusa di non esistere”124 (EH, Perché sono così accorto, 3). Alla linea romantica, della debolezza che deriva da Rousseau e che vede in Sainte Beuve e Renan due esponenti principali, Nietzsche contrappone la linea dell'energia e della forza che procede dagli ideologues e che in ha nello ‘psicologo’ Stendhal il suo punto centrale di riferimento. Nietzsche, nella caratterizzazione di Stendhal come "uomo superiore", si richiama a Taine e Bourget. Nietzsche unisce la lezione di Stendhal a quella di Taine quando valorizza il tema dell’energia individuale che trova nel Rinascimento italiano e nell’arte di quel tempo, il suo punto più alto. Scrive Stendhal: “C’est en vain qu’on demanderait à la froide expérience de nos jours l’image des tempêtes qui agitasient ces âmes italiennes. Le lion rugissant a été enlevé à ses forêts et réduit au vil état domestique [...] Partout des passions ardentes dans toute leur sauvage fierté: voilà le quinzième siècle”125. Stendhal definisce Alessandro VI “ce grand homme qui savait tout et pouvait tout” (Chroniques italiennes) e Cesare Borgia “le représentant de son siècle”126.

122 Paul Bourget, Essais de psychologie contemporaine, cit. p. 266. Per il valore dell’epitafio di Stendhal: cfr. la lettera di Nietzsche a Gast del 22 marzo 1884. 123 EH, Perché sono così accorto, 3; Cfr. la lettera a F. Overbeck del 23 febbraio 1887, in cui Nietzsche confronta come casi fortunati della sua vita, l’incontro con Dostoewskij di poche settimane prima con quello di Schopenhauer (a 21 anni) e con Stendhal a 35 anni. 124 La battuta ("il est athée jusqu'au délice") è riportata da P. Bourget, Essais , cit, p. 260 come espressione del suo essere erede di Condillac, d'Helvetius e de Tracy, "implacable pout toutes les inventions de l'Idéalisme allemand". Ma tale forma di ateismo viene messo in luce anche da Paul Albert, La litérature française au XIXeme siècle, Paris, 1885, p. 236, (BN):La religion, il s’en préoccupe peu: il est athée avec rage, ne croit pas que les autres croient, a des plaisanteries légerès, comme celle ci: “Ce qui excuse Dieu, c’est ce qu’il n’existe pas.”. Di contro, significativamente, tradizionalisti come E. Melchior de Vogüe, nell’Avant-propos (1886) de Le roman russe, Paris, Plon,191211, vede in questo aspetto di Stendhal (“nous le prenons san cesse en flagrant délit d’intervention railleuse, de persiflage voltarien”, p. XXIX) un aspetto del suo nichilismo, disastroso per la Francia:”Beyle n’a rien de l’impassibilité, il a seulement une abominable sécheresse” La sua è la stessa anima di Julien Sorel “c’est une âme méchante, très-inférieure à la moyenne” “Rouge et noir , livre haineux et triste”. La speranza di una resurrezione dell’arte francese ‘epuisé’ sta nell’influenza salutare della grande anima russa. 125 Stendhal, Histoire de la peinture en Italie, cit., p. 11. 126 Stendhal, Histoire de la peinture en Italie, cit., p. 14.

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Letture di autori francesi marcano senza alcuna ombra di dubbio l’opposizione di Nietzsche filoromanico al germanico Wagner; e se Burckhardt resta un punto di riferimento essenziale nel percorso del filosofo, è certo che il Rinascimento (e Cesare Borgia come sua figura simbolo) è un diffuso mito-forza della cultura francese. Le pagine dello storico di Basilea, riprese dai Francesi127 e da loro riproposte a Nietzsche con maggiore luminosità, assumono ora la valenza di un’affermazione di valori che ha le ‘brume’ del Nord come momento polemico. E’, anche, resistenza, soprattutto dopo la guerra franco-prussiana, al sentimento diffuso della ‘décadence’ latina. Nietzsche riassumerà contro i Tedeschi: Cesare Borgia contra Parsifal. “Se insinuavo nell’orecchio di qualcuno di andare in cerca di un Borgia piuttosto che di un Parsifal, quello non credeva alle sue orecchie” (EH, Perché scrivo libri così buoni, 1). E’ la costruzione di un mito consapevole: all’eroe religioso, cristiano, casto, schopenhaueriano di Wagner — che si congiunge al Gesù di Renan — il filosofo contrappone non la figura storica, ma il centro immaginario dell’energia immoralistica, della sana animalità della ‘bestia da preda’ (Raubthier), controeroe della decadenza. “Equivoco sulla bestia da preda: molto sana come Cesare Borgia! Le qualità dei cani da caccia” (25[38], 1884). A Parsifal, creatura dell’arte decadente, si oppone Cesare Borgia, una figura che ha perso, nella diffusa valorizzazione letteraria ed estetica, le caratteristiche storiche puntuali per divenire un forte simbolo. La sana animalità del principe-condottiero, è l’espressione più elementare dell’energia vitale che il filosofo contrappone alla malata fisiologia di Parsifal (“un Borgia piuttosto che un Parsifal”- sottolineatura mia) e, come vedremo, non è certo l’espressione più alta dell’‘uomo del Rinascimento’, in nessun modo riducibile al ‘tiranno’ e al Gewaltmensch. In Cesare Borgia non va dunque ricercato un “carattere morboso”. Egli rappresenta, al contrario, un sano esemplare “tra tutte le belve e creature tropicali”. Questo si traduce nel rimprovero che Nietzsche rivolge ai moralisti: di avere “un odio per le foreste vergini e per i tropici! E che l’uomo tropicale debba essere screditato a tutti i costi, sia come malattia e degenerazione umana, sia come un proprio inferno e una tortura di se stesso? Perché mai? A favore forse delle “zone temperate”? A pro degli uomini moderati? Dei “morali”? Dei mediocri? Questo per il capitolo “morale come pusillanimità”” (JGB, 197). Questo caos incandescente è solo la premessa per l’anima vasta e complessa, che conosce un ordine estetico: l’uomo del Rinascimento. Questa ‘alchimia degli estremi’ deriva a Nietzsche principalmente da Taine, del quale trascrive, dal Voyage aux Pyrénées (Paris 1858) sotto la rubrica ‘Fisiologia dell’arte’, brani significativi che ben definiscono il Rinascimento: “Agir, oser, jouir, dépenser sa force et sa peine en prodigue, s'abandonner à la sensation présente, être toujours pressé de passions toujours vivantes, supporter et rechercher les excès de tous les contrastes, voilà la vie du seizième siècle” “cet âge de force et d'effort, d'audace inventive, de plaisirs effrénés et de labeur terrible, de sensualité et d'héroïsme”128. In questo diario di viaggio che diventa - alla Stendhal - raccolta di riflessioni ed analisi su tutte le realtà incontrate, la forza viene approvata ed esaltata, nelle sue varie espressioni: dall'imponenza delle masse rocciose nei cui confronti l'esperienza umana appare “excroissance passegère” (“la substance minérale et ses forces sont les vrais possesseurs et les seuls maîtres du monde...”(p.338) alle sane “bestie da preda” rinascimentali che contrastano con la decadenza dei moderni (p.76).Già la Histoire de la Littérature anglaise conteneva una forte valorizzazione de “la Renaissance païenne” intesa come piena affermazione dell’energia umana contro il senso d’‘impuissance’ e di

127 Scriverà Taine a Nietzsche il 17 ottobre 1886: “Vous me faites un grand honneur dans votre lettre en me mettant à coté de M. Burckhardt de Bâle que j’admire infiniment; je crois avoir été le premier en France à signaler dans la presse son grand ouvrage sur la Culture de la Renaissance en Italie”. 128 Sotto il titolo "Physiologie der Kunst", Nietzsche raccoglie nel frammento postumo 7[7] (Fine 1886-Primavera 1887), degli excerpta da Hippolyte Taine, Voyage aux Pyrénées, Paris 1858. Le concordanze con la fonte sono date in Appendice a G. Campioni, Wagner als Histrio Von der Philosophie der Illusion zur Physiologie der décadence in Centauren-Geburten. Wissenschaft, Kunst und Philosophie beim jungem Nietzsche, hrsg v. T.Borsche, F. Gerratana u. A. Venturelli, de Gruyter 1994, pp. 484-488. Cfr. Taine, op. cit. pp. 65.

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‘décadence’ del cristianesimo medioevale. “Surabondance et déréglement”, “puissance”, “un si franc appell aux sens, un si complet retour à la nature”, “l’homme fort et heureux, muni de toutes les puissances qui peuvent accomplir ses désirs, et disposé à s’en servir pour la recherche de son bonheur” - queste alcune espressioni usate da Taine. Il Rinascimento, in quanto ritorno ai valori della Grecità, è glorificazione della realtà del corpo contro i fantasmi malati e le contraddizioni dello spirito del Medioevo. Taine mette in rilievo — plasticamente, come farà Nietzsche — il contrasto tra “le paganisme effronté de la Renaissance italienne” e la fede ristretta e fanatica di Lutero, tedesco, uomo del Nord incapace di comprendere l’affermazione della leggerezza, dello scetticismo, “la grâce de la vie raffiné et sensuelle”, “toujours affranchie des préoccupations morales, livrée à la passion, égayée par l’ironie, bornée au présent, vide du sentiment de l’infini”. Cesare Borgia e Alessandro VI, sono il simbolo più appropriato di questa affermazione immoralistica della forza: “ont présenté à l’Europe les deux images les mieux réussies du diable”. Una civiltà complessa e forte ha saputo “former et déchaîner un animal admirable et redoutable, bien affamé et bien armé”. Questi animali “se déchirent entre eux, comme de beaux lions et de superbes panthères”129: è impossibile, per lo storico francese, fondare una società “sur le culte du plaisir et de la force”. Napoleone:‘Il fratello postumo di Dante e Michelangelo’ Zola, nel suo articolo M.H. Taine, artiste (1866), coglie con grande e simpatetica comprensione, la posizione di Taine sospeso, come spirito malato e inquieto, tra la febbre della modernità (“il appartient à notre siècle de nerfs”) e l’“amour de la puissance, de l’éclat” che lo fa vivere nei valori del Rinascimento: “M. Taine n’est pas l’homme de son temps ni de son corps. Si je ne le connaissais, j’aimerais à me le représenter carré des épaules, vêtu d’étoffes larges et splendides, traînant quelque peu l’épée, vivant en pleine Renaissance”. Il suo volere essere “compagnon de Rubens et de Michel-Ange” non è che l’espressione d’un “regret”: Taine, “faible et nu”, come gli uomini del suo secolo, ha “des aspirations passionnées vers la force et la vie libre”130. Accanto a quest’uomo rinascimentale, vive il “mathématicien de la pensée” ( “il expose, il dissèque”) che costruisce il suo libro come un perfetto ingranaggio, alla cui “sécheresse” Zola preferisce la prodigalità e ricchezza del poeta. La sua volontà ordinatrice è capace di confrontarsi col caos delle “forces déréglées”: in questo mostra la sua potenza. “L’amour de l’ordre, de la précision, n’est jamais aussi fort chez M. Taine que lorsqu’il est en plein chaos” 131. Nel giudizio conclusivo, Zola applica a Taine il metodo storico di Taine volto a determinarne i tratti dominanti in relazione alla fisiologia e al milieu: vi è in lui la “protestation de l’homme faible, écrasé par l’avenir de fer qu’il se prépare; il aspire à la force; il regarde en arrière; il regrette presque ces temps où l’homme seul était fort, où la puissance du corps décidait de la royauté. S’il regardait en avant, il verrait l’homme de plus en plus diminué, l’individu s’effaçant et se perdant dans la masse, la société arrivant à la paix et au bonheur, en faisant travailler la matière pour elle. Toute sa organisation d’artiste répugne à cette vue de communauté et de fraternité”.Taine è infine sospeso tra un passato che ama e un futuro che non osa guardare: obbedisce comunque alla follia dell’epoca “de tout savoir, de tout réduire en équations, de tout soumettre aux puissants agents mécaniques qui transformeront le monde”132. Il Rinascimento (“l’anarchique réveil de la chair”) è quindi, anche per Taine, un luogo ideale di valori perduti: centro di forza che si contrappone alla crescente Verkleinerung dell’individuo. E, con Zola, Nietzsche coglie come espressione di una tendenza dell’epoca — propria anche all’arte — la forza di “tiranneggiare” semplificando il caos multiforme e incandescente: “la formula tiranneggia” 129 Hippolyte Taine, Histoire de la Littérature Anglaise,t. II, pp. 199-200. 130 Émile Zola, Écrits sur l’art, Paris, Gallimard, 1991, p. 64-65. 131 Ivi, p. 74. 132 ivi, pp. 82-83.

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attraverso una logica di lineamenti che semplifica. All’interno delle linee, vive però una indomata, selvaggia molteplicità, “una massa che soggioga, di fronte alla quale i sensi si confondono; la brutalità dei colori, della materia, delle brame”. Questo vale, nel campo dello spirito, anche per Taine (10[37] autunno 1887). Zola stesso, per Nietzsche, vuole emulare Taine “rubare i suoi mezzi per giungere, in un milieu scettico, ad una specie di dittatura. Di ciò fa parte l’intenzionale grossolanità data ai princìpi, perché essi operino come un comando” (11[56], Nov. 1887-Marzo 1888). Questa volontà di dominio, che passa attraverso la semplificazione, esprime la debolezza dell’epoca — in questo così lontana dal Rinascimento — incapace di una forma ricca e plurale, che mantenga in sé, senza dissolversi, la forza delle contraddizioni e il fuoco degli istinti. Il Voyage en Italie e la Philosophie de l'art sviluppano l’esaltazione del Rinascimento come espressione di una “force héroique ou effrénée” che trova l’espressione più alta nei “colosses de Michel-Ange et de Rubens”. Il tema si ripete ossessivamente con un effluvio di immagini e colori133 che esaltano il ‘corpo nudo’ che trionfa nel Sud e nell’arte rinascimentale. Recuperare la nudità significa ritornare pagani: “Cette pensée est toute païenne, il [Raffaello] sent le corps animal comme faisaient les anciens; ce n’est pas seulement une anatomie qu’il a apprise [...] Il aime la nudité elle-même...”134 . La piena solarità del Sud permette la ‘rinascita’ del mondo greco sotto “le perçant regard, la force virile, la serenité du magnifique soleil, du grand dieu e l’air” . Sembra che il medioevo non sia stato che un “mauvais rêve”: “L’ancienne religion de la joie et de la beauté renaissait au fond du coeur au contact du paysage et du climat qui l’ont nourrie...” (p. 8). “La séve était abondante, et la culture avait été parfaite; l’esprit enfantait naturellement, et la main exécutait sans peine...” (p. 180). In questa esaltazione di colossi e mostri di forza presenti nell’arte figurativa e attivi protagonisti dell’epoca rinascimentale, Taine adopera di frequente l’espressione “creatures surhumaines”: quella forza primigenia ha per sé “l’étrange grandeur demianimale et demi-divine” (p. 123). E’ l’espressione adoperata da Nietzsche per designare Napoleone: “questa sintesi di disumano e di superumano…[diese Synthesis von Unmensch und Übermensch]” (GM I 16) e che vale per l’uomo superiore: “L’uomo è l’animale mostro e il superanimale [das Unthier und Überthier]; l’uomo superiore è l’uomo mostro e il superuomo [Unmensch und Übermensch]: tale è il rapporto. Ogni volta che cresce in grandezza e in altezza, l’uomo cresce anche in profondità e terribilità ” (9[154] autunno 1887). In particolare, Nietzsche vede in Napoleone “uno dei più grandi prosecutori del Rinascimento: egli ha nuovamente riportato in luce un intero frammento dell’antica sostanza, quello decisivo forse, il frammento di granito” (FW 362). Tale caratterizzazione ‘rinascimentale’ di Napoleone, italiano e còrso selvaggio, è sviluppata nelle pagine di Taine su Napoleone pubblicate nella “Revue des Deux Mondes” e rifuse poi ne Le Origines de la France contemporaine. Le parole di Taine vengono riprese e in parte tradotte da Nietzsche, dopo la lettura di questo articolo, in un frammento postumo del 1887: “(Revue des deux mondes, 15. Febr. 1887. Taine.). ”Improvvisamente si dispiega la faculté maîtresse: l’artista, che era chiuso nell’uomo politico, viene fuori de sa gaine; crea dans l'idéal et l'impossible. Lo si riconosce per ciò che è: il fratello postumo di Dante e Michelangelo: e in verità, per i fermi contorni della sua visione, per

133 Su questo aspetto dello stile di Taine, Nietzsche sembra accogliere il giudizio limitativo di Ximenès Doudan, che trascrive nel frammento 26[447] (estate-autunno 1884): “Su Taine ”mais que cela est rouge, bleu, vert, orange, noir, nacré, opale, iris et pourpre!… c'est une boutique de marchand de couleurs”. Con Mirabeau le père dire: quel tapage de couleurs!.. Il brano è tratto dalla lettera a M. Piscatory del 19 mai 1866 (X. Doudan, Lettres, vol. IV,Paris, Levy, 1879, p.25) che fa riferimento alle “deux ou trois jolies pages sur Leonardo da Vinci” pubblicate da Taine sulla “Revue des Deux Mondes” del 15 maggio 1866. Si tratta di H. Taine, L’Italie e la vie italienne, souvenir de voyage, XI, La Lombardie, Vérone, Milan et les lacs. Per le pagine su Leonardo, rifuse come tutto l’articolo in Voyage en Italie, cfr. op. cit., vol. II, pp. 406 -410.. 134 H. Taine, Voyage en Italie, Paris, Hachette, 1884, tome I, p. 183. Nietzsche recepisce il tema della nudità del corpo umano e quella del dio (contro il deus absconditus): cfr. ad esempio: fr. 13[1] estate 1883: “Eresse l’immagine nuda di un dio: così anche il più meridionale anela a un altro (secondo) meridione” , 13[7] Estate 1883; 11[94, 95] 1881-1882; 5[30] 1882-1883;

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l’intensità, la coerenza e intima logica del suo sogno, per la profondità della sua meditazione, per la sovrumana grandezza della sua concezione, egli è uguale a loro et leur égal: son génie a la même taille et la même structure; il est un de trois esprits souverains de la renaissance italienne.“ Nota bene - - - Dante, Michel Angelo, Napoleon — —”135.(5[91] 1887). Come controprova del legame tra Napoleone e il Rinascimento Nietzsche sottolinea l’ostilità dei romantici nei confronti dei due fenomeni e la loro incapacità di comprenderli . “La viltà di fronte alla coerenza – il vizio moderno. Romanticismo: ostilità verso il Rinascimento (Chateaubriand, Wagner), l’ideale antico dei valori, il dominio dell’intellettualità, il gusto classico, lo stile semplice, severo, grande, i “felici”, i “bellicosi”(14 [7] 1888). Per Nietzsche il fraintendimento di Schopenhauer nei confronti della volontà è “un segno dei tempi”, una reazione contro l’età napoleonica, non si crede più alla “forza della volontà” e poi, continuando, a proposito del romanzo di de Vigny: “In Stello si trova la confessione:“”Non vi sono né eroi né mostri” - antinapoleonica” (25[184] primavera 1884). Nel delineare la figura di Napoleone, Taine non solo ripete la definizione di Alfieri sulla “pianta uomo” italiana caratterizzata dalla perfetta “integrité de son instrument mental” (p. 735) della quale sono frutti Michel-Ange, Césare Borgia, Jules II et Machiavel, ma si richiama a Stendhal che aveva legato, con ammirazione ed entusiasmo, Napoleone aux “petits tyrans italiens du XIVe et du XVe siècle”. Tali giudizi sono oggetto di uno scambio epistolare tra Nietzsche e Taine. Quest’ultimo, nel suo articolo, aveva messo in luce la perfezione della macchina fisica e mentale, la “force enorme” di questo “monstre”, la volontà di potenza di un “moi colossal qui incessamment allonge en cercle ses prises rapaces et tenaces”, il suo “egoïsme actif et envahissant” capace di assoggettare e incorporare ogni forza che lo circondi. Il filosofo, in una lettera del 4 luglio 1887, approva con entusiasmo la spiegazione e la soluzione — attraverso la figura di Napoleone — “dell’enorme problema del disumano e superumano” [Unmensch und Übermensch]. Questa è una risposta – egli sottolinea - alla esigenza (il ‘lungo grido di desiderio’) che aveva colto nel saggio in cui Barbey d’Aurevilly, in nome di un’aristocratica energia, criticava la storiografia liberale e positivistica su Napoleone, a cominciare da Michelet e Jung, incapaci, per le loro pregiudiziali democratiche e repubblicane, anche solo di avvicinarsi alla grandezza dell’“aristocrate et despote” Napoleone, la cui maggior gloria è stata quella di aver tentato “de rapprendre aux hommes l’autorité qu’ils ne connaisaient plus”136. Ma anche Stendhal, che pure Barbey d’Aurevilly ammira in quanto ‘esprit robuste et qui aimait la force dans les choses humaines’, è stato incapace nel suo scritto (Vie de Napoléon. Fragments) di dipingere realmente Napoleone, non ne ha avuto il sufficiente coraggio. Dalla sua posizione tradizionalista e fortemente antiegualitaria, Barbey d’Aurevilly mostra disprezzo verso il “jacobinisme historique” che mira a distruggere, distruggendo la grandezza di Napoleone, l’idea stessa di superiorità individuale. Sotto accusa è anche la storiografia positivistica che tenta di “décapiter toutes les supériorités individuelles” riducendo tutto al fatalismo della razza

135 Anche il frammento precedente, che valorizza in Napoleone, l’artista creatore, è derivato letteralmente da Taine (ivi, p. 752): “Un detto di Napoleone (2 febbraio 1809 a Röderer): “J’aime le pouvoir, moi; mais c’est en artiste que je l’aime... Je l’aime comme un musicien aime son violon; je l’aime pour en tirer des sons, des accords, des harmonies”. Si veda anche, di Jules Lemaître, autore apprezzato da Nietzsche, M. Taine et Napoléon Bonaparte, in Les contemporains, IV série, Paris, Lecene et Oudin, 1889, pp169-183. Lemaître vede nel Napoleone di Taine, in fondo, ‘l’effrayant condottiere échappé de l’Italie du quinzième siècle” anche se il ritratto di Taine - da filosofo non da storico - non tiene conto dello sviluppo della personalità del Bonaparte: è ‘un géant immobile”. E’ anche “ presque surnaturel. Il lui prête des facultés qui dépassent par trop la mesure humaine” La stessa estrema ‘inumanità’ è insostenibile: “Je suis sûr quez l’égoisme de Napoléon avait des defaillances. Néron même a eu des amis” (p. 176, 178)” 136Barbey d’Aurevilly, Les Œuvres et les hommes Histoire du XIXe siècle. Bonaparte, In questo saggio il

critico francese discute: Stendhal, Vie de Napoléon. Fragments, Michelet, Histoire du XIXe siècle, Jung, Bonaparte et son temps. Si veda Nietzsche: “Le idee moderne come false [...] “il genio” - equivoco democratico (come conseguenza del milieu, dello spirito del tempo” (16[82] Primavera-estate 1888.

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e poi, ancor più, al determinismo del ‘milieu’ (p. 427). Ma Nietzsche trova, in questo caso, in Taine stesso — al di là delle pregiudiziali metodologiche che rassicurano lo storico più di quanto lo guidino — una conferma e un completamento delle teorie di Barbey d’Aurevilly: a suo giudizio Napoleone divenne signore in quanto essenzialmente diverso, più antico e più forte della civiltà in cui era apparso — la civiltà della Francia rivoluzionaria e prerivoluzionaria — (GD, Scorribande... 44): è da considerare infatti l’“antagonista di Rousseau” e delle sue idee in quanto il suo “ritorno alla natura” è un innalzarsi alla concezione rinascimentale della natura (9[116] autunno 1887). La ‘tirannia del milieu’, è, per Nietzsche, una “teoria della décadence”137 che esprime pienamente la debolezza dell’epoca moderna (das milieu als ”Fatum“), sul quale il filosofo tornerà altre volte per segnare la sua distanza dai ‘parigini’ e anche da Taine. Nel volume di Barbey d’Aurevilly, Nietzsche trovava molte altre conferme alla sua visione del Rinascimento. Il critico francese difende la grandezza e la forza di Giulio II - ed in generale i papi del Rinascimento, tra cui Alessandro VI - da chi vuol limitare l’azione del papa a protettore degli artisti. “Dans cette décrépitude des temps [...] l’homme du bibelot moderne” è assolutamente incapace di comprendere “le magnifique spectacle immortel” “le sainte fureur de Jules II, luttant contre toutes les barbaries de son temps [...] Si grands que fussent en effet les arts et les artistes sous le pontificat de Jules II, ils ne furent, après tout (qu’on juge par cela du reste), que le bagatelles de cette vie immense”138. Di contro troviamo una condanna netta del protestantesimo (“le Génie de la Négation”) (p. 39) e di Savonarola ribelle, seduttore, tribuno (“est bien taillé pour la démocratie de nos tristes jours”)139. E, in questi termini, dopo la lettura di d’Aurevilly, Nietzsche inserirà Savonarola - come abbiamo visto - nella lista dei ‘fanatici’ della morale (AC 54): il giudizio del frate su Firenze è analogo a quello di Lutero su Roma, di Rousseau sulla società di Voltaire (10[176], autunno 1887). Dipanare la rete intricata delle letture e delle rielaborazioni intorno al tema della “Renaissance” significa evidenziare i percorsi delle idee tra Francia e Germania alla fine dell’Ottocento, ma comporta, anche, comprendere meglio la specificità di Nietzsche.

137 Cfr. 15[105], primavera 1888: “NB.NB. La teoria del milieu è una teoria della décadence, ma penetrata e divenuta dominante in fisiologia” 138 Barbey d’Aurevilly, Les Œuvres et les hommes Histoire du XIXe siècle, cit., Jules II (recensione al vol. Histoire de Jules II, par M.A. Dumesnil), p. 176. Ma per la sua forza di provocazione vale la pena di citare un altro brano in cui questo ‘ultimo dandy’, polemista inquieto, afferma: “l’Eglise Catholique, dont je suis à l’heure actuelle le seul représentant, c’est l’Eglise de la Renaissance, des grands papes humanistes et jouisseurs, voire forniqueurs à l’occasion, des XVe et XVIe siècles à qui, selon le mot immortel, rien d’humain, entendez-vous, n’était étranger, et qui accueillaient à bras ouvertes tous les instincts, toutes les impulsions, toutes les traditions de l’humanité, reflets à leur manière de la toute-puissance et de l’ubiquité de Dieu! Loin des petites vertus et des vices lâches de notre époque décadente et anémiée! Qui nous redonnera un César Borgia, fils de pape, assassin de son frère, trafiquant de sa soeur, le plus bel exemple d’énergie virile que les siècles chrétiens nous aient légué, un Jules II menant ses armées au combat, l’epée au poing et la tiare en tête, un Leon X, épris de la beauté d’un Raphaël au moins autant que celle de la Madone?” (citato in Jean Canu, Barbey d’Aurevilly. Essai, Paris, Laffont, 1965, p.398). 139 Ivi, Savonarola, (recensione alla traduzione francese di P. Villari, Jérome Savonarole et son temps), p. 155