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Coordinamento Nazionale di Sostegno ai Nativi americani http://www.associazioneilcerchio.it periodico Anno XII n°2 - 2007 prezzo di copertina 2,95 euro Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c L. 662/96 - Firenze In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio Postale di Firenze CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere la relativa tariffa In questo numero: L’UNESCO e le culture orali “I Cherokee, troppo civili per vivere” NO COLUMBUS DAY! Convenzione ILO 169 Notizie dal mondo indigeno NATIVI IN CARCERE

NO COLUMBUS DAY! · E.mail: [email protected]; [email protected] Impianti e Stampa: Fotoincisione Tanini Via Primo Maggio 72 Loc. Rosano 50065 Pontassieve (FI) Quota associativa

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Coordinamento Nazionale di Sostegno ai Nativi americanihttp://www.associazioneilcerchio.it

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In questonumero:

L’UNESCO ele cultureorali

“I Cherokee,troppo civili per vivere”

NOCOLUMBUSDAY!

Convenzione ILO 169

Notizie dal mondoindigeno

NATIVI INCARCERE

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Coordinamento Nazionale di Sostegnoai Nativi Americani

Anno XII n0 2 - 2007

(in stampa a dicembre)

Proprietario / Editore:Ass. IL CERCHIORegistrazione Tribunale di Firenze n° 5112 del 18-10-01

Direttore Responsabile:Fabrizio Lucarini

Redazione:Associazione Il CerchioGrafica e impaginazione:Valentino ReceputiAbbonamenti e diffusione:Toni VentreSegreteria e revisione testi:Luisa CostalbanoRecapito redazionale:c/o Toni VentreVia San Cresci, 1950032 Borgo San Lorenzo (FI)E.mail: [email protected]; [email protected]

Impianti e Stampa:Fotoincisione TaniniVia Primo Maggio 72Loc. Rosano50065 Pontassieve (FI)

Quota associativa per un anno 26 Euroda versarsi sul conto corrente postalen° 26748509Intestato a:Associazione IL CERCHIOvia San Cresci, 1950032 Borgo San Lorenzo (FI)(Pregasi scrivere in stampatello)

Il Materiale inviato, anche se non pubblicato, non verrarestituito (a meno di accordo preventivo).Gli articoli firmati non rispecchianonecessariamente l’opinione della redazione.Rimaniamo a disposizione degli eventuali aventi dirittocon cui non sia stato possibile entrare in contatto;ricordando che la rivista non ha scopo di lucro.Chiunque voglia collaborare può scrivere o telefonare.Negozi, Enti, Associazioni e singoli diffusori usufruisconodi sconti speciali. In questo caso le copie verrannospedite in contrassegno.

SOMMARIO

3 Editoriale

Diritti umani

4 Dichiarazione sui popoli indigeni

5 Convenzione ILO 169

Colombo

6-8 Documento sul Columbus Day

9 Ne uccise più il morbo che la spada

12 Colombo rovesciato dal risveglio dei popoliindigeni

14 Messico: incontro dei popoli indigenid’America

15 I Cherokee, troppo civili per vivere

18 La insensata metamorfosi delle cultureimmateriali

20 Cronaca di un viaggio a Washington

25 Le spoglie del gueriero

27 Ho mangiato la terra dei Sioux

Rubriche e varie

29 Il bastone della parola - lettere al Cerchio

31 Resoconto del XXVI incontro del Cerchio

33 Nativi in carcere

37 Notizie dal mondo indigeno

38 Inchiostro rosso: le recensioni del Cerchio

39 Le tribù del Cerchio

IL CERCHIO

Il Cerchio 2

in copertina, un disegno di Margherita Torri(che ringraziamo)

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Il Cerchio 3

La redazione

ATTENZIONE:

ABBIAMO RINNOVATO IL SITODELL’ASSOCIAZIONE

IL NUOVO INDIRIZZO E’

www.associazioneilcerchio.it

MAIL

[email protected]

Care/i socie/i,vogliamo iniziare questo editoriale ringraziando tutte le as-

sociazioni e singole persone che sono intervenute al XXVI° coordinamen-to del Cerchio svoltosi il 6 e 7 ottobre scorso a Cannara, nei pressi di Assisi. Citeniamo particolarmente in quanto l’incontro ha visto una nutritissima partecipazionedei soci e delle altre associazioni che erano state invitate al fine di trovare campi di azionecomune. Sono stati due giorni molto intensi e speriamo che si siano poste le basi per darecontinuità sia alle iniziative comuni a favore dei popoli indigeni americani ed anche creando unappuntamento fisso annuale per vedersi, parlarsi e …agire. Il resoconto della riunione all’inter-no del giornale.Tra le iniziative che abbiamo deciso di portare avanti, insieme alle altre associazioni, è dasottolineare la campagna, già lanciata da Survival, per chiedere che anche l’Italia ratifichi laConvenzione n° 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). La ILO è unaagenzia delle Nazioni Unite che con l’adozione di questa Convenzione ha inteso garantire ilriconoscimento della proprietà della terra ai popoli indigeni e tribali e stabilisce che essi debba-no essere obbligatoriamente consultati ogni volta che i paesi membri delle Nazioni Uniteintendono varare leggi o progetti di sviluppo che possono avere un impatto sulla vita di questipopoli. La Convenzione ILO 169 riconosce le pratiche culturali e sociali e garantisce il rispettodelle tradizioni dei popoli indigeni e tribali e chiede che le loro risorse naturali siano protette. LaConvenzione ILO 169 è l’unico strumento giuridico internazionale vincolante a cui i popoliindigeni e tribali possono ricorrere se sono violati i loro diritti. Il vincolo è però opponibile soloagli stati che hanno abbiano ratificato la Convenzione.Da qui la richiesta che anche il nostro paese ratifichi la Convenzione ILO 169. A pagina 5troverete la copia della lettera da inviare al Ministro degli Affari Esteri e ai Presidenti delleCommissioni Esteri della Camera e del Senato per sollecitare il nostro Governo ed il Parla-mento sulla questione, che ognuno può fotocopiare e spedire. Noi tutti ci rendiamo perfetta-mente conto che buona parte del nostro futuro dipende anche dalle conoscenze ancestraliche i popoli indigeni e tribali hanno conservato e tramandato in ordine alle proprietà terapeutiche

delle piante, così come sappiamo che larga par-te del patrimonio genetico mondiale e della con-seguente biodiversità di piante ed animali si èconservato ed è stato protetto dai popoli indi-geni e tribali nelle loro terre e nelle loro foreste.Ogni giorno quel patrimonio e quelle conoscen-ze sono in pericolo e sottoposte ad aggressionicontinue a causa del perdurante mito dello svi-luppo economico continuo che oggi è ancor piùminaccioso a causa dell’irrompere sui mercatimondiali di due colossi demografici come India eCina. Per questo, per noi stessi e per il futuro deinostri figli è importante che anche l’Italia ratifichila Convenzione ILO 169.

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Il Cerchio 4

TRIPUDIO PER L’APPROVAZIONE DELLA DICHIARAZIONESUI POPOLI INDIGENI

New York - I popoli indigeni di tutto ilmondo celebrano l’approvazione da partedell’Assemblea Generale delle Nazioni Unitedella Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indi-geni. La dichiarazione è stata approvata ierisera con maggioranza schiacciante nel cor-so di una votazioneche passerà alla sto-ria.

Il voto costitui-sce l’epilogo di 22anni di dibattiti enegoziazioni moltointensi. Australia,Nuova Zelanda, Ca-nada e Stati Uniti han-no votato contromentre 143 nazioni sisono espresse a fa-vore. Gli astenutisono stati 11.

Dal Botswana, ilBoscimane Jumanda Gakelebone, esponen-te dell’organizzazione First People of Kalahari,ha commentato: “Desideriamo dire che sia-mo veramente molto felici ed emozionati disapere che è stata adottata la dichiarazione.Il documento riconosce che i governi non cipossono trattare come cittadini di secondaclasse e dà protezione ai popoli tribali di tut-to il mondo, che non potranno più esserecacciati dalle loro terre come è stato fattocon noi.”

Kiplangat Cheruiyot della tribù keniotadegli Ogiek ha aggiunto: “Con l’adozione delladichiarazione, le vite dei popoli indigeni mi-glioreranno perché partiranno dallo stessostatus riconosciuto a tutti i cittadini del restodel mondo.”

La dichiarazione riconosce i diritti deipopoli indigeni alla proprietà della loro terra ea vivere come desiderano. Afferma, inoltre,che non possono essere sfrattai dai loro ter-ritori senza il loro libero e informato consen-so.

Stephen Corry, direttore generale diSurvival, si è così espresso: “Poiché la di-

chiarazione sui popoli indigeni riconosce i lorodiritti collettivi, gli standard internazionali dirispetto di questi popoli si innalzeranno, cosìcome è avvenuto con la Dichiarazione uni-versale dei diritti dell’uomo circa 60 anni fa.La Dichiarazione stabilisce dei punti di riferi-

mento grazie aiquali sarà piùfacile misurareegiudicare il trat-tamento riser-vato ai popoliindigeni. Speria-mo che questovoto segni l’ini-zio di una nuo-va era: quella incui l’abuso deidiritti di questipopoli non saràpiù tollerato.

”Negli ultimi anni, anche l’Italia ha so-stenuto l’adozione della Dichiarazione dei di-ritti dei popoli indigeni” conclude FrancescaCasella, responsabile di Survival Italia.

“Ora, la nostra speranza èquella che, coerentemente con l’impegno di-mostrato nei confronti di questo tema, il go-verno italiano voglia ratificare al più presto laConvenzione ILO 169, necessaria per dareconcreti strumenti giuridici alla tutela dei di-ritti dei popoli indigeni del mondo.”

14 settembre 2007

Per maggiori informazioni sulla campagna diSurvival per la ratifica della Convenzione ILO169:

http://italia.survival-international.org/news

WWW.SURVIVAI.IT

Per ulteriori informazioni:Francesca Casella - 02/[email protected]

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Il Cerchio 5

Alla cortese attenzione di:

On. Massimo D’AlemaMinistro degli Affari EsteriPiazzale della Farnesina 1

00194 Roma

On. Umberto RanieriPresidente della Commissione Esteri

Camera dei DeputatiPalazzo Montecitorio

00186 Roma

Sen. Lamberto DiniPresidente della Commissione Esteri

Senato della RepubblicaPiazza Madama 11

00186 Roma

Le scrivo per sollecitare il suo interessamento affinché anche l’Italia rati-fichi la Convenzione ILO 169 sui popoli indigeni e tribali.

Come lei sa la Convenzione ILO 169 è l’unico strumento giuridico interna-zionale vincolante su cui i popoli indigeni e tribali possono contare per otte-nere il riconoscimento dei propri diritti.

Poiché l’Italia partecipa a numerosi progetti di sviluppo che hanno unimpatto sui popoli indigeni e tribali, anche il nostro Paese ha una responsabi-lità diretta nell’assicurare che i diritti di tali popoli siano tutelati e rispettati.Tale responsabilità ci deriva non solo dall’essere membri dell’ONU, ma anchedell’Unione Europea la cui politica sui popoli indigeni, nel quadro della coope-razione internazionale, è per noi vincolante.

Mi pregio di rammentarle che il 10 ottobre 2006 è stata presentata allaCamera dei Deputati la mozione n. 1-00041, Bandoli ed altri, inerente leiniziative volte a sostenere l’approvazione, poi avvenuta, da parte dell’Assem-blea Generale dell’ONU, della Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni.

La mozione n. 1-00041 fu approvata, a larghissima maggioranza, con ilvoto favorevole di tutti i gruppi di maggioranza e di opposizione. Questo votoha, ancora una volta, dimostrato che il nostro Paese guarda con favore alleiniziative volte a garantire la tutela ed il rispetto dei diritti dei popoli.

Per i motivi qui brevemente esposti chiedo che l’Italia ratifichi la Conven-zione ILO 169 e confido che lei possa e voglia dare il suo contributo affinchéciò avvenga prima possibile.

La ringrazio e la saluto cordialmente.

(nome e cognome, indirizzo o mail, data e firma)

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Il Cerchio 6

Spett. Columbus Citizen Foundation, vi inviamo in allega-to lettera di sensibilizzazione, sottoscritta da numeroseassociazioni italiane, con l’obiettivo di porre alla vostraattenzione una sensazione di imbarazzo che molti italianiprovano nel vedere i festeggiamenti, da voi promossi,legati alla ricorrenza in oggetto.Certi che vorrete tener conto delle nostre riflessioni,porgiamo distinti saluti

Associazione Il Cerchio

Anche quest’anno, come ogni anno, si sonosvolte negli Stati uniti le celebrazioni del Columbus Day il 12 ottobre,anniversario della scoperta dell’America. a New York la parata sullaFifth Avenue viene organizzata dalla Columbus Citizen Foundation,un’associazione di discendenti di immigrati italiani che, con tale corteo,intendono manifestare il loro “orgoglio italiano”. All’evento partecipanogeneralmente anche rappresentanti di alcune regioni italiane, e altrirappresentanti istituzionali.E anche quest’anno ci sono state le preoteste ufficiali di varieorganizzazioni di nativi americani, con relative contromanifestazionie arresti tra i manifestanti.Come associazioni di supporto ai popoli indigeni, riunite in occasionedel meeting del Cerchio a Cannara il 9 ottobre, abbiamo redatto un documento in appoggioalla proteste indigene, in cui sentivamo di dover dire la nostra anche come cittadini italiani.Qui sotto pubblichiamo la lettera di accompagnamento del documento da noi redatto(pubblicato nella pagina a lato), inviato alla Columbus Citizen Foundation, gli organizzatoridella parata per il Columbs Day sulla Fifth Avenue di New York. Copia del documanto è statainviata anche ai Presidenti delle Regioni italiane e al presidente dell’ANCI.abbiamo inviato il documento, per conoscenza, anche alle associazioni native che organizzano

la contromanifestazione, ed abbiamoricevuto una risposta da Russel Means.pubblichiamo di seguito anche questedue lettere.Segnaliamo infine che è possibilesottoscrivere il documanto, comesingoli cittadini o come gruppi,scaricandolo direttamente dal nostrosito web e spedendolo all’indirrizzo dellaredazione.

Questa è la lettera d’accompagnamento al documento inviata a:- associazione “Transform Columbus Day”- AIM Colorado- Russell Means

Dear Association,We are “The Circle”, an Italian Native American Support Network.First, sorry for our “not perfect” English. We write you as Italian first, and yoursupporter too. We don’t like the Columbus Day, overall we want that all of youknow that.We are next to you in this struggle, and we are going to do here in Italy a battleagainst this celebration. We will let you know how.You find (file attached) letter that we sent to Columbus Citizen Foundation,the organizer of Fifth Avenue Demonstration.You don’t fight alone Regards

for The CircleDr. Toni Ventre

Questa è la risposta di Russell Means al nostro comunicato

Dear Dr. Ventre

Thank you for caring. I signed the petition and added mycomments. Please keep me apprised of further developments.May the Great Mystery continue to guide and protect the paths ofyou and your loved ones.

Russell Means

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Il Cerchio 7

CONSIDERAZIONISULLE CELEBRAZIONI DEL COLUMBUS DAY

Dal 1937, tutti gli anni ad ottobre, sullaQuinta strada di New York, si svolge la para-ta del Columbus Day, una celebrazione che,a partire dal 1971, quando fu proclamata fe-sta nazionale degli Stati Uniti, si celebra ognisecondo lunedì del mese di ottobre. PoichéCristoforo Colombo fu il primo italiano a giun-gere in quella che è oggi chiamata America,l’evento è sentito in maniera particolare dagliimmigrati italiani e dai cittadini statunitensi diorigine italiana che, con l’annuale parata, fe-steggiano quella che considerano la “giorna-ta dell’orgoglio italiano”. Da qualche anno aifesteggiamenti partecipano anche delegazioniufficiali di regioni italiane e quest’anno ha par-tecipato anche il Ministro di Grazia e Giustiziadella Repubblica Italiana On. ClementeMastella.

Come è universalmente noto, lo sbarco diColombo nel Nuovo Mondo segnò l’inizio diun’epoca di distruzioni e lutti che portò algenocidio di milioni di esseri umani e l’estin-zione fisica e culturale di interi popoli. Fin daiprimi giorni della conquista fu chiaro l’intendi-mento di Colombo e di coloro che benedis-sero la sua impresa. Dopo avere inutilmentecercato segni di ricchezza e grandi città sullecoste delle isole che aveva esplorato duran-te il suo primo viaggio, Colombo fece ritornoin Spagna, lasciando però una parte dei suoiuomini a presidiare l’isola Hispaniola. Scrivein proposito Colombo: “ivi feci eriger tostouna rocca … lasciai gli uomini che sono ne-cessari … [Gli indigeni] son privi d’armi, van-no nudi e son troppo timidi; perciò quelli cheoccupano la rocca solamente possonosenz’alcun pericolo saccheggiare l’isola, pur-ché non vadano oltre la legge ed il governoche io diedi”. Quale fosse il governo che Co-lombo diede a Hispaniola lo si è potuto leg-gere negli atti originali del processo intentatocontro di lui dai sovrani di Spagna alla fine del1500 e che recentemente sono stati rinve-nuti in un archivio spagnolo. L’atto di accusae le testimonianze dell’epoca parlano di mal-governo, giustizia negata, avidità, violenze aspagnoli e agli indigeni. Per tutte queste im-putazioni Colombo fu condannato. Il perdo-no che successivamente ottenne non atte-nua le gravissime colpe di cui si macchiò. Lacondanna di Colombo non modificò in nulla il

destino dei popoli indigeni americani. Pochi annipiù tardi una Legge Reale ordinò che, primadi intraprendere ostilità contro gli indios iconquistadores dovevano leggere loro unadichiarazione, il cosiddetto requierimento, concui li si informava della verità della religionecristiana e della necessità di dichiarare la lorosottomissione alla Corona di Spagna e fedel-tà al Papa. Se gli indigeni rifiutavano o nonrispondevano, cioè sempre, dato che noncomprendevano quanto era loro detto in spa-gnolo o in latino, l’intimazione continuava conquesta formula: “Dichiaro che, con l’aiuto diDio, entreremo con tutte le forze nel vostro

paese, combattere-mo contro di voi intutti i modi e vi sot-tometteremo al gio-go ed all’obbedienzadovuti alla Chiesa ealla Corona. Prende-remo voi, le vostremogli ed i vostri bam-bini e vi renderemoschiavi e, in quantotali, vi venderemo edisporremo di voi se-condo il volere dellaCorona. E prendere-

mo ciò che possedete, vi arrecheremo ognioffesa e danno possibile come ai servi chenon obbediscono, rifiutano di ricevere gli or-dini del loro signore, gli oppongono resisten-za e lo contraddicono”. Niente di quanto eraminacciato era più facile a farsi per gli spa-gnoli che, avvezzi a queste pratiche a casapropria, non si posero alcun limite con i “sel-vaggi”. Del resto, ben prima che ilrequierimento entrasse in vigore, Colombostesso aveva catturato e rapito centinaia diuomini e donne indigene per portarli comeschiavi e trofei in Spagna.

Non può stupire quindi che, a partire dal1992 (anno delle celebrazioni delcinquecentenario della “scoperta”), in tuttele Americhe si sia andato espandendo unmovimento indigeno di protesta contro lecelebrazioni del Columbus Day. Sono in par-ticolare gli indigeni nord-americani che chie-dono con forza di trasformare questa festache, senza alcun pudore, celebra l’uomo che

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Il Cerchio 8

Fatto in Cannara (PG) il 9 ottobre 2007

Per le Associazioni:

Il Cerchio – Coordinamento Nazionale di Soste-gno ai Nativi Americani,Borgo San Lorenzo (FI) Antonio VentreSoconas Incomindios, TorinoNaila ClericiHunkapi, GenovaSergio BugolottiGaia Terra, RomaMaurizio RosaceWambli Gleska, RavennaMassimiliano GalantiKiwani, FirenzeLuisa CostalbanoAlterNATIVI, RomaVittorio Delle FratteHuka Hey, PordenoneAuro BasilicòProgetto Todos Juntos, VareseAlessandra MarangonCoordinamento per il Monte Graham,Spilamberto (MO)Corrado BaccoliniIktomee – Castelmarte (CO)Giuliano PozziNativi Americani.itAlessandro Profeti

ha dato avvio alla colonizzazione e alla con-quista della loro terra. Dovrebbe bastare ilbuon senso per capire l’indelicatezza di talifesteggiamenti, tanto più che gli in-diani d’america non pretendono diimporre drastici divieti, ma chiedo-no solo di non considerare più que-sta ricorrenza come festa naziona-le. Essi considerano che un festa na-zionale può considerarsi tale soloquando è condivisa dall’insieme deicittadini di una nazione, e gli indige-ni nord-americani sono cittadiniamericani come lo sono gli italo-americani.

Nonostante le incessanti prote-ste dei discendenti degli abitanti ori-ginari del nord-america, anche que-st’anno, il 7 e l’ 8 ottobre, ilColumbus Day è stato celebrato e diversi in-diani americani sono stati arrestati per averedisturbato i festeggiamenti. E poiché questaè, senza ombra di dubbio, la festa degli italo-americani è a loro che noi, sostenitori dellerichieste degli indigeni nord-americani, inten-diamo rivolgerci.

Noi sappiamo che moltissime comunità edorganizzazioni di italo-americani respingonole richieste dei popoli indigeni asserendo checon il Columbus Day non si intendono festeg-giare la conquista e la colonizzazione, ma ilcoraggio, l’ingegno e l’audacia dimostratadagli italiani nel Nuovo Mondo, valori che sa-rebbero simboleggiati idealmente dalnavigatore genovese.

Noi ci limitiamo ad evidenziare agli italo-americani quanto più sopra brevemente ac-cennato e facciamo notare che la lunga sto-ria italiana è stata illuminata da molti perso-naggi che ben più appropriatamente che nonColombo danno lustro al nostro paese ed aidiscendenti degli italiani emigrati nelleAmeriche.

Ci auguriamo che i nostri connazionali vo-gliano cominciare a valutare diversamente lerichieste dei Nativi Americani, affinché anchequesto giorno possa divenire una vera occa-sione di orgoglio italiano; un momento nelquale i valori universali di giustizia storica e diequità sociale verso un popolo già oltraggia-to e perseguitato non siano ignorati al soloscopo di poter continuare a salire sul carrodei vincitori. La fortuna è già stata molto ge-nerosa con Cristoforo Colombo, che scoprì

le Americhe cercando le Indie, e che in suoonore ci sia anche una festa nazionale o nonon aggiunge né toglie nulla ai suoi meriti di

scopritore. Tutt’altravalenza avrebbe, in-vece, il fatto che adistanza di cinquesecoli i discendentidel conquistatorecominciassero a ri-conoscere anche idiritti dei discendentidei popoli conqui-stati.

Sono queste leragioni che ci indu-cono a sostenere lerichieste degli indi-geni americani e a

chiedere insieme a loro che il Columbus Daysia abolito come festa nazionale degli StatiUniti.

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Il Cerchio 9

NE UCCISE PIU’ IL MORBO CHE LA SPADA

Subito dopo l’arrivo deglieuropei gli indiani che abitava-no quello che sarebbe in se-guito diventato il territorio de-gli Stati Uniti d’America inizia-rono a diminuire rapidamentedi numero. Gli indiani si am-malarono in massa a causadei germi patogeni portati da-gli europei e moltissimi mori-rono a causa delle malattie. Ilcrollo demografico delle tribùfu così enorme che, dai primidel 1500 agli inizi del 1800, lapopolazione indiana si ridusseda diciotto milioni a meno diseicentomila persone. Natural-mente le epidemie uccideva-no anche gli uomini bianchi, mapoiché gli indiani non possede-vano gli anticorpi necessarimorirono in numero notevol-mente più elevato degli euro-pei. Poiché ai coloni piacevapensare che la distruzione d’in-teri popoli fosse il volere del“loro” Dio, essi consideraronouna benedizione del cielo lecontinue stragi della popola-zione indiana per opera dellemalattie. Eliminando grandeparte delle popolazioni indianele malattie prepararono la stra-da alla conquista militare edalla colonizzazione delle terretribali.

La prima epidemia porta-

ta nel Nuovo Mondo fu una in-fluenza suina che arrivò suHispaniola col secondo viaggiodi Colombo. La seconda epi-demia fu di vaiolo e anche que-sta cominciò su Hispaniola. Nel1520 il vaiolo arrivò anche innord America e per tre secoliflagellò le tribù con un tassomortalità dell’ordine del 75%.Se si considera che fra i colonieuropei il tasso di mortalitàarrivava al massimo al 10-15% si può capire quale effet-to devastante ebbe questamalattia nei rapporti fra bian-chi ed indiani.

Il 30 maggio 1539Hernando de Soto sbarcò vi-cino Tampa Bay, in Florida, conottocento uomini, trecentomaiali ed una quantità enor-me di rifornimenti. Per quat-tro anni vagò attraverso i ter-ritori che ora sono conosciuticome Florida, Georgia, nord esud Carolina, Tennessee,Alabama, Mississippi, Arkansase Texas. Durante la spedizio-ne i suoi uomini stuprarono,torturarono, asservirono educcisero innumerevoli indiani,ma la cosa peggiore che ac-cadde fu provocata dai maialiche avevano portato con loro.Questi animali trasmisero leloro malattie agli indiani. La

spedizione finì in undisastro per glispagnoli, ma l’epi-demia portata daimaiali dilagò in tut-ti i territori del sud-est annientando in-teri popoli. Nel1584 la corona bri-tannica inviò unaspedizione esplora-tiva lungo le costeatlantiche del nordAmerica con ilcompito di trovare

un luogo adatto all’insediamen-to di una colonia. Quei primicoloni raccontarono di una gra-ve epidemia che colpì gli india-ni che vivevano intorno allaColonia poco dopo il loro arri-vo: “La gente cominciò a mo-rire molto velocemente, e inpoco tempo; in alcune loro cit-tà ne restarono vivi solo alcu-ne decine ed in una città rima-sero vivi solo in sei”. Nel 1608i francesi stabilirono un postocommerciale a Quebec, nelterritorio degli Huron. Dopopochi anni gli Huron avevanoperso i due terzi della loro po-polazione a causa di una seriedi epidemie di vaiolo portatedai francesi. Il vascello ingleseMayflower approdò a CapeCod il 9 novembre 1620. Unmese più tardi i coloni si tra-sferirono nel sito dell’attualePlymouth dove trovarono unvillaggio indiano abbandonatoda poco tempo e vi trovaro-no folti campi di sepoltura, ca-panne vuote e scheletriinsepolti. Gli indiani morti era-no ammucchiati nelle case ele ossa erano sparse ovunque,ne erano morti così tanti chenon era rimasto più nessunoin grado di poterli seppellire.Secondo i Pellegrini: “la buonamano di Dio ha favorito i no-stri inizi. Spazzando via gran-di moltitudini di nativi poco pri-ma che venissimo quaggiù, lasua potenza ha fatto posto pernoi così che possiamo costru-ire le nostre case”.

Quando compresero qua-le formidabile arma di distru-zione di massa rappresenta-vano le epidemie gli europeiiniziarono a diffonderle volon-tariamente. Nel 1763 SirJeffrey Amherst, comandantein capo delle forze britannichedella Pennsylvania, suggerì a

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Il Cerchio 10

tale signor Bouquet, suo sot-toposto, di fare arrivare il va-iolo fra le tribù ostili. Bouquetgli rispose così: “proverò a in-fettarli con alcune coperte cheposso far cadere nelle loromani, e starò attento a nonprendermi la malattia”. Il 24giugno 1763, il CapitanoEcuyer dei Royal Americansscrisse nel suo diario: “A ripro-va del nostro riguardo per lorogli abbiamo dato due coperte

ed un fazzoletto presi da ma-lati di vaiolo ricoverati in ospe-dale. Spero che abbiano il de-siderato effetto”. Le epidemiedi vaiolo, diffuse ad arte omeno, colpirono ovunque eper molto tempo. L’area delNew Mexico fu colpita nel1719, 1733, 1738, 1746,1749 e nel 1780. In Texas cifurono continue epidemie divaiolo dal 1739 al 1778. Dueepidemie di vaiolo nel 1709-10 e nel 1729-32 spazzaro-

no via la maggior parte deibambini delle tribù indiane del-la California meridionale. Nel1734-35 e nel 1779-80 ci fu-rono epidemie di vaiolo fra al-cuni gruppi Sioux, sulle pianu-re. Nello stesso periodo il va-iolo colpì anche gli Arikara, iMandan, gli Ojibway e gliHidatsa, nella regione dei Gran-di Laghi e la zona del fiumeColumbia. Gli Arikara ed iMandan persero più del 75%

della loro gen-te. Quando,nel 1782-83,l ’ e p i d e m i aspazzò la re-gione del fiu-me Columbiadistrusse daun terzo allametà degli in-diani dellazona.

Oltre alvaiolo ci furo-no molte altreepidemie nelXVIII secolofra gli indianinord-ameri-cani. Una dimorbillo, tredi influenza,una di peste,una di febbretifoidea, duedi tifo, due didifterite e duedi scarlattina.

Nella Nuova Inghilterra, nel bi-ennio 1763-64, la tubercolosiuccise più della metà dei bam-bini indiani e, quando si pre-sentò sull’isola Nantucket, nesterminò l’intera popolazione.

Mentre la popolazione in-diana andava scomparendo lapopolazione non-indiana au-mentava di numero in modoesponenziale. Nel XIX secolol’invasione del continente nordamericano da parte dei colo-nizzatori bianchi fu completa-

ta e la diffusione sul territoriodi coloni e militari si fececapillare. Guerre, deportazionie distruzione degli stili di vitatradizionali continuarono finoal raggiungimento degli obiet-tivi che le potenze coloniali pri-ma e il Governo degli Stati Unitipoi si erano prefissi. Molte tri-bù erano estinte, molte eranoridotte a poche decine di indi-vidui, tutte stavano per esse-re confinate nelle riserve dovele malattie dell’uomo biancoavrebbero continuato nellaloro opera distruttrice. Anchenel XIX secolo ci furonoventisei grandi epidemie fra gliindiani nord-americani: tredicifurono di vaiolo, cinque dimorbillo, tre di colera, due diinfluenza, ed una di difterite edi scarlattina. Fra le epidemiedi vaiolo quelle del 1801-1802e del 1836-1840 assunsero ilcarattere di pandemia. La pri-ma colpì inizialmente le tribùdelle regioni centrali del nord-ovest degli Stati Uniti e prati-camente distrusse le tribùOmaha, Ponca, Oto e Iowa.La seconda risalì il corso delfiume Missouri verso nord, de-vastando le tribù Arikara, GrosVentre, Mandan, Lakota eCrow. Quando i Crow, in fugadalla epidemia, arrivarono inquello che sarebbe diventatoil Territorio di Washington, tra-smisero il vaiolo alle tribùFlathead, Semte’use, Pendd’Oreille, Kalispel, Colville,Spokane e Salish che viveva-no lungo il fiume Columbia. Lapandemia di vaiolo scese an-che lungo il corso del Missourifino al Mississippi e da qui finoal Golfo del Messico. Si sparsepoi per tutto il Texas, in tutto ilsud-ovest e nelle pianure me-ridionali. Furono colpiti i Kiowa,i Pawnee, i Wichita, i Caddo etutti i popoli loro vicini. A queltempo le tribù della prateria ele altre stanziate più a sud,

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Il Cerchio 11

Massimiliano Galanti

persero più della metà dellaloro popolazione di quel tem-po. Il vaiolo fu presente fra letribù dell’Oregon, nel 1841; frale tribù della California centra-le, nel 1844; fra i Crow, nel1845; fra i Walla Walla, nell’at-tuale Stato di Washington, nel1846; fra gli Iowa, nel 1848;e fra i Coeur d’Alene ed iDakota, nel 1850. Attaccò iKickapoo, nel 1857; iWinnebago, nel 1860; ed iKiowa, i Cheyenne, gli Arapaho,i Sioux, i Seneca, i Cayuga, gliOnondaga, gli Apache Jicarilla,gli Ute, nel 1861-62. Nel1872-73 fu fra i Santee; nel1873 fra i Stockbridge, iMunsee, gli Oneida ed iMenominee. Nel 1876 fra gliApache e, nel 1877, fra i Pima,i Maricopa ed i Papago. Nel1882, fra gli Osage, i Kaw ed iQuapaw e, nel 1883, fra gliOjibway, gli Ute ed i Pueblo.Nel 1894, fra i Blackfoot. Nel1898, infettò nuovamente gliindiani Pueblo ed i Navajo; nel1899-1900, infettò i Creek eancora una volta gli ApacheJicarilla, i Sac e Fox e varie tri-bù indiane nella riserva Colvillenello stato di Washington, non-

ché i Choctaw, i Chickasaw, iSeminole, gli ApacheMescalero, i Crow ed ancoragli Ojibway, i Shawnee, gliYakima e gli Yankton.

Anche altre malattie col-pirono gli indiani durante il XIXsecolo. Nel 1830, una epide-mia di influenza, iniziata inCina, raggiunse l’Europa e poi,da Londra, arrivò negli StatiUniti uccidendo il 75% dei com-ponenti delle tribù dell’Oregone dell’odierno Stato diWashington. Poi si estese an-che a sud dove uccise più di20.000 indiani nelle valli cen-trali della California. Nel 1833,una epidemia di colera, porta-ta dalla grande immigrazionedegli irlandesi, invase il Terri-torio Indiano. L’immigrazionedei mormoni nella regione delGrande Bacino, all’inizio del1847, portò nella regionemolte malattie agli indiani lo-cali che, grazie al loro totaleisolamento, fino ad allora era-no rimasti pressoché immuni.A queste tribù capitarono insequenza tutte le malattie chegià avevano colpito altrove. Ilmorbillo nel 1848-49, il colerae la malaria nel 1849, la tu-

bercolosi nel 1850, lascarlattina e la tosse ca-nina nel 1853, gli orecchio-ni nel 1854, il vaiolo dal1853 al 1856. Anche lepopolazioni indiane delGrande Bacino diminuiro-no velocemente di nume-ro in pochi anni.

Nonostante la conti-nua aggressione delle ma-lattie, dei conquistatori,degli speculatori gli indianiamericani sono riusciti asopravvivere. Hanno sop-portato e superato soffe-renze fisiche, fame, ma-lattie e umiliazioni cocen-ti. Ancora oggi le condizioni

di vita in molte riserve indianesono terribili, in esse l’indice dipovertà è quasi quattro voltesuperiore alla media naziona-le degli Stati Uniti. Il tasso disuicidi tra i giovani indiani fra iquindici ed i ventiquattro anniè superiore del 200% al tassonazionale per la stessa fasciad’età. Gli indiani sono otto vol-te più soggetti a contrarre latubercolosi degli altri cittadiniamericani e il 37% di tutti gliindiani muore prima deiquarantacinque anni. Ciò no-nostante gli indiani americanisono ancora dove sono sem-pre stati, di fronte alla cattivacoscienza di chi per secoli hatentato di distruggerli fisica-mente, culturalmente e psico-logicamente. Ciò nonostantegli indiani americani sono an-cora dove sono sempre stati,a fianco di chi desidera percor-rere insieme a loro un trattodi strada.

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Il Cerchio 12

COLOMBO ROVESCIATO DAL RISVEGLIODEI POPOLI INDIGENI DOPO 5 SECOLI?

Aveva navigato verso ovest per 5 setti-mane ed aveva intuito d’esser vicino quan-do, alle due del mattino del 12 ottobre, leonde illuminate solo dalla luna e dalle stelle,fu’ avvistato un blocco scuro dritto avanti:terra! Cristoforo Colombo aveva raggiunto ilNuovo Mondo.

All’alba sbarco’ su una piccola imbarca-zione con degli uomini armati, e piantò al suolouno stendardo reale. Con un giuramento so-lenne prese possesso del territorio per contodei reali di Spagna. Gli indigeni nativi del po-sto apparvero da dietro gli alberi e osserva-rono a distanza, confusi. Era il 1492.

Oltre 5 secoli dopo, l’anniversa-rio dell’evento riecheggia con unclamore infausto. Milioni di per-sone in Sud e Centro Americadeplorano quell’incontro alleBahamas come l’inizio dell’an-nientamento dei loro antenati.Gli abitanti indigeni persero tut-to a favore degli invasori: oro,terra, libertà, cultura, finche nonrimase pressoché nulla. Malat-tie e schiavitù li spazzarono viaquasi tutti.

“Fù una calamità” dichiara Mark Horton,archeologo ed esperto studioso di Colombodell’Università di Bristol.

Ora, tuttavia, è in corso un contrattac-co. Dopo secoli vissuti come diseredati, i po-poli indigeni si stanno risollevando - pacifica-mente – per riappropriarsi del potere politicoe riaffermare la loro eredità culturale. La co-siddetta “marea rossa” dei governi di sinistraè montata dietro i movimenti intenti a sman-tellare la tradizione eurocentrica della regio-ne, iniziata con Colombo.

L’esploratore che in tutte le Ande era sa-lutato come un eroe dall’elite europeizzata,stà ora vedendo riscritta la propria storia, unasua statua abbattuta e il suo nome gettatonel fango. E a condurre l’assalto è HugoChavez, presidente del Venezuela.

Con tono incredulo, in un recente discor-so trasmesso dalla televisione, ha dichiara-to: “Ci hanno insegnato ad ammirareCristoforo Colombo - sfogliando un libro di

testo degli anni 70 – in Europa parlano anco-ra di scoperta dell’America e ci chiedono difesteggiare quel giorno”. Piuttosto, Chavezha rinominato il 12 ottobre “giorno della resi-stenza indigena” e ha lanciato una campa-gna contro i residui del colonialismo. “I libri ditesto devono essere rivisti alla luce delle nuo-ve evidenze storiche, e rivalutare la figura deipopoli che si opposero alla conquista spagnolacome autori di una resistenza vana ma eroi-ca.” Questa settimana Chavez, orgoglioso diessere figlio di madre indigena, ha ribattezzatola funivia che sovrasta Caracas, chiamandola

Warairarepano, che nella lingua indi-gena locale significa “grande mon-tagna”.

Le autorità cittadine hannoconfermato che la statua di Colom-

bo abbattuta dagli attivisti in unapiazza di Caracas tre anni fa ri-marrà in un deposito. Le ripa-razioni sono state quasi ter-minate ma non tornerà sul suopiedistallo in quanto il luogodove si trovava ha cambiatonome: Viale Colombo è diven-tato Viale della Resistenza In-

digena. La statua sembra destinata ad un mu-seo.

Un’altra statua, invece, quella della leg-gendaria regina indigena Maria Lionza, oggettodi culto fiorente, è stata restaurata con granderisalto. Migliaia di devoti si sono recati sullamontagna sacra di Sorte per l’annuale festivalin onore suo, di un capo indigeno e degli schia-vi neri uccisi dagli spagnoli.

Quella di Colombo è una reputazione co-stellata di continui alti e bassi. Una disputacon i reali di Spagna lo condusse in catene ein disgrazia. I Vittoriani lo riabilitarono comeispiratore per il loro esploratori, creando l’im-magine di un prode che ancora perdura inOccidente. La Spagna spera che le analisi delDNA dimostrino che fosse originario della Ca-stiglia, mentre l’Italia è certa che conferme-ranno le sue origini genovesi. Negli USA ilcinquecentenario ha lasciato molti dibattitiaperti sul declassamento della sua figura asemplice vassallo, ma la controversia non fù

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Il Cerchio 13

chiarita ed ha lasciato al navigatore un’im-magine ammaccata ma ancora riverita. I bam-bini delle scuole statunitensi non vanno a scuo-la il giorno in cui si festeggia il Columbus Day(o quello che ne rimane). Tuttavia, inSudamerica i governi di sinistra radicale diBolivia, Ecuador e Venezuela stanno ribaltan-do quello che loro considerano la sua eredi-tà: secoli di dominazione spagnoli ed i lorodiscendenti che, élite dalla pelle chiara, hannocontinuato ad opprimere i compatrioti dallapelle più scura anche dopo che il continenteottenne l’indipendenza.

“Ancora oggi ci concepiscono come ani-mali, come i cani. Questo deve cambiare, edè per questo che stiamo combattendo, peressere riconosciuti come cittadini uguali conparità di diritti “, ha detto Wilber Flores, mem-bro del Congresso e presidente del ParlamentoIndigeno Boliviano.

In Venezuela Chávez custodisce comereliquie i diritti indigeni in una nuova costitu-zione, e ha reso visibili le 35 tribù del Paesetramite emittenti televisive finanziate dalloStato che trasmettono da regioni sconosciu-te agli abitanti delle città.

In Ecuador, il Presidente Rafael Correa,che spesso indossa abiti tradizionali e parla inQuechua, ha chiamato a raccolta i suoi elet-tori indigene nello suo sforzo di “reinventare”il paese in chiave socialista.

Il Presidente Evo Morales, un indianoAymara e primo leader indigeno della Bolivia,ha anche unito diritti indigeni con un program-ma socialista ostile a Washington. Lui ritienegli Stati Uniti come l’ultima manifestazione diun colonialismo predatorio iniziato nel 1492.

Morales ha accusato gli Stati Uniti di sac-cheggio delle risorse naturali Boliviane e di per-seguire i coltivatori di coca come se fosseroproduttori di cocaina, mentre in realtà essiproseguono la coltivazione di una pianta cheaveva altri usi (decisamente più innocenti, ndr)sin dai tempi degli Incas. Rimarcherà quindil’anniversario del Columbus Day con una visi-ta alla coltivazione di coca della regione delChapare, dove si stà svolgendo un vertice deipopoli indigeni di tutta l’America latina. In unaintervista al Guardian, il leader indigenoboliviano ha suggerito “ai rapaci intrusi asse-

The GuardianVenerdi 12 ottobre 2007

Rory Carroll

tati di ricchezze che attraversarono l’oceanoe inventarono il capitalismo” che “i nativiavrebbero dovuto studiarli, non conquistarli”.

“Le comunità indigene sanno come vi-vere in armonia con la madre terra, ed è que-sta la differenza tra noi, l’Europa e gli StatiUniti” ha infine dichiarato Morales.

Sentendo queste affermazioni, a qual-cuno per caso è venuta in mente l’attuale si-tuazione del nostro Pianeta?

Rimini - (Fabrizio De Andrè)[...]

E Colombo la chiamadalla sua portantinalei gli toglie le manette ai polsigli rimbocca le lenzuola

“Per un triste Re Cattolico - le dice -ho inventato un regnoe lui lo ha macellatosu di una croce di legno.

E due errori ho commessodue errori di saggezzaabortire l’Americae poi guardarla con dolcezza

ma voi che siete uominisotto il vento e le velenon regalate terre promessea chi non le mantiene “

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Il Cerchio 14

MESSICOIncontro dei Popoli Indigeni d’America

Oramai sono passati 13 anni da quellontano 1° gennaio 1994, quando le popola-zioni indigene del Chiapas, aggregate nell’Eser-cito Zapatista di liberazione nazionale, inizia-rono la loro lotta per l’emancipazione indige-na, raggruppando le loro richieste in poche esemplici parole: libertà, giustizia e democra-zia. Parole semplici, ma che si portano dietrouna forte necessità di un cambiamento nonsolo nello stato del Chiapas, ma in tutto ilMessico, dove gli “ultimi”, i poveri, i lavorato-ri, vivono in assenza di diritti e soprattuttonell’impossibilità di decidere del loro futuro.Gli indigeni messicani sono la “categoria” chepiù ha sofferto e soffre della mancanza di de-mocrazia, della mancanza di rispetto per laloro identità e la loro cultura.

In questi giorni si è concluso a Vicam,stato di Sonora, all’interno della comunitàYaqui, l’Incontro dei Popoli Indigeni d’Ameri-ca, cui hanno partecipato oltre 1.500 perso-ne con delegati da tutto il continente in rap-presentanza delle popolazioni indigene, tra cuii popoli dell’America del Nord: hopi, lakota elakota-omaha, pitriver, gitxaan redwire,mohawk, anishabe, dene, apache, cherokee,navajo, chiricahua, samaritan e aqwesasne(Stati Uniti); ojibwa, salish, secwepme,ktnuxa, mohawk, dine e anishawebkwes (Ca-nada), dell’America Latina, il popolo wayuu(Venezuela), kekchí e mam (Guatemala),lenca (Honduras), kichwa-sarguro (Equador),miskito (Nicaragua) e guaraní (Paraguay), ol-tre ai rappresentanti delle moltitudini indigenedel Messico.

L’incontro si è aperto con le parole diun rappresentante del Congresso NazionaleIndigeno: “La realizzazione di quest’incontro,in queste terre, è in se stesso un messaggiodi ribellione dei nostri popoli in difesa dellamadre terra e contro il capitalismo ecocida,etnocida e genocida, che vuole spogliarci deinostri territori, abitati dai primi abitanti delle

nazioni, popoli e tribù d’America e del mon-do”.

All’incontro ha partecipato il Sub-co-mandante Marcos, come rappresentantedell’EZLN, mentre i comandanti che doveva-no partecipare all’incontro sono stati costrettia rientrare nelle loro comunità in Chiapas, acausa di motivazioni di sicurezza. Infatti, lapolizia federale e statale aveva installato unaserie di posti di blocco per entrare nello statodi Sonora, perquisendo e spesso derubando idelegati indigeni che arrivavano da tutto ilcontinente.

Nell’incontro i vari rappresentanti han-no descritto le loro esperienze di repressionee di lotta, di resistenza contro un potere chenelle sue molte forme appare sempre ugualee sempre con gli stessi obiettivi da Nord aSud dell’America, il saccheggio dei territoridegli indigeni per far spazio a speculazionid’ogni genere e per negare l’esistenza dellepopolazioni native. Si è molto discusso an-che di come superare le divisioni tra indigeni,fomentate dal potere e ad esso funzionali.Un esempio sono le comunità yaqui, divisedal governo appositamente per fiaccare laloro capacità di resistenza e potersi in talmodo impadronire di parte del loro territorio.E alla fine si può dire che l’evento maggior-mente caratterizzante dell’incontro è statoproprio il venir meno del ruolo delle frontiere.Durante l’incontro non esistevano più fron-tiere fra gli Stati, ma un’unica enorme neces-sità, quella di unirsi per lottare contro il siste-ma capitalistico che li sta massacrando e por-tando verso la rovina come popolazioni indi-gene. Un altro importantissimo evento è statoil rivedere popoli indigeni, divisi per anni daguerre fratricide, riunirsi sullo stesso palco eparlarsi com’è avvenuto per i triquisoaxaqueños.

Vicam – Sonora (Messico)

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Il Cerchio 15

I CHEROKEE, TROPPO CIVILI PER VIVEREdi Noam Chomsky

Il governo americano, mentre realizzavail suo progetto di deportazione degli indiani edi annessione delle loro terre, fu anch’essoassillato dal problema di come suscitare nellementi dei ‘rudi barbari’ la consapevolezza deiloro reali bisogni. L’esempio probabilmente piùrilevante si ebbe nel 1880, quandoWashington decise di annullare i solenni trat-tati che riconoscevano alle ‘cinque tribù civi-lizzate’, brutalmente cacciate dalle loro terred’origine, la proprietà dell’Oklahoma orienta-le. Il territorio indiano era stato concesso aqueste nazioni, senza limiti di tempo, con un‘patto’ del 1835 che molti capi indiani furonocostretti ad accettare riconoscendo che “lorosono forti e noi siamo deboli”. “Eravamo tutticontrari alla svendita della parte orientale delnostro paese”, scrissero i firmatari al Con-gresso, condannando il governo Usa per “averfatto di noi dei reietti e degli esuli nella nostraterra, facendoci allo stesso tempo cadere inun abisso di degradazione morale che sta por-tando il nostro popolo verso un rapido an-nientamento”. Per i coloni inglesi, gli accordidi pace avevano un significato particolare,come spiegò il Consiglio di Stato della Virginianel ‘600: non appena gli indiani “si sentirannosicuri per il trattato, avremo un ottimo van-

taggio sia perprenderli di sor-

presa che pertagliare il lorogranturco”.Un’idea sem-pre attuale.

Il trattatodel 1835aveva già so-stituito quelliprecedenti,che risalivanoal 1785,quando le co-lonie ameri-cane resesirecentemen-

te indipendenti da Londra imposero aiCherokee (i quali, ovviamente, avevano ap-poggiato gli inglesi nella guerra rivoluziona-

ria) di rinunciare ufficialmente a delle terre che,secondo antecedenti impegni, sarebbero in-vece spettate agli indiani. Il tutto mentre sul-la carta veniva scritto che il Congresso “nonvuole alcuna delle vostre terre, né qualsiasialtra cosa che vi appartenga”. “Un atto uma-nitario e generoso da parte degli Stati Uniti”,secondo le parole del rappresentante ameri-cano. Nel 1790, George Washington assicu-rò i Cherokee che “in futuro non potrete es-sere privati delle vostre terre”: il nuovo go-verno “proteggerà tutti i vostri diritti... Gli StatiUniti saranno onesti e manterranno i loro im-pegni”. Il presidente Jefferson aggiunse: “Sin-ceramente vi auguro di avere successo neivostri lodevoli sforzi per salvare ciò che re-sta della vostra nazione e di potervi dedicarea laboriose occupazioni, sotto un governobasato sulla legge. In questo potrete semprefar conto sui consigli e l’assistenza degli StatiUniti”. Negli anni che seguirono, i coloni conti-nuarono ad occupare i territori indiani impo-nendo sempre nuovi trattati e cessioni terri-toriali. Nelle aree rimaste agli indiani, a partiredal 1800, sorse una fiorente società agricolacon manifatture tessili, scuole, macchine dastampa, ed un governo efficiente molto am-mirato dagli stranieri. Nel 1825, una relazio-ne destinata al Dipartimento della Guerra dette“una descrizione entusiastica del paese e dellanazione Cherokee”, come ricordò HelenJackson nella sua (per molti versi) eccezio-nale storia ottocentesca della deportazionedegli indiani, citandone lunghi elogi nei con-fronti dell’avanzata civiltà sviluppata daiCherokee e dei ‘principi repubblicani’ sui qualisi basava. Intanto, i maggiori filosofi europeidissertavano sulla strana mancanza di ‘forzapsichica’ all’origine della fine degli indiani e delloro ‘scomparire non appena lo Spirito si saràavvicinato’ attraverso la presenza europea.

Per quanto notevoli, nel caso deiCherokee, quei progressi erano stati com-piuti dal popolo sbagliato che, in quanto tale,di nuovo sbarrava la via del ‘progresso’ inte-so nel senso ‘politicamente corretto’ della pa-rola. L’”Indian Removal Act” (Decreto sull’Al-lontanamento degli Indiani) del 1830 diAndrew Jackson fu seguito da un trattato

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Il Cerchio 16

imposto nel 1835, con il quale i firmatari ri-nunciavano a tutte le rivendicazioni delle ‘na-zioni civilizzate’ indiane sulle loro terre ad estdel Mississippi. Jackson fu profondamente col-pito dalla propria generosità “nell’aver fatto ilmio dovere nei confronti dei nostri figli rossi”.“Ogni possibile fallimento rispetto alle mie buo-ne intenzioni, non potrà essere attribuito ame ma al fatto che essi non sono stati capacidi assolvere ai doveri verso se stessi”. Nonsolo Jackson stava concedendo a “questi figlidella foresta” l’opportunità “di migliorare la lorocondizione in una terra ignota” come aveva-no fatto “i nostri antenati”, ma persino prov-vedeva a sostenere “il costo del loro allonta-namento”, un gesto colmo di “sentimentiamichevoli” che “migliaia di persone della no-stra stessa gente accetterebbe lietamente”se solo fosse offerto anche a loro.

Tre anni dopo, 17 mila Cherokee furonocacciati dalle baionette dell’esercito america-no verso l’Oklahoma “su un percorso così se-gnato dalle tombe che da allora fu sempreconosciuto come il ‘sentiero delle lacrime’”(Thurman Wilkins); solo la metà dei Cherokeesopravvisse a quell’operazione che il ministrodella Guerra definì, con il solitoautocompiacimento che si accompagna adindicibili atrocità, come il frutto di una “politicagenerosa e illuminata” del governo Usa.

Passando in rassegna le notevoli realiz-zazioni della nazione Cherokee edil trattamento che le fu riserva-to, Helen Jackson scrive: “Nel-l’intera storia dei rapporti trail nostro governo e le tribùindiane, non vi è un capitolocosì oscuro quanto la storiadelle perfidie commesse ver-so questa nazione. Verrà ungiorno in cui, nel lontano fu-turo, allo studente di storiaamericana tutto ciò sembre-rà quasi incredibile” - un giudi-zio indiscutibile, anche se quelgiorno rimane ancora lontano(14).

Nel 1870, il Ministero degli Interni ameri-cano riconobbe che “i Cherokee, come le al-tre nazioni civilizzate indiane [del territoriodell’Oklahoma], possiedono per sempre le loroterre con titoli definiti dalla suprema legge dellaterra”, una “dimora permanente” concessa“dietro la più solenne garanzia degli Stati Uni-ti” che “rimarrà loro per sempre - una dimorache non sarà mai in futuro ostacolata dal-

l’estendersi intorno ad essa dei confini o dal-l’imposizione su di essa della giurisdizione diun Territorio o di uno Stato”, o disturbata inalcun modo. Sei anni dopo, il Dipartimentodichiarava che la situazione nel territorio in-diano è “complicata ed imbarazzante, e sipone la questione se sia possibile permettereche una notevole parte del paese debba ri-manere per un periodo indefinito come un’in-colta area improduttiva, oppure se il governodebba decidere la riduzione dell’estensionedella riserva”. Il Dipartimento aveva preceden-temente descritto quella ‘incolta areaimproduttiva’ come un miracolo del progres-so, con una prospera attività produttiva edun popolo che viveva in un discreto benesse-re, con un livello di istruzione “paragonabile aquello impartito da un normale college degliStati Uniti”, un’industria ed un commercio fio-renti, un efficiente governo costituzionale, unalto tasso di scolarizzazione ed un’atmosfe-ra generale di “civiltà e di illuminismo” nonparagonabile a qualsiasi altro paese: “Quelloche nel caso dei britannici ha richiesto per lasua realizzazione 500 anni, loro l’hanno ot-tenuto in 100", dichiarava meravigliato il Di-partimento degli Interni (15).

Nel 1880 Helen Jackson termina il suo re-soconto con una domanda “Il governo degliStati Uniti deciderà di ‘ridurre l’estensione dellariserva’?”. Avrebbe avuto presto una rispo-

sta, esattamente nel senso da leiprevisto. Ancora una volta,

l’avanzata civiltà degli indianiimpediva il progresso della Ci-viltà propriamente intesa.

Angie Debo nella sua fa-mosa ricerca “E le AcqueContinuano a Scorrere” de-scrive quello che sarebbe poisuccesso. Nel territorio india-no indipendente, la terra eradi proprietà collettiva e la vita

era prospera e felice. Il“Federal Indian Office” (Ufficio

Federale Indiano del governo cen-trale) si opponeva al carattere co-

munitario della proprietà terriera sia per mo-tivi ideologici, sia per i suoi effetti pratici: osta-colava la conquista da parte di intrusi bianchi.Nel 1883, un gruppo di presunti filantropi ini-ziò ad incontrarsi per discutere i problemi de-gli indiani. Al loro terzo incontro partecipò ilsenatore Henry Dawes del Massachussets,considerato un ‘eminente esperto degli india-ni’, appena tornato da una visita nel territorio

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Il Cerchio 17

Note:N. 14. Jackson, “Century”. Wilkins, “CherokeeTragedy”, p. 3, 4, 287. Sul trattato di pace,Stannard, “American Holocaust”, p. 106.Andrew Jackson, Rogin, Fathers, 215n. Per levalutazioni sul numero delle vittime, vediLenore Stiffarm e Phil Lane, ‘The Demographyof Native North America’, in Jaimes, “State”.N. 15. Jackson, “Century”.N. 16. Per dettagli, vedi il mio ‘Divine Licenseto Kill’, con discussioni di opere di e suNiebuhr, pubblicate in gran parte in “GrandStreet”, inverno 1987.

L’articolo è tratto da: ANNO 501, LA CON-QUISTA CONTINUA. L’epopeadell’imperialismo dal genocidio coloniale aigiorni nostri, di Noam Chomsky, Gambe-retti Editrice, Roma 1993.L’intero libro è leggibile su:www.tmcrew.org/archiviochomsky, dovec’è un intero archivio sulle sue opere (alcu-ne opere, tra cui questa, sono completa-mente disponibili in formato web).

indiano. Come altri osservatori, il senatore eraentusiasta di ciò che aveva visto: “Non esi-ste un solo povero in quella nazione, e la na-zione non ha il minimo debito. Ha eretto lapropria capitale, da noi visitata, ed ha costru-ito scuole e ospedali”. Nessuna famiglia erasenza casa.

Detto ciò Dawes consigliò di spazzar viaquella società, perché aveva un difetto di fon-do, del quale gli arretrati indigeni non si eranoresi conto:

“Il difetto del sistema era ovvio: essi han-no raggiunto il loro limite, perché la loro terraè di proprietà comune. E’ il sistema di HenryGeorge, ed in esso non vi è alcuna spinta adavere una casa migliore di quella del vicino.Non vi è egoismo, che è l’essenza della civil-tà. Finché questo popolo non rinuncerà allesue terre e non le dividerà tra i cittadini inmodo che ognuno sia proprietario della terrache coltiva, non potranno progredire oltre”.

In breve, anche se in apparenza civilizza-to e avanzato, quel popolo era culturalmentearretrato, non avendo coscienza della ‘fon-damentale tendenza umana a consumare’ oad avere la meglio sui vicini, e ignorando la‘spregevole regola dei padroni’.

La proposta di Dawes di portarel’illuminismo ai selvaggi fu approvata daifilantropi della costa orientale, e presto appli-cata. Dawes fece varare una legge che vieta-va la proprietà collettiva della terra e presie-dette i lavori della commissione che gestì laconseguente spoliazione degli indiani. Le loroterre e proprietà furono saccheggiate, e gliindiani furono dispersi nelle remote zone ur-bane dove soffrirono un’atroce povertà e mi-seria.

Così vanno gli esperimenti; non semprefunzionano. Ma, a ben vedere, questo comegli altri test condotti nelle nostre ‘zone disperimentazione’ in genere si sono conclusicon il successo di coloro che li pensano e lirealizzano: gli architetti della politica, secon-do Adam Smith - uomini d’onore, sempreguidati dalle intenzioni più generose che, guar-da caso, coincidono con i loro interessi. Se gliesperimenti non hanno funzionato per le po-polazioni indigene del Nordamerica - o per ibrasiliani, gli haitiani, i guatemaltechi, gli afri-cani, i bengalesi, o le madri che ricevono negliUsa l’assistenza pubblica, o altri che intralcia-no il passo ai ricchi che comandano - possia-mo cercarne il motivo nei loro geni, nei loro‘difetti’ e insufficienze. Oppure possiamo me-

ditare sulle iro-nie della storia.

Si compren-de facilmentel’attrazione cheprovavano gliintellettuali deldopoguerra perl’opera diR e i n h o l dNiebuhr, ‘il teo-logo del siste-ma’, il santonedi intellettualik e n n e d i a n icome GeorgeKennan, e moltialtri. Quanto deve essere confortevole medi-tare sul “paradosso della grazia”, il punto car-dine del suo pensiero: l’inevitabile “macchiadel peccato su tutte le conquiste storiche”. Lanecessità di “scegliere consapevolmente ilmale per la salvezza del bene” - dottrine ras-sicuranti per coloro che si preparano ad “as-sumersi le responsabilità del potere” o, in pa-role povere, ad iniziare una vita da criminali(16).

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LA INSENSATA METAMORFOSIDELLE CULTURE IMMATERIALILA INSENSATA METAMORFOSIDELLE CULTURE IMMATERIALI

Alessandro Portelli

Scriveva Ralph WaldoEmerson, poeta e filosofo delRinascimento americano: “Lasacralità inerente all’atto dellacreazione, all’atto del pensie-ro, viene trasferita alla suaregistrazione. Il cantare delpoeta era sentito come qual-cosa di divino; pertanto, an-che la canzone è divinizzata.Lo scrittore era uno spirito giu-sto e saggio; d’ora in avanti,allora, il libro è perfetto, el’amore per l’eroe divental’amore per la sua statua.”

Ciò di cui Emerson ci parlariguarda la differenza tra unbene immateriale come pro-cesso, come azione – l’attodel cantare – e l’idolatria ver-so il suo consolidamentocome testo, registrazione, li-bro, manufatto.

L’atto, la capacità creatri-ce è quello che conta; il risul-tato ne è solo la testimonian-za. Questo è tanto più veroin quelle culture che, affidan-dosi soprattutto all’oralità,producono i cosiddetti beniculturali immateriali: beni,cioè, che non consistono inoggetti o in testi, ma nellapossibilità socialmente diffusadi crearli o ri-evocarli. Una tra-dizione infatti non è un reper-torio di forme immutabili, ben-sì un processo in continuaevoluzione, reso possibile dallacapacità dei suoi protagonistidi evocare memoria e di pro-durre cambiamento.

Scrive Lesile Marmon Silko,autrice americana indianaPueblo: “Oggi la gente pensache le cerimonie dovrebberoessere eseguite esattamentecome si è sempre fatto, e chebasta un lapsus perché la ce-

rimonia debba essere inter-rotta o il disegno di sabbia di-strutto. Ma il cambiamento ècominciato già molto tempofa, quando la gente ha rice-vuto in eredità queste cerimo-nie, non fosse altro che perl’invecchiare del sonaglio dizucca giallo o il restringersidella pelle sull’artiglio d’aquila,o anche solo per come cam-biavano le voci di generazio-ne in generazione di cantori.”

Dunque, lavorare per i beniimmateriali della tradizioneorale non significa proteggerel’immutabilità di culturefolkloriche pensate come re-sidui congelati di passatilocalistici (come nelfolklorismo fascista che rele-gava il mondo popolare in unospazio di subalternità con lapretesa di esaltarne le tradi-zioni). Significa, piuttosto, ga-rantire il diritto e la possibilitàche la tradizione si trasformicon i suoi stessi mezzi e se-condo le proprie necessità, eche questa trasformazionenon sia né eterodiretta né im-posta.

D’altra parte, la memoriastessa è soprattutto un pro-cesso: non un deposito di datiin via di progressivo disfaci-mento, ma una perenne ricer-ca di senso nel rapporto con ilpassato e nel riuso dei reper-tori culturali. Nessun cantoreo suonatore eseguirà due vol-te lo stesso brano nello stes-so modo, nessun narratoredirà due volte la stessa storiacon le stesse parole; perché,anche se vengono dal passa-to, queste espressioni simaterializzano nel presente eil presente vi irrompe con le

sue domande e le sue richie-ste. Infatti, gran parte delleforme espressive popolarisono destinateall’improvvisazione: basti pen-sare allo stornello, al blues, al-l’ottava rima, persino al rap,ai muttus della tradizione sar-da. In questo caso, non è tan-to la singola ottava o il singo-lo stornello a costituire unbene culturale, quanto la ca-pacità del cantore o del poetadi reinventarne sempre di nuo-vi.

Per questo però, comescrive un’autrice Pueblo, Pao-la Gunn Allen, le culture chefanno affidamento sull’oralitàsono sempre “a una genera-zione dalla scomparsa”: ba-sta il silenzio di una genera-zione perché esse si perdano.Le culture popolari hanno i lorospecialisti ma non si affidanosolo a loro: ciascuno mettemano alla loro continuità an-che solo ripetendo (a modosuo) le espressioni trasmes-se nella memoria culturale.Come mediano tra memoriae innovazione, continuità ecambiamento, così le culturedell’oralità si collocano su undifficile e affascinante crinale,fra il locale e il globale. Rin-chiudere il “folklore” dentrouna definizione regionalisticalocale è un’altra violenza. Pro-prio perché sono immateriali,le creazioni della cultura oralevolano senza frontiere: nelsud segregazionista degli StatiUniti, la sola cosa che bianchie neri condividevano era lamusica. Se una ballata comeil testamento dell’avvelenatola troviamo in Italia nel XVIsecolo, oggi è in Gran

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Alessandro Portelli insegna letteratura americana alla Fa-coltà di Scienze Umanistiche dell’Università la Sapienza; èfondatore e presidente il Circolo Gianni Bosio per la cono-scenza critica e la presenza alternativa delle culture popo-lari.L’articolo, pubblicato su Il Manifesto del 29/09/2007, ci èstato gentilmente concesso dall’autore, che ringraziamo; èuno stralcio della relazione presentata da Portelli al conve-gno organizzato dalla Biblioteca Nazionale di Roma, sullaconvenzione UNESCO per la salvaguardia dei patrimoni cul-turali intangibili (le cosiddette “culture orali”).Il tema affrontato è particolarmente interessante rispettoagli argomenti di cui tratta il nostro giornale, riflettendo sulvalore delle culture di tradizione orale e su cosa significhipreservarle.Io non credo che il senso di una cultura si mantenga o sitrasmetta conservando manufatti nei musei archeologici,per quanto importanti possano essere; purtroppo questo èil metodo di conservazione applicato, in america, dall’uo-mo bianco, che dopo aver sterminato e deportato le popo-lazioni indigene ne ha conservato le vestigia nelle vetrine.O ha registrato le lingue antiche con il lavoro degli etnologi,dopo che tali lingue non erano più parlate, perché le culturetradizionali erano state sradicate attraverso una politica digenocidio culturale che continua ancora oggi.Così, per citare un caso a noi ben noto, quando una quindi-cina d’anni fa gli Apaches rivendicavano il Mount Grahamcome luogo sacro su cui si svolgevano le cerimonie, fu lororisposto che non esistevano resti archeologici o prove scrittea testimonianza della sacralità del luogo…L’unico modo per preservare una cultura è praticarla, l’uni-co modo per preservare una lingua è parlarla tutti i giorni,è far sì che i termini a cui essa si riferisce si mantenganovivi, e continuino ad avere un significato nel quotidiano, equesto vale per qualsiasi cultura, per qualsiasi lingua, perqualsiasi tradizione, in ogni parte del mondo.

Luisa Costalbano

Bretagna e negli Stati Uniti,fatta propria da Bob Dylan epersino dai Led Zeppelin.

Tutto ciò non nega l’impor-tanza della documentazione edella conservazione dei testie degli oggetti. Nel suo “elo-gio del magnetofono”, GianniBosio notava che proprio lapossibilità tecnologica di fissa-re le performance della cultu-ra orale rende possibile la loroconoscenza critica e quindi ilriconoscimento della lorocomplessità e ricchezza. Que-sto è il compito della docu-mentazione: i beni culturaliimmateriali non si identificanocon le registrazioni, con i ma-nufatti, con i testi raccolti ne-gli archivi, nelle biblioteche, neimusei; ma abbiamo bisognodi archivi, biblioteche, museiper documentare la storia, perriconoscere le trasformazio-ni, anche semplicemente permettere in scena il pubblico ri-conoscimento dell’importanza– più ancora che di questi og-getti – delle persone e deigruppi sociali che li hanno cre-ati e che continuano a farlo.

Gianni Bosio affermava, aproposito di culture nonegemoni, che il lavoro cultu-rale è destinato a trasformarsiin lavoro politico perché deveproteggere e creare politica-mente le condizioni della pro-pria possibilità: la libertà diparola e di comunicazione,l’uguaglianza, la presenzadialogica e antagonista delmondo popolare. DicevaWoody Guthrie: “la canzone

popolare è forte se è forte ilmovimento operaio”: le cul-ture popolari vivono se vive ilpotere sociale dei loro prota-gonisti e creatori, se vivonole forme di rappresentanzaorganizzata e di presenzaconsapevole, i loro diritti civilie politici.

Una politica di tutela e pro-mozione dei beni culturaliimmateriali comincia con la di-fesa e l’allargamento della de-mocrazia, della cittadinanza,del diritto di parola e, soprat-tutto, del diritto ad essere

ascoltati. Comincia ripensan-do al grande insegnamento diErnesto de Martino, quandoricorda i suoi anni di ricercaetnografica al sud: “entravonelle loro case” - scriveva -“come un compagno”, comeun ascoltatore intento non adestrarre da loro canti o for-mule o credenze, ma a vive-re con questi uomini del no-stro tempo, questi cittadini delnostro paese, dentro una sto-ria che è la nostra stessa sto-ria.

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CRONACA DI UN VIAGGIO A WASHINGTONThea

Si parte. Sono le quattro del mattino enei nostri occhi traspare ancora il sonno.

Milano, l’aeroporto…i soliti controlli…tracui anche le scarpe. Presto, al gate di parten-za. Londra ed ancora una volta…..i soliti con-trolli. Qui non bastano più solo lecalzature….no….una valigia a testa e nulla dipiù. Chi ha il computer e la borsetta non puòpassare…sono due gli oggetti e NON uno comevorrebbero loro. Forse una bacchetta magi-ca potrebbe far diventare la borsetta cosìgrande da farci stare un portatile oppure ilportatile dovrebbe diventare elastico ed in-ghiottire la borsetta così…aaahhhhmmmm inun unico grande boccone…le guardieaeroportuali ne sarebbero molto compiaciu-te e la signora non si sentirebbe più severa-mente giudicata…ma le norme anti-terrorismocosì vogliono e sino a quando i computer nonsaran fatti di gomma e le borsette non saprandivenire borsone…gli aeroporti sono un po’l’imbarazzo delle genti che con calzini bucatie scarpe consumate oltrepassano alcune so-glie di disagio.

Finalmente in volo, quasi otto ore tranuvole e sogni. Mi diletto con un film…ne ab-biamo diversi tra i quali poter scegliere…misoffermo su quello di Beatrix Potter…la “vera”storia della scrittrice ed illustratrice di libri perbambini che sin dall’infanzia parlava conconiglietti, papere e tassi. Mi lascio trasporta-re dall’immaginazione ed il viaggio mi sembrameno spaventevole…si, ammetto, hopaura…non solo del lungo volo ma anche ditutto quel sistema che stiamo per andare adaffrontare ed in qualche modo adinfrangere…come unvetro, oppure unospecchio dietro alquale si nascondecomunque unuomo….le nostre pa-role dovranno rag-giungere quello; l’uo-mo e NON l’istituzione che egli rappresentaperché sarà il confronto tra uomini a portarefrutti e non il confronto tra enti ed istituzioniche spesso e volentieri pensano ai propri d’in-teressi e NON a quelli del singolo….comunqueun po’ di paura c’è l’ho e non intendo negarla.

Washington, con un sole meraviglioso,

un caldo avvolgente e la nostra prima tappa.Code Pink, la casa dove ci ospiteranno, ci nu-triranno e si occuperanno di noi. Come sorel-le mai viste, incontrate dopo una lungaattesa…c’accolgono, c’abbracciano e ci gui-dano verso le nostre stanze. Ad ogni portaun cartello di benvenuto “Cinzia e Paolo, NoDal Molin”, “Thea e Flavio, no military base inItaly” , Stephanie “Welcome, no military basein Italy” (probabilmente non riporto testual-mente quanto scritto semplicemente perchénon ricordo le parole esatte ma il senso èquello).

Si, per fortuna Flavio e Paolo ci hannoaccompagnate. La loro presenza, il loro con-forto sono stati punti importanti per noi, im-portantissimi, che hanno reso il viaggio mi-gliore!

Cinzia, Paolo ed io usciamo per un bre-ve passeggiata. Sono felice di questa scelta.Ci permette un sereno colloquioconoscitivo…non abbiamo mai, prima d’oggi,avuto l’opportunità di trascorrere così tantotempo insieme e camminare lungo i viali al-berati dopo il volo è il piede giusto con cuiaffrontare la missione che ci aspetta. Le con-versazioni si dilungano scambiando riflessionie passati.

La nostra prima cena con le donne inrosa. Moltissima verdura, un vero buffet diortaggi da cui attingere per energia. Wow, chefratellanza… che sorellanza...! Siamo già allavoro, discutendo gli eventi programmati peril giorno dopo. Sembra che la giornata delMercoledì sia pienissima, appuntamenti su ap-puntamenti. Vado a letto, appena poggio la

testa sul cuscino sono av-volta dalle onde del mate-rasso ad aria. Sprofondo,sprofondo… ssshhhhhhhh.

Al mattino siamo inpiedi prestissimo. Sarà il fusoorario (a casa è già mezzo-giorno). Presto, presto. Co-

lazione, e poi ci dividiamo. Stephanie, Flavioed io con il taxi in direzione agenzia Reutersper l’intervista con Democracy Now. Medea,Cinzia e Paolo in direzione Congresso per as-sistere alle prime udienze mattiniere. Appun-tamento verso le 10:00 nella House ofRepresentatives per partecipare alle interro-

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gazioni sui finanziamenti delle guerre.L’intervista è una grande emozione. Chi

ci avrà viste in streaming avrà certamenteletto la nostra tensione. La telecamera, que-sto oscuro tubo catodico pieno di crocettebianche dentro la quale dovremo guardare…agghhh… ma io non riesco a parlare guardan-do una scatola così lo sguardo sfugge men-tre punto il dito sulla foto di Vicenza, la no-stra Basilica Palladiana. Il cuore batte fortissi-mo, la bocca s’impasta tutta ma per la cau-sa, per la fiducia posta in noi dalle personerimaste a casa……qui non si può mollare!Stephanie ed io ci guardiamo di sovente, cer-chiamo, attraverso gli sguardi di riconoscereil nostro disagio reciproco…e lo riconosciamomentre Amy Goodman di Democracy Nowpone domande ed invita alla risposta.

Via di nuovo, questa volta con un altrotaxi. Non possiamo permetterci di cammina-re, andiamo di gran fretta ed i mezzi di tra-sporto pubblico si fanno attendere. Eccola, labianca “Casa dei Rappresentanti” uno per cia-scuno stato degli USA, questa casa ricolma dipolitici e di staffers, di genti che ricoprono ruolidi cui, a volte, non sono nemmeno consape-voli. La fila, una lunga fila di persone in attesadi entrare. Arriva una guardia ed invita molti aproseguire “avanti, avanti, svoltate l’angoloed ivi troverete un’altra entrata, suvvia, an-date…….” E noi, come pecore di un gregge,pur di tagliare i tempi già strettissimi, ci la-sciamo guidare verso la nuova entrata.

Metal detector e raggi X alle borse.Eccoci. Cerchiamo l’altra metà della nostradelegazione. Sono ancora all’interno di un’au-la. Noi aspettiamo fuori, non possiamo en-trare. L’usciere c’informa che tutti i posti asedere sono occupati e che non si può resta-re in piedi mentre legiferano. Va bene, aspet-tiamo pazientemente. Finalmente,eccole…Medea e Cinzia e Paolo ed altre don-ne di Code Pink; Midge e Desiree.

“Eccolo, eccolo, il Presidente dellaSeduta….Abercrombie” che esce dalla portariservata ai rappresentanti di governo…e noia rincorrerlo. Si ferma, ci ascolta..si, si, sem-bra interessato. Gli lasciamo il dossier tradottoin inglese, alcune foto ingrandite di Vicenza,una lettera al Congresso! Primo contatto im-portante così, quasi per caso, per una serie dicoincidenze. Evvia, nuova udienza. Sedutinella fila di sedie di fronte a noi, il MaggioreMeyers del Pentagono assieme ad altri uomi-ni con lo stesso taglio di capelli. Medea pren-de la mira e li fronteggia, noi capendo lo sguar-

do, prendiamo la mira da dietro ed iniziamoun attacco alla vicentina; nel cervello frulla “enoi che siamo donne, paura non abbiamo,abbiam dele bele bonelingue, abbiam dele belebonelingue……” e questo Meyers, dopo averciascoltate ed aver condiviso alcuni dati impor-tanti sul Dal Molin ci consegna il suo bigliettoda visita mentre i suoi “colleghi militari” irrigi-diti e sospettosi si chiudono in muto silenzio.Ha inizio l’udienza! Adocchiamo, ascoltiamo,Medea passa bigliettini scritti amatita…”osserva quello sullasinistra…dobbiamo fermarlo al termine del-l’udienza”, “lei, quella con la maglia rossa, an-che lei è da coinvolgere”.

Siamo sul filo del rasoio, pronte comepantere in agguato nella notte. Appena ter-mina l’udienza…..”Senator Jones, Mr. Jones,please, just a few words”….il Senatore si gira,stringiamo le mani ed inizio un colloquio chenon dura meno di mezz’ora. Consegniamoanche a lui tutto il dossier Dal Molin, egli ci dàil suo biglietto da visita ed indirizzo e-mail epromette di esaminare la questione. Ci giria-mo pronte al prossimo “agguato”.

Nel trambusto delle rincorse all’internodell’aula quasi mi sfugge un momento moltoimportante; solamente la coda del mio occhipercepisce una donna Code Pink; Desiree, cheapre la sua borsa da manager ma anzichéestrarne dei documenti contrattualioplà…dispiega una gigantografia attentamenteripiegata per non sgualcirla: la foto di un gio-vane soldato americano che sorregge tra lebraccia un bimbo Iracheno. Sanguina il bam-bino e la coperta che lo avvolge è tutta ros-sa. Il soldato piange, piange sul cadavere chestringe al petto. “No more wars” grida confermezza Desiree. “No more wars” aggiungeMidge che ora indossa una maglietta rosa conuna scritta contro le guerre. E noi, in mezzoa tutto questo, ci dobbiamo far sentire, cidobbiamo far ascoltare. La foto rende il tuttomolto più credibile ed influenza anche i nostri,il mio, stato d’animo. Con la coda dell’occhiocatturo la rabbia delle “mie donne”, catturo ildisgusto della guerra e Senator Jones…..traqualche secondo sei mio!

La giornata trascorre più o meno inquesto modo. Dentro e fuori dagli uffici e dal-le aule della Camera. A pranzo un breve saltoalla mensa interna, uno scambio di riflessionisul da farsi, due parole, due abbracci, un sor-riso e via ancora una volta. Il dovere ci chia-ma, il desiderio bruciante di fermare il mon-do, di fermare il nonsenso di questo mondo!

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Lasciamo il chiarore al neon delleaule e degli uffici per respirare l’ariasoleggiata della città. Ancora pochi passi eci troviamo di fronte alla casa bianca.Ahimé, che delusione, ho sempre pensatoche fosse enorme ed invece è un normaleedifico poco più grande di una villa veneta.Srotolano le bandiera “No Dal Molin”, inalto sventolano ed i passanti c’é ne chie-dono il significato. Il presidio di Code Pinkha organizzato questa manifestazionecontro Bush e la sua politica di guerra. Gi-rano in cerchio i cittadini, Joan con il suomegafono canta slogan, arrivano nuovebandiere, arrivano striscioni, le genti sistendono a terra in rappresentanza deimorti in battaglia. Arrivano le scolarescheche si fanno fotografare assieme a “queldiavolo di Bush” (un signore di rosso ve-stito, con tanto di coda appuntita, di cor-na in testa e di maschera con il volto diGeorge W)

Sogno o son desta? Cinzia ed io ciavviciniamo e ci facciamo fotografare as-sieme a lui.

Rientriamo che è già ora di cena. Ledame in rosa hanno già provveduto ai vi-veri ed ancora una volta troviamo un buffetdi cibo in attesa dei nostri palati affamati.Meda ha anche inviato Patch Adams acena. Egli arriva e tra mille abbracci e mo-menti di profonda commozione riusciamo fi-nalmente a trovare, ognuno, una propria col-locazione nel soggiorno della casa rosa. Chisul divano, chi sulle confortevoli poltrone afiori, chi sulle sedie ed anche chi in piedi.Surreale, non può essere vero…….gli occhis’incontrano…..la delegazione italiana, le don-ne in rosa, gli uomini in rosa, Eric il falegnameche al mattino abbiamo appena intravisto (haviaggiato 12 ore in risposta ad un appello lan-ciato in rete dalle ragazze. La casa abbisognadi letti a castello ed Eric, da fratello e gigantebuono, ha immediatamente risposto alle esi-genze delle donne di Washington). Insomma,il diavolo di Bush ancora di rosso vestito edarmato di forca che ci ha “seguite” sino a casa,Patch Adams con gli abiti multicolore chedeclama contro il consumismo…iniziano i can-ti, iniziano le danze contro le guerre…ed inuna sorte di stato di trance (forse sarà il fusoorario e la stanchezza della giornata a farsembrare tutto surreale) ci abbandoniamo acantare.

Ancora il materasso ad aria, blomp,blomp… sembra quasi d’essere in barca. Ma,

forse è pieno d’acqua…no..Flavio dice che èaria ed io gli credo. M’abbandono a Morpheusa mi lascio trasportare sino alle primissimeore del mattino seguente.

Appuntamenti, appuntamenti su appun-tamenti. La Camera, il Senato, nuovamentela Camera e poi ancora il Senato. Passiamoda un ufficio all’altro, da una commissione al-l’altra. Parliamo con Senatori, con assistentiai Senatori, con gli Staffers, con le donne gentilie con gli uomini un po’ meno cordiali.

Entriamo nel regno del sub-comitatoper ifinanziamenti…..agh…..deglutisco…mmmhhhmmmqui la vedo dura! Insomma nascono le primepolemiche nei confronti di Medea e David(amico di Stephanie e delle Code Pinkers, eglistesso ha risieduto a Bassano per alcuni anni– nonché fondatore diAfterDowningStreet.org). Il nostro fratello ela nostra sorella sono pronti a lasciare la salariunioni ma “l’antipatico” (sopranome conces-sogli da Cinzia) diventa più mite ed iniziano icolloqui. Riunione di circa un ora e mezzo tranotizie importantissime in merito a soldi fi-

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nanziati, non ancora finanziati, a richieste ri-salenti a 6 o sette anni fa che il Governo Ita-liano ha taciuto per molto, molto tempo. In-somma un vero “covo” d’informazioni. Ad uncerto punto “l’antipatico” difende i suoi intenti“le nostre sono truppe di risposta” egli so-stiene e continua “in caso di carestia, noimandiamo le truppe”. Ohi, sbotto, non riescoa trattenermi, vorrei saltargli al collo ma for-tunatamente ci divide un’ampia scrivania“cioè” quasi confusa, “lei mi vuol dire chequando la gente muore di fame voi mandatei soldati?”. Aggghhhhh, mi è concesso un mo-mento di rabbia? L’antipatico alza le mani “erasolamente un esempio che vi volevo dare,solamente un esempio”. Sarà anche un esem-pio, ma a casa mia gli esempi come questisanno puzza di marcio!

C’inoltriamo verso altri uffici. Cinzia,Stephanie ed io stiamo lavorando. Collabo-rando con grande sintonia. A volte bastanoanche solo degli sguardi per capire dove vo-gliamo o dobbiamo arrivare. Un cenno con latesta, un sussurro e la danza in difesa dellaterra ha luogo intorno a tavoli sconosciuti cheforse molte volte sono stati luoghi d’accordifunesti…noi invece li riteniamo tavole di pace!

Torniamo a casa, ci rinfreschiamo e poifuori un’altra volta. La comunità afro-ameri-cana ha organizzato un incontro su Katrina eNew Orleans. Presentano un documentariogirato poco tempo fa. Mi viene la pelle d’ocaascoltando le parole del giornalista e guar-dando le immagini “le dighe sul Mississippi fu-rono volutamente costruite più basse di unmetro e mezzo rispetto al progetto iniziale!”Si voleva che tutto ciò accadesse. Dai ritardinei soccorsi… all’alto numero di morti. Comepossiamo non lasciarci coinvolgere. Cinzia,Stephanie ed io, una di fianco all’altra, gli oc-chi sullo schermo, mute nel silenzio della Chie-sa Presbiteriana dove ha luogo l’evento. C’èanche il Direttore della radio WPFW diWashington che soltanto qualche ora fa ci haintervistate. E’ lui l’organizzatore della sera-ta. Al termine dell’emergenza, New Orleansda voce alle Vicentine e noi di certo non cilasciamo chiedere due volte di parlare del “no-stro disastro” sebbene al momento esso nonsia paragonabile a New Orleans e nemmenomai potrà esserlo.

Hop on, un corsa veloce e siamo nuo-vamente sul bus per casa. Flavio e Paolo cihanno aspettate là. La cena e pronta, le per-sone tante, anche i vicini restano. Che bellaquesta convivialità!

Si canta ancora, ci si concentra suireport da mandare a casa. Lap top sulle gi-nocchia, immerse nel lavoro di scrittura,Stephanie e Cinzia preparano il resoconto dellagiornata. Le dame in rosa scrivono anch’es-se. Lentamente cala il silenzio…il lavoro nonsi ferma mai, nemmeno di notte!

Venerdì ed ancora siamo al congresso.Non abbiamo molto tempo a disposizione.Qui i politici tornano a casa proprio entro leprime ore del pomeriggio pertanto quel che ciresta del giorno va usato in maniera ottimale.Camera e Senato, Senato e Camera. L’ufficiodi Edward Kennedy, Ike Skelton, il candidatoalle presidenziali Kuchinich che ci prometted’inviare una lettera a tutti i suoi “colleghi”per poterli rendere partecipi alla vicenda DalMolin. Da un ufficio all’altro sino alle 16:00ed oltre. Sembra che questa giornata nonabbia mai fine, oggi anche le scarpe mi fanmale. La cena, come al solito è pronta. Que-ste donne stanno avendo una grande cura dinoi. Pensate, soltanto questa mattina è arri-vata una signora con una diecina di borse pie-ne di pane, cookies, panini e pasticcini di va-rio genere. Leccornie ipercaloriche in scaden-za o appena scadute che i negozi non posso-no più vendere. La signora fa il giro dei com-mercianti, si fa consegnare quanto di non piùvendibile e poi porta tutto alla varie associa-zioni. Desiree esce con alcune grandi borsericolme. Le porta al vicino centro di assisten-za all’infanzia. Il quartiere afro-americano ma-nifesta un certo degrado sociale, una certapovertà…se pensiamo che a pochi chilometrisi decidono i destini del mondo a suon di mi-lioni, qui le genti mettono persino le gratedinnanzi a negozi per non farsi derubare quellequattro birre che espongono su scaffalifatiscenti. Ahimè, questa è la realtà di ognigiorno. La signora senza denti che ti fermasul marciapiedi, ubriaca che lamenta fantasiea lei reali e tu non puoi far niente se nonscambiare qualche amichevole parola di con-forto. Giammai avrei potuto pensare che isobborghi di Washington fossero composti dacosì tanta povertà!

Il mattino di Sabato viene dedicato allaricerca presso la Library of Congress.Stephanie, abile come una gatta (semo o nonsemo le gate vicentine sebben che vivemo aRoma?) si lancia tra gli atti e le trascrizioni delCongresso. La stampante della bibliotecasforna pagine su pagine mentre Stephanies’accinge a produrre quanta più documenta-zione possibile cercando anche tra le righe!

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La giornata termina con largo anticiporispetto alle precedenti. Nel primo pomerig-gio siamo già a casa e via, pronte a fare laspesa. Le nostre sorelle hanno sempre cuci-nato loro, questa sera tocca a noi e cerche-remo di deliziarle con piatti dalla cucina tradi-zionale Italiana; Cinzia ed io in cucina con igrembiuli rosa prestatici dalla casa.Besciamella, asparagi lessati, lasagne, la tortasalata con i pomodorini ed il basilico fresco,la torta di mele…hhhmmm, i profumialleggiano in tutto l’ambiente. Eric, il gigantebuono si trasforma. Da abile falegname alleprese con numerosi letti a castello diventaun elegante intenditore di vini italiani e ci pro-pone un invecchiato da abbinare ai piatti diportata. Il pasticcio, la tortasalata…insomma….in quindici si mangia allagrande e la serata finisce nuovamente in sog-giorno ma questa volta si canta in lingua, nellanostra lingua “questa mattina, mi son sve-gliata, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciaociao……”.

A breve spuntano nuovamente i laptop, s’aprono infinite connessioni alla rete etutte s’accingono a scrivere i propri reportoppure ad effettuare le proprie ricerche. Chestrano, a volte mi domando se loro vanno aletto. Al mattino, quando mi sveglio di buo-n’ora, queste donne, in pigiama, sono sedu-te dove le ho lasciate la sera prima, una taz-za di caffè americano in mano ed i computerin rete!

Domenica è proprio proprio tutta pernoi. Ognuno si riprende i propri ritmi e cercadi concedersi una pausa alle abitudini. I mu-sei diventano meta per la propria cultura eper il proprio arricchimento. Flavio ed io aspet-tiamo all’entrata del Museum of the AmericanIndian. Ecco la famiglia Navajo, li riconoscodal gonnellone della nonna, Un’azzurro sbia-dito con una stampa di microfiorellini, i calzi-ni bianchi di cotone e le scarpe consunte. Ilvolto abbronzato, il naso lievemente schiac-ciato ma gli occhi..la tristezza in essi dice tut-to. Mi rivolgo a loro, “siete Navajo?” Si, edinizia una breve colloquio. Ma voi da dovesiete? Italia. Ed ora iniziamo a parlare dellabase che ci vogliono costruire in testa.Hmmmmm, riflettono loro. Ci salutiamo.Poco dopo ritorna la figlia…mia consegna ilsuo biglietto da visita dicendo qualcosa sulleorigini. Ciascuno subisce le proprie perdite enoi, consapevoli di quanto ci è stato deruba-

to nei secoli, non possiamo che dimostraresolidarietà nei vostri confronti. Costretti a vi-vere nelle riserve essendoci stato toltotutto…tranne la dignità” Wow, che parole! Misento confortata!

Anche questa sera cuciniamo noi. Unrisotto alle verdure, il cavolfiore lessato,l’insalatona…sembra quasi d’essere a casa.E poi, verso mezzanotte…giù nello scantina-to a preparare lo striscione che porteremocon noi di fronte all’ambasciata italiana. Nonso se è la stanchezza oppure il diluente neicolori che stiamo utilizzando……la testaalleggia. Desiree apre le finestre..si respira.Midge filma l’azione “clandestina” e la mettein rete. V I C E N Z A …………..a domani, ciaddormenteremo consapevoli che stiamocercando di proteggerti!

Lunedì ed ancora l’ambasciata italiannon ci riceve. Ok, allora l’azione delle“pegnate” viene organizzata per le ore 12:00circa. L’ambasciatore non sa cosa l’aspetta.Il suo aver negato l’incontro alla nostra dele-gazione. Siamo già in giro ad appuntamenti.Il NIAF (National Italian American Foundation)dove parliamo della nostra vicenda e dove,come sempre, consegniamo il dossier DalMolin. Di corsa, di corsa, sempre dentro efuori dalle porte delle istituzioni per farci sen-tire, farci ricevere, farci ascoltare.

Passiamo anche per il NCAI (NationalCongress of the American Indian) dove la-sciamo ulteriori dossier. Sarà che tra gentiderubate delle proprie terre possa esserci unacomprensione maggiore.

Joan ci aspetta sempre in macchina,oggi non si può camminare e nemmeno c’ètempo per aspettare un taxi. Oggi si corre,dobbiamo ancora andare al Congresso edalle 17:00 abbiamo lo shuttle-bus che vienea prenderci per portarci all’aeroporto. Joan,con il suo megafono, canta attraverso i fine-strini aperti della jeep “Impeach George Bush,impeach Dick Cheney too”. Stephanie, Cinziaed io prendiamo in mano il microfono e ri-prendiamo le stesse parole. Che bello pas-sare per gli uffici che emettono ordini e sen-tenze al mondo potendo gridare il nostro dis-senso. Ohi, ho un sogno da realizzare eloro….dai, dai…fallo….”questa mattina mi sonsvegliataaaaaaaa, ed ho trovato l’invasor”.Lì, al Campidoglio…probabilmente nessuno cicapirà….ma noi sappiam bene cosa vuol dire.

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Il Cerchio 25

Le spoglie del guerrieroUn memoriale da dodici milioni di dol-

lari in South Dakota, un’elegante teca nelmuseo Smithsonian di Washington oppure lasepoltura sul campo di battaglia di LittleBighorn dove sconfisse il generale Custer: lasorte delle ossa di Toro Seduto fa discuterel’America per via del braccio di ferro sull’ipo-tesi di dedicargli un monumento destinato adiventare punto di attrazione turistica.

Ad aver progettato il memoriale sonodue fan del capo Sioux che nel 1876 stermi-nò il 7° cavalleggeri di Custer.Tutto inizia a metà 2005 quan-do l’ambientalista Rhett Alberte l’indiano-americano BryanDefender si ritrovano assiemel’iniziativa di accogliere 55 miladollari per ripulire dai rifiuti il sitodove sorge la stele del “SittingBull Monument” a Mobridge, inSouth Dakota, al fine di restitu-ire dignità all’eroe più popolaredei pellerossa, Defender appar-tiene alla tribù sioux “StandingRock” (Roccia Alzata) che ri-vendica di aver avuto Toro Se-duto fra i suoi figli e la scelta ditogliere detriti, bottiglie vuote ebuste di plastica dall’area attor-no alla stele alta circa due metriviene vissuta come un momen-to di rispetto postumo per ilgrande capo.

D’altra parte se le spogliesi trovano a Mobridge è perchéproprio la tribù “Standing Rock”durante una tempesta di neve nel 1953 andòa esumarle nel sito di Fort Yates, nel vicinoNorth Dakota, dove avevano riposato daquando Toro Seduto era stato ucciso il 15giugno del 1980 in un agguato tesogli da sol-dati americani e polizia indiana.

Fort Yates non piaceva alla tribù per-ché ricordava l’uccisione avvenuta per manodel nemico mentre a Monbridge il nuovo sito,nel cuore del territorio della riserva, garanti-va più nel riguardo nei confronti della memo-ria del guerriero, anche perché la autorità

del South Dakota si erano espressamenteimpegnate a tutelarlo.

Ma con il passare degli anni la promes-sa è venuta meno, la spazzatura hacircondatola stele e solo il volontariato diAbler e Defender ha evitato che si trasfor-masse in una discarica abusiva, rifugio diubriachi, drogati e senzatetto.

Proprio il successo avuto spinge Albere Defender a rilanciare la sfida, puntando araccogliere fondi non più solo fra i Sioux per

arrivare alla cifra di12 milioni di dollariche consentireb-bero di onorareToro Seduto conun imponente me-moriale da fare in-vidia ai presidentidegli Stati Uniti,con tanto di mu-seo per la ricostru-zione delle gestaindomite del leaderche non volle ar-rendersi allaco l on i z zaz i onebianca.

Il progettodel memoriale pia-ce a molti Siouxp e r c h épreannuncia la cre-azione di un puntodi attrazione turi-stica capace di

fruttare entrate per milioni di dollari, ma èproprio questo lo scenario che vuole evitareErnie LaPointe ovvero il diretto discendentevivente di Toro Seduto. L’anagrafe della tribùattesta che LaPointe è il bisnipote dell’eroe diLittle Bighorn e tutti sanno che fu proprio l’as-senso della madre nel 1953 ad autorizzare ilblitz notturno che portò le spoglie in SouthDakota. Ma se allora la famiglia LaPointe erain sintonia con la tribù, ora le cose sono cam-biate. ”La verità è che vogliono trasformarele spoglie di mio bisnonno in una attrazione

La stampa 18/6/07

Maurizio Molinari

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in un’attrazione turistica al fine di incassaredollari americani” accusa LaPointe, parlandoanche a nome delle tre sorelle, contrarie ainfangare la memoria di Toro Seduto, degra-dandolo a qualcosa di simile di un parco di-vertimenti. A complicare il progetto del me-moriale c’è il fatto che, secondo alcuni, laterra dove oggi è sepolto sarebbe un anticoluogo funerario dove solo in pochi dovreb-bero aver diritto di arrivare.

L’idea del bisnipote è tutt’altra: ”Se dav-vero si vogliono spostare un’altra volta i re-sti del corpo allora bisogna portarli a LittleBighorn, nel Montana, il posto adatto dovefargli passare l’eternità”. Indicare Little Bighornnon significa solo voler rendere immortalel’umiliante sconfitta subita dalla cavalleria delgenerale Custer ma anche coronare la vitadi Toro Seduto che, si racconta, ben primadella battaglia aveva avuto la visione “dellapiù grande vittoria del nostro popolo”. For-se, lascia intendere il bisnipote, la visione diallora guardava anche oltre la battaglia vintae preannunciava il desiderio di essere sepol-to su quello stesso terreno, oggi situato nel-lo Stato del Montana in prati sterminati a bre-ve distanza dalla città di Billings.

A sostenere il desiderio del bisnipote èDarrel Cook, sovrintendente del monumen-to di Little Bighorn, secondo il quale “Toro seduto era un uomo umile e non avrebbe

gradito un grandioso memoriale tutto per lui“.Il braccio di ferro sta creando una spaccatu-ra fra i Sioux: chi sostiene la tesi del memo-riale lo fa non soltanto per gli aspetti econo-mici ma per il progetto di un “museointerpretativo” capace di diffondere i valoritribali di generosità, coraggio e saggezzamentre sul fronte opposto il richiamo all’ero-ismo di Little Bighorn attrae chi vuole riven-dicare quella vittoria per l’eternità. In attesache i Sioux ritrovino il consenso sul loro figliopiù famoso vi sono anche altre opzioni nel-l’aria: alcune tribù Sioux del North Dakotahanno fatto sapere che le spoglie sarebberoben accette se volessero tornare nel luogodi sepoltura originari mentre il museoSmithsonian di Washington, molto cautamen-te, si è messo a disposizione nel caso in cuiservisse una soluzione di compromesso e ditipo assai più tradizionale. Ovvero una teca.

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Ho mangiato la terra dei Sioux

5 ottobre 2005. Fuori, sulla veran-da, Dan O’Brien cura gli hamburger che arro-stiscono sul barbecue a gas con la periziadell’esperto, e un paio di minuti dopo il calvorancher e scrittore me ne mette uno nel piattoaccanto alle patate con uno sguardo di gran-de soddisfazione dietro le lenti rotonde degliocchiali con la montatura di metallo. Si di-rebbe la riproposizione di un radicato clichèamericano, ma questa volta c’era qualcosadi molto diverso. La ragione per cui sono ve-nuto al Cheyenne River Ranch, un’ora ab-bondante di macchina a sud-est di Rapid City,South Dakota, è che O’Brien è un’autorità infatto dei bisonti del West. Nessuno è più le-gato di lui alla rinascita del bisonte america-no. Do un morso all’hamburger di bisonte e,in un attimo, il mio sistema nervoso vienesaturato da tutti i segnali assorbiti. Non rie-sco a dare un nome alle innumerevoli sfu-mature di sapore, ma so che sto assaporandola terra dei Sioux Lakota, di Cavallo Pazzo,Nuvola Rossa e Toro Seduto. Ma che cosasignifica per il mondo di oggi, tanto diverso?

Questa mattina O’Brien mi ha mo-strato il pascolo invernale dei suoi 450bisonti, una distesa di colline che sembrava-no onde congelate, una sorta di quadrato icui lati misurano otto miglia. Il terreno eracoperto appena da erbe scure autoctone.“Non diamo mai agli animali altro formag-gio, ma tra ora e dicembre ciascuno prende-rà fino tre libbre di peso al giorno”, spiega.“Di solito gli allevatori danno ai bisonti fo-raggio invernale e li ingrassano come bestia-me prima della macellazione, Ma non vabene, perché la carne non assume una ve-natura di grasso come quella del manzo”.Ho scrutato l’ampia distesa senza però scor-gere nessun genere di edificio e solo qual-che pioppo nero nei canaloni. È uno dei ter-reni accidentati che io abbia mai visto, mala licenza che O’Brien ha ottenuto per usarequesto pezzo della Buffalo Gap NationalGrassland è uno dei suoi beni più preziosi:senza di esso Wild Idea sarebbe rimasto soloun’idea.

6 ottobre 2005. Si sente il rumoredi uno sparo davanti a noi, ma nella scurastriscia di bisonti, un centinaio di metri da-vanti a me, non si muove un muscolo. È chia-

ro che non ci sarà una fuga precipitosa tipofilm holliwoodiano. Poi si sente un secondocolpo e la grande bestia fatta da 450 corpi sidrizza molto lentamente e poi gira alla miadestra. Il nostro fuoristrada procede concautela mentre la mandria si mette in cam-mino, e di colpo, un maschio irsuto di unatonnellata, con le corna ricurve, si allontanada noi. “Ecco Curly Bill” dice la moglie diO’Brien, la cuoca Jill Maguire, “è un bel tipo!”,In Buffalo for the Broken Heart di O’Brien,ho letto che Curly Bill è stato uno dei primibisonti che ha acquistato, nel 1998, avvian-do la metamorfosi da allevatore di bestiamea guru dei bisonti.

Il fuori strada si ferma, saltiamo giùaccanto a due bisonti di due anni con un’ariapacifica come se si fossero appena sdraiati,ma con il sangue che cola dall’ampio tagliosul collo. Un Dakota. I due produttori, KenEggleston, che somiglia in modo sconcertantea James Dean, e Jeff Peterson, che sembraun pubblicitario di mezz’età, come in effettiè, mi mostrano prima una mini-cartina scru-polosamente pulita e organizzata in modoimpeccabile in uno dei garage, che funge dasala di degustazione.

Anche se in degustazione c’è un vinoottenuto con uve rosse, la gamma è costitu-ita con vini fatti con la frutta. Ho percorsopiù di 400 miglia ieri, in un inverno prema-turo, per assaggiare vini di frutta in una pa-ese delle meraviglie che vanta la massimaconcentrazione di missili balisticiintercontinentali di terra del pianeta? Nonappena assaggio il vino secco di mele, però,so di non essermi sbagliato; ritrovo quegliaromi intensi che ricordano le noci che solole vecchie varietà sanno dare. Passiamo allafrutta selvatica. Il chokecherry (prunusvirginiana) per migliaia di anni prima che leavanguardie dei coloni bianchi si spingesse-ro in questa direzione -il selvaggio West-durante la corsa all’oro delle Black Hills del1874 e cominciassero a farne marmellata edistillati. Il dolce Wild Plum non è meno tra-volgente negli aromi - pura prugna matura!– con acidità e dolcezza in perfetto equili-brio. “è esattamente ciò che vogliamo” dicePeterson, “cogliere il gusto di questi altri frut-ti, non imitare il vino fatto con l’uva”. Se è

di Stuart Piggot – Slow Food

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davvero David Lynch, allora il film è senz’altroUna storia vera.

12 ottobre 2005. Il panorama belloma brullo che vedo dal finestrino delfuoristrada a quattro ruote motrici di EldonNygaard mi fa capire perché l’uomo biancolasciò che i Lakota Sicangu (Soiux Brule) ve-nissero qui a Rosebud nel 1877. Pensava chenon valesse nulla! L’altro ieri sera l’eccentri-co e baffuto produttori di vino in camicia ecappello western che sta al volante mi ha rac-contato l’arrivo di suo nonno in questo statodalla Norvegia all’inizio degli anni ’90 e di suopadre novantunenne aveva passato il giornoad imballare fieno. Poi Nygaard ha versato ilsuo Wild Grape 2002, un rosso fatto conl’autoctona Vitis Riparia raccolta nellaRosebud Indian Reservation, e in un attimola mia concezione del vino è andata in fran-tumi. Mi è sembrato che un milione di minu-scole bacche nere mi fosse esploso in bocca.Anche se aveva una acidità innegabile e tan-nini consistenti, Nygaard era riuscito comun-que a domare l’animale ……ma appena appe-na.

Ora quest’uomo che ha fatto di tutto,dal pilota di elicottero nel Vietnam al profes-sore di diritto, dall’imprenditore aerospazialeal produttore cine-matografico, lasciala strada per imboc-care un sentiero diterra battuta che siarrampicava lenta-mente su un’altracollina ondulata.“Andiamo a vederel’uva selvatica alRanch di Charlie Co-lombe. E’ il presiden-te eletto del consi-glio tribale diRosebud e questi1700 acri apparten-gono alla sua famigliada quando esistono gliarchivi”.

I nomi francesisono piuttosto comuni tra i Lakota perché icacciatori di pelli francesi vennero da questeparti più di mezzo secolo prima della famosaspedizione transcontinentale di Lewis eChlarke del 1904-5. Proprio negli archivi,

Nygaard ha visto menzionata l’uva selvaticapoi è diventato direttore del casino diRosenbud e i Lakota gli hanno mostrato l’uvache cresceva sulla loro terra. Nel 1996 haprodotto con quell’uva il suo primo vino, cheoggi si può trovare nella carte del famosoristorante di Charlie Trotter a Chicago e nelgrande negozio di vino Lavinia a Parigi. IlValiant Vineyards è venduto a 35 dollari abottiglia.

Lasciato il sentiero, scendiamo in unagola profonda finché l’auto si arresta di bottoaccanto a una macchia di alberi e cespugli.Usciamo a fatica e vedo improvvisamente cheviti senza foglie ricoprono la vegetazione da-vanti a noi, i grappoli in miniatura di minu-scoli acini che risplendono nei sotto la radio-sa luce del sole. I loro aromi intensi di bac-che corrispondono esattamente al gusto delWild Grape di Nygaard, anche se l’asprezza ela secchezza tannica della materia prima èpiù estrema, più selvaggia che nel vino.“Questa terra non è stata mai arata, non èmai stata usata se non per pascolare qual-che cavallo o qualche mucca”, spiega il mioospite, “più biologico di così!”. Il Wild Grapeè anche un raro esempio di collaborazionevincente fra indiani d’America e bianchi

d’America basata sul rispettoreciproco: un’armonia più im-portante di quella del sapore delvino.

Il gusto selvaggi dellamigliore carne di bisonte e deivini migliori che ho trovato neidue Dakota non esprime solol’originalità di questa terra, benpoco cambiata da quando Co-lombo scoprì l’America, forni-sce altresì un’indicazione per ilsuo futuro sostenibile, che di-pende ancora in gran parte dal-le iniezioni di fertilizzanti chi-mici ed erbicidi gentilmenteconcessi dall’industria petrol-chimica e dalle sovvenzioni al-l’agricoltura del governo fede-rale. Dan O’Brien ha definito

questa combinazione “una fregatura doppia”.Non gli ho creduto finché ho visto i campiscuri di girasoli rachitici, la dimostrazione chequesto sistema è letteralmente arrivato adun punto morto.

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Il Cerchio 29

Dove finiscono i sogni?A dispetto di ogni delusione, di ogni verifica, critica o evidenza è duro vedermorire i propri sogni, eh ragazzi?Ti hanno tenuto in piedi di notte, con il sonno che ti divorava il cervello, mentreguidavi da ore e tanti altri problemi bussavano alla tua mente, ti hanno reso

sfrontato al punto da chiedere cose, in loro nome, che non avresti mai sognatodi chiedere; erano la pompa che faceva andare il tuo cuore, al punto che mi chiedo

se in realtà non siamo fatti di carne, ma della loro essenza.In effetti tutto ciò che abbiamo ora è solo ciò che resta delle loro contrattazioni, la percentua-le che il mondo, la società, ci hanno permesso di raccogliere; quel poco di giustizia, famiglia,amore, realizzazione di se stessi.Ho sognato molto nella mia vita e continuo a farlo, malgrado i cazzotti nei denti, metaforici e

non,che mi invitavano a smetterla ed ad essere “Pratico”,(che cazzo significhi, dopo 62 anni, non l’ho ancora capito!)Ma credo di essere in buona compagnia.A proposito di sogni, che fine ha fatto quello che parlava diun gruppo di indiani americani che si erano riuniti per ritro-vare se stessi e per ridare uno straccio di identità alla pro-pria gente, oltre che a salvare la propria terra? Quelli percapirci, di Alcatraz, delle marce di Woundeed Knee, di uncerto Leonard Peltier, quelli che tornati dal Vietnam se loritrovano in casa.Quelli dell’A.I.M.Se non ricordo male, il sogno diceva che lo sfruttamentodella loro terra, la rapina, l’emarginazione, sarebbero finiti,non ci sarebbero stati più capi tribali corrotti, fiumi inquina-ti, foreste distrutte, il Colorado ridotto ad un rigagnolo escorie nucleari in mezzo alle riserve in Oklahoma.Abbiamo sognato tutti con loro e, che Dio (se c’è) li benedisca, ci hanno regalato anni di speranzamentre, incoscienti, gonfiavamo i muscoli per le loro e le nostre battaglie, (quasi)sicuri di farcela.Dicono che la maturità è la capacità di guardare in faccia la verità, qualunque essa sia e mi sembra unabuona definizione.La verità però purtroppo, spesso non è cosi semplice ed evidente come sarebbe molto meglio chefosse; quindi questo famoso sguardo purificatore va a farsi fottere e nel migliore dei casi la verità siclona e diventa molteplice, sfaccettata e ambigua, perdendo la sua caratteristica principale, la chia-rezza!Chiedere a Trudel, Russel Means, Oren Lyons, Peltier, ai fratelli Bellecourt, a Dennis Banks dopo decined’interviste e dichiarazioni non è servito a niente se non a far dubitare che fosse tutto limpido espontaneo (e il dubbio, tutto sommato sarebbe anche un risultato positivo)Se non si fosse arrivati ad accusare Means di omicidio, Trudel di falsità, Banks di opportunismo e viadicendo, lasciando Buddy Lamont e Ann Mae Aquash a morire di nuovo, questa volta inutilmente.Ho bisogno di capire, di sapere, di sentirmi dire che anche se non era tutto “bello & buono” ne è valsacomunque la pena, ci ha aiutati a vivere, prendere coscienza.Sono pronto a prendere l’ennesimo cazzotto in faccia (uno più, uno meno) ma ho bisogno di voi, ditutto quello che sapete e pensate. Vi aspetto, per aprire un dibattito chiarificatore.Questa è una provocazione rivolta a tutti quelli che come me vorrebbero tirare le conclusioni e chiarireuna volta per tutte (se possibile) il ruolo importante svolto dall’A.I.M. nella lotta per l’affermazione deidiritti dei popoli indigeni.Quando arrivai al “Cerchio”, la prima volta trovai un gruppo di ragazzi (si fa per dire) pieni di entusia-smo, carichi di tensione emotiva e motivazioni politico-sociali ed ho percorso un cammino del qualesono profondamente orgoglioso, che ormai fa parte della mia vita. Quella volta, volendo capire qualefosse la meta a cui tendevamo, chiesi ai presenti “per chi o per cosa esattamente stessimo combat-tendo” ricevendo la ormai famosa risposta di Giuliano: “per l’indiano che è in te”.Non vorrei che fosse l’ultimo rimasto, perchè sia chiaro che non ho nessuna intenzione di mollare,ma ridatemi un sogno per il quale valga la pena di battersi.

AURO

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Il Cerchio 30

A TlakhuiloA Lance

Caro Lance, caro Tlakhuilo,anche se con molto ritardo vi

scrivo a nome di tutto Il Cerchio per ringraziarvi della vostrapartecipazione all’ultimo coordinamento svoltosi a Cannara il 6e 7 ottobre scorso. Forse è inutile ribadirlo ma ci teniamo a dirvi

che non è un ringraziamento “formale”, ma è semplicemente unmodo diretto per dirvi quanto non siamo riusciti a dirvi sul momento.

Da molto tempo ci conosciamo e sappiamo anche quelli che sono i nostririspettivi modi di agire, di comunicare, di lottare…ogni giorno, anno dopoanno. La forza di andare avanti nonostante tutto, nonostante un sistema chesembra riesca a stritolare ogni forza di resistenza, ogni voce fuori dal coro,

ogni persona che abbia posto come priorità il benessere collettivo degli essereanimati ed inanimati di questo pianeta piuttosto che il beneficio personale costruitosulla prevaricazione nel caso peggiore o sull’indifferenza nella migliore delle ipotesi.Bene, in tutto questo, la vostra capacità di comunicare, con modalità diverse,emozioni, dolce rabbia, affilata ironia, attraverso le arti (o armi?) della parola, dellapoesia, della musica e della danza, ci permettono, ogni volta che vi incontriamo, difare un salto in avanti, un po’ più in là, con un po’ più di forza per affrontare un nuovoostacolo, una nuova piccola guerra quotidiana…ringraziandovi ancora vi abbracciamoBorgo San Lorenzo li, 18/11/2007 Per l’associazione Il Cerchio

ToniVentre

Repressione nelle comunità zapatisteIl 2007 sarà ricordato come uno dei più duri della repressione governativa e paramilitarecontro gli zapatisti del Chiapas. Negli ultimi mesi si sono intensificate le minacce verbali efisiche contro le basi d’appoggio zapatiste. Ci sono stati un’infinità di casi di personepicchiate mentre si recavano al lavoro nei campi da parte di gruppi di paramilitari, seque-stri di persone, tentativi d’ingresso nelle comunità di gruppi armati paramilitari. Si assisteinsomma ad un innalzamento della tensione per togliere basi al movimento zapatista.Visto che oramai la via militare sarebbe la più pericolosa per chiudere con l’EZLN, si utiliz-zano tecniche di controinsurgenza col finanziamento di paramilitari indigeni che si occupa-no di fare il lavoro sporco per proteggere così il governo e i politici da accuse ufficiali.Gli attacchi si stanno indirizzando verso le terre recuperate, cioè quelle terre che dopo il1994 sono state occupate dagli indigeni zapatisti e dove si sono costruiti nuovi villaggi,togliendo così territorio ai grandi proprietari terrieri. Ora ad opporsi agli zapatisti sonodelle fantomatiche organizzazioni campesinas, direttamente legate alla polizia federale,che li finanzia, li arma e copre le loro aggressioni. Si assiste ad attacchi verso le comunitàzapatiste, come quelle localizzate nella zona dei Montes Azules, accusate del taglio deiboschi, quando in realtà una commissione indipendente coordinata dal Capise (Centro diAnalisi Politica e Ricerche Sociali ed Economiche) di San Crisotobal de Las Casas ha dimo-strato come siano state proprio le comunità zapatiste a proteggere i boschi dalledevastazioni portate avanti da organizzazioni paramilitari, come la Opddic (Organizzazio-ne per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini), che nel corso di quest’anno ha abbattutonella regione 30 ettari di alberi di montagna.

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RESOCONTO DEL XXVI INCONTRO del CERCHIOCannara (PG) 6-7 ottobre 2007

All’incontro sono state invitate e sono pre-senti altre associazioni e/o gruppi di suppor-to ai popoli indigeni, nonché singole persona-lità. Toni introduce i lavori presentando l’As-sociazione “il Cerchio”, evidenziandone il per-corso di formazione e il modo di operare;evidenzia che l’intento di quest’incontro al-largato è di attivare una rete e/o di ampliareil cerchio di coloro, sempre troppo pochi inItalia, che s’interessano e sono attivi nel so-stegno dei diritti dei popoli indigeni.

Federico e Luisa raccontano le azioni disupporto attivate negli ultimi anni in alcunecomunità zapatiste del Chiapas. Vengono il-lustrati il progetto di sostegno ai programmidi alfabetizzazione, di promozione della salu-te e, in quest’ambito, quelli relativiall’erboristeria e agli orti collettivi. Federico eLuisa evidenziano in particolare che tutti i pro-grammi sono stati decisi dalle singole comu-nità, che i fondi raccolti sono stati da essegestiti, che tutti i programmi hanno continuatoa svilupparsi autonomamente e che le som-me raccolte sono state integralmente con-segnate alle comunità per la realizzazione deiprogetti.

Vittorio ha raccontato l’attività svolta dalCerchio a sostegno della lotta degli Innu delCanada contro i voli di esercitazione a bassaquota degli aerei militari di alcuni paesi NATOsul loro territorio. Dopo molti anni di prote-ste presso tutte le istituzioni nazionali e in-ternazionali gli Innu hanno avuto la soddisfa-zione di veder cessare i voli, ma non quella diuna dichiarazione ufficiale in tal senso dei go-verni coinvolti. Vittorio ha raccontato di ave-re iniziato con alcuni Innu un’esperienza disupporto alle attività di turismo responsabilein territorio Innu.

Corrado ha raccontato la lunga storia dellalotta degli Apache contro la dissacrazione dellaloro montagna sacra, Monte Graham. Pur-troppo, gli avversari degli Apache si sono di-mostrati molto più forti di tutti coloro che,come noi, hanno tentato di bloccare la co-struzione dei telescopi sulla montagna.

Giuliano, Tereza e Tea ci hanno informato

delle azioni di sostegno ai diritti dei nativi ame-ricani incarcerati negli Stati Uniti. La lista deiprigionieri che hanno subito discriminazioni nelcorso del processo che li ha condannati e diquelle che subiscono da carcerati è, purtrop-po, lunghissima.

Mauro racconta della straordinaria espe-rienza fatta con le due edizioni di Words Fromthe Edge, con poeti indigeni dai quattro an-goli del pianeta. Uno dei risultati maggiori èarrivato indirettamente. Grazie alla notorietàportata al suo popolo dalla poetessa di etniaMeitei Thounaojam Chanu IbemhalMemchoubi, che era stata da noi invitata apartecipare al trour, il governo dell’India è sta-to costretto a liberare un attivista del popoloMeitei che era stato imprigionato e tortura-to.

Toni ricorda il successo ottenuto con il pro-getto di sostegno all’insegnamento della lin-gua e delle tradizioni tribali ai ragazziCheyenne ed Arapaho della Darlington Schoola Calumet – Oklahoma. Lance dice che ci sa-rebbe ancora necessità di supporto, specieperché sono ancora moltissimi (70%) i ra-gazzi indiani che abbandonano gli studi dopola scuola primaria (medie). Il motivo è comesempre da ricercarsi nella povertà delle fami-glie indiane a cui si aggiunge un pesante climadi divisone all’interno della tribù.

Il gruppo KOLAMICO della provincia diAncona, dopo avere presentato il gruppo e leattività già realizzate fra cui un festival esti-vo, ha presentato un suo progetto. Ovvia-mente. La presentazione del progettoKolamico è stata molto lunga ed accurata,piena di informazioni e spunti interessanti, cheper ragioni di spazio non possiamo qui ripor-tare.

Paul ci ha parlato delle lotte e delle pro-teste delle comunità indigene del Canadaorientale contro la localizzazione dei prossi-mi Giochi olimpici invernali sulle loro terretribali. Le olimpiadi invernali si terranno, infat-ti, nel 2010 a Vancouver su terre rivendicatedalle tribù come proprie dato che non sonostate mai formalmente cedute ai bianchi. I

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giochi sono come un gigantesco schiacciasassi in movimento che ogni due anni arrivain una parte diversa del pianeta e, per far pro-durre enormi profitti alle multinazionali dan-neggia, spesso irreversibilmente, campi, bo-schi e montagne. Come spesso accade, però,non tutti i membri tribali sono favorevoli aboicottare i prossimi giochi invernali. Alcunisostengono che le olimpiadi portano lavoroe sviluppo. Paul ha segnalato che il NativeYouth Movement è fra i più attivi contro i pros-simi giochi invernali.

Maurizio, dell’Associazione Gaia Terrapresenta le attività dell’associazione. Hannoiniziato con il prendere in affitto un podereabbandonato di circa cinque ettari. Tre di questisono a bosco, mentre su due ettari stannocoltivando con metodo biologico. Oggi i socisono un centinaio e tutti partecipano alle at-tività di coltivazione, di ristrutturazione degliedifici, alle attività culturali e ricreative chebrevemente sono: corsi sul cerchio di medi-cina, tiro con l’arco, coinvolgimento dellescuole, uso delle erbe, ecc. Recentementehanno coinvolto dei bambini nella creazionedi un frutteto.

Alessandra ha illustrato il suo progettodi commercio solidale con i popoli nativi. Giàacquista da alcuni laboratori di strada di Perù,India e Brasile degli oggetti e indumenti chepoi vende nei mercatini con una sua banca-rella. Ogni articolo che vende ha un suo car-tellino dove, in uno specifico messaggio, èspiegato il progetto di solidarietà che Ales-sandra ha chiamato “TODO JUNTOS”. Ales-sandra vorrebbe estendere questo progetto,magari con l’apertura di un negozio.

Verena illustra brevemente la storia del-la presenza dei popoli indigeni nel sistema delleNazioni Unite Nel 1971, nella sede ONU a Gi-nevra, si tenne la prima conferenza di rap-presentanti di popoli indigeni. Erano soprat-tutto indiani dell’america settentrionale, per-ché erano gli unici a possedere le risorse eco-nomiche necessarie, oltre che i livelli di istru-zione adeguati a confrontarsi con il sistemagiuridico internazionale. Col passare degli annila presenza di rappresentanti di popoli indige-ni di tutto il mondo aumentò e il solo parteci-pare alle varie conferenze ha permesso lorodi crescere nella propria autostima. I primianni furono molto difficili per molti perchéspesso conoscevano solo la propria lingua.Poi, gradualmente, si sono venute struttu-rando istanze proprie dei popoli indigeni dovevengono elaborate strategie comuni. L’Onu

ha, nel tempo, creato istanze specifiche per ipopoli indigeni. Il Working Group of IndigenousPopulation (WIGP), la Giornata Mondiale deiPopoli Indigeni (di solito il 9 agosto), il 1° epoi il 2° decennio dei popoli indigeni (tuttorain corso), il Forum Permanente e, da ultimo,l’adozione della Dichiarazione Universale deiDiritti dei Popoli Indigeni, avvenuta lo scorso13 settembre. Per arrivare a questa Dichia-razione sono occorsi ben 25 anni di intensolavoro ai quali Verena ha partecipato attiva-mente nella sua qualità di rappresentante dellaLega Internazionale per i Diritti e la Liberazio-ne dei Popoli (LIDLIP) che è un’ONLUS constatus consultivo presso le Nazioni Unite. Pursottolineandone l’importanza, la Dichiarazio-ne non è uno strumento giuridico vincolante,bensì rappresenta il punto di avvio di un nuo-vo diritto internazionale specifico per i popoliindigeni che, prima della Dichiarazione, nonerano riconosciuti in quanto popoli. A tuteladei diritti degli indigeni esiste uno strumentogiuridico internazionale vincolante per gli sta-ti che lo hanno ratificato, la Convenzione nu-mero 169 dell’International LabourOrganization – ILO, ratificato solo da 18 statiin tutto il mondo. A seguire si è aperta la di-scussione sulla proposta di attivare una cam-pagna nazionale per chiedere che anche l’Italiaratifichi la Convenzione ILO 169.

Si è quindi aperta la discussione sul docu-mento proposto da Vittorio, relativamentealle proteste indigene nei confronti della cele-brazione del Columbus Day (potete leggerela lettera all’inizio del giornale).

Tlahkuilo Arreola (danzatore ed artista, luisi definisce “teatrante” Azteco) si dice felicedi averci conosciuto. Evidenzia che se è giu-sto occuparci degli indigeni, stranieri per ec-cellenza, occorre anche sapere che ci sonoin Italia stranieri che hanno bisogno d’atten-zione.

Francisco ricorda che in Europa ci sono iRom, i Gitani, che sono privi di diritti in quan-to popolo, proprio come gli indigeni.

Naila di Soconas Incomindios propone dicontinuare a coordinarci e anche di ospitaresulla sua rivista le nostre considerazioni.Soconas si occupa soprattutto di informa-zione e di organizzare incontri ed eventi conindigeni. Vogliono dare voce agli indigeni dan-do conto delle loro complessità.Davide di Hunkapi concorda con la necessitàdi mantenerci in contatto e spiega che lorofanno prevalentemente divulgazione ed or-ganizzano incontri con nativi americani.

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Nel corso dell’ultimo incontro del Cerchio abbiamo parlato a lun-go della situazione dei carcerati nativi americani, dei prigionieri poli-tici e di carcere in generale. Abbiamo quindi pensato, su richiesta di

alcuni soci, di ripubblicare un elenco di siti dove si trovano indirizzi di prigionieri che desideranocorrispondere (le richieste in questo senso sono veramente moltissime), e/o informazioni sucarcere, pena di morte, diritti spirituali in prigione, …

Diamo anche alcuni suggerimenti per chi decidesse di intraprendere un rapporto epistolare.

La corrispondenza con le persone nelle carceri non è una cosa da intraprendere conleggerezza. Va ponderata ed una volta deciso di percorrere un certo cammino, rammentareche la persona con cui s’instaura un rapporto epistolare è una persona con un notevolebagaglio di disagio alle spalle (pensate cosa potrebbe voler dire vivere in una cella di duemetri per due metri e mezzo con letto in muratura, water e lavabo in lamiera e nessunafinestra da cui poter ascoltare il vento), pertanto la nostra corrispondenza non deve diventa-re ulteriore carico bensì un profondo simbolo di fratellanza.

In genere, quando si decide di corrispondere con un detenuto, è bene inviargli la busta ei francobolli per la risposta (i carcerati hanno quasi sempre grossi problemi economici,especialmente chi non ha la famiglia vicina), e non arrendersi se non ci arriva subito unarisposta, a volte serve tempo per stabilire un rapporto di fiducia.

A volte anche una semplice cartolina o una fotografia possono fare estremamente pia-cere, mentre per pacchi e libri è bene informarsi sul regolamento di ogni singolo carcere, cosìcome per l’eventuale invio di denaro.

Thea Valentina GardellinLuisa Costalbano

http://www.geocities.com/capitolhill/9118/penpal.htmlSito a sostegno dei Nativi Americani e delNative American Spiritual Freedom in Prison

http://www.dmoz.org/Society/People/Pen_Pals/Prisoners_and_Inmates/PrisonVoice.com. Open directory project.

Questo sito presenta un dettagliato elenco,con relativi link, ad associazioni, coalizione,movimenti ecc. per i detenuti. La lista dei sitida raggiungere attraverso il suddetto sito èlunghissima, il che la dice lunga sul numero dipersone in carcere che cercano d’instaurare

rapporti epistolari.

http://www.ccadp.org/Canadian Coalition against Death Penalty

http://www.worldwidefriends.org/Native American Prison pen pals

http://naprisoners.tripod.com/napnlist.htmlNative American Prisoner Network

http://www.prisonactivist.org/pps+pows/Political Prisoners in the US (include PuertoRico)

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h t t p : / /www. i n f o s hop . o r g / p r i s o n s /public_html/article.php?story=05-01-01-8215711American Gulag. News and resources onPrisoners, Prisons and Prison abolition

http://www.deathrowspeaks.info/Sito molto interessante.

http://www.deathrow.at/Altro sito molto interessante

http://www.coalit.org/sito della Coalizione Italiana Contro la Penadi Morte

h t tp : / /www. l aw.no r thwes te rn .edu/wrongfulconvictions/Questo è un sito che riguarda, nello specifi-co, lo stato dell’Illinois e le erronee condannea morte fortunatamente “riconsiderate” .

http://www.innocenceproject.org/E’ un sito MOLTO interessante. Riguarda laliberazione di diverse persone che in prece-denza erano state condannate a morte.L’innocence project risale a qualche anno fa,dopo un lungo progetto di ricerca attuato daalcuni laureandi in legge, che attraverso la lorotenacia hanno saputo e voluto far riaprire icasi di alcuni condannati a morte negli USA.Ad oggi, 9 ottobre, 2007 il numero di con-dannati a morte ERRONEAMENTE CONDAN-NATI A MORTE per REATI MAI COMMESSI salea 208 persone nei soli Stati Uniti d’America.208 persone che avrebbero subito l’esecu-zione capitale se qualcuno non si fosse con-vinto della loro innocenza! Scrivere ai dete-nuti può servire anche a questo. Conoscerele loro cause, avere accesso agli attiprocessuali (se egli decidono di inviarli), stu-diare il processo, decidere se intraprendereuna lotta a sostegno di una persona.

Sopra: Leonard Peltier

A lato: manifestazione per la liberazione di Pletier

Sotto: Peltier ricercato dall’FBI

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Associazione per i popoliminacciati

Comunicato stampaBolzano, Göttingen, 12 settembre

2007Free Peltier!Indiano attivista per i diritti civili ingiustamente in carcere da 31 anni

Oggi l’Associazione per i popoli minac-ciati (APM) durante una manifestazione diprotesta in Germania ha chiesto sostegno perl’attivista indiano per i diritti civili LeonardPeltier, in carcere da 31 anni sebbene inno-cente e gravemente malato.

L’APM vorrebbe ricordare il triste de-stino di questo indiano, che sarebbe certa-mente in libertà da tempo ormai, se l’FBI giàdall’inizio avesse presenta-to tutte le prove disponibili.Per questo l’APM sostiene ladomanda degli avvocati diPeltier circa la messa a di-sposizione dei documentidell’indagine, tenuti secretatifino ad oggi. Per molti,Peltier è il Nelson Mandeladel movimento per i diritticivili dei nativi americani.

Per Peltier si sonoimpegnate molte celebritàcome Harry Belafonte,Marlon Brando, NelsonMandela o Robert Redford,ma anche Deputati del Par-lamento europeo.

Nonostante tutto il processo non èstato riaperto.

Il giudice Gerald Heaney, che presie-dette due processi d’appello, ha chiesto periscritto all’allora presidente degli Stati UnitiClinton di dichiarare nulla la sentenza controPeltier.

Clinton però ha ceduto alla pressioneda parte del FBI e ha cancellato il nome del-l’attivista per i diritti civili dalla lista delle gra-zie nel gennaio del 2001, poco primadi passare il potere a Gorge W. Bush.

Peltier, che nel frattempo ha trascorso quasimetà della sua vita in prigione, ha compiuto i63 anni il 12 settembre.

In seguito ad un ictus in penitenzia-rio, Peltier é divenuto quasi cieco ad un oc-chio. In più si è ammalato di diabete e c’è ilsospetto di che abbia un tumore.

Peltier ha descritto i suoi sentimentiin prigionia in questo modo: “Trascorrere iltempo in prigione fa emergere un’immensaoscurità nella mia capacità d’immaginazione.... Il tempo è un cannibale che divora la carnedei tuoi anni, giorno per giorno, boccone per

boccone.”Nel 1999, sotto il

titolo “Prison Writings: MyLife is my Sundance”, èuscito un suo libro auto-biografico, pubblicato inItalia con il titolo “Scrittidelle prigioni: La mia vitaé la mia danza del sole”.Peltier è consideratodall’APM, da AmnestyInternational e da altreorganizzazioni per i dirittiumani un prigioniero po-litico.

Quando nel 1975 a PineRidge, riserva degli Oglala Lakota nel SudDakota, nel corso di una sparatoria moriro-no due agenti FBI ed un giovane Indiano,Peltier era lì.

L’occupazione di Wounded Knee daparte del “American Indian Movement” nel1973 aveva causato un’atmosfera di paurae di violenza nella riserva. Peltier era uno deicapi del movimento. Con l’aiuto di gruppi dipicchiatori armati, chiamati Goon Squad, l’al-lora presidente del consiglio tribale di PineRidge aveva cercato di cacciare dalla riserva imembri dell’AIM. Nel giugno del 1975 si è con-sumato il fatale episodio, durante il quale idue agenti del FBI sono stati colpiti a morteda distanza ravvicinata.

Anche se, secondo l’FBI, erano più di

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Please instruct the FBI to release the files of the Leonard Peltier case

Dear Senator Dianne Feinstein,Dear Representative John Conyers,

I appeal to you, to hold congressional hearings on the handling of Mr.Peltier’s FOIA requests. The FBI should be required to divulge the exactnumber of documents maintained on Mr. Peltier and the Field Offices thatmaintain these records. More importantly, these documents must be released.Previously released documents showed repeated instances of FBI misconductand forced the government prosecutor to admit that the government does notknow who shot the two FBI agents. The remaining files may contain evidencethat may exculpate Mr. Peltier. For these reasons, the remaining documentsmust be immediately released to the public.

Thank you for you consideration.

Yours Sincerely

E-mail: [email protected], [email protected]

40 gli Indiani che avevano partecipato alla spa-ratoria, solamente i tre membri dell’AIM BobRobideau, Dino Butler e Leonard Peltier sonostati portati davanti a una corte. Robideau eButler furono assolti e la loro partecipazionealla sparatoria fu considerata legittima dife-sa, legittimata dal clima di paura allora vigen-te. Peltier fu accusato separatamente e por-tato davanti ad un’altra Corte. La presuntatestimone oculare Myrtle Poor Bear revocòla sua dichiarazione che incriminava Peltierperché era stata estorta dal FBI, però in que-sto processo non è stata ammessa cometestimone. Altri tre testimoni ritirarono le lorodichiarazioni perché fatte sotto pressione daparte del FBI. Il pubblico ministero affermòche la difesa aveva ottenuto tutti i documen-ti investigativi del FBI. In realtà i difensori an-cora oggi stanno tentando le vie legali per-ché questi documenti vengano finalmentemessi a disposizione. Un esperto di balisticadel FBI ha collegato nella sua deposizione unacartuccia di pallottola che era stata trovatavicino ai cadaveri all’arma di Peltier.

Questo anche se era stata occultatauna perizia balistica, secondo la quale il pro-iettile non era stato sparato dall’arma diPeltier. I giurati che non erano a conoscenzadi questo fatto, condannarono Peltier a dueergastoli, dei quali Peltier sei anni fa ha finitodi scontare il primo.

Nonostante siano stati ammessi er-rori procedurali e nonostante le autorità sta-tunitensi ammettano di non sapere chi più di30 anni fa abbia esploso i colpi mortali, tutti itentativi degli avvocati di Peltier di ottenerel’apertura di un nuovo procedimento giudi-ziario sono fino ad oggi falliti. In considera-zione della durata della sua pena carceraria edella sua buona condotta, constatata da tut-ti, avrebbe comunque dovuto essere rilasciatoin libertà anticipatamente. La commissione re-sponsabile però insiste in una ammissione dicolpa per un delitto che non ha mai com-messo.

Mandate una mail con l’azione di pro-testa qui sotto, perchè l’FBI renda pubblici tuttigli atti sul caso Peltier.

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La fonte e la data delle notizie sono riportate tra parentesi. Per qualsiasi segnalazione o richiesta diulteriori informazioni si prega di contattare Il Cerchio oppure direttamente gli indirizzi indicati.

BOTSWANASono cadute le imputazioni acarico dei 21 Boscimani arre-stati tra giugno e luglio conl’accusa di aver cacciato persfamare le loro famiglie. Il 4settembre scorso sono com-parsi davanti a un magistratodi Gantsi. Dopo aver ascolta-to le argomentazioni presen-tate in loro difesa dall’avvo-cato, la polizia ha annullatotutte le imputazioni.(Fonte: Survival International,13.09.2007)

BRASILEA metà ottobre, DaviYanomami, uno dei leader in-digeni più conosciuti al mon-do, giungerà in Europa perparlare della distruzione delleforeste e chiedere che venga-no arginate le malattie chestanno decimando il suo po-polo. Davi parteciperà ancheal lancio di un nuovo dossierdi Survival dal titolo “Il progres-so può uccidere”. Nel frattem-po, il presidente del BrasileInácio Lula ha presentato ilProgramma di accelerazionedella crescita sociale indigena(meglio conosciuto come Pacindigeno). Nonostante i tonitrionfalisti del governo, i lea-der indigeni sono scettici epreoccupati.(Fonte: Survival International,09.10.2007)

BRASILEI leader indiani del Brasile stan-no esprimendo il loro decisodisappunto verso un disegno

di legge che, se approvato,consentirà lo sfruttamentominerario del loro territorio.(Fonte: Survival International,13.09.2007)

MALESIAPer impedire la distruzionedelle loro foreste natali, da piùdi 20 anni i nomadi Penan delSarawak costruiscono barri-cate lungo le strade utilizzatedai disboscatori.(Fonte: Survival International,09.10.2007)

NEPALIn agosto il parlamentonepalese ha annunciato la de-cisione di firmare la Conven-zione ILO 169. La 169 è at-tualmente la legge più impor-tante che esista a livello inter-nazionale in materia di dirittidei popoli indigeni e tribali.(Fonte: Survival International,13.09.2007)

PARAGUAYIl 9 agosto, giornata delle Na-zioni Unite dedicata ai popoliindigeni, Survival ha conse-gnato al governo paraguaianouna petizione con 57.000 fir-me a sostegno degli IndianiAyoreo del Paraguay. Scriviuna lettera di sostegno e sca-rica una versione pdf dell’ulti-mo bollettino di Azione urgen-te: http://italia.survival-international.org(Fonte: Survival International,13.09.2007)

PERUDurante un volo effettuato suuna delle aree più remote dellaforesta pluviale peruviana,sono stati avvistati 21 Indianiincontattati. Si calcola che inPerù esistano complessiva-mente 15 tribù isolate e sututte incombe la pesante mi-naccia di estinzione a causadello sfruttamento forestale epetrolifero.(Fonte: Survival International,09.10.2007)

MOSTRA

A Brescia, al museo di San-ta Giulia, dal 24 novembre2007 al 4 maggio 2008,una mostra sulla pitturaamericana dell’Ottocentocon 450 opere, di cui 280dipinti, 10 sculture, 80 fo-tografie originali di fine XIX–inizio XX secolo, 80 oggettidella cultura indiana edell’epopea di Buffalo Bill.

Aperta tutti i giorni, 9-19Biglietto 12,00 •Per informazioni:www.lineadombra.it,tel 0422 429999

AMERICA!Storie di pittura

dal Nuovo Mondo

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LATINOAMERICA n.100RACCONTA IL DOPO FIDEL

In concomitanza con la rinnovata strategia della tensione an-nunciata dal Presidente nordamericano Bush nei confronti del-la Rivoluzione cubana, la rivista di geopolitica Latinoamericacaratterizza il numero 100 della sua quasi trentennale vitacon uno speciale su Fidel Castro, raccontato nel bene e nelmale da alcuni degli intellettuali più prestigiosi del continentelatinoamericano e non.Il numero 100, in vendita nelle librerie Feltrinelli e in quelleindipendenti, sul tema offre testimonianze antiche e recenti,da Senel Paz (che spiega il dopo Fidel), a uno scritto inedito diErnesto Guevara, da un saggio di García Márquez, a approfon-dimenti di Alberto Moravia, Jorge Amado, Eduardo Galeano,Miguel Bonasso, all’autocritica in corso fra intellettuali cubanicome Soledad Cruz, Roberto Fernández Retamar e AurelioAlonso, sull’esagerata condiscendenza, negli anni ’70, per ilmodello sovietico, che condizionò la sincerità della Rivoluzionecubana.In questo numero della rivista anche l’analisi sulla sfida indige-na di Evo Morales e Rafael Correa (tesi in Bolivia e Ecuador avarare una Costituzione più equa per tutti i cittadini), e ildiscorso che il Subcomandante Marcos ha tenuto recente-mente alla Scuola Nazionale di Antropologia (ENAH) dell’Uni-versità Autonoma di Città del Messico.

www.giannimina-latinoamerica.it

FESTA DELLA MADRE TERRACome tradizione già da sei anni, anche quest’anno si è svolta , il 7 e 8 luglio, la Festa di Madre Terra,

promossa da Hunkapi, con la collaborazione di Soconas Incomindios ed Enti Locali vari (Provincia diGenova, Comune di Fascia, Comunità Montana Alta Val Trebbia, Parco dell’Antola).

Due giornate piene piene, a contatto stretto con una natura splendida – il parco è bellissimo e con iteepee e le tende di tutta quella “gentaglia dalle disdicevoli frequentazioni” lo era ancora di più- nellospirito e con il giusto rispetto che i nostri fratelli Musi Rossi sanno così profondamente sentire etrasmettere a chi vive in sintonia con il loro modo di essere.

Si è ballato, cantato, raccontato, costruito borse di medicina, tamburi, punte di frecce…, le donnehanno battuto i maschi nella costruzione del teepee, soprattutto si è stati insieme. C’erano: LanceHenson, il poeta Cheyenne, incavolato nero con gli Americani; Quentin Pipestem, il danzatore BlackFoot, con i suoi cerchi e suo figlio Ninawa, superlativo come sempre; Ed Bryant, Tsimshian, che haanche intagliato maschere con legno per arco; Gilbert Douville, che ha guidato la cerimonia sacra, altramonto; Mich Walking Elk, l’Arapaho-Cheyenne per la prima volta in Italia, con il suo concerto country-blues; Kendall Old Elk, che ha spiegato il significato del tamburo; William Kennedy, giovane AssiniboineNakota del Canada, che ha parlato della “nazione dei cavalli” e della “Cavalcata per l’Unità “; le danze ei canti tradizionali dei Buffalo Spirits. C’è stato spazio per conferenze, chiacchierate, scambi di opinioni,curiosità da soddisfare, momenti di intensità molto forte.

Tanti i partecipanti, sia a due gambe che a quattro – c’era anche un lupo con la sua compagnaumana -, quasi tutti “malati di indianità”. Madre Terra ha regalato due giornate bellissime e una nottepiena di stelle.

TEPEE

SOCONAS INCOMINDIOS èun’associazione che promuove laconoscenza delle culture, dellastoria e delle problematiche at-tuali dei Nativi Americani, e colla-bora occasionalmente con Il Cer-chio; era presente anche all’ulti-mo Meeting a Cannara.Soconas pubblica la rivista TEPEE,con un’ottima veste grafica,dove puoi trovare racconti, poe-sie, profili storici delle varie tribù,argomenti di interesse antropo-logico, e molto altro riguardo agliIndiani d’America.

Per ricevere un numero invia 10,00 •,contributo annuale 20,00 •, da versa-re sul c/c 33770108 intestato aSoconas Incomindios, casella posta-le 292, 10024 Moncalieri (TO).

www.soconasincomindios.it

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Questi sono i gruppi che attualmente costituiscono il Coordinamen-to Nazionale di Sostegno ai Nativi Americani

*Associazione Kiwani - Il Risveglio via Palagio 29 - 50065 Pontassieve (FI).Tel/fax : 055 8450201 e-mail: [email protected] - [email protected]

*Waga Chun c/o Piero Fantoni, Via Valinosio, 3 - Cortandone (AT), Tel 0161 849179*Associazione Wambli Glesca c/o Massimiliano Galanti, Via Val Pusteria 27, 48100 Ravenna.

Tel. 0544 0407058 e-mail: [email protected]*Coordinamento per il Monte Graham c/o Corrado Baccolini P.zza Sassatelli 34, 41057

Spilamberto (MO) Tel. 059 935140*Associazione Alter-Nativi c/o Vittorio Delle Fratte, via H.A. Taine 51 00100 Roma

Tel. 06 72673072 oppure 335 7533193 e-mail: [email protected]*Associazione Huka Hey c/o Auro Basilicò, Via Pitter 1, 33170 Pordenone. Tel. 0434 370558

e-mail: [email protected] - [email protected]*Associazione Mitakuye Oyasin c/o Claudia Sodo, Via C.F. Bellingeri 4, 00168 Roma

Tel. 06 33 88 066 - 339 37 40 640 e-mail: [email protected]*Comitato Pro Indios di Roraima (Brasile) Silvia Zaccaria c/o ASAL Ass. Studi America Latina

via Tacito 10, 00193 ROMA tel. 0039.06 32 35 389 – fax 0039.06 32 35 388e-mail: [email protected] – www.indiosdiroraima.org

*Gruppo Heyata c/o Claudio Rigodanzo - Via Costo, 9 - 37030 Roncà (VR) Tel.045 6545052 E-mail: [email protected]; [email protected]*Associazione Gaia Terra c/o Maurizio Rosace e Loredana Carocci, www.gaiaterra.it; e-mail:

[email protected]; [email protected]

*Referente per la libreria de “Il Cerchio”: Giuliano Pozzi Tel. 339 63 59 170e-mail: [email protected]

*Coordinatore de “Il Cerchio”: Vittorio Delle Fratte tel. 335 7533193e-mail: [email protected]

(per far parte del coordinamento e collaborare basta contattare uno dei gruppi e partecipare agli incontrile cui date cercheremo sempre di divulgare attraverso questo giornale, il sito internet e le comunicazioniai soci)

Le Tribù del Cerchio

ATTENZIONE:

vogliamo ricordare a tutti i soci che, se non aveteversato la quota associativa de “IL CERCHIO”nell’ultimo anno, la vostra iscrizione è scaduta.Per continuare a sostenere il coordinamento ericevere il giornale vi invitiamo a rinnovare l’adesioneall’associazione, effettuate al più presto ilversamento, come indicato in fondo al giornale.

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IL CERCHIO èl’Associazione senza fini di lucro

che coordina i numerosi gruppi ed indivi-dualità italiani che svolgono attività di sostegno

ai Nativi Americani e di salvaguardia della Madre Ter-ra: prigionieri politici, lotte per difendere le terre ancestrali

e tribali, iniziative volte alla salvaguardia delle culture native,programmi di sostegno economico e di raccolta fondi per pa-

gare spese legali e petizioni, tenendo contatti con le associazionid’oltreoceano.Questo periodico ti fa avere notizie dal continente americano, èuno spazio indipendente aperto a tutti, un posto dove confrontarsi ecrescere insieme, uno strumento di conoscenza e di lotta nato dal-l’esigenza di persone diverse, che pur vivendo lontane con esperienzee percorsi differenti sentono “qualcosa che le accomuna”.IL CERCHIO rappresenta uno dei pochi collegamenti con la realtà deiNativi in quanto le notizie, il più delle volte ignorate dal mondo della“grande informazione”, provengono da contatti diretti con essi. Questo giornale parla anche della spiritualità, dell’arte e dellaletteratura dei Nativi Americani e sostiene le loro lotte come

sostiene quelle di ogni popolazione nativa che abbia lemedesime difficoltà a mantenere viva la propria iden-

tità culturale.ASSOCIATI A

“IL CERCHIO”

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