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NON UN VOTO VADA PERSO NO AGLI INCIUCI ANTIDEMOCRATICI I l governo non vuole che gli emigrati votino. La scusa: i costi sono alti; ma la de- mocrazia, come il cibo, è necessaria. Tagli sul cibo: muori; tagli sulla democrazia: muore la libertà e c’è la dittatura. Il governo Berlusconi sta scientificamente lavorando per non farci votare. Non ha stanziato fondi sufficienti non favorendo, come Costituzione prevede, l’espletamento del diritto di voto di tutti i cittadini. Solo a titolo di esempio: • è stato raddoppiato il numero degli elettori necessari per approntare un seggio. Già questo dato da solo significa la metà dei seggi rispetto alle elezioni precedenti, seggi che avrebbero potuto essere dislocati in luoghi maggiormente vicini ai luoghi di residenza dei connazionali; • in Belgio non verranno approntati seggi in luoghi diversi dai Consolati. Molti connazionali avranno dunque enormi difficoltà ad andare a votare; • in Germania la diminuzione dei seggi costringerà decine di migliaia di cittadini a fare un numero imprecisato di chilometri per andare a votare. Un esempio: In tutte le competizioni elettorali tenute fino ad ora, è sempre stato istituito un seggio per gli italiani della provincia del Rhein-Sieg a Siegburg, il capoluogo. Ora questo seggio è stato accorpato a Bonn (dove il numero dei connazionali è minore!); • in Svizzera gli emigrati semplicemente NON voteranno, perché questo non è un Paese UE. Cioè come per le amministrative, un residente in Svizzera si dovrà recare nel Comune di iscrizione AIRE, cioè anche in Sicilia o in Sardegna. Di fatto, la stragrande maggioranza di questi emigrati NON voterà; • in Repubblica Ceca ci saranno cittadini costretti a fare 200 chilometri per votare; • stanno arrivando a tutti le cartoline elettorali dei comuni di provenienza creando confusione sul luogo della votazione. Ma non è solo Berlusconi; il PD gli dà, vergognosamente, una mano. In Belgio assistiamo ad un vero e proprio inciucio antidemocratico. L’Ambasciata, in risposta alla nostra lettera a Napolitano, ci dice che il segretario e i rappresenti del Belgio nel CGIE e i Comites di questo Paese hanno avallato i tagli alla democrazia, alla possibilità cioè, per chi lo desidera, di votare! Costoro che abbiamo eletto ci rap- presentano così? Non basta questo governo che odia i connazionali emigrati, che taglia tutti i fondi a noi destinati e, da ultimo, che non ci vuole far votare? Ora ci si mettono anche quelli del PD? Chiediamo le dimissioni dei Comites e dei membri del CGIE del Belgio per manifesta connivenza al taglio della democrazia. Il governo pensa agli sprechi e non ai diritti e ai bisogni dei cittadini. Noi chiediamo: come mai il MAE trova subito i fondi per ripianare enormi buchi nelle rappresentanze? E perché vengono ripianati questi buchi impropri e non ci si adopera per garantire il diritto al voto con adeguati finanziamenti? Questo non è uno Stato: è una conventicola costituitasi nell’interesse privato. LA SOLA RISPOSTA È FARE DI TUTTO PER ANDARE A VOTARE; non un voto comunista vada perso! AURORA AURORA Editoriale www.aurorainrete.org numero 7 Anno II - giugno 2009 Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani residenti all’estero AURORA AURORA di Roberto Galtieri e Mario Gabrielli Cossellu (PdCI e PRC Belgio) IN QUESTO NUMERO ... ... ED ALTRO ANCORA L’AQUILA E ATENE: due terremoti di Ivan Surina p. 4 Giornale per l’unità comunista Elezioni Europee: COME SI VOTA p. 10 PER CHI SI VOTA p. 11 SPECIALE 2 GIUGNO Festa della Repubblica Oggi in Italiadi Massimo Recchioni p. 6 di Ornella Carnevali p. 18 PARLIAMO DI DIGNITÀ IL 1° MAGGIO NEI VARI PAESI EUROPEI p. 20-22 TRA EMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE RUBRICA AgilMente Attualità EUROPEA

NON UN VOTO VADA PERSO NO AGLI INCIUCI … · alla nostra lettera a Napolitano, ci dice che il segretario e i rappresenti del Belgio ... preferisco all’inno di Mameli perché parla

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NON UN VOTO VADA PERSONO AGLI INCIUCI ANTIDEMOCRATICI

Il governo non vuole che gli emigrati votino. La scusa: i costi sono alti; ma la de-mocrazia, come il cibo, è necessaria. Tagli sul cibo: muori; tagli sulla democrazia:

muore la libertà e c’è la dittatura. Il governo Berlusconi sta scientificamente lavorando per non farci votare. Non ha

stanziato fondi sufficienti non favorendo, come Costituzione prevede, l’espletamento del diritto di voto di tutti i cittadini. Solo a titolo di esempio:• èstatoraddoppiatoilnumerodeglielettorinecessariperapprontareunseggio.

Già questo dato da solo significa la metà dei seggi rispetto alle elezioni precedenti, seggi che avrebbero potuto essere dislocati in luoghi maggiormente vicini ai luoghi di residenza dei connazionali;

• inBelgiononverranno approntati seggi in luoghidiversi dai Consolati. Molti connazionali avranno dunque enormi difficoltà ad andare a votare;

• in Germania la diminuzione dei seggi costringeràdecine di migliaia di cittadini a fare un numero imprecisato di chilometri per andare a votare. Un esempio: In tutte le competizioni elettorali tenute fino ad ora, è sempre stato istituito un seggio per gli italiani della provincia del Rhein-Sieg a Siegburg, il capoluogo. Ora questo seggio è stato accorpato a Bonn (dove il numero dei connazionali è minore!);

• inSvizzeragliemigratisemplicementeNONvoteranno,perchéquestononèunPaese UE. Cioè come per le amministrative, un residente in Svizzera si dovrà recare nel Comune di iscrizione AIRE, cioè anche in Sicilia o in Sardegna. Di fatto, la stragrande maggioranza di questi emigrati NON voterà;

• inRepubblicaCecacisarannocittadinicostrettiafare200chilometripervotare;• stannoarrivandoatuttilecartolineelettoralideicomunidiprovenienzacreando

confusione sul luogo della votazione.

Ma non è solo Berlusconi; il PD gli dà, vergognosamente, una mano. In Belgio assistiamo ad un vero e proprio inciucio antidemocratico. L’Ambasciata, in risposta alla nostra lettera a Napolitano, ci dice che il segretario e i rappresenti del Belgio nel CGIE e i Comites di questo Paese hanno avallato i tagli alla democrazia, alla possibilità cioè, per chi lo desidera, di votare! Costoro che abbiamo eletto ci rap-presentano così? Non basta questo governo che odia i connazionali emigrati, che taglia tutti i fondi a noi destinati e, da ultimo, che non ci vuole far votare? Ora ci si mettono anche quelli del PD?

Chiediamo le dimissioni dei Comites e dei membri del CGIE del Belgio per manifesta connivenza al taglio della democrazia.

Il governo pensa agli sprechi e non ai diritti e ai bisogni dei cittadini. Noi chiediamo: come mai il MAE trova subito i fondi per ripianare enormi buchi nelle rappresentanze?Eperchévengonoripianatiquestibuchiimproprienoncisiadoperaper garantire il diritto al voto con adeguati finanziamenti? Questo non è uno Stato: è una conventicola costituitasi nell’interesse privato.

LA SOLA RISPOSTA È FARE DI TUTTO PER ANDARE A VOTARE; non un voto comunista vada perso!

AURORAAURORA

Editoriale

www.aurorainrete.org

numero 7Anno II - giugno 2009

Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani

residenti all’estero

AURORAAURORA

di Roberto Galtieri e Mario Gabrielli Cossellu (PdCI e PRC Belgio) in questo numero...

...ed altro ancora

L’AQUILA E ATENE: due terremotidi Ivan Surina p. 4

Giornaleper l’unità comunista

ElezioniEuropee:

comE sI voTA p. 10

pEr chI sI voTA p. 11

spEcIALE2 gIUgNoFesta dellarepubblica“Oggi in

Italia”

di Massimo Recchioni p. 6

di Ornella Carnevali

p. 18

pArLIAmoDI DIgNITÀ

IL 1° mAggIoNEI vArI pAEsIEUropEI

p. 20-22

TRA EMIGRAZIONE

E INTEGRAZIONERubRica

AgilMente

Attualità

EUROPEA

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 20092

L’attuale direttiva dell’UE sull’orario di lavoro (2003/88/CE) non prevede un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza

dei lavoratori che svolgono orari di lavoro lunghi e irregolari. La direttiva attuale ammette un orario di lavoro massimo di

48 ore per ogni periodo di sette giorni, come già sancito, peraltro, 89 anni or sono, nel 1919, dall’accordo C1 dell’OIL. La direttiva prevede, inoltre, un numero elevato di deroghe, nonché la possi-bilità generale di non adottare il limite massimo di 48 per l’orario di lavoro settimanale.

I governi dei Paesi membri, riuniti nel Consiglio dei ministri UE, vuole deregolamentare la direttiva esistente la direttiva esistente portando un durissimo attacco ai diritti dei lavoratori articolato in tre parti:

1. Orario di lavoro annuale flessibile Una deroga presente nell’attuale direttiva consente di calcolare

il limite massimo dell’orario di lavoro di 48 ore settimanali come media di un periodo di riferimento di 12 mesi, ma solo a condizione che tale aspetto sia disciplinato dai contratti collettivi.

Il Consiglio vorrebbe che la definizione del meccanismo applicato all’orario di lavoro annuale avvenisse in via legislativa (vale a dire con un voto a maggioranza nei rispettivi parlamenti nazionali dell’UE), oppure attraverso un semplice regolamento amministrativo (in tal caso non vi sarebbe alcuna possibilità per i parlamenti nazionali di votare il regolamento).

In questo modo gli Stati membri hanno un’arma potente da utilizzare contro i sindacati. Infatti, i contratti collettivi che attualmente discipli-nano l’orario di lavoro annuale potrebbero essere indeboliti, mentre si limiterebbe ulteriormente il margine di manovra della contrattazione collettiva. In alcuni periodi dell’anno, l’orario di lavoro massimo potrebbe addirittura raggiungere 78 ore a settimana e 13 ore al giorno.

2. Servizio di guardiaIl Consiglio intende abolire le sentenze della Corte di giustizia

europea, le quali prevedono che il tempo trascorso a svolgere il servizio di guardia nel luogo di lavoro sia computato a pieno titolo nell’orario di lavoro e che il periodo di riposo compensativo debba essere concesso immediatamente dopo il periodo combinato di normale attività lavorativa e di servizio di guardia. Il Consiglio parla invece di “periodi inattivi durante il servizio di guardia”, che non devono essere computati ai fini dell’orario di lavoro. Il Consiglio ha poi addirittura aggravato la proposta inzile della Commissione (l’esecutivo dell’Ue) allargando la questione tempo di guardia dal settore sanitario e dei pompieri a tutti i settori.

Se tale disposizione fosse approvata, tutti i lavoratori, e non solo del settore sanitario e gli operatori dei servizi di emergenza, verrebbero

grAzIE AI comUNIsTI nel parlamento europeo bloccata la revisione della direttiva sull’orario di lavoroNo al ritorno allo schiavismo

privati dei diritti sanciti dalle più favorevoli sentenze della CGE. Pertanto, le condizioni intollerabili di orari di lavoro molto lunghi dei lavoratori nel settore sanitario in tutta l’Unione Europea proseguirebbero, mettendo a repentaglio non solo la loro salute e sicurezza, ma anche la sicurezza e la qualità delle cure prestate ai pazienti.

3. Mantenimento della derogaIl Consiglio intende mantenere la deroga generale alle dispo-

sizioni della direttiva che disciplinano il limite massimo di 48 ore per la settimana lavorativa. Esso propone limiti massimi all’orario di lavoro in caso di applicazione della deroga, in generale 60 ore a settimana e 65 ore qualora la parte inattiva del servizio di guardia sia computata ai fini dell’orario di lavoro. Entrambi questi limiti massimi devono essere calcolati nell’arco di un periodo di riferimen-to di tre mesi. Come terza opzione, la deroga può essere applicata sulla base di un contratto collettivo, in tal caso senza la previsione di alcun limite massimo.

In questo modo, il Consiglio respinge la posizione approvata dal Parlamento europeo in prima lettura nel 2005, segnatamente la totale abolizione della deroga dopo un periodo di 36 mesi.

DErIvA vErso IL rEgrEsso socIALEQualora la proposta del Consiglio fosse approvata, persino i

deboli standard esistenti, che prevedono un massimo di 48 ore per settimana lavorativa, verrebbero del tutto privati di significato. In alcuni periodi dell’anno si potrebbero prospettare settimane lavo-rative di un massimo di 78 ore e giornate di lavoro di un massimo di 13 ore, sulla base dell’orario di lavoro flessibile annuale oppure, in alternativa, per effetto dell’applicazione della deroga.

La revisione della direttiva sull’orario di lavoro sta subendo una deriva verso il regresso sociale, tanto da poter essere considerata addirittura una sorta di ritorno allo schiavismo.

I comunisti nel Parlamento europeo sono riusciti a bloccare questa revisione e per fare in modo che non si torni indietro hanno partecipato alle manifestazioni indette dalla Confederazione Europea dei Sindacati, in diverse capitali europee il 14,15 e 16 maggio.

di Roberto Galtieri (B)

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 3

GLOSSARIO PARTIGIANOGabriele Tesauri

— Ma quanti anni avevi, Avio, quando facevi il partigiano?

— 20Il colore che mi ha colpito di più nella storia

della Resistenza italiana non è stato tanto il rosso delle bandiere, la scala dei grigi delle fotografie o il nero dei lutti, quanto il bagliore dell’età dei suoi protagonisti. I partigiani sono giovani, più giovani di me. Una generazione che ha modificato il rapporto tra il potere e il popolo nel nostro paese. Prima di loro la dittatura, dopo di loro la democrazia. Comunisti? Certo. Dovendo dargli un nome non me ne viene in mente uno migliore di questo. Mettere in comu-ne quello che la natura ci dona, partecipando tutti insieme al progresso, senza più differenze di opportunità.

Ho conosciuto i partigiani per caso, sempre che il caso non sia altro che cercare la nostra verità.

Ormai sono rimasti in pochi, hanno tutti più o meno 80 anni.

E sono giovani, più giovani di me. Pian piano si è formato nella mia memoria

un glossario partigiano, un modo di interpretare le parole della storia della Resistenza:

antifascista: mah, visto che comunista siam riusciti a farlo diventare un insulto, dato che illuminista sembra una cosa vecchia e che la parola democratico mi fa venire subito alla mente la faccia di Clinton o di Veltroni, per descrivere “l’Italia che vorrei” devo usare questa brutta parola che inizia per anti, ma che profuma di sogni liberi sventolati in un’alba di primavera repubblicana.

bella ciao: inno della resistenza italiana, spesso ci si confonde con le strofe, per cui ca-pita che la bella venga sepolta prima di morire sotto il fiore del partigiano, ma in ogni caso lo preferisco all’inno di Mameli perché parla di come è nata la mia repubblica e non dell’elmo di Scipione l’Africano.

campo di sterminio: è inutile negar-lo, tanto c’è stato.

Casa di latitanza: casa della campagna emiliana dove i partigiani potevano appoggiarsi per i rifornimenti, per nascondersi e per fare all’amore. Questo sarebbe un tipo di edilizia popolare da sostenere.

comunismo: il paradiso in terra. Il problema è che siamo vivi e vogliamo fare i furbi.

costituzione: il foglio dove sono scritte le regole del gioco. Test: se voi giocate a poker e uno decide che quelli biondi perdono anche se hanno in mano una scala reale e voi siete biondi come reagite? A) rovesciate il tavolo, B) vi tingete i capelli, C) spegnete la tv, domani è un altro giorno.

Ebreo (v. zingaro, disabile, omosessuale, insomma, “differente”): la raccolta differenziata è stata inventata dai nazifascisti. E nessuno che si lamentasse per l’inceneritore.

Fascista: colui che parteggia per i padro-ni, che è sostenuto dai padroni, che combatte per i padroni e che poi mette i padroni da parte. Fino a quando i padroni non se ne accorgono.

Giustizia partigiana: episodi di: av-venimenti di questo tipo sono accaduti anche dopo la fine della guerra. per questi episodi i partigiani sono stati fatti oggetto di linciaggio morale. Prima domanda: chi decide che una guerra è finita? Un americano? Seconda do-manda: se ti mandano a conquistare la Russia e poi ti ritrovi dentro a una ritirata disastrosa dove i tuoi alleati tedeschi ti tagliano le dita con la lama della baionetta se provi ad attaccarti a una camionetta che potrebbe riportarti a casa e a casa ci ritorni a piedi, cosa fai se incontri un fascista convinto? Terza domanda: se la repub-blica è nata su questo spargimento di sangue, su cosa era nato il regime fascista? Conclusione: se ci mettiamo a contare i morti risaliamo fino a Caino e Abele, e rischiamo di consegnare alle nuove generazioni delle liste della spesa invece che un mondo migliore.

Guerra: consuetudine umana utilizzata per risol-vere normali problemi di tipo economico di grandi aziende o nazioni. Durante

una guerra muoiono molte persone normali, di solito quelle che hanno grandi problemi di carattere economico.

In particolare quella guerra detta Seconda e Mondiale è stata voluta nel nostro paese dai fascisti che hanno mandato a morire molti italiani. Alla fine di questa guerra gli italiani hanno deciso che i fascisti erano incapaci di governare. Perché gli italiani vedevano intorno a loro macerie e lacrime.

Poi ci deve essere stato un ripensamento degli italiani. Ah, questi curiosi popoli medi-terranei…

Liberazione: giorno della giornata dove si ricorda che in questo paese un giorno (il 25 aprile 1945) ci si è liberati da qualcosa, evidentemente. Questo qualcosa va ricordato che è il fascismo.

Libertà: la propria libertà finisce dove comincia quella di un altro; in edilizia (“Casa delle Libertà”) la definizione viene mu-tata in: la vostra libertà comincia quando ho finito di garantirmi la mia (forse, poi vediamo, comunque decido io, mi avete eletto o no?).

Padrone: parola molto in voga nel secolo scorso, ora è caduta in disuso, sostituita da imprenditore. Questo nuovo termine, volendo essere moderno e quindi democratico, rivela meglio la natura dell’oggetto che descrive: contiene infatti la radice del verbo prendere.

Partigiano: colui che parteggia, che sostiene una parte, che combatte per una parte, e che poi viene messo da parte. Ma anche colui che non ha mai smesso di credere che si poteva fare la rivoluzione.

Resistenza: decidere che è arrivato il momento di riprendersi la propria dignità di uomo e di donna liberi o almeno di provarci. A volte basta una bella risata in faccia a chi si crede un dio. A volte no.

L’Elzeviro

Testo integrale in

“NUOVA ANTOLOGIA PARTIGIANA”

Comune di Correggio, A.N.P.I, sezione di Correg-gio, con la collaborazione della Fondazione ERT.

a cura di Mariarosaria Sciglitano

LA NosTrA rEpUbbLIcAè NATA DALLA rEsIsTENzA Ecco il nostro omaggio al 2 giugno

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 20094

Cari compagni ho bisogno di comunicare dei dubbi che mi perseguitano. Nelle ultime settimane tutti noi abbiamo

seguito con crescente angoscia le notizie che ci arrivavano L’Aquila e dagli altri paesi dell’Abruzzo. Solo ora che la pri-ma fase è passata con la sepoltura delle vittime e la fase della ricostruzione si dice che stia cominciando, sono andato a guardarmi alcune cosette:

Si dà il caso che io viva ad Atene da abbastanza anni, “ab-bastanza” per aver passato qui i due terremoti più distruttivi dell’ultimo decennio. Non deve sembrare esagerato se mi ri-ferisco all’ultimo decennio, ma la Grecia e la sua capitale sono considerate fra le regioni a più alto rischio sismico. Il 7 agosto del 1999 mi trovavo a casa ad Atene, era il primo pomeriggio e mi stavo preparando ad una pennichella estiva. Fu in quel momento che tutti i bicchieri della cucina cominciarono a fare un fracasso infernale, e il solo mantenersi in equilibrio fu un’impresa non da poco. Scappammo in strada e ci rima-

L’AQUILA E ATENE: due terremoti

Cairo (circa 1.000 km) e nel sud dell’Italia. I danni furono solo all’aeroporto di Kitira e considerati lievi. Una seconda scossa si verificò a Cefalonia lo stesso giorno, ed è li che ebbi la seconda esperienza di terremoti così intensi. Tutto questo lo racconto perché qualcosa non mi quadra. In Abruzzo la scossa principale fu di magnitudo 6,3 con scosse di assestamento di 5-5.8 Richter. Faccio una riflessione: tutto l’Abruzzo non ar-riva agli abitanti di Atene, e che l’Aquila è città ad alto rischio sismico, con obbligo di costruzione con criteri antisimici e questo riguarda anche i paesi limitrofi. Allora, perché tutti questi morti? Perché tutta questa gente rimasta senza casa? Perché tutti questi invalidi ? Per trovare un caso simile, bisogna tornare al terremoto avvenuto in Turchia nell’estate del 1999, prima di quello verificatosi ad Atene. Anche in quel caso si sbriciolarono interi palazzi e i morti furono numerosissimi, ma li si scoprì che di cemento ce ne stava pochino, che la sabbia era di mare, e che il ferro era latitante, ma che c’entra, mi direte? Quella era la Turchia…

di Ivan Surina (GR)

nemmo per circa un’ora. L’epicentro era a 10 chilometri da casa mia (Monte Parnaso) e la magnitudo 5,9 Richter. Forse perché per legge la mia casa era costruita con criteri antisismici obbligatori per legge o forse perché il cemento era cemento ed il ferro era presente in quantità secondo me esagerate, la casa non presentò neanche una crepa e neanche le altre case del quartiere. Per una città che conta fra il comune di Atene e i comuni dell’immediata periferia circa 5 milioni di persone, i morti furono 74, i feriti 1.557, i dispersi 30. I senzatetto furono 10.000, che si ridussero appena furono fatti i sopralluoghi casa per casa. La maggioranza delle vittime furono gli operai di due industrie, di cui una che aveva subito un incendio ed era stata riattivata dopo una semplice riverniciatura, ed un’altra a cui si erano segate alcune colonne per aumentarne lo spazio. Il 28 agosto 2007, ci fu un’altro terremoto con scosse di magni-tudo da 6,4 a 6,9 Richter, con epicentro a 215 km da Atene. I testimoni parlano di una scossa lunghissima, avvertita a Il

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 5

Lettere‘’Ma io per iL terreMoto non do neMMeno un euro...’’di Giacomo Di Girolamo - 14 aprile 2009

Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la

mia suona come una bestemmia. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda. Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà che in questo momento, da italiano, io possa fare. Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. Non do una lira, perche pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la Protezione Civile che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l’economia del nostro Paese. Nelle mie tasse c’e previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella. C’è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli altri – da noi contribuenti. Ma a fare

“QueSto diCeVano deGLi itaLiani neL 1912 neGLi Stati uniti”Immigrati italiani in Usa

“Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.

Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.

Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cu-cina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.

Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.

Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.

cosa? Ce n’era proprio bisogno? Avrei potuto anche darlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di “new town” e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: “new town”. Dove l’ha preso? È un brand. Come la gomma del ponte. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l’unita di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme – da generazioni – gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è. Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo dare questo euro? Per compensare cosa? Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sotto-lineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto. E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo Paese, o li hanno fatti morire di noia. Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.

Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.

I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”.

La relazione così prosegue: “Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano a abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più.

La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

VerSiOne integrale in www.antimafiaduemila.com:80/content/view/14832/48/

Il testo e tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigra-zione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912. FoNTE: rAINEWs 24

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009

Passano le Feste, velocemente, forse troppo velocemente perché se ne

possano assaporare fino in fondo i si-gnificati, a volte persi, invece che nella Memoria con la “M” maiuscola, nella memoria collettiva dell’italiano-medio “brava persona” e qualunquista – quella pseudomemoria che è spesso tutto fuor-ché riconoscente – e nell’abitudine di chi guarda il calendario solo per sapere quale sarà la prossima giornata in cui non si andrà al lavoro.

Eppure se un lavoro lo abbiamo lo dobbiamo dav-vero, senza retorica, alle Feste sulle quali – dal 25 Aprile al 2 Giugno, Festa della Repub-blica, passando per il Primo Maggio – di volta in volta in questi mesi ci stiamo sof-fermando. Come faremmo a parlare di lavoro senza parlare di diritti? Come faremmo a parlare di diritti senza parlare di Liberazione dall’oppressio-ne? Non ci sarebbe mai stato un 2 giugno 1946 se non ci fosse stato un 25 Aprile l’anno precedente. Ma come è possibile – purtroppo – che il senso di queste Celebrazioni si dimentichi, si affievolisca o si annacqui o – cosa forse peggiore – lo si dia per scon-tato? Come si fa a dimenticare l’altissimo prezzo pagato dal nostro Paese, in termini di vite umane e non solo, per scacciare l’oppressore nazifascista? Come si può non ricordare che grazie a quella lotta si arrivò alla stesura – da parte di tutte le forze che vi avevano partecipato – di uno dei più bei libri di educazione mai scritto: la nostra Carta Costituzionale?

2 gIUgNoFesta della repubblica:La parola d’ordine è, per ora, RESISTERE!!!

Ecco allora perché andremo ad intrecciare nuovamente questa data storica con quella del 25 Aprile; perché se nella seconda si decise chi doveva es-ser cacciato, nella seconda i 552 “Padri costituenti” furono chiamati a decidere per far posto a cosa quella tirannia era stata debellata.

Il 2 di giugno del 1946 il popolo italiano decise di cacciare un re complice

dei reati nazifascisti, che nulla fece per opporsi alla vergogna cui il nostro Paese fu esposto. Anzi, in momenti diversi avallò l’avvento al potere del fascismo, firmò le allucinanti leggi razziali del 1938, non impedì la tragica avventura di una guerra che condusse il mondo alla morte di decine di milioni di persone, salvo poi fuggire quatto quatto quando cominciò a

di Massimo Recchioni (CZ)

RubRica

“Oggi inItalia”

vedersela brutta. Darsela a gambe, questa fu la cosa che negli ultimi anni della mo-narchia italiana riuscì meglio e con mag-gior velocità ai nostri regnanti, lasciando un popolo – oltre che nel disonore – nella tragedia. Fu solo la guerra di Liberazione a restituire – a prezzo di centinaia di migliaia di vittime – a quel popolo una dignità ed un posto al tavolo dei Paesi civili. La stessa famiglia che rientrò in Italia decine di anni dopo rivendicando

proprietà e danni morali per centinaia di milioni di euro, senza provare un briciolo di vergogna. Neanche per la gente fatta internare, sevizia-re, deportare. E pensare che questi loschi figuri avrebbero anche potuto vincere – e restare – nel 1946!

Questa data, che era stata festiva dal 1949 al 1977 e poi abrogata (veniva in quegli anni celebrata con una sfilata nella via di Fori imperiali, un pezzo dello storico quartiere romano di Monti comple-tamente sventrato per le manie di grandezza di un pazzoide), venne ripristinata dal governo Amato nell’anno 2000 su pressione dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Il suo significato restava e resta – come dicevamo – intatto. Si tratta della quadratura del cerchio, della stagione di rinascita cominciata dalla Resistenza che – passando per la Liberazione – avrebbe riportato l’Italia tra le nazioni “civili”. Dove non sarebbero state più possibili discriminazioni per razza o colore della pelle, dove i cittadini anche non italia-

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 7

“Oggi inItalia”

ni non avrebbero più potuto pretendere il posto sull’autobus che spettava loro di diritto, facendo alzare l’ebreo, il senegalese, il diverso di turno. A qualcuno (è purtroppo vergo-gnosa attualità) di tutta quella squallida storia dev’essere sfuggito il significato...

Tentazioni razziste e/o classiste continuano, infatti e purtroppo, ad alzare periodicamente la testa, nel nostro povero, bravo Paese. Con lo scopo politico – che troppo spesso va a buon fine – di mettere poveri contro poveri, cioè coloro che in teoria dovrebbero stare dalla stessa parte e combattere le stesse battaglie! La Costitu-zione non prevede poi niente di speciale, in fondo. Solo che quegli ostacoli che impediscono parità di opportunità e di diritti, così come differenze di fronte alla Legge, vengano rimossi.

Cosa così bella semplice a dirla, così impossibile in uno Stato dove il mercato

e lo sfruttamento determinano ogni rap-porto sociale, tra italiani e tra italiani ed immigrati. La Costituzione allora sempli-

cemente si disattende! Si disattende a tal punto che qualcuno ha pensato bene di “formalizzare” la sua inattualità, cambiandola.

Era il giugno 2006, il ricordo è ancora vivo nelle nostre menti – in cui sembrava che stesse per nascere in Italia la “terza Repubblica”. Gli italiani furono chiamati – attraverso lo strumento referendario – ad esprimersi su “alcune modifiche” costituzionali. La terza Repubblica sarebbe nata se avesse vinto il SÌ alle immonde riforme costituzionali proposte da un governo espressione della peggior destra populista. Avremmo avuto sanità diverse, polizie diverse, scuole diverse al

variare della regione di appartenenza! Altro che uguaglianza dei cittadini ed eliminazione degli ostacoli che non la permettono, L’esatto contrario, questo principio capovolto e sancite le disegua-glianze per Costituzione! Per fortuna l’Italia civile – o quello che ne resta – reagì e quelle pseudoriforme classiste e

razziste vennero respinte al mittente, sepolte sotto una valanga di NO.

Per ora quanto vol-lero Umberto Terraci-ni, Palmiro Togliatti, Ferruccio Parri, Sandro Pertini, Leo Valiani, Paolo Treves, Gustavo Ghidini, Vittorio Ema-nuele Orlando, Alcide De Gasperi, Eugenio Musolino, Giuseppe Saragat, Carlo Sfor-za, Giorgio Amendola, Roberto Bencivenga,

Piero Calamandrei, Giuseppe Di Vitto-rio, Luigi Einaudi, Vittorio Foa, Nilde Iotti, Luigi Longo, Pietro Nenni, Aldo Moro, Ignazio Silone, Oscar Luigi Scalfa-ro e gli altri cinquecento “Padri” resiste. Resiste ancora! E sta a tutti noi farlo resistere il più al lungo possibile, perché la destra è ancora in agguato e pronta a colpire, lo è sempre stata. Il livello di informazione pubblica scende di giorno in giorno, e purtroppo di pari passo quello di indifferenza civile dei cittadini.

È di questi contesti che il nemico cerca sempre di approfittare.

Ci saranno poi tempi migliori, nei quali invece di resistere passeremo all’attacco, per farla – un giorno – final-mente rispettare davvero, questa bene-detta, splendida Costituzione.

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 20098

“Oggi inItalia”

– art. 1 –

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

– art. 2 –

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uo-mo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Ed ecco, infine, alcuni dei principi fondamentali, espressi in tutta la prima parte della nostra Carta Costituzionale; essi sono – sulla carta appunto – bellissimi. Se solo fossero applicati...

– art. 4 –

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possi-bilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

– art. 11 –

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

– art. 3 –

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e so-ciale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 9

MeSSaggiO ai Veri patriOti italiani:

“Difendiamo dai nemici della democrazia i valori della Costituzione“

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dov’è nata la nostra Costituzione, andate nelle

montagne dove caddero i partigiani,nelle carceri dove furono

imprigionati, nei campi dove furono impiccati.

Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità

andate lì, o giovani, col pensiero.Perché lì è nata la nostra

Costituzione”.

Piero Calamandrei

Particolare attenzione merita infine – se ne parla in questo periodo proprio perché l’Italia risulta all’ultimo posto nella Comunità Europea dal punto di vista della libertà di stampa, il seguente:

– art. 21 –

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

Non è purtroppo difficile constatare come nel nostro Paese succeda esattamente il contrario, vista la concentrazione di mezzi di informazioni nelle stesse mani, che poi sono le stesse che amministrano la cosa pubblica in un modo perlomeno bizzarro, firmando contratti e appalti pubblicitari – ad esempio (leggi Publitalia) – per entrambe le parti! Le mani di chi usa programmi televisivi del servizio pubblico per (ma chi glielo aveva chiesto?) scusarmi da sospetti vergognosi. Di chi ha più volte cacciato dalla stessa TV pubblica persone che usavano le armi della critica e della satira.

“Oggi inItalia”

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 200910

ELEzIoNI EUropEE 20095 e 6 giugno1. il Consolato invierà una lettera con il certificato elettorale e per dire DOVE si

andrà a votare

2. il 5 o il 6 giugno bisogna andare al seggio indicato dal Consolato e portare con sé un documento di identità e il certificato elettorale inviato dal Consolato

3. ognuno di noi riceverà una scheda, e su quella va messa una croce sul simbolo

Problemi Per dove e come votare? chiama il nostro resPonsabile

AUSTRIA Ettore Trozzi 681 - 1038 - 0805 [email protected]

BELGIO Roberto Galtieri Mario Gabrielli Cossellu

0477 - 258-765 0498 - 571-213

[email protected] [email protected]

CECHIA Massimo Recchioni 606 – 436 166 [email protected]

FRANCIASalvo Falcone Luca Di Mauro

061- 902 - 1632 067 - 042 -0739

[email protected] [email protected]

GERMANIAFranco Pugliese Gavrilo Zambon

0176 - 5464- 1502 0177 - 272-7066

[email protected] [email protected]

GRECIA Ivan Surina 0693 - 650 - 8405 [email protected]

IRLANDA Matia Boldrini 086 - 0563 -293 [email protected]

LUSSEMBURGOMaria Pia Natalino Ornelio Cancellieri

6-9147-0834 540-327

[email protected] [email protected]

REGNO UNITOClaudio Molinario Simone Rossi

20 - 8180- 1918 0787 - 490 - 7882

[email protected] [email protected]

SPAGNAMarco Terranova Tenorio Nino Barbagallo

9 - 5560 - 9194 649 - 823 - 367

[email protected] [email protected]

UNGHERIA Massimo Congiu 06 - 20973 - 9758 [email protected]

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 11

ELEzIoNI EUropEE C I R C O S C R I Z I O N E 1pEr chI voTArE

C A R T I N A C I R C O S C R I Z I O N E 1 C I R C O S C R I Z I O N E 1 (Italia del nord-ovest)

Votano per i candidati di questa circoscrizionetutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E

di una delle seguenti regioni:

PIEMONTEVALLE D’AOSTA

LIGURIALOMBARDIA

SCHeDa grigia

ArgentinoHAck

attenZiOne a non far confusione tra il nostro simbolo,– l’UniCO per l’Unita‘ Dei COMUniSti –

e l’altro simbolo con falce e martello (e il globo dietro) presente sulla scheda

ricordiamo che si possono esprimere da zero a tre preferenze

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 200912

ELEzIoNI EUropEE C I R C O S C R I Z I O N E 2pEr chI voTArE

C A R T I N A C I R C O S C R I Z I O N E 2 C I R C O S C R I Z I O N E 2 (Italia del nord-est)

Votano per i candidati di questa circoscrizionetutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E

di una delle seguenti regioni:

VENETOTRENTINO-ALTO ADIGEFRIULI-VENEZIA GIULIA

EMILIA-ROMAGNA

schEDA mArroNE

DilibertocolAprico

ricordiamo che si possono esprimere da zero a tre preferenze

attenZiOne a non far confusione tra il nostro simbolo,– l’UniCO per l’Unita‘ Dei COMUniSti –

e l’altro simbolo con falce e martello (e il globo dietro) presente sulla scheda

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 13

C A R T I N A C I R C O S C R I Z I O N E 3 C I R C O S C R I Z I O N E 3 (Italia centrale)

Votano per i candidati di questa circoscrizionetutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E

di una delle seguenti regioni:

TOSCANAUMBRIAMARCHE

LAZIO

ELEzIoNI EUropEE C I R C O S C R I Z I O N E 3pEr chI voTArE

schEDA rossA

DilibertoAmAtobrAcci

ricordiamo che si possono esprimere da zero a tre preferenze

attenZiOne a non far confusione tra il nostro simbolo,– l’UniCO per l’Unita‘ Dei COMUniSti –

e l’altro simbolo con falce e martello (e il globo dietro) presente sulla scheda

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 200914

C A R T I N A C I R C O S C R I Z I O N E 4 C I R C O S C R I Z I O N E 4 (Italia meridionale)

Votano per i candidati di questa circoscrizionetutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E

di una delle seguenti regioni:

ABRUZZOMOLISE

CAMPANIAPUGLIA

BASILICATACALABRIA

ELEzIoNI EUropEE C I R C O S C R I Z I O N E 4pEr chI voTArE

loffreDonocerAtripoDi

schEDA ArANcIoNE

ricordiamo che si possono esprimere da zero a tre preferenze

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 15

C A R T I N A C I R C O S C R I Z I O N E 5 C I R C O S C R I Z I O N E 5 (isole)

Votano per i candidati di questa circoscrizionetutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E

di una delle seguenti regioni:

SARDEGNASICILIA

ELEzIoNI EUropEE C I R C O S C R I Z I O N E 5pEr chI voTArE

montAltoStocHino

schEDA rosA

ricordiamo che si possono esprimere da zero a tre preferenze

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009

In Italia si cominciò a parlare di uso sessista della lingua nella seconda metà degli anni ’80. È stato soprattutto grazie ad Alma

Sabatini, linguista, anglista e femminista, se il “problema” dell’uso sessista della lingua è stato portato all’attenzione dell’intellighenzia italiana e, come ci dice Edda Billi, sempre grazie a lei che conosceva gli studi stranieri sull’argomento, nel 1986 fu possibile scrivere quel prezioso “libretto” voluto dalla Commissione Nazionale per le Pari Opportunità tra uomo e donna che si intitola Sessismo nella lingua italiana.

La riflessione sul linguaggio, con gli studi di Alma, Patrizia Violi, Rosanna Pace, portò alla constatazione della assoluta inadeguatezza del linguaggio ordinario ad esprimere, in nome di una presunta neu-tralità, la specificità e la natura sessuata degli individui: la necessità di rendere esplicita tale inadeguatezza emerse gradualmente in Italia ben più tardi rispetto ai paesi anglofoni.

Lo studio di Alma verte principalmente sul linguaggio inteso come sistema che riflette la realtà sociale, ma che al tempo stesso crea e produce tale realtà in quanto filtro ideologico che forma e codifica il mondo.

Il linguaggio diviene il luogo in cui acquisire consapevolezza delle implicazioni sociali, ideologiche, politiche, simboliche, fondamento della struttura culturale occidentale.

Solo, infatti, acquisendo coscienza di come la disparità tra i sessi viene codificata e mantenuta, è possibile realizzare un cambiamento nel rapporto di potere instauratosi tra i due sessi.

Secondo Alma, il linguaggio si può rivelare un possibile alleato del progresso verso il superamento delle discriminazioni sessuali, nel momento in cui la sua analisi porti alla luce le associazioni mentali ed emotive nascoste, implicite nell’uso di termini nel loro aspetto referenziale apparentemente neutrali.

L’imminente necessità di includere le donne nella struttura lin-guistica, senza che dissimmetrie di alcun genere possano gravare su di loro, diviene solo un primo passaggio verso il superamento dell’idea che pensa la donna come una sottocategoria dell’uomo.

sTrUTTUrE LINgUIsTIchE E DIFFErENzE sEssUALI

di Claudia Cimini (CZ)

ALfemminiLenon solo 8 marzo

RubRica

La diversa con-siderazione riservata alla donna è talmente esplicita e generaliz-zata da non creare più né alcun tipo di sor-presa né di perplessi-tà. Provando però a ribaltare i ruoli sociali, si renderà più evidente non solo la disparità delle due posizioni, ma soprattutto, le idee, i pregiudizi, il livello di rispetto che si cela dietro tali aspetti.

La Sabatini era assolutamente cosciente di come la parità dei diritti tra uomo e donna rimaneva e tuttora rimane in moltissimi casi un principio giuridico non ancora realizzato nella prassi della vita quotidiana. Impellente era ed è la necessità di abbattere i re-sidui pregiudizi nei confronti della donna affinché tutti possano avere libero accesso agli strumenti socio-culturali fondamentali e detenere realmente gli stessi diritti e le stesse possibilità e realizzare il cambiamento che porti ad una effettiva parità realizzabile nella prassi dello sviluppo individuale e sociale.

Punto centrale della visione di Alma e condivisa da Patrizia Violi è la disparità costituitasi nell’ambito del linguaggio tra uomini e donne. La differenza fra maschile e femminile (differenza evidente-mente di genere e non di sessualità biologica) non è simbolizzata “alla pari”, cioè conforme a specifiche differenze (biologiche, ininfluenti dal punto di vista del linguaggio); tale differenza è inscritta invece, secondo una doppia articolazione di termine primo (generico, non marcato, che rappresenta la norma), e di uno derivato, suo definente e negazione.

Tale gerarchizzazione ha reso possibile la sedimentazione nel linguaggio di dissimmetrie morfologiche, sintattiche e semantiche, forme denigratorie ed offensive, proverbi e luoghi comuni che fossi-lizzano atteggiamenti pregiudizievoli e generalizzazioni semplicistiche che riducono e costringono la donna entro parametri e stereotipi che non danno atto di una realtà in continuo cambiamento, ma

Il linguaggio come luogo in cui acquisire consapevolezza delle implicazioni sociali, ideologiche e politiche della nostra società: la maggiore visibilità delle donne attraverso un linguaggio non sessista

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 17

che impediscono alla donna la possibilità di porsi come individuo il cui ruolo possa andare oltre quello sessuale riproduttivo.

Queste rappresentazioni collettive del femminile ven-gono ancora troppo spesso riprodotte dalle donne stesse nella costruzione della loro immagine nel sociale.

Se pensiamo ad aggettivi quali virile e potente, essi rimandano al vigore sessuale dell’uomo, descrivono indivi-dui con una vita sessuale attiva e soddisfacente.

Nell’ambito femminile, invece, mancano termini descrittivi di questa stessa condizione, la sessualità della donna è comunque offesa e denigrata, tuttora relegata a deformazione patologica o ad immoralità. Citando Patrizia Violi, “[...] il sesso della donna è un luogo vuoto, privo di ogni specificità propria, significa solo in quanto rimanda al desiderio ed al piacere maschile, in se stesso è solo un luogo d’assenza.”

Questione centrale rispetto all’ambito relativo alla struttura linguistica, il rapporto della donna con un sistema simbolico orga-nizzato secondo un ordine prettamente maschile.

In accordo con la scrittrice Varda One, che definì nei suoi arti-coli Manglish la lingua inglese e con Dale Spender, che identificò con l’espressione man-made language la struttura linguistica, Alma Sabatini sostiene quanto l´importanza di diventare finalmente soggetti nell’ambito della ricerca volta quasi esclusivamente al femminile, significhi rendere le donne e la loro visione del mondo non più subordinata a quella maschile o simmetricamente opposta e, quindi, negativa rispetto ad una posizione centrale e positiva dell’uomo.

È assolutamente necessario porre la donna in una posizione di perfetta visibilità e autorevolezza. Reagire rispetto alla cancel-lazione e all’occultamento delle donne, si-gnificava per Alma e significa ancora opporsi all’idea secondo cui la visibilità della donna sia percepibile unicamente in funzione dell’uomo, in quanto oggetto sessuale ed estetico, moglie e madre.

Ecco alcuni esempi di Alma di dissimmetrie semantiche che caratterizzano aggettivi di uso comune nella lingua italiana.

“Libero” se riferito ad un uomo ha connotazioni morali e in-tellettuali, se riferito ad una donna connota il suo comportamento sessuale. “Serio”, per un uomo, qualifica la sua dirittura morale in senso lato e coscienzioso, il suo comportamento soprattutto nel la-voro, mentre la donna seria connota il suo comportamento sessuale e le sue doti “materne e casalinghe”.

In seguito a questa attenta analisi realizzata sulla base dell’osser-vazione del linguaggio così come utilizzato dai mezzi di comunicazione, Alma Sabatini propose un insieme di possibilità linguistiche che potessero sostituire tutti quegli stereotipi linguistici che qualificano

negativamente, occultano, ridicolizzano o raccontano le donne in modo inadeguato e riduttivo.

Tra le proposte emerse dagli scritti di Alma, la ne-cessità di eliminare il termine uomo o uomini per descrivere l´umanità in toto. Meglio uti-lizzare parole come “persona, popolo, popolazione” per dare visibilità e consistenza alla metà della popolazione a cui ci si riferisce.

Inoltre si consiglia di evi-tare l´accordo del participio passato al maschile quando i

nomi a cui si fa riferimento sono prettamente femminili.Se all’uomo ci si riferisce con il cognome o con nome e cognome,

anche per la donna è necessario fare lo stesso.Il fine principale di tale lavoro, la necessità di concreta ed effet-

tiva parità tra uomo e donna troppo spesso restata puro principio giuridico non ancora realizzato nella prassi della quotidianità: “parità ancora troppo lontana se un insieme di elementi insidiosi, in quanto non immediatamente riconoscibili perché ora parte integrante di un discorso costruito, sembrano essersi fossilizzati all’interno della struttura linguistica rendendo così inappropriata l’immagine della realtà che descrivono”.

Il voler dare visibilità ai soggetti con-creti sessuati volendo limitare l’uso dei termini astratti, neutralizzatori della diffe-renza sessuale attraverso la ripetizione della doppia desinenza, femminile e maschile, per contrastare la regola grammaticale che prevede l’uso del maschile come neutro universale, trovò un’ulteriore motivazione rispetto all’insidiosità dell’assorbimento del femminile nel maschile in ambiti specifici, quali il mondo del lavoro, delle professioni, della cultura, al fine di evitare l’esclusione della donna da tali ambiti.

L’esigenza di veder nascere un linguag-gio diverso che possa dar spazio anche alle donne restava per Alma, comunque, solo un primo obiettivo che, utilizzando le parole di Rosa Rossi, “si realizzerà solo se

lo si vedrà come un momento della lotta per fondare nuovi rapporti umani, una nuova società; perché solo la società intera può essere il “luogo del linguaggio”.

Alma Sabatini evidenziò come le regole che organizzano il lin-guaggio non si limitino ad essere quelle presenti nelle grammatiche, - sintattiche, fonetiche, lessicali- ma, accanto ad esse, un insieme di regole “nascoste”, “coperte”, meno esplicite ma non per questo meno rispettate, organizzano l’ambito dell’espressione linguistica.

Tali regole, apparentemente meno evidenti ma che in alcuni casi assumono la valenza di vere proibizioni o interdizioni, non colpiscono solo le cosiddette parole tabù, come espressioni sessuali e scatologiche, ma, trasmesse in modo non cosciente, in quanto non scritte, pur non essendo mai notate, sono comunque scrupo-losamente rispettate.

ALfemminiLenon solo 8 marzo

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009

A vrei voluto cominciare questo articolo toccando direttamente qualche aspetto

pratico relativo alla vita degli emigrati italiani all’estero.

Qualche giorno fa però, parlando con un amico che ha contatti regolari da più di trent’anni con molti connazionali residenti in Germania, ho scoperto con un misto di stupore, disgusto e rabbia quanto sia vero il nostro detto “al peggio non c’è mai fondo”.

Lo sappiamo tutti che presto si va alle elezioni europee. Sappiamo anche che di re-cente il governo, nella figura tanto grottesca quanto famosa del Presidente del Consiglio, riesce ad attirare l’attenzione di molti, italiani e non, su questioni tutt’altro che di priorità economica. Se poi si tocca una questione so-ciale come quella degli immigrati clandesti-ni, è difficile credere che lui parli (purtroppo) a nome di un paese che è famoso per i suoi “immigrati in uscita” dai lidi natii, che poi siamo noi.

Alcuni italiani lo ammirano, anche in questo momento e in entrambi gli spettacoli: quello penoso del gallo italico e quello peri-coloso del politico onnisciente. Non solo sa tutto sui terremoti, ma sa anche (e per prin-cipio) quanto pochi siano quelli che cercano veramente asilo politico.

Altri italiani (come me e suppongo molti di voi) sarebbero felici se la sua faccia rifatta e già “cerosa” fosse in realtà visibile solo al Museo delle Cere di Londra e in nessun altro posto al mondo.

È triste ma sembra essere così: alcuni hanno le guerre, altri hanno da combatte-re con epidemie terribili come l’AIDS. Noi abbiamo Berlusconi. Nella mia convinzio-ne che ognuno di noi in qualche modo l’ha portato (o lasciato arrivare) di nuovo lì dove sta, vedo un segno del “fondo” a cui siamo arrivati. Questo però non è ancora il fondo del peggio.

C’è un altro fondo. Dov’è?Mi è stato raccontato di alcuni connazio-

nali che hanno “regalato” il loro certificato elettorale in cambio di un caffè (per esempio, in un bar a gestione italiana di Colonia qual-

pArLIAmoDI DIgNITÀ

di Ornella Carnevali (D)

AL

che tempo fa) o l’hanno venduto per qualche soldo. Altri hanno chiesto a conoscenti di votare per loro. Altri ancora, in periodi elet-torali come l’attuale, sono stati accolti al loro arrivo in certe regioni italiane (a forte densità di emigrati) e trasportati a domicilio gratis, in cambio del voto a favore del partito “della libertà”.

Ora io non credo che tra i lettori di “Au-rora” ci siano persone che si dedicano a que-ste pratiche disgustose. Credo, però, che al-cuni di voi siano venuti (o vengano ) a sapere di gente che segue queste “pratiche” come se niente fosse. Cos’avete pensato? Cosa ne pensereste?

Se accettiamo il fatto che un favore rice-vuto è un debito da pagare e che una promes-sa va mantenuta (in teoria entrambi buoni principi), cosa manca?

Quel legame tra lavoro e dignità

Qualche tempo fa leggevo, anche su “Au-rora”, di come alcuni di noi vadano a vivere all’estero per cercare “dignità”. Non è che voglia entrare in polemica con chi in buona fede può averlo detto pensando che senza la-voro è difficile condurre una vita dignitosa. Il nesso tra le due cose lo vedo anch’io, se non altro perché il legame tra lavoro e dignità è caro ad una certa vena culturale italiana. For-se anche di altri paesi.

Quello che mi sento di sottolineare però è: che dignità ha un cittadino, emigrato o no, che “baratta” il suo certificato elettorale per un caffè, per 10 euro o per un passaggio in macchina?

Molti italiani residenti all’estero ce l’han-no un lavoro. Il fatto di averlo gli consente di avere un tenore di vita dignitoso, detto meglio “decoroso”, e senz’altro più elevato che nel paese d’origine. Per questo sono emi-grati.

Forse molti pensano che in fondo a Roma, come a Bruxelles, di noi se ne freghi-no. Purtroppo è/sembra molto vero. È anche vero, però, che meno votano quelli che vor-

TRA EMIGRAZIONE

E INTEGRAZIONERubRica

AgilMente

rebbero che le cose cambiassero/migliorasse-ro, più spazio e forza si lascia nelle mani di quelli che sono contenti di governare male come fanno.

Il passo tra questo esercizio di responsa-bilità civica e qualunque altro che abbia a che fare con la gestione della propria vita all’este-ro mi sembra facile. Detto altrimenti: è solo l’ignoranza che fa bere a uno un caffè gratis e all’altro fa raccogliere un certificato elettorale da usare a piacimento o da rivendere a qual-che partito? Io non credo.

Credo invece che dietro comportamenti del genere ci siano molta poca serietà, molto menefreghismo, una forte tendenza al dele-gare agli altri non solo una partecipazione attiva a qualcosa di importante come il voto politico, ma anche un delegare così, per to-gliersi il pensiero e non dover fare niente. Siamo a livelli di dignità sotto lo zero. E forse se si chiedesse il perché, la risposta probabile sarebbe ”che le cose fanno schifo da sempre, che comunque non cambieranno” e così via.

la dignità dei poveri tra i poveri

Vorrei separare la dignità di un individuo dal suo lavoro. Anche dal suo tenore di vita, che lo vogliate chiamare dignitoso o decoro-so.

Chi viene da famiglie povere o modeste, sa bene che si può vivere decorosamente, an-che con pochi soldi. Si fa solo più fatica di altri.

Per associazione di estremi, mi viene in mente come hanno reagito, la prima volta che sono andata a trovarle nei loro villaggi, alcune donne africane che erano destina-tarie, insieme ai loro bambini, di determi-nati programmi finanziati dall’UNICEF e dall’UNESCO.

Erano davvero molto povere, vivevano lontane dalle città e avevano molti problemi a vendere i prodotti dei loro orti. Una pianifi-cazione fatta “a tavolino” dagli ottusi del loro governo le obbligava ad arrivare ai mercati locali (tutti lontani e da raggiungere a piedi

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AgilMente

dopo ore ed ore di cammino) quasi sempre con gli stessi prodotti. Era chiaro quindi che vendevano poco e guadagnavano poco.

È bastato chieder loro cosa sarebbe stato meglio che producessero e con quale calen-dario di raccolta, distribuzione, vendita e così via. La soluzione ce l’avevano, ma erano abituate a lasciar fare/decidere ad altri. Nel giro dei 2 anni che ho avuto a disposizione per visitarle regolarmente e valutare i cambi che avevamo deciso insieme di introdurre, la loro situazione era migliorata. Vendeva-no di più e potevano quindi affrontare con più serenità le spese della famiglia e pagare la scuola ai figli.

Certo, ci sono anche in tanti paesi afri-cani (e non), soprattutto nei villaggi, mille modi di “rubare” il voto dei cittadini più sprovveduti. È vero anche che, appena glie-ne viene data la possibilità, sono moltissimi quelli disposti a fare file lunghissime, penose (a seconda del clima) e a volte anche rischio-se (in zone al limite della guerra civile), per esercitare il loro diritto al voto. Sono anche molto fieri di farlo.

Ricordo con una certa commozione una delle foto premiate l’anno scorso a livello internazionale: ritraeva un’anziana donna africana che si teneva stretto il suo certifi-cato elettorale mentre si avvicinava al seg-gio. Aveva un’espressione così intensa che chiunque avrebbe potuto credere che aveva in mano il tagliando di una vincita straordi-naria. Lo era per lei: era il suo 1° certificato elettorale!

Ora, cos’è andato perso nella testa del-le nostra gente, dal momento che siamo (e sembra non da ieri) a livelli più bassi di quelli di alcuni paesi ancora oggi definiti “sottosviluppati”?

tra dignità e identitàDiciamola com’è: abbiamo tutti una

certa tendenza al lamento. In alcune zone dell’Italia lo chiamano “mugugno” e sem-bra che sia considerato (quasi) come un diritto. In Germania questa pratica è così diffusa che di recente i neurologi tedeschi, dopo anni di lavoro con migliaia di pazienti lagnosi, sembrano arrivati alla conclusione che forse il cittadino tedesco ha un pezzo di cervello diverso dagli altri. Così, in attesa di trovarlo, lo hanno battezzato la “valvola del lamento”. Non è uno scherzo.

Chiamatelo come vi pare, e ognuno veda con se stesso se si lamenta a buon diritto o no, ma mi viene in mente un’altra asso-ciazione: quella con

sentirvi “accettati” può crearvi un grande disagio. Questo rallenta la vostra ricerca della risposta di cui avete bisogno sul “chi siete”.

A volte vi può anche capitare di torna-re in Italia e di sentire che, oltre al vostro nome, familiari, amici e conoscenti vi han-no “appiccicato” il soprannome legato al paese da cui venite. Così tra “Giovanni il tedesco”, o “Maria l’americana” non vi sen-

tite più veramente voi stessi neanche con la vostra gente. Allora, chi siete? Chi siamo al giorno d’oggi?

E pensando al giorno d’oggi, dove stia-mo andando?

Per ora voglio sperare che ognuno cer-chi di ritrovare un po’ di conforto nel fat-to, in tutti i suoi limiti, l’Italia è ancora un paese che può essere governato senza che ci dobbiamo vergognare di tante pratiche “disgustose”. Che siano quelle dell’attuale Presidente del Consiglio o quelle di chi svi-lisce la sua dignità “barattando” il proprio certificato elettorale. C’è un grande sforzo da fare, però, in questo periodo di crisi per sentirsi “parte” di qualcosa di preciso, sen-sato e positivo per il futuro. E c’è un lavoro anche maggiore da fare, se vogliamo forgiare quello che manca: una nuova etica del citta-dino. Cominciamo dal cittadino italiano! E siccome non siamo un’isola: ognuno di noi è l’Italia ed è al tempo stesso l’Europa.

l’identità. Non alludo a quella anagrafica. Ognuno ha la sua.

Alludo a quella che pensiamo di avere, per esempio, quando ci presentiamo a qual-cun altro. Questo è un altro nodo dolente della vita all’estero.

Quando si mettono i piedi in un pae-se nuovo, a parte la trafila burocratica dei permessi di soggiorno e/o di lavoro, abbia-mo tutti a che fare con il compito di farci conoscere ed accettare. Signi-fica che, per quanto minimo possa essere il processo di in-tegrazione, dobbiamo impa-rare ad identificarci. Intendo oltre i nostri dati anagrafici e fisici.

Quando ci presentiamo a qualcuno c’è una specie di scambio tra quello che di-ciamo noi e quello che sente l’altro. In più c’è quello che gli altri vedono di noi, a par-te quello che noi vediamo di loro. Se per esempio siete un/a professionista con tanti anni di esperienza in un certo settore, ma nel nuovo paese siete soprattutto marito/mo-glie e/o padre/madre di, vi vedranno prima di tutto così.

Prima di accettarvi e farvi eventualmente entrare in un certo ambiente, la gente vi guarderà per quello che gli torna più facile vedere. Men-tre questo succede, e a volte dura parecchio tempo, voi dovrete capirne le regole e poi decidere se vi stanno bene e fino a che punto potete essere parte di quell’ambiente.

Spesso succede che per tutto quel tem-po non vi sentiate né carne né pesce, perché vorreste tanto che vi riconoscessero nella vostra interezza, mentre gli altri hanno al massimo l’intenzione (o il bisogno) di ac-cettarvi solo in parte: per esempio, come padre/madre, o marito/moglie di.

Una delle crisi più delicate che molti di noi hanno (avuto) all’estero sta proprio nel sentirsi ancora padroni della propria iden-tità. Inevitabilmente ci si chiede “chi si è” e la reazione degli altri rischia di ritardare la risposta, perché provoca tante altre do-mande.

Se avete a che fare con della gente dura e diffidente nei confronti dello/a straniero/a che siete, penserete fatalmente che siete voi ad avere qualche mancanza particolare. Se anche non pensate questo, il fatto di non

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009

D i nuovo e ancora meglio, specialmente ora con la grande sfida delle elezioni europee con la Lista unitaria Comunista e

Anticapitalista, i comunisti italiani di Rifondazione e del PdCI sono stati attivamente presenti nelle manifestazioni, celebrazioni e lotte per il 1° Maggio, la Festa del Lavoro, dei Lavoratori e delle Lavoratrici, in diverse città d’Europa.

Così è stato per esempio a Colonia, in Germania, a Praga, nella Repubblica Ceca… ma specialmente a Bruxelles in Belgio. I comunisti insieme per il Primo Maggio si sono raddoppiati, anzi triplicati, perché hanno anche organizzato e partecipato a un ciclo di conferenze, dibattiti e incontri culturali lo stesso 1° maggio e poi il 9 maggio, sul tema “L’Europa dei cittadini - Cittadinanza Europea” e i suoi vari aspetti politici e sociali.

Ma andiamo per ordine. Innanzitutto, la manifestazione del 1° Maggio in piazza: come già l’anno scorso, PRC e PdCI in Belgio hanno concordato con il maggiore sindacato belga, la FGTB, la presenza con uno stand unitario, nello spazio tra la Place Rouppe

e l’Avenue Stalingrad – cuore della tradizionale “zona rossa” di Bruxelles. Nello stand, diversi compagne e com-pagni, sotto la grande bandiera rossa con il simbolo unitario, che hanno presentato e diffuso giornali, libri, volantini e materiali vari: c’era una grande quantità di gente per strada in una giornata “quasi soleggiata” – siamo in Belgio, non dimentichiamolo, non si può pretendere troppo dal tempo! – e tanti si sono fermati a parlare con noi, a chiedere, a discutere e anche a portarsi via qualcosa (alla fine gli incassi della giornata hanno permesso di coprire ampiamente le spese di organizzazione).

Poi, i dibattiti, nella sala dell’antistante “Espace Marx”: un ciclo organizzato come Associazione Antonio Gramsci Bruxelles con i compagni belgi dell’Association Culturelle Joseph Jacquemotte, i

di Mario Gabrielli Cossellu (B)

greci della Kamian K’En Argos e gli spagnoli di Izquierda Unida Bruselas. Il 1° Maggio si è parlato dell’“Europa dei lavoratori”, della libera circolazione dei lavoratori (prendendo spunto dalle recenti vicende della raffineria inglese di Lindsey, con le proteste contro il dumping sociale e le avvisaglie di “guerra tra poveri”, tra lavoratori locali e quelli di altri paesi) e della costruzione dell’Europa sociale: hanno partecipato diversi esperti per esprimere punti di vista, fornire chiavi di lettura e suggerire proposte per il futuro; tra l’altro vi sono stati dei momenti particolarmente significativi con le testimonianze, l’arte e le poesie di migranti italiani e greci. In parallelo, con “L’Europa a tavola”, la graditissima degustazione di specialità belghe, greche e italiane.

Il 9 maggio si è discusso dell’“Europa di fronte alla crisi”, nei suoi aspetti del credito, delle nazionalizzazioni, dell’occupazione, della democrazia e della pace, con un quadro di partecipanti internazionali di tutto rispetto dai punti di vista accademico, politico e sociale. Si è parlato anche, in prospettiva, delle elezioni europee, su “per quale Europa vogliamo votare” e l’importanza della partecipazione attiva e a sinistra, per rendere più forte, anche nel Parlamento Europeo, la presenza di una sinistra comunista e anticapitalista, nel gruppo del GUE/NGL che unisce il lavoro di partiti e organizzazioni di una quindicina di paesi europei.

Lo sforzo fatto dalle compagne e dai compagni per organizzare tutto questo è stato notevole, ma senz’altro interessante e utile; e ora

continuiamo, in Belgio e in Europa, come in Italia, la campagna elettorale per il miglior risultato della nostra Lista Comunista e Anticapitalista e per rafforzare la prospettiva dell’unità della sinistra comunista.

IL prImo mAggIo UNITArIo DEI comUNIsTI IN EUropA

Attualità

EUROPEA

Nelle piazze, l’Europa socialee i sostenitori dell’unità comunista

Nelle foto, immagini del 1° Maggio in piazza a Bruxelles, Colonia e Praga.

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a cura di Massimo Congiu (HU)

Il Zöld Baloldal, la coalizione che aveva proposto al direttore di Aurora di candidarsi nelle sue liste alle europee, non può partecipare alle elezioni per una serie di problemi burocratici. L’al-leanza chiede ai partiti della sinistra europea di prendere posizione contro la legge elettorale ungherese che viene definita discriminatoria. Ecco la lettera che un membro del Munkáspárt 2006 ha inviato a Helmut Scholz

sTop Attualità

EUROPEA

ALLA coALIzIoNE vErDE-comUNIsTA

Caro Helmut,

Sebbene il Zöld Baloldal abbia svolto tutte le pratiche richieste per partecipare alle elezioni europee, – abbiamo raccolto 21.861 firme (la legge fissa una soglia minima di 20.000) e stilato una lista di candi-dati con Gáspár Miklós Tamás come capolista, Attila Vajnai (vicepresidente del Munkáspárt 2006, ndr), György Droppa (rappresentante dei Verdi, ndr) e István Szöllősiné, insegnante, già segretario generale del Sindacato degli Insegnanti, questi ultimi, rispet-tivamente, al secondo, terzo e quarto posto della lista, – non possiamo prendere parte alle elezioni per un errore di carattere burocratico.

La coalizione è stata erroneamente registrata con un altro nome ma la no-tifica dell’errore è arrivata troppo tardi ai rappresentanti della lista (ndr)

intenzione di portare avanti la nostra campagna elettorale e di dimostrare che c’è posto per un pensiero politico diverso e che siamo in grado di dare delle risposte agli interrogativi attuali. Noi ci battiamo contro lo strapotere dominante dei grandi partiti e per l’eliminazione delle pregiudiziali esistenti nel sistema elettorale ung-herese e invitiamo gli aventi diritto a partecipare alle elezioni e di votare per il Zöld Baloldal.

Ci siamo rivolti all’Ufficio Elet-torale e alla Corte Suprema. Tuttavia, non siamo ottimisti nei confronti del risultato del nostro ricorso.

Segnaliamo il caso alla Sinistra Europea e ai Verdi Europei ai quali proponiamo di prendere posizione per ottenere la modifica del sistema elettorale ungherese che giudichiamo antidemocratico. La nostra attività si concilia pienamente con i principi dell’Unione europea.

T.M.

Intendiamo sottolineare il fatto che il sistema elettorale ungherese è troppo complicato e pone degli osta-coli all’attività delle piccole formazioni politiche di recente costituzione che vorrebbero contribuire a far venir meno il monopolio dei due princi-pali partiti (MSZP, Partito Social-ista e Fidesz, principale forza politica dell’opposizione di destra, ndr). Non è infatti casuale il fatto che il 6 maggio scorso, il portavoce del Fidesz, Péter Szíjjártó, abbia dichiarato che oggi come oggi l’Ungheria non ha bisogno di piccoli partiti attivi sulla scena politica, ma di grandi organizzazioni. Questa dichiarazione è inaccettabile non solo per il Zöld Baloldal, ma anche per gli altri piccolo partiti. Essa è in aperta contraddizione con i principi dell’Unione europea, che si basano sul multipartitismo.

Annunciamo ai membri e ai simpa-tizzanti del nostro partito che abbiamo

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009

Cos’è il SepC?Il “Sindicat d’Estudiants dels Paisos

Catalans” è un sindacato studentesco che porta avanti le sue attività nei cosiddetti “Paesi Catalani”, ossia quei territori in cui si parla la lingua catalana , in particolare la Catalogna, la Comunità Valenciana e le isole Baleari.

Il SEPC è l’unico referente stu-dentesco della sinistra indipendentista Catalana.

Gli obiettivi politici della sinistra indipendentista Catalana, della quale fa parte il SEPC, sono l’indipendenza dei “Paesi Catalani” e la formazione di un’organizzazione socialista dell’economia.

Quali sono le sue attività?Il SEPC è presente in numerosi istituti secondari e

università pubbliche catalane dove si batte per rivendicare un migliore modello educativo.

La sua lotta riguarda cinque punti fondamentali: l’insegnamento pubblico, popolare, antipatriarcale, di qualità e in catalano.

PUBBLICO E POPOLARE: Nel SEPC vogliamo che l’educa-zione continui ad essere un diritto universale, un sistema pubblico e gratuito; tengo a specificare “gratuito” in quanto altri partiti di centro-sinistra parlano molto di università “pubblica”, ma non di università gratuita.

In questo sistema pubblico non deve essere coinvolto l’interesse capitalista, deve trattarsi di un sistema educativo, alla base di tutte le classi popolari, cui faccia capo un’università che dia a tutti la pos-sibilità di studiare indipendentemente dalla condizione economica da cui si proviene.

Vogliamo un’università con organi di governo assembleari nella quale possano partecipare tutti i membri della comunità educativa al momento di prendere decisioni, un’università più aperta con una struttura che non sia gerarchica, dove si tenga in conto il punto di vista degli studenti con una maggiore rappresentanza e potere nel momento in cui si avanzano delle proposte.

ANTIPATRIARCALE: Il SEPC è una organizzazione femminista che lotta per eliminare dalle aule la discriminazione e l’oppressione che patiscono le donne.

In questa direzione difendiamo un modello educativo che non sia sessista, in un sistema che educhi alla libertà sessuale.

DI QUALITÀ: È per noi di fondamentale importanza che si tratti di un sistema educativo dotato di risorse sufficienti per garantire che

di Antonino Barbagallo – Valencia (ES)

gli studenti ricevano una formazione ade-guata; l’istruzione non deve essere orientata solo e unicamente al conseguimento di un futuro posto di lavoro, ma alla conoscenza e alla formazione di un pensiero critico tra gli studenti.

Non deve essere solo un’istruzione fi-nalizzata a un futuro economico assicurato,

ma soprattutto volta alla formazione di persone, ossia di individui colti capaci di portare avanti un pensiero critico.

CATALANO: que-sto è uno dei punti più importanti del nostro sindacato.

Vogliamo un inse-gnamento catalano nella lingua e nei contenuti.

Vogliamo che la lin-gua usata nell’insegnamento in questa regione sia il catalano, che il materiale utilizzato nell’apprendimento continui a essere in catalano, che si stimoli la realizzazione di ricerche in catalano (per esempio le tesi di dottorato) e che i contenuti dei piani di studio siano pure catalani perché è importante conoscere la nostra storia, le nostre tradizioni, la nostra cultura e la nostra letteratura.

nelle università spagnole è in corso di attuazione il processo di Bologna, qual è la posizione del SepC a riguardo?

Il SEPC, fedele ai suoi principi, si è posizionato sin dall’inizio contro l’applicazione del Processo di Bologna. Abbiamo collaborato attivamente con altri studenti per cercare di frenare l’imposizione di questa riforma educativa che riguarda l’ambito universitario.

Abbiamo organizzato numerose sessioni informative sul Processo di Bologna e partecipato a molti dibattiti.

A livello istituzionale e degli organi di governo delle università, abbiamo lavorato per bloccare questa riforma e promosso l’organiz-zazione di un referendum.

Abbiamo partecipato a diverse manifestazioni (alcune organizzate da noi) assieme ad altre organizzazioni studentesche, nelle principali città catalane.

Abbiamo occupato aule universitarie in segno di protesta e in molte occasioni siamo stati attaccati dalla polizia.

Uno dei movimenti politici studenteschi più interessanti con il quale ho avuto modo di interlo-quire su temi quali l’istruzione, l’indipendenza e il socialismo, è stato quello del SEPC, realtà molto attiva nelle università catalane, di cui vi porto la testimonianza attraverso l’intervista al mio collega Joan Albert Tormos Pérez

UNIvErsITÀ Attualità

EUROPEA

cATALANE IN FErmENTo

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AURORA – n. 7 – Anno II – giugno 2009 23

Il 21 giugno saremo chiamati ad esprimere il nostro voto su tre quesiti referendari. In quella occasione (a differenza delle Elezioni europee dove saremo chiamati a recarci nei Consolati per esprimere il nostro voto alla lista COMUNISTA) torneremo a ricevere a casa, e per posta, le bu-ste con le schede (i plichi) elettorali. E dovremmo rimandarli in Consolato dopo aver votato.

Ma noi invitiamo tutti a non farlo!

Invitiamo tutti gli italiani residenti in Europa a far finta di non aver ricevuto le schede, ad igno-rarle, per NON essere contati nel numero dei votanti. Perché diciamo questo?

I quesiti cui saremmo chiamati a rispondere saranno 3.

I primi due, i più importanti, riguardano l’assegnazione del “Premio di maggioranza”. Ebbene, se vince il Sì tale premio NON verrà più assegnato alla COALIZIONE più votata, ma alla LISTA più votata.

Che cosa significa questo? Quale sarebbe il risultato? Che il partito maggiore, anche se avesse – per ipotesi – il 25% dei voti – avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Una situazione irreale, un ritorno neanche tanto vago al periodo fascista. E, attenzione, il PD ci sta ricascando! Come fece Veltroni lo scorso anno facendo credere che avrebbe potuto battere “l’imperatore d’Italia”, oggi Franceschini – il suo successore – sta com-mettendo lo stesso sbaglio, sbandierando l’infondata sicurezza di potersi appropriare di quel premio e – per questo motivo – invitando a votare Sì.

Se vincesse il Sì, scomparirebbero di fatto piano piano TUTTI i partiti minori, a partire da NOI. Niente più minoranze, niente più “intralci”.

Perché il risultato di un referendum sia valido, è necessario che voti almeno il 50% degli aventi diritto. Se non vota la metà degli elettori, qualsiasi sia il risultato, il referendum non ha valore. Per questo proponiamo l’astensione: non far raggiungere il quorum ed impedire così a Berlusco-ni di governare con il trucco.

Qualcuno continua a chiamarla “semplificazione politica”, ma il trucco è chiaro agli occhi di tutti: far scomparire ogni forma di opposizione politica e sociale nel Paese.

Alle Europee andremo quindi nei seggi per votare COMUNISTA, ma due settimane dopo – quan-do ci arriveranno le schede del referendum a casa – faremo finta di nulla. Per NON abboccare!

REFERENDuM ELETTORaLE DEL 21 GiuGNO: uNa TRuFFa!

Ma abbiamo scelto di NON farci imbrogliare, e per questo

NON VOTEREMO!

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AURORA: giornale per l’unità comunista

Direttore: Massimo Congiu (HU)Direttore responsabile: Roberto Galtieri (B)Comitato di redazione: Vito Bongiorno (D), Ornella Carnevali (D), Claudia Cimini (CZ), Perla Conoscenza (B), Luca Di Mauro (F), Mario Gabrielli Cossellu (B), Massimo Recchioni (CZ), Simone Rossi (UK), Mariarosaria Sciglitano (HU), Ivan Surina (GR), Massimo Tuena (CH)Ha collaborato a questo numero: Antonino Barbagallo (ES)

Grafica e impaginazione: Lorenza Faes

Tel. +36 20 973 97 58 – [email protected]

Costi: questo numero 1,00 e – arretrati 1,50 e

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VOTACOMUNISTA

Per salvare l’Italia e rinnovare l’Europa