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Dossiê: Concílio Vaticano II: 50 anos – Artigo original DOI - 10.5752/P.2175-5841.2011v9n24p1030
Licença Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported
Horizonte, Belo Horizonte, v. 9, n. 24, p. 1030-1046, dez. 2011 - ISSN: 2175-5841 1030
La riforma liturgica conciliare e il futuro del Vaticano II: a proposito del “dialogo” coi lefebvriani The Liturgical Reform of the Council and the Future of Vatican II: About the “Dialogue” with the Lefebvrites
Massimo Faggioli
Riassunto Gli ultimi anni hanno visto emergere una nostalgia per la liturgia pre-conciliare e il tentativo di reintegrare nella comunione con Roma i seguaci di Mons. Lefebvre, anche
a spese della riforma liturgica conciliare. Ma la liturgia del Vaticano II è parte
integrante del messaggio teologico del Vaticano II; il contenuto teologico della riforma liturgica è essenziale per il contenuto principale del Vaticano II; la liturgia del
Vaticano II è costituzionalmente necessaria per la sopravvivenza teologica del
Vaticano II. Tornare indietro rispetto alla riforma liturgica del Vaticano II porta allo
smantellamento della chiesa del Vaticano II: è per questo che è necessario comprendere le connessioni profonde tra la costituzione conciliare Sacrosanctum
Concilium, la riforma liturgica e la teologia del Vaticano II nella sua interezza, e in
particolare rispetto alle questioni del “ressourcement”, dell‟ecclesiologia della riforma liturgica, e del “rapprochement” espresso dal concilio. Su questo ultimo punto del
“rapprochement” in particolare la questione lefebvriana getta una luce sull‟importanza
della riforma liturgica conciliare e dei suoi rapporti col messaggio conciliare nella sua
interezza e integrità.
Parole chiave: Liturgy. Vatican II. Sacrosanctum Concilium. Lefebvre
Abstract In recent years we have seen the emergence of a nostalgia for the pre-conciliar liturgy
and the attempt to reintegrate into communion with Rome the followers of Archbishop Lefebvre, even at the expense of the liturgical reform of Vatican II. But the liturgy of
Vatican II is an integral part of the theological message of Vatican II; the theological
content of the liturgical reform is essential to the main content of Vatican II. The liturgy of Vatican II is essential for the survival of the theology of Vatican II. Going
back to the pre-Vatican II liturgy means the dismantling of the church of Vatican II:
that's why we need to understand the deep connection between the constitution Sacrosanctum Concilium, the liturgical reform of Vatican II and the theology of the
council in its entirety, and particularly with respect to issues of "ressourcement" and
"rapprochement" expressed by the council.
Keywords: Liturgy. Vatican II. Sacrosanctum Concilium. Lefebvre
Artigo submetido em 19 de outubro de 2011 e aprovado em 15/11/2011. Doutor em Storia Religiosa (Università di Torino) e Professor Assistente de História do Cristianismo Moderno na University of St. Thomas. País de origem: Itália. E-mail: [email protected]
Massimo Faggioli
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1 Introduzione. Gli anniversari del Vaticano II e la questione liturgica
Nel mondo contemporaneo celebrare gli anniversari è un tipo speciale di “liturgia
pubblica”, spesso adoperata per ricordare i fatti e gli eventi che sono rilevanti solo per un
certo tipo o categoria di persone, e del tutto irrilevanti o addirittura fastidiosi per tutti gli
altri. Questo fenomeno della vita moderna ci invia una nota di cautela, se si considera che
negli anni 2012-2015 ricorre il cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II (1962-
1965). Tuttavia, non è meno vero che gli anniversari sono stati, negli ultimi decenni,
occasioni importanti per la chiesa cattolica per ricordare e ri-comprendere il concilio
convocato da Giovanni XXIII. Il ventesimo anniversario, nel 1985, vide la celebrazione di
un momento decisivo nella storia della ricezione del concilio grazie al Sinodo straordinario
dei Vescovi celebrato a Roma. Il quarantesimo anniversario della conclusione del concilio
aveva lasciato tracce significative nella chiesa nel 2005, in un anno che era stato
caratterizzato dall‟agonia di Giovanni Paolo II, il conclave che rapidamente elesse il
Cardinale Joseph Ratzinger, e l‟inizio del pontificato di papa Benedetto XVI. Un significato
minore per il dibattito sulla ricezione del Concilio Vaticano II aveva avuto il “Grande
Giubileo” del 2000, la cui eredità era stata in gran parte celebrativa, se non per i riflessi
della pubblica disputa tra i cardinali Ratzinger e Kasper sul rapporto tra ecclesiologia della
chiesa chiesa locale e universale.1
Ma ci sono anche altri anniversari, non necessariamente minori, legati all‟evento del
concilio Vaticano II. Nel 2003 il quarantesimo anniversario della costituzione liturgica
Sacrosanctum Concilium aveva messo in mostra i primi sintomi di una sorta di nostalgia
della liturgia tridentina e i primi segni della “rivolta” strisciante contro la riforma liturgica
del Vaticano II.2 Non molto tempo dopo l‟inizio del dibattito sulla riforma liturgica del
Vaticano II, l‟elezione di Benedetto XVI nel 2005 aveva determinato un cambiamento
visibile nella chiesa nell‟approccio al dibattito sulla questione liturgica, e non solo per le
norme, le decisioni, e lo stile liturgico del nuovo pontefice. Ma grazie a papa Benedetto,
alla chiesa è stata data la possibilità di rivalutare l‟importanza della riforma liturgica
1 Cfr. KASPER, 1999, p. 32-48; RATZINGER, 2000, p. 66-81; MCDONNELL, 2002, p. 222-250. 2 Cfr. RATZINGER, 2002, p. 111-115; RATZINGER, 2003, p. 209-221; GRILLO, 2004, p. 269-300;
MALCHEREK, 2004, p. 365-387; MARINI, 2004, p. 771-780.
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all‟interno di una riflessione sull‟essere della Chiesa nel mondo moderno. (RATZINGER,
2008).
Le possibilità di rivalutare cose che diamo erroneamente per “passate” o
“dimenticate” spesso prendono le apparenze di “incidenti”. Quando questi incidenti
assumono una dimensione pubblica e sono offerti al pubblico attraverso i mass media, il
costo di rivalutare quelle cose (che non avremmo dovuto dimenticare) è molto più elevato.
All‟inizio del 2009, il cinquantesimo anniversario dell‟annuncio del concilio (25 gennaio
1959) avrebbe potuto essere un anniversario innocuo fra tanti altri che affollano il
calendario delle ricorrenze. Inaspettatamente, quel cinquantesimo anniversario si era invece
trasformato in un incidente internazionale e un invito alla riflessione di tutta la chiesa
cattolica, che peraltro mise in evidenza una libertà di parola a tutti i livelli: vescovi e
conferenze episcopali, i cardinali della Curia, facoltà teologiche, la stampa cattolica, i
leader politici cattolici e non cattolici, opinionisti cattolici e non cattolici. Infatti, la
decisione di Benedetto XVI, annunciata il 21 gennaio 2009, di revocare la scomunica
imposta da Giovanni Paolo II nel 1988 ai quattro vescovi ordinati da Mons. Marcel
Lefebvre andò dritta al centro della discussione del rapporto tra cattolicesimo
contemporaneo e il Vaticano II - il concilio che questa piccola setta scismatica creata negli
anni Settanta ha sempre accusato di eresia e di essere la causa di ogni male per la chiesa
(HÜNERMANN, 2009a). Questa decisione di Benedetto XVI ha spinto la chiesa cattolica -
insieme con le altre chiese cristiane, comunità ebraiche e il pubblico - a riflettere sul
concilio Vaticano II molto più di quanto avrebbero potuto fare qualsiasi corso di studi o
conferenza. Il dibattito ha confermato (se ce ne fosse bisogno) che “qualcosa è successo” al
Vaticano II (O‟MALLEY, 2007, 2008).
Felix culpa, si sarebbe tentati di dire. Ma le reazioni alla revoca della scomunica dei
lefebvriani non si sono esaurite nel “damage control”, che è diventato un particolare tipo di
comunicazione nelle “liturgie” della comunicazione sociale e politica dell‟era globale. La
tempestiva pubblicazione su Internet delle dichiarazioni di uno dei seguaci dei vescovi di
Marcel Lefebvre, Richard Williamson, che negava il fatto storico della Shoah -
dichiarazioni che sono una sorpresa solo per coloro che ignorano completamente le radici
politiche e culturali del fenomeno Lefebvre - è stato l‟innesco di una reazione pubblica che
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ha raggiunto toni senza precedenti, soprattutto in Europa e nelle Americhe.
(HÜNERMANN, 2009b).
Non solo da parte dei rappresentanti delle Conferenze Episcopali nazionali e singoli
vescovi, ma anche di leader mondiali e politici e gruppi parlamentari dei cattolici, la
decisione di Benedetto XVI ha costretto la Santa Sede a spiegazioni numerose e ripetute,
fino a quando finalmente si è riconosciuto l‟oggetto della contesa: il Vaticano II, o meglio,
l‟indisponibilità dichiarata più volte da Lefebvre ei suoi seguaci a riconoscere il Vaticano II
e in particolare alcuni elementi di tutto l‟equilibrio teologico del concilio Vaticano II, in
particolare il documento Nostra Aetate sulle relazioni con le altre religioni e la
“deplorazione” dell‟antisemitismo ivi espressa. (BUONASORTE, 2003). 3
Nonostante tutte queste reazioni, il tentativo di Benedetto XVI di assorbire lo
scisma lefebvriano, creato dal rifiuto di un piccolo gruppo di accettare il concilio Vaticano
II, ha chiarito che, al di là del numero insignificante dello scisma creato da Marcel
Lefebvre, il concilio rappresenta per la chiesa del secolo XXI ancora un elemento di
dibattito interno, e non solo una “bussola” per la Chiesa - come Giovanni Paolo II definì il
Vaticano II nel suo testamento. Questo fatto dice qualcosa agli studiosi e osservatori del
ruolo della chiesa cattolica sulla scena mondiale. Ma, naturalmente, parla anche agli storici
dell‟ermeneutica del Vaticano II, il più grande evento religioso del secolo XX.
(FAGGIOLI, 2012).
Tra i tanti possibili, per gli studiosi del Vaticano II tre sono i motivi d‟interesse di
questo caso “politico-teologico”. La prima ragione è che, agli occhi del cattolicesimo
contemporaneo, della politica internazionale e dell‟opinione pubblica mondiale, il Vaticano
II ha indubbiamente un ruolo di “garanzia”, come “condizione di cittadinanza” della chiesa
cattolica nel mondo moderno. Il secondo elemento è il fatto che questa “garanzia” è stata
identificata, soprattutto dalla politica internazionale e dall‟opinione pubblica in tutto il
mondo, con il rifiuto dell‟antisemitismo come elemento della cultura sociale e politica pre-
moderna e anti-democratica, e con gli elementi specifici della teologia del Vaticano II, e in
particolare quelli che costituiscono la “rottura” con alcuni elementi della tradizione pre-
conciliare: la libertà di coscienza e la libertà religiosa, l‟ecumenismo, il dialogo con
l‟ebraismo, il dialogo con le altre religioni, la collegialità e la condivisione delle
3 Cfr. MICCOLI, 2003, p. 95-193.
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responsabilità nel governo della chiesa. Il terzo elemento, il più rilevante per quanto
riguarda questo articolo, è che questi elementi fondamentali per la “ricezione pubblica” del
concilio sono essenziali per il contenuto della liturgia del Vaticano II, e sono quelli che lo
scisma lefebvriano sempre rifiutato di accettare in quanto risultato della “eresia” del
Vaticano II. (SENÈZE, 2008).
2 La liturgia del Vaticano II e la chiesa post-conciliare
Le idee fondamentali della costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium sono parte
della spina dorsale del nucleo contenuto teologico del concilio Vaticano II: afflato
pastorale, collegamento tra liturgia ed ecclesiologia, la Chiesa come sacramento, e la storia
della salvezza. Nella riscoperta dell‟Antico Testamento come parte della liturgia cristiana 4
la costituzione liturgica del Vaticano II ha espresso l‟idea che la storia della salvezza è un
prisma “i cui raggi provengono dal Vecchio Testamento e soprattutto da Cristo, e
raggiungono la Gerusalemme celeste”. (VAGAGGINI, 1966, p. 112). Questo è solo un
esempio del contenuto teologico della costituzione liturgica (specialmente Sacrosanctum
Concilium 5, 6 e 8), i cui collegamenti intertestuali con altri documenti conciliari
(soprattutto Dei Verbum e Nostra aetate) sono cruciali per l‟equilibrio complessivo
teologico del concilio Vaticano II. (VAGAGGINI, 1957). Perdere di vista il legame tra la
riforma liturgica e il resto della teologia del Vaticano II significa lasciare gli altri documenti
del concilio senza il loro riferimento finale e primario di espressione solenne nella Chiesa,
ovvero la liturgia. (GRILLO, 2003). Ma questo è il rischio dell‟attuale dibattito teologico
ed ecclesiale su riforma liturgica, “rito straordinario” e ruolo del concilio nel futuro della
chiesa cattolica.
Nella chiesa post-conciliare la coscienza della connessione tra riforma liturgica e
teologia del Vaticano II è stato in passato più forte di quanto lo sia oggi, a 50 anni
dall‟inizio del concilio. Il filosofo e amico di Paolo VI, Jean Guitton, chiese al papa perché
non concedere “il Messale del 1962” a Lefebvre ei suoi seguaci. Il papa rispose:
4 Cfr. JUNGMANN, 1959, p. 260-262.
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“Mai. Questa Messa cosiddetta di san Pio V, quella che vediamo a Ecône, è il
simbolo della condanna del concilio. Io non accetterò in nessun caso la condanna
del concilio attraverso un simbolo. Se concediamo questa eccezione sulla liturgia
del Vaticano II, tutto il concilio ne verrebbe scosso. E, di conseguenza, sarebbe
scossa anche l‟autorità apostolica del Concilio”. (GUITTON apud BOVENS,
2008, p. 529-536).
Non meno fermo fu Giovanni Paolo II: nel 1988, prendendo atto della scomunica
latae sententiae contro i vescovi lefebvriani, nel motu proprio Ecclesia Dei Giovanni Paolo
II colse il fatto dello scisma lefebvriano come opportunità di riflettere sul significato del
concilio Vaticano II. In quell‟occasione Giovanni Paolo II affermò:
L‟esito a cui è approdato il movimento promosso da Mons. Lefebvre può e deve essere motivo per tutti i fedeli cattolici, di una sincera riflessione circa la propria
fedeltà alla Tradizione della Chiesa autenticamente interpretata dal Magistero
ecclesiastico, ordinario e straordinario, specialmente nei Concili ecumenici da
Nicea al Vaticano II. Da questa riflessione, tutti devono trarre un rinnovato ed
efficace convincimento della necessità di migliorare ancora tale fedeltà,
rifiutando interpretazioni erronee ed applicationi arbitrarie ed abusive, in materia
dottrinale, liturgica e disciplinare. (GIOVANNI PAOLO II, Papa. Motu proprio
Eclesia Dei, 1988, n 5).
Questa valutazione sulla fedeltà dei lefebvriani al magistero della chiesa venne
accompagnato, pochi mesi dopo, nel 1988, da un‟importante affermazione di Giovanni
Paolo II circa la riforma liturgica. Dopo un paragrafo sulle “difficoltà” e prima di una
sezione sulle “applicazioni erronee” della riforma liturgica, Giovanni Paolo II ricordò:
“Ciò non deve portare a dimenticare che i pastori e il popolo cristiano, nella loro
grande maggioranza, hanno accolto la riforma liturgica in uno spirito di
obbedienza ed anzi di gioioso fervore. Per questo bisogna rendere grazie a Dio per il passaggio del suo Spirito nella Chiesa, qual è stato il rinnovamento liturgico
(cfr. Sacrosanctum Concilium, 43); per la mensa della Parola di Dio, ormai
abbondantemente aperta a tutti (cfr. Dei Verbum, 21; Sacrosanctum Concilium,
51); per l‟immenso sforzo compiuto in tutto il mondo al fine di fornire al popolo
cristiano le traduzioni della Bibbia, del messale e degli altri libri liturgici; per
l‟accresciuta partecipazione dei fedeli, mediante le preghiere e i canti, i
comportamenti ed il silenzio, all‟Eucaristia ed agli altri sacramenti; per i ministeri
svolti dai laici e le responsabilità che si sono assunte in forza del sacerdozio
comune, in cui sono costituiti per mezzo del Battesimo e della Cresima; per
l‟irradiante vitalità di tante comunità cristiane, attinta alla sorgente della liturgia.
Sono, questi, altrettanti motivi per restar fedelmente attaccati all'insegnamento della costituzione Sacrosanctum Concilium ed alle riforme che essa ha consentito
di attuare: „Il rinnovamento liturgico è il frutto più visibile di tutta l‟opera
conciliare‟ (Synodi Extr. Episc. 1985 Relatio finalis, II, B, b. 1). Per molti il
messaggio del Concilio Vaticano II è stato percepito innanzitutto mediante la
riforma liturgica.” (GIOVANNI PAOLO II, Papa. Lettera apostolica Vicesimus
Quintus Annus,1988, n. 12).
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Giovanni Paolo II è stato il primo papa interprete teologico del Vaticano II, della
sua ricezione “globale” in varie zone del mondo, e del suo “nucleo costituzionale” in
termini di rapporto della Chiesa cattolica con il mondo ad extra. Giovanni Paolo II qui
collegava l‟eredità del “pontificato globale” (RICCARDI, 2011) con la sua comprensione
profonda del concilio Vaticano II come esperienza vissuta da tutta la Chiesa cattolica.
Giovanni Paolo II ha mostrato una profonda comprensione del problema lefebvriano in
connessione con la necessità di difendere il Vaticano II: per Giovanni Paolo II - proprio
come per la stragrande maggioranza dei vescovi dei primi anni post-Vaticano II Chiesa - la
questione liturgica faceva parte di questo dibattito su “recezione versus rigetto” del
concilio.
Fino a poco tempo era chiaro che il rifiuto della riforma liturgica era solo una
manovra per rifiutare il Vaticano II nel suo insieme, e soprattutto la sua “discontinuità” con
le tradizioni teologiche (plurale) del passato, piuttosto che con la grande Tradizione
(singolare) della chiesa.(CONGAR, 1960). Ma negli ultimi anni e da qualche tempo, nella
chiesa cattolica è diventato apparentemente possibile sostenere un rifiuto della riforma
liturgica, senza direttamente rifiutare il concilio. 5 Tuttavia, l‟incidente con i lefebvriani del
gennaio 2009 ha reso questo escamotage più difficile. Le discussioni riguardanti la levata
della scomunica dei quattro vescovi della “Fraternità San Pio X” fondata da Mons.
Lefebvre hanno mostrato chiaramente che le dichiarazioni antisemite di uno di questi
vescovi rappresentano non solo una questione politica e diplomatica, ma ha anche
presentato una questione teologica. Le posizioni dello scisma di Lefebvre sul Vaticano II e,
in particolare, sui suoi elementi fondamentali di novità e discontinuità nella tradizione
recente della chiesa sono direttamente connessi con la riforma liturgica. In un certo senso, il
rifiuto della liturgia del Vaticano II da parte dei lefebvriani è la prova definitiva
dell‟impossibilità, da parte di questa setta scismatica, di accogliere la lex orandi, lex
credendi del Vaticano II. 6
La lex credendi del Vaticano II si esprime nella lex orandi della riforma liturgica
promulgata dal concilio e realizzata dai vescovi nei decenni dopo il concilio Vaticano II. Il
nucleo teologico del concilio Vaticano II respinto dal lefebvriani ha evidentemente a che
5 Tra le poche eccezioni, si veda MARINI, 2007 e PRÉTOT, 2006, p. 17–34. 6 Cfr. CLERCK, 2000, p. 61-78.
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fare anche con il riconoscimento della libertà religiosa e libertà di coscienza, l‟impegno per
il dialogo ecumenico e interreligioso, e una nuova comprensione della fede ancorata alla
Parola di Dio. Attraverso la liturgia del Vaticano II, a questo nucleo appartiene non solo la
posizione della Scrittura nella chiesa, ma anche il dialogo ecumenico, l‟esistenza e il ruolo
delle conferenze episcopali, e la collegialità episcopale (respinta da Lefebvre come
“discontinuità” con la tradizione del governo monarchico della chiesa).
La teologia contenuta nei documenti del Vaticano II costituisce il nuovo volto della
chiesa cattolica; quei documenti sono parte del tentativo di armonizzare la chiesa con la sua
comprensione teologica della rivelazione (ad intra) e per contemperare (ad extra) il ruolo
della Chiesa nel mondo, a livello pubblico e internazionale, con le conseguenze politiche e
culturali dei cambiamenti avvenuti a livello teologico. Infatti, per gli storici e agli interpreti
del concilio Vaticano II l‟episodio del 2009 del “caso Lefebvre” ha fornito al dibattito
sull‟interpretazione del concilio un elemento interessante: il Vaticano come un “nucleo
costituzionale”, che esiste indipendentemente dalla gerarchia formale dei testi (costituzioni,
decreti, dichiarazioni), perché ha a che fare più con la storia vissuta e dell‟ermeneutica
teologica del Vaticano II la chiesa nel mondo che con l‟esegesi “tecnica” dei testi.
In questo complesso di testi conciliari e loro recezione, Sacrosanctum Concilium è
al centro dell‟intero corpus del concilio Vaticano II: tra rivelazione di Dio e coscienza
personale, tra ecclesiologia della Chiesa locale e Chiesa come “sacramento” e popolo di
Dio. 7 Ecco perché il rifiuto della riforma liturgica non è guidato dal rifiuto degli “abusi”
liturgici del periodo post-conciliare, ma è in modo sempre più evidente la maschera di un
rifiuto in toto degli orientamenti fondamentali della teologia del Vaticano II. (MENOZZI,
1987, p. 325-348). 8
3 La riforma liturgica e la recezione vs. rigetto del concilio
La morte di Giovanni Paolo II – l‟ultimo padre del concilio Vaticano II ad essere
eletto vescovo di Roma e papa - e l‟elezione di Benedetto XVI nel 2005 sono due elementi
importanti del paesaggio culturale del cattolicesimo contemporaneo e del dibattito
7 Cfr. THEOBALD, 2009, specialmente p. 431. 8 Cfr. MENOZZI, 1987, p. 325-348.
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sull‟ermeneutica del Vaticano II. Dalla sua elezione nell‟aprile 2005 in poi Benedetto XVI
ha riacceso il dibattito sul ruolo del Vaticano II, a lungo accettato in vaste aree della chiesa
solo in modo “nominalistico”, legandolo (in modo più implicito che esplicito) ad una
discussione sull‟eredità del concilio per la chiesa e la cultura contemporanea.9
Ma è destinato a fallire ogni tentativo di inquadrare il dibattito in corso sul concilio
senza, da un lato, un‟analisi della cultura “politica” (in senso lato) degli interpreti del
concilio Vaticano II, e dall‟altra parte senza una consapevolezza delle conseguenze
culturali e teologiche, a lungo termine, della minimizzazione del Vaticano II. L‟attuale
politica dottrinale della Santa Sede guidata da Benedetto XVI sembra aver lasciato alle
spalle il senso wojtyliano di una chiesa-attore della politica mondiale: ma sembra anche
aver lasciato alle spalle la consapevolezza dell‟“impatto globale del concilio”, ed in
particolare l‟impatto della riforma liturgica del Vaticano II su una chiesa ormai globale e
multiculturale. Il caso della revoca della scomunica dei vescovi lefebvriani ne è una prova.
La concessione della Messa nel “rito straordinario” col motu proprio Summorum
Pontificum (7 luglio 2007), nella speranza di fare appello ai lefebvriani di tornare in
comunione con Roma, ha dimostrato la “disponibilità” della riforma liturgica del Vaticano
II, agli occhi della dirigenza attuale della chiesa. Finora, i lefebvriani non hanno accettato
l‟offerta, essendo la loro lotta contro la lex orandi del concilio solo il primo passo nella
lotta contro la lex credendi del Vaticano II.10
È in gioco qui il riorientamento della teologia cattolica verso il ressourcement e il
rapprochement. Alla fine degli anni cinquanta, la scelta di lasciare alle spalle l‟età
costantiniana fu un punto di svolta nella biografia di Angelo Giuseppe Roncalli - Giovanni
XXIII, svolta che venne portata a maturazione nel corso del concilio. Questo riorientamento
ha mostrato tutte le sue implicazioni durante il Vaticano II, in cui l‟identità del ministero
universale, veramente “cattolico” della Chiesa, è stata la precondizione necessaria per la
cultura del dialogo e per il dialogo tra le culture. Fu una scelta fatta a partire dal centro
teologico della chiesa cattolica, la liturgia, e poi seguita da un più completo ri-orientamento
della teologia per una “Chiesa-mondo”.
9 Cfr. FAGGIOLI, 2005, p. 743-767; FAGGIOLI, 2008, p. 567-610. 10 Cfr. GRILLO, 2009, p. 125-132.
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Nel periodo post-conciliare, l‟insegnamento di Giovanni Paolo II sulla
“purificazione della memoria” ha portato la chiesa ad un punto di non ritorno circa la
discontinuità, rispetto al periodo precedente, dei gesti e dei simboli, con una nuova
coscienza della rilevanza del ruolo delle religioni e della chiesa cattolica in particolare per
la pace nel mondo. Ma nella chiesa dell‟inizio del secolo XXI la fascinazione per
l‟agonizzante ideologia neo-conservatrice sembra essere volta a porre fine al corso dato al
cattolicesimo post-conciliare da Paolo VI e Giovanni Paolo II: siamo di fronte ad un
tentativo di correzione di rotta della cultura e della teologia della chiesa cattolica rispetto al
percorso post-conciliare, con profonde ramificazioni “politiche” in senso lato.
La riforma liturgica, la primizia e il frutto supremo del concilio da punto di vista
teologico-pastorale, sembra essere la prima vittima degli sforzi per invertire e annullare
l‟aggiornamento del concilio Vaticano II. Non è solo un caso che questi tentativi di
“normalizzare” il Vaticano II divengano evidenti negli incidenti di tipo politico-
diplomatico, come quello del 2009 con i lefebvriani o quello del 2006 col discorso di
Regensburg. La teologia del Vaticano II aveva sollevato grandi aspettative in tutto il
mondo, e la riforma liturgica è il modo più visibile per la Chiesa di dichiarare la propria
identità pubblica. Ma da un punto di vista teologico-politico, alcune recenti interpretazioni
“riduzioniste” del Vaticano II non sembrano comprendere quale sia il costo teologico e
spirituale di un ritiro della chiesa cattolica dalla scena internazionale del dialogo tra le
chiese e le religioni, dopo gli ultimi decenni in cui il papato romano ha creato aspettative e
abitudini nel suo pubblico globale (anche nelle sue controparti mal disposte). La visione
attuale del ruolo della chiesa nel mondo ha conseguenze dirette sul modo di leggere il
concilio, e il punto di vista di molti “revisionisti” sulla riforma liturgica del Vaticano II ha
conseguenze dirette sulle future relazioni tra Chiesa e mondo. L‟incidente coi lefebvriani
del gennaio 2009 ha dato alla Chiesa una chiara prova di questo.
Il dibattito sulla liturgia è parte di questo scenario, perché la riforma liturgica è parte
delle “discontinuità” del Vaticano II rispetto al periodo precedente (il rapporto tra chiesa e
democrazia, collegialità e la collegialità, la libertà religiosa, ecumenismo, dialogo
interreligioso). Rifiutare le “discontinuità” nell‟interpretazione del Vaticano II non ha solo
effetti teologici ma anche culturali: il costo è quello di ignorare l‟esistenza di un “nucleo
costituzionale” all‟interno del Vaticano, cioè un nucleo che per gli attori “politici” (qui
Dossiê: Concílio Vaticano II: La riforma liturgica conciliare e il futuro del Vaticano II: a proposito del “dialogo” coi lefebvriani
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intesi in senso lato: i leader politici, i parlamenti, l‟opinione pubblica, le altre comunità
ecclesiali e religiose e culturali) che interagiscono con la chiesa è diventato permanente e
irrevocabile, e che viene primariamente espresso nella liturgia della chiesa. Questi attori
“politici” danno un contributo - sia pure indiretto e forse inconscio - al dibattito sul
Vaticano, perché sono più sensibili a quel “nucleo costituzionale” del concilio, che viene
respinto dallo scisma lefebvriano.11
Rifiutare il parere di questi interlocutori “politici” come “indebita interferenza”
negli affari interni della Chiesa non risolve il vero problema teologico del rapporto tra la
cultura pubblica del cattolicesimo e la sua lex orandi. Il ruolo del Vaticano II nel volto
pubblico della Chiesa cattolica è innegabile, se si considera che la dichiarazione Nostra
aetate sulle relazioni della chiesa e le religioni non cristiane, la dichiarazione sulla libertà
religiosa Dignitatis Humanae e la costituzione Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo
contemporaneo danno un indirizzo alla questione della Chiesa nella modernità. D‟altra
parte, è impossibile negare che i tre “temi chiave”, cioè le questioni fondamentali del
concilio identificate recentemente da John O‟Malley - il cambiamento della chiesa, i
rapporti tra centro e periferia la chiesa, il concilio come un evento linguistico e lo “stile”
del cattolicesimo - sono strettamente interconnessi, e che la negazione di una di esse
comporta immediatamente la sterilizzazione per le altre due questioni.12
È chiaro che la
riforma liturgica ha a che fare con queste tre questioni: il cambiamento della chiesa, i
rapporti tra centro e periferia della chiesa, il concilio come un evento linguistico e lo “stile”
del cattolicesimo. Questi problemi fanno dell‟età del concilio Vaticano II un‟epoca di
transizione verso una nuova forma culturale del cattolicesimo, il cui più solenne (e più
riuscito) modo di espressione in tutto il mondo è la riforma liturgica avviata da
Sacrosanctum Concilium. (BUGNINI, 1983).
Tra gli elementi di questa “età di transizione” del Vaticano II c‟è sicuramente un
cambiamento nelle categorie del pensiero, che implica - per fare solo due esempi - un
moderno approccio critico all‟interpretazione esegetica delle Scritture e un nuovo tipo di
rapporto tra il papa, i vescovi e i laici caratterizzato, dal punto di vista delle incarnazioni
istituzionali, da maggiore libertà e responsabilità. Da questo passaggio epocale segue una
11 Cfr. FAGGIOLI, 2009, p. 107-122. 12 Cfr. O‟MALLEY, 2008, p. 309-311.
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forma di fede che, per essere trasmissibile e di testimonianza nel mondo, deve essere
articolata in forma di “chiesa-mondo”.13
La liturgia del Vaticano II è un‟espressione di tutto
questo: rifiutare il nucleo teologico della riforma liturgica non è che un altro modo per
rifiutare la teologia del Vaticano II. (BALDOVIN, 2008).
È evidente che i cambiamenti epocali del concilio Vaticano II non hanno un impatto
esclusivamente interno alla chiesa. In realtà hanno anche un effetto diretto sulla posizione
politica e culturale della Chiesa nel mondo moderno. Tutti questi elementi appartengono
alla discontinuità culturale del Vaticano II, la stessa che viene respinta dalla cultura dello
scisma di Lefebvre, e corrispondono ad un nucleo “costituzionale” del Vaticano II.
Se l‟anno 2006 e l‟incidente di Ratisbona avevano significato una riscoperta di
Nostra Aetate per le relazioni con l‟Islam, il periodo 2007-2009 è stato un passaggio
fondamentale nella realizzazione del valore del concilio per il rapporto tra chiesa ed
ebraismo, grazie anche al dibattito sulla liturgia. Ma al di là delle reazioni contro
l‟antisemitismo della cultura lefebvriana, in una prospettiva più ampia è evidente che tanto
il cinquantesimo anniversario dell‟inizio del concilio nel 2012 quanto le reazioni del 2009
contro la revoca delle scomuniche dei vescovi lefebvriani sono “momenti di recezione” del
Vaticano II: la recezione ecclesiale, ma anche politica e culturale del concilio, che è parte
della storia del post-concilio, e che gli interpreti della assoluta “continuità” del concilio
vorrebbero smaltire sommariamente associando il Vaticano II con il peggio degli “anni
Sessanta” e con la secolarizzazione del mondo occidentale.
Rifiutare la riforma liturgica del Concilio è sempre stato, dallo scisma lefebvriano in
poi, il modo più diretto ed efficace per accusare il concilio Vaticano II di essere un errore o,
peggio, un‟eresia. In questo senso, la riforma liturgica del Vaticano II ha ricevuto un
compito arduo, essendo Sacrosanctum Concilium il primo simbolo della chiesa del
Vaticano II, una garanzia del suo impegno per la riforma del linguaggio teologico,
l‟aggiornamento della chiesa, il dialogo interreligioso con l‟ebraismo, l‟ecumenismo e la
pace tra i popoli e le culture. Molto delle interpretazioni revisioniste del più grande evento
religioso del secolo XX sono alimentate da un punto di vista ideologico di stampo neo-
liberale e neo-conservatore che vede nel pre-Vaticano II l‟unica via d‟uscita per una civiltà
13 Cfr. ALBERIGO, 2009, p. 765-859.
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occidentale in crisi, una sorta di conservante alchemico per un‟identità cattolica in via di
ridefinizione multiculturale.
Se è vero che il concilio non è diventato né la costituzione della chiesa, né la
rivoluzione contro la tradizione, ma era ed è una realtà dinamica14
, è anche legittimo
osservare che il Vaticano II e la sua liturgia sono chiaramente elementi dirimenti per la
ricezione del cattolicesimo nella cultura politica e sociale del mondo contemporaneo: per la
cultura occidentale, ma anche e soprattutto - in un momento di un nuovo tentativo di
europeizzazione del cattolicesimo - per le sue possibilità di interazione teologica con le
culture non-occidentali e non-europee.
Coclusione
La liturgia del Vaticano II non è solo il mezzo principale del messaggio del
Vaticano II, ma è anche parte integrante del messaggio teologico del Vaticano II; il suo
contenuto di base è essenziale per il contenuto principale del Vaticano II; la liturgia del
Vaticano II è costituzionalmente necessaria per la sopravvivenza teologica del Vaticano II.
Disfare la riforma liturgica del Vaticano II porta allo smantellamento della chiesa del
Vaticano II: è per questo che è necessario comprendere le connessioni profonde tra la
riforma liturgica e la teologia del Vaticano II nella sua interezza.15
Se recente è il tentativo di preservare e rivitalizzare il concilio attraverso il concetto
del Vaticano II come “costituzione”,16
l‟idea di un particolare nucleo interno al Vaticano II
non è nuova agli interpreti del concilio. (DOSSETI, 1996; DOSSETI, 2002). In particolare,
l‟idea del concilio Vaticano II come “un testo costituzionale per la fede” è utile per
comprendere la centralità della riforma liturgica per la Chiesa cattolica del Vaticano II17
. La
crisi con i lefebvriani del 2009 (e le discussioni che seguirono tra Roma e i leader
lefebvriani circa la possibilità della loro riammissione nella Chiesa cattolica) dovrebbe dire
qualcosa anche agli specialisti della riforma liturgica del Vaticano II e alla Messa in rito
conciliare, il cui contenuto teologico è inestricabilmente legato al resto degli insegnamenti
14 Cfr. MELLONI, 2002, p. 391-407. 15 Cfr. FAGGIOLI, 2010, p. 437-452. 16 Cfr. HÜNERMANN, 2004-2005, p. 5-101, specialmente 11-17 e 85-87. 17 Cfr. HÜNERMANN, 2006, p. 569-593.
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del Vaticano II. Il significato del particolare momento di “ricezione” del Vaticano II, che si
è manifestato nel 2009, all‟alba del secolo XXI, merita qualche ulteriore discussione anche
dal punto di vista delle connessioni tra la riforma liturgica del Vaticano II e l‟intero
significato del concilio.
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