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1
Norbert von Prellwitz (ed.), ANTOLOGIA complementare del Modulo
“La poesia di García Lorca nel suo contesto letterario”
a.a. 2015-16
schemi di analisi (si veda comunque la bibliografia metodologica)
analisi: non è questione di classificare, ma di spiegare le funzioni nel singolo testo; in particolare
l’incremento di significato attraverso elementi della composizione testuale che + caratteristica del testo
poetico rispetto alla prosa.
Il testo poetico in realtà non è parafrasabile se non per una sintesi di comodo; ma il testo poetico NON
“dice praticamente che” ma spesso sviluppa un topos letterario, o combina più topoi, in un certo modo: in
questo consiste l’originalità e la bravura del singolo poeta.
1) modello sintetico (base per l’esplicitazione di funzioni compositive e per l’interpretazione finale:
Antonio Machado, «Tarde tranquila, casi»
Tarde tranquila, casi
con placidez de alma,
para ser joven, para haberlo sido
cuando Dios quiso, para
tener algunas alegrías… lejos,
y poder dulcemente recordarlas.
(Soledades, LXXIV)
1 4 |6> A-e_I-a_____A-i [vocali con ictus e gruppi di assonanza; cf. i versi pari]
4 6 || [de | alma] E-e____A-a [iato obbligato x metrica corretta]
1 4 |6 8 10 A-a _O-e___A-a_E-o_I-o
1 34 |6> A-o_O-i_I-o_A-a
2 4 8 10|| E-a_U-a_ I-a_E-o
34 6 10||| E-U-e_____E-e____A-a
tarde tranquila
placidez - para - para - para - poder
algunas alegrías
schema sintattico [S: sost., Agg: aggettivo; V: Verbo; Avv.: avverbio; N: nome
S+Agg | casi> xxxxx xxxx [segmenti]
con S-de-S| xxxxxxx [unico verso senza segmentazione]
para Vinf Agg| para Vinf-pas xxxxx xxxxxx
2
cuando N Vpas| para > xxxxx xx
Vinf Agg+S… Avv-loc xxxxxxxxx xx
TARDE tranquila
casi con PLACIDEZ
de ALMA
para SER
JOVEN para haberlo SIDO
cuando DIOS [unico agente esplicito]
QUISO
para TENER
Algunas [cf casi]
ALEGRÍAS LEJOS [per posiz. CASI : LEJOS]
& PODER [cf. il modale TENER; inoltre PODER : PARA potenziale : scopo]
DULCEMENTE RECORDAR
- LAS
TARDE . JOVEN : CUANDO: QUISO . LEJOS . RECORDAR- : paradigma del tempo
TARDE: lemma-simbolo in Machado : tempo lineare del giorno : tempo della vita dell'uomo
TRANQUILA . PLACIDEZ: DULCEMENTE: paradigma della quiete interiore; connotazione
positiva; eventuale rapporto con dinamismo JOVEN - ALEGRÍAS
ALEGRÍAS : unico oggetto nel testo; limitato dal quantificatore ALGUNAS; cf CASI
Rapporto implicito JOVEN [passato] - ALEGRÍAS
DIOS (+ quiso): destinatore meta-fisico dell'oggetto del desiderio
Verbi all'infinito: modalità del soggetto: essere > avere / potere
RECORDAR: passato nel presente cf. verbi al passato
2) modello sintetico
Juan Ramón Jiménez, Sonetos espirituales
OCTUBRE
3
1. Estaba echado yo en la tierra, enfrente
2. del infinito campo de Castilla,
3. que el otoño envolvía en la amarilla
4. dulzura de su claro sol poniente.
5. Lento el arado, paralelamente
6. abría el haza oscura, y la sencilla
7. mano abierta dejaba la semilla
8. en su entraña partida honradamente.
9. Pensé arrancarme el corazón y echarlo,
10. pleno de su sentir alto y profundo,
11. al ancho surco del terruño tierno;
12. a ver si con romperlo y con sembrarlo
13. la primavera le mostraba al mundo
14. el árbol puro del amor eterno.
***********************************************
SCHEMA DEGLI ICTUS METRICI
1. oAo_Ao___Oo___ Eo_ __Eo > 5 accenti tutti su posizioni pari (modello basico dell’endecasillabo
2. oìoIo_ ____Ao____ ___ooIo || asse dominante in 6a
3. ooOo_ ___oIo___ _____ooIo > idem; enjambement
4. oUo____ooAo___Oo____oEo || idem, 1° quartina composta con 2 coppie semantiche di versi
5. Eo_oAo__Ao____Eo____Eo > 8
6. oIa__ao__Uo________ooIo>
7. Ao_Eo__oAo________ooIo >
8. ooAo____oIo____Ao___Eo || 8*
_____________________________________
9. oEo_oAe_____ooOo___Ao > 4_8
10. Eo_____oooI-----Ao___oUo []> 6+7
11. oAo_Uo_____ooUo____Eo || 4_8
4
12. oEo_____ooEo_____ooAo >
13. oìoEo________ooAo__Uo > 4_8
14. oAo_Uo______ooOo__Eo || 4_8
*************************************************
OCTUBRE
• EstAba echAdo yO en la tiErra, enfrEnte
• del infinIto cAmpo de CastIlla,
• que el otOño envolvIa en la amarIlla
• dulzUra de su clAro sOl poniEnte.
Primo verso 5 ictus (ritmo rallentato e regolare)
simmetria di vocali in ictus: A-A-O-E-E (rilievo a YO)
spezzatura forte tra preposizione e nucleo del complemento: enfrente / del infinito ecc.
2° verso: diversa simmetria, solo 3 ictus, I-A-I > rapporto semantico infinIto : CastIlla
serie fonico-semantica allitterante. estaba echado - en … - enfrente - envolvía en ….
serie fonico-semantica per assonanza + rima: Castilla - envolvía - amarilla (rapporto intrinseco
suggerito da rima Castilla - amarilla)
rilievo di DULZURA, unico ictus in U, oltre a separazione per spezzatura da AMARILLA
serie allitterazione + assonanza: campo -Castilla – claro
ecc. ( si può continuare per le altre strofe)
schema di temi fonici:
estAba echAdo yO en la tyErra, enfrEnte
del infinIto campo de CastIlla,
que el otOño enbolbÍa en la amarÍlla
dulzÚra de su clAro sOl poniEnte.
da proseguire.
Schema sintattico - semantico:
Estaba echado
YO en la TIERRA,
5
enfrente
del infinito CAMPO+de+Castilla,
que
el OTOÑO
envolvía en la amarilla
DULZURA
de su claro SOL poniente.
Lento
el ARADO,
paralelamente
abría el HAZA oscura,
abría el HAZA oscura,
y la sencilla
MANO abierta
dejaba la SEMILLA
en su ENTRAÑA
partida honradamente.
Pensé arrancar [YO] ME
el CORAZON
y echarlo,
pleno
de su SENTIR alto y profundo,
al ancho SURCO
del TERRUÑO tierno;
a ver
si con romper lo
y con sembrar lo
la PRIMAVERA le
6
mostraba al MUNDO
el ARBOL puro
del AMOR eterno
Estaba echado yo en la tierra || enfrente>
Vimp. [narraz.][spazio: modalità del soggetto][orizzontale][quiete]
Soggetto[enfasi: io][Uomo]
Luogo [natura][orizzontale][elemento: Terra]
Luogo> [posizione percettiva] [opposizione spaziale io-natura]
del infinito campo de Castilla ||
Specif. modif. [spazio] - Natura [vs uomo] [Terra] - specif. [nome connotato]
que el otoño envolvía en la amarilla>
deittico-oggetto [Natura - Terra]
soggetto [tempo- ciclo Natura] -[implicito ciclo vita]
modificatore [cromatismo tipico - connotazione sospesa]
il rapporto di rima crea rapporto Castilla : amarilla
[eventuale implicazione storico-critica]
dulzura de su claro sol poniente.||
modificatore [sensazione euforica d. soggetto] [connota amarilla]
specif. modif. [percez. ottico-cromatica] [implicazione positiva]
Natura [opposizione vs Terra: elemento Fuoco]
modificatore + azione [ciclo del giorno][spazio: verticalità alto>basso]
implicito rapporto con ciclo dell'anno [octubre] e ciclo della vita [Uomo]
dulzura modifica con connotazione soggettiva positiva la connotazione
abituale dell'immagine "tramonto"
Lento el arado, paralelamente>
modificatore: modalità dinamica vs estaba echado
soggetto: artificio [Uomo] [intervento su Natura]
modificatore spaziale [implicito: "infinito campo"] [artificio]
7
abría el haza oscura, y la sencilla>
azione [intervento dell'uomo sulla Natura]
modificatore [haza variante di Terra; oscura vs claro: non-luce vs luce]
modificatore [giudizio semplicità vs complessità; uomo "naturale"]
mano abierta dejaba la semilla>
sineddoche per Uomo; strumento
modificatore; paradigma abría - abierta [apertura vs chiusura:
rapporto Uomo - Natura] [implicito rapporto tra sencilla - abierta]
azione: fecondazione: ciclo della vita - ciclo della Natura
en su entraña partida honradamente.
spazialità [fuori - dentro] [personificazione Natura
>< sessualità nel rapporto Uomo - Natura]
modificatore: completa il paradigma "uomo naturale"
[implicita liceità del rapporto fecondativo]
Pensé arrancarme el corazón y echarlo, >
Pensé: azione: progetto interiore [implicita: volontà];
identificazione del soggetto percipiente con il contadino osservato;
analogia con azione "semina" . cuore = seme
corazón: connotazioni simboliche culturali; sede del sentimento
rapporto pensiero - sentimento [rapporto amore - generazione]
curioso rapporto (casuale?) tra estaba echado ed echarlo [asse dentro > fuori]
(quiete vs gesto dinamico cf violenza implicita in arrancarme
: gesto di autopenetrazione)
pleno de su sentir alto y profundo, >
modificatore: spazio dell'interiorità: ricchezza / pregnanza
asse verticale continuo [vs movimento sol]
8
Juan Ramín Jiménez, Cielo (1916) [si veda il testo oltre]
Verso libero, ma non troppo:
vv. 1 e 2: 7 + 4 = endecasillabo scisso in due segmenti;
v. 3: 9: misura tra le compatibili con l’endecasillabo: 5, 7, 9
v. 5: finale di sezione: endecasillabo normale, accenti in 4°, 6°, 10°.
2° sezion, introdotta da Y: v. 6 ancora un endecasillabo sesso schema del v. precedente
v. 7: il più lungo: 11 + 4
v. 8: endecasillabo con ictus in 3°, 6°, 10°
v. 9: endecasillabo; bisogna applicare lo iato de de | agua
il verso 6 si può leggere come endecasillabo se si divide parecí-as
ultima sezione: separata (presente vs passato precedente)
v. 10: 9; lentamente ha due ictus, come ttti gli avverbi in –mente
lv. 11: endecasillabo: accenti in 3°, 6°, 10°
v. 3 e 11: finali in antitesi: sin nombre – tu nombre
simile il nesso complementare olvidado (v. 1) mirado (v. 10) (cfr. anche olvidado – vago; vago . cansados)
vv. 7 e 9: legati da assonanza finale è-o (se la considerassimo una strofa, avrebbe il sistema derivato dal
romance: assonanza nelle sedi pari
altra assonanza tra finale della sezione 1. Indolentes e lentamente: è-e; nesso sematico rafforzato
inoltre: cielo anticipa l’assonanza é-o
cfr. l’assonanza in posizioni variabili tra calabra desesperanzadas (ictus su 10° per entrambe), agya
sistemi allitteranti (solo fonemi iniziali!):
vago, visto, viajero, visto (/b-/ in spagnolo)
palabra / perezosas (+ deses-peranzadas) paisaje: tutto nella seconda sezione
si veda il rapporto tra io e tu testuali nella 1° sezione. Te – mis (cansados ojos)
te – te – tu + [yo] the he mirado: antesi tra inizio e fine del componimento: trasformazione avvenuta
si delinea nel contrasto tra universo esterno (visto – sin nombre) e l’universo interno (mirado – nombre),
che include il sogno e la libertà dinamica vs apatia ed indolenza
9
Juan Ramón Jiménez, “Nocturno” [si veda il testo oltre]
Testo 112 che conlude il libro Diario de un poeta recién casado = Diario de poeta y mar, 1916)
1° v.: alessandrino (7 + 7) ; bisogna applicare iato tra raudo a / un
v. 3 ancora 7 + 7, v. 4: 7, v, 5: 11, v. 6: 7, v, 8: 7, v, 9: 9; v. 11: 7; v. 11. 11; v. 12: 11 applicandoo uato tra de |
él, ma più probabile 10, a formare coppia con la misura 10 dell’ultimo verso; così nell’ultima sezione la
dicotomia cuero vs alma è sottolineata dalla differenza del tipo metrico.
Si tenga conto della verticalità dell’asta del palo che collega il piano alto delle stelle orientanti la
navigazione e il piano basso del mare, che continua sulla vertical dell’abisso sottostante; impliciti altezza e
profondità spirituali.
le indicazioni del tempo rinviano a un tempo identico e ciclico (orologio) e alla continuità di hora tras nora;
cf. la conclusione “siempre […] eterno”.
Gerardo Diego, «Tren» (1922)
v. 1: 5 sillabe; v. 2: endecasillabo anomalo (4° e 7°), v. 3: endecasillabo normale; i due endecasillabifiniscono
in rima (antitesi semantica in questo caso), ma c’è anche l’assonanza í-o con il v. 1; così si segnala una
sezion diversa dalla seconda dobe in 3 vv. su 4 abbiamo l’assonanza è -a in posizione finale; nella terza
sezione c’è un ibrido: semra esserci un ritorno a í-o. Infine una quarta sezione viene segnata dall’assonanza
á-a (agua – ramas).
Il componimento di Diego scompone versi tradizionali in segmenti, ma la misura dominate è di sette sillabe,
duplica5te nel verso più lingo: Y arriba una bandada…. Comunque l’articolazione grafica rinvia anche al
genere della 2poesia visuale” (si veda).
Nel componimento successivo «Estética» è Facile riconoscere soluzioni analoghue. Per chi non conosca la
classicità,: cerchi regguagli su Parnaso e Pegaso (in spagnolo prounicato Pegáso).
Luis Cernuda, «Era un sueño, aire» (1932-33) composizione disenari, misura fissa, dove contano molto le categori sintattiche:
Eta
un sueño, aire / Tranquilo en la nada;
Al abrir los ojos Las ramas perdían.
Exhalaba el tiempo a) Luces vegetales,
b) Amores caídos, c) Tristeza sin donde.
10
Volvía la sombra; Agua eran
sus labios. a) Cristal, b) soledades,
c) La frente, d) la lámpara.
Pasión sin figura, Pena
sin historia; Como herida al pecho,
Un beso, el deseo.
[3 x è-o e cfr. precedenti v. 1 e v. 5]
No sabes, no sabes. ( cfr. sin nella str. 4, nada al v. 2, sin donde v. 4)
No sabes è in assonanza con aire (v. 1) e soledades (11). nesso semantico fra i tre termini.
Nella str. 4, che sarebbe l’ultima, + 1 coda, è particolarmente elaborata l’orchestrazione fonica: allitterazione in p-, assonznze in é-o, parallelismi, 9 sostantivi, nessun verbo.
11
Federico García Lorca, “Romance sonámbulo” (1924), – María de Lourdes Martini
[sintesi comunque ampliabile]
La clave de Romance sonámbulo está en los dos primeros versos, puesto que el poema se realiza por la
dislocación de los atributos de objetos y personajes a otros objetos y personajes:
Verde que te quiero verde. / Verde viento. Verdes ramas.
El color verde, de que el poeta quiere impregnar todo el poema, le viene de la naturaleza verde de las
ramas (3ª frase), el cual se había desplazado con anterioridad mental a viento (2ª frase) y de ahí a la
presentación inicial (1ª frase): la técnica de la dislocación de atributos informa todo el poema, sea en la
línea central de la anécdota, sea en los pormenores.
Intentemos organizar la anécdota del poema a través de lo expresado por el poeta con ambigüedad al
suprimir nexos lingüísticos, creando así la atmósfera de misterio, necesaria al desarrollo trágico del tema:
Primera estrofa: Aparece un personaje femenino caracterizado con irrealidad (verde carne, pelo verde, /
con ojos de fría plata.) y que se sitúa sin conectarse con su circunstancia (las cosas la están mirando / y ella
no puede mirarlas.).
Segunda estrofa: El poema se alarga en la descripción del encuadre espacio-temporal (noche y paisaje con
monte), animado en la imagen gato garduño que se eriza como presintiendo la proximidad de alguien.
Sugerida esa posibilidad, el poeta vuelve a su protagonista femenina, situada todavía, como en la primera
estrofa, sin conexión con su circunstancia, a lo que se junta ahora un dato nuevo (soñando en la mar
amarga.).
Tercera estrofa: Hay un diálogo entre dos hombres, uno mayor, a quien el más joven, el “mocito”, se dirige
llamándolo “compadre”: el más joven propone el cambio de su situación actual por la de su compadre, de
lo cual se concluye lo inestable y lo peligroso de su manera de vivir (vengo sangrando, / desde los puertos
de Cabra.). Por último, el joven pide que le deje “subir al menos/ hasta las altas barandas”, elemento
común entre él y la muchacha.
Cuarta estrofa: Mientras suben los dos compadres, el poeta vuelve al marco escénico de la anécdota
(noche / madrugada).
12
Quinta estrofa: En lo alto, se da entre los hombres el diálogo que expresa o, mejor, que apenas expresa el
vínculo sentimental entre los dos jóvenes; y, a través de la referencia a la larga espera en que se ponía la
muchacha, la sugerencia de una tragedia consumada o a consumarse (¡Cuántas veces te esperó! / ¡Cuántas
veces te esperara, / cara fresca, negro pelo, / en esta verde baranda!).
Sexta estrofa: Mientras se conoce la muerte de la muchacha (seis primeros versos), la guardia civil,
relacionada con la manera peligrosa de vivir del joven, golpea la puerta de la casa.
Resumiendo todo el poema, diremos ser así su metasemia:
MANERA DE VIVIR DEL JOVEN
determina
CAMBIO DE VIDA EN LA FAMILIA DEL COMPADRE
El análisis del texto nos evidencia que ello se da gracias a la dislocación de los atributos de unos elementos
a otros. Empecemos por la observación del diálogo entre los dos hombres, nudo de todo el poema.
Dividimos de un lado lo que caracteriza la vida del compadre mayor; y de otro, lo característico del joven:
MUNDO DEL PADRE
MUNDO DEL JOVEN
casa ==== caballo
espejo ==== montura
manta ==== cuchillo
morir decentemente en la cama de acero con las sábanas de holanda. ==== venir sangrando desde los
puertos de Cabra; la herida desde el pecho a la garganta; la sangre que rezuma y huele alrededor de la faja.
El protagonista joven quiere cambiar lo suyo por lo que caracteriza la vida del compadre. Y el
momento en que, a causa del comportamiento del joven, ocurre la tragedia (muerte de la muchacha), se da
el cambio en el mundo vital del compadre:
1. Pero yo ya no soy yo. / Ni mi casa es mi casa.
13
2. ¡Cuántas veces te esperó! / ¡Cuantas veces te esperara, / Cara fresca, negro pelo, / Em esta verde
baranda!
3. Sobre el rostro del aljibe, / Se mecía la gitana, / Verde carne, pelo verde, / Con ojos de fria plata,
A lo largo del poema, a través de la discontinuidad de tiempo en que se presentan sus materiales, se da el
desplazamiento de atributos de unos elementos a otros no caracterizados por tales atributos:
1. verdes ramas > verde viento > pelo verde;
2. (muchacha) gitana > luna gitana;
3. las cosas la están mirando / y ella no puede mirarlas. (y no al revés);
4. La higuera frota su viento (en vez de “El viento frota la higuera”);
5. niña amarga > mar amarga.
Queda establecido lo siguiente:
a) El poema tiene como materia básica lo de caber a personajes no preparados las contingencias vitales de
otros personajes: lo trágico de la vida del joven que le sobrepasa y alcanza a la muchacha y
consecuentemente a su padre.
b) A nível semántico, ello se actualiza en la dislocación de atributos de A a B, etc.
La nueva estructuración de la combinatoria semántica, absurda a nivel denotativo (pelo verde), expresa el
desorden o la desorganización de lo anteriormente establecido. Ello adquiere mayor expresividad poética
con el dístico que aparece al comienzo del romance (v. 3-4) y al final (los dos últimos versos), cuya lectura
puede hacerse con respecto a la vida del joven: mar / montaña, elementos asociados a nivel sintagmático
con “los puertos de Cabra”, “mi caballo” y “mi montura”, pero asociados in absentia con la cultura gitana.
Lo patético de todo el poema se expresa, finalmente, en los dos últimos versos (El barco sobre la mar. / Y el
caballo en la montaña), por la confrontación de desorden / orden, es decir, el mundo (vuelto) verde / el
mundo de las cosas en su lugar (barco @ mar, caballo @ montaña.
El enfoque que orienta esta lectura del Romance sonámbulo no desconoce la importancia de otros
elementos en la obtención de lo poético. Ahí se incluye la ambigüedad con que le poeta elude la muerte de
la gitana, aludiendo a ella a través de un doble proceso matafórico-metonímico: muerte @ sueño (Sobre el
14
rostro del aljibe, / se mecía la gitana.); signos sensoriales de muerte (Verde carne, pelo verde, / con ojos de
fría plata.)
Hay también coherencia entre lo fónico y lo semántico:
a) El poeta enfatiza el color verde al repetir el semema cuatro veces (3 verde, 1 verdes), reiterando la
oclusiva bilabial sonora /b/ y la vocal / e /:
“Verde que te quiero verde. / Verde viento. Verdes ramas.”, en la primera y última estrofas del poema, y la
variante “Verde que te quiero verde, / verde viento, verdes ramas.”, en la quinta estrofa, donde el poeta, al
reemplazar puntos por comas, produce un texto más rápido para traducir el clímax del romance;
b) emplea sibilantes en la caracterización de la atmósfera femenina: “Con la sombra en la cintura / ella
sueña en su baranda”, y “Ella sigue en su baranda, / ... / soñando en la mar amarga”;
c) alarga la imagen de monte @ gato garduño con la repetición de nasales y oclusivas en la misma
imagen, traduciendo con ello el moverse arrastrado del animal, lo felino;
d) emplea la vocal más aguda / i /, la vocal abierta / a/ y la vibrante / r/ para expresar la acuidad y
agresividad de aquel animal: “eriza sus pitas agrias”;
e) subraya la claridad simbólica de los barandales a través del empleo de la sola vocal / a /: “hasta las
altas barandas,” y “hacia las altas barandas.”
Otros elementos colaboran en la caracterización del poema como un romance sonámbulo: tiempo
discontinuo, el pronombre ella (6º verso) por niña amarga o la gitana, que son referencias que sólo
aparecen al final del poema (5ª y 6ª estrofas) y la ausencia de verbos dicendi. La cohesión de todos los
elementos favorece la lectura propuesta.
15
Antonio Machado, «Tarde tranquila, casi» (Soledades, 1903 / 1907)
Tarde tranquila, casi con placidez de alma,
para ser joven, para haberlo sido cuando Dios quiso, para tener algunas alegrías… lejos, 5
y poder dulcemente recordarlas.
Antonio Machado, «Y podrás conocerte» (Soledades, 1903 / 1907)
Y podrás conocerte, recordando del pasado soñar los turbios lienzos, en este día triste en que caminas
con los ojos abiertos.
De toda la memoria, sólo vale 5 el don preclaro de evocar los sueños.
Antonio Machado, «¿Mi corazón se ha dormido?» (Humorismos, fantasías, apuntes, 1899-1907)
¿Mi corazón se ha dormido? Colmenares de mis sueños,
¿ya no labráis? ¿Está seca la noria del pensamiento,
los cangilones vacíos, 5 girando, de sombra llenos?
No, mi corazón no duerme. Está despierto, despierto.
Ni duerme ni sueña, mira, los claros ojos abiertos, 10
señas lejanas y escucha a orillas del gran silencio.
16
Antonio Machado, Todo pasa» / «Caminante» (Campos de Castilla, 1907-17)
Todo pasa y todo queda, pero lo nuestro es pasar, pasar haciendo caminos,
caminos sobre la mar.
***
Caminante, son tus huellas 5 el camino, y nada más;
caminante, no hay camino, se hace camino al andar. Al andar se hace camino,
y al volver la vista atrás 10 se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar. Caminante, no hay camino, sino estelas en la mar.
Antonio Machado, «La calle en sombra» ( Soledades, Galerías y otros poemas, 1899-1907).
La calle en sombra. Ocultan los altos caserones el sol que muere; hay ecos de luz en los balcones.
¿No ves, en el encanto del mirador florido, el óvalo rosado de un rostro conocido?
La imagen, tras el vidrio de equívoco reflejo, 5 surge o se apaga como daguerrotipo viejo.
Suena en la calle sólo el ruido de tu paso; se extinguen lentamente los ecos del ocaso.
¡Oh, angustia! Pesa y duele el corazón… ¿Es ella? No puede ser… Camina… En el azul la estrella. 10
17
Miguel de Unamuno, «La vida de la muerte» (Rosario de sonetos líricos, 1911)
Oír llover no más, sentirme vivo; el universo convertido en bruma y encima mi conciencia como espuma en que el pausado gotear recibo.
Muerto en mí todo lo que sea activo 5 mientras toda visión la lluvia esfuma,
y allá abajo la sima en que se suma de la clepsidra el agua; y el archivo de mi memoria, de recuerdos mudo
el ánimo saciado en puro inerte, 10 sin lanza, y por lo tanto sin escudo
a merced de los vientos de la suerte; este vivir, que es el vivir desnudo, no es acaso la vida de la muerte?
Miguel de Unamuno, «Nuestro secreto» (Rosario de sonetos líricos, 1911)
No me preguntes más, es mi secreto, secreto para mí terrible y santo,
ante él me velo con un negro manto de luto de piedad, no rompo el seto
que cierra su recinto, me someto 5 de mi vida al misterio, el desencanto huyendo del saber y a Dios levanto
con mis ojos mi pecho siempre inquieto. Hay del alma en el fondo oscura sima
y en ella hay un fatídico recodo 10 que es nefando franquear; allá en la cima brilla el sol que hace polvo el sucio lodo,
alza los ojos y tu pecho anima; conócete mortal, mas no del todo.
18
Miguel de Unamuno, «A mi buitre» (Rosario de sonetos líricos, 1911)
Este buitre voraz de ceño torvo que me devora las entrañas fiero y es mi único constante compañero
labra mis penas con su pico corvo. El día en que le toque el postrer sorbo 5 apurar de mi negra sangre quiero
que me dejéis con él solo y señero un momento, sin nadie como estorbo.
Pues quiero, triunfo haciendo mi agonía mientras él mi último despojo traga 10 sorprender en sus ojos la sombría
mirada al ver la suerte que le amaga sin esta presa en que satisfacía
el hambre atroz que nunca se le apaga.
19
Juan Ramón Jiménez, «Octubre» (Sonetos espirituales, 1914-15)
Estaba echado yo en la tierra, enfrente del infinito campo de Castilla, que el otoño envolvía en la amarilla
dulzura de su claro sol poniente.
Lento el arado, paralelamente 5 abría el haza oscura, y la sencilla
mano abierta dejaba la semilla en su entraña partida honradamente.
Pensé arrancarme el corazón y echarlo, pleno de su sentir alto y profundo, 10
al ancho surco del terruño tierno;
ver si con romperlo y con sembrarlo la primavera le mostraba al mundo el árbol puro del amor eterno.
Juan Ramón Jiménez, «Otoño» (Sonetos espirituales)
Esparce octubre, al blando movimiento del sur, las hojas áureas y las rojas,
y en la caída clara de sus hojas se lleva al infinito el pensamiento.
¡Qué amena paz en este alejamiento 5 de todo, ¡oh prado bello, que deshojas tus flores, oh agua, fría ya, que mojas con tu cristal estremecido el viento!
¡Encantamiento de oro! ¡Cárcel pura, en que el cuerpo, hecho alma, se enternece, 10 echado en el verdor de una colina!
En una decadencia de hermosura. la vida se desnuda, y resplandece la escelsitud de su verdad divina.
20
Juan Ramón Jiménez, «Cielo» (Diario de un poeta reciencasado = Diario de poeta y mar, 1916)
Te tenía olvidado, cielo, y no eras más que un vago existir de luz, visto ––sin nombre––
por mis cansados ojos indolentes. 5 Y aparecías, entre las palabras
perezosas y deseperanzadas del viajero, como en breves lagunas repetidas de un paisaje de agua visto en sueños…
Hoy te he mirado lentamente, 10 y te has ido elevando hasta tu nombre.
«Nocturno» (Diario de un poeta reciencasado = Diario de poeta y mar, 1916)
El barco, lento y raudo a un tiempo, vence al agua, mas no al cielo.
Lo azul se queda atrás, abierto en plata viva, y está otra vez delante.
Fijo, el mástil se mece y torna siempre 5 horario en igual número de la esfera
a las estrellas mismas, hora tras hora negra y verde.
El cuerpo va, soñando, 10 a la tierra que es de él, de la otra tierra que no es de él. El alma queda y sigue,
siempre, por su dominio eterno.
21
Juan Ramón Jiménez, «Intelijencia, …» (Eternidades, 1918)
¡Intelijencia, dame el nombre exacto de las cosas!
... Que mi palabra sea la cosa misma
creada por mi alma nuevamente. 5
Que por mí vayan todos los que no las conocen, a las cosas;
que por mí vayan todos los que ya las olvidan, a las cosas...
¡Intelijencia, dame 10 el nombre exacto, y tuyo
y suyo, y mío, de las cosas!
Juan Ramón Jiménez, «Vino primero,…» (Eternidades, 1918)
Vino, primero, pura, vestida de inocencia; y la amé como un niño.
Luego se fue vistiendo de no sé qué ropajes; y la fui odiando sin saberlo 5.
Llegó a ser una reina, fastuosa de tesoros...
¡Qué iracundia de yel y sin sentido!
... Mas se fue desnudando. Y yo le sonreía. 10 Se quedó con la túnica
de su inocencia antigua. Creí de nuevo en ella.
Y se quitó la túnica, y apareció desnuda toda.. 15. ¡Oh pasión de mi vida, poesía
desnuda, mía para siempre!
22
Gerardo Diego, «Tren» (Imagen, 1922)
Venid conmigo
Cada estación es un poco de nido
El alma llora porque se ha perdido
Yo ella como dos
golondrinas paralelas
Y arriba una bandada de estrellas mensajeras
El olvido deposita sus hojas
en todos los caminos Sangre Sangre de aurora
Pero no es más que agua
Agitando los arboles llueven llueven silencios
ahorcados en las ramas
Gerardo Diego, «Estética» (Imagen)
A Manuel de Falla.
Estribillo Estribillo Estribillo El canto más perfecto es el canto del grillo
Paso a paso se asciende hasta el Parnaso
Yo no quiero las alas de Pegaso
Dejadme auscultar el friso sonoro que fluye la fuente
Los palillos de mis dedos repiquetean ritmos ritmos ritmos en el tamboril del cerebro
stribillo Estribillo Estribillo El canto más perfecto es el canto del grillo
23
Pedro Salinas, «Presagios» 1 / 2 (Presagios, 1923) *
l
Posesión de tu nombre, sola que tú permites, felicidad, alma sin cuerpo.
Dentro de mí te llevo porque digo tu nombre,
felicidad, dentro del pecho. «Ven»: y tú llegas quedo; «vete»: y rápida huyes.
Tu presencia y tu ausencia sombra son una de otra,
sombras me dan y quitan. (¡Y mis brazos abiertos!) Pero tu cuerpo nunca,
pero tus labios nunca, felicidad, alma sin cuerpo, sombra pura.
2
El alma tenías tan clara y abierta, que yo nunca pude
entrarme en tu alma. Busqué los atajos
angostos, los pasos altos y difíciles... A tu alma se iba
por caminos anchos. Preparé alta escala
—soñaba altos muros guardándote el alma— pero el alma tuya
estaba sin guarda de tapial ni cerca.
Te busqué la puerta estrecha del alma, pero no tenía,
de franca que era, entradas tu alma. ¿En dónde empezaba?
¿Acababa, en dónde? Me quedé por siempre
sentado en las vagas lindes de tu alma.
24
Pedro Salinas, «Far West» (Seguro azar, 1929) *
¡Qué viento a ocho mil kilómetros! ¿No ves cómo vuela todo? ¿No ves los cabellos sueltos
de Mabel, la caballista que entorna los ojos limpios 5 ella, viento, contra el viento?
¿No ves la cortina estremecida,
ese papel revolado y la soledad frustrada 10 entre ella y tú por el viento?
Sí, lo veo. Y nada más que lo veo. Ese viento
está al otro lado, está 15 en una tarde distante
de tierras que no pisé. Agitando está unos ramos sin dónde,
esta besando unos labios 20 sin quién.
No es ya viento, es el retrato de un viento que se murió sin que yo le conociera,
y está enterrado en el ancho 25 cementerio de los aires
viejos, de los aires muertos.
Sí le veo, sin sentirle. Está allí, en el mundo suyo, viento de cine, ese viento. 30
25
Pedro Salinas, «Pensar en ti esta noche» (Razón de amor, 1936)P* Salinasconmigo,
extensamente, el ancho mundo.
El gran sueño del campo, las estrellas, callado el mar, las hierbas invisibles,
sólo presentes en perfumes secos, todo,
de Aldebarán al grillo te pensaba. 5
¡Qué sosegadamente se hacía la concordia entre las piedras, los luceros,
el agua muda, la arboleda trémula, todo lo inanimado, 10
y el alma mía dedicándolo a ti! Todo acudía dócil a mi llamada, a tu servicio,
ascendido a intención y a fuerza amante. Concurrían las luces y las sombras 15
a la luz de quererte; concurrían el gran silencio, por la tierra, plano, suaves voces de nubes, por el cielo,
al cántico hacia ti que en mi cantaba. Una conformidad de mundo y ser, 20
de afán y tiempo, inverosímil tregua, se entraba en mí, como la dicha entera cuando llega sin prisa, beso a beso.
Y casi dejé de amarte por amarte más, 25
en más que en mí, inmensamente confiando ese empleo de amar a la gran noche errante por el tiempo y ya cargada
de misión, misionera de un amor vuelto estrellas, calma, mundo, 30
salvado ya del miedo al cadáver que queda si se olvida.
26
Rafael Alberti, «Si mi voz muriera en tierra» (Marinero en tierra)
Si mi voz muriera en tierra, llevadla al nivel del mar y dejadla en la ribera.
Llevadla al nivel del mar y nombradla capitana 5 de un blanco bajel de guerra.
¡Oh mi voz condecorada con la insignia marinera:
sobre el corazón un ancla y sobre el ancla una estrella 10 y sobre la estrella el viento
y sobre el viento la vela!
27
Rafael Alberti, «El ángel de los números» (Sobre los ángeles, 1927-28)
Vírgenes con escuadras y compases, velando las celestes pizarras.
Y el ángel de los números, pensativo, volando 5 del 1 al 2, del 2
al 3, del 3 al 4.
Tizas frías y esponjas rayaban y borraban la luz de los espacios. 10
Ni sol, luna, ni estrellas, ni el repentino verde del rayo y el relámpago,
ni el aire. Sólo nieblas.
Vírgenes sin escuadras, 15 sin compases, llorando.
Y en las muertas pizarras, el ángel de los números, sin vida, amortajado
sobre el 1 y el 2, 20 sobre el 3, sobre el 4.
28
Rafael Alberti, «5» (Sobre los ángeles, 1927-28)
Cinco manos de ceniza quemando la bruma, abriendo cinco vías
para el agua turbia, para el turbio viento. 5
Te buscan vivo.
Y no te encuentran. Te buscan muerto. No muerto, dormido.
Y sí. 10
Y sí, porque cinco manos cayeron sobre tu cuerpo
cuando inmóvil resbalaba sobre los cinco navegables ríos que dan almas corrientes, voz al sueño. 15
Y no viste. Era su luz la que cayó primero. Mírala, seca, en el suelo.
Y no oíste. Era su voz la que alargada hirieron. 20 Óyela muda, en el eco.
Y no oliste. Era su esencia la que hendió el silencio. Huélela fría, en el viento.
Y no gustaste. 25 Era su nombre el que rodó deshecho.
Gústalo en tu lengua, muerto.
Y no tocaste. El desaparecido era su cuerpo
Tócalo en la nada, yelo. 30
29
Rafael Alberti, «El ángel bueno» (Sobre los ángeles)
Vino el que yo quería, el que yo llamaba.
No aquel que barre cielos sin defensas, luceros sin cabañas lunas sin patria, 5 nieves.
Nieves de esas caidas de una mano, un nombre
un sueño una frente. 10
No aquel que a sus cabellos
ató la muerte.
El que yo quería.
Sin arañar los aires, sin herir hojas ni mover cristales. 15
Aquel que a sus cabellos
ató el silencio.
Para, sin lastimarme, cavar una ribera de luz dulce en mi pecho y hacerme el alma navegable. 20
30
Rafael Alberti, «Amaranta» {Cal y canto, 1929)
... calzó de viento... Góngora.
Rubios, pulidos senos de Amaranta, por una lengua de lebrel limados. Pórticos de limones desviados por el canal que asciende a tu garganta.
Rojo, un puente de rizos se adelanta 5 e incendia tus marfiles ondulados. Muerde, heridor, tus dientes desangrados,
y corvo, en vilo, al viento te levanta.
La soledad, dormida en la espesura, calza su pie de céfiro y desciende 10
del olmo alto al mar de la llanura.
Su cuerpo en sombra, oscuro, se le enciende, y gladiadora, como un ascua impura, entre Amaranta y su amador se tiende.
Rafael Alberti, «La paloma» (Entre el clavel y la espada, 1939-1940)
Se equivocó la paloma, se equivocaba
Por ir al norte fue al sur, creyó que el trigo era el agua.
Creyó que el mar era el cielo 5 que la noche la mañana. Que las estrellas rocío,
que la calor la nevada. Que tu falda era tu blusa,
que tu corazón su casa. 10 (Ella se durmió en la orilla, tú en la cumbre de una rama.)
31
Jorge Guillén, «Perfección» (Cántico, 1928-1950)
Queda curvo el firmamento. Compacto azul, sobre el día. Es el redondeamiento
Del esplendor: mediodía. Todo es cúpula. Reposa. 5
Central sin querer, la rosa.
A un sol en cénit sujeta. Y tanto se da el presente Que el pie caminante siente
La integridad del planeta. 10
Jorge Guillén, «Beato sillón» (Cántico)
¡Beato sillón! La casa corrobora su presencia con la vaga intermitencia
de su invocación en masa
a la memoria. No pasa 5 nada. Los ojos no ven, saben. El mundo está bien
hecho. El instante lo exalta a marea, de tan alta,
de tan alta, sin vaivén 10
32
Jorge Guillén, «Muerte a lo lejos» (Cántico)
Je soutenais l'éclat de la mort toute pure.
Valéry
Alguna vez me angustia una certeza, Y ante mí se estremece mi futuro.
Acechándolo está de pronto un muro Del arrabal final en que tropieza
La luz del campo. ¿Mas habrá tristeza 5 Si la desnuda el sol? No, no hay apuro Todavía. Lo urgente es el maduro Fruto. La mano ya lo descorteza.
...Y un día entre los días el más triste Será. Tenderse deberá la mano 10 Sin afán. Y acatando el inminente
Poder diré sin lágrimas: embiste, Justa fatalidad. El muro cano Va a imponerme su ley, no su accidente
Jorge Guillén, «Hacia el poema» (Cántico) *
...mi corazón de trovar non se quita Juan Ruiz
Siento que un ritmo se me desenlaza De este barullo en que sin meta vago,
Y entregándome todo al nuevo halago Doy con la claridad de una terraza,
Donde es mi guía quien ahora traza 5 Límpido el orden en que me deshago
Del murmullo y su duende, más aciago Que el gran silencio bajo la amenaza.
Se me juntan a flor de tanto obseso Mal soñar las palabras decididas 10
A iluminarse en vívido volumen. El son me da un perfil de carne y hueso.
La forma se me vuelve salvavidas. Hacia una luz mis penas se consumen.
33
Vicente Aleixandre
A DON LUIS DE GÓNGORA (1927) ¿Qué firme arquitectura se levanta
del paisaje, si urgente de belleza, ordenada, y penetra en la certeza
del aire, sin furor y la suplanta? Las líneas graves van. Mas de su planta 5
brota la curva, comba su justeza en la cima, y respeta la corteza
intacta, cárcel para pompa tanta. El alto cielo luces meditadas
reparte en ritmos de ponientes cultos, 10 que sumos logran su mandato recto.
Sus matices sin iris las moradas del aire rinden al vibrar, ocultos,
y el acorde total clama perfecto.
A FRAY LUIS DE LEÓN (1928) ¿Qué linfa esbelta, de los altos hielos hija y sepulcro, sobre el haz silente
rompe sus fríos, vierte su corriente, luces llevando, derramando cielos?
¿Qué agua orquestal bajo los mansos celos 5 del aire, muda, funde su crujiente
espuma en anchas copias y consiente, terso el diálogo, signo y luz gemelos?
La alta noche su copa sustantiva
árbol ilustre yergue a la bonanza, 10
total su crecimiento y ramas bellas.
Brisa joven de cielo, persuasiva, su pompa abierta, desplegada, alcanza
largamente, y resuenan las estrellas.
Así, entra con pies desnudos. Entra en el hervor, en la plaza. Entra en el torrente que te reclama y allí sé tú mismo.
¡Oh pequeño corazón diminuto, corazón que quiere latir para ser él también el unánime corazón que le alcanza!
34
Luis Cernuda, «Era un sueño, aire» (Donde habite el olvido, 1932-33)
Era un sueño, aire Tranquilo en la nada;
Al abrir los ojos Las ramas perdían.
Exhalaba el tiempo Luces vegetales, Amores caídos, Tristeza sin donde.
Volvía la sombra; Agua eran sus labios. Cristal, soledades,
La frente, la lámpara.
Pasión sin figura, Pena sin historia;
Como herida al pecho, Un beso, el deseo.
No sabes, no sabes.
35
Miguel Hernández, «¿No cesará este rayo que me habita…?»
(El rayo que no cesa, 1934-35)
¿No cesará este rayo que me habita el corazón de exasperadas fieras y de fraguas coléricas y herreras
donde el metal más fresco se marchita?
¿No cesará esta terca estalactita 5 de cultivar sus duras cabelleras
como espadas y rígidas hogueras hacia mi corazón que muge y grita?
Este rayo ni cesa ni se agota:
de mí mismo tomó su procedencia 10 y ejercita en mí mismo sus furores.
Esta obstinada piedra de mí brota y sobre mí dirige la insistencia
de sus lluviosos rayos destructores.
Miguel Hernández, «Por tu pie…» (El rayo que no cesa, 1934-35)
Por tu pie, la blancura más bailable, donde cesa en diez partes tu hermosura,
una paloma sube a tu cintura, baja a la tierra un nardo interminable.
Con tu pie vas poniendo lo admirable 5 del nácar en ridícula estrechura, y donde va tu pie va la blancura, perro sembrado de jazmín calzable.
A tu pie, tan espuma como playa, arena y mar me arrimo y desarrimo 10 y al redil de su planta entrar procuro.
Entro y dejo que el alma se me vaya por la voz amorosa del racimo: pisa mi corazón que ya es maduro.