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Poste Italiane Spa – spedizione in abb. postale – DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 e 3 NE/TN – taxe perçue Registrazione Tribunale di Trento n. 2/2010 del 18/02/2010 Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli Specchi ANNO IV NUMERO 2 – MAGGIO 2013 Speciale Vietnam 2003 - 2013

Numero 13_ maggio 2013

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Il numero di maggio 2013 del nostro periodico

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Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli SpecchiANNO IV NUMERO 2 – MAGGIO 2013

Speciale Vietnam2003 - 2013

Page 2: Numero 13_ maggio 2013

2Editoriale

EDITORIALE

IL GIOCO DEGLI SpECCHIperiodico dell’Associazione “Il Gioco degli Specchi”

Reg. trib. Trento num. 2/2010 del 18/02/2010direttore responsabile Fulvio Gardumidirettore editoriale Mirza Latiful Haque

redazionevia S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461.916251 - cell. 340.2412552info@ilgiocodeglispecchi.orgwww.ilgiocodeglispecchi.org

progetto grafi co Mugrafi k

stampa Litografi a Amorth, loc. Crosare 12, 38121 Gardolo (Trento)

con il sostegno diComune di TrentoAssessorato alla Cultura e TurismoProvincia Autonoma di Trento

È giunta al suo quarto aggiornamento

La Vita e i LibriMostra bibliografi ca itinerante del Gioco degli Specchi

Dal 2006 l’associazione ha proposto a biblioteche e scuole del territorio trentino, sconfi nando anche in regione e fuori, una mostra di circa 200 volumi, per adulti e ragazzi, sui temi delle migrazioni. Obiettivo principale era ed è la diffusione di conoscenze attorno ai fenomeni dell’immigrazione in Italia e nel mondo e dell’emigrazione italiana. Si parte dai libri, in particolare di narrativa, per coinvolgere chi legge, muovere i sentimenti nei confronti dei diversi personaggi dei romanzi. Scopo non secondario è anche la promozione della lettura – Il Gioco degli Specchi non a caso è Presidio del Libro di Trento – e in un’epoca ‘multitasking’ propone anche la len-tezza del libro che facilita la rifl essione e nutre la fantasia.I testi sono stati selezionati in modo diverso dal solito, se-condo una serie di mappe tematiche che suggeriscono per-corsi didattici e di lettura per comprendere meglio la vita - da cui il titolo della mostra - in cui ciascuno di noi è immerso.Entrando nel merito, la sezione di testi per ragazzi vede titoli su temi come “Vita nei paesi di emigrazione”, “Pace e guer-ra”, “Viaggio”, “Razzismo e diritti umani”, “Vita nei paesi di immigrazione”, “Identità, diversità e convivenza”, “Fiabe capovolte”.

Le mappe della sezione dedicata ai lettori adulti sono spe-culari alle precedenti, con qualche variazione: ripete “Vita”, nei paesi di emigrazione e di immigrazione” come “Identi-tà”, poi presenta “Voci di donne”, “Dittature e guerre”, “Dal comunismo al capitalismo”, “Viaggio e diritti umani”, “Po-polo Romanò”, “Seconde generazioni”, “Razzismi vecchi e nuovi” e “Colonialismo italiano”.Il catalogo, cartaceo a distribuzione gratuita e anche in rete, è ricco di informazioni aggiuntive: oltre ad una breve sintesi dei libri, si specifi ca il genere letterario (“Narrativa”, “Poe-sia”, “Fumetto”, “Saggistica”), se sono testi plurilingui, l’età di lettura consigliata per bambini/ragazzi, le case editrici specializzate ed anche una sezione “Pagine di” con indica-zioni di specifi che pagine su vari temi per fornire ulteriori percorsi e spunti di lettura.Realizzata grazie al sostegno dell’Uffi cio per il sistema bi-bliotecario trentino, la mostra è prenotabile da tutti gli enti pubblici e privati che vogliano fruirne.

Per informazioni e prenotazioni scrivere a:[email protected] o telefonare, 0461.916251, 340.2412552

EDITORIALE la Vita e i libri

pRIMO pIANO Nuove leggi per i migranti in Italia

STORIE DI RIFUGIATII rifugiati politici, cittadini del Nulla

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EMERGENZA SIRIAIl popolo siriano vittima di un genocidioRELIGIONEuna è la direzionema diverse le strade

SpECIALE VIETNAMIMMI/EMIImmagini e parole sull'emigrazione in Svizzera e germania

SOCIETÀperché pablo e amina scelgono scuole professionali?DIRITTI UMANIconversando con il dalai lama

CINEMAOcchi azzurri, occhi marrone

RACCONTOcome dire addio

Foto di copertina di Anna Brian

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3Primo piano

In un periodo di grande disoccupazione gli immigrati che restano senza lavoro sono particolarmente colpiti dal ri-schio povertà, ma non solo. L'attuale legislazione collega troppo strettamente il permesso di soggiorno al lavoro e ri-sulta davvero esiguo il tempo concesso per cercare un'oc-cupazione. Quelli che possono prendono la via del ritorno, altri, impossibilitati a farlo oppure ormai radicati con la famiglia in Italia, cercano di reagire diventando lavoratori autonomi, ma spesso � niscono per ingrossare le � la degli immigrati irregolari. Nel Trentino la loro disoccupazione e mobilità resta abbastanza contenuta, ma più grave è la si-tuazione nel resto d'Italia.Niente lavoro niente permesso di soggiorno e chi non ha do-cumenti rischia di essere denunciato, detenuto ed espulso. I politici negli ultimi tempi hanno parlato poco di immigrati, - un bene o un male? - in molti però hanno avanzato loro precise richieste.In una recente indagine di Amnesty International, del dicem-bre 2012, “Volevamo braccia e sono arrivati uomini. Sfrutta-mento lavorativo dei braccianti agricoli migranti in Italia", l'au-torevole associazione arriva a concludere che la legislazione attuale italiana provoca ingressi irregolari di immigrati, facilita lo sfruttamento dei lavoratori, ostacola il loro accesso alla giustizia. In piena violazione di accordi internazionali sotto-scritti da tempo e della stessa Costituzione italiana, come ci fanno rilevare anche il Comitato di esperti dell’Organizzazio-ne Internazionale del Lavoro (OIL) e il Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale. Le irrazionali norme d’ingresso stabilite dal governo italiano, il cosiddetto decreto «Flussi», costringono in pratica la grande maggioranza degli immigrati ad entrare nel paese irregolar-mente e/o trascorrere un periodo di soggiorno irregolare. Le misure legislative del maggio 2008, conosciute come “pacchetto sicurezza”, e l'introduzione del reato di “in-gresso e soggiorno illegale”, hanno considerevolmente peggiorato le condizioni dei migranti.Amnesty chiede all'Italia di di tener fede agli accordi in-ternazionali sottoscritti e di rivedere le propria politica mi-gratoria, tenendo conto della realtà del mercato del lavoro e abrogando la norma che criminalizza l’"ingresso e sog-giorno illegale nel territorio dello stato". Analoga richiesta viene da Enzo Marco Letizia, Segretario Nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari di Poli-zia, in una lettera sulla sicurezza nel paese che ha rivolto ai candidati italiani alle ultime elezioni: va cambiata l'attuale legislazione in materia, dato che "sembra solo essere de-stinata a produrre inevitabilmente “clandestinità”, mentre non ci sono strumenti concreti per il rimpatrio degli irre-

golari ed i Centri di Identi� cazione ed Espulsione sono al collasso, senza fondi per la loro gestione.Poco si parla di questi centri, vergogna per l'Italia ancor più delle sue vergognose carceri. Perchè in questi centri si entra per un reato inammissibile, quello di clandestinità, ma illegali sono le azioni, non le persone, mai. Si susse-guono nell'indifferenza generale scioperi della fame, epi-sodi di autolesionismo, incendi e vere e proprie rivolte in luoghi di detenzione che andrebbero chiusi.Nati nel 1998 con la Turco - Napolitano (CPTA, Centri Permanenza Temporanea e Assistenza), avevano termine massimo di trattenimento � no a 30 giorni, diventato di 60 giorni con la Bossi - Fini (2002), trasformati in CIE, Centri Identi� cazione ed Espulsione nel 2008, con trattenimento � no a 180 giorni nel 2009, mentre ora si possono trattene-re le persone, secondo una legge del 2011, � no a 18 mesi. 545 giorni. E sempre maggiori sono state le dif� coltà per giornalisti e società civile di entrare nei Centri e veri� carne le condizioni. Si ricordi la campagna LasciateCIEntrare.E le leggi da fare? anche queste non sono di poco conto! l’Italia, ad oggi, spreca tutta le possibilità offerte dagli im-migrati non garantendo la cittadinanza nemmeno ai loro � gli, spesso nati e cresciuti come italiani.Cécile Kyenge Kashetu, neoministra italocongolese, di-chiara con fermezza di volersi impegnare in questa direzio-ne. I nostri auguri di buon lavoro e la nostra soddisfazione per il suo arrivo al governo.

Necessarie nuove leggi per i migranti in ItaliaLe chiedono Amnesty International, Medici senza frontiere, Action Aid, ma anche gli avvocati delle Camere Penali, i funzionari di polizia ed organismi internazionali

di Maria Rosa Mura

Cécile Kyenge Kashetu

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4Storie di rifugiati

STORIE DI RIFUGIATI

“Lo vedevo spesso nei vicoli del centro storico di Trento e in via Roma, nella biblioteca centrale della città. La mattina andava lì, lavava la sua faccia nel bagno, cercava un po’ di calore nel profumo del caffè e delle brioche del bar. Gli chiedevo: “Come stai?”. Diceva: “Dalla mattina fino alla sera cerco lavoro senza trovare nulla, passo le notti in strada vicino alla stazione sopra i tombini dell’areazione per non congelarmi. Pranzo alla Cari-tas se arrivo in tempo”. Poi si è perso. Chiedevamo a chiunque, ma nessuno sapeva nulla di lui. Un giorno abbiamo saputo che aveva richiesto asilo politico alla Svezia. Ancora mesi di silenzio, fino a quando ci dissero che volevano ri-mandarlo a Trento e che lui, per rimanere là, aveva tentato per tre volte il suicidio nel campo rifugiati. Alla fine l’ufficio competente svedese aveva accetta-to di prendere in considerazione il suo caso”.

Scriviamo questa lettera affinché il grido di sofferen-za di un uomo sia di invito per i nostri concittadini a pensare alla situazione di decine di migliaia di altri es-seri umani. Come rifugiati politici che vivono in Italia da oltre cinque anni, siamo giunti alla conclusione di dover impugnare la penna e raccontare di quell’uomo indefinito: “Chi è il rifugiato politico? Cos’è l’asilo poli-tico? Cosa significa chiedere quest’asilo all’Italia? Che significa per l’Italia dare questo asilo?”.Il rifugiato politico è l’emblema di tutte le contraddizio-ni del mondo globale. Prigioniero di due stati, quello da cui è fuggito e quello che lo ha accolto, e di nessuna cittadinanza.Un uomo costretto a vivere senza volto, un fantasma. Infatti, ammesso che il suo corpo riesca ad affrontare tutti i pericoli ed i confini visibili e invisibili fino ad arrivare in questa terra, una volta ottenuto l’asilo politico trova

comunque di fronte a sé tre grandi porte chiuse. La prima porta riguarda l’impossibilità in Italia di conti-nuare quell’attività politica e sociale per la quale il rifu-giato ha rischiato la propria vita e per la quale è stato costretto ad abbandonare la terra d’origine, gli affetti e le sue proprietà. Si permette al corpo di sopravvivere men-tre l’anima avvizzisce. Stiamo parlando di uomini e donne che hanno elevati titoli di studio, specializzazioni, spirito imprenditoriale, desiderio di restituire il favore dell’ac-coglienza arricchendo la società che li ospita. Persone capaci di contrapporsi a regimi dittatoriali e sanguinari hanno una forza d’animo tale da poter dare certamente un prezioso contributo a qualsiasi società. La seconda porta è sbarrata dalla “Convenzione di Du-blino” che obbliga il primo paese ricevente a registrare il richiedente e a trattenerlo entro i propri confini. La terza porta è chiusa dall’impossibilità del ritorno in patria. I rifugiati si trovano costretti, così, ad ondeggia-re in un limbo per cui sono due volte colpevoli proprio i governi dell’Unione Europea (Premio Nobel per la Pace 2012): in primis perché sostengono conflitti o regimi dittatoriali da cui i rifugiati fuggono, in secondo luogo, perchè non hanno attuato politiche condivise ed effica-ci nei confronti di queste persone.Queste tre porte, serrate con l’efficacia del ferro e del cemento, possono essere magicamente aperte da po-che parole d’ordine.Queste parole d’ordine, che vorremmo sentire urlate a gran voce dalla società civile e dai mezzi di informazio-ne, altro non sono che tre semplici provvedimenti: una legge organica per i rifugiati politici, l’abolizione della Convenzione di Dublino e l’accelerazione dei tempi bu-rocratici per il diritto di cittadinanza. Senza queste tre parole d’ordine il rifugiato politico non potrà mai trovare un posto all’interno della società. Ri-marrà un cittadino del nulla, un “fantasma burocratico” in balia del semplice e puro assistenzialismo. Come un

Il grido di sofferenza di chi è prigioniero di due Stati

I Rifugiati politici, Cittadini del NullaI nodi ciechi e le porte chiuse

di Razi Mohebi e Soheila Javaheri Mohebi

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5Storie di rifugiati

Quando non puoi cambiare la situazione lancia un sasso in mare e osserva la moltiplicazione dei cerchi

sull’acqua, forse quel movimento porterà il tuo sussurro fino agli oceani

bambino intelligente e dotato costretto a rimanere tutta la vita in una culla. Sempre accudito, mai adulto. Non potendo varcare le tre porte il rifugiato politico cade nel vuoto dei “tombini” lasciati aperti nelle strade. Vie-ne risucchiato dai loro gorghi e scompare fra i rifiuti.La caduta passa attraverso quattro diversi gironi dante-schi in cui il rifugiato si trova ad affondare in un movi-mento lento, graduale e inesorabile.Dagli enti locali alle agenzie per il lavoro agli assistenti sociali fino all’’ultimo girone, quando esaurite tutte le possibilità di inserimento, arriva presso enti assisten-ziali dove si soddisfano i bisogni primari di sopravvi-venza. Alla fine e nel fondo dei quattro gironi c’è la pace dei sensi (per le istituzioni) e l’inferno (per i rifugiati). Al di là della precarietà eco-nomica, la vera caduta nel vuoto è la fragilità mentale che ne consegue: corpi sen-za nome camminano nella città, mangiano in chiesa e dormono per strada. Morti viventi cui è tolta la possibilità di creare rete e lavoro e che diventano così un pericolo per la società, oltre che per se stessi. Solo attraverso una legge organica, e quindi istituzioni adeguate, si possono rompere questi circoli viziosi e creare uno spazio in cui l’asilo politico sia ponte tra i beni culturali e sociali di due paesi differenti.

Per quanto riguarda il nostro caso specifico di rifugiati politici, dopo più di cinque anni vissuti in Trentino ab-biamo iniziato ad amare questa terra e a tessere con essa dei legami profondi. Una terra in cui abbiamo cre-sciuto nostro figlio che parla e si sente in tutto e per tutto italiano. Per lui il Trentino è il suo pianeta, la sua famiglia allargata e la sua infanzia. E’ una parte inse-

parabile del suo Io sulla quale sta costruendo l’uomo che sarà un domani. Una terra che inoltre abbiamo provato a vivere intensa-mente a livello sociale e culturale attraverso molteplici progetti: innanzitutto il “Progetto Afghanistan 2014”, l’Associazione Sociocinema e altri progetti che hanno riguardato più strettamente la nostra attività di registi.Nonostante tutto ciò, nonostante i nostri sforzi per in-tegrarci ed essere parte attiva del tessuto sociale che ci ha accolti, ci troviamo però nella situazione di dover continuamente scontrarci con gli innumerevoli ostacoli e le difficoltà che ogni rifugiato si trova a dover affron-

tare in questo paese. Diffi-coltà che limitano la nostra capacità di agire in modo indipendente e di fronte alle quali tutte le istituzioni sembrano essere impotenti. Paradossi ad esempio per cui potremmo disporre di fi-nanziamenti in Paesi esteri

ma non vi possiamo accedere perché non possediamo una cittadinanza (finanziamenti che se sbloccati ci per-metterebbero di generare progetti e ricchezza anche per la terra che ci sta ospitando).Per questo chiediamo la cittadinanza immediata. Una richiesta che non deve essere intesa nell’ottica dello scontro, ma come strumento per poter diventare au-tonomi e indipendenti rinunciando a qualsiasi forma di assistenza. Chiediamo la cittadinanza immediata come atto d’amore totale verso il territorio e le per-sone che ci hanno accolto e in cui abbiamo investito molto, affettivamente e professionalmente. Vogliamo continuare a farlo, con ancora maggior trasporto e sen-timento, ma da cittadini italiani.

11 Aprile 2013

Razi e Soheila Moheibi con il figlio Sepanta

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Flash mob in piazza Battisti a Trento il 5 ottobre 2012

6Emergenza Siria

EMERGENZA SIRIANumerose iniziative di solidarietà anche in Trentino

Il popolo siriano vittima di un genocidioL’ Associazione "Insieme per la Siria Libera" coordina gli aiuti

di Nibras e Bilal Breigheche

La tragedia del popolo siriano ha ormai assunto da tempo i tratti di un vero e proprio genocidio. Sulla scia delle rivolte pa-cifiche iniziate a partire dal 2010 in Tunisia, Egitto e Yemen, che hanno portato alla caduta dei regimi dittatoriali di Benalì, Mubarak, Gheddafi e Saleh, il vento della Primavera Araba, a partire dal marzo 2011, ha cominciato a soffiare anche in Siria. A partire da quella data, il popolo siriano ha cominciato a scendere in piazza per manifestare pacificamente chieden-do al regime di Assad una svolta verso la democrazia. Il grido dei manifestanti siriani era (ed è) lo stesso grido del popolo tunisino, di quello yemenita e di quello egiziano: “Ash-sha’b yurìd isqàt an-nizàm!”, “Il popolo vuole la caduta del regime!”, immediatamente affiancato da un altro grido, non meno si-gnificativo: “Selmieh! Selmieh!”, “Pacifica! Pacifica!”, ossia, “la nostra rivolta è una rivolta pacifica!”. La risposta del regime è stata durissima, di una ferocia e di una violenza inaudite e inimmaginabili, per chi non conosca la macabra storia degli Assad e le modalità di reprimere ogni barlume di aspirazione alla libertà e alla dignità che da quando, negli anni Sessanta, sono saliti al potere, continuano a mettere in atto. Già nel 1982, ad esempio, quando i Siriani della città di Hama

erano scesi in piazza per chiedere pacificamente libertà e de-mocrazia, Hafez Assad, padre dell’attuale dittatore Bashar As-sad, aveva risposto con un bombardamento con il quale aveva praticamente raso al suolo la città, mietendo decine di miglia-ia di vittime, allora sbrigativamente sepolti in fosse comuni. Ed oggi la storia si sta ripetendo, con bombardamenti, arresti, tor-ture, rastrellamenti, fosse comuni… che sono ormai all’ordine del giorno da più di due anni. Con, da qualche mese, il “salto di qualità” dell’uso delle armi chimiche da parte del regime nei confronti della popolazione civile ormai stremata da ogni sorta di angherie, di soprusi e di violenze messi in atto dai “lealisti”.Interi quartieri residenziali di numerosissime città e centri abi-tati grandi e piccoli sono stati bombardati dagli aerei dell’e-sercito siriano: Daraa, Homs, Idlib, Duma, Hama, Damasco… l’elenco purtroppo è lunghissimo. Nemmeno la città di Aleppo, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, è stata rispar-miata. Nemmeno i resti archeologici di una cultura millenaria il cui valore è inestimabile sono stati risparmiati. Molto spesso per piegare la determinata volontà di cambiamento del popolo siriano, il regime non ha esitato a prendere di mira gli ospedali o a attuare bombardamenti mirati sulle scuole, sulle universi-

SOSTIENIPer chi vuole sostenere economicamente il lavoro dell’associazione questo è il numero del conto corrente: IT86C0200824502000102398282.

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“INSIEME pER LA SIRIA LIbERA”L’associazione ha promosso varie iniziative, che sono in corso da diversi mesi: la preparazione e l’invio dei pacchi alimentari (con un “cesto – pacco” alimentare una famiglia siriana ha la possibilità di sfamarsi per un mese circa); la raccolta di indu-menti, coperte, sacchi a pelo e vestiario nuovo e usato (che viene attentamente selezionato e confezionato nuovamente dai volontari prima della spedizione); la raccolta di fondi per il progetto “riattivazione linee-forni ad alta produzione di pane” all’interno del territorio siriano; il progetto di adozione a di-stanza di bambini profughi siriani con un contributo mensile; il progetto per un ospedale da campo in territorio siriano (spe-dizone di 17 letti ospedalieri più attrezzatura medica diagno-stica acquistati in Italia); l’organizzazione di eventi (incontri pubblici, festival, cene di beneficenza, sit-in, flashmob, cortei e manifestazioni di piazza) con lo scopo di informare, sensibi-lizzare e raccogliere fondi da inviare in Siria.Presso la sede della Comunità Islamica di Trento, qualche mese fa è stato allestito un punto di raccolta di beni di prima necessità che sono successivamente stati inviati in Siria, grazie anche al contributo e alle donazioni dei Trentini.Per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica trentina,

l’Associazione ha organizzato un sit-in con un flash mob il 5 ottobre 2012 a Trento in piazza Battisti, realizzato dai giovani della Comunità Islamica, che si sono impegnati anche nella realizzazione di cartelloni e striscioni. Digitando “Flash Mob Si-ria – Trento” è possibile vedere su youtube un breve video che rappresenta alcuni momenti della manifestazione trentina.Per il 15 maggio alle ore 20.30 presso la Sala Rosa del Palaz-zo della Regione a Trento, "Insieme per la Siria Libera" ha orga-nizzato in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento l’incontro pubblico “La crisi Siriana: i suoi riflessi regionali ed internazionali” ed è presente con un suo stand alla Festa dei Popoli di Trento il 18 e il 19 maggio in piazza Fiera.In questi giorni è in preparazione la spedizione del quinto con-tainer di 40 piedi per la Siria con gli aiuti e l’attrezzatura medi-ca. Siete invitati tutti a partecipare, qualsiasi contributo anche il più modesto è vitale per il soccorso del popolo siriano.Un invito a visitare anche la pagina face book dell’associazio-ne Syrian Children Relief , tramite la quale è possibile adotta-re a distanza bambini siriani rimasti orfani, bisognosi di tutto, dall’acqua potabile alle cure medichePer rimanere aggiornati sulle attività e le iniziative di "Insieme per la Siria Libera" si può visitare la pagina omonima su face book, INSIEMEPERLASIRIALIBERA, con gli album di foto della manifestazioni e delle spedizioni da Trento

tà, sulle moschee e sui panifici, davanti ai quali il numero di persone in fila è sempre più elevato a causa della scarsità di farina e di combustibile. D’altronde da chi non ha pietà nemmeno per i neonati, che, insieme alle madri, vengono sgozzati all’arma bianca durante i rastrellamenti, o addirit-tura torturati davanti ai loro genitori, ci si può aspettare di tutto. Come è successo ad Al-Bayda, nella provincia costiera di Banyas nella notte tra il 2 e il 3 maggio 2013, nel silenzio quasi totale dei media occidentali: l’esercito governativo, con il supporto delle forze parami litari, i famigerati shabbiha, tra i quali sempre più numerosi sono gli iraniani, ha ucciso più di 1500 persone, tra le quali moltissime donne e bambini, addi-rittura appiccando loro il fuoco mentre cercavano di scappare. Un’autentica operazione di pulizia etnica compiuta nei con-fronti della popolazione sunnita dai fedelissimi di Assad, tutti alawiti della zona costiera, con il supporto anche delle milizie sciite di Hezbollah.La comunità internazionale di fatto continua a tacere sul ter-rorismo di stato del regime di Assad e dei suoi alleati: Iran, Hezbollah, milizie irachene leali al Presidente del Consiglio iracheno; oltre alla Russia e all’Iran che continuano ad armare

il regime criminale di Assad, anche gli Usa di fatto stanno con-tinuando a lasciare carta bianca al regime siriano nonostante sia stata più volte oltrepassata la famosa linea rossa sull’uso delle armi chimiche tracciata da Obama lo scorso agosto.L’Esercito Libero Siriano, formato da partigiani siriani e da ex soldati del regime spinti dalla loro coscienza a passare dall’al-tra parte per cercare di difendere i civili, fa quello che può, anche se la disparità delle armi a sua disposizione rispetto alla macchina da guerra del regime è evidente.Il risultato di questo bagno di sangue che dura da ormai più di due anni sono più di 100.000 morti, milioni di feriti, anche molto gravi, orfani, dispersi, incarcerati e profughi sia all’inter-no che fuori dalla Siria, persone costrette a vivere in ripari di fortuna e che soffrono per la mancanza di tutto: cibo, acqua potabile, cure mediche, elettricità, riscaldamento…L’anno scorso si è costituita l’associazione “Insieme per la Si-ria Libera”, per riunire gli sforzi, perlopiù iniziative individuali e non coordinate, di cittadini siriani che vivono in Italia e di italiani, per informare su questa tragedia, organizzare attività di volontariato, raccogliere fondi e aiuti a sostegno e in solida-rietà con il popolo siriano.

Emergenza Siria

lE cIfrE dEl dramma100.000 mOrTI250.000 ScOmparSI ( imprigionati, sequestrati, sepolti in fosse comuni...)

12.000 bImbI uccISI5 mIlIONI dI prOfughI in fuga all’interno della Siria2 mIlIONI dI prOfughI nei paesi confinanti soprattutto Giordania, Turchia, Libano, ma anche Egitto e Libia hanno una grande comunità di profughi

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8Religione

Una è la direzione ma tante e diverse le strade.Questo ho pensato camminando sul sentiero del monte Brdo di Medjugorje. La strada era ripida, coperta di sassi e ogni persona per camminare in modo sicuro sce-glieva un suo percorso, met-tendo i piedi sui sassi oppure saltando da una parte all’altra. E da qui è partita la mia rifl es-sione che ho pronunciato a voce alta: “Andiamo tutti verso la stessa direzione ma ognuno sceglie una strada diversa”. Questo viaggio – pellegrinaggio è stato tanto atteso dalla nostra comunità ucraina. I posti come questo hanno un par-ticolare signifi cato per noi immigrati che viviamo e lavoria-mo in Italia. Si parte come per una vacanza, ci si stacca dal lavoro, lavoro faticoso di assistenza e aiuto domestico, che spesso non ti lascia né libertà né suffi ciente riposo. Ma lo scopo non è questo – si va per pregare e rifl ettere, cercare le risposte e ringraziare per tutto ciò che abbiamo ricevuto durante il cammino da migranti.Fede, religione, sentiamo tanto parlare e discutere su que-sti temi in giro. Si parla delle donne che portano il velo, dei crocefi ssi che sono di «troppo». Ad alcuni danno fastidio mo-schee e chiese di altre religioni portate con sé dai migranti.Ma si pensa a quanto la fede è importante per un immigrato?In un mondo sconosciuto, nuovo e pieno di pericoli, tutti abbiamo avuto dei momenti di disperazione, di nostalgia, una forte delusione che ti butta a terra, non ti lascia andare avanti e vivere in armonia con gli altri. Ti senti diverso, no-nostante le migliori politiche d’integrazione. Ma quando hai portato con te dalla tua terra lontana una fede nel cuore, questa ti aiuta ad affrontare le diffi coltà, ti consola, ti dà sicurezza per il domani, una speranza in un futuro migliore. Anche la gente ucraina del Trentino è fortunata in questo senso perché ha la propria comunità religiosa presso la par-rocchia di San Giuseppe e può trovarsi per pregare insieme

almeno due volte al mese. E’ una possibilità importante per un immigrato avere un luogo di culto in cui ti senti sicuro e ascoltato, leggendo la Bibbia o il Corano, insegnando ai tuoi fi gli a pregare nella tua lingua madre.

Abbiamo tutti bisogno di con-servare quello che è vicino al nostro cuore e alla nostra men-te essendo lontani dalla nostra patria e dobbiamo cercare di trasmetterlo ai nostri fi gli attra-verso la fede e le tradizioni. Torno al nostro pellegrinaggio.A Medjugorje abbiamo trova-

to tanta gente diversa che parla molte lingue, ma cerca la pace, cerca il Dio che ognuno capisce a modo proprio. Per me è un posto di preghiera, ma anche una fonte di quella carica spirituale che cercano tutti i credenti.Quel viaggio a Medjugorje ci ha riservato una brutta sor-presa: una delle pellegrine si è fatta male al piede. Proprio sul monte Križevać dove non arrivano i soccorsi e quindi è scattata la solidarietà tra di noi. Non eravamo pronti per un’emergenza del genere, ma abbiamo trovato un modo più o meno sicuro per portarla giù. Alla fi ne della strada sono arrivati i soccorsi. Erano sei giovani volontari che fa-cevano questo servizio gratuito e portavano con la barella gli infortunati o quelli che ne avevano bisogno. Apparte-nevano alla comunità Cenacolo, formata dai giovani che hanno trovato in Medjugorje la loro strada, la via d’uscita dopo una vita di delusioni e cadute.Li abbiamo ringraziati vivamente perché ci hanno fatto davvero un servizio da cristiani.A Trento siamo tornati stanchi ma rigenerati, con la convin-zione che per noi e per tutti quelli che hanno la loro fede nel cuore ci sarà sempre una speranza .Anche se siamo tanto diversi e abbiamo ognuno la nostra strada cerchiamo almeno di non sbagliare la direzione, convinti che ci sarà sempre qualcuno a segnarcela. Ve lo auguro di cuore.

di Oleksandra Arendarchuk

Il bisogno di spiritualità è più acuto per chi emigra

Una è la direzione ma diverse le strade

RELIGIONE

Medjugorje, la strada sulla montagna

Quando hai portato con te dalla tua terra lontana una fede nel cuore, questa

ti aiuta ad affrontare le diffi coltà, ti consola, ti dà sicurezza per il domani,

una speranza in un futuro migliore.

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9Speciale Vietnam

GTV – Gruppo Trentino di Volontariato è un’organizza-zione non governativa (ONG) che si occupa di coopera-zione e solidarietà internazionale nel Sud Est Asiatico, in particolare in Vietnam, dove ha una sede ad Hanoi, e a Timor Est.Uffi cialmente nata nel 1999 per ampliare e portare avanti l’impegno di ANT (Amici della Neonatologia Tren-tina), da più di dieci anni GTV opera in diversi settori per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali, tentando di innescare processi di crescita sia sociale che economica.I progetti di GTV si inseriscono in diversi ambiti, tra cui l’educazione; la formazione professionale; lo sviluppo agricolo; la lotta al traffi co di esseri umani; la tutela del patrimonio ambientale e della biodiversità e la lotta alla malnutrizione.

Un'associazione nata dalle iniziative dei medici della Neonatologia trentina

Il Gruppo Trentino di Volontariato opera dal 1999 in Vietnam

Dal 2006 è stato avviato un programma di Sostegno a Distanza che ha come primo obiettivo quello di migliora-re le condizioni di vita dei nuclei familiari maggiormente in diffi coltà e di garantire così ai bambini la possibilità di frequentare la scuola. Al momento i bambini soste-nuti sono circa un centinaio. Il programma di Sostegno a Distanza, in cui le famiglie trentine si impegnano ad offrire un contributo concreto alla crescita dei bambini vietnamiti, incarna la mission di GTV, che rimane quella di mettere in relazione la comunità trentina con le comu-nità del Sud Est Asiatico per sviluppare capacità e scam-biare esperienze, con particolare attenzione ai diritti dei soggetti vulnerabili come bambini, donne e minoranze.

Per maggiori informazioni visitare il sito www.gtvonline.org

EDUCAZIONEFORMAZIONE pROFESSIONALESVILUppO AGRICOLOLOTTA AL TRAFFICO DI ESSERI UMANITUTELA DEL pATRIMONIO AMbIENTALETUTELA DELL bIODIVERSITÀLOTTA ALLA MALNUTRIZIONE

Foto archivio GTV

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10Speciale Vietnam

SpECIALE VIETNAMAttraverso i racconti di grandi scrittori contemporanei

Il Vietnam riscoperto dai ragazzi delle scuole trentine

Le frasi da loro scelte saranno appese sui bus di Trento e Rovereto

"Chi vive in città forse non conosce la situazione delle scuole di monta-gna di una quarantina d’anni fa. Pos-so soltanto dire che non c’era luogo più triste e meno adatto di quei posti per chi era in cerca di fortuna. Per il resto, sarete voi lettori, con la vostra immaginazione a decidere se amarli o meno."

(dalla raccolta "Attraversando il fi u-me", Nguyen Huy Thiep)

Quella di Nguyen Huy Thiep è una voce che, come tante, è stata isolata dal potere politico in seguito allo scandalo provocato dai suoi racconti.Attraverso le sue parole veniamo a conoscenza di un mon-do lontano, non solo geografi camente. La vita nelle campa-gne, scandita dai ritmi della natura e del lavoro nelle risaie, le scuole di montagna in cui giovani insegnanti cercano di trasmettere la loro saggezza agli alunni e affrontano la so-litudine e l’isolamento, le tradizioni, gli spiriti della natura, le avventure e le rifl essioni sul proprio paese ci vengono raccontate con la pacatezza e la delicatezza caratteristiche dei popoli orientali.

GTV, in collaborazione con la casa editrice ObarraO, ha scel-to di utilizzare tre raccolte di racconti di Nguyen Huy Thiep

per presentare il Vietnam ai ragazzi delle scuole trentine. Maurizio Gatti, editore degli scritti di Thiep in Italia, appas-sionato dell’ Asia, dopo aver conosciuto personalmente lo scrittore vietnamita è venuto a Trento per incontrare i ragaz-zi di alcune classi e, con il supporto delle fotografi e scattate nei suoi numerosi viaggi in Vietnam, ha condiviso con loro le usanze, le tradizioni e la storia di questo paese lontano. I ragazzi e gli insegnanti che hanno scelto di collaborare con GTV si sono impegnati a leggere dei racconti a scelta tra quelli pubblicati, e ad individuare delle citazioni parti-colarmente evocative. Queste vengono raccolte da GTV e dal Gioco degli Specchi, partner insieme alla casa editri-ce in questo progetto, e le più adatte saranno stampate su cartoncini plastifi cati, con foto del Vietnam, e appese sugli autobus di linea di Trento e Rovereto. Il concorso, pur nascendo all’interno di un percorso il cui pubblico principale è composto dagli studenti, è stato aper-to a chiunque avesse voglia di leggere uno dei racconti e di inviare la propria citazione. Questo è stato permesso anche grazie al Barycentro, caffè sociale e culturale di Trento che si è reso disponibile a mettere a disposizione di tutti i libri di Thiep.

In maggio quindi, potrebbe capitarvi di essere seduti sull’au-tobus e di vedere attorno a voi fotografi e di risaie, di vita nei campi o di montagne immerse nella nebbia. Leggendo le parole che accompagnano l’immagine avrete la possibilità di assaggiare i pensieri di quello che è oggi considerato il più importante scrittore vietnamita contemporaneo.

Altra voce importante nel panorama letterario vietnamita à quella di Le Minh Khue, di cui l'editore O barra O ha pubblicato "Fragile come un rag-gio di sole. Racconti dal Vietnam". Con leggerezza, precisione e molta umanità, si passa dalle immagini ed emozioni del periodo della guer-ra contro gli americani, all'ironia e alla satira amara della società che nasce dalla riunifi cazione del 1975.

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11Speciale Vietnam

di Anna Brian

Sono partita per uno stage in Vietnam il 3 gennaio 2013 e per tre mesi ho preso parte ai progetti di GTV a Son Dong, un distretto a nord est di Hanoi abitato principalmente da contadini e agricoltori.

L’Inverno vietnamita mi ha messa alla prova. La nebbia, densa, copriva la città e ne sfumava i confini; ovattava il rumore dei motorini e dei taxi che si sovrapponevano sulle strade ingar-bugliate di Hanoi. Acclimatarsi non è stato facile e nemmeno regolare l’orologio sei ore in avanti: mancava-no il sonno e la fame, mi addormen-tavo per sfinimento e mi risvegliavo a seconda dell’intensità della luce del sole proveniente dall’esterno. Un caos. Ho assaggiato cibi insoliti a cui non ero abituata, ho conosciu-to nuove persone dagli accenti diversi, percorso vicoli stretti a bordo di un vecchio motorino lottando contro il vento gelido che penetrava nei vestiti, nelle ossa. E rimaneva lì, intrappola-to nella pelle. Ho dovuto farci l’abitudine, al freddo di gennaio. Den-tro o fuori casa non faceva differen-za, non c’era verso che le estremità del mio corpo riuscissero a scaldarsi. Così è iniziato il mio 2013, a 12.246 km di distanza da casa. Ma quasi su-bito ho incontrato molte persone che hanno arricchito la mia esperienza, che l’hanno resa unica non solo dal punto di vista professionale.

GTV in Vietnam ha sede in una strut-tura denominata “Casa Italia” e si tro-va al secondo piano di una tipica abi-

tazione in stile orientale: soffitti alti, mobili scuri, scale di legno. L’ufficio è molto piccolo, lungo e stretto, non era semplice incastrare lì dentro quattro persone. L’atmosfera mi è sembrata familiare fin da subito, soprattutto per la presenza di molti cooperanti giova-ni, vietnamiti e non, che lavoravano a Casa Italia. Con loro ho imparato a conoscere un Paese di cui avevo let-to e sentito tanto, ho appreso molto sulla società e sull’immenso patrimo-nio culturale vietnamita. È stato inte-ressante soprattutto confrontare la realtà in cui sono cresciuta con una città in evoluzione come Hanoi; non ho potuto fare a meno di paragonare, commisurare e spiegare (spiegarmi) due culture così diverse ma con delle somiglianze incredibili.

Ho trascorso tre mesi tra Hanoi, la capitale del Vietnam, e Son Dong, il distretto in cui opera GTV. Ci impiega-vamo quasi tre ore di macchina per raggiungere An Chau, la cittadina nel-la quale stazionavamo. Il viaggio era sempre movimentato ed alcuni dei villaggi nei quali ci recavamo erano difficili da raggiungere, così talvolta era più agevole spostarsi a piedi piut-tosto che con l’auto. Le persone che ho incontrato mi hanno raccontato cosa significa per loro vivere in que-ste zone rurali, con tutte le difficoltà

che incontrano. Mi hanno descritto com’è la loro vita quotidiana, come impiegano le loro giornate; ed hanno rivolto a me le stesse domande, cu-riosi di capire come si vive dall’altra parte del mondo, un occidente che ai loro occhi significa ricchezza e ab-bondanza, salute e benessere. Ho in-contrato delle persone molto semplici che non si arrendono di fronte alla fatica e ai sacrifici perché dentro di loro sognano di poter offrire un futu-ro migliore ai propri figli e al proprio villaggio. Conoscere gli abitanti di Son Dong, entrare nelle loro case, è stato interessante per comprendere di cosa si compone la loro quotidianità, da quali gesti e ritualità è caratterizzata. In ogni caso, l’ospitalità e il calore con cui eravamo accolti a Son Dong mi

hanno scaldato il cuore. Ecco che le relazioni sono diventate una parte essenziale dell’espe-rienza in Vietnam, hanno tolto qualsiasi filtro alla percezione del contesto in cui operavamo e vivevamo.

Non saprei quantificare quanto mi ha lasciato, sia dal punto di vista profes-sionale che umano, questa parentesi vietnamita. Sicuramente moltissimo. Sono rientrata in Italia riproponendo-mi di dare valore a qualsiasi piccola cosa apparentemente insignificante, a qualsiasi persona o relazione. Sono tornata con la consapevolezza che i momenti di crisi, come quello che il no-stro Paese sta affrontando, possono diventare invece un’opportunità per reinvestire sulla dimensione comuni-taria valorizzando i rapporti umani.

Diario dal VietnamLe impressioni di una studentessa trentina tra Hanoi e Son Dong

Sono rientrata in Italia riproponendomi di dare valore a qualsiasi piccola

cosa apparentemente insignificante, a qualsiasi persona o relazione

Foto archivio GTV

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12Speciale Vietnam

Vite in movimento

di Anna Brian

Ha gli occhi scuri e intensi, Lien, lo sguardo sorridente e la gentilezza tipi-ca degli asiatici. Dice di essere serena e felice qui in Italia, anche se confessa di sentire la mancanza del suo Paese. Lien è cresciuta con la sua fa-miglia ad Hanoi, la capitale del Vietnam, una città dinamica e a tratti confusionaria, ma incredi-bilmente legata alla tradizione. Dopo aver conseguito la laurea in Marketing, per tre anni ha lavorato per alcune aziende na-zionali ed internazionali, ma ri-maneva vivo in lei il desiderio di proseguire gli studi e conoscere l’Europa. Assecondando le sue aspirazioni, nel 2009 Lien volò in Svezia, dove per un anno se-guì un Master in Economia. È stato pro-prio durante questo periodo che ha deci-so di trasferirsi a Trento per approfittare di un programma di scambio organiz-zato dall’Università. “La prima volta che sono venuta a Trento ricordo che pioveva tantissimo e mi sentivo un po’ disorienta-ta. Ricordo che alla stazione ho trovato il mio tutor ad aspettarmi e insieme siamo andati all’ufficio di facoltà per sbrigare le faccende burocratiche più urgenti. Per fortuna non ero da sola!”. Era il 2010 quando Lien si innamorò per la prima volta della città: “Fin da subito ho sentito che mi piaceva molto, sono rimasta colpita soprattutto dai colori dell’Italia, in particolar modo della na-tura e dell’architettura”. Così un anno più tardi, dopo questo primo assaggio,

decise di tornare a Trento per appro-fondire i suoi studi iscrivendosi ad un Master in International studies. “Non volevo tornare in Vietnam e buttarmi subito nel mondo del lavoro. Questo

avrebbe sicuramente significato grandi cambiamenti per me, perché le ragazze vietnamite, dopo la laurea, in genere si sposano e mettono su famiglia. Io inve-ce desideravo godermi ancora la mia libertà”. Ma adattarsi e ricominciare, ancora una volta, una nuova fase non è stato semplice, era forte la nostalgia di casa: “Mi sentivo un po’ frustrata, non capivo la lingua e mi sentivo un po’ fuo-ri contesto. Solo quando ho cominciato a comprendere la cultura italiana ho iniziato ad apprezzare la città e i suoi abitanti. Ho trovato molte similitudini tra l’Italia e il Vietnam, soprattutto per quanto riguarda l’importanza della fa-miglia nella società. Così mi sono senti-ta più a casa”. Impossibile per lei non fare paragoni

con la precedente esperienza scandi-nava: “La difficoltà principale l’ho avu-ta con la lingua. Quando sono arrivata qui non parlavo italiano e in inglese spesso non venivo capita. In Svezia

non ho mai avuto problemi di questo tipo perché lì l’inglese è diffuso a tutte le fasce d’età, mentre qui ho avuto l’impres-sione di trovarmi in una società più conservatrice per quanto riguarda l’apprendimento delle lingue straniere. Così all’inizio avevo legato principalmente con i miei conterranei che stu-diano qui; anche con qualche italiano, ma la comunicazione era più difficile, non so, non ci si capiva al volo. Il primo anno

è stato stressante, mi sentivo sola e di passaggio, non riuscivo ad inserirmi. Temevo di slegarmi troppo dal contesto in cui avevo scelto di vivere, non volevo estraniarmi. Perciò non mi sono data per vinta e, piano piano, ho iniziato a studiare l’italiano per migliorare la mia capacità di relazionarmi con gli altri. Il secondo anno le cose sono migliora-te, ho conosciuto nuove persone e mi sono sentita accolta; ho valorizzato gli aspetti comuni alle due culture e non ho più avuto paura. Prima sentivo di dover proteggere me stessa mentre ora sono più rilassata: ho capito che se vo-gliamo l’integrazione dobbiamo essere noi i primi a porre le condizioni affinché ciò avvenga attraverso la partecipazio-ne, l’inclusione e il confronto."

Da Hanoi a Trento passando per Umea: la storia di Lien, una giovane studentessa vietnamita che ama viaggiare e conoscere portando con sé la sua cultura

“La prima volta che sono venuta a Trento ricordo che pioveva tantissimo

e mi sentivo un po’ disorientata. Ricordo che alla stazione ho trovato il mio tutor ad aspettarmi e insieme siamo andati all’ufficio di facoltà per sbrigare le faccende burocratiche più urgenti. Per fortuna non ero da sola!”

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IMMI/EMI

Immagini e parole sull’emigrazione in Svizzera e Germania

di Maurizio Tomasi

Forse non è solo perché suonava la chi-tarra disturbando i vicini, che ha dovuto lasciare l’appartamento: sta in questa frase la chiave di ”Touchol”, il film che Alvaro Bizzarri ha realizzato negli anni 80 per raccontare l’intolleranza di cui è vittima Giuseppe, un giovane italiano che lavora come operaio stagionale nel-la Svizzera francofona (il titolo fa riferi-mento a come il protagonista pronuncia in maniera storpiata “tout seul”, tutto solo). Stufo dei continui assordanti ru-mori con cui deve convivere nella barac-ca in cui abita, che si trova accanto alla ferrovia e ad un’autostrada, Giuseppe decide di cercare un alloggio più con-fortevole. Lo trova ma dopo poco tem-po deve lasciarlo: perché le note della sua chitarra e il suo canto “turbano” la tranquillità dei vicini, che costringono il suo padrone di casa, un altro italiano, ad annullare il contratto d’affitto. Ma - fa intuire il regista - più degli accordi strim-pellati è la condizione di “straniero” a rendere Giuseppe insopportabile.Il film è stato proiettato il 10 aprile scor-so al cinema Astra di Trento, nell’ambito dell’iniziativa intitolata “Guardare da vi-cino, vivere da lontano”, appuntamento promosso dalla Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e dall’Associazione Trentini nel mondo, per parlare di emi-grazione ed accoglienza.Il regista del film, Alvaro Bizzarri, è stato

il primo operaio italiano ad aver scelto la cinepresa per dar voce ai migranti e denunciare le drammatiche condizioni dei lavoratori stagionali, separati dalle loro famiglie. Bizzarri ha sentito forte l’esigenza di documentare quelle espe-rienze di vita e le sue opere raccontano del lavoro, dello sfruttamento, della no-stalgia e dello sradicamento.Prima della proiezione, i protagonisti della serata sono stati Vittorio Ducati, trentino emigrato in Svizzera, e Boris Potrich, trentino emigrato in Germania. Intervistati da Mattia Pelli, storico dell’e-migrazione e ricercatore presso la Fon-dazione Museo storico del Trentino, Du-cati e Potrich hanno raccontato alcuni momenti della loro storia personale di emigrazione: si è parlato delle motiva-zioni che li hanno spinti ad emigra-re, delle sensazioni che hanno se-gnato il loro viaggio e il loro primo impatto con il paese di accoglienza, delle condizioni di lavoro e di vita.Le loro testimonianze hanno messo a fuoco alcuni degli aspetti pecu-liari delle esperienze migratorie nel periodo successivo alla Seconda Guerra mondiale: entrambi hanno confermato che la ricerca di un’oc-cupazione stabile e meglio retribuita che consentisse di fare progetti per il futuro era la molla che spingeva a partire. Nei paesi di arrivo - hanno

raccontato Ducati e Potrich - le opportu-nità di lavoro non mancavano e chi era disposto a sacrifici e ad impegnarsi per migliorare la propria formazione pro-fessionale, poteva ambire a qualifiche sempre più elevate. L’ostilità della popo-lazione è stata avvertita più in Svizzera che in Germania e la formazione di una famiglia ha aiutato entrambi ad affron-tare con maggiore forza le difficoltà che derivavano dal trovarsi in un paese stra-niero.E dopo la proiezione del film, Vittorio Ducati ha confermato - citando una sua esperienza diretta - “l’alta sensibilità” degli orecchi degli svizzeri: persino i passi di un bambino “straniero” in pan-tofole suscitavano i rimproveri di chi abi-tava al piano di sotto….

Una serata con le testimonianze dei trentini Vittorio Ducati e Boris Potrich

Alvaro bizzarri è stato con la sua cinepresa il testimone degli emi-grati in Svizzera e con il film "Lo stagionale" ha imposto al pubblico l'esistenza dei "bambini nascosti". Una sua intervista e il racconto di questa realtà drammatica nel libro di Marina Frigerio Martina: "Bambi-ni proibiti. Storie di famiglie italiane in Svizzera tra clandestinità e se-parazione", di recente riedito da Il Margine di Trento.

da sinistra, Vittorio Ducati, Mattia Pelli e Boris Potrich

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14Società

SOCIETÀ

Perché Pablo e Amina scelgono le scuole professionali?Un ambiente che favorisce l'inserimento sociale

Gli studenti di origine straniera puntano ad un lavoro immediato

di Manuel Beozzo

Sono 9.436 gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti alle scuole del Tren-tino nell'anno scolastico 2011/2012 (in Italia la cifra raggiunge quota 755 mila). Ciò vuol dire che nelle scuole trentine uno studente su dieci ha una cittadi-nanza diversa da quella italiana e circa la metà di loro (per l'esattezza 4.739) è nato in Italia. Nel 2012 uno su cinque è nato con almeno uno dei genitori non italiano. Conoscere (alcune del)le storie persona-li che danno vita a queste cifre sarebbeinteressante; per il momento mi limito a presentare alcuni punti discussi in la-vori sull'immigrazione, a riportare spunti emersi da interessanti chiacchierate fatte con dei dirigenti scolastici (che qui nuovamente ringrazio) e qualche mia impressione.Confrontando la situazione di oggi con quella di 15-20 anni fa, si nota quanto l'immigrazione sia cambiata. La cre-scente presenza di studenti immigrati, particolarmente rilevante nelle scuole elementari e medie, ci dice che si è pas-sati da una prima fase in cui arrivavano da soli giovani lavoratori a una seconda “permanente e di insediamento”.Usando le parole della sociologa De-bora Mantovani “tanto in Italia quanto in Trentino, ormai non è più raro che i nostri studenti abbiano come compa-gno di banco un giovane cresciuto in un altro Paese o nato in Italia da geni-tori stranieri”.

La scuola svolge allora anche un ulterio-re compito, fondamentale per la socie-tà, non solo di educazione e formazione, ma anche di accoglienza e incontro, così come, in seguito, di spinta motivaziona-le e inserimento nel mondo del lavoro.Spesso è proprio nell'ambiente scola-stico infatti che avviene la prima inte-razione tra persone di culture diverse, sia studenti sia famiglie e, in particolar modo per gli allievi dei Centri di forma-zione professionali (CFP), anche il con-tatto diretto con il mondo del lavoro.Ed è proprio un dirigente di un CFP di Trento che mi chiarisce una situazione conosciuta a molti stranieri (di prima o seconda generazione): se da una parte è possibile imbattersi in alcuni datori di lavoro che mostrano poca apertura verso un tirocinante di nazionalità non italiana, dall'altra i periodi di pratica (ob-bligatori e garantiti) che i CFP organizza-no per i loro studenti producono effetti molto positivi. Il colore della pelle, la cit-tadinanza posseduta o l'accento esotico passano, con lo scorrere delle giornate di lavoro, in secondo piano mentre è all'impegno e alla bravura dimostrata che viene data importanza. Attraverso questo momento di contatto, prima pro-fessionale poi anche sociale, nascono molto spesso rapporti di fiducia e, non raramente, proposte di lavoro, amplian-do le reti di inserimento.Gli studenti stranieri (soprattutto quelli nati all'estero) puntano a scegliere una

scuola che aumenti il più possibile le opportunità di accesso al mondo del lavoro, prima fra tutte i CFP. Diversa appare invece la scelta degli studenti di seconda generazione: quelli nati in Italia prediligono, come i loro coetanei italiani, gli istituti tecnici ma soprattutto i licei. Questa situazione è certamente legata alle maggiori possibilità di trova-re lavoro, ma, come mi è stato ripetuto da più di un dirigente scolastico, anche al fatto che in Italia la cultura del lavoro manuale gode di scarso apprezzamen-to. Anche la scuola italiana ha in questo le sue colpe. L'importanza della cultura rispetto al pratico saper fare è stata, da Benedetto Croce alla riforma Gentile, sovradimensionata, portando a quella impropria differenziazione (ancora oggi radicata nella testa di molti) tra scuole superiori di serie A e scuole di serie B. Ci tengo a fare questa precisazione in quanto gli stessi studenti – tra i quali moltissimi stranieri – iscritti a percorsi più vicini alla pratica che alla teoria de-vono assolutamente essere consapevoli dell’alto valore del loro percorso formati-vo, così come si deve riconoscere ai CFP la loro importanza formativo-sociale.Forse per la ovvietà del concetto, qua-si dimenticavo di riportare un ultimo aspetto, emerso da tutti gli incontri con i dirigenti: non esistono gli alunni di cit-tadinanza non italiana, esistono invece Pablo, Lisa, Reza, Aida, Moncef, Luca e tutti gli altri 9.430.

14Società

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15Diritti Umani

Conversando con il Dalai Lama

di Marco Pontoni

Il capo spirituale del Tibet è tornato in Trentino

Rispetto al 2001, anno della sua prima visita in Trentino, non molto è cambiato: il Tibet continua a rivendicare senza suc-cesso quantomeno un'ampia autonomia rispetto alla Cina, mentre non si arresta il flusso di cinesi Han dalle altre regioni del Paese, incentivato dal governo di Pe-chino, nella più pura tradizione "colonia-le". Anzi, semmai l'esasperazione della popolazione tibetana è ancora cresciu-ta, sfociando persino nel gesto estremo dell'autoimmolazione con il fuoco, come facevano molti anni fa i monaci del Viet-nam per protestare contro la guerra.Il XIV Dalai Lama, al secolo Tenzin Gyatso nel frattempo ha lasciato ogni incarico politico nelle mani del governo tibetano in esilio (con sede a Dharamsala, nel nord dell'India) e del suo premier Lobsan Shangay, regolarmente eletto dai tibetani della diaspora. Oggi è soprattutto una gui-da spirituale, anche se, ovunque sia ospi-tato, non manca di esprimere il suo pen-siero sulle sorti della sua terra di origine, che ha lasciato nel lontano 1959, dopo la repressione dei moti indipendentisti. Anche in Trentino, lo scorso 11 aprile, il Dalai Lama, premio Nobel per la pace 1989 (per i tibetani la reincarnazione di Avalokitesvara, detto volgarmente "il Budda della compassione") ha parlato sì delle cose dello spirito, con un atteggia-mento peraltro molto "laico"; ma ha par-lato anche di ciò che la Cina sta facendo nel"Tetto del mondo", snaturando la cul-tura autoctona e promuovendo uno svi-luppo economico squilibrato e diseguale, ma soprattutto imposto dall'alto. Uno svi-luppo di cui certamente beneficiano an-che i tibetani, ma che non compensa le ferite inferte sul versante della dignità ad un popolo che rimane comunque distinto da quello cinese (a partire dalla lingua: il tibetano scritto è mutuato dal sanscrito).Nell'intervista esclusiva che ci ha rilascia-to, in margine ad un'agenda molto ricca

di incontri e culminata nella grande con-ferenza pubblica tenuta al PalaTrento, il Dalai Lama ha usato però toni distesi, come sempre, parlando ad esempio di un'autonomia che potrebbe essere, per certi versi, simile a quella del Trentino Alto Adige: "Ma non dimenticate - ci ha detto nell'intervista che ci ha concesso privatamente - che la vostra autonomia è espressione di uno stato democratico. Mentre in Cina non vi è democrazia."L'autonomia sembra essere stata peral-tro a portata di mano nel secondo dopo-guerra, dopo l'occupazione del Tibet da parte delle truppe di Mao. "Firmammo nel 1951 un accordo in 17 punti con il gover-

no cinese - ci ha detto Tenzin Gyatso - e in quell'occasione incontrai personalmente Mao Zedong, che era d'accordo. Questa esperienza è stata portata avanti fino al 1959. Poi la situazione è precipitata, mol-ti tibetani sono stati uccisi e io ho dovuto lasciare il Paese. In seguito, la Rivoluzio-ne culturale ha cercato di cancellare la nostra cultura e la nostra religione. Ma i problemi del Tibet sono rimasti e io credo che si devono risolvere in qualche modo. Sicuramente non con la violenza. Usando la violenza verso i tibetani la Cina non troverà mai una soluzione. Si produr-ranno solo reazioni terribili, come le per-sone che oggi in Tibet si danno fuoco per protesta, già oltre 130.Per questo motivo noi stiamo proponendo una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti, che consenta da una parte al

governo cinese di avere la pace in Tibet e dall’altra ai tibetani di non soffrire e di assumersi le loro responsabilità in ordine alla religione, alla cultura e all'ambiente. Pechino è spesso in imbarazzo all'estero quando gli vengono chieste notizie sulla condizione dei tibetani. Oggi peraltro c'è anche una parte dell'opinione pubblica cinese che ci appoggia. Soprattutto le persone più istruite. Ed inoltre ci sono molti milioni di cinesi che negli ultimi anni si sono avvicinati alla spiritualità e al buddismo, specie quello tibetano. Quindi il paradosso oggi è che il paese dove il buddismo tibetano è più diffuso è proprio la Cina."

Dal Dalai Lama, nel-la sua conferenza, è giunto anche un invito a coltivare la serenità della mente e la com-passione nei confronti del prossimo. Questo, ha ribadito, è il segreto della felicità. Un segre-

to "molto concreto, che porta benefici an-che al corpo, e che oggi viene studiato in alcune università. Negli Stati Uniti hanno fatto degli studi su un gruppo di volonta-ri, che si sono sottoposti ad un training per apprendere le tecniche di base della nostra tradizione, al fine di ottenere un controllo della propria mente e di coltiva-re attitudini positive. Dopo questo perio-do di training, gli esami condotti hanno dimostrato che tutte le funzioni vitali dei partecipanti erano migliorate. E questo è stato anche constatato su persone che hanno vissuto esperienze estreme, come alcuni monaci incarcerati per anni nelle carceri di Mao. Queste persone sono riu-scite a non rimanere segnate da queste esperienze e addirittura a mantenere la loro attitudine alla compassione nei con-fronti degli stessi carcerieri."

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Nella sua conferenza, ha invitato a coltivare la serenità della mente e la

compassione nei confronti del prossimo.Questo, ha affermato,

è il segreto della felicità.

La conferenza integrale del Dalai Lama a Trento è visibile a questo sito: http://www.webtv.provincia.tn.it/focus/-altri_eventi/pagina431.html

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16Cinema

Il tema dell’emigrazione nel nuovo cinema italiano

Occhi azzurri, occhi color marroneIn grande risalto la produzione del regista Claudio Giovannesi

CINEMA

prima parte

Si è svolta dal 17 al 28 aprile la do-dicesima edizione del Tribeca Film Festival, sorto come risposta all’at-tentato dell’11 settembre 2001 e alla ferita inferta, con il crollo delle Twin Towers, all’orgogliosa vitalità di New York. “Tribeca” è l’acronimo di “triangle below Canal Street”, espressione che designa quell’a-rea di Manhattan, delimitata da Broadway, West Street e appunto Canal Street, che fu sede in pas-sato dell’industria tessile e del commercio del cotone e che venne convertita negli anni ‘60 del secolo scorso in quartiere residenziale. Il “triangolo “ si è poi riqualifi -cato, dalla fi ne degli anni ’80, come centro di studi e produzio-ni cinematografi che sull’East Coast, grazie all’interessamento di Robert De Niro, di Craig Hatkoff e della moglie di questi, Jane Rosenthal, già vice-direttrice della Disney. Il Tribeca Film Festival si propone di contribuire al recupero economico e cul-turale della Lower Manhattan favorendo le produzioni indipen-denti e coinvolgendo una massa crescente di sostenitori, tec-nici e operatori del settore e raggiungendo un vasto pubblico, anche in virtù delle fortunate serie televisive girate nei paraggi di Manhattan.

Tra i meriti del Tribeca Film Festival c’è quello d’avere sem-pre riservato una speciale attenzione ai rapporti tra il cinema americano e l’industria cinematografi ca nel resto del mondo, sopperendo alle lacune della distribuzione USA e alla scarsa familiarità del pubblico americano, non abituato al doppiaggio, con le pellicole non registrate in inglese. Anche nel 2013, atte-nendosi a tale politica, il Tribeca ha ospitato una generosa rap-presentanza delle cinematografi e d’una trentina di paesi. Nella selezione italiana hanno fi gurato, oltre alla video-installazione Alberi di Michelangelo Frammartino e al cortometraggio di Erri De Luca ed Edoardo Ponti Il turno di notte lo fanno le stelle (realizzato con l’appoggio della “Trentino Film Commission”), due lungometraggi: The Director di Christina Voros, dedicato a Frida Giannini e alle ambite novità della Gucci, e Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, insignito in precedenza del Premio speciale della giuria e del Premio per la migliore opera prima e seconda al Festival del cinema di Roma, manifestazio-ne talora deludente che ha però saputo istituire un’opportuna relazione di scambi e di reciproca valorizzazione con il Tribe-

ca Film Festival. Presentata dal curatore Frédéric Boyer nella sezione “World Narrative Competition”, l’opera di Giovannesi è stata salutata dai giurati, nelle loro valutazioni conclusive, come “un meraviglioso studio, scevro di giudizi moralistici, su un giovane diviso tra la sua identità islamica e quella italiana, tra la fanciullezza e l’età adulta, tra il bene e il male”.

Il giovane in questione, passato in un triennio dalla contiguità con la manovalanza criminale della periferia romana al pre-mio per il miglior attore in una produzione europea al Festival d’Angers, è il diciannovenne Nader Sharan, fi glio d’immigrati egiziani gelosi delle loro tradizioni, oggi arroccati nell’enclave multietnica del litorale di Ostia. Nei racconti di Nader, che han-no fornito la base alla sceneggiatura scritta da Claudio Giovan-nesi e da Filippo Gravino, la desolata costa laziale segna il con-fi ne di una zona bellica dove la legge dello Stato vige solo negli isolati fortini scolastici. Una troupe cinematografi ca, secondo il regista, può lavorarvi soltanto tallonando i suoi attori improv-visati come farebbe un corrispondente di guerra, sempre alle calcagna delle truppe in movimento. Si tratta d’altronde di un territorio che Giovannesi, come Nader, ha avuto modo di stu-diare a lungo, cartografandone dal 2007 al 2012 le insidie, i camminamenti e le trincee in tre produzioni (Welcome Buca-rest, Fratelli d’Italia e Alì dagli occhi azzurri), tutte gravitanti in-torno all’Istituto Tecnico Industriale “Paolo Toscanelli” di Ostia, frequentato nell’adolescenza da Nader. L’Istituto “Toscanelli” è infatti una delle scuole che hanno aderito al progetto “Educine-ma”, un esperimento di didattica audiovisiva varato nel 2004 dall’Assessorato alla cultura della Regione Lazio, in collabora-zione con l’Associazione di cultura cinematografi ca Il Labirin-to, sulla scorta delle celebrazioni e dei corsi organizzati dalla

di Giulio Bazzanella

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17Cinema

“Cinémathèque” di Parigi, in occasione del compimento del primo secolo di storia del cinema. In una seconda fase, cinea-sti freschi di diploma al Centro Sperimentale di Cinematogra-fi a, d’età e di gusti non troppo distanti da quelli degli studenti, sono stati sollecitati alla realizzazione di fi lmati nati nell’ambi-to delle scuole coinvolte, con risultati spesso non disprezzabili. E’ il caso di Sei nel mondo (2006), diretto da Camilla Ruggiero per l’Istituto “Galileo Galilei” di Roma, ed è anche il caso di Welcome Bucarest (2007), primo impegno di regia per Claudio Giovannesi, fi no a quel momento critico, redattore del “Blob” televisivo e compositore di musica di scena.

Welcome Bucarest, produzione congiunta di “Educinema” e del Labirinto, ha richiesto una cernita rigorosa del materiale raccolto su mini-DV durante un intero anno scolastico trascor-so nei locali del “Toscanelli”, che risultava allora in Italia la scuola secondaria con la quota più elevata di alunni stranieri e fi gli di immigrati. È su tale sfondo che campeggia il romeno Alin Delbaci, all’epoca diciassettenne, nato in Romania e tra-sferitosi a Ostia al seguito della famiglia, il quale, come tutti gli interpreti dei fi lm di Giovannesi, porta di peso all’interno del vi-deo la propria identità anagrafi ca e culturale. La sua presenza guardinga, irta d’amarezza e diffi denza, esula dalla consueta prospettiva edifi cante del fi lm su commissione e si conforma al convincimento, espresso più volte dal regista, che l’integrazio-ne degli immigrati sia affi ne all’analisi psicoanalitica nel suo essere comunque interminabile, dato che comporta un lavoro incessante e simultaneo sulle sue due facce, quella acquisita e quella autoctona. Per il refrattario Alin la prima coincide inte-gralmente con il recinto scolastico, la seconda con il degrado dello hinterland romano, dove sono centrifugati i suoi pari nella

perenne spola fra i traffi ci della capitale e i dormitori periferici, estesi dalle antiche borgate fi no allo slabbrato litorale laziale. Al tempo stesso discarica e laboratorio della nazione che viene incarnata nei protagonisti del nuovo cinema italiano: i giovani di Saimir (Francesco Munzi, 2004), di Alza la testa (Alessan-dro Angelini, 2009) o di Fratelli d’Italia (2009). Quest’ultimo fi lm, meno vincolato di Welcome Bucarest a consegne uffi ciali, riprende l’arruffìo di situazioni ed espedienti del mediometrag-gio d’esordio di Giovannesi, ricomponendoli nella predella di un trittico di violenta evidenza, presaga dell’infl essione paso-liniana che il regista fi nirà per conferire alla sua materia: nella tavola centrale domina l’immagine della bielorussa Masha, adottata da una famiglia italiana e apparentemente “integra-ta”, almeno fi no a quando una telefonata le rivelerà l’esisten-za di un fratello rimasto nella patria d’origine e ne sfalderà le poche certezze; nei pannelli laterali Alin, più che mai scisso fra gli obblighi d’appartenenza alla comunità romena e le re-gole della cittadella italiana, fa riscontro a Nader, musulmano a scuola e libero pensatore a casa, in confl itto con i romeni, con i “negri”, con gli ebrei (“quelli li brucerei”), con la fami-glia (“retrograda, proprio araba”), oltre che, ovviamente, con se stesso. Per un giornalista di cronaca nera, la descrizione di Nader non comporterebbe davvero problemi: un teppistello da quattro soldi, che si maschera da italiano sfoggiando lenti a contatto azzurre. Ma sono quelle stesse lenti a ricordare a Giovannesi la lontana “Profezia” scritta nel 1962 da Pier Paolo Pasolini: un giorno i dannati della terra in fuga dal Terzo Mon-do, prevedeva il poeta, sarebbero sbarcati sulle coste italiane e avrebbero distrutto Roma per deporvi, fra le rovine, “il germe della Storia Antica”. Ninetto Davoli sarebbe stato il nunzio del loro capo: “Alì dagli occhi azzurri”. [continua]

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18Speciale Vietnam

18Speciale Vietnam

Come dire addio

di Gracy Pelacani

Le piaceva dire: “È grande come Roma”, sebbene non avesse un’idea precisa della grandezza della sua città natale. Eppure, convinta che rispecchiasse alla perfezione l’ampiezza del cam-biamento che c’era stato nella sua vita, indugiava su quella de-scrizione che solo lei, in fondo, sapeva essere approssimativa.Diceva sempre di essere cresciuta in campagna, il campo ac-canto a casa era stato a lungo coltivato a grano, e capitava spesso di incontrare ingorghi perché un trattore che trasportava i grappoli d’uva appena raccolti bloccava la strada stretta.La sua passione per i fi umi, poi, non era di certo dovuta alle strade di quella città grande quanto Roma, ma a quel corso d’acqua che correva dietro casa. Lungo le sue sponde aveva spesso trascorso i suoi pomeriggi a pedalare avanti e indietro con le cuffi e nelle orecchie e il walkman nel cestino della bici.In bicicletta ci andava spesso anche con Martina, la sua amica delle elementari che abitava in fondo alla strada, dopo il par-cheggio della fabbrica. La passava a prendere il sabato appena dopo pranzo, e facevano a gara a chi arrivava prima al cimitero. Piaceva a entrambe andarci, anche se lei lì non aveva nessuno della sua famiglia. Martina, invece, aveva il nonno seppellito in quelle tombe a cassettoni, molto in alto. Infatti, per lei era sem-pre emozionante salire sulla lunga scala per riuscire a passare uno straccio umido sulla lapide e cambiare l’acqua ai fi ori. Così, mentre Martina si occupava di suo nonno, lei spazzava la tom-ba dei bisnonni dei suoi vicini di casa, che erano quanto di più vicino a una famiglia potesse dire di avere in quel cimitero. Era una tomba imponente, con gradini di pietra scura, grandi vasi ai lati sempre in ordine e fi ori freschi. Puliva per bene, toglieva le foglie e gli aghi di pino caduti durante la settimana e dava da bere alle piante. Se Martina fi niva presto da suo nonno veniva a darle una mano.A pensarci bene non aveva mai visto la tomba di nessuno dei suoi cari ormai morti, a parte una volta. Era stata in quell’oc-casione che si era resa conto che la città dov’era nata doveva essere davvero grande. Per arrivare al cimitero ci avevano mes-so quasi un’ora con l’autobus, e quartieri su quartieri si erano avvicendati dietro ai fi nestrini. Infi ne, giunsero in quello che sembrava un parco, con ogni tanto delle lapidi che spuntavano ben distanziate tra loro. Niente tombe a cassettoni come quella dove riposava il nonno di Martina.Camminarono a lungo, lei e sua nonna, fi nché giunsero alla tomba del nonno. 1993 era l’anno riportato sulla lapide. Era morto l’anno dopo la loro partenza, mentre si preparava per ve-nirli a trovare. Lei era stata l’unica nipote che aveva conosciuto, l’unica che aveva tenuto in braccio, l’unica per cui rinunciava a guardare le partite di calcio alla tv perché lei potesse vedere i cartoni animati.Pianse a lungo. Forse, sapeva di dover versare in quel momento le lacrime per quell’addio che non c’era stato, e per tutti quelli che in futuro sapeva la distanza le avrebbe negato.Non sarebbero, in ogni caso, mai arrivati in tempo. Questa era stata a lungo la sua unica certezza in quei primi anni. Non im-portava quanto amasse la persona che se n’era appena anda-ta, la distanza non diminuiva, così come il tempo che ci avrebbe messo a tornare. Non c’era nulla che potesse fare, non era pos-sibile arrivare in tempo per dire addio.

Il sabato successivo al mio ritorno passai a prendere Martina, e mentre lei si occupava di suo nonno, io spazzavo la tomba dei bisnonni dei miei vicini di casa, che erano quanto di più vicino a una famiglia potessi dire di avere in quel cimitero.

Elaborazione grafi ca di Rosana Liali

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Viaggio in Vietnam a fumettiGud è il nome d'arte di Daniele Bonomo > Goodman > Good > Gud, un tipo curioso a cui piace viaggiare. Laureato in scienze politiche nel 2000 e diplomato nello stesso anno alla Scuola Internazionale di Comics in fumetto umoristico, dal 2001 vi insegna Fumetto, Scenografia per l'animazione e Storia del fumetto. Si dedica da allora anima e corpo al fumetto e all'animazione. Tra le tante pubblicazioni e attività segnaliamo il libro a fumetti per bambini, "La Notte dei Giocattoli", scritto da Dacia Maraini e uscito nel 2012. Andate a conoscerlo meglio nel suo sito, www.gud.it, vi trovate anche l'intero pdf di questo viaggio in Vietnam, scaricabile gratuitamente.

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