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La scrittua collettiva secondo Paolo Agaraff
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La scrittura collettiva secondo Paolo Agaraff www.storiacontinua.com
“Omero non esiste”
Serie guide alla letteratura 2.0: la scrittura collettiva
in collaborazione con Paolo Agaraff
Una produzione Storia Continua
Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo
stesso modo 2.5 Italia License
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La scrittura collettiva secondo Paolo Agaraff www.storiacontinua.com
Indice generale1.Dai Silos al carbone........................................................................3
2.Omero non esiste...........................................................................5
3.Il metodo dell'imbianchino..............................................................7Condividere la visione........................................................................................................8
Gli strumenti.......................................................................................................................9
4.Tra sogni ed incubi........................................................................11
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1. Dai Silos al carbone
Paolo Agaraff è un trovatello rinvenuto in mezzo ai silos del porto di Ancona durante una
notte di giugno del 2001. L’abbiamo adottato e l’abbiamo fatto crescere nutrendolo con
abbondanti dosi di vino e birra, serate insonni, e buone letture (da Gogol a Pasolini, da
Evangelisti a Benni, da Dick a Vance). Ci ha ripagato sfornando idee e racconti che
entrano inesorabilmente in collisione con i due tabù più consolidati della critica italiana:
l’umorismo e il fantastico.
Inizialmente avevamo pensato di battezzarlo Silos von Lager, visto che era stato trovato in
mezzo ai silos, mentre sorseggiavamo una birra chiara. Però, poi, ci siamo divertiti a
giocare con le prime due lettere dei nostri nomi e cognomi, ed è saltato fuori Paolo
Agaraff.
Prima di ricomporsi in un’unica entità, i vari pezzi che costituiscono la molteplice
personalità di Agaraff (Gabriele Falcioni, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini) hanno
scritto e pubblicato un po’ di tutto: scenari per giochi di ruolo horror e fantasy, articoli
scientifici (alcuni descrivevano sistemi informatici, altri trattavano ameni smembramenti di
animali), racconti brevi a tema fantastico-grottesco, e altro ancora. Tra l’altro, tutti i pezzi di
Agaraff hanno curato per la casa editrice Nexus la rivista multimediale “Entropia”, dedicata
al mondo del fantastico e del gioco.
Un romanziere, direbbe Lapalisse, non può dirsi tale finché non pubblica un romanzo. Nel
caso di Agaraff, il battesimo è avvenuto nelle limpide acque della Tailandia,
accompagnando il rito con un sommesso gracidar di rane assai speciali: “Le rane di Ko
Samui”, Pequod edizioni, un’agile storia di turismo e orrori primevi, narrata dal punto di
vista di tre anziani, protagonisti (loro malgrado) di rapimenti, indagini e incontri surreali.
Ironia, fantastico ed esotismo costituiscono i principali ingredienti dell’opera. Il fatto che i
primi due elementi siano tradizionalmente banditi dalla critica italiana può essere inteso
come incoscienza giovanile dell’autore o precisa scelta controcorrente. Con somma
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soddisfazione dell’editore, ciò non ha inficiato le vendite del libro e ha dimostrato che i
lettori erano pronti ad approvare un’operazione del genere. E tra i lettori, molti erano
anche i giocatori di ruolo: non è un caso, infatti, che il libro sia stato lanciato nel 2003 a Lucca Comics and Games, la principale manifestazione italiana dedicata al fumetto e al
gioco intelligente. Contestualmente al libro, Agaraff ha presentato gli scenari per gioco di
ruolo e di narrazione ispirati alle sue ranocchiette, e questo approccio è stato mantenuto
per tutte le opere successive.
Nel 2006, poi, il gruppo si è allargato: è nata la Carboneria Letteraria, un laboratorio
ludoletterario che ci ha consentito di crescere, di confrontarci, e di aprire una nuova
breccia nel mondo dell’editoria italiana. I Carbonari si autodefiniscono “un’associazione
segreta di Pulcinella volta alla cospirazione letteraria, al consumo di carboidrati con degno
accompagno di beveraggi ed altre espressioni artistiche”. L’aspetto ludico, tuttavia, non ci
impedisce di prendere molto sul serio quel che facciamo: del gruppo fanno parte autori
come il “Premio Urania” Alberto Cola e il noto inventore di giochi Andrea Angiolino.
Oltre a sfornare varie antologie, per diversi editori (Giulio Perrone, Eclissi, Centoautori), la
“Carboneria” è stata anche un incubatore di autori. Pelagio D’Afro, l’altro autore multiplo ad alta concentrazione d’Agaraff, è costituito infatti da quattro carbonari, che nel
gioco tipico di rimandi che caratterizza la nostra “poetica”, hanno pubblicato come primo
romanzo un prequel de “Le rane di Ko Samui”, ovvero “I ciccioni esplosivi”, Montag
edizioni.
Pelagio e la Carboneria sono due realtà vive e attive che alimentano anche l’immaginario
agaraffiano con stimoli sempre nuovi.
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2. Omero non esiste
Ebbene sì, il celebre autore dell’Odissea, probabilmente, non è mai esistito, e l’Odissea è
in realtà il frutto delle leggende raccolte da mille cantastorie, per essere poi distillate da
uno o più scrittori greci, altrimenti noti come Omero. L’omerico processo, in fondo, altro
non è che un riuscito esempio di scrittura collettiva.
Quali sono i caratteri che l’hanno reso un best seller di lunga durata?
Prima di tutto la storia: una storia coerente e affascinante, con personaggi tangibili, umani,
reali, nonostante la dimensione fantastica. Tutti, dèi e mortali, indifferentemente.
Poi l’uniformità di stile, nonostante l’origine articolata.
Ciò indica chiaramente che il/gli scrittori avevano una visione condivisa del tema, un
immaginario in comune, e una gran dote: il dono di saper raccontare una storia.
Da qui emergono i punti cardine della scrittura collettiva: condividere un immaginario e
convogliarlo in un metodo narrativo accettato da tutti i partecipanti. Se poi ci si chiama
Omero, il gioco è fatto.
Questi principi base, a ben pensarci, non si differenziano troppo da quelli alla base del
gioco di narrazione o di ruolo: i giocatori condividono una storia, calata in un comune
immaginario, e sviluppano le vicende dei loro personaggi nell’ambito di quella cornice,
arricchendo e modificando a volontà la sceneggiatura. Grazie a questo processo, la storia
perde parte della struttura fissata nel canovaccio iniziale e diventa viva, interattiva.
L’esperienza di gioco dimostra sperimentalmente che la conflittualità costituisce il primo
motore della narrazione.
Tutto questo discorso non è casuale: ben due terzi di Paolo Agaraff arrivano dal mondo del gioco di ruolo, e infatti il progetto Agaraff è stato animato sin dall’inizio da forti
contaminazioni ludiche e da una gran voglia di raccontare. Possiamo dire che la scrittura
collettiva, declinata nel vocabolario di Agaraff, è un incrocio formalizzato tra il gioco di
narrazione e l’opera di un cantastorie.
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La formalizzazione è un passaggio essenziale: è necessario darsi regole, e costruire il
processo in modo chiaro e articolato, altrimenti la scrittura narrativa diventa una cacofonia
priva di costrutto, e ci si perde nel gran caos dei propri individualismi.
Scrivere assieme, diventa tanto più complesso quanti più sono i partecipanti del gruppo.
Come Agaraff (costituito da tre membri), abbiamo avuto modo di sperimentare cosa
succede allargando la posse. Dopo l’esperimento riuscito di Paolo Agaraff, è nato Pelagio
D’Afro, altro autore multiplo quadricefalo costituito al 50% da due terzi di Agaraff, e quindi
la Carboneria Letteraria: un’associazione di circa venti autori che collaborano a progetti e
antologie.
Via via che il numero degli scrittori cresce, diventa più difficile, sfidante, definire gli
obiettivi, ma anche più esaltante il risultato. Se in tre o in quattro è relativamente facile
definire un metodo per sviluppare un romanzo, mantenendo uno stile uniforme, in venti
diventa quasi impossibile, e gli obiettivi devono per forza diversificarsi: meglio antologie di
racconti e contaminazioni tra autori singoli e autori multipli.
Scrivere è un meraviglioso processo creativo. Scrivere da soli soddisfa al massimo il
nostro narcisismo: è un po’ come fare l’amore con se stessi. Una masturbazione mentale
in piena regola. Scrivere in tre è come gestire un ménage à trois: può dare soddisfazioni,
ma impone l’adozione di un metodo ben definito. Scrivere in venti è come partecipare a
un’orgia: senza organizzazione sono probabili grosse sorprese sgradite. Ma se c’è
affiatamento, il divertimento è assicurato. Per chi partecipa e per chi legge.
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3. Il metodo dell'imbianchino
Scrivere narrativa è considerato un lavoro duro e, soprattutto, solitario. Se un libro è frutto
di una visione fantastica, dell’intuizione unica dell’autore e del suo stile, non è chiaro come
possano esistere i collettivi di scrittura. Se l’opera, poi, appare del tutto omogenea,
qualcuno potrebbe chiedersi se non esista realmente la telepatia o la coscienza collettiva.
Nel caso di Agaraff, la spiegazione è più semplice: il metodo e il substrato culturale del trio
rappresentano una solida base su cui costruire l’opera. Il metodo garantisce uniformità stilistica, la cultura rappresenta l’insieme delle categorie mentali a cui attingere per
scambiarsi le visioni da tradurre in scrittura.
Un’opera agaraffiana nasce sempre con una discussione più o meno lunga, condotta
faccia a faccia: in questa fase è molto importante l’interazione tra i partecipanti. Il tema
può essere vario, da un’idea appena abbozzata alla discussione approfondita di una trama
frutto di riunioni precedenti. Il risultato è un documento di riferimento con idee, annotazioni
a margine, brandelli di dialogo, URL e bibliografia di riferimento, qualche volta scene e
trame più dettagliate. Questo processo è reiterato, anche a distanza (tramite email), fino al
raggiungimento di una massa critica di materiale. Il documento finale diventa il riferimento
a cui il trio si atterrà per lo sviluppo dell’opera.
Inizia ora la fase di scrittura vera e propria. Ognuno dei tre scrive a turno, secondo
tempi e modi a lui congeniali, con l’unico vincolo di inviare il manoscritto agli altri entro un
tempo limite fissato (tipicamente una settimana, eccezionalmente dieci giorni).
Successivamente, chi prende in carico l’opera ha facoltà di apportare qualunque
cambiamento ritenga necessario, sia nella struttura che nello stile, con l’unico obbligo di
motivare le modifiche più corpose e sostanziali. Il processo si ripete fino alla fine
dell’opera. A volte capita che qualcuno faccia solo revisione, altri scrivano solamente nuovi
paragrafi (magari anche in ordine sparso), ma il contributo più importante che tutti danno è
quello della continua rilettura.
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Il confronto con gli altri componenti del gruppo arricchisce la scrittura e aiuta a eliminare le
imperfezioni del testo. Il processo iterativo permette di introdurre elementi di novità nella
storia, superando i limiti e i difetti della sceneggiatura iniziale. Per certi versi, il processo di
scrittura di Agaraff ricorda metodo dell’imbianchino: le varie mani di vernice che finiamo
per sovrapporre tendono a conferire all’opera uno stile uniforme, diverso da quello di
ciascuno dei tre componenti del gruppo.
Ad ogni iterazione del trio, infatti, la prosa subisce modifiche finché non raggiunge una
forma che tutti e tre gli autori considerano accettabile.
Condividere la visione
La narrazione è una forma di comunicazione. Sia che ricorra a parola, immagine o musica,
il narratore veicola emozioni e idee ai fruitori della storia. Per la sua natura multipla,
Agaraff usa lo stesso strumento anche in fase di stesura della storia. La narrazione
collettiva è quindi sia strumento di fruizione di storie che strumento di costruzione di storie.
Benché alcune forme narrative siano ben codificate (libro, film, fumetto, canzone), non
sempre una sola forma si rivela soddisfacente. Un esempio chiarissimo è “Arancia
Meccanica”: benché il film di Kubrick sia basato sul libro di Burgess, l’adattamento
cinematografico è superiore a quello scritto perché la vera protagonista della storia è la
musica, e nel film questo è evidente mentre nel libro rimane in secondo piano.
Se i componenti di Agaraff, ad esempio, comunicassero esclusivamente in forma scritta,
l’efficienza compositiva ne soffrirebbe. Capita spesso, infatti, che uno degli autori dica
qualcosa del tipo: «Per questa scena ho in mente “The Fog” di John Carpenter, quando gli
uncini spuntano dalla nebbia». Un messaggio del genere non avrebbe senso se le altre
parti di Agaraff non avessero visto il film. In questo caso, Agaraff si avvantaggia della vasta
cultura multimediale delle sue parti, per condividere la visione su cui si basa la storia in
costruzione.
La comunicazione multimediale delle parti di Agaraff è quindi un potente strumento
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compositivo. Lavorare sulla struttura di una storia a partire dal testo scritto è di gran lunga
più impegnativo che ricorrere a una sceneggiatura arricchita da riferimenti visivi e sonori.
Chi scrive spesso è vittima della “tirannia della parola”, ossia quel fenomeno per cui la
cura maniacale del testo diventa più importante dello sviluppo della trama. Niente rischia
di rovinare una storia più di un autore che s’invaghisce a tal punto di un paragrafo da non
volerlo più eliminare, anche se nell’economia della narrazione è del tutto superfluo o,
peggio, fuorviante. Nel caso di Agaraff, a volte accade che una delle sue parti introduca la
famosa scena perfetta. Per risolvere la questione senza (troppe) lotte intestine, il metodo
prevede di mettere da parte la scena incriminata e di tentarne l’inserimento successivo,
non appena la narrazione arriverà al momento ritenuto opportuno. In almeno un caso, la
scena è stata addirittura tagliata e riciclata in una storia successiva.
La centralità della storia è sicuramente il tratto distintivo di Agaraff, così come la scelta di
proporla con metodi narrativi differenti. Agaraff è soprattutto un cantastorie.
Gli strumenti
Il computer ha fatto parte delle vite del trio da sempre; era quindi inevitabile che il
processo creativo si avvantaggiasse dei moderni strumenti informatici. Internet
rappresenta lo strumento più importante di Agaraff: l’email è il principale mezzo di
comunicazione del trio e il World Wide Web è l’immensa biblioteca a cui attingere per
documentarsi rapidamente su cose astruse o lontane dall’esperienza comune.
Segue, per importanza, il programma di elaborazione testi. Chi si aspetta una scelta
controcorrente rimarrà deluso: Agaraff è costretto ad abusare di un noto programma di
elaborazione testi perché sembra che sia il solo a supportare un sistema pratico e non
banale per il controllo delle revisioni. Le annotazioni fatte dal programma sono infatti
fondamentali per analizzare nel testo gli interventi fatti dagli altri.
Internet è anche il mezzo principale di promozione e comunicazione dell’autore: tramite il
proprio sito, Paolo Agaraff condivide con i naviganti racconti e giochi, oltre ad alcuni
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materiali che integrano le opere in vendita in libreria. Un esempio è l’appendice de “Il
sangue non è acqua”, fortunosamente esclusa dall’edizione stampata: si tratta di un
complemento importante alla storia narrata nel libro; in essa sono descritti alcuni fatti su
cui si basa la narrazione, come la storia di alcuni personaggi e curiosità varie sui luoghi in
cui è stata ambientata la vicenda.
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4. Tra sogni ed incubi
Quando si parla di letture, le nostre pretenziose personalità entrano decisamente in
conflitto. Prendete Lovecraft: non entusiasma un terzo di Agaraff, mentre è uno degli autori
preferiti da un altro terzo. Idem per i russi (Gogol’ e Dosto’evskij). Ma tre terzi di Agaraff
amano il fantastico, dunque si può affermare che il fantastico piace ad Agaraff. Che
fantastica risposta, eh?
Per entrare nel dettaglio, altaleniamo da Robert Louis Stevenson alla letteratura italiana
(Svevo, Pirandello), dalla comicità tutta inglese di Woodhouse (conserviamo ancora tutta
la serie di Jeeves, in un’edizione del 1930), a Pennac, Benni, Camilleri, Bukowski,
Pasolini, Durrenmatt, Voltaire, Kafka, Mann, Proust, Joyce, Borges (una folgorazione). Per
la fantascienza, nella nostra libreria riposano immani quantità di edizioni Nord, Mondadori,
Fanucci e minutaglie altrui. Qualche nome? Brackett, Heinlein, Asimov, Clarke, Brown,
Matheson, Harrison, Foster, gli autori “new wave” e della fantascienza sociologica:
Vonnegut, Farmer, Scheckley, Dick, Zelazny, Kornbluth, Pohl, che hanno aperto un mondo
nuovo, fatto di dubbi e ipotesi affascinanti. E poi non potremo mai dimenticare Orwell, le
ombre di Ambra di Zelazny e le realtà “squagliate” e pirandelliane di Philip Dick…
Più recentemente ci siamo accostati a Effinger, Bear, Haldeman, Gaiman, Pratchett,
Miéville, Morgan, oltre a quel sincretismo di horror, fantascienza e fantasy creato da
Valerio Evangelisti, l’autore italiano che ha rivitalizzato la narrativa fantastica in Italia,
contaminandola con altri generi e iniettandole nuove energie.
Infine, almeno un terzo di Agaraff è appassionato di saggistica storica, dalla Roma
classica al ventesimo secolo. Tutte queste esperienze si mescolano e ricombinano nella
produzione agaraffiana.
Prendiamo l’ultimo romanzo, “Il quinto cilindro” (Montag edizioni), una miscela fanta-
storica-lovecraftiana dove tornano i personaggi de “Le rane di Ko Samui” e de “I ciccioni
esplosivi”.
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I nostri affezionati vecchiacci, questa volta, saranno alle prese con orrori da un altro
mondo e misteri catapultati dal remoto passato. Il romanzo si svolge su tre linee narrative:
una nel presente, una nel passato e una nel futuro… almeno all’apparenza. Antichi
legionari con i calcei immersi nel sangue, alieni chitinosi e pensionati in vacanza nelle Alpi
svizzere s’incontrano e si scontrano, mescolando horror, fanta-storia e tradizionale
grottesco agaraffiano.
Con gli anni abbiamo capito che il vero orrore è nel quotidiano e il “non-umano” non è
necessariamente “l’alieno”: c’è più orrore in un terzo di Agaraff che in una locanda
polverosa di Innsmouth…
Ringraziamo il collettivo Paolo Agaraff per la gentile collaborazione.
Per ulteriori approfondimenti, tutti gli ebook e le guide alla letteratura 2.0 sono scaricabili gratuitamente dall'area download del sito www.storiacontinua.com
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